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3.TESTIMONIARE L`AMORE 108. Testimoniare l`amore con cui Dio

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3.TESTIMONIARE L`AMORE 108. Testimoniare l`amore con cui Dio
3.TESTIMONIARE L’AMORE
108. Testimoniare l’amore con cui Dio ci ha amato: è questa la consegna che il Signore Gesù ha
lasciato alla sua Chiesa, la consegna che noi vogliamo responsabilmente accogliere, generosamente
vivere e fedelmente tramandare alle generazioni più giovani. Pur consapevole della sua miseria e
delle sue debolezze, la nostra Chiesa diocesana, desidera stringersi solidamente al suo Signore con
la forza dello Spirito Santo per rendere questa evangelica testimonianza di amore, attingendo
energia nelle celebrazioni sacramentali e soprattutto nell’Eucaristia, impegnandosi in una scelta
preferenziale per chi si trova nella necessità e nella prova.
Consapevole che, unitamente all’annuncio del vangelo e alla celebrazione dei Sacramenti la
testimonianza della carità è una dimensione costitutiva della Chiesa, questo sinodo intende
incoraggiare tutti i fedeli ad ispirare sempre più la loro vita all’esempio del Signore, venuto nel
mondo non per essere servito, ma per servire e dare la vita a vantaggio di tutti.
La vocazione all’amore nella Chiesa
109. La vocazione cristiana all’amore.
“Chi ama è nato da Dio e conosce Dio, chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”
(1Gv 4,7-8). La carità non è soltanto lo stile, il modo di agire di Dio, ma in un certo senso è Dio
stesso, la rivelazione della sua natura più intima e più vera. Per capire la carità e sapere come
viverla si deve guardare a Dio, immergersi nel suo mistero. Questo orizzonte della carità ci è stato
indicato dal Signore Gesù quando ci ha rivelato di averci amati come il Padre ha amato lui e ci ha
invitati a “rimanere nel suo amore” (Gv 15,9). Egli stesso poi ci ha dato l’esempio di quale sia
l’amore più grande offrendo per noi la sua vita. Ricordandoci che saremo riconosciuti da tutti come
suoi discepoli se avremo amore gli uni per gli altri (cfr. Gv 13,35) ci ha testimoniato che proprio la
carità è via alla fede, è il grande segno che induce a credere al Vangelo. La carità cristiana pertanto
non è semplicemente una virtù morale, ma è virtù teologale, perché in Dio stesso è la sua sorgente e
Dio è il suo vero riferimento: sarebbe equivoco ridurre la carità cristiana ad una dimensione
esclusivamente orizzontale, senza riconoscere la centralità della presenza divina che fonda ed
esprime l’identità stessa della Chiesa.
110. Vocazione di tutta la comunità cristiana.
La Chiesa è stata voluta dal Signore come luogo di incontro per fare esperienza dell’amore di Dio e
quasi toccarlo con mano nella testimonianza che ne offrono i cristiani, sia individualmente che
comunitariamente nelle famiglie e nelle parrocchie. La Chiesa deve esprimere questa testimonianza
prima di tutto al suo interno mediante la ricerca costante e appassionata dell’unità, del perdono
reciproco e della correzione fraterna, disponendosi così ad accogliere l’amore che Dio
costantemente ci dona e a diventare fermento di amore fra gli uomini. Tutta la comunità cristiana
deve impegnare se stessa con tutto il suo ordinamento pastorale (persone, ambienti, programmi) per
vivere e testimoniare il comandamento evangelico dell’amore, senza accontentarsi di coltivare le
pur generose e necessarie testimonianze individuali di gratuità e di servizio.
a. Ogni comunità cristiana, pur nella consapevolezza della fragilità umana e delle quotidiane
tentazioni, deve sempre tenere presente l’impegno fondamentale di crescere ogni giorno nell’unità
secondo l’insegnamento del Signore e il dono che lo Spirito Santo concede.
b. Siccome poi la sorgente dell’amore cristiano è solo in Dio, i progetti pastorali della diocesi e
delle parrocchie dovranno sempre evidenziare che il fondamento della disponibilità e del servizio
agli altri va cercato in un autentico rapporto di intimità con il Signore: tutti i fedeli devono ricordare
che senza il costante alimento della Parola di Dio e dei sacramenti, non soltanto sarebbe loro
impossibile perseverare nel servizio, ma soprattutto non sarebbe assicurata l’autenticità della carità
cristiana che intendono vivere e testimoniare.
c. I fedeli inoltre non abbiano timore a ricordarsi reciprocamente l’invito del Signore alla
correzione fraterna, senza la quale sarebbe impossibile la crescita nell’unità e quindi anche la
testimonianza della carità.
d. Una attenzione particolare deve poi essere riservata alla promozione di rapporti caratterizzati
dalla dolcezza e dal rispetto per tutte le persone, senza mai rendere male per male, anche quando
eventualmente ciò dovesse comportare di soffrire per la giustizia.
e. Nella catechesi e nelle varie proposte di formazione cristiana si promuova una educazione alla
carità che vada oltre la semplice donazione di cose o di denaro e miri piuttosto all’ impegno
personale nella condivisione del proprio tempo e della propria vita. Le forme di condivisione più
alte e impegnative, anche quando non diventano esperienza personale di tutti i singoli fedeli,
dovranno comunque restare sempre il riferimento costante per la comunità cristiana.
f. La condivisione con i poveri deve trovare espressione anche nella liturgia, ponendo particolari
attenzioni nel corso delle singole celebrazioni e cercando di educare i fedeli ad accompagnare le
ricorrenze festive con segni concreti di carità.
g. Si continui poi a caratterizzare i tempi forti dell’anno liturgico, particolarmente la quaresima e
l’avvento, come momenti propizi per l’impegno nella carità, non come occasioni sporadiche e
marginali per dare il superfluo, ma come segni importanti di richiamo alla condivisione.
h. Sia nelle loro espressioni comunitarie, sia nelle scelte personali e familiari i cristiani sono anche
chiamati a dare testimonianza di uno stile di vita sobrio ed essenziale, che, senza escludere le
legittime esigenze della festa, non manchi mai di rispetto a coloro che sono nel bisogno.
i. Infine dobbiamo ricordare sempre che tutti saremo personalmente giudicati dal Signore
sull’accoglienza dei “più piccoli”, che egli ha equiparato a sé.
