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Complesso di Edipo - Rivista Interazioni

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Complesso di Edipo - Rivista Interazioni
Complesso di Edipo
A cura di Emilia De Rosa
Insieme di moti pulsionale ed affettivi che il bambino prova, in una data fase del suo sviluppo
libidico ed emotivo, verso i genitori
Il suo instaurarsi nella mente del bambino segue la fine della relazione primordiale onnipotente
madre-bambino e l'ingresso del padre nel rapporto che porta all'attivazione sul piano
fantasmatico della scena primaria. La risoluzione del complesso e dell'angoscia di castrazione
porta alla comprensione endopsichica delle tre differenze della vita umana: quella tra gli esseri,
quella tra i sessi e quella tra le generazioni.
Esso viene definito come positivo se l'individuo prova amore, con connotazione erotica più o
meno inconscia, per il genitore di sesso opposto ed odio per il genitore dello stesso sesso; e
come negativo, se l'individuo prova amore per il genitore dello stesso sesso ed odio per il
genitore di sesso opposto.
La scoperta del complesso di Edipo avvenne ad opera di S. Freud. Esso si delineò nella sua
mente durante la sua autoanalisi, mentre elaborava il lutto per la morte del padre. Usando una
fantasia identificatoria con il mitico eroe tebano Edipo, egli scrisse il 15 Ottobre 1897 all'amico
W. Fliess: «Ho trovato amore per la madre e gelosia verso il padre anche nel mio caso ed ora
ritengo che questo sia un fenomeno generale della prima infanzia […]. Se è così, si comprende
l'interesse palpitante che suscita l'Edipo Re […] il mito greco si rifà ad una costrizione che
ognuno riconosce per averne sentito personalmente la presenza. Ogni membro dell'uditorio è
stato una volta Edipo in germe o in fantasia e, da questa realizzazione di un sogno trasferita
nella realtà, ognuno si ritrae, con orrore (Freud, 1887-1904, pp. 160-161).
Le idee espresse in questa lettera sono state alla base di tutta la successiva teorizzazione
freudiana. In essa Egli infatti affermò la necessità e l'universalità di quello che solo nel 1910 (Su
un tipo particolare di scelta oggettuale nell'uomo), sarà chiamato complesso edipico.
Dopo il 1897, Freud teorizzò diffusamente sul complesso edipico. Nel 1899, con l'Interpretazione
dei sogni, ove, a proposito di sogni tipici, dimostrò l'impulso distruttivo nel bambino verso il
genitore dello stesso sesso e l'amore verso quello di sesso opposto, esplicitando ed
interpretando la leggenda tebana di Edipo la tragedia Amleto di Shakespeare.
Nel 1905 (tre saggi sulla teoria sessuale) Freud, distinguendo lo sviluppo psicosessuale umano in
tre fasi (fase orale, anale e fallica), risottolineò l'importanza della fase edipica dello sviluppo sia
normale che patologico. Egli difatti ne fece il complesso nucleare, sia delle nevrosi che delle
perversioni, e trovò la conferma a queste sue teorie nell'analisi della fobia di un bambino di
cinque anni il noto Caso clinico del piccolo Hans (1908).
L'universalità del complesso edipico venne da Freud meglio analizzata in Totem e Tabù
(1912/13). Esso sta alla base, anche dello studio del Caso clinico dell'uomo dei lupi (1914), ove
Freud, oltre a scoprire la scena primaria, affrontò, sulla scia di studi già fatti da W. Fliess, la
bisessualità costituzionale ed il complesso edipico negativo.
Il complesso edipico sta, per Freud, anche alla base della creatività artistica come evidenzia in
Dostoevskij e il parricidio (1927) e ne fa l'elemento portante della sua metapsicologia, in cui
teorizza una visione tripartita della mente in Es, Super Io ed Io (L'Io e l’Es, 1923).
Il tramonto del complesso edipico (1924) avveniva, secondo Freud, sia sulla base di un
programma evolutivo ereditario, sia per l'impossibilità di realizzare i desideri edipici a causa della
minaccia di castrazione. Ed è proprio sul problema del complesso di castrazione che si instaurò la
particolare visione di Freud della sessualità maschile e femminile, basata sulla presenza o
assenza del pene.
Durante la fase fallica la presenza del pene e la conseguente minaccia di castrazione da parte del
padre odiato, accelera nel maschio, il tramonto del complesso edipico mediante i meccanismi di
difesa della formazione reattiva e della rimozione.
