L`INVASIONE DI TERRENI ED EDIFICI,UN REATO DI EMERGENTE
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L`INVASIONE DI TERRENI ED EDIFICI,UN REATO DI EMERGENTE
L’INVASIONE DI TERRENI ED EDIFICI,UN REATO DI EMERGENTE INTERESSE PER LA POLIZIA LOCALE A cura di Fabio Traverso, V. Comm. P.M. Tortona ( AL ) Quello di invasione di terreni ed edifici previsto dall’art .633 del codice penale (Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da euro 103 a euro 1032.) è un reato con cui gli operatori di PL dovranno, piaccia o meno, vieppiù familiarizzarsi, in un contesto socio-economico che vede l’emergenza abitativa incombere minacciosamente non soltanto sulle tradizionali frange dedite alla marginalità ma anche a fasce di persone, pensiamo magari ai padri separati, che mai si sarebbe detto interessati al problema. E pertanto necessario che ogni singolo operatore di polizia locale non abbia al proposito alcun dubbio giuridico o operativo. Trattasi di reato contro il patrimonio qualificato dalla dottrina come reato di aggressione unilaterale. Cominciamo col chiarire che il reato in oggetto, laddove si presenti ,occorre intervenire con determinazione ,stroncando sul nascere qualsiasi tentazione a “lasciar passare” o a demandare ad altri la risoluzione del problema. Ciò per una serie di ragioni così riassumibili: Per dovere d’ufficio ,a norma di disposizioni del codice di procedura penale la cui inottemperanza conduce ad una serie di violazioni disciplinari o penali che dovrebbe essere ben conosciute agli operatori; Per dovere civico, perché l’occupazione di aree prive di qualsivoglia agibilità rappresenta un fenomeno potenzialmente pericoloso anche e soprattutto per gli occupanti stessi; Per ragioni sociali riassumibili alla necessità di contrastare fenomeni di degrado urbano e quella progressione criminosa che si definisce “teoria della finestra rotta” in base a cui lasciar correre un fenomeno apparentemente di minor allarme sociale conduce nel lungo periodo ad un generale imbarbarimento Chiarito questo va altresì sottolineato che l’intervento della polizia locale non può comunque riassumersi soltanto nella mera repressione ma anche, come si vedrà, in un attivo coinvolgimento dei servizi sociali per risolvere il problema abitativo. Tornando in medias res la prima problematica che si pone riguarda la necessità di circoscrivere il reato in oggetto, l’invasione di terreni ed edifici circostanziandolo e differenziandolo da altri illeciti penali, in primis quello previsto dall’articolo 614 ossia la violazione di domicilio. Il concetto di “edificio” è quanto mai eterogeneo comprendendo le più svariate tipologie architettoniche e le più disparate destinazioni d’uso: costituiscono “edificio” un obelisco come un grattacielo, una stalla come una biblioteca, una villetta come un edificio di edilizia popolare. Questa eterogeneità va messa in relazione con il disposto dell’art. 614 c.p. (violazione di domicilio) in cui l’oggetto in questione ossia il “domicilio” è al contrario tassativamente enucleato, sia pure in maniera tale da non combaciare con il concetto di domicilio previsto dal codice civile ;recita infatti l’articolo in oggetto: Articolo 614. Violazione di domicilio. Chiunque si introduce nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s’introduce clandestinamente o con inganno, è punito con la reclusione fino a tre anni. Alla stessa pena soggiace chi si trattiene nei detti luoghi contro l’espressa volontà di chi ha diritto di escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno. Il delitto è punibile a querela della persona offesa. La pena è da uno a cinque anni, e si procede d’ufficio, se il fatto è commesso con violenza sulle cose, o alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato. Il legislatore penale pertanto considera domicilio : L’abitazione; La privata dimora; Le appartenenze dell’una e dell’altra (il garage, il capanno degli attrezzi, la stalla o il ricovero se trattasi di casa colonica) . Mentre per il primo ed il terzo concetto l’interpretazione è sostanzialmente