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TESTO PANNELLO 1 I BAMBINI DELLE FAVELAS «Tutto cominciò

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TESTO PANNELLO 1 I BAMBINI DELLE FAVELAS «Tutto cominciò
TESTO PANNELLO
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I BAMBINI DELLE FAVELAS
«Tutto cominciò con l’alluvione del ’77: le poche famiglie che c’erano allora le avevano alloggiate
in chiesa finché il fiume ritornasse al suo livello normale. Quando le famiglie, passate le piogge,
sono ritornate nelle loro baracche, ho iniziato ad andarle a trovare a “casa” loro e da quest’amicizia
è nata la “baracca” come punto d’incontro e attività». Rosetta Brambilla, infermiera brianzola da
quarant’anni in Brasile, racconta così l’inizio della sua presenza nelle favelas di Belo Horizonte.
La situazione di bisogno è un’occasione che non esaurisce il rapporto fra chi chiede aiuto e chi lo
offre. Così, Rosetta, insieme a don Pigi Bernareggi, missionario in Brasile dal 1962, e a decine di
volontari di Avsi, ha dato vita negli anni ad opere d’assistenza, asili, scuole, dispensari, corsi di
formazione e d’igiene, ma soprattutto ad una rete di relazioni umane e sociali che danno senso al
vivere anche in una situazione degradata come quella delle favelas brasiliane.
Questa mostra nasce dall’incontro tra un fotografo meranese, Fabrizio Arigossi, sostenitore
dell’attività di Avsi, e l’esperienza in atto a Belo Horizonte. La sequenza d’immagini esposta non è
il reportage di un osservatore neutrale, per quanto sensibile. Attraverso il particolare colto
dall’obiettivo della macchina fotografica, vuole invece testimoniare un’esperienza di carità che, pur
partendo dal bisogno, non si ferma ad esso. La centralità della persona, il fare insieme, la positività:
è il “metodo” insegnato da don Luigi Giussani.
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BELO HORIZONTE
Belo Horizonte, capitale dello Stato del Minas Gerais, è stata fondata poco più di un secolo fa
secondo un progetto che prevedeva 100 mila abitanti. Oggi, la città, eminentemente industriale, ha
una popolazione di oltre 2 milioni e mezzo d’abitanti che supera i 4 milioni se si considerano i
municipi della regione metropolitana.
Una parte importante di questa popolazione – oltre il 22% secondo le più recenti stime – vive nella
cosiddetta “città informale”, in vilas e favelas, in condizioni molto precarie, dovute all’assenza di
infrastrutture, servizi e possibilità d’accesso al lavoro.
Abitazioni fatiscenti, alta disoccupazione, reddito insufficiente, disgregazione familiare, instabilità
del tessuto sociale: tutto ciò si ripercuote soprattutto su bambini e ragazzi, i più esposti
all’abbandono, alla violenza ed allo sfruttamento.
La conseguenza più comune per questi bambini è quella dell’abbandono della scuola per l’entrata
precoce nel mondo del lavoro, spesso associata alla vita in «strada». Nella maggioranza dei casi ciò
compromette definitivamente per questi bambini la possibilità di studiare ed in seguito qualificarsi
professionalmente per emergere dalla loro condizione sociale.
Ecco perché centrale nell’azione di Avsi è il sostegno ad opere educative. I cartelli che seguono
documentano, attraverso le parole di Rosetta Brambilla e di altri volontari, la nascita e lo svilupparsi
di queste opere nelle favelas di Belo Horizonte, attualmente riunite sotto la sigla “Obras educativas
Padre Giussani”.
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LE CRECHES
Sono quattro gli asili (creches) dell’Obras Educativas Padre Giussani attivi attualmente
nelle favelas di Belo Horizonte. L’asilo “Etelvina Caetano de Jesus” nacque nel 1978, sotto
un semplice tendone. Seguirono, negli anni successivi, le creches “Jardim Felicidade”,
“Dora Ribeiro” e “Gilmara Iris”.
«Il lavoro educativo comprende momenti d’incontro, visite alle case, gite, laboratori, feste
con la partecipazione delle famiglie e di tutte le persone della comunità che lo desiderano.
Per le mamme l’asilo è diventato nel tempo un punto di riferimento ed è per tutte loro un
luogo dove si possono incontrare amici, conversare, imparare e costruire. Fin dai primi
anni si è loro offerta l’opportunità di imparare ad accudire i figli e la casa partecipando alle
attività dell’asilo. Oltre ad imparare a lavare, stirare e spazzare, hanno scoperto che
potevano ed erano capaci di dialogare, coccolare e accarezzare i propri figli».
