Comments
Transcript
CORSO DI LOGICA E METODOLOGIA giuridica13
Anno accademico 2011/2012 Lucia Corso • Riflettere sul modo in cui i giuristi ragionano Esiste una specificità del ragionamento giuridico? – Esistono differenze in base al ruolo (giudice, legislatore, amministratore, cittadino, poliziotto)? – • Guardare alle regole e ai principi che sovraintendono al ragionamento del giurista Regole di tipo giuridico (es. art. 12 delle preleggi al codice civile) – Regole di tipo logico – argomentativo (ragionamento deduttivo, induttivo, abduttivo, argomenti, etc.. ) – Regole di altro tipo (es. morale, economico, politico, pragmatico generale) – Provare ad abbozzare una teoria convincente su come i giuristi dovrebbero ragionare (ovviamente con l’ausilio di teorie già collaudate) Mettere in pratica le nozioni apprese guardando a sentenze, testi di legge, provvedimenti amministrativi. Provare a ragionare da giuristi Verità giuridica /verità scientifica a) onere della prova b) divieto di utilizzo della scientia privata c) finzioni giuridiche Decisione secondo diritto / secondo giustizia F. Schauer: Thinking Like a Lawyer Auto integrazione / eterointegrazione Quanto maggiore è la divaricazione fra verità giuridica e verità comune; tanto maggiore è la divaricazione fra ragionamento giuridico e ragionamento pratico generale; tanto più si esclude il ricorso all’eterointegrazione, tanto più si afferma la specificità del ragionamento giuridico The The Bramble Bush (1930): hardest job of the first year is to lop off your common sense, to knock your ethics into temporary anesthesia. Your view of social policy, your sense of justice – to knock these out of you along with woozy thinking, along with ideas all fuzzed along their edges Facoltà di giurisprudenza e studio tecnico. Attenersi allo studio dei codici Dogmatica giuridica Concetti astratti – ma elaborati con un metodo tipico dei giuristi (storicosistematico) In realtà, mentre la Scuola Storica di Savigny rimane fedele al metodo storico (e per questo polemizza con la scuola di diritto naturale), la Pandettistica finirà per rinunciare al sistema storico e sostituirlo con la dogmatica L’insegnamento delle varie discipline giuridiche comincia dall’analisi delle decisioni giudiziarie, procede per astrazione alla formulazione di principi e di dottrine che poi vengono classificate nelle varie branche del diritto dei contratti, della responsabilità civile, del diritto penale • Qual è l’obiettivo delle facoltà di giurisprudenza? • Il ragionamento giuridico è diverso dal ragionamento comune? • Esiste un modo di ragionare di ingegneri? Medici? Professori? • • Il diritto è essenzialmente un’attività interprativa La conclusione a cui si è giunti nel corso di filosofia è la seguente: Il diritto si manifesta come azione e attività guidate da regole, spesso rafforzate da sanzioni specifiche e organizzate in strutture procedurali e istituzionali, che danno vita a pratiche sociali di tipo interpretativo al fine di garantire e perseguire valori fondamentali della vita personale e sociale • • • Dalla definizione sopra esposta risulta che il diritto non è un sistema chiuso – come un sistema matematico, ad esempio –. La prassi giuridica al contrario si presenta spesso sovrapposta ad atteggiamenti morali, sociali, all’economia e alla politica. Questo si riflette sul modo di ragionare dei giuristi che non può ridursi ad un modo di ragionare chiuso a quello che succede nel mondo Karl Engisch: regaleremmo mai ad un amico per natale un codice civile o un Trattato di Diritto Commerciale? Di certo, no. Ma Perché? Diritto e artificialità Descrittivo Normativo Il dibattito sulla specificità di una ragionamento giuridico è vecchio almeno trecento anni. Nel 1681 Thomas Hobbes scrive: A dialogue between a philospher and a student of common law. • Lord Coke affermava che il diritto segue un’artificial reason (una ragione artificiale) che si apprende con lo studio di precedenti, di dottrina, di testi ma anche di filosofia morale. • Per Hobbes: il diritto non è altro che volontà del sovrano. Per ricostruire la volontà del sovrano basta la ragione naturale: quella che si affina in poco tempo e che tutti – cittadini compresi - possiedono • • L’idea che il ragionamento giuridico presupponga una ragione artificiale – che si acquisisce con anni di studio ed esperienza pratica – si accompagna a quella secondo cui l’interpretazione del diritto deve essere demandata in via prevalente – se non esclusiva – al ceto dei giuristi. L’attacco all’artificial reason è spesso un attacco al ceto dei giuristi. John Locke: “Più d’uno che aveva a prima vista creduto di comprendere un passo della Bibbia o una clausola del codice che ha smarrito completamente l’intelligenza dopo aver consultato dei commentatori le cui spiegazioni hanno aumentato o fatto sorgere in lui dei dubbi e hanno sprofondato il testo nell’oscurità”. (Essay Concerning Human Understanding, Libro III, cap. IX). • • • • Tendenza a ragionare in termini di responsabilità (chi è stato? Chi ha causato cosa?) cioè in termini di diritti e doveri Tendenza a giudicare senza andare a fondo alle questioni – e cioè con uno sguardo prevalente alle condotte esteriori Per la tendenza a ragionare partendo da regole generali Per la tendenza a contestualizzare – caso per caso (sentiamo spesso dire all’avvocato: “dipende da”) Il ragionamento pratico funziona all things considered Il ragionamento giuridico taglia corto. La tendenza alla superficialità (cioè sguardo alle azioni esteriori) del ragionamento giuridico si scontra con la inclinazione – tutta umana – a lasciar scorrere i giudizi di valore. E’ possibile decidere senza comprendere? Jeremy Bentham: il diritto va formulato in espressioni semplici e comprensibili a tutti. Maggiore oscurità vi è nei testi, maggiore è il rischio che i cittadini siano alla mercé dei capricci, dei privilegi o delle sottigliezze di giudici e avvocati. Formalismo Realismo Ragionamento giuridico come parte del ragionamento pratico. Opacità del diritto: Schauer Garantismo penale: Ferrajoli • • • Il formalismo afferma una sostanziale divaricazione fra modo di ragionare dei giuristi e modo di ragionare comunemente pratico (incluso il modo di ragionare di chi assume un punto di vista morale). Si noti che il formalismo non assume una divaricazione fra modo di ragionare dei giuristi e modo di ragionare degli scienziati comuni. Anzi il formalismo crede nella verità delle proposizioni normative. E tuttavia esso assume una divaricazione fra ragionamento pratico generale e ragionamento giuridico. Separazione fra giudizi avalutativi (giuridici) e giudizi di valore (non giuridici) • Cominciamo dalla seguente affermazione di Tocqueville: • Men who have made a special study of the laws derive from this occupation certain habits of order, a taste for formalities, and a kind of instinctive regard for the regular connection of ideas . . . . [T]hey are the masters of a science which is necessary, but which is not very generally known . . . . Add to this that they naturally constitute a body; . . . the analogy of their studies and the uniformity of their methods connect their minds as a common interest might unite their endeavors. (La DEMOCRAZIA IN AMERICA – 1835). Tocqueville rintraccia nella forma mentis del giurista – di colui che ha studiato legge per anni una certa abitudine all’ordine; un gusto per le forme; un rispetto istintivo per l’associazione regolare di idee. • • La prima caratteristica del formalismo è che esso mette l’accento sulla differenza che corre fra modo di risolvere il caso secondo criteri di buon senso ovvero morali, e il modo di risolvere il caso secondo diritto. Il giudice che applica la legge non ha nulla a che vedere con l’uomo che risolve la controversia secondo criteri morali, pragmatici, di buon senso. Altra caratteristica del formalismo è l’idea che il ragionamento giuridico non sia tanto dissimile dal ragionamento scientifico. Il giudice conosce il diritto – lo applica -. Non lo crea ex novo (sul punto, cfr. il rapporto fra Formalismo e Garantismo) Età della codificazione Scuola dell’Esegesi Interpretazione letterale Il diritto è legge La lettura del testo è diretta L’interpretazione deve essere letterale Logica giuridica è logica formale Accanto ad un formalismo testualista (favorevole all’interpretazione letterale, con predilezione dei metodi sintattici e semantici) vi è un formalismo concettuale La giurisprudenza dei concetti della Pandettistica (Puchta) predilige il metodo sistematico. Anche in questo caso, il paradigma di riferimento è quello della logica formale. Il ragionamento giuridico, secondo Schauer, si contraddistingue per la tendenza a decidere attraverso regole generali. La generalità comporta il sacrificio della giustizia di certi casi concreti (Coke diceva: It is better saith the Law to suffer a mischiefe - that is particular to one - than an inconvenience that may prejudice many). • Schauer menziona l’esempio della sentenza della Corte Suprema: United States v. Locke, in cui la Corte fu chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di una richiesta di rinnovo di concessione presentata il 31 dicembre 1982. L’ufficio competente aveva rigettato la richiesta perché la legge richiedeva che fosse presentata prima del 31 dicembre di ogni anno. E sebbene il linguaggio della legge fosse viziato – in quanto si sarebbe dovuto dire: il 31 e prima del 31 …. – la Corte concluse che i particolari diritti di Locke e gli altri ricorrenti erano meno importanti della regola generale, secondo cui la corte non può correggere errori, sia pure formali o maldestri, del congresso. Questo modo di procedere sembra peraltro più conforme al principio del rule of law: il principio per cui deve essere il diritto (le regole) a governare e non gli uomini 471 U.S. 84 (1985). • • In altri termini: per il diritto è preferibile sacrificare la giustezza di un caso per salvare un regola piuttosto che sacrificare la regola per raggiungere la giustezza di un caso. Questo, per Schauer, costituirebbe l’essenza della rule of law. “quando il concetto di rule of law (governo della legge) viene definito – come tradizionalmente si fa – in contrasto alla rule of men (al governo degli uomini) – l’idea è che la rule of law è indipendente dal giudizio individuale e resistente alle modifiche che possono essere apportate dal capriccio degli individui particolari. Per cui, se possa sembrare ingiusto qualche volta ritenere che una regola chiara e precisa o un precedente vincolino il giudice nei risultati seppure il giudice ritenga la conclusione sbagliata, il seguire una regola o un precedente che il giudice ritenga errato è ciò che il diritto si attende che i decisori facciano”. • • Opacità: le regole il più delle volte trovano applicazione a prescindere dalla ragioni per cui sono state introdotte. Joseph Raz ha enfatizzato questo concetto affermando che le regole sono content independent : e cioè, sebbene introdotte per qualche ragione, trovano applicazione indipendentemente dalla ragione per cui sono state introdotte e addirittura talvolta contro la ragione per cui sono state introdotte. Sostanziale chiarezza delle regole: il formalismo presuppone che le regole sono sostanzialmente chiare e conoscibili: Schauer riconosce la distinzione di Hart fra nucleo e penombra, ma ritiene che si sopravvaluti l’ambiguità dei testi di legge. L’ambiguità si spiega alla luce del cd. Selection Effect Schauer ci dice che il ragionamento giuridico si contraddistingue per il frequente ricorso ad argomenti formali (o procedurali) Formalismo in senso stretto: il ragionamento giuridico è pieno di argomenti formali (nullità delle notifiche; termini di decadenza, cause di inammissibilità) Il ricorso amministrativo proposto oltre il termine di 60 gg. è inammissibile perché tardivo. Il ricorso che non indica chiaramente i motivi di illegittimitàa è inammissibile perché troppo generico Il ricorso proposto contro un provvedimento ingiusto da chi tutto non si gioverebbe immediatamente della sentenza di annullamento è inammissibile per carenza di interesse il vizio di notifica annulla l’intera procedura La mancata comunicazione di avvio del procedimento amministrativo annulla l’intero procedimento La mancata produzione di documenti può compromettere l’esito del giudizio o di un’istanza amministrativa • Le regole decidono per casi generali (astratti e per classi di individui indifferenziate). Non deve stupire pertanto che può accadere che la regola mal si adatta al caso concreto. Qualche anno fa fu emanata una legge negli Stati Uniti che faceva divieto di pagare il viaggio negli Stati Uniti al lavoratore immigrante che si intendeva assumere. La norma era stata introdotta per evitare che i datori di lavoro americani assumessero in massa manodopera a basso costo che avrebbero attratto pagando il viaggio. Una chiesa, la Church of the Holy Trinity assunse un pastore che proveniva da un territorio straniero e gli pagò il viaggio e fu accusata di aver violato la legge anti-immigrazione clandestina. Il pastore tuttavia era in regola con il permesso di soggiorno. La chiesa fu condannata ma si appellò alla Corte Suprema che concluse che la legge non andava applicata alla lettera in questo caso perché la legge si fondava sull’assunto che il datore di lavoro frodasse il governo facendo sbarcare negli Stati Uniti una massa cospicua di lavoratori. Non poteva dunque trovare applicazione il divieto qualora si trattasse di un solo individuo (United States v. Church of the Holy Trinity). questione di legittimità costituzionale dell'art. 235 del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione Dice la Corte: l’art. 235, 2 non si applica ad ipotesi di