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Ritorni di fiamma: la disputa sull`uso del simbolo di
SIMBOLI POLITICI – 25 MARZO 2015
Ritorni di fiamma:
la disputa sull’uso del simbolo
di Alleanza Nazionale,
tra fondazioni e scissioni
di Gabriele Maestri
Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparate
Università degli Studi di Roma Tre
Ritorni di fiamma:
la disputa sull’uso del simbolo
di Alleanza Nazionale,
tra fondazioni e scissioni*
di Gabriele Maestri
((Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparate
Dottorando in Scienze politiche -Università degli Studi di Roma Tre
Sommario: 1. Una necessaria premessa istituzionale. 2. La liquidazione di An e l’affidamento del
simbolo alla Fondazione Alleanza nazionale. 3. Le dispute sullo statuto e la decisione del
Tribunale. 4. Orizzonti elettorali: quanto vincola la prima concessione? (pensieri de iure condendo).
5. Bonus track: scampoli di passato che ritornano.
1. Una necessaria premessa istituzionale
Quando si era aperta la fase di deposito ed esame dei contrassegni per le elezioni europee del 25
maggio 2014, presso il Tribunale di Roma pendeva un contenzioso legato a uno tra i primi
emblemi presentati; la stessa fase si è chiusa senza che i giudici si fossero espressi su di essa
nemmeno in sede cautelare. Si trattava, in particolare, della causa iniziata pochi giorni prima1 da
un gruppo di aderenti o partecipanti alla Fondazione Alleanza nazionale, volta a ottenere in via
immediata la sospensione (e, in un secondo tempo, la dichiarazione di nullità o illegittimità) della
delibera con cui l’assemblea della stessa Fondazione, in data 14 dicembre 2013, impegnava il
Consiglio d’amministrazione dell’ente «ad autorizzare il soggetto politico costituente l’evoluzione
di Fratelli d’Italia, a utilizzare il simbolo di Alleanza Nazionale, in toto o in parte, all’interno del
simbolo con cui parteciperà alle competizioni elettorali del 2014», così come richiesto dalla
Articolo sottoposto a referaggio. L’autore desidera ringraziare Francesco Condorelli Caff, Alfio Di
Marco, Franco Mugnai e Roberto Ruocco e Giovanni Salvaggio per le informazioni e il materiale fornito.
1 L’ordinanza che si commenterà di seguito fa riferimento ad un ricorso depositato il 28 marzo 2014.
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mozione presentata dai componenti di Fdi2 Giorgia Meloni e Ignazio La Russa (ma sostenuta
anche da Gianni Alemanno)3.
La decisione era stata preceduta e seguita da numerose polemiche. Un mese prima aveva
dichiarato di volersi avvalere dello stesso simbolo di An (integralmente, senza modifiche o
inserimenti in altri contrassegni) il Movimento per Alleanza nazionale, una «Federazione di
persone, movimenti e partiti» costituita da otto soggetti giuridici 4 , tra i quali La Destra di
Francesco Storace, Io Sud di Adriana Poli Bortone, Futuro e libertà di Roberto Menia e il
Movimento sociale Fiamma tricolore (in quel momento rappresentato dal segretario Luca
Romagnoli 5 ): lo scopo dichiarato dell’operazione era «consentire che il simbolo di Alleanza
nazionale, nella sua integrità e continuità storica, venga presentato in tutte le competizioni
elettorali». Proprio su questo, tuttavia, si era registrata l’immediata reazione del presidente della
Fondazione An, Franco Mugnai, il quale si era opposto alla spendita (anche e soprattutto
elettorale) dell’emblema in assenza di un accordo o, per lo meno, di un confronto con l’ente da
lui presieduto.
Dopo la decisione dell’assemblea della stessa fondazione a dicembre, sono arrivate puntuali le
proteste di Storace (che si vedeva in questo modo impedire il progetto varato solo un mese
prima), ma anche di vari ex iscritti ad Alleanza nazionale, in seguito aderenti al Popolo della
libertà e a Forza Italia (partito riattivato giusto pochi giorni prima)6: costoro non avevano chiesto
Vale la pena precisare che Fratelli d’Italia - Centrodestra nazionale (nato come soggetto politico alla
vigilia delle elezioni del 2013) non aveva chiesto l’uso del simbolo di An a proprio beneficio, ma piuttosto
della propria evoluzione, seguita al laboratorio politico «Officina per l’Italia», con la partecipazione pure di
altri soggetti che non avevano fatti parte di Fdi (cosa che giustifica, tra l’altro, il sostegno di Gianni
Alemanno alla mozione Meloni - La Russa).
3 Il testo della mozione approvata si può leggere sul sito web della Fondazione Alleanza nazionale,
all’indirizzo http://www.alleanzanazionale.it/2013/mozione.pdf.
4 Il testo dell’atto costitutivo, datato 8 novembre 2013, si ritrova nel sito del Giornale d’Italia, all’indirizzo
http://www.ilgiornaleditalia.org/news/politica/850029/Ecco-l-atto-costitutivo-del-movimento.html.
5 Non si può tacere peraltro come proprio la scelta di Romagnoli di partecipare a questa federazione con il
contrassegno di An – partito del quale gli iscritti della Fiamma tricolore mai hanno fatto parte, avendo
lasciato il Movimento sociale italiano - Destra nazionale nel momento in cui il congresso di Fiuggi del
1995 ne aveva trasformato il nome in Alleanza nazionale – non abbia poi trovato sufficiente consenso nel
successivo Comitato centrale del 26 novembre 2013. Dal dissenso registratosi in quella sede sono scaturite
le dimissioni dello stesso Romagnoli che da dicembre è il riferimento di Destra sociale, contenitore
politico che raccoglie una parte significativa di ex aderenti alla Fiamma tricolore: il contrassegno in un
primo tempo ricalcava quello presentato alle elezioni europee 2009 dalla Fiamma, con la denominazione
scritta in bianco su fondo verde, al di sotto di un cerchio bianco che conteneva la vecchia fiamma tricolore
con base trapezoidale bianca e rossa, nello stesso disegno utilizzato da An. Dalla metà di febbraio, tuttavia,
la formazione politica ha scelto di cambiare profondamente la propria immagine, affidandosi a una freccia
tricolore “ritorta”, che punta a destra, su fondo blu.
6 In particolare, tra i parlamentari, si erano esposti soprattutto Maurizio Gasparri e Altero Matteoli.
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di utilizzare il simbolo di An, ma non avevano mancato di esprimere il loro disappunto per
l’approvazione della mozione Meloni - La Russa - Alemanno, avvenuta con soli 290 voti (a fronte
dei quasi 700 aderenti alla fondazione), lamentando violazioni statutarie. Proprio a quest’area 7
sembra riconducibile l’atto introduttivo del contenzioso che ha generato l’ordinanza del
Tribunale di Roma che si commenterà in seguito.
2. La liquidazione di An e l’affidamento del simbolo alla Fondazione Alleanza nazionale
La vicenda in esame risulta particolarmente interessante, dal momento che si tratta – salvo errore
– del primo caso in cui si discute dell’utilizzo di un simbolo che un partito (qui Alleanza
nazionale) ha scelto di affidare a una fondazione appositamente costituita dopo la conclusione
della propria attività. Conclusione che, per lo meno questa volta, non ha le forme della
sospensione dell’attività politica (come è accaduto di frequente negli ultimi anni)8, ma di un vero e
proprio scioglimento, più correttamente qualificabile come «liquidazione».
