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I percorsi dei raggi di luce 1. Il modello dei raggi luminosi e l'ottica geometrica La luce è il fenomeno fisico che associamo all'idea della visione e all'occhio, l'organo della vista. Noi vediamo perché a) alcuni oggetti emettono luce b) altri oggetti rimandano (in vario modo) la luce che ricevono c) parte di questa luce arriva agli occhi, che nella retina contengono rivelatori i quali trasmettono segnali nervosi al cervello d) il cervello interpreta questi segnali. Noi cioè vediamo i corpi che si trovano attorno a noi quando la luce provenienti da essi raggiunge i sensori di luce che si trovano nei nostri occhi, quando i segnali nervosi corrispondenti raggiungono il cervello e quando questo li elabora creando un'immagine di ciò che ci circonda. Vediamo le sorgenti luminose, come il Sole o una lampadina, che emettono luce propria; ma possiamo vedere anche i corpi illuminati, che rimandano indietro, più precisamente diffondono, la luce diretta ricevuta da una sorgente o quella diffusa a loro volta da altri corpi illuminati. Non vediamo però i corpi riflettenti, che riflettono le immagini di ciò che li circonda. Nella maggior parte dei casi la luce viene prodotta per emissione termica, cioè quando i corpi si trovano a temperature sufficientemente alte, approssimativamente oltre 1200 K. Il filamento di una comune lampadina, per esempio, viene riscaldato elettricamente attorno a 2400 K, la superficie del Sole si trova a circa 5800 K. I corpi opachi non trasmettono apprezzabilmente la luce che li investe; i corpi trasparenti ne lasciano passare una buona frazione (fra questi si chiamano traslucidi quelli, come un foglio di carta oleata, che trasmettono la luce ma non le immagini). Un corpo illuminato, in generale, rimanda indietro una frazione (r) della luce ricevuta, ne assorbe un'altra parte (a) e trasmette il resto (t); dato che la luce è una forma di energia, il principio di conservazione dell'energia impone che sia: r+a+t = 1. La luce si propaga anche nel vuoto, che è il mezzo più trasparente perché in esso non si verificano fenomeni di assorbimento (t=1 e a=0). Infatti siamo illuminati dal Sole, che si trova a 150 milioni di chilometri dalla Terra, e possiamo vedere la luce proveniente da stelle a distanze enormemente maggiori. I corpi chiari rimandano indietro gran parte della luce, quelli scuri una frazione minore. Ma spesso le proprietà sia di assorbimento che di trasmissione dei corpi dipendono dal colore della luce. Un corpo rosso, per esempio, ci appare tale perché rimanda indietro la maggior parte della luce rossa, mentre assorbe quella degli altri colori. Un corpo bianco diffonde invece allo stesso modo tutti i colori, mentre un corpo nero li assorbe tutti fortemente. La trasparenza dei corpi dipende dall'entità dei fenomeni di assorbimento nella propagazione della luce attraverso di essi. Si capisce allora che la trasparenza di un corpo dipende dal suo spessore: un materiale che noi consideriamo usualmente opaco, come un metallo, risulta trasparente quando il suo spessore è sufficientemente piccolo, mentre un mezzo che consideriamo trasparente, per esempio l'acqua, è invece opaco per grandi spessori: nelle profondità del mare regna infatti il buio più assoluto. La nozione di raggio luminoso che si propaga in linea retta rientra nella nostra esperienza comune sin dall'infanzia: quando un fascio di luce penetra in una stanza buia attraverso le finestre socchiuse, osserviamo i raggi luminosi che attraversano l'ambiente; quando la luce del Sole penetra fra le nuvole vediamo distintamente i raggi solari che attraversano il cielo sottostante. I raggi luminosi, di per sé, sono invisibili. Noi li vediamo soltanto quando la luce incontra minuscole particelle sospese nell'aria (pulviscolo, fumo, goccioline d'acqua) che la diffondono attorno, sicché essa può raggiungere i nostri occhi. Il concetto di raggio luminoso, indipendentemente dalla sua natura fisica, è quindi inteso come ente geometrico derivato dall'osservazione che sia possibile realizzare sottili pennelli luminosi schematizzabili come segmenti rettilinei. Questo modello, che permette di interpretare in modo assai semplice molti fenomeni luminosi, ha il vantaggio di descrivere facilmente il processo di formazione delle immagini, ma bisogna tener presente che, per sua natura, è un modello approssimato e non risponde alla realtà: infatti non è possibile isolare un raggio di luce. La nozione di raggio luminoso è comunque alla base di quella parte dell'ottica che prende il nome di ottica geometrica e tratta essenzialmente della propagazione, riflessione e rifrazione della luce con particolare riferimento alla formazione delle immagini. I percorsi dei raggi di luce pag. 1 2. La propagazione rettilinea. Alla conclusione che la luce si propaga in linea retta si arriva anche esaminando il fenomeno della formazione delle ombre. L'ostacolo intercetta una parte dei raggi emessi dalla sorgente Se la sorgente è estesa, la presenza dell'ostacolo produce sullo puntiforme, creando un cono d'ombra che sullo schermo si schermo una regione di ombra totale, che nessun raggio manifesta formando un'ombra ben netta. luminoso raggiunge, contornata da una di penombra, che è raggiunta soltanto da una parte dei raggi diretti verso di essa. Fenomeni d'ombra particolarmente vistosi, oggetto in passato di stupore e di timore, sono le eclissi, che avvengono quando la Terra, il Sole e la Luna si trovano allineati. L'eclissi di Sole si verifica quando la Luna viene a trovarsi allineata fra il Sole e la Terra, intercettando i raggi solari in modo da oscurare il Sole, tutto (eclissi totale) o in parte (eclissi parziale), in determinate regioni del nostro pianeta. Nell'eclissi di Luna è invece la Luna a venire oscurata (tutta o in parte); ciò avviene quando la Terra, trovandosi fra il Sole e la Luna, intercetta i raggi solari diretti verso il nostro satellite, che così non viene più illuminato. La propagazione rettilinea dei raggi luminosi fornisce una semplice spiegazione del funzionamento della camera oscura: uno strumento ottico di origine molto antica che costituisce parte essenziale delle macchine fotografiche e delle telecamere, per questo così denominate. Già noto ad Aristotele, studiato dal grande scienziato arabo Alhazen nell'XI secolo e descritto poi in dettaglio da Leonardo, questo strumento fu usato nei secoli scorsi da molti pittori, in particolare dal Canaletto e altri vedutisti veneziani, per ottenere prospettive