111. La scelta preferenziale per i poveri.
La Chiesa è chiamata non solo a presentarsi come comunità che vive per i poveri e con i poveri, ma
anche ad assumere come proprio stile di vita la povertà nell’abbandono a Dio e nel servizio ai
fratelli, sull’esempio di Gesù, che non stimò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio e prese la
condizione di servo (cfr. Fil 2,7). Il fenomeno della povertà è molto complesso e spesso anche non
facile a conoscersi. La povertà non è solo quella di denaro, ma è anche la mancanza di salute, la
solitudine affettiva, l’insuccesso personale, l’assenza di relazioni, gli handicaps mentali, fisici,
psicologici, le sventure familiari, l’asservimento alle sostanze stupefacenti, all’ alcool, ai farmaci,
l’incapacità ad integrarsi in una società efficientissima…In definitiva povero è chi non ce la fa a
stare al passo degli altri, chi non può, non sa, non possiede... L’amore preferenziale per i poveri non
può essere semplicemente l’espressione di un momento particolare o la risposta ad alcune situazioni
di emergenza, ma deve costituire sempre un costante criterio di discernimento pastorale.
a. Si faccia in modo che i poveri siano presenti e protagonisti delle varie strutture di partecipazione
pastorale della diocesi e delle parrocchie e non si abbia paura di scommettere su di loro, in quanto
proprio per il fatto di essere poveri sono già di per sé portatori di valori e di messaggi per tutta la
comunità cristiana.
b. Soprattutto è necessario non dimenticare mai questi fratelli nei momenti di festa, negli inviti alle
assemblee, ai campi scuola, alle varie attività delle parrocchie.
c. Le parrocchie verifichino le singole necessità e possibilità di demolire eventuali barriere
architettoniche nelle chiese regolarmente officiate e nei locali parrocchiali.
d. Nel preparare i bilanci di previsione della diocesi e delle singole parrocchie si abbia premura
che la condivisione dei beni con i poveri costituisca sempre una tra le voci principali.
e. Le nostre comunità cristiane valutino anche la possibilità di utilizzare alcune strutture per
l’accoglienza e il sostegno dei più poveri.
112. Accanto alle famiglie che assistono malati e anziani.
Le famiglie che si prendono cura direttamente, nella propria casa, degli ammalati e degli anziani
devono essere apprezzate, incoraggiate e sostenute dalla comunità cristiana, specialmente quando le
malattie appaiono umanamente insuperabili o quando toccano la mente stessa delle persone. In
particolare:
a. una speciale attenzione di vicinanza deve poi essere offerta dai cristiani alle famiglie in cui
vivono persone diversamente abili, valorizzando le specifiche risorse di ognuno e collaborando
serenamente con tutti;
b. quando poi qualche persona, specialmente se anziana, si trova a vivere da sola e soffre per la
propria solitudine, deve essere fatta segno di particolare premura, affinché non manchi la
percezione che l’amore del Signore non viene mai meno per nessuno;
c. analogamente si tenga conto delle famiglie e delle persone che per qualche motivo sono venute
a trovarsi in effettive condizioni di povertà;
d. per quanto possibile e raccomandando la più grande delicatezza, si incoraggino i vicini di casa a
farsi carico nel nome del Signore di quanti si trovano in difficoltà;
e. soprattutto in queste situazioni deve essere frequente la visita discreta e rasserenante del
parroco, come pure di alcuni collaboratori parrocchiali ritenuti effettivamente idonei per questi
servizi.
113. La comunità cristiana e le nuove povertà.
E’ purtroppo in aumento il numero di coloro che restano coinvolti in dipendenze da alcool e droghe,
e di coloro che si trovano in difficoltà per situazioni di disagio giovanile; non mancano poi
difficoltà per reperire una casa a prezzo equo o per vivere dignitosamente con l’unico stipendio
troppo esiguo, ecc. La comunità cristiana deve guardare a queste persone, senza abbandonarle nella
prova e cercando di aiutarle con estrema discrezione:
a. l’attenzione all’emarginazione giovanile deve esprimersi soprattutto in un impegno educativo di
prevenzione attraverso itinerari formativi che siano proposte di servizio e condivisione; è da
favorire pertanto ogni iniziativa che promuova incontri e collaborazioni fra le varie realtà educative:
famiglia, parrocchia, scuola, associazioni;
b. le parrocchie devono offrire alcune proposte forti di condivisione, tali da far fronte per quanto
possibile alle reali esigenze e per valorizzare adeguatamente le varie risorse: esperienze di
volontariato con anziani e diversamente abili, turni di servizio in centri di accoglienza, servizi
educativi ai minori, ecc.;
c. si ponga sempre attenzione affinché le proposte di questi eventuali progetti siano aperte a tutti,
senza imprimere caratteristiche di esclusività, al di là della condivisione delle idee e dei
comportamenti.