Nel caso di specie, proprio le determinazioni congressuali dell’ultima assise di Alleanza nazionale,
celebrata a Roma il 21 e il 22 marzo 20099, dopo aver precisato che le risorse materiali del partito
«continuano a essere destinate a procurare il sostegno e la propulsione dell’attività volta a
determinare l’affermazione, la diffusione e la comunicazione dei modelli sociali, culturali e politici
legati alla sua tradizione» (punto 2), al punto 3 statuiscono espressamente: «Alleanza Nazionale
entro il 2011 si costituisce in una fondazione, che ne assume l’emblema e la denominazione. Alla
fondazione competono tutti i diritti già propri ad Alleanza Nazionale, e ad essa sono assegnate le
risorse materiali di cui al punto 2 […]». Tuttora sussistono contemporaneamente l’associazione
An (in liquidazione) e appunto la Fondazione, il cui statuto detta fini ben determinati 10: per il
raggiungimento degli stessi essa può, tra l’altro, «amministrare e gestire i beni di cui sia
proprietaria, locatrice, comodataria o comunque posseduti» (art. 3, lettera b).
Il primo presentatore dell’atto di citazione e del ricorso, Roberto Ruocco, è consigliere regionale in
Puglia, appartenente al gruppo Pdl - Forza Italia.
8 Esempi eloquenti possono essere quelli del Partito popolare italiano, nonché dei Cristiani democratici
uniti e di Forza Italia (con gli ultimi due casi che dimostrano come la scelta di sospendere l’attività sia
reversibile, consentendo la riattivazione del partito).
9 Il testo si può leggere qui: http://www.alleanzanazionale.it/2013/determinazioni-congressuali.pdf.
10 Art. 2, comma 1: «Finalità della Fondazione sono la conservazione, tutela e promozione del patrimonio
politico e di cultura storica e sociale che è stato proprio, fino alla sua odierna evoluzione, della storia della
“destra” italiana, e, segnatamente, del partito politico Alleanza Nazionale, oltre che dei movimenti e delle
aggregazioni politiche e sociali, che ad essa hanno dato causa o contributo ideale». Lo statuto, in ogni caso,
si può leggere qui: http://www.alleanzanazionale.it/2013/statuto-2013.pdf.
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Tra i beni ricompresi nel raggio di applicazione della disposizione appena vista, rientra anche il
contrassegno coniato nel 1994 per Alleanza nazionale da Massimo Arlechino e utilizzato con
costanza fino al 2008, anno in cui sulle schede era comparso l’emblema del Popolo della libertà;
in quell’anno, tuttavia, il contrassegno con la piccola fiamma tricolore del Msi era stato comunque
depositato – dal partito non ancora confluito nel Pdl – a titolo cautelare, anche per resistere
meglio ai tentativi di altre forze politiche di presentare contrassegni con riproduzioni più o meno
insidiose della fiamma11.
La scelta di destinare l’emblema di un partito in via di scioglimento a un soggetto politicoculturale, non costituito al fine di partecipare alle competizioni elettorali, è una delle soluzioni
configurate a livello pratico per fare fronte alla mancanza di regole dedicate ai partiti politici che
per oltre 65 anni ha caratterizzato il nostro sistema costituzionale; anche dopo l’approvazione
della legge 21 febbraio 2014, n. 13, che ha convertito con modifiche il decreto-legge 28 dicembre
2013, n. 149 («Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la
democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta
a loro favore»), l’ordinamento italiano non prevede norme in materia di scioglimento o
sospensione dell’attività dei partiti, men che meno sulla sorte dei loro emblemi12.
La destinazione (o, se si preferisce, l’affidamento) a una fondazione o ad altro soggetto collettivo
del contrassegno di un partito che si appresta a chiudere la propria esperienza aveva e ha il
duplice scopo di perseguire la coesione morale e ideologica di tutti coloro che si sono riconosciuti
in un determinato simbolo quando veniva utilizzato nel dibattito politico (anche quando, magari,
il tramonto di un partito si è nel frattempo accompagnato a una “diaspora” degli antichi aderenti
in varie formazioni diverse) e di sottrarre il contrassegno a nuovi usi potenzialmente divisivi o
non in linea con il patrimonio valoriale espresso in precedenza; l’uso del segno distintivo può
Si veda Ufficio elettorale centrale nazionale, 7 marzo 2008, decisione n. 5, Movimento sociale italiano –
Destra nazionale Nuovo M.S.I. c. Ministero dell’interno; la decisione si sarebbe ripetuta più o meno con lo
stesso tenore negli anni seguenti.
12 Su questo non sia considerato inelegante rinviare a G. MAESTRI, Simboli dei partiti, controllo degli statuti e
registrazione: gli effetti delle nuove norme sul finanziamento, in Federalismi.it, 2014, 5 (Osservatorio sui simboli politici,
uscita n. 1), 5 marzo 2014. È anche giusto ricordare, peraltro, che nella XVI legislatura alcune proposte di
legge si erano preoccupate di normare con maggiore attenzione la fattispecie di scioglimento o cessazione
dell’attività dei partiti, in particolare A.C. 4956 (Casini e altri) e ancora di più A.C. 4955 (Gozi), che
precisava anche: «Il partito che è in procinto di sciogliersi può comunque decidere di trasferire la titolarità
del proprio contrassegno a un diverso soggetto collettivo, al solo scopo di impedirne l’uso ad altri
soggetti». Il testo unificato delle varie proposte presentate alla Camera, invece, si limitava a considerare
cessata «l’attività del partito politico che non presenta liste di candidati alle elezioni per il rinnovo della
Camera dei deputati, del Senato della Repubblica e dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia»,
condizione che provocava la perdita del diritto a rimborsi e contributi pubblici a favore dei partiti o dei
loro organi di stampa.
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anche essere concesso per occasioni determinate (al limite anche elettorali), previa espressione
dell’organo deliberativo.
La decisione presa dal Congresso di Alleanza nazionale circa il proprio contrassegno non si
presenta in realtà come il primo caso di questo genere, potendosi ricordare almeno la scelta fatta
dal Consiglio nazionale del Partito democratico italiano di unità monarchica il 10 – o forse il 12,
mancando notizie certe – luglio 1972: contemporaneamente alla decisione di sciogliere il partito
(con conseguente confluenza nel Movimento sociale italiano - Destra nazionale), l’organo
deliberò di affidare il simbolo di “Stella e corona” a un costituendo Centro nazionale di azione
monarchica, concepito come «dimostrazione di validità dei temi monarchici al cospetto di tutti i
fattori e di tutti gli elementi che minacciano l’autonomia e l’indipendenza della nazione»13.
Posto tutto questo, vale la pena porre attenzione al caso in esame, per varie ragioni. In primo
luogo esso costituisce un valido esempio di un ente collettivo politico-culturale che cerca di
mantenere un minimo di coesione tra le varie anime un tempo riconducibili allo stesso partito e
in seguito frazionatesi in diverse formazioni14, anche se proprio questo “mosaico” può creare non
pochi problemi nella gestione dell’ente stesso e nel percorso di determinate decisioni;
secondariamente, esso consente di evidenziare – in mancanza di regole generali stabilite a livello
legislativo in materia – l’importanza del rispetto delle regole interne (a partire da quelle contenute
nello statuto dell’ente che diviene titolare e “tutore” del contrassegno) per decidere sull’uso o
sulla destinazione dell’emblema.
3. Le dispute sullo statuto e la decisione del Tribunale
Scorrendo l’atto di citazione di Ruocco, si individuano critiche mirate tanto all’azione degli organi
della Fondazione An, quanto alle condizioni in cui la decisione dell’Assemblea è maturata.