realistiche. Per camera oscura, inizialmente, s'intendeva una stanza buia, con una parete dotata di un piccolo foro: chi stava al suo interno vedeva sulla parete opposta al foro l'immagine capovolta di ciò che si trovava all'esterno del foro. In seguito, a partire dal Rinascimento, si diffuse l'impiego di camere oscure portatili, costituite da una scatola con un foro in una parete e la parete opposta costituita da un foglio di carta pergamena o di vetro smerigliato, sul quale si poteva osservare l'immagine. I percorsi dei raggi di luce Funzionamento di una camera oscura. La parete posteriore semitrasparente della scatola è raggiunta soltanto dai raggi passanti per il foro. L'immagine è capovolta: il raggio proveniente dal punto A dell'oggetto illuminato, in alto, raggiunge la parete nel punto B, in basso. pag. 2 Applicazione: Eratostene e la misura del raggio terrestre. Il matematico, geografo ed astronomo Eratostene (III secolo a.C.), direttore della grande biblioteca di Alessandria d'Egitto era venuto a conoscenza del fatto che a Syene (l'attuale Assuan), a mezzogiorno del solstizio d'estate (21 giugno), il Sole si trovava proprio sullo zenit, tanto che il fondo di un pozzo profondo ne veniva illuminato, perciò un bastone piantato verticalmente in un terreno perfettamente pianeggiante non avrebbe proiettato alcuna ombra in terra. Invece ad Alessandria questo non succedeva mai, gli obelischi proiettavano comunque la loro ombra sul terreno. Eratostene ipotizzò la Terra perfettamente sferica ed il Sole sufficientemente distante da considerare paralleli i raggi che la investono. Inoltre assunse che Alessandria e Syene si trovassero sullo stesso meridiano, cioè su una di quelle ideali circonferenze massime che passano per i due poli terrestri. Eratostene dedusse che, se si misurava l'ombra proiettata da un bastoncino verticale ad Alessandria, e quindi l'angolo che i raggi del Sole facevano con la verticale di quel luogo, essendo nota la distanza fra Alessandria e Siene, con una semplice proporzione, si poteva ricavare il valore della circonferenza terrestre. Durante il solstizio d'estate calcolò l'angolo di elevazione del Sole ad Alessandria, misurando l'ombra proiettata proprio da un bastone piantato in terra, ricavando approssimativamente un valore di 1/50 di circonferenza (cioè 7° 12'). Siccome angoli uguali sottendono archi di cerchi uguali, in questo caso la parte di meridiano compresa tra le due città, con una proporzione si ha la lunghezza del meridiano terrestre: distanza fra le città : angolo = meridiano: 360 gradi La distanza tra le due città, basata sui trasferimenti delle carovane, era stimata in 5.000 stadia (circa 800 km, tuttavia il valore preciso dello stadium non è noto con certezza), perciò la circonferenza della Terra doveva essere di 250.000 stadia (circa 40.000 km, valore straordinariamente vicino a quello ottenuto con metodi moderni). 3. La riflessione della luce Quando un raggio di luce incontra un ostacolo opaco o trasparente esso può essere riflesso, assorbito o trasmesso (riflessione e assorbimento riguardano sia il corpo trasparente sia quello opaco, la trasmissione solo quello trasparente). Se la superficie del corpo è liscia (ad esempio uno specchio o una superficie metallica lucidata), allora il fenomeno prende il nome di riflessione. Con questo semplice esperimento si può studiare la riflessione che subiscono i raggi di luce incidenti su una superficie speculare, grazie ad uno specchio piano disposto in verticale. Non è necessario disporre di una fonte luminosa per produrre i raggi di luce, ma si utilizza l'allineamento ottico tra due coppie di spilli, sfruttando la proprietà della propagazione rettilinea della luce. Le due leggi della riflessione (o leggi di Snell) sono le seguenti: - il raggio incidente, il raggio riflesso e la normale alla superficie di separazione fra i due mezzi giacciono tutti nello spesso piano; - l'angolo di incidenza (i), compreso fra il raggio incidente e la normale, è uguale all'angolo di riflessione (r), compreso fra il raggio riflesso e la normale: i = r I percorsi dei raggi di luce pag. 3 Se scambiamo la posizione della sorgente che emette il raggio incidente con quella dell'occhio che osserva il raggio riflesso, il percorso dei raggi di luce resterà lo stesso, ma sarà compiuto nel senso opposto. Questo è un caso particolare di un principio generale dell'ottica geometrica, chiamato principio di invertibilità dei cammini ottici, che naturalmente vale anche per il raggio incidente e il raggio rifratto. Il fenomeno della riflessione può manifestarsi in modi molto diversi. Quando inviamo un fascetto di luce su uno specchio, sulla superficie liscia si ha riflessione speculare: se il fascetto è formato da raggi paralleli e lo specchio è piano, anche i raggi riflessi saranno paralleli fra loro. Assai diverso è invece ciò che accade quando il fascetto di raggi investe una superficie scabra, come un foglio di carta, la cui superficie è ricca di minuscole asperità. Le leggi della riflessione restano valide, ma la direzione della normale alla superficie del foglio è diversa in ogni suo punto sicché i raggi riflessi vengono sparpagliati attorno: si ha riflessione diffusa o semplicemente diffusione. Diciamo allora che il foglio di carta diffonde attorno, più o meno in tutte le direzioni, la luce che lo investe. Ciò ha una importante conseguenza per la visione: quando guardiamo un foglio di carta (o qualsiasi altro oggetto diffondente, cioè la maggior parte degli oggetti) noi vediamo il foglio di carta; quando invece guardiamo uno specchio, non vediamo lo specchio ma l'immagine riflessa di ciò che gli sta attorno. Fenomeni analoghi si verificano anche quando lanciamo un palla contro un muro: se questo è liscio possiamo prevedere esattamente in che direzione essa rimbalza, ma se ha una superficie irregolare la direzione del rimbalzo è tutt'altro che determinata. 