fecondazione eterologa: occorre guardare allo spirito della legge Sennonché questa norma riguarda esclusivamente la generazione che segua ad un rapporto adulterino, ammettendo il disconoscimento della paternità in tassative ipotesi, quando le circostanze indicate dal legislatore facciano presumere che la gravidanza sia riconducibile, in violazione del dovere di reciproca fedeltà, ad un rapporto sessuale con persona diversa dal coniuge. La possibilità che ipotesi nuove, non previste al tempo dell’approvazione di una norma, siano disciplinate dalla stessa non è da escludersi in generale. Ma tale possibilità implica un’omogeneità di elementi essenziali e un’identità di ratio; nella cui carenza l’estensione della portata normativa della legge si risolverebbe in un arbitrio Modalità di risoluzione dei casi attraverso scorciatoie: Fino a qualche tempo fa cambiare nome ad una barca acquistata era reato: perché faceva presumere che la barca fosse stata rubata. (pensiamo al reato di ricettazione che vale a prescindere dall’elemento soggettivo). Schauer precisa che le finzioni giuridiche non sono un modo di separare il diritto dalla realtà (tipo le prove divine), ma si fondano su generalizzazioni. La generalizzazione può essere un utile strumento euristico Il ragionamento giuridico è conservatore? Certezza del diritto Separazione dei poteri Argomenti di autorità • • Il diritto è quella modalità di risoluzione del conflitto che funziona attraverso regole generali, spesso grossolane rispetto al caso concreto, le cui ragioni sono spesso opache e comunque irrilevanti per la decisione. Una modalità di risoluzione del conflitto più sbrigativa e più approssimativa di quella che si avrebbe se si valutassero tutti gli argomenti a disposizione. Questo modo di procedere persegue i valori della prevedibilità e della certezza, che sono necessari per stabilizzare la fiducia e per ridurre l’ansia che ci accompagna da quando entriamo nella società. Il ragionamento giuridico si riferisce alla condotta esteriore (principio di materialità; di offensività) Formalismo e garantismo: Luigi Ferrajoli Formalismo e neutralità La tesi di Ferrajoli è che a partire dall’Illuminismo cambia l’idea del diritto: cambiamento che corrisponde all’affermazione sia a livello teorico che a livello normativo assiologico della separazione fra diritto e morale. Il diritto penale garantista (prodotto del Illuministico) si contraddistingue per le caratteristiche: stretta legalità Materialità ed offensività dei reati Responsabilità personale Contraddittorio e presunzione di innocenza pensiero seguenti secondo un primo significato, garantismo indica un modello normativo di diritto: E precisamente, per quanto riguarda il diritto penale, il modello di stretta legalità proprio dello stato di diritto, che: sul piano epistemologico si caratterizza come un sistema cognitivo e di potere minimo, sul piano politico come una tecnica idonea a minimizzare la violenza e a massimizzare la libertà, e sul piano giuridico come un sistema di vincoli imposti alla potestà punitiva dello stato a garanzia dei diritti dei cittadini. In sostanza un diritto penale garantista è quello che assicura che l’imputato riceva le massime garanzie e che il diritto penale sia solo finalizzato a prevenire che qualcuno arrechi danno ad altri. I diversi principi garantisti si configurano, innanzitutto, come uno schema epistemologico di identificazione della devianza penale diretto ad assicurare il massimo grado di razionalità e di attendibilità di giudizio, e quindi la limitazione della potestà punitiva e di tutela della persona contro l’arbitrio. Lo schema epistemologico garantista attiene a due livelli: Definizione legislativa (garanzie penali) Accertamento giurisdizionale della devianza punibile Il diritto penale garantista si contraddistingue per un diritto improntato, fra le altre cose, ai seguenti principi: convenzionalismo (nullum crimen sine lege); cognitivismo (nulla poena sine iudicio); stretta legalità. Materialità: una legge può prevedere un fatto come reato nella misura in cui descriva il fatto nei termini di condotta esteriore; Offensività: la condotta sia lesiva di un bene giuridico, stretta giurisdizionalità: il fatto deve essere accertato da un giudice terzo, imparziale; grava sull’accusa l’onere della prova; il diritto di difesa è inviolabile E’ reato solo ed esclusivamente ciò che la legge definisce tale. Il legislatore non scopre fattispecie che per natura si contraddistinguono per immoralità, ma le crea. Tuttavia, dice Ferrajoli, la legge funziona con una modalità regolativa e non costitutiva: in quanto il legislatore deve limitarsi a qualificare come reato azioni esteriori che si contraddistinguono per la loro lesività nei confronti di un bene giuridico di terzi. Si tratta dell’assioma giuspositivista per eccellenza (Hobbes, Bentham, Austin). La legge è tale perché dietro vi è un atto di volontà – o comunque di produzione tipicamente umana. Ferrajoli però non si limita a sancire che il positivismo giuridico in materia penale richiede che il diritto sia solo ciò che è ha stabilito il legislatore. Il legislatore può infatti qualificare qualsiasi condotta come reato (anche mangiare un gelato). Il principio di stretta legalità implica che la condotta stigmatizzata sia identificabile in termini empirici. Siccome uno dei presupposti del positivismo giuridico è che il giudice si limiti ad applicare la legge (fatta da altri), allora la definizione legislativa deve essere quanto più precisa possibile. La verificabilità empirica della condotta presuppone anche altri principi euristici che consistono in vere e proprie garanzie processuali (il principio del contraddittorio, il principio dell’onere della prova, la difesa, etc…). il fatto deve essere accertato da un giudice terzo, imparziale; grava sull’accusa l’onere della prova; il diritto di difesa è inviolabile Nulla poena sine crimine Nullum crimen sine lege Nulla lex (poenalis) sine necessitate Nulla iniuria sine actione Nulla actio sine culpa Nullum iudicium sine accusatione Nulla accusatio sine probatione Nulla probatio sine defensione Vi sarebbe una relazione inversa fra i due termini nelle dottrine sostanzialistiche ed in quelle garantiste. Nel sostanzialismo vi è la pretesa di una fondazione razionale del diritto penale, con la conseguenza che all’attività giurisdizionale è concessa più ampia discrezionalità. Sicché il paradosso è che per la legislazione vale il principio: veritas non auctoritas facit legem, ma per la giurisdizione vale il principio opposto: auctoritas non veritas facit iudicium In virtù del principio di legalità: è reato solo quello che la legge stabilisce come tale (auctoritas non veritas facit legem) In virtù dei principi di stretta legalità e di stretta giurisdizionalità: veritas non auctoritas facit iudicium. La teoria del garantismo penale di Ferrajoli condivide con il formalismo di cui abbiamo discusso in precedenza parecchie aspirazioni: a) l’aspirazione a che il legislatore definisca la condotta criminosa sottostando a vincoli di vario tipo (stretta legalità) (offensività, materialità) b) l’aspirazione a che giudice si limiti a ricostruire i fatti con un metodo quanto più possibile accurato senza che sia chiamato a pronunciarsi su elementi ambigui che lascino un margine a forte discrezionalità (materialità). c) l’aspirazione alla neutralità del giudizio Uno o molti formalismi? sintesi Nell’accezione più diffusa il formalismo è una teoria descrittiva sul ragionamento giuridico che assume che questo funziona secondo un modello rigorosamente logico, meccanico (come una slot machine). In realtà, questa descrizione del formalismo – che accomuna testualisti rigorosi e dogmatici – è più frutto della ricostruzione dei suoi detrattori che di altro (Brian Tamanaha). Fu Roscoe Pound (fondatore della cd. giurisprudenza sociologica, a coniare l’espressione: mechanical jurisprudence) Nella versione di Frederick Schauer il formalismo è l’unthinking application of rules Generalità delle regole Opacità Autorità Abbondanza di argomenti procedurali Scissione del giudice: quando applico le regole non mi chiedo se siano o meno giuste, né guardo alle conseguenze. Secondo Duncan Kennedy il pensiero formalista si contraddistingue per l’utilizzo di argomenti deontologici a scapito di quelli conseguenzialisti. LUCI Stato di diritto Certezza Sottoposizione del giudice alla legge Poca vischiosità del diritto Giudizio sulle azioni e non sulla persona OMBRE Ottusità legalismo • Il formalismo in estrema sintesi pone l’accento sull’aspetto eteronomo del diritto. In altri termini, il formalismo insiste nell’affermare che il giudice che applica il diritto sta decidendo il caso secondo una regola fissata da altri. Che la regola preceda il giudizio è una delle ambizioni dello stato di diritto. Se governo del diritto significa soggezione del potere pubblico (e privato entro certi limiti) alle regole di diritto, allora il giudice che decide secondo diritto – anziché – secondo coscienza è il giudice che osserva il principio imposto dalla rule of law. Certezza del diritto – Principio di uguaglianza – • Limiti • • • Vaghezza della regola Ingiustizia della regola Libero convincimento del giudice Vasilij Grossman “Ben di rado gli era successo di incontrare nei lager gente che si fosse effettivamente battuta contro il potere sovietico. Ex ufficiali zaristi erano finiti nei lager non per aver messo su un’organizzazione monarchica, ma solo in previsione del fatto che avrebbero potuto farlo. Nei lager scontavano la loro pena socialdemocratici e socialisti rivoluzionari. Molti erano stati arrestati nel momento in cui – da quei piccoli borghesi che erano – si erano mostrati lealisti e politicamente inattivi. Li avevano messi dentro non perché si erano battuti contro lo Stato sovietico, ma solo perché v’era la possibilità che lo facessero. Contadini venivano spediti nei lager non perché si battevano contro i kolchoz. Ci mandavano quelli che in determinate condizioni, avrebbero potuto opporsi ai kolchoz. [….]. Il terrore era rivolto non contro i criminali, ma contro coloro che, secondo gli organi repressivi, avevano una probabilità solo un poco maggiore di diventarlo”. Questa situazione si ripercuote sulla la psicologia della vittima del terrore che perde il senso del giusto e dell’ingiusto. Perde la capacità di giudicare la colpevolezza propria o altrui. “Ma lo straordinario era che la gente condannata per una causa, per aver effettivamente lottato contro lo Stato sovietico, riteneva che tutti gli zek, i detenuti politici, fossero innocenti, tutti senza esclusione meritevoli di essere rimessi in libertà. Chi invece era detenuto per colpe fasulle, per cose inventate, montate – e ce n’erano milioni – tendeva ad amnistiare solo se stesso e si sforzava di dimostrare l’effettiva colpevolezza di spie, kulaki, parassiti, come lui accusati senza ragione, giustificando la crudeltà dello Stato”. Teoriche: e’ possibile stabilire una cesura netta fra fatti ed intenzioni? Il diritto – anche in un’impalcatura garantista – ritiene rilevante la colpevolezza dell’autore della condotta Normative: e’ il formalismo che garantisce libertà o i valori a cui normalmente il formalismo si ispira? Ferrajoli riconosce che dietro alla impalcatura garantista vi sia il valore della libertà. Il diritto penale garantista mira a far sì che le ipotesi in cui un innocente sia condannato ingiustamente siano ridotte al minimo, pur mettendo in campo una struttura che garantisce un certo grado di ordine. Il giudizio sulla condotta esteriore oltre ad essere più verificabile o falsificabile (e quindi predicabile in termini di verità approssimativa) è meno vischioso. • E’ meglio rendere espliciti i presupposti morali di alcune strutture formali del diritto. L’idea che è la condotta esteriore che va sanzionata e non l’intenzione malvagia non è semplicemente il risultato di un’impostazione formalista – sebbene si accompagni di regola a quest’ultima – ma è piuttosto il corollario (già intuito da Kant che di certo non può definirsi formalista) di un sistema giuridico che fa della libertà uno dei principali valori da difendere. Neutralità Impersonalità Indifferenza nei confronti del risultato “io non valuto la questione dal punto di vista morale, sto solo applicando il diritto” Thomas Hobbes: il buon giudice è colui che: • Disprezza le ricchezze non necessarie e le promozioni; • Possiede la capacità nel giudicare di deporre passioni come rabbia, compassione e amore; • Possiede pazienza ed attenzione nell’ascoltare, memoria nel trattenere, assimilare ed utilizzare quello che si è ascoltato Divieto di utilizzo della propria scienza privata; Obbligo di astensione Ricusazione Giudice naturale precostituito per legge Divieto di costituzione di tribunali speciali • • Teoriche: E’ veramente possibile nel giudizio prescindere dalle proprie convinzioni etiche più profonde? E’ veramente possibile prescindere da opinioni sul fatto o magari conoscenze acquisite per altre vie? Normative: , il giudizio che prescinde da valori, emozioni, sentimenti (ivi incluso il sentimento di giustizia) è veramente superiore a quello che invece ammette elementi spuri nella valutazione dei fatti di causa? Ottusità del giudizio: giudicare senza comprendere Legalismo: ciò che è reato è anche peccato. • l’impalcatura teorica del formalismo (almeno nella sua versione radicale) è compatibile con l’idea di un giudizio di tipo meccanizzato, dove l’uomo giudice – con le sue emozioni, passioni, prese di posizione morali – sia messo a tacere. Ora, la reiterata soppressione del punto di vista morale di fronte a quello giuridico può degenerare in un’atrofia del giudizio morale. L’uomo macchina applica il diritto con massima neutralità, con estrema fedeltà ai principi formali prima illustrati. Ma che tipo di decisioni vengono fuori? • • Charles Dickens: Ora, quel che voglio sono Fatti. Solo Fatti dovete insegnare a questi ragazzi”. Un giorno, il sig. Gradgrind sentendo la figlia sospirare: “A volte immagino…”, la interruppe dicendo: “Louisa, mai immaginare!”