Nella bambina, invece, l'assenza del pene e la conseguente frustrazione, generano sia odio verso
la madre, che non l'ha dotata di questo prezioso organo, sia tendenze libidiche verso il padre,
che le darà il pene ed un bambino (si stabilisce nella sua mente un'equazione simbolica in cui
pene = bambino). Pertanto l'assenza del pene introduce al complesso edipico che, nella
Interazioni, n. 1, 1994, pp. 173-179
bambina, non tramonta mai in modo così radicale come nel maschio. Da ciò deriva che l'erede
del complesso edipico Il Super Io è molto più sviluppato negli uomini che nella donna.
1. Complesso edipico in M. Klein
La concezione freudiana del complesso edipico venne modificata da M. Klein.
Ella ritenne che un complesso edipico estremamente primitivo s'instaura nella mente del
bambino, già nella seconda metà del primo anno di vita, ed è messo in moto dallo squilibrio
emozionale e libidico dello svezzamento. Esso s'instaura quindi sia nella sua forma positiva che
negativa, sotto il primato della libido orale, mescolandosi anche a desideri e fantasie uretrali,
falliche e genitali. Sia quest'ultime che la fase edipica positiva giungono comunque al culmine
solo verso il terzo-quarto anno di vita.
Il Super Io, per la Klein, non è l'erede del complesso edipico, ma nasce dalle più primitive
introiezioni degli oggetti sotto la spinta di pulsioni contrastanti, (odio o amore), che lo rendono o
particolarmente sadico e severo o soccorritore ed amorevole. Come anche l'angoscia di
castrazione non è l'unico fattore che determina nel maschio il tramonto del complesso edipico;
altrettanta importanza va data al bisogno del bambino, spinto da precocissimi sensi di colpa che
nascono dalla tensione tra Io e Super Io, a salvaguardare la coppia genitoriale.
La bambina inoltre ha una consapevolezza inconscia della vagina e dell'interno del proprio corpo,
come contenitore prezioso del pene paterno e dei bambini. Pertanto l'invidia del pene e
l'angoscia di castrazione non hanno per lei l'importanza attribuita loro da S. Freud, mentre la
principale angoscia della bambina riguarda l'aggressione e la distruzione del suo corpo e dei suoi
preziosi contenuti interni.
2. Bion e la preconcezione edipica
Accettando in pieno la teoria della Klein sugli stati emozionali del lattante e sulla precocità della
fase edipica, Bion addirittura sente il bisogno di antedatarla ulteriormente e di mettere in
rapporto l'instaurarsi della situazione edipica con lo sviluppo del controllo oculare e non con lo
squilibrio libidico messo in moto dallo svezzamento (Bion, 1950, p. 43).
Anzi egli teorizza l'esistenza nella mente del bambino, come elemento alfa cioè come immagine
visiva, condensata, simile o uguale a quella che compare nei sogni, di un mito edipico privato
che diviene la preconcezione, - grazie alla quale, il bambino stabilisce un contatto con i genitori
reali. Quindi l'incontro di questa preconcezione edipica con la realizzazione costituita dai genitori
reali, dà origine alla concezione dei genitori (Bion, 1963, p.115). Se per eccessiva avidità, invidia
e sadismo, il bambino attacca il rapporto con i genitori, la preconcezione edipica viene distrutta
ed il bambino non arriverà mai, né a livello emotivo, né cognitivo, ad avere esperienza del
rapporto tra i genitori.
3. La teoria degli istinti ed il complesso edipico in D. Winnicott
Winnicott, rifiutando sia il concetto di istinto di morte che di invidia primaria, su cui si è
soffermata la scuola kleiniana, ritiene, sulla scia di S. Freud, di spostare il complesso edipico ad
una fase più avanzata dello sviluppo, ove il bambino si rapporta con oggetti interi e non parziali.
li complesso edipico è per Winnicott il primo rapporto interpersonale, in cui entrano gli istinti.
Quest'esperienza istintuale che porta il bambino a desiderare la morte del genitore dello stesso
sesso ed il soddisfacimento sessuale con il genitore di sesso opposto, genera angoscia e
conflittualità. La soluzione può avvenire mediante l'elaborazione immaginativa del desiderio e la
distinzione tra fantasia e realtà. Ma questo processo è reso possibile, solo in un ambiente di
sostegno, ove i genitori sono in grado di tollerare le idee e le fantasie dei loro figli, che nascono
dalle tensioni istintuali.
Interazioni, n. 1, 1994, pp. 173-179
4. Jung e Neumann di fronte al complesso edipico. Il mito dell'eroe ed il distacco dai genitori
primordiali
L'importanza, al di là delle vicissitudini istintuali legate allo sviluppo libidico, dell'atteggiamento
mentale ed affettivo dei genitori venne sottolineato da altri autori post-freudiani.