Ricordato che tra gli scopi che hanno portato a costituire la fondazione c’era anche la volontà di
«non aprire in futuro controversie sull’eredità politica e sull’uso del nome e del simbolo da parte
Così riporta La Stampa, il 13 luglio 1972, a pagina 20, nell’articolo Una gran parte del psiup andrà a confluire
nel pci, inserendo dunque la notizia relativa al Pdium in un contesto più ampio.
14 È un fatto che attualmente negli organi direttivi della stessa Fondazione Alleanza nazionale coesistano
soprattutto esponenti ora approdati in Forza Italia (come Maurizio Gasparri e Altero Matteoli), nel Nuovo
Centrodestra (su tutti Andrea Augello) e in Fratelli d’Italia, come appunto Ignazio La Russa e Giorgia
Meloni (ma anche Francesco Biava, legato pure a Prima l’Italia, soggetto politico vicino a Gianni
Alemanno), ma non mancano soggetti con altri percorsi, come gli ex di Futuro e libertà per l’Italia Egidio
Digilio e Italo Bocchino (ora direttore editoriale del Secolo d’Italia).
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di minoranze eventualmente dissidenti» 15 , gli attori notano come la decisione di costituire la
fondazione avesse avuto tra i suoi scopi il «sottrarla all’uso di parte», criticando così la scelta di
chi invece avrebbe voluto ridare vita ad An in forma partito.
Sulla base di ciò, si mettono in luce prima le censure nel merito, di natura politico-ideologica, cui
si dà comunque un peso giuridico-formale, anche a partire dalle finalità della Fondazione An
indicate dallo statuto all’art. 2, ossia «la conservazione, tutela e promozione del patrimonio
politico e di cultura storica e sociale che è stato proprio, fino alla sua odierna evoluzione, della
storia della destra italiana, e, segnatamente, del partito politico Alleanza Nazionale». Queste
osservazioni, insieme al particolare valore che l’ordinamento riconoscerebbe tanto ai segni
distintivi e identificativi di un partito, quanto al patrimonio delle fondazioni che sia «strettamente
legato al raggiungimento delle finalità o scopi previsti», sarebbero il presupposto per ritenere
contrarie allo statuto – e, di conseguenza, annullabili ex art. 23, comma 1 c.c. – tanto la delibera
con cui l’Assemblea ha approvato a maggioranza la mozione Meloni - La Russa - Alemanno,
quanto quella seguente del Consiglio di amministrazione (8 gennaio 2014) che ha materialmente
autorizzato l’uso – «totale o parziale» – del contrassegno di Alleanza nazionale «e della relativa
denominazione»16, per le elezioni relative al 201417
Gli attori e ricorrenti, in particolare, ritengono che il nome e il simbolo della fondazione «non
[siano] certamente beni fungibili», ma si possano utilizzare solo per il raggiungimento delle finalità
previste dallo statuto: per questo, la concessione temporanea dei segni distintivi «ad altri soggetti
perché se ne servano nel contingente politico ed elettorale, da cui, sciogliendosi e costituendo una
fondazione, AN si è voluta sottrarre», violerebbe gli scopi di tutela e promozione del patrimonio
politico-culturale di Alleanza nazionale. Ruocco e gli altri soggetti che hanno deciso di impugnare
le delibere, in sostanza, temono che chi in futuro volesse richiamarsi allo stesso complesso di
valori che era stato di Alleanza nazionale, finirebbe per utilizzare un nome e un simbolo che non
Ha buon gioco l’autore della citazione ha ricordare come esperienze passate, da non imitare, le vicende
legate (nella prima metà degli anni ’90) al passaggio dal Pci al Pds, dalla Dc al Ppi e, naturalmente dal Msi
ad An.
16 Gli attori e ricorrenti notano peraltro che «nella mozione dell’utilizzo della denominazione non vi è
traccia alcuna», per cui tale discrepanza si aggiungerebbe ad colorandum ai motivi di invalidità della delibera
del Cda, che sarebbe dunque andata ultra petitum.
17 La delibera del Cda precisa tuttavia che «Il simbolo e la denominazione di Alleanza Nazionale restano,
in ogni caso, di esclusiva pertinenza della Fondazione, e il relativo utilizzo può essere revocato, ove se ne
ravvisi un impiego oltre i limiti di tempo stabiliti nella presente delibera ovvero in quelle future che
venissero assunte»; di più, «il soggetto politico costituente l’evoluzione di Fratelli d’Italia assume, per sé e
propri eventuali aventi causa, obbligo e diretta responsabilità di informare tempestivamente la
Fondazione, in ordine alle modalità e alle circostanze dell’utilizzo della denominazione e/o del simbolo,
fornendo rappresentazione grafica dello stesso in ogni formato di stampa e/o informatico».
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avrebbero più lo stesso valore identificativo delle origini, dopo l’uso fatto da Fratelli d’Italia
(perché quei segni distintivi, in sostanza, rimanderebbero a quel partito e non più alla formazione
nata tra il 1994 e il 1995). Tutto questo, in definitiva, non sarebbe affatto in linea con le finalità
conservative del patrimonio politico-culturale di An.
I promotori dell’azione, in più, leggono la concessione dei segni identificativi di An e della
fondazione all’evoluzione di Fratelli d’Italia – Officina per l’Italia come un’individuazione de facto
di «una sorta di “unico erede legittimo”» del soggetto politico uscito dal congresso di Fiuggi nel
1995. Non rientrerebbe invece tra gli scopi della fondazione «agevolare […] il percorso di un
soggetto politico che riaffermi i valori di Alleanza Nazionale» (l’elettorato richiederebbe
semplicemente di individuare in quel partito la continuazione diretta di An), tanto più che Fratelli
d’Italia, fondato e composto da persone con storie politiche diverse, non potrebbe comunque
dirsi erede del patrimonio di An (e i voti raccolti alle elezioni politiche, inferiori al 2%,
dimostrerebbero la scarsa identificazione dei precedenti elettori di An in quel progetto politico).
Ai motivi sul merito si aggiungerebbero quelli formali, in parte già oggetto di contestazioni
all’indomani della delibera dell’Assemblea della fondazione. Nello specifico, ci si duole del non
inserimento espresso della mozione all’ordine del giorno (non essendo inerente ai compiti
espressamente indicati dall’art. 12 dello statuto 18 ) e della presenza alla votazione di soli 292
partecipanti a fronte di 1206 aventi diritto. Autonomo vizio riguarderebbe la delibera del Cda
dell’8 gennaio 2014: a monte, sarebbe stata svolta un’istruttoria del tutto insufficiente circa la
«evoluzione innovativa» di Fratelli d’Italia – Officina per l’Italia e la disponibilità di chi si
riconosceva nelle tesi di Fiuggi o di chi aveva a lungo militato in An ad aderire all’evoluzione di
Fdi-Officina19; tale istruttoria, poi, sarebbe stata svolta da un organo inesistente e incompetente20.
La questione è arrivata in discussione in sede cautelare dopo che Fratelli d’Italia aveva già deciso
in che modo fare uso del simbolo di An e aveva visto il proprio contrassegno ammesso alle
Art. 12, comma 1: «L’Assemblea dei partecipanti di diritto e degli aderenti della Fondazione è convocata
ogni due anni dal Presidente della Fondazione per discutere piano generale delle attività e dei risultati della
gestione e della conduzione amministrativa della Fondazione, nonché gli obiettivi che la stessa si propone
di conseguire, i relativi strumenti e tempi di attuazione».
19 Segnatamente, sarebbero stati «auditi» (solo) 21 ex dirigenti di An, solo in parte favorevoli alla
concessione del simbolo (i soggetti più vicini ai promotori del Movimento per Alleanza nazionale hanno
diffidato la fondazione a concedere il simbolo, mentre il rappresentante di Fli ha dato parere negativo);
l’esiguità delle consultazioni sarebbe maggiormente evidenziata dai 188mila iscritti (al 2005) e ai 500
dirigenti nazionali (2002) riferibili ad An.