4. Gli specchi piani La proprietà essenziale degli specchi è quella di fornire immagini. Vediamo in dettaglio cosa avviene, esaminando la figura. Ogni punto di un oggetto O, illuminato dalla luce presente nell'ambiente, diffonde la luce in tutte le direzioni in forma di raggi luminosi. Alcuni di questi raggi raggiungono la superficie dello specchio e vengono riflessi. Alcuni raggi riflessi, infine, raggiungono i nostri occhi. Il cervello, abituato alla propagazione della luce in linea retta, vede il punto da cui provengono questi raggi come se si trovasse dietro allo specchio. Se lo specchio è piano, come quello in figura, il punto immagine I si forma a una distanza q dallo specchio uguale a quella p fra lo specchio e il punto oggetto O, cioè in posizione simmetrica rispetto allo specchio. Lo stesso avviene per qualsiasi altro punto dell'oggetto, sicché l'immagine complessiva è diritta e ha le stesse dimensioni dell'oggetto, ma sembra che scambi la destra con la sinistra. Osservazione: La natura fisica dell'immagine fornita da uno specchio piano è assai diversa da quella dell'immagine di una camera oscura. Quella della camera oscura è una immagine reale: è formata dai raggi provenienti dalla sorgente e quindi può essere raccolta su uno schermo. Quella dello specchio è invece un'immagine virtuale: sebbene sia visibile, è formata dai prolungamenti all'indietro dei raggi e quindi non può essere raccolta su uno schermo. 5. Gli specchi curvi Per farsi un'idea del funzionamento degli specchi curvi, basta guardarsi in un cucchiaio di metallo, la cui parte interna è uno specchio concavo, quella esterna uno specchio convesso. Si nota innanzitutto che le immagini sono alquanto distorte, a differenza di quanto avviene con gli specchi piani. Quando si guarda nella parte esterna del cucchiaio, le immagini sono diritte e rimpicciolite; guardando in quella interna, esse possono essere sia diritte che capovolte, sia ingrandite che rimpicciolite. I percorsi dei raggi di luce pag. 4 Specchi curvi con una geometria ben definita sono gli specchi sferici, costituiti da una calotta sferica, cioè una porzione di superficie sferica. La figura rappresenta uno specchio sferico concavo: si chiama asse ottico la retta passante per il centro della sfera e il vertice dello specchio; apertura l'angolo che definisce l'estensione angolare dello specchio; raggio di curvatura il raggio della superficie sferica cui appartiene la calotta. La superficie riflettente è quella interna per gli specchi concavi, esterna per quelli convessi. Consideriamo ora un fascio di raggi paralleli all'asse ottico che illumina uno specchio concavo, proveniente per esempio da una sorgente luminosa molto distante. Applicando a ciascuno dei raggi le leggi della riflessione, si trova che il fascio riflesso converge approssimativamente in un punto chiamato fuoco dello specchio (l'approssimazione è molto buona per i raggi che incidono nella parte centrale dello specchio, meno buona per gli altri). Il fuoco costituisce pertanto l'immagine della sorgente: si tratta di una immagine reale, che può essere raccolta su uno schermo. Il fuoco (F) si trova sull'asse ottico a una distanza dal vertice, che prende il nome di distanza focale dello specchio, pari a metà del raggio di curvatura. Per ottenere la convergenza esatta nel fuoco per tutti i raggi di un fascio parallelo all'asse ottico occorre usare un specchio parabolico, la cui superficie è un paraboloide ottenuto dalla rotazione di una parabola intorno al suo asse di simmetria, che costituisce l'asse ottico dello specchio. Questa è la ragione per cui in tanti impieghi si usano specchi di questa forma particolare, la cui lavorazione è assai meno facile di quelli sferici. Sono parabolici, per esempio, gli specchi usati nei telescopi a riflessione, che raccolgono al meglio la luce di stelle lontane concentrandole poi su una lastra fotografica o su un rivelatore elettronico. Sono parabolici gli specchi usati nei fari delle automobili; questi sono usati all'inverso, grazie al principio di invertibilità dei percorsi ottici: la sorgente luminosa viene posta nel fuoco della parabola per ottenere un fascio di raggi paralleli che illumini la strada senza disperdersi attorno. Sono paraboliche anche le antenne impiegate per ricevere i segnali Tv dai satelliti e quelle usate dai radioastronomi per captare i segnali radio emessi da corpi celesti. 6. Le immagini degli specchi sferici. Consideriamo la costruzione delle immagini fornite da specchi sferici di piccola apertura, in modo da poter trascurare la distorsione delle immagini. Tale operazione è facilitata quando si considerano raggi incidenti che hanno direzioni particolari, per i quali è immediato individuare le direzioni dei raggi riflessi corrispondenti. Questi raggi, detti raggi principali, si possono dedurre con le leggi della riflessione: - i raggi paralleli all'asse ottico vengono riflessi nella direzione che passa per il fuoco; - i raggi che passano per il fuoco dello specchio vengono riflessi in direzione parallela all'asse ottico (percorrendo all'inverso il cammino dei raggi paralleli all'asse ottico); - i raggi che incidono normalmente allo specchio, perché passano per il suo centro, vengono riflessi all'indietro nella stessa direzione da cui provengono. I raggi principali per uno specchio sferico concavo I percorsi dei raggi di luce I raggi principali per uno specchio sferico convesso pag. 5 L'immagine di un oggetto esteso si ottiene ricavando le immagini dei suoi punti. Per ciascun punto P dell'oggetto si individua il corrispondente punto immagine P' dove s'incontrano due raggi riflessi provenienti da P (o il prolungamento all'indietro di due di essi). Se lo specchio, o in generale un sistema ottico, non distorce le immagini, passerà per P' anche qualsiasi altro raggio proveniente da P, che colpisce lo specchio. Ciascuna di queste coppie di punti, P e P', prende il nome di punti coniugati: infatti, per il principio di invertibilità dei percorsi ottici, come il punto immagine P' è raggiunto dai raggi provenienti dal punto oggetto P, così P sarebbe raggiunto dai raggi che provenissero da P'. Le costruzioni eseguite con questo metodo, mostrano che le caratteristiche delle immagini di uno specchio concavo dipendono dalla posizione dell'oggetto rispetto allo specchio. In particolare, - quando l'oggetto si trova oltre il centro dello specchio, l'immagine è reale, capovolta e rimpicciolita; - quando si trova fra il centro e il fuoco, l'immagine è reale, capovolta e ingrandita; - quando si trova fra lo specchio e il fuoco, l'immagine è virtuale, diritta e ingrandita. Nel caso di uno specchio convesso le immagini sono sempre virtuali, diritte e rimpicciolite, dovunque sia posto l'oggetto. Ciò è in accordo col fatto che i raggi che colpiscono lo specchio vengono comunque deviati in modo da divergere, sicché l'immagine è sempre definita dai prolungamenti all'indietro dei raggi riflessi. Esercizio: eseguire, con matita e righello oppure utilizzando qualche simulazione al computer, la costruzione geometrica delle immagini con il metodo dei raggi principali descritte, verificando