. “Qui stava, appunto, la molla segreta del misterioso meccanismo con cui educare la ragione senza piegarsi a coltivare sentimenti e affetti. Mai usare l’immaginazione! Sistemare tutto in qualche modo, ricorrendo ad addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni, ma senza mai usare l’immaginazione”. C. Dickens, Tempi difficili, Einaudi, 1999, p. 62. • C’è un’ampia letteratura psichiatrica sugli enormi disturbi della personalità che colpiscono zone del cervello che controllano gli effetti e le emozioni. Quello che viene fuori da questi studi è che le azioni (e dunque anche le decisioni) di chi non prova nulla, manca di empatia, non si lascia coinvolgere, sono quasi sempre sconnesse, sbagliate, da un punto di vista morale. Ora, se ritorniamo al nostro tema, si può seriamente dubitare che una decisione giuridica – che comunque comporta il più delle volte una distribuzione di responsabilità - possa essere presa attraverso un giudizio che atrofizzi gli aspetti affettivi. Judith Shklar: quell’atteggiamento mentale, molto diffuso fra i giuristi, che ritiene che il diritto sia lì fuori e cioè dato una volta e per tutte e precostituito rispetto al giudizio. A dire della Shklar sia il giuspositivismo che il giusnaturalismo peccano di legalismo Bobbio definisce il giuspositivismo ideologico quella teoria che fa coincidere giustizia e legalità, partendo dal presupposto che ciò che è legge è per definizione giusto. Il giuspositivismo ideologico si accompagna spesso alla fede nel potere politico E’ legalista colui che prendendo talmente sul serio il proprio posto nella società (giudice, cittadino coscienzioso che sporge denuncia, condomino attento al rispetto delle regole condominiali) finisce per non interrogarsi più sulle ragioni dietro alle regole. Mentre il giuspositivismo ideologico assume una fede nel potere politico (la legge è giusta perché espressione della volontà statale), il legalismo è la cieca fiducia nella legge anche contro il potere dello stato. Il legalismo, infatti, presuppone una certa autonomia del diritto dalla politica. I regimi più tirannici, quelli totalitari, volevano sbarazzarsi del ceto dei giuristi: in quanto i giuristi erano visti come concorrenti. Hitler, ad esempio, proclama che uno dei suoi primi obiettivi è quello di sbarazzarsi degli avvocati – e poi del diritto nel suo insieme Il legalismo è quel fenomeno che si verifica quando – a seguito dell’atrofia del giudizio morale (dovuto a varie cause, ma soprattutto alla rinuncia a formulare tesi personali per conformismo o per paura di esporsi o per reale profondo cinismo) – il giudizio secondo diritto soppianta il giudizio morale e si sostituisce totalmente a quello. Il diritto, la legge diventano regole morali Vecchio e nuovo La tesi realista contesta i presupposti formalisti della sostanziale capacità direzionale del diritto. I realisti al contrario segnalano che le decisioni giudiziarie sono il risultato di fattori extra legali spesso imponderabili, dalla personalità di chi giudica, alla affiliazione politica, all’ideologia, alla simpatia nei confronti delle parti, alle conoscenze di fondo (non solo giuridiche) Le motivazioni sono razionalizzazioni ex post Cosa ci spinge all’azione? (Michael Gazzaniga e il paziente in stato di ipnosi) Il diritto è un fatto Teorie predittive dell’obbligo Importanza della sanzione Roscoe Pound (1870-1964) “law in action” e “law in books” Opere: Justice according to law - 1914; The Spirit of the Common Law, 1921; Introduction to the philosophy of law 1922 Pound nacque il 27 ottobre del 1870 a Lincoln, Nebraska. Figlio di un giudice Dal 1890 al 1903 Pound esercitò l’attività forense, insegnò all’Università del Nebraska, conseguì un dottorato in botanica. Servì come funzionario di un tribunale del Nebraska “Sulle ragioni della insoddisfazione popolare nei confronti dell’amministrazione della giustizia” (discorso tenuto di fronte all’American Bar Association) Law must be stable, but it must not stand still Pound contestava l’idea che alla base della common law vi fosse un diritto naturale inflessibile ed immutabile. Credeva fermamente che nella common law vi fossero dei principi costanti – specialmente relativi al metodo – cui diede il nome di “tradizione giuridica appresa” (taught legal tradition). • • Il compito dei giudici di common law è quello di valutare gli effetti delle proprie decisioni e di contribuire al progresso sociale. La giurisprudenza sociologica si oppone – in Pound – alla giurisprudenza meccanica. Con questo secondo termine, Pound intendeva la rigida applicazione del precedente senza aver alcun riguardo alle conseguenze che tale applicazione comporta. Nonostante il desiderio di adattare il diritto ai bisogni della società Pound non riteneva che il diritto dovesse anticipare ma piuttosto seguire i cambiamenti sociali. La certezza del diritto, specialmente in quelle aree come il diritto commerciale o il diritto di proprietà, è più utile che il pragmatismo applicato caso per caso. perplessità Pound manifestò nei confronti della legge del Congresso (o dei Parlamenti statali): i cambiamenti graduali della giurisprudenza erano più convenienti dei cambiamenti repentini del legislatore. Dall’esperienza di botanico, Pound ereditò la percezione del diritto come di una rete senza semi (e cioè senza che fosse possibile rintracciarne le origini): allo stesso modo di quanto non avviene in natura. Con la conseguenza che qualsiasi mutamento di una parte dell’organismo si riflette anche sulle altre senza che tali effetti fossero voluti o previsti. The Path of Law; the Common Law The life of law has not been logic; it has been experience Il giudice deve dotarsi di strumenti di analisi sociale e psicologica per arrivare alla soluzione migliore. Oliver Wendell Holmes nacque a Boston, nel Massachusetts. Fu il maggiore di tre figli. Il padre, chiamato come lui, era medico e fondatore di un’importante rivista The Atlantic Monthly. La madre, Amelia Jackson, era un’abolizionista. Holmes ebbe una relazione controversa col padre, che spesso tuonava contro il figlio dalle colonne dell’Atlantic Monthly, mentre acquisì la sua proverbiale autostima dalla madre, di cui era il favorito. Frequentò il College di Harvard all’inizio del 1857 Guerra civile Poco prima del quarantesimo compleanno fu invitato a tenere le Lowell Lectures. Il libro che ne risultò dalla pubblicazione di queste lezioni fu The Common Law che gli portò il successo da sempre agognato. Poco dopo, Holmes accettò di insegnare alla facoltà di giurisprudenza di Harvard, sebbene già durante il primo anno di corso lasciò la facoltà perché nominato giudice della Corte Suprema del Massachusetts, dove rimase fino al 1902. Poi diventò giudice della Corte Suprema, su nomina di Theodore Roosevelt. Rimase alla Corte Suprema per 29 anni, fino all’età di 90 anni. Era sposato ma senza figli. Prima nel suo The Common Law e poi in the Path of Law afferma che la scienza giuridica dovrebbe dotarsi di strumenti empirici e che l’attività principale per avvicinarsi al materiale giuridico è la previsione: “the life of law has not been logic; it has been experience”. In altri termini, occorre dotarsi di strumenti che ci consentano di fare delle previsioni su come i giudici risolveranno un certo caso. Holmes però riconosce che una parte rilevante degli strumenti a disposizione di chi deve fare una previsione è data dalla dottrina giuridica – sul presupposto che di norma i giudici seguono la dottrina O. W. Holmes, Common Law, 1881, p. 1. Nel 1881, con l’uscita del Common Law, l’attacco di Holmes andò al formalismo insegnato a Harvard – secondo l’impostazione di Christopher Columbus Langdell. La sua ampia conoscenza filosofica e storia (faceva parte del Club dei Metafisici – un gruppo di pragmatisti nascenti come Charles S. Pierce, Nicholas Green a William James) e la sua devozione per il Darwinismo Sociale di Herbert Spencer lo condussero ad essere del tutto scettico sull’esistenza del diritto naturale e di diritti naturali. La questione allora è: cosa prende il posto del diritto naturale e dei diritti naturali? Per Holmes, la risposta iniziale fu quella del costume e della tradizione oggettive: si trattava del cd. community standard esemplificato nelle decisioni giudiziali Ma nel 1897, all’uscita del saggio The Path of Law, alcune delle opinioni di Holmes cambiarono. L’intensificarsi dei conflitti fra lavoratori e dirigenti nella prima metà degli anni 1890, lo sgretolamento della compattezza sociale su cui Holmes radicava i community standards lo portarono a ritenere che la moralità positiva condivisa non esiste sempre. Tanto più che Holmes fu chiamato a decidere alcuni casi scottanti sulla tutela dei lavoratori (fra cui il celeberrimo caso Lochner). Nel Path of Law Holmes concluse che il diritto non è altro ciò che fanno i giudici. Il diritto è una tecnica in funzione di qualcosa: la tesi di Holmes diventerà l’icona dello strumentalismo, movimento teorico giuridico molto presente negli Stati Uniti. The bad man perspective Holmes è altresì famoso per aver introdotto il cd. Puke Taste: E cioè qual è lo standard per stabilire se una sentenza è incostituzionale? Holmes naturalmente rifiutava delle teorie compiute sulla costituzione, sicché introdusse uno standard del tutto peculiare: se la sentenza fa vomitare è sicuramente in costituzionale! (Puke, infatti, è proprio l’atto del vomitare). • • • • Law and Modern Mind Diritto e psicoanalisi: il desiderio di certezza del diritto è solo desiderio della legge del padre. La flessibilità è superiore alla rigiditàFrank non nascose mai la propria avversione nei confronti degli avvocati – e del diritto tout court -. A suo avviso la decisione giusta era quella che rendeva le parti più felici di quando avessero cominciato a litigare. Da parte del formalismo (Schauer) 1) si fonda su un’errata valutazione del procedimento giudiziario che a suo dire sarebbe – nella stragrande maggioranza dei casi guidato da regole giuridiche molto più che da fattori extragiuridici; 2) in secondo luogo sottovaluta la circostanza che sebbene fattori extralegali possano influenzare la psiche del giudice la motivazione ha sempre una veste giuridica, con la conseguenza che un buon avvocato non può esimersi di conoscere la legge se vuole avere ragioni sebbene possa anche solleticare il giudice in altro modo (vestendosi bene, se il giudice è un tipo formale; facendo riferimento più o meno esplicito all’ideologia del giudice, etc..); 3) in terzo luogo trascura la circostanza che nella stragrande maggioranza dei casi non ci sono conflitti intorno alle norme (selection effect) • Da parte del ragionamento giuridico come ragionamento pratico: a) Le norme giuridiche hanno un alto grado di vincolatività (come distinguere il giudizio del giudice dal giudizio espresso a forum?) b) Le componenti umane del giudizio non compromettono necessariamente il carattere razionale del discorso giuridico. • Analisi economica del diritto Critical legal studies Feminist Jurisprudence L’analisi economica del diritto è quella teoria secondo cui la valutazione del complesso di norme, sentenze e quant’altro si suole chiamare “diritto” viene fatta con strumenti economici. Più in particolare, secondo la prospettiva dell'Analisi economica, i problemi giuridici debbono essere analizzati e risolti attraverso una comparazione tra i diversi gradi d'efficienza economica delle molteplici soluzioni ipotizzabili Le teorie economiche a cui l’analisi economica del diritto si ispira sono diverse, ma l’approccio che si ispira alla teoria economica neoclassica (Milton Friedman, Ronald Coase) è stato per molti anni il prevalente. Libero mercato Mano invisibile Quello che si tende generalmente ad identificare come l'approccio della Scuola di Chicago è sostanzialmente un pesante scetticismo riguardo all'azione governativa e una decisa fiducia nella capacità del mercato di auto-regolamentarsi. Il governo si regola da sé (la mano invisibile di Adamo Smith) • Il teorema di Coase – di solito preso a modello nei primi scritti di analisi economica del diritto, in prevalenza relativi al diritto privato, (e frutto degli studi di Ronald H. Coase che lo pubblicò nel 1960 nell'articolo The Problem of Social Cost che gli valse il Premio Nobel per l'economia nel 1991), è un tentativo di dimostrare come attraverso il mercato si possa giungere ad un'efficienza, intesa come somma netta del benessere sociale (un succedaneo più facilmente misurabile della felicità), superiore rispetto a quella che si può ottenere con l'intervento dello stato o di altre regolamentazioni. Professore di diritto Giudice federale Sebbene oggi in parte critico di alcuni sviluppi presi dalla Scuola di Chicago (specialmente l’ipermatematizzazione dell’economica) – è colui che con maggior vigore ha esteso gli sviluppi dell’analisi economica neoclassica al diritto • Le norme giuridiche – quelle che impongono obbligo o prescrivono divieti – sono incentivi sui destinatari. Se io azienda so che la sanzione prevista per una certa trasgressione X (ad esempio la produzione di gas inquinanti) è relativamente bassa o comunque più bassa di quanto non sarebbe la dismissione o riconversione dell’attività, continuerò a trasgredire: facendo solo dei calcoli sui costibenefici dell’osservanza o della trasgressione. Questo modo di ragionare è esattamente