(Helena Perdigão, ottobre 2004)
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CASA NOVELLA
Fra la fine del 2001 e l´inizio del 2002, l’Associação Creche Jardim Felicidade ha costruito nel
bairo “Jardim Felicidade" il Centro "Casa Novella", una struttura d’accoglienza per bambini
abbandonati o in situazioni di rischio.
«In casi d’emergenza, il poter offrire rapidamente un aiuto e un sostegno materiale e
psicologico è di fondamentale importanza e l’allontanamento provvisorio dall’ambito
familiare, a volte, può rappresentare l’unica possibilità di sopravvivenza per questi
bambini.
Il lavoro con le famiglie è un lavoro impegnativo, non privo d’insuccessi, di passi avanti e
poi di ritorno al punto di partenza, ma vale la pena sempre, perché significa valorizzare e
rafforzare ciò che le persone hanno costruito, la loro storia, le relazione esistenti, cioè quel
tessuto sociale e quell’insieme di esperienze che costituiscono il loro patrimonio di vita».
(Rosetta Brambilla, dicembre 2002)
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CENTRO ALVORADA
Il Centro Alvorada è sorto nel 1998 con lo scopo di offrire un luogo educativo per bambini, giovani
e adolescenti del quartiere Jardim Felicidade.
Oggi, ospita 240 adolescenti dai 6 ai 15 anni ed offre, oltre ad un aiuto scolastico, laboratori di
teatro, musica, informatica, arte su legno e attività ricreative. Il Centro Alvorada si prende cura,
inoltre, di altri 78 giovani da 15 fino ai 18 anni che sono accompagnati ed introdotti nel mondo del
lavoro.
«Il Centro socio-educativo Alvorada è nato dall’amicizia fra cinque professori e alcune famiglie,
che volevano poter offrire continuità stabile al lavoro educativo svolto dall’Asilo Jardim Felicidade.
Non è stato pensato come “un progetto a tavolino”, ma si è sviluppato rispondendo alle esigenze
che bambini e famiglie evidenziavano. Oltre al doposcuola, sono così nate attività differenziate
come i laboratori di teatro, musica e danza per accompagnare i giovani nella riscoperta del bello e
della tradizione, l’officina di falegnameria per insegnare l’ordine e l’importanza del lavoro manuale,
il laboratorio di informatica e la biblioteca per assaporare il gusto del conoscere, il cinema e lo sport
per imparare a divertirsi.
Dal 2003, attraverso il progetto “Adolescentes Trabalhadores” del Banco do Brasil, il Centro
Alvorada ha iniziato ad accompagnare circa 100 giovani di 16-17 anni nell’avventura dal primo
lavoro; rinsalda le motivazioni, offre sostegno nelle difficoltà del lavoro e aiuto scolastico».
(Cristina Soffiantini, ottobre 2007)
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LA PRIMA CARITÀ È L’EDUCAZIONE
«L’accoglienza in contesti caratterizzati da povertà, rappresenta non solo una soluzione per
bambini, ma si traduce in un’esperienza educativa per la comunità intera che spinge nel tempo a
ridare al nucleo famigliare un’identità precisa e quindi una solidità».
(Rosetta Brambilla, Dicembre 2002)
«Fin dall’inizio delle creches lo sguardo al bambino si è sempre rivolto anche all’ambito educativo
al quale appartiene, che è la famiglia, anche se molte volte non sapeva affrontare il proprio compito
o avesse bisogno dell’aiuto di qualcuno per scoprirlo. Durante il cammino di questi anni il poter
partecipare del cambiamento di rapporto, assistendo al miracolo di madri che cominciavano ad
occuparsi dei loro figli perché vedevano com’erano trattati ed amati nella creche, ci ha sempre più
convinti che questo è il cammino certo».
(Rosetta Brambilla, S. Natale 2003)
TESTO PANNELLO
LA CARITÀ SARÀ SEMPRE NECESSARIA
Quando c'è qualcosa di bello in noi, noi ci sentiamo spinti a comunicarlo agli altri. Quando si
vedono altri che stanno peggio di noi, ci sentiamo spinti ad aiutarli in qualcosa di nostro. Tale
esigenza è talmente originale, talmente naturale, che è in noi prima ancora che ne siamo coscienti e
noi la chiamiamo giustamente legge dell'esistenza.