univoca qualche perplessità può intercorrere per il concetto di “privata dimora” posto che la giurisprudenza e parte della dottrina hanno inteso voler estendere tale concetto dai luoghi in cui si estrinseca l’attività intima ,privata e coperta dalla riservatezza delle persone (per cui costituiscono privata dimora, ancorché distinte dall’abitazione principale, la “seconda casa” per le vacanze, il circolo privato, etc.) a tutti quelli in cui si esterna anche la stessa vita professionale ed economica (per cui costituirebbero luoghi di privata dimora ad esempio un’officina o uno stabilimento industriale). Chi scrive non è personalmente d’accordo con questa seconda ,estensiva, interpretazione in quanto ,se così fosse ,rimarrebbero incardinati nel concetto di “luoghi di privata dimora” tutti quei siti (pubblici esercizi, attività artigianali, che sono oggetto di attività di controllo e di accesso da parte della polizia amministrativa ex art 13. Legge 689,TULPS ed altre disposizioni di legge, con quali nefaste conseguenze per l’attività operativa è facile immaginare. Per la contestazione del reato in oggetto è di fondamentale importanza il concetto di attualità dell’uso: costituiscono abitazione o privata dimora anche gli immobili che sono utilizzati saltuariamente (la classica seconda casa ) a condizione che l’utilizzo non sia inesistente o sporadico ma attuale (Sentenza V Sezione della Cassazione del 18 gennaio 1980). Comunque la si pensi in merito al concetto di privata dimora ,analizzato il concetto di “violazione di domicilio” diviene molto più agevole tipizzare anche il reato p. e p. dall’art. 633. Gli edifici contemplati da quest’ultimo si desumono quindi a contrario in maniera residuale rispetto a quanto stabilito dall’art. 614 e sono pertanto quelli che: Non sono abitazioni; Non sono (comunque si voglia intendere questo termine) luoghi di privata dimora; Non sono appartenenze delle due precedenti categorie; All’atto pratico l’”edificio” preso di mira dall’art. 633 è, nella maggioranza dei casi ,un immobile fatiscente e abbandonato ,considerato “res nullius” dal senso comune ma non dal diritto positivo per cui la categoria di res nullae riguarda sempre e solo i beni mobili: un bene immobile come un edificio ha sempre necessariamente un proprietario, anche se passivo e negligente “in vigilando”. Parimenti ininfluente dal punto di vista della qualificazione del reato risulta la circostanza per cui l’immobile occupato abbia un modesto valore di mercato o sia addirittura oggetto di migliorie da parte dell’occupante. Non sembra il caso di dilungarsi più di tanto in merito alle circostanze aggravanti contemplate dall’ultimo comma dell’art. 633 che costituiscono motivo di procedibilità d’ufficio né in merito a quelle contemplate dal successivo art. 639 bis . (Articolo 639 bis. Casi di esclusione dalla perseguibilità a querela. Nei casi previsti negli articoli 631, 632, 633 e 636 si procede d’ufficio se si tratta di acque, terreni, fondi, o edifici pubblici o destinati ad uso pubblico ) E’ forse invece opportuno sottolineare che ,da stime dei comuni che hanno effettuato studi in merito, di fatto la maggioranza degli edifici occupati siano pubblici (soprattutto appartenenti ad enti locali ed all’agenzia del Territorio). E possibile che la massiccia politica di dismissioni immobiliari condotta dagli enti pubblici negli ultimi tempi ridimensioni questo fenomeno ma non c’è dubbio che troppo spesso il pubblico si sia dimostrato ,purtroppo, un amministratore negligente e disattento dei propri beni . Lo sforzo sin qui sostenuto per distinguere la figura di reato prevista dall’art. 633 da quella prevista invece dall’art. 614 non ha solo lo scopo di circostanziare nella maniera più professionale la comunicazione di reato e la relativa ipotesi di reato (posto che quest’ultima determinazione è facoltà in primis dell’Autorità Giudiziaria nei cui confronti la Polizia Giudiziaria ha invece il precipuo dovere di descrivere nella maniera più dettagliata l’elemento oggettivo del reato) né di fornire all’operatore