antitetico a quello deontologico – che muove dall’assunto che alcuni beni non sono negoziabili: neppure se dalla negazioni degli stessi ne deriverebbe vantaggio per la stragrande maggioranza della collettività (Ronald Dowrkin). • • Posner contesta il modo di vedere il diritto dei legalisti – come di un insieme di regole precostituite che precedono le decisioni giudiziali. Sulla falsariga della teoria predittiva di Holmes (“il diritto è la profezia di ciò che faranno i giudici e nulla di più pretenzioso”), Posner propone di concepire il diritto non già come un insieme, inerte, di regole, ma come “un’attività”: in particolare come l’attività di “professionisti autorizzati” e segnatamente dei giudici e degli avvocati. l’attività decisionale dei giudici – quanto meno in organizzazioni come le nostre – è soggetta a vincoli; Tali vincoli sono essenzialmente di due tipi Interni (leggi, precedenti, standard) Esterni (opinione pubblica; altri giudici; etc..) 1) 2) 3) i materiali giuridici positivi (leggi, precedenti, la costituzione, etc…); i precetti di diritto naturale – intendendo con questa espressione non l’insieme di principi immutabili nel tempo ma come l’insieme di principi fondamentali della moralità politica (basic political morality), alcuni dei quali generalmente condivisi; le idee sul modo professionalmente corretto di motivare e di decidere questioni giuridiche; Tendiamo, nel pensare al diritto, ad anteporlo cronologicamente alla risoluzione delle controversie giuridiche, ma così facendo commettiamo l’errore (derivato dalla fallacia di concepire il diritto come concetto anziché attività) di pensare che il diritto esista al di fuori del processo tramite il quale doveri giuridici e sanzioni sono imposti alle persone che vi sono soggette. La sequenza inversa è più illuminante. Una società di esseri umani ribolle di conflitti e di dispute, e per certi tipi di controversia trova conveniente dotarsi di un corpo permanente di funzionari che risolvano le controversie in conformità a norme statali. Questi funzionari sono i giudici, e il loro compito consiste nel risolvere le controversie in modo da far valere tali norme e, cosa più importante, da soddisfare le esigenze statali. Per conferire al processo la necessaria regolarità e prevedibilità, i legislatori producono regole che i giudici devono applicare, e i giudici producono regole per colmare le lacune (talvolta enormi) della produzione legislativa; e se non c’è legislatore, i giudici producono tutte le regole” (Posner, The Problem of Jurisprudence). • • • • • l’attività giudiziale non è attività meramente conoscitiva: viene rifiutata l’idea della giurisprudenza meccanica che segue il modello deduttivo l’attività giudiziale – pur in presenza di regole legislative o giurisprudenziali – è sempre creativa; la distinzione fra legislazione e giurisdizione è quantitativa e non qualitativa; l’integrazione delle lacune non è un’attività conoscitiva ma creativa Le leggi sono spesso il risultato di forze di pressione di gruppi di interesse (lobbies). Ve ne sono tre tipi: a) leggi private (o privilegia): rispondenti ad interessi particolari di uno o più gruppi di pressione; b) leggi nel “pubblico interesse”: ciò si verifica di solito rispetto alle questioni su cui o vi è consenso o non vi sono gruppi di pressione così forti da poter influire; c) leggi “miste”: che perseguono sia obiettivi privati che pubblici. Siccome l’idea di democrazia di Posner è pervasa da scetticismo, pari scetticismo investe quei criteri interpretativi che si fondano sulla superiorità della legge. Contro l’originalismo: quella teoria secondo cui il testo – incluso il testo costituzionale – va interpretato alla luce dell’intenzione originaria dei redattori (Bork, Scalia). James Buchanan Georgle Stigler La democrazia funziona come il mercato: compravendita di interessi, compravendita di voti, compravendita di idee • Contro Holmes che aveva suggerito di partire dal significato più comune delle parole (plain meaning). Holmes suggeriva di interpretare la legge secondo il significato che le parole avevano per un comune parlante (normal English speaker). Posner gli obietta due cose: innanzitutto il linguaggio è spesso vago e comunque mutevole; in secondo luogo fa notare che quelle teorie che invocano la fedeltà al testo (cd. originalismo di Robert Bork e di Antonin Scalia) in realtà sono anche essere intrise di certe prese di posizioni ideologiche (sia Bork che Scalia non nascondono la propria fede conservatrice). • • • • • • Non esiste una sola risposta corretta per ogni caso (contro Ronald Dworkin) La fiducia nell’unica risposta corretta dipende o da formalismo tralatizio ovvero per inconfessate ragioni ideologiche; La specificità del ragionamento giuridico è un mito: infatti gli strumenti sono mutuati dalla logica, dalla retorica, o dal ragionamento pratico in genere e pertanto non hanno nulla di specificamente giuridico. La scelta di questo o di quello strumento è in vista del fine che si vuole ottenere; Meglio sbarazzarsi dell’ideologismo occulto e sostituirlo con un nuovo principio guida: un modo di ragionare pragmaticoeconomico. La dottrina di Posner rimane nell’alveo delle dottrine razionaliste (Posner critica l’approccio irrazionalista dei Critical Legal Studies) Una dottrina dell’interpretazione dei documenti legislativi e costituzionali, informata ad un principio, di chiaro stampo pragmatico economico, che potrebbe chiamarsi “principio del consequenzialismo sistemico”. Il pragmatismo, ci dice Posner, è l’invenzione di tre filosofi americani, Charles Sanders Peirce, William James e John Dewey, (tra fra la fine del 1860 e l’inizio del 1950), e che affonda le sue radici nel pensiero aristotelico e in quello dei sofisti, e in tempi più recenti nel pensiero di Hume, Mill, Emerson. • La cosa che accomuna i vari esponenti del pragmatismo è l’avversione nei confronti dell’aspirazione – dal sapore platonico - per la verità assoluta, per il rigore logico, per il regno dei concetti separato dalla realtà. I pragmatisti al contrario furono empiristi o sperimentalisti. Anche Holmes partecipò alle sessioni sul pragmatismo tenute da James e Peirce. Nell’espressione: the life of law has not been logic but experience, Holmes anticipa ciò che sarà un suo modo di vedere l’attività giudiziale. Sostengono i pragmatisti che il linguaggio giuridico è ricco di espressioni legalistiche (il cd. legalese) del tipo: inammissibilità, decadenza, perenzione, interesse legittimo, ne bis in idem, stare decisis,. E tuttavia il ragionamento giuridico, a dispetto delle forme pompose, è identico al ragionamento comune Il punto centrale del pragmatismo giuridico è l’attenzione alle conseguenze (sociali, economiche, politiche) che ogni decisione giuridica comporta. Questo implica che non solo il legislatore o l’amministratore, ma anche il giudice deve ragionare in termini principalmente consequenzialisti. Molte decisioni non sono dunque giuste o sbagliate: perché più di una decisione può essere corretta alla luce dell’interpretazione di un testo di legge (che appunto ammette più soluzioni). Ma ci sono decisioni che sono più pratiche di altre: ci sono decisioni che sono unpragmatic: scorrette non in ragione della motivazione, ma in ragione delle conseguenze che essere producono. Una decisione è corretta da un punto di vista pragmatico se produce sul sistema un benessere superiore a quello che produrrebbe la scelta contraria. Il benessere non è quello delle parti, ma del sistema nel suo complesso • • Il pragmatismo non nega l’importanza di altre forme di ragionamento giuridico (la fedeltà ai precedenti, l’interpretazione letterale, il ragionamento analogico, etc…) ma le ritiene utili solo se servono allo scopo del pragmatismo. In altri termini, può essere saggio da un punto di vista pragmatico rimanere fedeli ai precedenti, ovvero ribadire la sottomissione del giudice alla legge (e dunque la separazione dei poteri) o insistere sull’interpretazione restrittiva. Ma solo nella misura in cui questi argomenti non servono agli scopi ulteriori di cui le decisioni devono tendere conto Posner ci fa l’esempio del giudice che è contrario a sanzionare severamente l’uso personale di marjuana. Tuttavia da un punto di vista pragmatico può punire l’imputato sulla base dei seguenti argomenti: a) La sua azione eventuale isolata (assoluzione o pena lieve) potrebbe produrre reazioni violente sul legislatore e sugli altri giudici b) Il legislatore potrebbe inasprire le pene, c) In caso di assoluzione, la propria giurisdizione diventerebbe zona franca e quindi il traffico di droga aumenterebbe • Altro principio mutuato dalle scienze sociali ed economiche è quello dello sperimentalismo: Prima di annullare una legge o un regolamento la corte dovrebbe vedere come funziona nella società e che effetti produce Dice Posner sarebbe stato poco saggio dichiarare incostituzionali i programmi di azione affermativa (quelli che attribuiscono corsie di ingresso preferenziali all’università o nel pubblico impiego a certe categorie di cittadini) prima di vedere che effetto questi programmi avrebbero prodotto nella società (social experimentalism). • Siccome la decisione (sia legislativa che giudiziale) è una soluzione per almeno due interessi configgenti in gioco allora l’economia può servire allo scopo. Ad esempio: è legittimo prevedere diritti di autore che si protraggono per 70 anni ovvero brevetti remunerosissimi – anche per prodotti farmaceutici – che aumentano spaventosamente i prezzi di prodotti i cui costi di produzione sono bassi? Per decidere occorre chiedersi: cosa succederebbe se non vi fossero le leggi in materia di proprietà intellettuale? La ricerca scientifica – non remunerata – continuerebbe a questa velocità? L’Analisi Economica del diritto è stata principalmente utilizzata in quelle aree del diritto strettamente connesse all’economica. Ad esempio, la legislazione antitrust utilizza un linguaggio molto vago (abuso di posizione dominante; oligopolio; fetta di mercato). Il giudice deve attrezzarsi di teorie economiche per arrivare a redigere delle decisioni giuridiche. Ronald Dworkin definisce i diritti fondamentali quei diritti che non possono essere negati sebbene sarebbe nell’interesse generale farlo. Posner la vede diversamente: . Con l’obiettivo di un maggiore benessere complessivo, è legittimo comprimere qualche libertà (e magari reintrodurre la tortura?). La filosofia morale che fa da sfondo al consequenzialismo dell’Analisi Economica del Diritto è l’utilitarismo. La massimizzazione del benessere collettivo è l’obiettivo che deve ispirare le decisioni di legislatori e giudici. Può il Presidente invocare legittimamente l’immunità temporanea – per tutta la durata della carica – da azioni civili proposte contro di lui? La Corte Suprema ha detto no. Posner ha qualificato questa decisione sbagliata non in quanto scorretta da un punto di vista giuridico ma perché contraria al pragmatismo. • L’art. II, sez. IV della Costituzione stabilisce che per certi reati commessi nell’esercizio delle sue funzioni il Presidente viene processato dal Congresso e non dalla giurisdizione ordinaria. La disposizione in particolare recita: II Presidente, il Vicepresidente e tutti i titolari di cariche pubbliche negli Stati Uniti saranno destituiti dal loro ufficio qualora, in seguito ad accusa mossa dalla Camera, risultino colpevoli di tradimento, di corruzione o di altri gravi reati. La Corte all’unanimità affermò che non esiste immunità del Presidente dalle azioni civili proposte nei suoi confronti durante la carica. Il giudice Breyer – in un’opinione concorrente – affermò che la sospensione avrebbe potuto essere richiesta se il Presidente avesse dimostrato che il processo interferiva pesantemente con i suoi impegni. Posner afferma che da un punto di vista giuridico entrambe le soluzioni avrebbero potuto essere corrette: e tuttavia la decisione che la Corte negò l’immunità, fu, a dire di Posner assolutamente unpragmatic: infatti produsse effetti deleteri sulla politica americana degli anni successivi. • • Movimento statunitense di studi giuridici orientati a sinistra la cui genesi organizzativa può essere fatta risalire al 1977: essi affondano le proprie radici nel realismo giuridico americano, nel marxismo critico della Scuola di Francoforte e nel Law and Society Movement. L’obiettivo dei giuristi critici è di identificare le contraddizioni fondamentali del pensiero giuridico liberale. • • • • • Le tre principali contraddizioni sono: Fra l’accettazione di regole rigide – meccanicamente applicate – come forme più indicate di risoluzione dei conflitti e l’aspirazione ad una giustizia del caso concreto (ad hoc): e cioè fra regole generali e principi equitativi; fra rigidità e flessibilità; Fra l’idea secondo cui i valori o i desideri sono arbitrari, soggettivi, individuali e l’idea secondo cui possiamo conoscere oggettivamente verità sociali ed etiche (ad esempio quando riponiamo massima fiducia nella razionalità del procedimento decisione della Corte Costituzionale); Fra un discorso intenzionalistico, nel quale l’azione umana è considerata come prodotto di atti di libera scelta e volontà (tutto il sistema giuridico presuppone l’autodeterminazione individuale, dal diritto penale al diritto dei contratti) ad un discorso deterministico nel quale l’attività dei singoli non merita né rispetto né condanna perché non è che il risultato della struttura esistente (pensiamo alle teorie sull’organizzazione anche degli uffici burocratici). • • • L’obbiettivo dei CLS è di dimostrare che il diritto è il terreno di scontro di molte battaglie. Si tratta di battaglie per il potere combattute da gruppi sociali organizzati: “Organized social groups