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LA TESTIMONIANZA INDIRETTA DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA NEL

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LA TESTIMONIANZA INDIRETTA DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA NEL
LA TESTIMONIANZA INDIRETTA DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA NEL PROCESSO
PENALE
Giovanni Battista PROSPERINI
Dopo nove anni di esilio dalla sentenza dalla Corte costituzionale n. 24 del 1992,
avvisaglia alla rivoluzione accusatoria che si sarebbe di lì a poco verificata, il divieto di deporre sul
contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni imposto ai funzionari di polizia dall’art. 195
comma 4 c.p.p.,1 recupera la collocazione materiale che gli era stata assegnata dal legislatore del
1988. Il nuovo comma 4 dell’art. 195 c.p.p., introdotto dall’art. 4 della legge n. 63 del 2001, 2 si
distingue dal suo predecessore solo nella parte in cui limita il divieto di testimonianza alle
dichiarazioni acquisite “con le modalità di cui agli art. 351 e 3573 comma 2 lettere a) e b)” negli
altri casi, puntualizza la norma, “si applicano le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 del presente
articolo”.
Il precedente articolo (comma 4, art. 195 c.p.p.) era stato dichiarato illegittimo dalla
Corte costituzionale per contrasto con l’art. 3 Cost.. A giudizio della Corte, le disposizioni
dichiarate incostituzionali contenevano una deroga sfornita di ragionevole giustificazione alla
regola generale che attribuisce ad ogni persona la capacità di testimoniare (art. 196 comma 1
c.p.p.4). A fondamento di tale deroga non si sarebbe potuto addurre, infatti, né una pretesa minore
affidabilità dei funzionari di polizia giudiziaria rispetto al cittadino comune, né la necessità di
salvaguardare il principio di oralità, dal momento che, con tale principio, non solo non si
contrasterebbe ma anzi si conformerebbe pienamente la testimonianza degli appartenenti alla
polizia giudiziaria su fatti conosciuti attraverso dichiarazioni loro rese da altre persone, con
particolare riferimento a taluni casi limite come le dichiarazioni raccolte nell’immediatezza del
fatto-reato (si pensi ad un teste, ferito gravemente, che rende dichiarazioni prima di morire a causa
delle lesioni subite).
Il nuovo comma 4 dell’art. 195 c.p.p. è la risposta alle tante perplessità avanzate
dalla miglior dottrina in merito alla sentenza n. 24/1992 della Corte costituzionale. Come detto,
questo si distingue dal testo previgente per il fatto di vietare la testimonianza del funzionario di
polizia solo quando abbia ad oggetto dichiarazioni testimoniali acquisite “con le modalità di cui agli
artt. 351 e 357 comma 2 lettere a) e b)”: clausola introdotta dal legislatore nella convinzione che
soltanto il richiamo alle precise fattispecie di cui agli articoli suddetti avrebbe reso giustificabile e
non contrastante con i principi affermati dalla Corte costituzionale il ripristino del divieto
probatorio. Il riferimento all’art. 351 c.p.p.5, chiarisce, innanzitutto, che agli operatori di polizia è
inibito deporre non solo sul contenuto delle sommarie informazioni assunte dalle persone che
possono riferire circostanze utili ai fini dell’indagine, ma anche sul contenuto delle informazioni
assunte dalle persone imputate in procedimento connesso o collegato. La conclusione dovrebbe
valere sia per le dichiarazioni provenienti dai soggetti di cui all’art. 197 let. b) c.p.p.6 che abbiano
deciso di assumere l’ufficio di testimone, sia per le dichiarazioni provenienti dai soggetti di cui
all’art.- 197 lett. a) c.p.p. 7 cui è tuttora preclusa l’assunzione del predetto status.
1
Art. 195 c.p.p., (Testimonianza indiretta), comma 4°, “Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono
deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli articoli 351 e 357, comma 2,
lettere a) e b). Negli altri casi si applicano le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 del presente articolo.”
2
L. 1 marzo 2001, n. 63. “Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e
valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’art. 111 della Costituzione”
3
Art. 357 c.p.p., (Documentazione dell’attività di polizia giudiziaria).
4
Art. 196 c.p.p., (Capacità di testimoniare),”Ogni persona ha la capacità di testimoniare… ”
5
Art. 351 c.p.p., (Altre sommarie informazioni), “La polizia giudiziaria assume sommarie informazioni… ”
6
Art. 197 c.p.p., (Incompatibilità con l’ufficio di testimone), lettera b), “salvo quanto previsto dall’art. 64, comma 3,
lettera c), le persone imputate in un procedimento connesso a nprma dell’articolo 12, comma 1 lettera c), o di un reato
collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), prima che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza
irrevocabile di proscioglimento, di condanna, di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p.”
7
Art. 197 c.p.p., (Incompatibilità con l’ufficio di testimone), lettera a), “Non possono essere assunti come testimone a) i
coimputati del medesimo reato o le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell’art 12, comma 1
L’esplicito riferimento al solo art. 351 c.p.p. potrebbe creare incertezze in altre ipotesi alle
quali non v’è dubbio che il divieto, per identità di ratio, dovrebbe estendersi. Si pensi alle
informazioni testimoniali assunte dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero (art. 370
c.p.p.) oppure alle informazioni assunte direttamente dal magistrato ex art. 362 c.p.p.8 alla presenza
del funzionario di polizia.