le proprietà dell'immagine elencate in tabella. I percorsi dei raggi di luce pag. 6 7. La formula dei punti coniugati per gli specchi sferici La posizione del punto immagine P' di un punto oggetto P per uno specchio sferico concavo può essere ottenuta, oltre che con metodi geometrici, anche utilizzando la seguente relazione algebrica chiamata formula dei punti coniugati, anch'essa basata sulle leggi della riflessione 1 1 1 = p q f (dove p è la distanza del punto oggetto dal vertice dello specchio, q è la distanza del punto immagine dal vertice dello specchio e f è la distanza focale dello specchio). Esaminando la formula si osserva che essa è simmetrica in p e q; ciò significa che è verificata anche quando si scambiano le posizioni dell'oggetto e dell'immagine, che infatti sono due punti coniugati fra loro. Si osserva poi che, fissato f, quanto più p è grande (cioè l'oggetto è lontano) tanto più q è piccolo (cioè l'immagine è vicina allo specchio); più precisamente, quando p tende all'infinito, e quindi 1/p tende a zero, q tende a f cioè, come già sapevamo, l'immagine di un punto all'infinito si forma nel fuoco di uno specchio concavo. Se l'immagine è virtuale, perché il punto oggetto si trova fra il fuoco e lo specchio, la posizione dell'immagine che si ricava dalla formula è un numero negativo, dato che p è minore di f e quindi 1/p è maggiore di 1/f. Per esempio, se abbiamo f = 1 m, e p = 0,5 m, otteniamo: q = 1/(1-2) = -1 m. Il segno negativo di q s'interpreta così: l'immagine non è reale, ma virtuale, e quindi il punto immagine si trova dall'altra parte dello specchio, a distanza |q| dal vertice. La formula resta valida anche se lo specchio è convesso, purché si attribuiscano alle grandezze in gioco segni opportuni e si interpreti opportunamente il segno dei risultati che essa fornisce. Più precisamente, per qualsiasi specchio sferico - la distanza focale f è positiva per uno specchio concavo (dove i raggi paralleli convergono nel fuoco), negativa per uno convesso (dove nel fuoco convergono i prolungamenti dei raggi); - la distanza q è positiva se l'immagine è reale, negativa se è virtuale; - la distanza p è positiva se l'oggetto è reale (cioè sempre, se si tratta di un oggetto fisico), negativa se è virtuale (cioè quando l'oggetto è a sua volta una immagine, fornita da altri dispositivi). 8. L'ingrandimento lineare delle immagini Abbiamo visto che gli specchi sferici forniscono, a seconda dei casi, immagini ingrandite o rimpicciolite. Questa caratteristica si formalizza definendo l'ingrandimento lineare G come rapporto fra la lunghezza A'B' dell'immagine e quella AB dell'oggetto: G= A' B ' AB . Si dimostra che l'ingrandimento dipende dalla posizione dell'oggetto e da quella dell'immagine secondo la relazione: G=− q p Tale espressione, nel caso particolare di uno specchio concavo che fornisce un'immagine reale, si ricava immediatamente dalla similitudine fra i triangoli ABV e A'B'V, tenendo presente che gli angoli i ed r sono uguali e che le frecce AB e A'B' sono dirette in versi opposti. Nel caso in figura le grandezze p e q sono entrambe positive, e quindi l'ingrandimento G risulta negativo: ciò sta a indicare che l'immagine è capovolta. L'ingrandimento lineare A'B'/AB è dato dal La formula è valida in generale, per specchi sferici concavi o rapporto p/q. I due triangoli rettangoli in giallo convessi e per immagini reali o virtuali, purché si seguano le sono infatti simili, dato che gli angoli r ed i sono convenzioni per i segni date sopra e si tenga presente che un uguali. valore positivo dell'ingrandimento indica che l'immagine è diritta, un valore negativo che è capovolta. I percorsi dei raggi di luce pag. 7 9. La rifrazione della luce Guardando di fianco un bicchiere di vetro riempito d'acqua dove è immersa una matita, questa ci appare spezzata; riempiendo d'acqua una vaschetta opaca dove sul fondo si trova una moneta, questa appare d'un tratto alla nostra vista. Queste curiose osservazioni, e altre simili, trovano spiegazione nel fenomeno della rifrazione, cioè nel cambiamento di direzione che subiscono i raggi luminosi quando passano da un mezzo trasparente ad un altro come avviene nel passaggio dall'aria all'acqua, dall'aria al vetro ... La deviazione che subisce un raggio di luce nel passaggio da un mezzo a un altro può essere studiata grazie a un blocchetto di plexiglas di forma semicilindrica. Questa forma particolare consente di ottenere una semplificazione del fenomeno da esaminare. Inoltre non è necessario disporre di una fonte di luce per produrre il raggio, ma si può utilizzare l’allineamento ottico tra due coppie di spilli, sfruttando la proprietà della propagazione rettilinea della luce. L'esperimento si può eseguire anche con una lastra trasparente con le facce parallele. I punti P e Q indicano la posizione degli spilli che individuano il raggio incidente, in R ed S vanno collocati gli spilli che individuano il raggio che esce dalla lastra dopo due rifrazioni. Si può risalire al percorso OO' dei raggi all'interno del mezzo trasparente e studiare quindi la rifrazione nel punto O. Si cerca una relazione tra i segmenti FH e KG. Il fenomeno del passaggio di un raggio di luce da un mezzo ad un altro è descritto dalle due seguenti leggi della rifrazione, la seconda delle quali è chiamata legge di Snell-Cartesio. - Il raggio incidente, quello rifratto e la normale alla superficie di separazione giacciono in uno stesso piano; - L'angolo d'incidenza i e quello di rifrazione r sono legati dalla relazione: sin i =n1 →2 sin r dove n1→2 è una costante detta indice di rifrazione relativo del mezzo 2 rispetto al mezzo 1. Essa è tabulata per le varie sostanze (ad una ben precisa lunghezza d'onda) assumendo come mezzo 1 il vuoto a cui, convenzionalmente, si attribuisce un valore di indice di rifrazione pari a uno. Gli indici di rifrazione così tabulati si chiamano indice di rifrazione assoluti. Essi sono numeri puri sempre maggiori di 1. Gli indici di rifrazione assoluti consentono di ricavare gli indici di rifrazione relativi secondo la regola n 1→ 2 = n2 n1 n 1 sin θ 1=n2 sin θ 2 , senza la Utilizzando gli indici di rifrazione assoluti la legge di Snell assume la forma necessità di distinguere tra raggio incidente e raggio rifratto, ancora per il principio di invertibilità del cammino ottico. I percorsi dei raggi di luce pag. 8 10. La riflessione totale Analizzando la legge della rifrazione si deduce che - quando il raggio incide normalmente alla superficie, essendo i = 0, si ha sen i = 0, sen