make law all the time, in combat with other organized social groups” (Duncan Kennedy). Essi mirano altresì a dimostrare che in ogni epoca storica si è messo l’accento su uno dei poli della contraddizione: sicché il diritto è profondamente influenzato dalla ideologia – storica, culturale – dominante che sottosta ad un dato sistema giuridico. Il metodo dei CLS è in linea alla metodologia marxista (ma comune a molti esponenti del realismo giuridico) che è quella dello smascheramento: il compito della Critica è di disvelare le ideologie che sottostanno ai discorsi giuridici contemporanei Il Trashing: letteralmente, sfrondamento. E’ quell’attività che consiste nel disoccultamento del messaggio politicamente orientato racchiuso nel discorso giuridico. Il trasher cerca di smascherare l’ideologia che sta dietro certi discorsi apparentemente neutrali. • Con sentenza n. 155 del 1996, la Corte Costituzionale italiana è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio abbreviato il giudice per le indagini preliminari che abbia applicato una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato. In altri termini, la domanda sollevata di fronte alla Corte era: può il giudice che si è già pronunciato sulle misure cautelari (magari confermando la carcerazione preventiva), diventare poi il giudice di merito (e cioè del giudizio finale) qualora si dovesse ricorrere a giudizio abbreviato? • “Tali omissioni, ad avviso dei giudici rimettenti, violerebbero numerosi precetti della Costituzione, variamente individuati negli articoli 3, primo comma, 24, secondo comma, 25, 27, secondo comma, e 101, secondo comma, nonché negli articoli 76 e 77 (in riferimento all'art. 2, numeri 67 e 103 della legge 16 febbraio 1987, n. 81, recante "Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale"). La mancata previsione delle suddette cause di incompatibilità distinguerebbe irrazionalmente le ipotesi in questione da altre analoghe nelle quali, viceversa, vale l'incompatibilità. Inoltre determinerebbe una disparità di trattamento a seconda che la pronuncia in sede di giudizio abbreviato o di "patteggiamento" sia assunta da un giudice che abbia o da un giudice che non abbia disposto misure cautelari personali e si risolverebbe in una violazione del diritto di difesa e, in generale, della garanzia del giusto processo, nonché del diritto dell'imputato a non essere considerato colpevole fino alla condanna definitiva. • La mancata previsione dell'incompatibilità in questione risulterebbe infine in contrasto con le direttive, contenute nella sopra citata legge-delega per l'emanazione del nuovo codice, in tema di divieto fatto al giudice di svolgere funzioni diverse nell'ambito del medesimo processo penale”.“Le questioni sono fondate. 3.1. -- I parametri costituzionali che i giudici rimettenti invocano convergono nel configurare quello che, in numerose occasioni, questa Corte ha indicato come il "giusto processo" voluto dalla Costituzione • Tra i principi del "giusto processo", posto centrale occupa l'imparzialità del giudice, in carenza della quale le regole e le garanzie processuali si svuoterebbero di significato. L'imparzialità è perciò connaturata all'essenza della giurisdizione e richiede che la funzione del giudicare sia assegnata a un soggetto "terzo", non solo scevro di interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del diritto ma anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia da decidere, formatesi in diverse fasi del giudizio in occasione di funzioni decisorie ch'egli sia stato chiamato a svolgere in precedenza. … • Il divieto di cumulo di decisioni diverse sulla stessa materia, nella stessa persona investita del compito di giudicare, è conseguenza del carattere necessariamente originario della decisione che definisce la causa, in opposizione a ogni trascinamento e confluenza in tale decisione di opinioni precostituite in altre fasi processuali presso lo stesso giudice-persona fisica. Tale divieto non riguarda tanto la capacità del giudice di rivedere sempre di nuovo i propri giudizi alla luce degli elementi via via emergenti nello svolgimento del processo, quanto l'obiettività della funzione del giudicare, che esige, per quanto è possibile, la sua massima spersonalizzazione. • • Le incompatibilità endoprocessuali - escludendo che il medesimo giudice possa comparire ripetutamente in diverse fasi del medesimo giudizio - operano a quel fine, per esonerare l'esito del processo dall'eccessivo carico delle qualità e delle propensioni personali dei giudici che vi partecipano, salvaguardando così anche il significato proprio e distinto di ciascuna fase”. • La Corte sta concedendo qualcosa ai ricorrenti e sta riconoscendo che uno stesso giudice non può pronunciarsi due volte, ma non può arrivare a tradire la casta dei magistrati a cui appartiene. Un giudice che si è già pronunciato può di certo rivedere le proprie idee. Ma è l’obbiettività della funzione del giudicare che impone la spersonalizzazione dell’organo. Ma, aggiungerebbero i CLS: che significa tutto ciò nel linguaggio ordinario? Nulla di più che una verità piuttosto banale: chiunque si è pronunciato nella fase cautelare (magari confermando l’ordine di carcerazione preventiva) ha già un’idea precostituita del giudizio e forse ha difficoltà a rivedere le proprie posizioni. Ovvero, cosa che è ancora peggio, ha difficoltà a riconoscere il proprio errore Ma perché la Corte si è espressa in questo modo così sibillino? Si possono fare molte illazioni. E’ però verosimile che la Corte non voglia insinuare il dubbio che i giudici siano capaci di introiettare opinioni (sulla colpevolezza dell’imputato) che non riescono poi a cambiare. La decostruzione attiene al disvelamento della filosofia che sta dietro ad un certo modo di pensare. Nella critica all’Analisi Economia del Diritto, i CLS obiettano che l’antropologia dell’AED è riduzionista. Contro l’antropologia hobbesiana Contro l’idea del consumatore razionale L’antropologia che i CLS obiettano è molto più complessa. L’uomo non è solo dominato da passioni egoistiche, ma vi è anche un istinto naturale alla cooperazione (e alla socievolezza). La psiche umana è divisa, frammentata: l’uomo spesso non sa cosa vuole. La storia aiuta a comprendere l’origine di certi concetti. Ad esempio, quando noi oggi diamo per scontato che la legge è al vertice della gerarchia delle fonti stiamo formulando un assunto che tuttavia è limitato sia da un punto di vista temporale che spaziale Nato a Rio de Janeiro nel 1947, insegna ad Harvard (è stato professore di Barack Obama). Si è dedicato per un certo periodo alla politica attiva in Brasile (è stato Ministro degli Affari Esteri). • • • • • • • Knowledge and Politics (Free Press 1976) Law in Modern Society: Towards a Criticism of Social Theory (Free Press 1984) Passion: An Essay on Personality (Free Press 1984) The Critical Legal Studies Movement (Harvard University Press 1986) Social Theory: Its Situation and Its Task (Verso 2004, originally published by Cambridge University Press in 1987) What Should Legal Analysis Become? (Verso 1996) The Self Awakened? (Harvard University Press 2007) Già in Knowledge and Politics, Unger aveva contestato la tendenza dei filosofi del diritto americani a concentrarsi sul ragionamento giudiziario – tendenza associata all’idea di un sostanziale scetticismo nei confronti delle prospettive di cambiamento della società Unger propone di rivedere il ruolo del diritto nella società il diritto deve offrire ai cittadini la possibilità di immaginare scenari alternativi e di dare argomenti a favore di questi. • La prima proposta di riforma socio-istituzionale è quella che Unger chiama la extended social democracy: e cioè la estensione della democrazia sociale. Il punto di partenza è che la parte più importante della società è l’individuo e la sua crescita materiale e spirituale. Una politica di riforma in questa direzione deve tassare pesantemente le successioni, garantire pari opportunità attraverso una sostanziale redistribuzione delle risorse (tasse sui consumi, gratuità di servizi di base) e assecondare – attraverso riforme istituzionali – la naturale flessibilità della vita. Unger contesta la tendenza diffusa oggi di razionalizzare il ragionamento attraverso due finzioni: A) la finzione che il diritto media fra interessi B) la finzione che il diritto sia imparziale • • Unger ritiene che la teoria giuridica sia viziata sotto alcuni aspetti: diffidenza nei confronti del ragionamento analogico – – – – Fiducia nel sistema assiomatico (con al vertice la Costituzione) Diffidenza nei confronti della società Fede nella rule of law Fede nelle teorie (Dworkin, Breyer, Posner, Scalia, etc..) Rivalutazione del ragionamento analogico: modo di consentire l’incontro fra uomini, eventi, situazioni concrete Rivalutazione del caso concreto (contro le regole generali e le teorie) La giurisprudenza deve favorire il principio di autodeterminazione Il ragionamento analogico è fortemente presente nel diritto: esso consiste essenzialmente nel risolvere un caso applicando la regola enucleata in un caso analogo. Il ragionamento analogico non è un procedimento rigorosamente formale. Al contrario esso comporta operazioni che difficilmente la logica formale potrebbe cogliere. • Dice Unger: quando si pone in essere un’analogia si utilizza un tipo di ragionamento orientato allo scopo. Ci si chiede cioè? Quale scopo la norma persegue? • Hart e i veicoli nel parco: qual è lo scopo della norma? Evitare rumore (anche le macchine elettriche dei bambini sono veicoli), o incidenti (anche le biciclette?) o inquinamento (solo gli autoveicoli?) • Dice Unger: Il ragionamento analogico non solo ci dà la possibilità di riflettere in modo ripetuto sulle ragioni che stanno dietro alle regole, ma ci consente di guardare alle regole partendo dai fatti concreti. • L’analogia è l’incontro fra esseri umani (situazioni che coinvolgono esseri umani in casi differenti). Per questo ha un valore inestimabile per il diritto Contro chi sostiene che l’analogia serve ad enucleare regole sempre più generali (dal confronto di casi analoghi la generalità della regola si espande), Unger obietta che il ragionamento analogico non ha il fine di creare un sistema assiomatico e gerarchico. L’analogia anzi è lo strumento che mette costantemente in discussione il sistema Lani Guiner Gerald A Torres democracy enhancing jurisprudence • • • • • • • • • • • · Cornell, Drucilla, Beyond Accommodation: Ethical Feminism, Deconstruction and the Law (New York: Routledge, 1990) · MacKinnon, Catherine, Feminism Unmodified: Discourses on Life and Law (Cambridge: Harvard University Press, 1987) · Minow, Martha, Making All the Difference: Inclusion, Exclusion and American Law (Ithaca: Cornell University Press, 1991) · Radin, Margaret Jane, “The Pragmatist and the Feminist,” 63 Southern California Law Review, 1699 (1990) · Scales, Ann C., “The Emergence of Feminist Jurisprudence: An Essay,” 95 Yale Law Journal 1373-1403 (1986) · Schulhofer, Stephen J., Unwanted Sex: The Culture of Intimidation and the Failure of Law (Cambridge: Harvard University Press, 1998) · Smith, Patricia, ed., Feminist Jurisprudence (New York: Oxford University Press, 1993) · Tong, Rosemarie, Women, Sex and the Law (Totowa, NJ: Rowman and Littlefield, 1984) · West, Robin, “Jurisprudence and Gender,” 55 University of Chicago Law Review 1 (1988) · Williams, Patricia, The Alchemy of Race and Rights (Cambridge: Harvard University Press, 1991) A partire dagli anni ‘80 il movimento femminista ha abbandonato l’ideale dell’assimilazione della donna all’uomo e ha cominciato a rivendicare differenze specifiche. • • • • • Diffidenza profonda nei confronti del concetto di neutralità della legge Diffidenza profonda nei confronti del concetto di neutralità del giudizio Rivendicazione – a livello normativo – della diversità femminile Riconoscimento del ruolo degli aspetti emotivi (tipicamante associati alle donne) nella formulazione delle leggi e nel giudizio. • • • Susan Bandes e Patricia Williams negano che la legge sia neutrale: muovono in particolare due contestazioni. La prima è che la legge è fatta da uomini in carne ed ossa: e che quindi necessariamente risente delle preconcette degli individui che le pongono in essere. Non si tratta soltanto di interessi consapevoli – come sostiene l’Analisi Economica del Diritto – ma anche e per lo più di opinioni inconsapevoli che quindi incidono sul contenuto con una forza molto più dirompente che quelle consapevoli e strumentali. La seconda considerazione è che – anche ammesso che la legge sia fatta veramente in modo quando più neutrale possibile – essa non può mai essere applicata in modo rigorosamente neutrale, perché anche il giudice, come il legislatore, non può mettere da parte pregiudizi, precomprensioni, proprie visioni del mondo, etc…. • • Quale risposta è quella corretta? la verità processuale non corrisponde alla verità scientifica e la coerenza non è l’indice prevalente di correttezza di una decisione. Il criterio di correttezza è invece mutuato da campi non strettamente giuridici (come ad esempio la letteratura). Quando in un’aula di giustizia vanno ricostruiti certi fatti si deve ragionare come se si stesse ricostruendo una storia. La storia che ha più senso (makes more sense) è quella più corretta. Questo significa però che il ragionamento giuridico non è solo un appello ad una razionalità artificiale – pensiero logico, analogico, formale – ma è altresì appello alle componenti emotive La tesi del ragionamento giuridico come caso particolare della ragion pratica presuppone che il diritto sia intriso di giudizi di valore e che pertanto le soluzioni dei conflitti che la prassi