20 Il riferimento è all’Ufficio di Presidenza della fondazione, «integrato ove il Presidente lo ritenga
opportuno ad altri componenti del CDA»; in base all’art. 12, comma 3, le mozioni sono «da riportarsi, a
cura del Presidente, al Consiglio d’Amministrazione per gli adempimenti conseguenti».
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elezioni europee di maggio21. Ascoltate le ragioni delle parti22, il giudice ha comunque ritenuto di
respingere l’istanza di sospensione delle delibere impugnate23, non prima di avere correttamente
precisato che in discussione c’è solo la vicenda civilistica dell’emblema, a nulla valendo
l’ammissione dello stesso da parte della Direzione centrale dei servizi elettorali del Ministero
dell’interno, chiamata a giudicare esclusivamente la compatibilità del segno distintivo presentato
con la normativa valida per le competizioni elettorali: più ancora che di lex specialis, qui occorre
parlare di un ambito assolutamente diverso.
La prima questione affrontata dal giudice riguarda la legittimazione dei promotori a contestare le
delibere in discussione. Visto che si sta parlando di un ente collettivo qualificato come
fondazione, in base all’art. 25 c.c. spetterebbe solo all’autorità governativa il controllo e la
vigilanza sull’amministrazione e sulle delibere, qualora la contrarietà si esplicitasse contro norme
imperative, l’atto di fondazione, l’ordine pubblico o il buon costume. Gli aderenti o i partecipanti
alla Fondazione Alleanza nazionale non avrebbero dunque la possibilità di impugnare una
deliberazione di un organo della stessa: lo stesso atto di introduzione del contenzioso fa
riferimento indiretto all’art. 23 c.c., dettato invece per le associazioni.
Il giudice tuttavia considera anche l’ipotesi che la fondazione, a dispetto del nomen iuris, abbia «una
struttura che, in realtà, la facesse ritenere associazione», consentendo dunque l’applicazione del
citato art. 23 c.c. Anche in quel caso, però, non sembrano essersi verificate le violazioni statutarie
formali lamentate, che permetterebbero di annullare le delibere.
Per quanto riguarda la delibera dell’Assemblea, l’art. 12 dello statuto non richiederebbe (ai commi
1 e 3) la compilazione di un ordine del giorno al quale attenersi per la discussione del piano
generale delle attività e dei risultati della gestione e della conduzione amministrativa della
fondazione; lo stesso art. 12, comma 3 prevede la possibilità di presentare mozioni, senza che sia
Il contrassegno riporta per intero il vecchio emblema di An nella parte inferiore del già noto fregio di
Fdi, coprendo il nodo tricolore e lasciando visibili solo i fasci di corde; scompare poi la dicitura maiuscola
«Centrodestra nazionale» e, per l’occasione, viene inserito anche nella parte superiore il riferimento alla
leader Giorgia Meloni. Il logo è stato scelto sulla base di una consultazione tra iscritti e simpatizzanti, con
una prima fase propositiva attraverso Facebook (fino al 24 gennaio 2014) e una seconda fase attraverso le
“primarie delle idee” che (il 22 e il 23 febbraio), oltre che per ufficializzare la leadership della Meloni,
scegliere i “grandi elettori” del partito e consultare i simpatizzanti su alcuni temi specifici, sono state
utilizzate anche per individuare il contrassegno tra otto diverse proposte grafiche.
22 Da segnalare l’intervento adesivo al ricorso di Rocco e degli altri di Antonio Buonfiglio ed Enzo Raisi
(già promotori in passato di azioni legate all’associazione Alleanza nazionale, in particolare con riferimento
alle procedure di scioglimento e liquidazione di An: costoro hanno lamentato anche una presenza
maggioritaria di aderenti a Fdi nel Cda della fondazione e, a monte, una procedura irregolare di modifica
dello statuto per le parti che in qualche modo riguardano anche le delibere oggetto del giudizio.
23 Trib. Roma (trib. imprese), sez. III civ., (ord.) 30 aprile 2014, g.i. Mannino.
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richiesto un loro deposito precedente o un annuncio in qualche documento. Quanto al requisito
“numerico” per la valida composizione dell’organo, se le doglianze parlavano di 292 partecipanti
a fronte di 1206 aventi diritto, dal verbale risultano 306 presenti su un totale di 693 aventi
diritto24; dal momento che l’art. 12, comma 6 dello statuto richiede come numero legale per la
validità della riunione di Assemblea che sia presente almeno un terzo di coloro che hanno titolo
per votare (mentre per approvare le mozioni è richiesta solo la maggioranza dei presenti), la
votazione si presenta come valida. A ciò si aggiunge che la mozione, in quanto tale, non ha
autonomi effetti giuridici, richiedendo pur sempre l’intervento successivo di un altro organo, in
questo caso il Cda, per produrre conseguenze sul piano giuridico.
Passando alla deliberazione del Consiglio di amministrazione, invece, il giudice nota che gli
attori/ricorrenti non ne sono membri: secondo consolidata giurisprudenza, le deliberazioni di un
organo amministrativo di un’associazione non riconosciuta possono essere impugnate da un
socio esterno all’organo solo se un suo diritto risulti direttamente leso dalla stessa delibera25. È
così necessaria una sorta di fictio iuris (che il giudice mostra comunque di non condividere
appieno), in base alla quale si sostiene che ciascun aderente o partecipante alla Fondazione An
abbia «un proprio diritto all’integrità ed alla tutela delle finalità della fondazione e ad impedire
l’uso a fini elettorali del simbolo e della denominazione di Alleanza Nazionale».
Nonostante questo, il giudice ritiene che l’affidamento delle attività istruttorie all’Ufficio di
Presidenza (fatto coincidere con il presidente) non sia in contrasto con le disposizioni statutarie:
la decisione finale, infatti, è stata comunque presa dal Cda, che avrebbe potuto richiedere un
supplemento d’indagine o discostarsi dai proponimenti del presidente. Quanto alla scarsa
ampiezza dell’istruttoria lamentata da chi aveva introdotto il giudizio, il magistrato rinvia al
contenuto della stessa mozione, che «rimetteva alla valutazione di opportunità proprio del
presidente se integrare o meno l’ufficio di presidenza per l’espletamento delle incombenze
istruttorie»26. In più, il fatto che la delibera del Cda parli espressamente anche di concedere il
Il numero risulta decisamente ridotto rispetto ai 1206 ricordati prima, in applicazione della regola che
ammette alla partecipazione e al voto – oltre ai partecipanti di diritto – gli aderenti che abbiano
regolarmente assolto gli obblighi di rimborso spese e di contributo stabiliti dal Consiglio
d’Amministrazione.
25 Cfr. Cass., sez. VI civ., (ord.) 28 aprile - 10 maggio 2011, n. 10188, pres. Salmè, rel. Rordof.
26 Il giudice non accoglie nemmeno le rimostranze degli intervenuti Raisi e Buonfiglio, poiché anche se la
decisione del Consiglio di amministrazione è stata presa con dieci presenti su quindici, lo statuto all’art. 13,
comma 9 chiede solo la presenza della maggioranza dei suoi componenti (dunque almeno otto); quanto
alla rappresentazione di Fratelli d’Italia all’interno di quel collegio ridotto, nella quota di otto membri su
dieci presenti, per il giudice la circostanza non avrebbe alcun rilievo, «potendo essa al contrario far
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nome «Alleanza nazionale» a Fratelli d’Italia, quando la mozione citava solo il simbolo, secondo il
giudice non presenta alcun vizio, dal momento che nell’emblema era già compreso il nome del
partito. Tutto questo fa dunque propendere per il rigetto del ricorso: nelle settimane successive è
comunque ripreso il giudizio di merito, non ancora arrivato a sentenza (la prossima udienza è
prevista per giugno).