di polizia una chiave che gli permetta di avvalersi di possibili misure pre-cautelari (arresto e fermo) che la legge gli permette di adottare soltanto nell’ipotesi dell’art. 614. Al contrario il nostro scopo è far riflettere come l’art. 633 presenti, a leggerlo con attenzione, una rilevantissima differenza con l’art. 614 ,differenza che si riverbera sull’accertamento del reato e sulla conseguente attività operativa della PG operante. E’ necessario però fare un passo indietro: perché il legislatore parla di “invasione” ,termine che nel lessico italiano ha un valore molto più incisivo di quelli di “accesso” o penetrazione, e che non può certo rappresentarne un sinonimo? Gli è che il reato in oggetto, non contemplato dal codice Zanardelli del 1889,venne introdotto nel diritto italiano nel 1920 con una legge speciale ,il D.L. 515 del 1920 ,destinata a confluire nel 1930 nel codice penale ancor oggi in vigore. Gli anni che si prendono in considerazione sono quelli dell’immediato primo dopoguerra quando la povertà diffusa e le speranze palingenetiche provocate dalla rivoluzione sovietica indicevano le masse urbane ed agricole ad “invadere” terreni ed edifici provocando pertanto la risposta legislativa dei governi . La successiva giurisprudenza si è sforzata di ridimensionare il concetto di invasione in quanto “forza soverchiante ”,chiarendo che l’invasione non sia necessariamente legata ad un accesso ai luoghi caratterizzato da violenza a persone o cose (fattispecie presidiate da autonome tipologie di reato) o a turbative dell’ordine pubblico (in caso contrario il reato in esame sarebbe stato incardinato nei reati contro l’ordine pubblico e non contro il patrimonio) . Tuttavia la dottrina (Fiandaca-Musco) è concorde nel ritenere che l’invasione prevista dall’art. 633 debba contenere un quid pluris rispetto al semplice accesso . Codesto quid pluris è, per l’appunto, il fatto di invadere arbitrariamente il terreno e l’edificio al fine di occuparlo o trarne profitto. Del resto un successivo articolo del codice (il 637) sanziona meno severamente l’accesso non autorizzato al fondo privato. Le difficoltà per la polizia giudiziaria riguardano la circostanza per cui ,mentre in forza al secondo comma dell’art. 614 è possibile contestare autonomamente il semplice trattenimento nell’altrui domicilio anche se effettuato indipendentemente dalla “violazione” propriamente detta questo risulta invece più difficile per l’art. 633 che sanziona la sola “invasione”. In base a questa lettura il reato in oggetto non costituirebbe un reato permanente ma un reato istantaneo ad effetti permanenti in cui l’occupazione successiva all’invasione costituirebbe un mero post-fatto non punibile. Sia chiaro che chi scrive non condivide la radicalità di questa lettura le cui conseguenze sono che la norma in questione resterebbe paradossalmente priva di un presidio giuridico ovvero che non risulterebbe possibile contestare il reato se non in caso di flagranza o quasi flagranza, e questa non è sicuramente la volontà del legislatore. La norma al contrario vuole nella maggioranza dei casi la polizia giudiziaria intervenire soltanto ex post e rilevare il dato storico della presenza non autorizzata di uno o più soggetti in un terreno o edificio altrui, ma senza che si possa avere la comprova che costoro oltre che meri “occupanti” siano anche gli “invasori “ (l’unica eccezione può essere rappresentata dal fenomeno dei c.d. “rave party” in cui l’intervento della polizia giudiziaria avviene quasi sempre nell’attualità del fatto). Scendendo dall’empireo della dottrina alla contingenza della pratica operativa è un errore ridurre questo dibattito ad un mero sofisma giuridico, anche se non si condivide la teoria del reato istantaneo : al contrario ,nel dibattimento penale, la maggior parte delle assoluzioni per il reato in oggetto nascono dalla sottovalutazione del problema da parte della PG, che troppo spesso ottimisticamente prevede una meccanica esposizione di un dato di fatto storico (la presenza di Tizio nell’edificio di proprietà