giuridica costantemente solleva presuppone una presa di posizione in merito a questi valori. Robert Alexy e la tesi del caso particolare Chaim Perelman e la nuova retorica Ermeneutica giuridica Giurista e filosofo tedesco (n. Oldenburg 1945). Dopo gli studi universitari a Gottinga conseguì nel 1976 il dottorato con la dissertazione Theorie der juristichen Argumentation (pubbl. nel 1978, e più volte ried.; trad. it. Teoria dell'argomentazione giuridica, 1998), mentre nel 1985 vide la luce Theorie der Grundrechte e nel 1992 l'altra sua opera fondamentale Begriff und Geltung des Rechts (trad. it. Concetto e validità del diritto, 1997, ried. 2002). le posizioni teoriche di A. rientrano nelle attuali correnti del neocostituzionalismo. Il diritto è quel fenomeno sociale le cui proprietà essenziali sono due: L’aspetto coercitivo (che garantisce l’efficacia del fenomeno) La componente ideale: la correttezza (correctness) Infatti, per Alexy, per rispondere alla domanda su quale sia il concetto di diritto occorre dar conto di tre elementi: La positività conforme all’ordinamento L’efficacia sociale La giustezza materiale Alexy sostiene che le varie teorie su cosa si intenda per diritto tendono a calibrare i tre elementi in modo diverso. Ad esempio i positivisti tendono ad escludere il terzo elemento e pongono l’accento sui primi due. Ma anche all’interno del positivismo vi sono differenze fra chi pone l’accento sulla positività conforme all’ordinamento (Kelsen: tesi delle fonti sociali) ed efficacia (realismo giuridico). I giusnaturalisti classici tendono invece a dare rilievo solo al terzo elemento. Recentemente Alexy ha distinto fra almeno cinque possibili teorie del diritto: Innanzitutto vi è una grande dicotomia fra POSITIVISTI E NON POSITIVISTI Positivismo esclusivo (nessun elemento morale conta nella definizione del diritto: sicché la circostanza che nella decisione i giudici – ad esempio – costituzionali facciano rinvio a principi morali è irrilevante nella definizione del diritto). HOBBES, RAZ. Positivismo inclusivo: la connessione fra diritto e morale è solo contingente. Nella misura in cui un sistema giuridico rinvii alla morale fra le fonti allora esiste una connessione fra diritto e morale, ma limitata ad un sistema siffatto. Non positivismo esclusivo: il diritto ingiusto non è diritto (Agostino e Tommaso) Non positivismo super inclusivo (Kant): l’ingiustizia – qualunque ingiustizia – non elimina la giuridicità di un sistema ma la vizia, anche da un punto di visto giuridico (KANT) Non positivismo inclusivo: solo le ingiustizie o iniquità che superano una certa soglia (che raggiungono una misura intollerabile) fanno perdere il carattere giuridico ad una norma o ad un sistema (la formula di Radbruch). Questa tesi è fatta propria anche da Alexy. Alexy contesta che diritto e morale siano separati. Il diritto avanza una pretesa di correttezza. Non è possibile dire: A deve scontare la pena X e questo non è giusto. Si tratta di un’affermazione sbagliata dal punto di vista logico, prima ancora che etico. Alexy comincia con l’illustrazione del linguaggio normativo. Una proposizione del tipo: A deve essere compiuto, oppure A è cosa giusta, rientrano nel linguaggio normativo. Ipotizziamo due individui che stanno discutendo se A deve essere compiuto oppure se A è giusto. Come si raggiunge l’accordo? Vi sono due modi: 1) la prima implica che una delle due parti dà prova della verità delle sue pretese e quindi offre una giustificazione. 2) La seconda strada è diversa: una parte può indurre l’altra all’accordo attraverso altri strumenti: la persuasione, il condizionamento psicologico, la manipolazione; la propaganda, etc… Questa seconda operazione può semplicemente essere ricostruita o spiegata empiricamente. La tradizione giusfilosofica che fa capo all’imperativismo (di Bentham, Austin, etc..) e che trova una certa corrispondenza nel realismo come teoria interpretativa muove dal presupposto che gli individui sono sostanzialmente mossi da passioni (negative o positive) e che dunque le regole funzionano solo nella misura in cui utilizzano forze motivazionali che esulano dai principi – dagli argomenti (un conto è dire: obbedisco perché sennò il vigile mi fa la multa, un altro è dire: pago le tasse perché è giusto) Alexy assume che il diritto funziona prevalentemente attraverso argomenti (razionali): e che dunque sono le ragioni che contano più che le altre forze (paure, minacce, premi) che stanno dietro alle regole. Se si assume che il linguaggio normativo consiste nell’offrire prove della validità di una propria pretesa occorre rispondere affermativamente a due domande preliminari: a) è possibile giustificare razionalmente proposizioni normative? E se si, come? (in entrambi i casi si tratta di questioni di meta etica). Teoria del discorso razionale come teoria della giustificazione giuridica Definisce le regole del discorso come regole che fanno da presupposto alla comunicazione umana che miri ad accertare la verità o la correttezza. La validità di questo gruppo di regole è condizione di possibilità di ogni comunicazione linguistica in cui si tratti di verità o di correttezza. Nessun parlante può contraddire sé stesso Ciascun parlante deve dire solo quello che effettivamente crede Il parlante che attribuisce la proprietà F ad un oggetto O deve essere disposto a riconoscere la medesima proprietà in un altro oggetto eguale ad O sotto ogni aspetto rilevante I parlanti non devono utilizzare le medesime espressioni con significati diversi. I discorsi pratici mirano a giustificare l’affermazione di proposizioni normative. Discutendo tali affermazioni vengono prodotte altre affermazioni e così via. Chi afferma qualcosa non vuole soltanto esprimere ciò in cui crede, ma pretende anche che quanto dice sia giustificabile, sia cioè vero e giusto. Questo vale sia per le proposizioni normative che per le altre affermazioni. Il parlante può anche giustificare una sua affermazione ricorrendo all’autorità di altri (magari di esperti). Qualora si decidesse a non fornire giustificazioni di fronte a qualche interlocutore deve giustificare il rifiuto. Ogni parlante deve giustificare, su richiesta, ciò che afferma, a meno che possa addurre delle ragioni che giustifichino il suo rifiuto di dare una giustificazione. La regola presuppone la eguaglianza fra parlanti e la rinuncia alla violenza e alla prevaricazione (devo giustificare la mia proposizione normativa e non posso semplicemente imporla). Chiunque sia in grado di parlare può prendere parte ai discorsi (libertà di espressione) Chiunque può problematizzare qualsiasi affermazione. Chi intende trattare una persona A diversamente da una persona B è tenuto a darne una giustificazione Principio di universalizzabilità: chiunque deve poter accettare le conseguenze della regola presupposta in una proposizione normativa da lui affermata, per il soddisfacimento degli interessi di ogni singola persona, anche nell’ipotetico caso di trovarsi lui nella situazione di questa persona. Tesi della subordinazione (Subordination Thesis) Tesi suppletiva (Supplemental Thesis) Tesi dell’Integrazione quando un testo di legge non è chiaro il ragionamento giuridico non è altro che un ragionamento pratico sebbene mascherato dietro vesti giuridiche. quando gli argomenti propriamente giuridici cessano si ricorre ad argomenti tratti dal generico ragionamento pratico. gli argomenti giuridici e quelli tratti dal generico ragionamento pratico si combinano ad ogni stadio. Questa è la tesi che Alexy dichiara di sostenere. Il fulcro della tesi del caso particolare consiste nel fatto che anche nei discorsi giuridici viene sollevata la pretesa di correttezza, che questa pretesa, però, diversamente da quella del discorso pratico in generale, non si riferisce al fatto che le proposizioni normative problematiche siano assolutamente razionali, bensì solo al fatto che esse possano essere motivate razionalmente nell’ambito dell’ordine giuridico vigente. Il ragionamento giuridico si contraddistingue per il ricorso a premesse e ad argomenti particolari: a) b) c) d) e) Norme giuridiche (che tuttavia vanno interpretate) sostanziali Norme giuridiche processuali Canoni interpretativi particolari (lex posterior derogat priori, lex generalis derogat specialis; res iudicata; Principi generali di diritto: buona fede; principio di legalità, nullum crimen sine lege; nemo iudex in causa sua; ne bis in idem Principi costituzionali Giudice: ragionamento deontologico Funzionario: ragionamento teleologico È opportuno distinguere tra l'interpretazione in senso amplissimo (largissimo sensu), in senso lato (sensu largo) e in senso stretto (sensu stricto) (v. Wróblewski, 1979, pp. 75) L'interpretazione in senso amplissimo indica la comprensione del significato di tutti gli oggetti prodotti da soggetti capaci di attribuire un significato a tali oggetti L'interpretazione in senso lato è un caso particolare dell'interpretazione in senso amplissimo. Essa non si riferisce alla comprensione di qualsiasi oggetto cui è attribuito un significato, ma solo alla comprensione di espressioni linguistiche (testi letterari, diritto) • Esistono numerose situazioni in cui le espressioni linguistiche vengono comprese senza che affiorino dubbi o perplessità. In questi casi si può parlare di una 'comprensione immediata'. Se invece affiorano dubbi o perplessità, allora è possibile una comprensione solo se questi vengono risolti. Si tratta in questo caso di una 'comprensione mediata'. Un esempio della comprensione immediata è il caso in cui qualcuno vede un cartello con la scritta 'vietato fumare' e di conseguenza spegne la sua sigaretta. Esempi della comprensione mediata sono tutti i casi in cui i giudici considerano i diversi significati possibili di una norma e, per via argomentativa, decidono per uno di essi. Il concetto di interpretazione in senso lato include sia la comprensione immediata che quella mediata • L'interpretazione in senso stretto è un caso particolare dell'interpretazione in senso lato. Essa si rende necessaria quando un'espressione linguistica ammette diversi significati e non è certo quale sia quello corretto. L'interpretazione in senso stretto comincia con una domanda (v. Gadamer, 1960, pp. 351 s.) e termina con una scelta tra i diversi significati possibili (v. Larenz, 1991⁶, p. 204). L'interpretazione in senso stretto è al centro del problema dell'interpretazione giuridica • • • L'interpretazione giuridica si distingue dagli altri tipi di interpretazione per il suo carattere pratico e istituzionale. Essa ha un carattere pratico in quanto riguarda sempre, direttamente o indirettamente, ciò che in un sistema giuridico viene prescritto, vietato o permesso e ciò che esso autorizza. Invece che di carattere 'pratico' si può parlare anche di carattere 'normativo'. Il carattere istituzionale dell'interpretazione giuridica deriva sia dal suo oggetto che dal suo soggetto. Leggi Precedenti Massime d’esperienza Principi generali Regolamenti Normativa sovranazionale • • Nelle codificazioni giuridiche moderne oggetto primario dell'interpretazione è la legge, compresa la legge costituzionale e le norme emanate secondo le leggi (per esempio decreti-legge e regolamenti). Le leggi vengono prodotte attraverso atti istituzionali, oggi in particolare attraverso deliberazioni del parlamento. È questo il fondamento della loro validità giuridica. Costituiscono ulteriori oggetti dell'interpretazione i precedenti, i contratti di diritto privato, amministrativo, pubblico e internazionale, nonché il diritto consuetudinario. Escluso il diritto consuetudinario, di scarso rilievo negli Stati moderni, anche questi oggetti dell'interpretazione sono il prodotto di atti istituzionali. Lo stesso vale per il diritto primario e secondario della Comunità Europea interpretazione autentica, dottrinale, popolare e comune. L'interpretazione autentica è l'interpretazione fornita dagli organi autorizzati dall'ordinamento giuridico a determinare in modo vincolante il significato di una norma: il legislatore e, secondo una concezione diffusa, anche la giurisprudenza nella misura in cui questa produce in ultima istanza decisioni vincolanti e con valore di precedente. L'interpretazione dottrinale è l'interpretazione data dalla dottrina giuridica. Non avendo efficacia vincolante essa non possiede carattere istituzionale, ma si può avvicinare a esso quando si forma un'opinione dominante L'interpretazione popolare è l'interpretazione fornita dai cittadini sottoposti al diritto. L'interpretazione comune, ossia l'interpretazione di una norma tramite il diritto consuetudinario, è un caso particolare dell'interpretazione popolare. • Esistono due teorie al riguardo, una soggettiva e una oggettiva. Secondo la teoria soggettiva il fine dell'interpretazione consiste nell'accertamento del volere del legislatore. • Secondo la teoria oggettiva l'interprete deve individuare il significato razionale, corretto o giusto della legge. • • Il conflitto si complica, poiché a questa dicotomia sostanziale si sovrappone una dicotomia temporale, e precisamente quella che sussiste fra il momento della produzione delle norme e il momento della loro interpretazione. • • • • 1) uno relativo al momento in cui la norma è sorta in senso soggettivo (la volontà reale del legislatore storico); 2) uno relativo al momento in cui essa è sorta in senso oggettivo (il significato razionale della legge al momento della sua nascita); 3) uno relativo al momento dell'interpretazione soggettiva della norma (la volontà ipotetica dell'attuale legislatore); 4) uno relativo al momento dell'interpretazione oggettiva (il significato razionale della legge nel momento dell'interpretazione). La diatriba che