L’impianto dell’ordinanza è sostanzialmente condivisibile, essendo ricco di richiami allo statuto
difficili da contestare: il rispetto di quelle regole come lex interna resta un punto fondamentale,
proprio come avviene per i partiti. L’unico punto su cui è lecito avere qualche dubbio riguarda
l’ampiezza dell’istruttoria svolta: obiettivamente la valutazione di opportunità sull’integrazione
dell’Ufficio di Presidenza in capo al presidente stesso della fondazione non sembra potersi
riflettere in automatico anche sulla discrezionalità sul numero di persone da audire.
A tutto questo si accompagna una riflessione, legata a un punto dell’ordinanza che finora non è
ancora stato considerato. Si è visto prima come alcune delle doglianze degli attori/ricorrenti siano
basate su questioni di natura politica, sull’inappropriatezza di considerare Fratelli d’Italia come
“erede” di An. Su questo piano, l’ordinanza è molto chiara nel mettere in luce che «a questo
giudicante è consentito esaminare nel merito [le mozioni] solo al fine di accertare se gli scopi che
la deliberazione tende a realizzare rientrino nella sfera di interessi delimitata dallo statuto
dell’associazione». In questo senso, il giudice ritiene di poter dire che l’affidamento di un bene
della fondazione (come il simbolo di An) a un’altra associazione (come Fdi) può rientrare nel
disegno conservativo e promozionale del patrimonio ideale di Alleanza nazionale previsto dallo
statuto; al contrario, «non può certo valutare se Fratelli d’Italia abbia i requisiti storici, politici e
culturali per porsi in continuità con Alleanza Nazionale e sindacare la scelta effettuata a favore
della predetta associazione».
Non si tratta, ovviamente, di un’affermazione nuova: è anzi una costante della giurisprudenza in
materia di segni identificativi e distintivi delle associazioni politiche l’idea che il giudice debba
profondamente guardarsi dall’esprimere valutazioni di natura politica. Più in generale, resta
precluso «[o]gni giudizio di carattere ideologico sulla discontinuità o continuità dell’“esperienza
politica”» tra soggetti o associazioni in litigio, proprio «in quanto implicante giudizi politici, al
giudice non consentiti»: così aveva ben spiegato lo stesso Tribunale di Roma nel caso “pilota” e
desumere la piena corrispondenza di ideali storici politici tra la Fondazione Alleanza Nazionale ed il
partito Fratelli d’Italia».
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più noto in tema di contenzioso sui contrassegni politici seguente a una scissione 27 e altrettanto,
in sostanza, avrebbe fatto a quattro anni di distanza nella prima disputa giudiziaria legata alla
rappresentazione della fiamma tricolore28.
4. Orizzonti elettorali: quanto vincola la prima concessione? (pensieri de iure condendo)
Fatte queste osservazioni, comunque, almeno uno dei problemi “politici” posti dai ricorrenti deve
essere qui analizzato: la delibera del Consiglio di amministrazione, come segnalato in precedenza,
ha concesso a Fratelli d’Italia l’uso del nome e del simbolo di Alleanza nazionale per la sola
durata del 2014. Era teoricamente possibile – in base al contenuto della delibera citata – che il
Cda riscontrasse un uso non (più) congruo o non soddisfacente dell’emblema e revocasse
l’autorizzazione in seguito; allo stesso modo, ci poteva essere spazio per nuove e successive
concessioni, come del resto è avvenuto.
Il Consiglio di amministrazione della Fondazione, infatti, ha ricevuto una nuova richiesta di
concessione dell’emblema di An e l’organo il 3 marzo 2015 l’ha accolta, sia pure limitatamente
all’uso per le elezioni regionali e amministrative programmate per maggio29; allo stesso tempo,
tuttavia, il Cda ha stabilito di convocare in giugno – la data non è ancora stata fissata – una nuova
Assemblea dei partecipanti di diritto e degli aderenti alla fondazione, dopo quella tenutasi a
dicembre del 2013 (dunque con qualche mese di anticipo), per discutere e prendere decisioni
sull’attività futura della fondazione stessa, facendo scelte che potrebbero avere rilievo politico e,
magari, intervenire anche sull’uso dell’emblema30.
Trib. Roma, (ord.) 26 aprile 1991, n. 9043, pres. Delli Priscoli, Partito comunista italiano c. Partito
democratico della sinistra, in Giur. it., 1992, I, 2, c. 188 ss. In dottrina v. soprattutto F. ANELLI, Il «nome»
del partito politico, in Corr. giur., 1991, 8, 846; M. CLEMENTE, La tutela inibitoria del nome e del simbolo del «vecchio
PCI», in Dir. inf., 1991, 868 ss.; M.A. LIVI, L’identità del partito politico: la vicenda del Partito Democratico della
Sinistra, in Giur. it., 1992, I, 2, col. 188 ss.; R. MESSINETTI, La tutela dei segni identificativi dei partiti politici, in
P. PERLINGIERI (a cura di), Partecipazione associativa e partito politico, Napoli, 1993, pp. 217-231.
28 Sulle varie ordinanze legate alla vicenda vedi in particolare Trib. Roma, sez. I civ., (ord.) 13 aprile 1995,
pres. Bucci, est. D’Alessandro, Alleanza nazionale c. Movimento sociale italiano, in Corr. giur., 1995, 8, 961
ss. (la rivista tuttavia riporta anche quelle emesse in precedenza), con nota di F. ANELLI (Sul diritto all’uso
dei segni distintivi di partiti politici). Volendo v. anche A. LERRO, L’identità personale e i segni distintivi dei partiti
politici, in Dir. inf., 1995, ss.
29 In particolare, lo stesso presidente Mugnai ha precisato che i legali rappresentanti di Fratelli d’Italia non
avevano chiesto di prorogare la concessione precedente, ma si poteva parlare a tutti gli effetti di nuova
richiesta dell’emblema; il Cda ha deciso a larga maggioranza di accoglierla limitatamente alle consultazioni
programmate per maggio, quasi a completamento di un turno elettorale di fatto iniziato con le regionali in
Emilia-Romagna e Calabria a novembre del 2014, ancora durante il primo periodo di concessione.
30 In particolare, all’interno della Fondazione si registrano almeno due orientamenti: da una parte c’è chi
ritiene che l’ente collettivo debba essenzialmente occuparsi della valorizzazione del patrimonio culturale e
politico legato alla destra e alla storia di An; dall’altra, un gruppo di persone preferirebbe un impegno più
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Dopo l’appuntamento di giugno, dunque, il regime attuale del simbolo di Alleanza nazionale
potrebbe di fatto replicarsi, così come potrebbe cambiare, anche in modo significativo. In questo
secondo caso, si aprirebbero scenari fino ad ora inesplorati e, almeno in parte, non del tutto
prevedibili: non è ad esempio mai avvenuto, salvo errore, che un soggetto esterno alla
competizione politico-elettorale (come la Fondazione An) concedesse in prima battuta l’uso di un
emblema che era nella sua disponibilità, per poi ritirarlo e magari assegnare a un altro soggetto lo
stesso segno in un secondo momento31.