r = 0, r = 0, e quindi il raggio rifratto non subisce deviazione, per qualsiasi valore degli indici di rifrazione; - quando il secondo mezzo è più rifrangente del primo, cioè il suo indice di rifrazione è maggiore di quello del primo mezzo, si ha sen r < sen i e quindi anche r < i, cioè il raggio rifratto devia avvicinandosi alla normale; naturalmente avviene l'opposto nel caso contrario. In altri termini possiamo prevedere che nel passaggio da un mezzo a minor indice di rifrazione ad un mezzo a maggior indice di rifrazione il raggio rifratto si avvicina alla normale; nel passaggio da un mezzo a maggior indice di rifrazione ad un mezzo a minor indice di rifrazione il raggio rifratto si allontana dalla normale. In questo caso si può presentare un fenomeno particolare: la riflessione totale (o interna). Se l'angolo di incidenza del raggio è tale che, per la legge di Snell, l'angolo di rifrazione diventa uguale a 90° il raggio rifratto diventa radente alla superficie di separazione e non riesce ad uscire dal mezzo con indice di rifrazione maggiore. Ciò accade ad un angolo ben preciso angolo θlim, detto angolo limite. L'angolo limite θlim è dunque quel particolare angolo di incidenza θ1 i per cui l'angolo di rifrazione θ2 vale 90°. Dalla legge della rifrazione, ponendo θ1 = 90° ed essendo sen 90° = 1, si ha: 1/sen θlim = n1/n2 da cui si ricava: θlim = arcsen(n2/n1), dove n1 è l'indice di rifrazione del mezzo più rifrangente, da cui proviene il raggio, e n2 quello del mezzo meno rifrangente. I raggi emessi dalla sorgente immersa nell'acqua, incontrando la superficie di separazione, vengono rifratti (e parzialmente riflessi) con angoli di rifrazione via via crescenti all'aumentare del Per esempio, nel passaggio dall'acqua (n1≈1,33) all'aria (n2≈1) l'angolo loro angolo d'incidenza. Ma non tutti: quelli il cui angolo d'incidenza è maggiore limite vale circa 48,8°; in quello dal vetro (n1≈1,5) all'aria, circa 41,8°. dell'angolo limite vengono infatti totalmente riflessi. Il miraggio. Quando il terreno è molto caldo, come in un deserto o su una strada asfaltata sotto il Sole, l'aria immediatamente sopra il suolo si riscalda fortemente a sua volta, diventando meno densa e meno rifrangente di quella più in alto. Avviene allora che a noi arriva una doppia immagine degli oggetti lontani: una diritta, costituita dai raggi che viaggiano orizzontalmente, un'altra capovolta, il miraggio. Quest'ultima è formata dai raggi inclinati verso il basso che nella rifrazione vengono gradualmente deviati fino a subire un riflessione totale che li incurva verso l'alto fino a raggiungere anch'essi la nostra vista, che li interpreta come provenienti dal basso e quindi abbiamo l'impressione della presenza di uno specchio d'acqua, nel deserto, o di una pozza d'acqua, su una strada asfaltata. Le fibre ottiche. Il fenomeno della riflessione totale trova impiego nelle fibre ottiche: lunghi cilindretti di vetro o di plastica, delle dimensioni di un capello, nei quali un raggio di luce si propaga attraverso una serie di riflessioni totali sulle loro pareti interne molto lisce e regolari. Le fibre ottiche sono usate in medicina per osservare gli organi che si trovano all'interno del corpo, portandone l'immagine all'esterno (endoscopia). In questo caso occorre anche illuminare l'oggetto mediante un'altra fibra che porta luce all'interno del corpo. L'impiego principale delle fibre ottiche riguarda le comunicazioni a distanza, dove esse sostituiscono assai vantaggiosamente i tradizionali cavi elettrici. I percorsi dei raggi di luce pag. 9 11. Le lastre e i prismi Un raggio di luce che attraversa una lastra di vetro, o di qualsiasi altro materiale trasparente, viene rifratto due volte: prima dall'aria al vetro e poi dal vetro all'aria. Comunque il raggio incida sulla lastra, il raggio che ne esce ha esattamente la stessa direzione del raggio incidente. Infatti le due facce della lastra sono parallele e quindi nella seconda rifrazione l'angolo d'incidenza coincide con l'angolo di rifrazione della prima e quindi l'angolo di rifrazione finale coincide con l'angolo d'incidenza iniziale. Ciò non avviene, invece, quando le due superfici sono piane ma non parallele, come nei prismi, oppure sono curve, come avviene nelle lenti: in entrambi i casi i raggi vengono deviati. In un prisma retto a sezione triangolare questa deviazione, rappresentata dall'angolo δ in figura, aumenta al crescere sia dell'angolo fra le due facce del prisma sia del rapporto fra il suo indice di rifrazione e quello dell'aria. I prismi sono spesso usati sfruttandone la riflessione totale, cioè come specchi di altissima qualità ottica, per esempio nei binocoli e nei periscopi, gli strumenti che consentono la visibilità da una posizione nascosta (per esempio l'interno di un sottomarino). Sia nei binocoli che nei periscopi si utilizzano due prismi la cui sezione è un triangolo rettangolo: quando vengono colpiti da un raggio perpendicolare a una faccia cateto l'angolo d'incidenza del raggio sulla faccia ipotenusa è 45°, maggiore dell'angolo limite vetro-aria, e quindi il raggio è totalmente riflesso in direzione normale all'altra faccia cateto, da cui fuoriesce. Anche entrando e uscendo da un prisma, un raggio di luce subisce due volte la rifrazione. Siano γ l'angolo di apertura del prisma, n l'indice di rifrazione del prisma e 1 l'indice di rifrazione dell'aria. Un raggio di luce che giunge sulla prima faccia con angolo di incidenza αi, entra nel prisma formando un angolo αR, che si calcola con la legge della rifrazione. Con considerazioni geometriche si determina l'angolo di incidenza sulla seconda faccia βi = γ − αR e ancora per la legge di Snell si calcola finalmente βR, l'angolo di rifrazione sulla seconda faccia. Si dimostra che l'angolo di deviazione è dato da δ= αi + βR - γ . Se l'indice di rifrazione n del prisma fosse costante per tutti i colori non accadrebbe nulla di particolare. In realtà l'indice di rifrazione cambia (sia pure di poco) da colore a colore. Normalmente questa piccola differenza non produce effetti visibili salvo quando, in particolari situazioni, le piccole differenze di indice di rifrazione accentuano in maniera apprezzabile la deviazione dei colori. Questo fenomeno è conosciuto come dispersione della luce. Come osservò già Newton, con un prisma è quindi possibile separare i diversi colori che compongono la luce bianca. Come si vede dall'immagine la luce bianca viene separata nei vari colori: dal violetto (massima deviazione da parte del prisma ), passando per