investe i punti precedenti e specialmente i punti 1) e 4) viene comunemente riformulata sotto la disputa fra originalisti e evoluzionisti. • • A favore della teoria soggettiva vi è l'idea dell'autorità del legislatore sorretta dai principî della democrazia e della separazione dei poteri. Perché? • • Se l’interprete ricostruisce la volontà del legislatore è il legislatore che fa le leggi e non l’interprete. Siccome il legislatore è eletto dal popolo il principio democratico è meglio rispettato Se l’interprete ricostruisce la volontà del legislatore storico la separazione fra creazione della legge e sua applicazione rimane integra. Rimane saldo dunque anche il principio della separazione dei poteri. Art. 101 Cost: il giudice è soggetto soltanto alla legge. Si può obiettare che: spesso è difficile se non impossibile accedere alla volontà del legislatore storico, la quale a volte risulta anche vaga e contraddittoria. Inoltre le leggi, in quanto regole sociali, una volta entrate in vigore si possono separare dalle intenzioni del legislatore storico. Spesso è meglio tener conto dell’evoluzione sociale, più che della volontà originaria del legislatore A favore della teoria oggettiva vi è il fatto che l'interpretazione dovrebbe condurre a una soluzione corretta o giusta sul piano del contenuto. Contro di essa si può addurre il pericolo di un arbitrio interpretativo e di un eccessivo aumento di competenze del potere giudiziario. primato prima facie del fine soggettivo dell'interpretazione rispetto a quello oggettivo e fa dipendere la decisione definitiva da criteri quali l'età della legge, il mutamento delle circostanze e dei valori della società, l'univocità del volere del legislatore, nonché il peso di argomenti sistematici e sostanziali che giustificano nel caso concreto il perseguimento del fine oggettivo dell'interpretazione Fallacia argomentativa Argomento Screditare ad hominem l’interlocutore • • Equivocità dei testi normativi: Nella maggior parte dei casi, l’equivocità non dipende dalla formulazione dei testi ma da altri fattori. Il primo fattore di equivocità è il contesto: che è costituito non solo dagli articoli immediatamente circostanti – che regola la stessa materia – ma dall’intero ordinamento giuridico. – Il secondo fattore di equivocità è la dogmatica. Spesso giudici e avvocati si appoggiano alle interpretazioni offerte dai teorici – che non sempre sono convergenti. – Il terzo fattore di equivocità è dato dalla pluralità delle tecniche interpretative. – Risolta l’equivocità del testo rimane il problema della vaghezza della norma, perché ogni norma ha una trama aperta (Hart), ossia contorni indefiniti, sicché possono darsi casi rispetto ai quali l’applicabilità della norma è dubbia o controvertibile. Es.: compravendita o donazione? L’art. 90, comma 1, Cost stabilisce che “il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni”. Non si dubita che l’immunità valga per tutti gli atti ufficiali (controfirmati, ai sensi dell’art. 89, comma 1, Cost.). Ma cosa dire delle esternazioni? L’art. 48, comma 1, cost. dispone: “Sono elettori tutti i cittadini”. Qudi degli stranieri e degli apolidi? Si può sostenere che la costituzione non disponga nulla a riguardo e sia dunque lacunosa, oppure che la costituzione, tacitamente, escluda i non cittadini dal diritto di voto. Nel primo caso una legge ordinaria potrebbe estendere il diritto di voto agli apolidi e agli stranieri, mentre nel secondo caso, no. L’art. 32 della Cost. stabilisce che: “La Repubblica garantisce cure gratuite agli indigenti”. Quid dei facoltosi e dei benestanti? Si potrebbe dire che la Cost. sia lacunosa al riguardo, con la conseguenza che una legge ordinaria può estendere le cure gratuite a tutti, ovvero che implicitamente neghi che le cure gratuite possano essere date a benestanti. L’art. 52 cost. impone ai cittadini l’obbligo di prestare servizio militare. Quid dei non cittadini, etc… L’antinomia si verifica quando due norme statuiscano per una medesima fattispecie singolare e concreta due conseguenze giuridiche incompatibili. Cioè: si ha antinomia quando un caso concreto sia suscettibile di due diverse ed opposte soluzioni A in astratto: ogniqualvolta due norme connettono conseguenze giuridiche incompatibili a fattispecie astratte, ossia a classi di fattispecie che si sovrappongono (in tutto o in parte) concettualmente. Se, ad esempio, una norma vieta l’aborto e l’altra consente l’aborto terapeutico, vi è un’antinomia. A in concreto: quando in sede di applicazione l’antinomia si pone in relazione ad una medesima fattispecie concreta. Ad esempio, vi è una norma che stabilisce che le violazioni dei limiti di velocità può essere effettuata tramite l’autovelox, e l’altro che stabilisce che nessuna violazione meccanizzata può essere comminata se il destinatario non sia stato preventivamente informato dell’esistenza del dispositivo • • A totali: si ha totale sovrapposizione allorché le norme connettono conseguenze incompatibili alla medesima classe di fattispecie. Ad es. norma X dice che il divorzio è lecito; norma Y che il divorzio è illecito. A parziali: può accadere che la classe di fattispecie disciplinata da una norma sia interamente inclusa nella classa di fattispecie disciplinata da un’altra. Una norma vieta l’aborto, l’altra norma consente l’aborto terapeutico. Lacune normative: si dice che in un ordinamento giuridico vi sia una lacuna normativa ogniqualvolta si presenti una fattispecie astratta o concreta per la quale nessuna norma dell’ordinamento preveda una conseguenza giuridica qualsivoglia. • Lacune tecniche: si dice che un ordinamento presenta una lacuna tecnica allorché manca in esso una norma la cui esistenza sia una condizione necessaria per l’efficacia di un’altra norma. Ad esempio, una norma prescrive la periodica convocazione di un organo ma nessuna norma determina quale sia il soggetto competente a convocarlo; una norma istituisce un organo elettivo, ma nessuna norma prescrive come debba essere eletto. • • • Lacune assiologiche si dice che un ordinamento presenta una lacuna assiologia allorché una data fattispecie è disciplinata, ma disciplinata in modo insoddisfacente, sicchè manca nell’ordinamento non una qualsivoglia norma ma una norma giusta. In realtà i casi più frequenti di lacune assiologiche si hanno qualora una certa fattispecie sembra richiamarne un’altra che è regolata, ma non c’è alcun sistema – ad esempio analogico – che consenta di estendere la regola della norma simile a quella istante. Ad esempio, l’interruzione volontaria della gravidanza al settimo o all’ottavo è assimilabile all’omicidio? La sospensione delle cure sanitarie nei malati terminali è assimilabile all’omicidio? Le lacune assiologiche sono frequentemente associate ad accese discussioni nella sfera pubblica. Lacune istituzionali si dice che un ordinamento presenta lacune istituzionali quando –per cause di fatto – viene meno una delle istituzioni che sono essenziali al suo funzionamento. Regole e principi Norme a fattispecie aperta Norme che tutelano valori fondamentali Norme che hanno un peso Canoni istituzionali (propri del diritto in quanto sistema autopietico) Canoni pratici generali Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato . Per Alexy, esistono quattro categorie di argomenti giuridici: 1) linguistici, 2) genetici, 3) sistematici, 4) pratici generali. Semantici Sintattici (il triciclo è veicolo?) (analisi logica) • • può portare alla sussunzione della fattispecie nella norma (valutazione positiva), oppure alla sua non sussunzione (valutazione negativa). In entrambi questi casi si tratta di una decisione che non consegue dall'argomento semantico, di una decisione contro la lettera della legge e quindi di una integrazione del diritto in senso stretto. Il risultato dell'interpretazione semantica consiste allora nell'accertamento di un problema la cui soluzione deve essere trovata con l'ausilio di argomenti delle altre tre categorie Riguardano l'effettivo volere del legislatore storico. Il loro impiego corrisponde alla teoria soggettiva del fine dell'interpretazione. Sono rilevanti soprattutto due tipi di argomento genetico: quello semantico-soggettivo e quello teleologico-soggettivo. • Procedimento discorsivo secondo cui, essendo data una proposizione giuridica che predica un obbligo (o un’altra qualificazione normativa) d’un soggetto (o di una classe di soggetti), mancando un’altra norma espressa si deve concludere che valga (che sia valida) una diversa proposizione giuridica, che predichi quello stesso obbligo (o altra qualificazione giuridica) per qualsiasi altro soggetto (o una classe di soggetti) del tutto diverso. • • se una disposizione obbliga tutti i giovani che abbiano compiuto venti anni all’adempimento del servizio militare, se ne concluderà a contrario che le ragazze non sono sottoposte allo stesso obbligo militare. Oppure, se la Costituzione recita che hanno diritto di voto i cittadini italiani, se ne dedurrà – a contrario – che gli stranieri non hanno diritto di voto. Se la legge invece indicasse esplicitamente che la norma si applica a quella sola categoria (hanno diritto di voto i soli cittadini italiani che abbiano compiuto la maggiore età) allora non si dovrebbe ricorrere all’argomento a contrario ma alla semplice interpretazione letterale. Se c’è una norma che fa divieto di portare sul treno cani e gatti, si può a simili dire che tale norma si estende anche agli orsi • L’argomento a fortiori – del quale è possibile distinguere due forme, l’argomento a minori ad maius e a maiori ad minus – è un procedimento discorsivo secondo il quale, data una proposizione giuridica, che predica l’obbligo (o un’altra qualificazione normativa) d’un soggetto (o classe di soggetti) si deve concludere che valga una diversa proposizione giuridica che predichi questo stesso obbligo (o altra qualificazione normativa) d’un soggetto (o classe di soggetti) che si trovi (si trovino) in una situazione tale da meritare, a maggior ragione dei primi, la qualificazione normativa che la prima norma accordava ai primi. La prima forma, a minori ad maius, si applica nel caso di una prescrizione normativa negativa, la seconda a maiori ad minus, nel caso di una prescrizione positiva. Esempi del primo caso: se è vietato ferire, è vietato uccidere. Se è vietato camminare sul prato, è vietato a fortiori, danneggiarlo. La seconda forma si presenta nel brocardo: “chi può il più può il meno”. L’argomento psicologico consiste nella ricerca della volontà del legislatore concreto. Il riferimento ai lavori preparatori che accompagnano una legge, ai dibattiti parlamentari – che magari sono culminati in emendamenti – sono tutti strumenti che consentono di ancorare la ratio legis a quello che effettivamente il parlamento intendeva quando ha emanato la legge. L’argomento apagogico o di riduzione all’assurdo, presuppone che il legislatore sia ragionevole e che non avrebbe potuto ammettere un’interpretazione della legge tale da condurre a conseguenza illogiche o inique. • L’argomento economico che assume che il legislatore non sia ridondante. Esso afferma che una interpretazione deve essere eliminata perché, se fosse ammessa, il testo si limiterebbe a ripetere quel che risulta da una norma di legge anteriore e diverrebbe, per ciò stesso superfluo. Questo argomento però non vale sempre perché è possibile che una disciplina particolare non sia altro che l’applicazione di un principio generale. si basano sull'idea dell'unità o della coerenza del sistema giuridico. Essi si possono suddividere in otto sottogruppi. • • Un primo sottogruppo è formato dagli argomenti che assicurano la coerenza: essi mirano a far sì che le norme di un sistema giuridico vengano interpretate in modo tale che le contraddizioni tra esse siano eliminate o non possano sorgere. L’argomento a coherentia è quello per il quale, partendo dall’idea che un legislatore ragionevole non può disciplinare una identica soluzione in due modi incompatibili fra loro, esiste una regola che permette di scartare una delle due proposizioni da cui sorge l’antinomia. • Il loro fine è l'interpretazione di una norma in base alla sua collocazione nel testo della legge e al suo rapporto con le altre norme. Questi argomenti mirano alla chiarezza concettuale, all'unità formale e alla completezza sistematica, e assumono un ruolo centrale soprattutto nella dogmatica giuridica. • procedimento discorsivo secondo cui, non reperendosi una proposizione giuridica che ascrive una qualificazione giuridica qualsiasi a ciascun soggetto rispetto a ciascun comportamento materialmente possibile, si deve concludere che valga (sia valida, esista come norma) una proposizione giuridica che ascrive ai comportamenti non regolati di ciascun soggetto una particolare qualificazione normativa: o sempre indifferente o sempre obbligatorio o sempre proibito o sempre permesso. • Questa concezione, abbastanza diffusa nel XIX secolo, giacché era complementare all’idea che il giudice non dovesse prender parte alla elaborazione del diritto, presupponeva la mancanza di lacune e dunque di antinomie, giacché queste risultano dall’assenza di una regola che permetta di scartare l’applicazione, in un dato caso, di una delle due regole incompatibili. Questi argomenti sono argomenti di chiusura: del tipo: “tutto ciò che non è espressamente vietato è permesso”; ovvero “tutto ciò che non è espressamente permesso è vietato” (come nel caso degli atti della P.A.). • Al quarto sottogruppo appartengono gli argomenti relativi ai principî. Il loro compito è tra l'altro quello di garantire che nell'interpretazione di una norma vengano applicati i principî del diritto contenuti nel sistema giuridico. Nei casi difficili questo