114. La comunità cristiana e gli immigrati.
L’immigrazione è una realtà ormai considerevole anche nella nostra diocesi, tale da non poter più
venire considerata come semplice fenomeno di emergenza. La popolazione straniera è sparsa in
vario modo tra le varie località del vasto territorio e non di rado tende anche ad isolarsi, per cui gli
incontri talvolta sono casuali, indotti magari da motivi di bisogno. Nasce perciò l’esigenza di
meglio conoscerci reciprocamente per meglio dialogare e valorizzare i vari aspetti culturali e
spirituali, per favorire un graduale inserimento e una serena integrazione nelle nostre comunità:
a. la Caritas diocesana e l’ufficio diocesano per i migranti si adoperino per promuovere
l’integrazione dei cittadini stranieri coinvolgendo anche gli organismi di volontariato ecclesiali e
laici, i sindacati e tutte le altre forze sociali;
b. le parrocchie si presentino come primo luogo di aggregazione e di integrazione, dove i cittadini
stranieri possano valorizzare le risorse umane e culturali che portano con sé;
c. le parrocchie si facciano anche coscienza critica nel promuovere la dignità e i diritti delle
singole persone presso le istituzioni pubbliche, le associazioni, le società sportive, ecc.;
d. i centri di ascolto e gli altri servizi valutino la possibilità di offrire ai cittadini stranieri alcuni
momenti di aggregazione fra loro e con la comunità accogliente;
e. i cristiani non abbiano pregiudizi nel concedere l’affitto di alloggi o nell’offrire proposte di
lavoro agli stranieri, ma valutino concretamente le singole possibilità come avviene per i cittadini
italiani;
f. le famiglie cristiane e gli anziani che ospitano persone straniere per la collaborazione
domestica, si impegnino a offrire loro una buona testimonianza, assumendole regolarmente nel
rispetto delle leggi vigenti e apprezzando il loro servizio quando viene puntualmente offerto;
g. le singole parrocchie si preoccupino di incontrare e di accogliere accuratamente le persone
straniere che vivono nelle varie famiglie, incoraggiando il servizio che svolgono, rilevandone il
valore evangelico, offrendo loro, se accolto, anche uno specifico servizio religioso con la periodica
presenza in zona di qualche sacerdote loro connazionale;
h. soprattutto le parrocchie pongano particolare attenzione ai cristiani e specialmente ai cattolici di
altra nazionalità che sono venuti a vivere fra noi, facendoli sentire parte viva della nostra comunità
cristiana, inserendoli adeguatamente nelle strutture parrocchiali, valorizzando i loro carismi
nell’assemblea eucaristica e nelle varie attività che vengono proposte a tutti i fedeli.
115. La comunità cristiana e le istituzioni civili al servizio del bene comune.
Per l’esercizio della carità e il servizio ai bisogni degli uomini ha una grande importanza il rapporto
che la Chiesa riesce ad intessere con le varie istituzioni che operano nella vita sociale. La comunità
cristiana non intende affatto sostituirsi a nessuna di queste istituzioni, dichiara tuttavia la propria
disponibilità ad una collaborazione sincera, franca e costante, senza mai sottrarsi alle proprie
responsabilità nei confronti di chi vive in condizione di povertà e di disagio. Il doveroso rispetto
verso le istituzioni si unisce alla irrinunciabile passione per i poveri, connaturale alla missione
stessa della Chiesa.
a. I cristiani sono invitati a collaborare attivamente con le varie istituzioni del territorio, attraverso
opportuni e costanti coordinamenti, per leggere i reali bisogni della gente e trasformarli in progetti e
servizi.
b. Sarà sempre necessario caratterizzare questa collaborazione attraverso uno stile di rapporto che
sia in ogni caso costruttivo, eventualmente critico, ma comunque propositivo, cercando in ogni
circostanza il bene maggiore e la reale concretezza nel rispondere ai bisogni.
La Caritas nella diocesi e nelle parrocchie
116. La Caritas e le sue finalità.
La Caritas è l’organismo pastorale che ha per scopo l’animazione della testimonianza della carità da
parte dell’intera comunità ecclesiale, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo
integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi.
In quanto organismo ecclesiale, la Caritas ha un carattere essenzialmente diocesano e si articola a
livello parrocchiale, o magari, dove si ritenga opportuno, a livello interparrocchiale. Le diocesi
d’Italia fanno riferimento alla Caritas Italiana come espressione della CEI per il coordinamento
nazionale. Analogamente le diocesi toscane hanno costituito un coordinamento regionale con
riferimento alla Conferenza Episcopale Toscana.
I suoi compiti essenziali sono quelli di favorire nella comunità cristiana la comprensione del
comandamento evangelico della carità e la ricerca sincera della giustizia, educare allo spirito e
all’esperienza della testimonianza comunitaria della carità, collaborare al coordinamento di gruppi e
iniziative per un servizio sempre più valido di solidarietà e di aiuto nelle parrocchie e nella società.
I necessari e puntuali interventi che la Caritas compie nelle singole situazioni di emergenza, o
comunque di bisogno, possono indurre alcuni a considerarla come una dinamica associazione di
volontariato: è importante che i singoli responsabili della Caritas tengano una chiara cognizione
della propria identità, in modo da non sentirsi supplenti di una massa che non corrisponde, ma
animatori di una comunità che, pure in mezzo a tante difficoltà e tante remore, intende crescere
continuamente nell’amore evangelico.