l'indaco, l'azzurro, il verde, il giallo, l'arancione, si arriva al rosso (deviazione minima). La dispersione della luce spiega anche il fenomeno dell'arcobaleno. I percorsi dei raggi di luce pag. 10 12. Le lenti Una lente è un pezzo di materiale trasparente, vetro o plastica, racchiuso fra due superfici curve, oppure una curva e una piana. Anche il comportamento delle lenti (convergenti quelle più spesse al centro e divergenti quelle più spesse ai bordi) si può intuire in prima approssimazione immaginando due prismi posti a contatto appoggiandoli per la base o per i vertici, nel modo suggerito in figura. Le lenti più comuni sono le lenti sferiche, delimitate appunto da superfici sferiche. La retta che congiunge i centri di queste superfici è l'asse ottico della lente. Attraversando una lente, un raggio di luce viene rifratto due volte, dall'aria al vetro e dal vetro all'aria: il raggio emergente risulta quindi deviato rispetto a quello incidente dato che le superfici che attraversa non sono parallele. Se la lente è sottile, mantengono la loro direzione soltanto i raggi che passano attraverso il centro della lente, perché in tal caso le superfici attraversate sono localmente parallele e la lente si comporta come una lastra. Le immagini fornite dalle lenti sono prive di distorsioni soltanto quando lo spessore delle lenti è piccolo rispetto ai raggi di curvatura delle superfici che le delimitano, cioè si tratta di lenti sottili. Le lenti più spesse al centro che ai bordi sono lenti convergenti; quelle più spesse ai bordi che al centro sono lenti divergenti. Queste denominazioni risultano evidenti esaminando cosa avviene quando sulla lente incide un fascio di raggi paralleli all'asse ottico, come è mostrato nella figura. L'effetto è assai diverso nei due casi: i raggi rifratti dalla lente convergente convergono nel punto chiamato fuoco della lente, mentre nel fuoco di quella divergente convergono i prolungamenti all'indietro dei raggi rifratti, che si comportano infatti come se provenissero da una sorgente puntiforme collocata prima della lente. Esperimento. Esponete ai raggi del Sole una lente convergente (una lente d'ingrandimento) disponendo dietro di essa un foglio di carta. Sul foglio si formerà l'immagine del Sole, un cerchietto luminoso le cui dimensioni dipendono dalla distanza fra la lente e il foglio. Spostando la lente avanti e indietro, troverete una posizione per cui il cerchietto si riduce a un punto (se il Sole è intenso il foglio potrebbe infiammarsi). Rovesciando la lente, riotterrete il punto luminoso con la lente nella stessa posizione di prima. Ripetendo l'esperimento con una lente divergente (per esempio una lente da occhiali per miopi), non riuscirete a focalizzare il Sole sul foglio, comunque sposterete la lente. Questo semplice esperimento mette in evidenza una importante differenza fra lenti convergenti e divergenti: la lente convergente può fornire una immagine reale del Sole, raccolta sul foglio di carta, mentre con la lente divergente ciò non è possibile. In generale, si trova che le lenti convergenti, come gli specchi concavi, possono fornire immagini sia reali che virtuali; mentre le lenti divergenti, come gli specchi convessi, forniscono soltanto immagini virtuali. La grandezza più importante che caratterizza il comportamento di una lente sottile è la sua distanza focale f, cioè la distanza fra il centro della lente (centro ottico) e il suo fuoco, anzi i suoi fuochi, dato che ogni lente ne possiede due. I due fuochi sono disposti simmetricamente rispetto al centro ottico, anche quando i raggi di curvatura delle due superfici che delimitano la lente sono diversi. Per convenzione, si attribuisce segno positivo alla distanza focale delle lenti convergenti, segno negativo a quella delle lenti divergenti. Si usa spesso caratterizzare una lente con il suo potere diottrico D, che è il reciproco della distanza focale espressa in metri: D = 1/f. Così si può dire che una lente convergente con lunghezza focale di 0,5 m ha un potere diottrico di 2 diottrie e che una lente divergente il cui fuoco dista 0,2 m dal suo centro ha un potere diottrico di –5 diottrie. La capacità di deviare i raggi luminosi aumenta al crescere del valore assoluto del potere diottrico delle lenti. Ponendo a contatto fra loro due lenti sottili, esse si comporteranno come un'unica lente con potere diottrico dato dallo somma dei poteri diottrici delle due lenti. I percorsi dei raggi di luce pag. 11 13. Le immagini fornite dalle lenti La costruzione delle immagini fornite da una lente segue criteri analoghi a quelli discussi per gli specchi. L'immagine di un oggetto esteso si ottiene ricavando le immagini dei punti dell'oggetto: per ciascun punto oggetto P, si individua il corrispondente punto immagine P' dove s'incontrano due raggi rifratti provenienti da P oppure i prolungamenti all'indietro di due di essi, sapendo che se la lente non distorce l'immagine qualsiasi altro raggio proveniente da P passerà per P' (e viceversa, dato che P e P' sono punti coniugati). Anche per le lenti la costruzione delle immagini è facilitata quando si considerano raggi incidenti che hanno direzioni particolari, per i quali è immediato individuare le direzioni dei raggi rifratti corrispondenti, cioè i raggi principali. Questi sono mostrati nella figura per una lente convergente e per una divergente - i raggi paralleli all'asse ottico vengono rifratti nella direzione che passa per il secondo fuoco (lenti convergenti) o in quella determinata dal passaggio per il fuoco dei loro prolungamenti all'indietro (lenti divergenti); - i raggi che passano per un fuoco della lente, o che vi passano i loro prolungamenti, vengono rifratti in direzione parallela all'asse ottico; - i raggi che passano per il suo centro ottico incidono normalmente alla lente e proseguono indisturbati perché qui la lente si comporta come una lastra a facce piane e parallele. Le figure seguenti mostrano due esempi di costruzione delle immagini con il metodo descritto per una lente convergente. Si può constatare che le caratteristiche delle immagini dipendono dalla posizione dell'oggetto rispetto alla lente. In particolare, quando l'oggetto si trova oltre il doppio della distanza focale, l'immagine è reale, capovolta e rimpicciolita; quando si trova fra il fuoco e il centro della lente, l'immagine è virtuale, diritta e ingrandita. Il caso di una lente divergente, rappresentato in figura, è più semplice: le immagini sono sempre virtuali, diritte e rimpicciolite, dovunque sia posto l'oggetto. Ciò è in accordo col fatto che i raggi che colpiscono la lente vengono comunque rifratti in modo da divergere, sicché l'immagine è sempre definita dai prolungamenti all'indietro dei raggi rifratti e perciò è virtuale e rimpicciolita. 