In particolare, occorrerebbe riflettere su cosa potrebbe accadere in sede elettorale qualora
l’autorizzazione all’uso del simbolo di An a Fratelli d’Italia non venisse rinnovata (o fosse
revocata). Nulla quaestio, ovviamente, se l’emblema non fosse attribuito ad altri soggetti e Fdi
cessasse “pacificamente” di includerlo nel proprio contrassegno. Se invece, pur in assenza di
nuovi provvedimenti di autorizzazione all’uso a favore di qualunque forza politica, Fdi decidesse
di lasciare la “pulce” di An nel suo segno distintivo, dovrebbe essere cura della Fondazione
presentare esposti e osservazioni agli organi elettorali competenti32, chiedendo la ricusazione del
contrassegno o reagendo contro la sua ammissione: si tratterebbe di un comportamento affine a
quello che avrebbe l’onere di tenere il titolare di un marchio che vedesse il suo segno
indebitamente utilizzato dal presentatore del contrassegno e/o della lista33. È chiaro, tuttavia, che
la Fondazione An dovrebbe porre particolare attenzione a questa fase dell’iter pre-elettorale,
marcato e diretto di natura politica, al fine di costruire un partito o comunque un progetto politico
concreto. La scelta tra queste ed eventuali altre opzioni dovrebbe essere rimessa proprio agli aderenti.
31 Al più, è capitato che determinati soggetti politici, pur non facendo ufficialmente parte di una coalizione
o di uno schieramento, abbiano tentato di inserire il riferimento grafico ad essi all’interno del proprio
contrassegno. In questi casi, tuttavia, è accaduto di norma che i rappresentanti della coalizione
indebitamente citata chiedessero la ricusazione dell’emblema per quel dettaglio di troppo (o, in alternativa,
che vi provvedessero direttamente gli uffici preposti, con una decisione autonoma). Il caso più eloquente,
per quanto se ne sa, è legato alla Federazione dei Verdi, che nel 2004 presentò un contrassegno che
conteneva la dicitura «con l’Ulivo» (riprendendo anche il lettering del marchio), dopo che tuttavia le forze
politiche che avevano costituito la lista Uniti nell’Ulivo avevano deciso di riservare il riferimento al loro
emblema: il contrassegno, anche su segnalazione dei rappresentanti di quel cartello elettorale, è stato
ricusato, venendo riammesso una volta “depurato” dell’elemento sgradito.
32 Potrebbe trattarsi del Ministero dell’interno, dell’Ufficio elettorale centrale nazionale, oppure delle
Commissioni e degli Uffici elettorali chiamati in causa in questo procedimento preparatorio, a seconda del
livello territoriale interessato dalle elezioni.
33 Da questo punto di vista, è molto utile il richiamo alle elezioni europee del 2014, anno in cui era stato
presentato il contrassegno «Forza Juve – Bunga Bunga – Usei». Il riferimento alla squadra di calcio
(attraverso il nome abbreviato e l’evocazione del marchio attraverso i colori bianconeri a bande verticali)
non è risultato affatto gradito alla Juventus F.C., la quale ha lamentato tanto l’uso indebito e non
concordato dei riferimenti al marchio, quanto il danno che quell’uso le avrebbe arrecato, ottenendo la
rimozione dell’espressione e dei colori dall’emblema.
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verificando il comportamento di Fdi come pure di altri soggetti potenzialmente in tutte le realtà
interessate dal voto.
Nel diverso caso in cui la fondazione, concluso l’impiego da parte di Fdi, decidesse di concedere
lo stesso emblema a un altro soggetto politico (magari di propria “emanazione”), diventerebbe di
primaria importanza (nello stesso interesse dell’ente collettivo) dare la massima diffusione alla
notizia della nuova concessione del simbolo e, nel contempo, dotare il nuovo beneficiario di un
adeguato titolo – ad esempio, la deliberazione dell’Assemblea o del Consiglio di amministrazione
che attribuiscono il segno – che gli consenta di dimostrare nelle sedi opportune la legittimazione
all’uso dell’elemento grafico (il titolo, ovviamente, sarebbe utile soprattutto qualora altre forze
politiche tentassero di comprendere lo stesso fregio, anche in diversa composizione, all’interno
del loro contrassegno).
Queste osservazioni, tuttavia, sono valide solo in linea teorica: a complicare la situazione, infatti,
potrebbe provvedere il noto parametro della tutela preferenziale per i simboli «usati
tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento», previsto all’art. 14, comma 6 del testo unico
per le elezioni della Camera e riprodotto anche nelle altre leggi elettorali. Come è noto, si tratta di
una regola a favore delle formazioni politiche che godono di rappresentanza parlamentare: essa
protegge il loro contrassegno dalle imitazioni – non di rado, anche da quelle che sono tali
soltanto dal punto di vista percettivo – a prescindere dall’ordine di deposito degli emblemi
(dunque pure quando i potenziali “disturbatori” hanno presentato il fregio per primi) e la tutela
prosegue anche quando la presenza in Parlamento si esaurisce, ma rimane il ricordo del segno e il
collegamento al soggetto politico che lo usava34.
Ora, pur non avendo ottenuto seggi al Parlamento europeo (a causa del mancato superamento
della soglia del 4% dei voti richiesti dalla legge), è indubbio che Fratelli d’Italia ora risulti come
partito presente in Parlamento, con tanto di gruppo di 9 deputati alla Camera. In effetti, il
contrassegno con cui Fdi ha ottenuto rappresentanza parlamentare non conteneva quello di An
(pur essendo graficamente vicino ad esso), ma attualmente è lo stesso gruppo a Montecitorio ad
avere cambiato nome in «Fratelli d’Italia – Alleanza nazionale»: si potrebbe sostanzialmente dire
che questo passaggio parlamentare ha esteso la tutela privilegiata all’intero simbolo composito35.
Proprio per questo motivo anche nel 2013 è stato ricusato il contrassegno del M.S.I. – Destra nazionale
guidato da Gaetano Saya e da Maria Antonietta Cannizzaro, nonostante An già nel 2008 non avesse
partecipato alle elezioni: sul punto, v. Ufficio elettorale centrale nazionale, 19 gennaio 2013, decisione n. 9,
Movimento sociale italiano – Destra nazionale M.S.I.-D.N. c. Ministero dell’interno.
35 A dimostrazione del fatto che la tutela non va solo a favore di contrassegni che hanno partecipato alle
elezioni, ma possono bastare pochi giorni di attività parlamentare per ricevere una protezione pari a quella
34
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Con queste premesse, l’eventuale concessione a un altro soggetto dell’emblema di An porrebbe
una questione non immediatamente risolvibile: verrebbero difatti a scontrarsi da una parte la
legittimazione civilistica all’uso di un segno (per cui la Fondazione An, in quanto titolare, decide
chi può avvalersi del fregio che era stato di Alleanza nazionale), dall’altra il preuso elettorale dello
stesso segno, che riceve una tutela particolarmente forte in caso di rappresentanza parlamentare.
Il contrassegno dell’eventuale nuovo soggetto autorizzato, in base all’art. 14, comma 2 del d.lgs.
n. 361/1957 – che prevede che «[i] partiti che notoriamente fanno uso di un determinato
simbolo», come dovrebbe accadere in seguito a un’adeguata pubblicità della nuova concessione,
«sono tenuti a presentare le loro liste con un contrassegno che riproduca tale simbolo» –
dovrebbe prevalere in ogni caso, anche qualora Fratelli d’Italia decidesse comunque di mantenere
la “pulce” nel suo emblema (di cui dunque l’organo competente dovrebbe chiedere la
sostituzione).