Jung (1912) non considerò il complesso di Edipo, come una tappa fondamentale e cruciale dello
sviluppo umano, ma come una parte del processo di lotta che ogni uomo, l'eroe, deve fare per
distaccarsi dai genitori primordiali. Il mitico personaggio di Edipo rappresenta un fallimento
parziale del processo di distacco dai genitori primordiali, in quanto è vero che l'eroe tebano
uccide la Sfinge, i genitori primordiali nel loro aspetto uroborico e divorante, ma, commettendo
incesto e parricidio ed autocastrandosi con l'accecamento, resta attaccato alla madre nel suo
ruolo di figlio-amante (Neumann, 1948). Per Jung il complesso edipico diventa conflitto solo se
c'è una fissazione alle figure parentali e non è considerato la chiave di volta dello sviluppo
libidico dell'uomo.
5. H. Kohut e gli "Oggetti-Sé" parentali
Sull'importanza degli Oggetti-Sé parentali, insiste Kohut, che in disaccordo con Freud e con la
Klein, ritiene l'angoscia di castrazione e la conflittualità edipica come espressione di patologia.
Il bambino sano entra gioiosamente nella fase edipica. Oggetti-Sé parentali ipostimolanti o
iperstimolanti possono frantumare il Sé edipico sano del bambino e causare le angosce tipiche di
questa fase di sviluppo.
6. La funzione strutturante del complesso edipico e la castrazione simbolica nel pensiero dei
Lacaniani
La funzione evolutiva del complesso edipico e l'importanza del significante paterno viene
sottolineata dai lacaniani.
La primitiva relazione madre-bambino rischia di diventare un rapporto fusionale in cui il
bambino, tentando di colmare la mancanza dell'Altro, la madre, rischia di diventare il
complemento totale, il Fallo della madre. La triangolazione edipica introduce nella coppia madrebambino un nuovo significante, il padre, che porti quindi il bambino a rinunciare ad identificarsi
col Fallo in funzione del desiderio della madre (castrazione simbolica).
Ed è proprio la castrazione simbolica che, oltre ad interdire l'incesto, impedendo al bambino di
godere della madre, limita il narcisismo, permette le relazioni oggettuali e l'accesso
dall'immaginario al simbolico. La rivalità edipica, facilitando la castrazione, ha quindi una grande
funzione evolutiva e culturale (Safouan, 1974).
7. E. Erikson: la fase e lo sviluppo psicosociale del bambino
Sull'aspetto culturale, sociologico e transgenerazionale del complesso edipico si è rivolta
l'attenzione di E. Erikson. L'Autore evidenzia lo stretto rapporto esistente nella vita dell'uomo tra
le fasi dello sviluppo psicosessuale e lo sviluppo psicosociale, In particolare egli,
seguendo
la sua carta epigenetica dello sviluppo psicosociale, definisce la terza fase dello sviluppo
dell'uomo, la fase edipica dello sviluppo, in un primo momento fase locomotoria-genitale
(Erikson 1963, pp. 251-265) e più tardi (Erikson 1980, p.244) fase del gioco (play age).
Un particolare conflitto si evidenzia in questa fase: il conflitto tra iniziativa e senso di colpa, che
se ben risolto conduce alla capacità di raggiungere particolari finalità, alla decisione e alla
fermezza. Le difese emergenti in questa fase sono la rimozione e l'inibizione. Se le conflittualità
tipiche della play age non vengono risolte, esse restano latenti nella mente e si ripresentano
nell'età adulta sotto forma del conflitto tra generalità e stagnazione, che coinvolge non solo la
vita familiare ma anche quella sociale ed istituzionale.
Interazioni, n. 1, 1994, pp. 173-179
Bibliografia
Per un approfondimento dei temi sovraesposti si vedano le seguenti voci bibliografiche:
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1992.
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Freud S. (1908), Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (Caso clinico del piccolo Hans), in Opere,
vol. V, Torino, Boringhieri, 1972.
Freud S. (1910), Su un tipo particolare di scelta oggettuale nell'uomo, in Opere, vol. VI, Torino, Boringhieri,
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Opere, vol. VII, Torino, Boringhieri, 1975.
Freud S. (1914), Dalla storia di una nevrosi infantile (Caso clinico dell'uomo dei lupi), in Opere, vol. VII,
Torino, Boringhieri, 1970.
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Freud S. (1927), Dostoevskij e il parricidio, in Opere, vol. X, Torino, Boringhieri, 1978.
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Interazioni, n. 1, 1994, pp. 173-179
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