117. La Caritas diocesana.
La Caritas diocesana è lo strumento pastorale a servizio della diocesi sotto la presidenza del
vescovo per promuovere e organizzare la testimonianza della carità nella nostra Chiesa locale. Per
operare e risponder alla sua missione la Caritas diocesana si basa su un proprio statuto. Le finalità
peculiari della Caritas diocesana sono soprattutto quelle di animare la comunità al senso della carità
e della giustizia, di educare allo spirito e all’esperienza della testimonianza comunitaria della carità,
promuovere, sostenere e armonizzare le caritas parrocchiali, secondo le indicazioni del vescovo, di
coordinare gruppi e iniziative per un miglior servizio alla comunità e alla società in collaborazione
con gli altri uffici di pastorale diocesana e con la Caritas italiana. Quanti ricoprono un incarico
diocesano nella direzione o nel consiglio della Caritas lo fanno per mandato esplicito del vescovo.
a. La Caritas diocesana presenta e sostiene il cammino della diocesi nella educazione alla
testimonianza comunitaria della carità, coordina le attività delle Caritas parrocchiali al fine di
assicurare un comune operato e una reciproca collaborazione in tutta diocesi.
b. E’ suo compito anche mantenere rapporti con le istituzioni civili preposte alle attività socioassistenziali presenti nel territorio.
c. Dovrà anche promuovere studi e ricerche sui bisogni e le risorse del territorio, sia a livello
diocesano, sia a livello zonale.
d. Per ascoltare le persone in difficoltà ed eventualmente indirizzarle verso servizi corrispondenti
ai loro bisogni, la Caritas diocesana promuove e sostiene i centri d’ascolto.
e. Per rilevare in modo regolare, competente e sistematico i bisogni e le risorse esistenti nel
territorio, la Caritas diocesana intende dotarsi un osservatorio delle povertà, in grado di utilizzare i
dati provenienti dai centri di ascolto e da tutte le fonti informative possibili, in modo da suggerire le
iniziative che la comunità cristiana deve intraprendere e quelle già avviate da altri soggetti con cui
collaborare.
f. Un servizio utile sarà pure quello di segnalare le idee, le iniziative, gli approfondimenti e quanto
di valido viene offerto a livello provinciale, regionale, nazionale, ecc..
g. La Caritas diocesana dovrà poi favorire l’attività di un laboratorio, quale gruppo di lavoro
propositivo nelle varie realtà, al fine di sostenere le Caritas parrocchiali e interparrocchiali nelle
diverse fasi di avvio, crescita, progettazione e verifica, anche mediante convegni, seminari, giornate
di studio, a livello diocesano e/o zonale.
h. Dovrà ancora segnalare i problemi dello sviluppo nelle zone più povere del mondo e
promuovere iniziative volte a favorire l’educazione alla pace e alla solidarietà tra i popoli.
i. Nelle eventuali situazioni di emergenza dovrà organizzare specifici interventi, secondo le
particolari circostanze.
l. La Caritas diocesana si presenta ai ragazzi e alle ragazze che intendono impegnarsi
nell’esperienza del servizio civile: in collaborazione con i responsabili della pastorale giovanile
offre la sua disponibilità a sostenere la loro formazione e ad accogliere il loro servizio in varie
strutture della diocesi.
118. La Caritas parrocchiale.
In ogni parrocchia la Caritas è lo strumento pastorale che, sotto la direzione del parroco, deve
costituire un vero presidio sul territorio per comprendere le reali necessità della gente e, per quanto
possibile, aiutare la comunità a mettere in atto le risposte più adeguate.
Questo sinodo fa proprio l’auspicio del papa Giovanni Paolo II per una continua diffusione delle
Caritas parrocchiali perché “attraverso la loro opera possa crescere una carità di popolo e di
parrocchie che coinvolga ciascun battezzato in modo da far emergere così il volto di una chiesa non
solo preoccupata di promuovere servizi per i poveri ma anche e soprattutto di avviare percorsi di
condivisione.” (discorso per i 30 anni della Caritas Italiana).
a. Nelle parrocchie in cui ancora non fosse stata costituita, si costituisca quanto prima la Caritas
parrocchiale, badando bene a non confonderla con l’attività sporadica di alcune persone volenterose
alle quali delegare qualche esercizio della carità, ma a proporla come effettivo organismo pastorale,
rappresentato nel consiglio pastorale parrocchiale, come il gruppo dei catechisti e degli animatori
liturgici.
b. I principali responsabili della Caritas parrocchiale abbiano il mandato del vescovo, che li
qualifica come animatori pastorali della carità. Il vescovo concederà il mandato dopo un congruo
tempo di formazione che comprenda la partecipazione a brevi corsi specifici con adeguati
programmi, un itinerario di vita spirituale guidato dal parroco o da altra persona idonea, un congruo
tirocinio all’interno della Caritas stessa.
c. Per il buon funzionamento della Caritas parrocchiale è necessario un metodo di lavoro costante
e programmato: riunioni periodiche, tempi comuni di preghiera, di studio, responsabilizzazione
mediante incarichi personali per specifici ambiti, contatto con la Caritas diocesana, raccordo coi
servizi sociali, programmazione e verifica annuale.
d. Nelle parrocchie più piccole, dove risulterebbe difficile costituire una vera e propria Caritas
parrocchiale, non manchi comunque almeno una persona che, in collaborazione con le parrocchie
vicine, costituisca il punto di riferimento della dimensione caritativa della piccola comunità.