di Sempronio ) basti ad integrare il reato di invasione di terreni ed edifici. Una sottovalutazione, va detto, che rischia di vanificare l’impegno, il tempo financo i rischi corsi dagli operatori nella loro attività. Ad esempio con la Sentenza 1279 del 15/12/2005 il Tribunale Monocratico di Trento ha assolto 27 dei 28 imputati del reato in oggetto (nella fattispecie per avere occupato uno stabile di proprietà di privata per utilizzarlo come centro sociale per l’aggregazione giovanile) “per non aver commesso il fatto” con motivazioni che ricalcano la teoria del post-fatto non punibile. Si noterà di sfuggita che mentre chi invade uno stabile spinto effettivamente dal bisogno e dall’indigenza si trova il più delle volte priva di un efficace difesa chi lo fa spinto invece da motivazioni “sociali” o politiche spesso si troverà a godere delle simpatie degli organi di informazione nonché di efficaci tutele difensive. Cosa deve avere pertanto cura di fare a corredo della comunicazione di reato la polizia giudiziaria? In primo luogo compiere uno sforzo investigativo, logico ed intellettuale per dimostrare che la condotta rilevata non integra una momentanea e casuale presenza di estranei non autorizzati ma che integri le caratteristiche del reato in esame ossia che gli occupanti considerino l’immobile uti dominus per trarne profitto, collocandovi ad esempio stabilmente brande o altre suppellettili ; In secondo luogo documentare quanto rilevato in un atto di pg che possa essere direttamente acquisibile in dibattimento, come il verbale di accertamenti urgenti sui luoghi; In terza battuta, e questa è l’attività più complessa da porre in essere ,sviluppare un’attività di indagine atta a dimostrare in dibattimento (quanto meno secondo i criteri indiziari previsti dall’art. 192 c.p.p. ossia la gravità e la concordanza degli indizi ) che gli indagati siano effettivamente gli autori dell’invasione e non meri “occupanti”,utili saranno a questo proposito le sommarie informazioni acquisite da persone informate sui fatti (ad esempio i vicini) o pregresse relazioni dei servizio degli organi operanti. In ultimo, ci sentiamo di spendere alcune parole sull’assoluta necessità di procedere al verbale di identificazione, elezione di domicilio e nomina del difensore. Ci si permetta una considerazione: in anni di confronto dialettico con operatori di polizia locale e di FFPP statali abbiamo notato, non senza sorpresa, come sia diffusa la tendenza, a vari livelli, a sottovalutare l’importanza dell’elezione di domicilio, ritenendolo quasi un atto ridondante e che si possa comunque rimandare dopo le valutazioni dell’Autorità Giudiziaria. Al contrario l’importanza degli atti di cui agli artt. 161 e 349 del codice di procedura penale emerge vieppiù in ambiti come quelli del reato in oggetto in cui gli indagati sono nella maggioranza dei casi degli irreperibili o delle persone di difficile reperibilità in quanto senza fissa dimora. La sentenza prima citata richiama, tra i motivi dell’assoluzione proprio la mancata redazione del verbale in oggetto: “insormontabili difficoltà a parere di questo Tribunale insorgono all’interno quanto all’identificazione degli autori: difficoltà che nemmeno la citazione d’ufficio della dottoressa Orsingher della Questura di Trento (nda: il funzionario che si è occupato delle indagini) ha consentito di superare e verosimilmente sottovalutate dapprima dalla forze dell’ordine e successivamente dalla Procura che ne ha fatti propri gli accertamenti e le conclusioni”. Questa è la stessa sottovalutazione cui si accennava prima che non si spiega se non con il fastidio psicologico di redigere un atto in condizioni di tempo e luogo “scomode” ,tuttavia si tratta di difficoltà tutt’altro che “insormontabili” se si dispone di molta buona volontà ed un minimo di organizzazione. In conclusione il consiglio che sento di poter dare a margine di queste scarne considerazioni è quello di fermarsi sempre a riflettere sul proprio operato in maniera tale da poterlo considerare obiettivamente e nel futuro migliorarlo.