Occorre però fare i conti con la forza che, negli anni, i vari uffici elettorali hanno dato alla tutela
per i simboli rappresentati in Parlamento. In più occasioni è stato scritto apertis verbis che questo
tipo di protezione prevale comunque persino in caso di preuso di terzi, pure qualora si cerchi di
farlo valere «anche richiamando controversie e giudicati civili»36: non è da escludere, dunque, che
Fratelli d’Italia cerchi di far valere l’uso anche parlamentare fatto dei segni identificativi di An (per
lo meno dalla fine di febbraio 2014 in poi) e la notorietà che esso ha acquisito presso gli elettori37,
magari allo scopo di non spogliarsi di quel riferimento grafico38 o per impedire ad altri soggetti di
avvalersene. Non è nemmeno da escludere l’ipotesi che l’eventuale nuovo gruppo politico
di cui godono altri partiti, v. proprio Ufficio elettorale centrale nazionale, 19 gennaio 2013, decisione n. 8,
Movimento politico Fratelli d’Italia c. Ministero dell’interno, che ha consentito (in modo almeno
parzialmente discutibile, come si è cercato di dire – e si conceda il rimando – in G. MAESTRI, Per un pugno
di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male, Roma-Ariccia, 2014, 237-240) a un soggetto politico
creato una ventina di giorni prima, mai presente ad alcun appuntamento elettorale, di godere del
trattamento preferenziale riservato alle formazioni con rappresentanza parlamentare contro un soggetto
che, sia pure a livello locale, operava da quasi dieci anni. Il caso “Fratelli d’Italia” sarà trattato
prossimamente su Federalismi.it.
36 In proposito, vedi le decisioni recenti dell’Ufficio elettorale nazionale sul “caso Dc”: Ufficio elettorale
centrale nazionale, 18-19 gennaio 2013, decisioni nn. 4, 6 e 7, Democrazia cristiana c Ministero
dell’interno e Ufficio elettorale nazionale, 13 aprile 2014, decisione su opp. n. 2, Dc-Sandri c. Ministero
dell’interno.
37 Non si dimentichi che anche sui media le dichiarazioni dei vari esponenti di Fdi sono etichettate come
«Fratelli d’Italia – Alleanza nazionale».
38 Questo varrebbe soprattutto in sede locale, qualora nessun altra lista utilizzasse il simbolo di An e
Fratelli d’Italia tentasse comunque di mantenere il contrassegno ora noto, sperando di vederselo accettare
proprio per l’uso parlamentare che ne è stato fatto e per la scarsa propensione alla bocciatura degli
emblemi alle elezioni amministrative, visti i tempi strettissimi di esame per l’intera documentazione
presentata.
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autorizzato all’uso dell’emblema di An, pur in mancanza di loghi confondibili, in prima battuta si
veda invitato a sostituire il proprio contrassegno, proprio sul presupposto che in Parlamento è
tuttora presente chi aveva utilizzato il fregio di An per un certo tempo e si era fatto conoscere
dagli elettori in quel modo39, per cui il rischio di «trarre in errore l’elettore» potrebbe essere più
concreto.
In queste condizioni, come si diceva, dovrebbe essere particolare cura della Fondazione Alleanza
nazionale fornire tutti i soggetti delegati al deposito dei nuovi contrassegni (e, nel caso, delle liste)
di un documento in cui si dà conto della revoca dell’emblema di An a Fdi e della nuova
autorizzazione (al fine di legittimare pienamente quel soggetto politico); allo stesso tempo,
sarebbe importante dare adeguata informazione pubblica del “passaggio di consegne” e, ancora di
più, avvertire direttamente i vari uffici elettorali coinvolti. Il nuovo soggetto legittimato a
utilizzare il fregio, tra l’altro, potrebbe tentare di invocare la non applicazione dell’art. 14, comma
6 del t.u. Camera – e disposizioni corrispondenti, qualora non si tratti di elezioni di livello
nazionale – sostenendo che il simbolo di An, essendo stato impiegato da Fratelli d’Italia solo in
seguito ad autorizzazione, non può essere considerato oggetto di uso “tradizionale”.
È ovvio che nessun problema di questi si porrebbe qualora l’autorizzazione a beneficio di Fdi –
sulla scorta di idonee delibere della Fondazione An – venisse rinnovata anche in futuro. Per
questo, tuttavia, può dirsi che eventuali scelte diverse, per essere accolte senza alcun tipo di
problema, effettivamente necessiterebbero di un aggravio di attenzione e impegno proprio
perché, nel frattempo, il valore identificativo del segno almeno in parte è mutato. Cioè
esattamente quello che i ricorrenti avevano lamentato nell’atto di citazione, anche se i giudici non
avrebbero potuto rispondere in materia.
5. Bonus track: scampoli di passato che ritornano
L’argomento di attualità potrebbe chiudersi con quanto è stato detto finora, ma il caso ha voluto
che l’ordinanza del Tribunale di Roma del 30 aprile 2014 sia stata resa nota circa due settimane
dopo una sentenza della Suprema Corte di cassazione 40 che ha definitivamente chiuso una
vicenda giuridica iniziata ufficialmente nel 2000, ma che in realtà ha le sue radici proprio nei primi
Ciò, ovviamente, nell’ipotesi che la revoca dell’emblema a Fdi e l’assegnazione a un altro soggetto
avvengano in tempi non troppo dilatati, nei quali il partito che attualmente si serve del simbolo abbia
ancora rappresentanza parlamentare.
40 Cass., sez. I civ., 11 febbraio - 18 aprile 2014, n. 9049, pres. Vitrone, rel. Didone.
39
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scontri sulla titolarità della vecchia fiamma tricolore del Movimento sociale italiano, seguiti alla
“svolta di Fiuggi” del 199541.
Cinque anni dopo la scissione nel maggiore partito della destra italiana, a quanto pare, il clima tra
Alleanza nazionale e il Movimento sociale Fiamma tricolore non era affatto collaborativo: nel
2000, per l’appunto, An aveva chiesto al Tribunale di Roma – a tutela della propria identità
personale – di inibire al partito guidato da Giuseppe Rauti l’uso dell’espressione «Movimento
sociale», della sigla Msi e del disegno della fiamma tricolore 42 (trattandosi di segni distintivi
patrimonio del Movimento sociale italiano dal 1946 e presenti anche nel contrassegno di Alleanza
nazionale, che ne costituiva l’evoluzione) e la condanna del convenuto al risarcimento dei danni.
Per la Fiamma tricolore, invece, i due emblemi non erano confondibili (mentre veniva contestata
la giurisdizione civile per l’uso del simbolo nelle competizioni elettorali).
Il giudice di prime cure accoglieva in pieno la domanda della formazione che si riconosceva in
Gianfranco Fini43, ritenendo che non si stesse discutendo della legittimità dell’uso del simbolo in
sede elettorale (e, a monte, della confondibilità), ma in generale della «tutela dei diritti alla
denominazione sociale e dei segni distintivi espressione della identità e personalità
dell’associazione»: impostata in questi termini, la giurisdizione spettava certamente al giudice
ordinario.
Nel merito, il giudicante richiamava le proprie ordinanze precedenti tra le parti in causa, relative
proprio ai fatti del 199544, sottolineando che le questioni di diritto possono essere risolte nello
stesso modo, poiché i segni distintivi contestati «sono solo in parte diversi rispetto allo specifico
precedente». Veniva dunque ribadita la piena continuità giuridica tra il Msi-Dn e Alleanza
nazionale, essendosi verificata una mera modifica statutaria approvata dal Congresso: l’assise, in
particolare, avrebbe dimostrato «l’esplicita volontà […] di operare una trasformazione politica pur
significativa ma nella conservazione del preesistente rapporto associativo e di tutti i rapporti,
istituzionali, giuridici e patrimoniali del MSI-DN». Ciò era sufficiente a respingere la tesi – sempre
Per quella prima vicenda e sulle tre ordinanze che, nel giro di poche settimane, l’hanno scandita, non sia
considerato inelegante rinviare a G. MAESTRI, I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei
partiti, Milano, 2012, 105-109 (ma anche 208-210, per quanto riguarda successivi scontri in sede elettorale
tra Fiamma tricolore e Alleanza nazionale).