119. I compiti della Caritas parrocchiale.
Fra i compiti della Caritas parrocchiale sono da rilevare almeno i seguenti:
a. animare tutta la comunità parrocchiale in modo che ogni fedele prenda coscienza
dell’importanza di vivere il comandamento dell’amore;
b. collaborare con la Caritas diocesana nel segnalare i bisogni e le risorse, suggerire programmi,
coordinare iniziative e accompagnarle: quanto compete alla Caritas diocesana interpella
conseguentemente anche la Caritas nelle singole parrocchie;
c. informare, eventualmente anche con l’aiuto di validi esperti, sulle povertà del territorio e
coinvolgere sui problemi che emergono con maggiore gravità e urgenza tutta la comunità e
particolarmente quei settori e organismi della vita parrocchiale (catechisti, animatori della liturgia,
servizi di pastorale familiare e giovanile, ecc) che di volta in volta appaiono di più specifica
competenza;
d. coordinare i gruppi cristiani di volontariato che operano in parrocchia ed eventualmente
sollecitarne la nascita dove non esistono; collaborare attivamente con tutte le associazioni di
volontariato del territorio;
e. collaborare con le istituzioni civili che nel territorio sono preposte alle attività socioassistenziali, in modo da far sentire la presenza attiva dei cristiani nelle singole necessità;
f. orientare la comunità parrocchiale al valore e alla pratica dell’accoglienza, magari grazie alla
collaborazione di alcune famiglie disponibili ad offrire ospitalità temporanea a persone in difficoltà;
g. incontrarsi periodicamente con i catechisti proponendo loro di coinvolgere quanti frequentano
la catechesi in esperienze forti di carità vissuta;
h. unirsi agli animatori della liturgia per preparare insieme alcune celebrazioni in cui si voglia
maggiormente evidenziare l’aspetto della carità;
i. restare a disposizione per intervenire nelle emergenze, individuando disponibilità sul territorio
per un intervento diretto.
120. Le “opere segno”.
Se la Chiesa è chiamata ad essere comunità di salvezza per tutti gli uomini, il modo più autentico
per far conoscere questa sua caratteristica è quello di far sì che i poveri si sentano in ogni comunità
cristiana come a casa loro. La carità delle opere assicura una forza inequivocabile alla carità delle
parole. Le opere segno (centri di ascolto, centri di solidarietà e di accoglienza, ecc.) vogliono essere
testimonianza comunitaria di carità mediante strutture che evidenziano immediatamente la presenza
di una comunità che accoglie i più bisognosi e li fa sentire parte di se stessa. La Caritas diocesana,
impegnando anche le Caritas parrocchiali e seguendo le indicazioni dei centri di ascolto e
dell’osservatorio delle povertà, intende sostenere le opere già attive in diocesi e promuovere
ulteriori itinerari e modalità perché non solo siano offerti servizi attenti ai bisogni reali, ma perché
essi siano anche luoghi di educazione alla gratuità e alla costruzione di relazioni solidali.
a. Devono essere incoraggiati e sostenuti i servizi e le “opere segno” già vive in diocesi, ponendo
ogni cura per assicurarne la continuità nel tempo, la funzionalità effettiva e la freschezza nella
testimonianza cristiana.
b. La prima e più impegnativa “opera segno” è la “Casa Famiglia”, sorta come espressione della
parrocchia di Piancastagnaio e animata dalla “Comunità della Resurrezione”, che da oltre trenta
anni vi presta servizio gratuito a tempo pieno, nello spirito della specifica scelta vocazionale,
coinvolgendo anche altri volontari.
c. Un’altra importante opera segno è la mensa che la Caritas diocesana, grazie alla disponibilità di
un gruppo di volontari che si alternano nei turni di servizio, ha aperto da oltre un anno nel
vescovado di Orbetello, unitamente al Centro d’ascolto.
d. Altri “centri di ascolto” sono attivi in diocesi, mentre altri ancora devono essere costituiti, in
modo da rispondere in maniera sempre più puntuale e capillare ai bisogni e alle problematiche
presenti sul territorio.
e. È da consolidare l’osservatorio delle povertà e delle risorse, utilizzando i dati provenienti dai
centri di ascolto e quelli provenienti da tutte le fonti informative possibili, per rilevare in modo
regolare, competente e sistematico la qualità dei bisogni e insieme delle risorse pubbliche e private
esistenti nel territorio, suggerendo anche eventuali iniziative e interventi ritenuti necessari,
nell’ambito delle politiche sociali.
f. Qualora dai centri d’ascolto e dall’osservatorio ne venga ravvisata la necessità, sarà necessario
attivare eventuali servizi sperimentali anche coraggiosi per testimoniare che i poveri sono accolti e
fanno parte della nostra comunità cristiana, coinvolgendo in vario modo volontari competenti e tutta
la comunità, chiamando in causa anche le strutture pubbliche e i responsabili degli enti locali.
g. Si valuti l’opportunità di mettere a disposizione alcuni beni ecclesiastici per attuare piccole
strutture di limitate dimensioni e capillarmente diffuse nel territorio da utilizzare come case–
famiglia per l’accoglienza di persone in difficoltà, o per il temporaneo soggiorno di persone senza
fissa dimora, secondo le effettive esigenze e possibilità concrete.
h. Qualora poi vi siano volontari effettivamente capaci di assumerne la responsabilità, favorendo
magari anche la nascita di cooperative sociali, non si escluda la prospettiva più coraggiosa di
preparare ambienti per una intelligente accoglienza di persone con problemi anche più gravi.
i. Queste eventuali realizzazioni abbiano comunque un accompagnamento comunitario,
coinvolgano le varie associazioni di volontariato con le loro specifiche competenze, facciano leva
sulla sensibilità di tutti i fedeli e siano poste in atto solo con il consenso esplicito del vescovo
diocesano.