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TESTO PANNELLO
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Questa “spinta” verso la carità non è qualcosa di esteriore a noi, come un dovere,
ma qualcosa che coincide con noi stessi: siamo fatti così, abbiamo questa struttura.
Questo darsi, questo comunicarsi, questo interessarsi all’altro, fa parte della nostra
natura così come la sorprendiamo nell’esperienza.
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“Ti ho amato con un amore eterno e ho avuto pietà del tuo niente”
(Geremia)
La vera carità è questo entrare, questo condividere il nostro nulla da parte del Figlio di Dio.
La carità non è una generosità: la generosità parte da quello che a noi manca, che
vogliamo riempire con qualcosa, e prima o poi ci stanchiamo. La gratuità, invece,
parte da quello che sobbalza nel nostro cuore, da quello che ci riempie, da quello
che trabocca di quello che noi riceviamo a nostra volta.
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Se noi non allarghiamo la nostra ragione per essere disponibili a cogliere, a
sorprendere, a lasciare venire fuori veramente il bisogno dell’altro, ci sembra
sempre che ci debba essere qualcuno che ci dice cosa dobbiamo essere o qual è il
nostro vero bisogno. Se non ci rendiamo veramente disponibili ad ascoltare, ad
accogliere il vero bisogno, come possiamo non imporre la nostra misura?
Soltanto condividendo ci rendiamo conto che «non siamo noi a farli contenti.
(Julián Carron)
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Il nostro bisogno è essere contenti, il nostro vero bisogno è la felicità. L’unica vera giustizia
piena è quella che corrisponde alla nostra esigenza di pienezza; qualsiasi altra idea di giustizia
è riduttiva. Perciò andare fino in fondo è come capire di più noi stessi, la realtà e il bisogno
che abbiamo noi, e che hanno gli altri, dell’unica risposta, di che cosa mi corrisponde, perché
attraverso questa condivisione, attraverso l’impotenza del mio tentativo, io capisco che quello
di cui hanno bisogno è quello di cui ho bisogno io: Cristo.
(Julián Carron)
«La carità sarà sempre necessaria, anche nella società più giusta. Non c’è nessun
ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole
sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo”.
(Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 28)
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Gesù non ha guarito tutti gli ammalati del suo tempo: avrebbe potuto farlo, aveva la
possibilità di farlo e non l’ha fatto.
Quando sentiamo la nostra impotenza nel rispondere a tutti, non dobbiamo scoraggiarci,
perché neanche Lui, che poteva farlo, l’ha fatto. Quando rispondiamo, quello che possiamo
fare è come un segno attraverso cui portiamo tutto.
Quello che a noi tante volte manca è vedere nel particolare, nel gesto concretissimo, la totalità.
Per rispondere al bisogno Gesù ha fatto, a volte, dei miracoli; attraverso quei segni era come
dicesse: «Guardate che ci sono io. Guardate che la realtà è più grande di quello che voi avete
in testa, e non siete da soli con il vostro nulla: ci sono io qui». Questo rispondeva molto di più
al vero bisogno, perché rispondendo al bisogno concreto, rendeva presente quella Sua
presenza, che era la risposta totale.
(Julián Carrón)
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Le foto esposte sono state scattate da Fabrizio Arigossi a Belo Horizonte e San Paolo in occasione
di due viaggi in Brasile nel gennaio 2005 e nel febbraio e marzo 2007.
Le citazioni di don Luigi Giussani sono tratte da “Il senso della caritativa”(1° ed. Milano, 1961);
quelle di don Julián Carrón si riferiscono all’intervento all’assemblea dei responsabili delle Tende
Avsi 2006/2007 e degli Avsi Point, tenuta a Milano il 18 novembre 2006.
Hanno collaborato:
Fabrizio Arigossi, Antonio Battistella, Emanuele Beltrami, Alice Bertoli, Costanza Giatti, Gottardo
Giatti, Martin Götsch, Neide Lima de Oliveira, Giuseppe Marzano, Annamaria Mendola, Franco
Pedranz, Nicola Properzi, Cristina Soffiantini, Marco Stefanini, Roberto Vivarelli
La mostra è stata realizzata con il contributo della Provincia Autonoma di Bolzano – Ripartizione
Presidenza, Ufficio affari di gabinetto.
Musiche: “STABAT MATER” di Giovanni Battista Pergolesi
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