42 Vale la pena sottolineare che, al momento in cui An aveva presentato il ricorso ex art. 700 c.p.c., il
contrassegno del Movimento sociale - Fiamma tricolore conteneva la denominazione intera del partito, la
parola «Fiamma» era al centro, ingrandita e leggermente biconcava, con la prima «A» ancora più grande, in
posizione centrale e quasi completamente nascosta dalla fiamma tricolore (stessa forma di quella del
vecchio Msi, priva solo della base trapezoidale), nettamente in primo piano.
43 Trib. Roma, sez. I civ., 5-26 ottobre 2003, n. 33755, g.u. Pagliari.
44 Ricordando in particolare la già citata Trib. Roma, sez. I civ., (ord.) 13 aprile 1995, ma anche un’ulteriore
decisione dell’10 novembre 1995.
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portata avanti dal gruppo di Rauti – dello scioglimento del Msi, con costituzione del nuovo
soggetto giuridico An, privo di legami con il partito fondato da Almirante.
Inquadrata correttamente la vicenda nello schema della scissione del gruppo dissidente – pur se
legato al pensiero per anni portato avanti dal partito di origine – diveniva automatico considerare
pienamente operante il diritto di Alleanza nazionale di farsi identificare (anche) dai “vecchi” segni
distintivi rimasti nel proprio patrimonio e di escludere altri soggetti dal loro uso: oltre che le
regole discendenti dal diritto al nome e all’identità personale, il Tribunale si riferiva espressamente
ai canoni di validità dei marchi, per cui «l’aggiunta delle parole “Fiamma Tricolore” alle parole
“Movimento Sociale” e la raffigurazione della fiamma tricolore senza la base trapezoidale recante
l’acronimo M.S.I. devono ritenersi […] modifiche non sufficienti ad acquisire originalità e novità
dei segni». Per questo, il giudice concludeva dichiarando il diritto esclusivo di An ad adottare
l’espressione «Movimento sociale», la sigla Msi e il disegno della fiamma, inibendone l’uso al
partito di Rauti (senza però riconoscere alcun risarcimento di danni, il cui importo non era stato
minimamente provato da An).
All’emissione della sentenza di primo grado, la forza politica soccombente – nel frattempo
guidata da Luca Romagnoli – aveva già cambiato simbolo45, ma non si era arresa alla sconfitta,
scegliendo di proporre appello: l’esito tuttavia è stato ad essa (cinque anni dopo la prima
sentenza) decisamente sfavorevole, non essendo stata accolta nessuna delle proprie allegazioni46.
In particolare, si ribadiva che la trasformazione del partito da Msi ad An a Fiuggi era stata «attuata
in maniera indiretta, ma non per questo non valida, attraverso un procedimento realizzato
mediante la modifica di alcune disposizioni statutarie […], quali quelle relative alla vecchia
denominazione e al vecchio simbolo che hanno garantito la continuità giuridica con la vecchia
compagine politica e la conservazione dei rapporti giuridici, associativi e patrimoniali, pur nella
mutata connotazione politica»47. Le decisioni del Congresso del 1995, dunque, dovevano ritenersi
pienamente valide (del resto nemmeno erano state impugnate): non potevano in qualche modo
scalfirle né l’atto costitutivo “sottoposto a condizione” del 21 gennaio 1995, con cui Rauti e altri
Lo aveva dovuto fare per poter partecipare – dopo la prima bocciatura da parte del Viminale – alle
elezioni del 2001, che tra l’altro si erano svolte quando già An aveva ottenuto un’inibitoria cautelare per
Rauti all’uso dei segni storici del Msi: per questo era stata prima utilizzata una “goccia” bianca con inserti
verdi e rossi, poi la stessa figura veniva “seghettata” nei contorni per dare un “effetto fiamma”; la parte
testuale presente sul contrassegno, poi, dal 2001 è limitata all’espressione «Fiamma tricolore», essendp
state tolte proprio le parole contestate da An.
46 C. App. Roma, sez. I civ., 5 dicembre 2007 - 11 febbraio 2008, n. 545, pres. Durante, rel. Sabeone.
47 Lo stesso art. 48 dello statuto avrebbe precisato che nessun articolo del documento si sottrarrebbe alla
procedura di modifica prevista dallo statuto stesso, per cui il partito appellante non ha potuto far valere
l’idea che – a suo dire – il nome e l’emblema del Msi sarebbero stati blindati da una disposizione statutaria.
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iscritti al Msi-Dn intendevano far proseguire l’esistenza del Movimento sociale italiano in caso di
suo scioglimento (cosa che non si è verificata), né quello del 6 luglio 1995 con cui il Movimento
sociale Fiamma tricolore era effettivamente stato costituito48.
Evidentemente insoddisfatta dell’esito del processo di seconde cure, la Fiamma tricolore si è
tempestivamente rivolta alla Corte di cassazione, ma la sentenza definitiva è arrivata ben sei anni
dopo. Il ricorso, in ogni caso, è stato dichiarato inammissibile: essendo ancora vigente l’art. 366bis c.p.c. (abrogato con legge n. 69/2009), dal momento che la sentenza di appello era stata
pubblicata quando la novella del 2009 non era ancora entrata in vigore, era richiesto al difensore
che ogni motivo di ricorso si concludesse con un quesito di diritto o con la sintesi del fatto
controverso (qualora si fosse lamentata un’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione) 49,
quesiti o sintesi che nel ricorso mancavano del tutto.
Si è chiuso così, con una pronuncia meramente di rito, un contenzioso durato in tutto quattordici
anni. All’atto del deposito della sentenza di Cassazione, Alleanza nazionale aveva cessato da
tempo di operare come partito – essendo in liquidazione e avendo, come si è detto, trasmesso alla
Fondazione An i diritti sul patrimonio, compresi i segni distintivi – e il suo leader indiscusso,
Gianfranco Fini, si trovava escluso dal Parlamento italiano per la prima volta dal 1983; ironia
della sorte, anche la Fiamma tricolore era fuori dalle aule parlamentari (da più tempo) e solo
pochi mesi prima aveva subito una scissione di rilievo, verificatasi paradossalmente proprio dopo
il tentativo di Luca Romagnoli di partecipare al Movimento per Alleanza nazionale con il suo
partito. La soluzione giuridica, dunque, è arrivata quando la realtà era ormai profondamente
mutata, tanto da limitare fortemente l’utilità dell’accertamento ormai “consolidato” dal giudicato
civile. Il ritorno del simbolo di An sulla scena politica, pressoché contemporaneo alla sentenza
della Cassazione, ha peraltro restituito un po’ di attualità alla questione: sono cambiate le persone
e, in qualche caso, le etichette, ma la parola «Fine» potrebbe non essere a portata di mano.
La Corte d’appello di Roma, peraltro, aveva respinto la richiesta della Fiamma di deferire un giuramento
decisorio al legale rappresentante di An, spiegando tra l’altro come le circostanze oggetto del giuramento
fossero «relative a mere valutazioni soggettive», dunque non si presentassero come «decisive ai fini della
controversia».
49 In questo senso si può citare Cass., sez. un. civ., 8 aprile - 18 giugno 2008, n. 16528.
48
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