Il volontariato
121. Valore del volontariato.
Il volontariato è riconosciuto come una delle espressioni più significative della solidarietà umana,
come una delle componenti più preziose per la crescita armonica della società. Mentre costituisce
un indispensabile apporto alla rimozione delle forme più consolidate e drammatiche del disagio
sociale, il volontariato costituisce parimenti una forza profetica di educazione e di rinnovamento dei
rapporti sociali e dei valori più alti, testimoniando la volontà di sostituire la logica del profitto con
quella della condivisione, del camminare con gli ultimi. Il dono disinteressato della propria
disponibilità qualifica la relazione d’aiuto offerta dai volontari e la rende diversa dalle altre presenti
nel mondo della solidarietà espressa dai servizi pubblici e dalle imprese sociali.
Tuttavia il servizio volontario di alcune persone più sensibili e generose, e magari anche più libere,
non deve mai assumere un carattere di sostituzione, tale da deresponsabilizzare gli altri membri
della comunità; piuttosto deve essere per tutti uno stimolo ad assumere le rispettive responsabilità
verso i poveri e verso quanti sono nel bisogno.
122. Il volontariato nel nostro territorio.
Nelle nostre comunità esiste una antica tradizione di volontariato, sia in maniera spontanea a livello
di rapporti personali e di famiglie, sia in maniera organizzata mediante associazioni caratterizzate
da sempre per attenzioni specifiche ai bisogni concreti di tante persone nelle diverse condizioni di
vita. Entrambe le forme sussistono e sono vive anche oggi: la forma spontanea è più diffusa nelle
campagne e nei piccoli borghi, la forma associata è presente in vario modo in tutto il territorio.
123. I cristiani impegnati nel volontariato.
Il volontariato cristiano è segno e espressione di carità evangelica, dono gratuito e disinteressato di
se stesso al prossimo, forte testimonianza del servizio della nostra Chiesa nei confronti delle diverse
forme di povertà. Prima ancora di essere un’azione utile, l’attività di volontariato è comunque un
dono che esprime l’essere stesso del cristiano.
a. I cristiani impegnati nel volontariato dovranno tenere ben chiara e alimentare in sé la
consapevolezza di essere partecipi dell’amore di Dio e di aver ricevuto gratuitamente da lui il dono
del tempo e di ogni altra dote umana.
b. I cristiani si distinguano per la generosità nel servizio, rifuggendo da qualunque interesse di
prestigio o di potere, o da qualunque desiderio di umana gratificazione, affidandosi unicamente al
Signore che per primo ci ha amati e che ci ha chiesto di amarci gli uni gli altri.
c. I cristiani non permettano in alcun modo che siano scambiati per volontariato i servizi espressi
sotto forma di impresa o di collaborazione, o comunque a vario titolo retribuiti, perché non resti
minimamente offuscato il fondamentale senso di gratuità che deve animare ogni iniziativa proposta
come volontariato.
124. Le associazioni cristiane di volontariato.
La comunità cristiana guarda con fiducia alle varie associazioni cristiane di volontariato esistenti in
diocesi, sia nelle singole parrocchie, sia nelle zone, ben sapendo che esse costituiscono una reale
risorsa per la società e una effettiva ricchezza della comunità cristiana.
a. Si aggiorni la mappa conoscitiva delle varie realtà esistenti e si costituisca una consulta
diocesana.
b. Si incoraggino le associazioni più vive, affinché non abbiano mai a perdere la loro energia,
accompagnandole con sincera attenzione, offrendo puntuali occasioni di formazione e frequenti
appuntamenti di preghiera.
c. Si guardi con cura particolare a quelle che versano in condizioni più precarie, creando
condizioni e occasioni di ripresa.
d. Si ponga costante attenzione perché venga salvaguardato il genuino carisma di ciascuna
aggregazione e perché la doverosa ricerca dell’efficienza sia accompagnata da uno stile di
semplicità e di gratuità evangelica che deve comunque caratterizzare ogni forma di volontariato
cristiano.
e. Si coltivino e ulteriormente si promuovano forme di collaborazione con i diversi gruppi di
volontariato, particolarmente dove varie associazioni si trovano ad operare all’interno della
medesima parrocchia o della zona.
f. Si promuovano incontri periodici, interscambi e rapporti personali sia fra i dirigenti che fra i
volontari non solo fra le associazioni di ispirazione cristiana, ma anche con quelle sorte per
generoso senso umanitario.
125. La formazione al volontariato
Chiunque offre il suo impegno nel volontariato necessita di un continuo e adeguato impegno di
formazione in modo da rinnovare progressivamente le proprie competenze e rafforzare sempre più
le motivazioni fondamentali.
a. Le singole associazioni cristiane abbiano cura di offrire ai propri volontari non solo un
necessario addestramento di ordine operativo, ma anche una specifica formazione sulla fede
cristiana e soprattutto sulle motivazioni evangeliche del dono di sé e del proprio tempo.
b. La Caritas stessa, magari in collaborazione con le associazioni interessate, proponga vari
percorsi formativi al volontariato cristiano, tenendo conto delle varie esigenze esistenti nelle diverse
zone.
c. Il volontariato cristiano a favore dei più deboli può diventare per i giovani anche un itinerario
di formazione per accogliere una vocazione definitiva o per orientarsi in vista di un impegno
permanente.
La cooperazione missionaria fra le Chiese
126. Tutto il popolo di Dio deve essere missionario.
La missione della Chiesa per annunciare il vangelo e per testimoniare l’amore con cui Dio ci ha
amato non ha confini ed è propria di ciascuna comunità e di ogni singolo cristiano. Ogni volta che
la Chiesa guarda se stessa, si scopre missionaria.