14. La formula dei punti coniugati e l'ingrandimento per le lenti sottili. Anche le caratteristiche delle immagini fornite dalle lenti sottili possono essere ricavate algebricamente, utilizzando una relazione, la formula dei punti coniugati per le lenti sottili, che è formalmente identica a quella riguardante gli specchi sferici, ma implica convenzioni un po' diverse per le grandezze in gioco, in particolare per quanto riguarda i segni: 1 1 1 = p q f In questa formula f rappresenta la distanza focale della lente, a cui si attribuisce segno positivo per le lenti convergenti, negativo per quelle divergenti; p rappresenta la distanza dell'oggetto dal centro ottico della lente, con segno positivo per gli oggetti reali, negativo per quelli virtuali (cioè quando si tratta di immagini provenienti da altri dispositivi ottici); q rappresenta la distanza dell'immagine dal centro ottico della lente, con segno positivo quando l'immagine si forma dall'altra parte della lente rispetto all'oggetto, negativo quando si forma dalla stessa parte. Come nel caso degli specchi, il segno della distanza q stabilisce se l'immagine è reale (q > 0) oppure virtuale (q < 0). Anche 'ingrandimento lineare delle lenti è definito come per gli specchi ed è espresso dalla stessa relazione fra la distanza q dell'immagine dalla lente e quella p dell'oggetto: G=− q p Anche qui il segno dell'ingrandimento fornisce informazioni sull'immagine: quando I ha segno positivo l'immagine è diritta, quando è negativo è capovolta. I percorsi dei raggi di luce pag. 12 La tabella che segue riassume le proprietà essenziali delle immagini fornite dalle lenti sottili, che si ottengono dalle relazioni precedenti o attraverso la costruzione geometrica delle immagini con il metodo dei raggi principali. 15. L'occhio e gli strumenti ottici. L'occhio è un sistema ottico che forma sulla retina un'immagine reale dell'oggetto da esaminare. Una delle principali funzioni dell'occhio è quindi di rifrangere i raggi di luce in modo tale che vadano a fuoco sulla retina: il sistema ottico dell'occhio (il cui elemento essenziale è il cristallino, una lente convergente con distanza focale variabile) deve essere quindi molto potente per focalizzare i raggi di luce in un breve spazio. Il cristallino è una lente biconvessa ad assetto variabile, che serve per l'accomodamento dell'occhio: infatti il suo spessore può variare grazie a muscoli specifici, i muscoli ciliari, in modo che l'immagine si formi sempre sulla retina. Quando i muscoli sono a riposo il cristallino mette a fuoco sulla retina oggetti molto lontani; per focalizzare oggetti più vicini i muscoli si contraggono aumentando così la curvatura della superficie del cristallino. La formazione dell'immagine sulla retina non è comunque sufficiente a spiegare la visione, che in realtà è un fenomeno molto complesso e necessita dell'intervento del cervello. Le immagini raccolte dalla retina passano, sotto forma di impulsi nervosi, nei due nervi ottici e raggiungono le cellule dell'area visiva della corteccia cerebrale dove le immagini vengono raddrizzate. Grazie al suo potere di accomodamento, il cristallino di un occhio normale e senza difetti riesce a mettere a fuoco distintamente ed immediatamente qualunque oggetto posto tra l'infinito e una distanza di circa 25 cm, detta distanza della visione distinta, che è la più favorevole distanza alla quale un oggetto può essere focalizzato sulla retina senza sensibile sforzo di adattamento. L'occhio però può vedere distintamente anche a distanze minori. Le distanze estreme per le quali è ancora possibile una visione distinta sono dette punto remoto e punto prossimo dell'occhio. Il punto remoto di un occhio normale è l'infinito. La posizione del punto prossimo dipende dalla massima curvatura che può assumere il cristallino durante il processo di accomodamento e varia da persona a persona; con l'età (intorno ai 45 anni) si allontana in quanto il cristallino perde in parte la sua capacità di adattamento (presbiopia). In tutte le situazioni in cui i raggi luminosi, per svariati motivi, non sono focalizzati sulla retina si configura pertanto un errore di rifrazione. I più comuni difetti ottici dell'occhio si hanno quando i raggi luminosi provenienti dall'infinito non vanno a fuoco sulla retina, ma davanti (miopia) o dietro (ipermetropia e presbiopia), oppure parte sulla retina e parte davanti o dietro (astigmatismo). Difetti che dipendono dalla struttura dell'occhio sono la miopia e l'ipermetropia. La miopia è associata ad un allungamento del bulbo oculare in conseguenza del quale l'immagine di un oggetto posto all'infinito non si focalizza sulla retina, ma davanti ad essa. Il punto remoto è a una distanza finita dall'occhio e il punto prossimo è ulteriormente ravvicinato rispetto al valore normale. La miopia non richiede correzione per la visione ravvicinata, mentre per la visione a grande distanza esige l'uso di lenti divergenti. In un occhio ipermetrope il bulbo oculare è accorciato rispetto a quello normale e perciò i raggi provenienti da un punto all'infinito cadono oltre la retina. L'ipermetropia si corregge con l'uso di lenti convergenti, che permettono di focalizzare gli oggetti all'infinito sulla retina. I percorsi dei raggi di luce pag. 13 Altri difetti dell'occhio, che dipendono dal cristallino, sono la presbiopia e l'astigmatismo. La presbiopia consiste nell'incapacità di contrarre e di distendere il cristallino per realizzare l'accomodamento più opportuno. Un occhio presbite perciò vede distintamente gli oggetti all'infinito, mentre non è più, o quasi, in grado di focalizzare gli oggetti vicini. La presbiopia non richiede correttivi per la visione a grande distanza, mentre per la visione a piccola distanza richiede lenti convergenti che forniscono l'opportuno accomodamento. Questo difetto progredisce con l'avanzare dell'età poiché il potere di accomodamento si riduce e il punto prossimo si allontana. Anche l'astigmatismo è un difetto del cristallino che si presenta quando le superfici del cristallino hanno un raggio di curvatura diverso nei differenti piani e presentano un potere diottrico differente per i raggi luminosi contenuti in piani diversi. Questo difetto può essere corretto con lenti i cui raggi di curvatura formano con il