Quanto alle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui all’art. 357
comma 2 lett. a) e b)9, nulla questio in ordine al divieto di testimonianza sul contenuto delle
denunce, querele ed istanze presentate oralmente; la prova costituita dal verbale non può più essere
surrogata dalla disposizione del verbalizzante. Il disposto dell’art. 195 comma 4 c.p.p. non fa che
prendere atto delle evidenti affinità strutturali tra la querela o la denuncia presentate oralmente e
le sommarie informazioni di cui all’art. 351 c.p.p.
Molto meno comprensibile è la previsione del divieto di testimonianza sul
contenuto delle sommarie informazioni rese e delle dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona
nei cui confronti vengono svolte le indagini. Tale previsione normativa appare contraddittoria
perché configura le dichiarazioni provenienti dall’indagato come una specie del genere
“dichiarazioni acquisite da testimoni” ed, altresì, inutile perché detta una regola già contenuta per
intero nell’art. 62 c.p.p.10 Né si può pensare che il legislatore abbia voluto porre un argine alla
diffusa prassi di recuperare, attraverso la deposizione del funzionario di polizia, le dichiarazioni
spontanee dell’indagato non verbalizzate. Al contrario, il richiamo all’art. 350 c.p.p.11 potrebbe
avvalorare letture formalistiche volte ad escludere il divieto di testimonianza su tali dichiarazioni.
Per scongiurare simili rischi non resta che ritenere o che il legislatore avesse in
mente l’ipotesi del coindagato di reato connesso ai sensi dell’art. 12 lett. a) c.p.p. 12 il quale, dopo
aver reso alla polizia dichiarazioni concernenti la responsabilità di altri, assuma in dibattimento la
qualità di testimone oppure ritenere, più semplicemente, che si sia trattato di un lapsus calami. Nel
senso che il legislatore avrebbe voluto in realtà riferirsi all’art. 357 coma 2 lett. c) c.p.p.13, con il
proposito di ribadire che il divieto di testimonianza opera con esclusivo riferimento alle
dichiarazioni acquisite in un contesto procedimentale formalizzato.
Definita in positivo l’area di incidenza del divieto, si tratta infine di tentare di
individuare quali siano le dichiarazioni acquisite da testimoni il cui contenuto, nel rispetto dell’art.
195 commi 1-3 c.p.p., può essere tuttora introdotto in giudizio attraverso la deposizione del
funzionario di polizia. A tale proposito vale la pena di evidenziare che sfuggono alle maglie dell’art.
195 c.p.p. le testimonianze del funzionario di polizia che abbiano ad oggetto dichiarazioni
stragiudiziali non aventi contenuto narrativo o destinate ad assumere rilevanza probatoria nel
processo in quanto fatti puri e semplici, anziché in ragione di tale contenuto. Più esattamente deve
ritenersi che l’art. 195 c.p.p. non si applichi quando il funzionario di polizia, testimone de auditu,
riferisca dichiarazioni altrui che non contengono la rappresentazione di una esperienza percettiva o
la rievocazione di un atto proprio (ad es. ordini, avvertimenti, consigli ecc.). Quando tali
dichiarazioni, pur avendo le oggettive caratteristiche di un resoconto testimoniale, servono alla
prova di un fatto diverso da quello che ne costituisce l’oggetto.
lettera a), salvo che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di
applicazione della pena ai sensi dell’art.444… ”
8
Art. 362 c.p.p., (Assunzione di informazioni), “Il pubblico ministero assume informazioni dalle persone che possono
riferire circostanze utili ai fini delle indagini… ”
9
Art. 357 c.p.p., (Documentazione dell’attività di polizia), “La polizia giudiziaria annota secondo le modalità ritenute
idonee ai fini delle indagini… ”
10
Art. 62 c.p.p., (Divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell’imputato), “Le dichiarazioni comunque rese nel corso
del procedimento dall’imputato o dalla persona sottoposta alle indagini non possono fare oggetto di testimonianza”
11
Art. 350 c.p.p., (Sommarie informazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini), “Gli ufficiali di
polizia giudiziaria assumono, con le modalità previste dall’art. 64, sommarie informazioni utili alle indagini… ”
12
Art. 12 c.p.p., (Casi di connessione).
13
Art. 357 c.p.p., (Documentazione dell’attività di polizia giudiziaria) 2 c, lett. c), “informazioni assunte a norma
dell’art. 351… ”
Tale evenienza ricorre quando la circostanza che qualcuno abbia raccontato in un
certo momento una determinata vicenda serve solo a dimostrare, ad esempio, che l’autore della
comunicazione era in grado di parlare o sapeva esprimersi in italiano, oppure che il destinatario si
era formato una certa opinione in ordine all’episodio descritto. In tal caso non v’è alcuna
coincidenza tra il fatto oggetto della dichiarazione ed il fatto oggetto di prova, la circostanza che le
vicende narrate siano realmente accadute è irrilevante. Ciò premesso, gli altri casi ai quali allude
l’art. 195 comma 4° c.p.p. sembrerebbero ridursi alle sole ipotesi in cui le dichiarazioni di contenuto
narrativo, probatoriamente rilevanti in virtù di tale contenuti, siano state rese dal testimone e
percepite dal funzionario di polizia al di fuori di uno specifico contesto procedimentale di
acquisizione delle medesime. Al di fuori, quindi, di un dialogo tra teste e ufficiale o agente di
polizia giudiziaria, ciascuno nelle proprie qualità (ad esempio le frasi pronunciate dalla persona
offesa presente al fatto e nell’immediatezza di esso).
In ipotesi come queste si ritiene generalmente consentita anche la testimonianza sui
dicta dell’imputato, riferendosi anche al divieto di cui all’art. 62 c.p.p. alle sole dichiarazioni rese in
ambiti processualmente qualificanti.
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