Ciascuno collabora alla missione della Chiesa secondo la propria condizione, secondo la grazia
ricevuta dallo Spirito Santo e, ovviamente, secondo la misura di generosità che la sua coscienza gli
suggerisce.
a. Tutto il popolo di Dio è responsabile dell’annuncio del vangelo: si ponga pertanto concreta
attenzione a consolidare e incoraggiare la sensibilità missionaria di tutte le componenti ecclesiali,
cercando di imprimere un carattere missionario a tutta l’attività pastorale della comunità.
b. Siano valorizzate le occasioni di scambio reciproco con le Chiese che visitiamo, che
conosciamo e con le quali abbiamo stabilito rapporti di gemellaggio: le loro testimonianze ci siano
di stimolo per gesti di aiuto all’evangelizzazione che coinvolgono tutti membri delle nostre
comunità parrocchiali.
c. Nelle iniziative di attività di formazione e cooperazione missionaria si rivolga attenzione ai
giovani proponendo loro la vocazione missionaria o almeno alcune occasioni di impegno
temporaneo per un certo periodo della loro vita.
d. Si chieda umilmente al Signore la grazia di poter continuare l’esperienza “fidei donum”,
inviando nuovi sacerdoti, in nome e per conto dell’intera comunità, là dove il loro ministero può
sembrare più urgente.
127. Segni di collaborazione.
Prendendo atto che nella nostra diocesi esiste una notevole tradizione di sensibilità alla
collaborazione missionaria con le altre Chiese, è doveroso sostenere lo sviluppo della coscienza
“missionaria” e incoraggiare ulteriori nuove iniziative che possano incrementarla adeguandola alle
attuali esigenze e possibilità.
a. L’ufficio diocesano per la cooperazione missionaria tra le chiese si faccia carico, insieme alla
Caritas e agli altri uffici della curia, di animare giornate ed incontri di sensibilizzazione.
b. Si sostengano e si incrementino le iniziative già in atto nella nostra diocesi e le occasioni di
scambio reciproco con le altre Chiese: gemellaggi per la cooperazione, microrealizzazioni,
adozioni a distanza, fondi etici, commercio equo e solidale, servizio civile internazionale, il
sostegno ai missionari, ecc.
c. L’ottobre missionario con la giornata missionaria mondiale e la giornata dell’infanzia
missionaria siano valorizzati come momenti preziosi per la formazione missionaria e siano celebrati
con particolare cura, nella preghiera, nella catechesi e nelle collette.
d. Una attenzione tutta particolare deve essere tenuta per i fratelli cristiani della Terra Santa,
ricordandoli nella preghiera, organizzando periodici pellegrinaggi, sostenendoli anche
economicamente mediante la specifica giornata e le libere offerte.
Educarci alla giustizia, alla pace e alla responsabilità sul creato
128. Giustizia e pace.
Non si può certo nascondere la fatica di cogliere in tutta la sua complessità lo stretto legame fra il
nostro benessere e la grave povertà di tanta parte del mondo. La coscienza di questo divario sempre
più ampio e del fatto che proprio il nostro benessere costituisce una delle cause più gravi della
povertà degli altri, frutto di precise scelte economiche, politiche e prima ancora morali e culturali,
non ci può lasciare indifferenti mentre professiamo la nostra fede nell’unico Padre di tutti.
Se è doverosa la ricerca di sicurezza di fronte alla minaccia incombente del terrorismo, non è meno
doveroso per noi cristiani collaborare alla ricerca sincera della giustizia e della pace: prima di tutto
per coerenza con la nostra fede e inoltre anche perché non sarà mai possibile avere sicurezza se non
sulla base della giustizia, senza la quale è impossibile la pace. Nasce così l’esigenza di una sempre
più solida e convinta opera di educazione alla pace, al perdono, alla riconciliazione, lontana da
sterili e indesiderate strumentalizzazioni di parte e fondata sui principi fondamentali della dottrina
sociale della Chiesa. Questa educazione alla pace e alla riconciliazione trova la sua prima verifica
nei rapporti individuali tra vicini e si apre poi in una vera e propria cultura della pace relativa ai
rapporti fra popoli e all’ordine internazionale.
La cultura della pace presuppone l’educazione alla giustizia: al rispetto delle singole persone come
immagini vive del Creatore, alla ricerca di una equa partecipazione alle risorse offerte dal nostro
pianeta, capace finalmente di interrompere la spirale di ingiustizia per cui i popoli ricchi diventano
sempre più ricchi e i popoli poveri sempre più poveri. Il magistero della Chiesa non si è mai
stancato di ripetere che senza giustizia è impossibile la pace.
Sotto ogni profilo la testimonianza dell’amore diventa ricerca appassionata della giustizia, sia
nell’ambito del nostro territorio, sia nell’orizzonte più vasto del pianeta. La ricerca della giustizia è
garanzia di una genuina educazione alla pace.
129. Custodia del creato.
“L’impegno per la salvaguardia del creato rappresenta un’urgenza imprescindibile del nostro tempo
che va affrontata in tutte le sue implicazioni, senza perdere di vista la dignità unica dell’essere
umano” (Evan. e Testim. della Carità, 42). Creare un ambiente di vita a dimensione d’uomo,
significa l’uso rispettoso del creato a servizio dell’uomo. E’ pertanto necessaria una educazione che
miri al conseguimento di adeguate conoscenze del problema e alla conseguente sensibilizzazione
per assumere con coerenza le necessarie responsabilità nella ricerca del bene comune.