cristallino un sistema avente la stessa distanza focale in tutti i piani. Lenti di questo tipo sono dette cilindriche perché, in casi particolari, sono tagliate da un blocco di vetro cilindrico anziché sferico. Quando si vuole esaminare un piccolo oggetto nei suoi dettagli, lo si avvicina il più possibile agli occhi, affinché l'angolo di osservazione sia il più piccolo possibile e l'immagine retinica la più grande possibile, ma la minima distanza alla quale l'occhio può adattarsi è quella del punto prossimo, quindi si deve ricorrere all'uso di sistemi di lenti ed in particolare al microscopio semplice o a quello composto. Il microscopio semplice è una lente convergente posta tra l'occhio e l'oggetto da osservare in modo che quest'ultimo si trovi in posizione intermedia tra il primo piano focale e la lente stessa. In tali condizioni la lente fornisce un'immagine virtuale, diritta e ingrandita dell'oggetto osservabile dall'occhio anche se si trova ad una distanza dall'oggetto inferiore alla distanza di visione distinta. Per le immagini retiniche non si parla di ingrandimento lineare, dato dal rapporto fra le dimensioni lineari dell'immagine e dell'oggetto, perché il cristallino non è una lente sottile e non gli si possono applicare relazioni semplificate (equazione delle lenti sottili). L'ingrandimento angolare, ottenuto osservando con una lente convergente (d'ingrandimento) un oggetto posto tra il fuoco e la lente stessa, è misurato dal rapporto fra l'angolo visuale sotteso dall'immagine dell'oggetto e l'angolo visuale sotteso dall'oggetto posto alla distanza della visione distinta. Si ha quindi M= θ h/ f 25 cm = = . θ 0 h/d f Dalla relazione risulta che l'ingrandimento angolare di una lente convergente è tanto più grande quanto più piccola è la sua lunghezza focale. Praticamente però, a causa delle aberrazioni che intervengono, non si possono utilizzare lenti con lunghezza focale inferiore a 20-30 mm. Di conseguenza il massimo ingrandimento angolare ottenibile con una singola lente è di 8-10 volte. Il fenomeno dell'aberrazione cromatica è dovuto al fatto che la luce bianca è composta di radiazioni elettromagnetiche di varie frequenze che si manifestano agli occhi con vari colori. Il fenomeno della rifrazione è diverso per radiazioni di colori diversi. La luce rossa viene deviata da una lente meno della luce violetta. Il risultato di questo fenomeno è che si hanno in realtà più fuochi, uno per ogni colore e quindi l'immagine risulta sfuocata. I percorsi dei raggi di luce pag. 14 Ingrandimenti maggiori si possono raggiungere grazie al microscopio composto, un sistema di due lenti convergenti dette, rispettivamente, obiettivo e oculare. L'oggetto da osservare O viene posto davanti all'obiettivo (ad una distanza maggiore della sua lunghezza focale), che ne fornisce un'immagine I1 reale, capovolta e ingrandita. Questa immagine viene fatta cadere davanti all'oculare a distanza opportuna (minore della distanza focale dell'oculare), che ne dà un'altra I2, virtuale, ingrandita e capovolta rispetto all'originale. In pratica queste due lenti sono a loro volta costituite da combinazioni di lenti diverse tali da correggere e ridurre al minimo le aberrazioni, ma dal punto di vista funzionale il discorso non muta. Un'altra applicazione delle leggi dell'ottica geometrica si ha nella costruzioni di telescopi, cannocchiali e binocoli, tutti strumenti utili ad ingrandire oggetti lontani. Si chiamano telescopi rifrattori o rifrangenti se, essendo formati da lenti, sfruttano il fenomeno della rifrazione; telescopi riflettori o riflettenti se utilizzano uno specchio per la convergenza dei raggi di luce. I telescopi galileiano e kepleriano sono rifrattori, il telescopio newtoniano è il più semplice dei telescopi a riflessione. Galileo, negli anni 1609 e 1610, costruì ed utilizzò, prima per uso terrestre-militare e poi astronomico, il telescopio (o cannocchiale) che porta il suo nome utilizzando la tecnologia delle lenti che stava nascendo in quegli anni in Olanda. Galileo non fu quindi l'inventore del telescopio, ma è riconosciuto essere stato il primo che lo utilizzò per osservare il cielo. Il telescopio galileiano utilizza una lente convergente come obiettivo ed una lente divergente come oculare e permette di ottenere immagini virtuali, diritte ed ingrandite. Il telescopio kepleriano utilizza due lenti convergenti: la prima immagine I1 dell'oggetto luminoso prodotta dall'obiettivo, reale, capovolta e rimpicciolita, si forma oltre il fuoco Fo dell'obiettivo. L'oculare ha il proprio fuoco Fe posto in modo che la prima immagine I1 sia posizionata fra Fe stesso e l'oculare. Si forma perciò una seconda immagine I2 virtuale, diritta (rispetto ad I1) ed ingrandita. L'osservatore vede perciò una immagine virtuale, rovesciata ed ingrandita dell'oggetto. L'ingrandimento è dato dal rapporto fra la focale dell'obiettivo e la focale dell'oculare. Diminuendo a parità di focale dell'obiettivo la focale dell'oculare, in teoria si potrebbero ottenere quindi immagini ingrandite quanto si vuole, ma aumentando l'ingrandimento oltre certi limiti, si ottengono immagini sempre peggiori a causa della diminuzione della luminosità e dell'aberrazione cromatica. Newton conosceva i fenomeni di dispersione della luce (scomposizione nei vari colori) per cui pensò di utilizzare uno specchio concavo per fare convergere i raggi di luce. In questo modo, non usando più il fenomeno della rifrazione, si ottiene una prima immagine presso il fuoco dello specchio non soggetta ad aberrazione cromatica. Con una lente convergente, usata come oculare, si ottiene poi l'immagine finale ingrandita (ingrandimento però soggetto alle limitazioni dei fenomeni di diminuzione della luminosità e dell'aberrazione cromatica causata dall'oculare). I raggi riflessi dallo specchio concavo (specchio primario) del telescopio (di solito parabolico o sferico di piccola apertura) vengono deviati lateralmente da uno specchio piano (specchio secondario) ed inviati all'oculare per l'ingrandimento dell'immagine. Per questo motivo, una parte centrale dello specchio non viene utilizzata per l'osservazione (lo specchio secondario copre la parte centrale dello specchio primario). Il telescopio newtoniano è il più semplice dei telescopi a specchio. Successivamente vennero fatte molte modifiche migliorative al telescopio newtoniano originario che portarono alla creazione di diverse tipologie di telescopi a riflessione il cui principio di funzionamento è analogo. I percorsi dei raggi di luce pag. 15