130. Responsabilità dei cristiani.
I cristiani sono chiamati a credere nella possibilità di un giusto ordinamento della vita nel mondo e
nella attuabilità della pace non tanto come parentesi tra due guerre, ma come compimento del
destino dell’umanità secondo il progetto di Dio. La brama esclusiva del profitto e la forza
prevaricante del potere hanno sempre costituito una minaccia alla pacifica coesistenza delle persone
e dei popoli. Oggi poi il processo sempre più avanzato di globalizzazione e l’organizzazione sempre
più crudele del terrorismo aggiungono alle minacce di sempre nuovi scenari con prospettive di
sviluppi. In questo contesto drammatico i cristiani sono chiamati innanzitutto a non conformarsi alla
mentalità di questo mondo e quindi a rifiutare le logiche perverse del profitto e della violenza. Ma
sono chiamati anche a realizzare una grande opera educativa e culturale indicando quanto sia
urgente e necessario scegliere secondo coscienza e assumersi responsabilità in ordine alla
salvaguardia della giustizia, della pace e dell’integrità del creato.
Ogni comunità cristiana deve qualificarsi come luogo di educazione alla giustizia, alla pace e alla
responsabilità sul creato attenta alla ricerca sincera delle cause di ingiustizia diffuse nel nostro paese
e nel mondo intero, capace di promuovere una cultura basata sulla civiltà dell’amore.
131. La testimonianza.
Il contributo più forte che i cristiani possono offrire per l’educazione alla giustizia, alla pace e al
rispetto del creato è la testimonianza di una scelta di vita coerente. Ne deriva:
a. l’incoraggiamento reciproco ad assumere serenamente le varie responsabilità, oltre ogni forma
di qualunquismo e oltre qualsiasi valutazione egoistica nella impostazione dei problemi;
b. uno stile di vita più sobrio, volto alla moderazione e al consumo critico, come rispetto della
volontà di Dio creatore che chiede un uso intelligente e solidale dei beni creati e come rispetto della
condizione di quanti si trovano nell’indigenza: per quanto possibile si cerchi di tradurre la
testimonianza della sobrietà in piccole scelte quotidiane: l’arredamento degli ambienti, la scelta del
vestiario, le priorità da porre nei bilanci familiari, l’uso del tempo, ecc.;
c. il ricorso a modelli alternativi di consumo, di commercio, di risparmio e di investimenti ispirati
ad una solidarietà più ampia e universale (tra questi il commercio equo e solidale, la banca etica,
ecc.) in modo da incoraggiare i progetti di sviluppo per la costruzione dell’ordine mondiale nella
giustizia e sostenere le politiche tese a riequilibrare le condizioni di vita fra le varie popolazioni del
mondo.
132. La riflessione.
I cristiani, secondo le proprie capacità e possibilità, sono poi chiamati ad offrire il loro contributo
nella riflessione sempre più complessa sui problemi riguardanti lo sviluppo dell’ecosistema.
a. Quanti si dedicano allo studio si aprano volentieri ai nuovi orizzonti che le condizioni attuali
permettono e non abbiano timore a indicare i limiti da stabilire per guidare l’intervento dell’uomo
nel rispetto della salvaguardia del creato, di fronte al rischio reale del deperimento della qualità
della vita sulla terra.
b. I cristiani poi sostengano con forza e con saggezza i progetti economici e politici di quanti sono
impegnati, o desiderano sinceramente impegnarsi a superare le varie forme di sfruttamento delle
risorse naturali.
c. La fede impegna tutti i cristiani, ciascuno secondo le proprie responsabilità, anche al dovere
profetico della denuncia: le comunità e i singoli credenti sono chiamati, in rapporto alle loro
possibilità, a diventare voce di chi non ha voce, mediante prese di posizione franche, predicazione
coraggiosa, scelte economiche coerenti.
133. Iniziative specifiche.
La diocesi e le parrocchie mediante la Caritas sono chiamate a promuovere una costante attività di
sensibilizzazione della comunità cristiana e civile.
a. Il primo impegno deve essere quello di guardare le varie componenti delle parrocchie e le
aggregazioni cattoliche con finalità educativa e di coinvolgerle nel diffondere una cultura della pace
e uno stile di vita improntati al vangelo.
b. I catechisti e gli animatori giovanili dovranno sempre incoraggiare i bambini, i ragazzi e i
giovani a diventare cristiani e cittadini responsabili, autentici costruttori di pace e coerenti servitori
della giustizia con uno stile di vita improntato al senso della gratuità e del dono.
c. Quando circostanze straordinarie, soprattutto nei momenti più gravi, richiedono particolari
riflessioni ed interventi, si dovrà di volta in volta valutare quelle che potranno risultare le iniziative
più utili e più opportune, evitando sterili strumentalizzazioni e cercando di non far mancare un
proficuo contributo.
d. In questo delicato compito la comunità cristiana, soprattutto mediante la Caritas, ponga ogni
sforzo per interagire con sincero spirito di collaborazione e in piena autonomia insieme agli altri
organismi del territorio, in modo da valorizzare la ricchezza della diversità nel perseguimento di
finalità condivise.
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134. Ciascun cristiano porta in sé l’anelito a costruire una comunità d’amore fraterno nella quale la
preferenza per chi soffre e per chi è povero diventi semplice esperienza quotidiana. Ma tutti noi
sappiamo bene che per vivere in sincerità di spirito il comandamento nuovo del vangelo ed essere
effettivamente di aiuto al prossimo occorre un continuo rinnovamento interiore e una perseverante
formazione, fino a raggiungere una intensa vita spirituale.
La vocazione a testimoniare l’amore con cui Dio ci ha amati è per tutti, perché tutti siamo
destinatari del medesimo amore eterno e perché ciascuno alla fine sarà giudicato da Dio proprio
sull’amore.
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