implica normalmente un confronto tra principî contrastanti. Negli Stati costituzionali democratici assumono un ruolo particolare al riguardo i principî costituzionali 1) norme a fattispecie aperta 2) norme defettibili – che ammettono eccezioni 3) norme che hanno un peso (anziché una validità – tutto o niente) 4) norme fondamentali (non hanno bisogno di ulteriori giustificazioni) 5) valori fondamentali I principi possono essere espressi (art. 3, cost, art. 2 cost; art 101 cost; o inespressi). I principi inespressi (certezza del diritto; irretroattività del diritto; tutela delle aspettative; favor rei; etc…) In realtà la distinzione sfuma a livello interpretativo • Il più importante è l'analogia. La sua forma fondamentale consiste nell'estensione del campo di applicazione di una norma autorizzata dall'evidenza di una analogia materiale. Essi assumono un ruolo eminente nei sistemi di common law, ma sono assai importanti anche negli ordinamenti codificati. Pur non possedendo il carattere formale di fonti del diritto, i precedenti appartengono tuttavia al sistema del diritto. Il principio della parità di trattamento esige che non ci si possa allontanare da essi senza fornire i motivi • Essi si basano sulla storia del problema giuridico che di volta in volta deve essere risolto e mirano alla coerenza nella dimensione temporale, cosa questa che non esclude mutamenti e fratture che non siano arbitrari. • Si riferiscono ad altri sistemi giuridici evidenziandone sia gli elementi comuni che le differenze. Gli argomenti istituzionali si basano direttamente o indirettamente sull'autorità del diritto positivo. • • • • Nessun risultato Risultati differenti (quale scegliere?) gli argomenti sistematici spesso sono completi solo quando vengono integrati da argomenti pratici generali (perché la completezza?) si possono presentare casi in cui gli argomenti pratici generali assumono un'importanza così grande da avere la preminenza sugli argomenti istituzionali (perché la separazione dei poteri?) Questo è un motivo essenziale per ritenere l'argomentazione giuridica o il discorso giuridico come un caso speciale, definito attraverso vincoli istituzionali, dell'argomentazione pratica generale o del discorso pratico generale • • L’olismo giuridico asserisce che le conclusioni sono già contenute nelle premesse (Savigny, ma anche Dworkin). Alexy critica: A tale idea si oppone tuttavia il fatto che ciò che è stato istituzionalizzato come sistema giuridico è sempre e necessariamente incompleto. Come le regole non possono applicarsi da sole, così un sistema non può creare da solo la propria completezza e coerenza. A questo scopo sono necessarie persone e procedure. La procedura necessaria però è quella dell'argomentazione giuridica, che non è razionalmente possibile senza argomenti pratici generali. traggono la loro forza unicamente dalla correttezza del loro contenuto, e si possono perciò definire anche 'argomenti sostanziali'. Gli argomenti pratici generali o sostanziali si dividono in due gruppi: argomenti teleologici e argomenti deontologici. Gli argomenti teleologici guardano alle conseguenze dell'interpretazione e si basano in ultima istanza su una idea di bene. Gli argomenti deontologici stabiliscono ciò che è giusto o ingiusto indipendentemente dalle conseguenze. Essi fanno riferimento a una idea del dovere che si fonda perlopiù sull'idea della generalizzabilità L’argomentazione giuridica si distingue dall’argomentazione pratica per un tratto peculiare: l’argomentazione giuridica è caratterizzata dal legame, quale esso sia, col diritto vigente. Nelle argomentazioni giuridiche non può essere affrontata qualsiasi questione. Vi sono varie limitazioni (temporali, non vi è l’obbligo di verità per l’accusato, i ruoli sono distribuiti in modo diverso, etc…) Vi è una specificità dell’interpretazione costituzionale? • • Principi generali del diritto: norme implicite ricavate dall’intero sistema. Sul presupposto che il legislatore sia razionale. Principi riassuntivi e non costitutivi di un sistema : conservazione dei documenti normativi, della separazione dei poteri, di legalità per l’amministrazione. • • • • Principi supremi: normogenetici. Generano tutte le altre norme (Dworkin). L’effetto che producono sulle altre norme è il cd. effetto di irradiazione. • • Le regole comandano, autorizzano, vietano o permettono qualcosa in modo definitivo. Le regole vengono definite precetti definitivi. I principi sono valori da tutelare, obiettivi da conseguire nonché la ragione propulsiva per la ricerca di determinati effetti. • • • Precetto di ottimizzazione: mandato per la realizzazione di un certo fine. • • Il Bilanciamento sfugge ad un controllo pubblico razionale? Alexy offre dei criteri razionali. • • “quanto più alto è il grado di non adempimento o di lesione di un principio, tanto più alta deve essere l’importanza attribuita all’adempimento di un altro principio” Verifica delle possibilità fattuali di realizzazione di un principio: Adeguatezza: si può pregiudicare un principio solo per realizzarne un altro. Necessità: fra due mezzi che realizzano un principio va scelto quello che lede in modo minore il principio concorrente. “quanto maggiore è il grado di non realizzazione o di violazione di un certo principio, tanto maggiore deve essere l’importanza associata alla realizzazione del principio concorrente”. Inappellabilità delle sentenze di proscioglimento – principio del giusto processo – incompatibilità – conseguenze – incostituzionalità della inappellabilità [art. 593 c.p.p., art. 111 Cost., L. 46/2006] • La legge 46/2006 è costituzionalmente illegittima, perché in contrasto con il principio del giusto processo, ex art. 111 Cost., nella parte in cui vieta al pubblico ministero di appellare le sentenze di proscioglimento; l’alterazione del trattamento paritario dei contendenti, indotta dalla norma in esame, infatti, non può essere giustificata, in termini di adeguatezza e proporzionalità, sulla base delle rationes che, alla stregua dei lavori parlamentari, si collocano alla radice della riforma • • Parità accusa e difesa: – In riferimento all’art. 111, secondo comma, Cost., la questione è fondata. Giova premettere come, secondo quanto reiteratamente rilevato da questa Corte, il secondo comma dell’art. 111 Cost., inserito dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 (Inserimento dei principi del giusto processo nell’articolo 111 della Costituzione) – nello stabilire che «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità» – abbia conferito veste autonoma ad un principio, quello di parità delle parti, «pacificamente già insito nel pregresso sistema dei valori costituzionali» (ordinanze n. 110 del 2003, n. 347 del 2002 e n. 421 del 2001). • • • Alterazioni di tale simmetria – tanto nell’una che nell’altra direzione (ossia tanto a vantaggio della parte pubblica che di quella privata) – sono invece compatibili con il principio di parità, ad una duplice condizione: e, cioè, che esse, per un verso, trovino un’adeguata ratio giustificatrice nel ruolo istituzionale del pubblico ministero, ovvero in esigenze di funzionale e corretta esplicazione della giustizia penale, anche in vista del completo sviluppo di finalità esse pure costituzionalmente rilevanti; e, per un altro verso, risultino comunque contenute – anche in un’ottica di complessivo riequilibrio dei poteri, avuto riguardo alle disparità di segno opposto riscontrabili in fasi del procedimento distinte da quelle in cui s’innesta la singola norma discriminatrice avuta di mira (si vedano le sentenze n. 115 del 2001 e n. 98 del 1994) – entro i limiti della ragionevolezza. Tale vaglio di ragionevolezza va evidentemente condotto sulla base del rapporto comparativo tra la ratio che ispira, nel singolo caso, la norma generatrice della disparità e l’ampiezza dello “scalino” da essa creato tra le posizioni delle parti: mirando segnatamente ad acclarare l’adeguatezza della ratio e la proporzionalità dell’ampiezza di tale “scalino” rispetto a quest’ultima • • Ciò posto, questa Corte ha ribadito che, anche per quanto attiene alla disciplina delle impugnazioni, parità delle parti non significa, nel processo penale, necessaria omologazione di poteri e facoltà. A tal proposito – sulla premessa che la garanzia del doppio grado di giurisdizione non fruisce, di per sé, di riconoscimento costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 280 del 1995; ordinanza n. 316 del 2002) – questa Corte ha in particolare rilevato come il potere di impugnazione nel merito della sentenza di primo grado da parte del pubblico ministero presenti margini di “cedevolezza” più ampi, a fronte di esigenze contrapposte, rispetto a quelli che connotano il simmetrico potere dell’imputato • Il potere di impugnazione della parte pubblica trova, infatti, copertura costituzionale unicamente entro i limiti di operatività del principio di parità delle parti – “flessibile” in rapporto alle rationes dianzi evidenziate – non potendo essere configurato come proiezione necessaria del principio di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, di cui all’art. 112 Cost. (sentenza n. 280 del 1995; ordinanze n. 165 del 2003, n. 347 del 2002, n. 421 del 2001 e n. 426 del 1998); mentre il potere di impugnazione dell’imputato viene a correlarsi anche al fondamentale valore espresso dal diritto di difesa (art. 24 Cost.), che ne accresce la forza di resistenza di fronte a sollecitazioni di segno inverso (sentenza n. 98 del 1994). • Ciò non toglie, tuttavia, che le eventuali menomazioni del potere di impugnazione della pubblica accusa, nel confronto con lo speculare potere dell’imputato, debbano comunque rappresentare – ai fini del rispetto del principio di parità – soluzioni normative sorrette da una ragionevole giustificazione, nei termini di adeguatezza e proporzionalità dianzi lumeggiati: non potendosi ritenere, anche su questo versante – se non a prezzo di svuotare di significato l’enunciazione di detto principio con riferimento al processo penale – che l’evidenziata maggiore “flessibilità” della disciplina del potere di impugnazione del pubblico ministero legittimi qualsiasi squilibrio di posizioni, sottraendo di fatto, in radice, le soluzioni normative in subiecta materia allo scrutinio di costituzionalità • È evidente, poi, come tale sperequazione non venga attenuata, se non in modo del tutto marginale, dalla previsione derogatoria di cui al comma 2 dell’art. 593 cod. proc. pen., in forza della quale l’appello contro le sentenze di proscioglimento è ammesso nel caso di sopravvenienza o scoperta di nuove prove decisive dopo il giudizio di primo grado: previsione non presente nel testo originariamente approvato dal Parlamento, ma introdotta a fronte dei rilievi su di esso formulati dal Presidente della Repubblica con il messaggio trasmesso alle Camere il 20 gennaio 2006 ai sensi dell’art. 74, primo comma, Cost., nel quale si era segnalato, tra l’altro, come «la soppressione dell’appello delle sentenze di proscioglimento» determinasse – stante la «disorganicità della riforma» – una condizione di disparità «delle parti nel processo […] che supera quella compatibile con la diversità delle funzioni svolte dalle parti stesse». La rimozione del potere di appello del pubblico ministero si presenta, per altro verso, generalizzata e “unilaterale”. È generalizzata, perché non è riferita a talune categorie di reati, ma è estesa indistintamente a tutti i processi: • È “unilaterale”, perché non trova alcuna specifica “contropartita” in particolari modalità di svolgimento del processo – come invece nell’ipotesi già scrutinata dalla Corte in relazione al rito abbreviato, caratterizzata da una contrapposta rinuncia dell’imputato all’esercizio di proprie facoltà, atta a comprimere i tempi processuali – essendo sancita in rapporto al giudizio ordinario, nel quale l’accertamento è compiuto nel contraddittorio delle parti, secondo le generali cadenze prefigurate dal codice di rito. A fronte delle evidenziate connotazioni, l’alterazione del trattamento paritario dei contendenti, indotta dalla norma in esame, non può essere giustificata, in termini di adeguatezza e proporzionalità, sulla base delle rationes che, alla stregua dei lavori parlamentari, si collocano alla radice della riforma. Perelman è stato uno dei più importanti e conosciuti filosofi belgi. Allievo di Dupréel, ne riprende la critica del positivismo e la riflessione sui valori. La sua ricerca ruota intorno a due assi: la nuova retorica ed il ragionamento giuridico. In entrambi, Perelman ha analizzato il problema dei giudizi di valore, giungendo alla conclusione che la logica che li muove non può essere compresa nell’ambito della filosofia occidentale post-cartesiana a causa della sua ristretta concezione della razionalità Al centro dell’interpretazione giuridica e dell’applicazione del diritto sta il conflitto fra giudizi di valore. Per questo la logica giuridica è una logica della controversia. Se in un processo c’è accordo sulla descrizione dei fatti, le parti, per far valere la concezione del diritto che è loro favorevole, metteranno in rilievo questo o quel valore: se uno difende la certezza del diritto e la conformità alla lettera del testo, l’altro gli opporrà lo spirito della legge, cioè la sua finalità, e lo spirito del diritto, cioè la preponderanza di un altro valore considerato come più importante. C. Perelman, Logica giuridica e nuova retorica, Giuffrè, Milano 1979, p. 10. La logica formale si avvale essenzialmente di uno strumento: il sillogismo La logica (dal greco λόγος, logos, ovvero "parola", "pensiero", "idea", "argomento", "ragione", da cui poi λογική, logiké) è lo studio del ragionamento e dell‘argomentazione e, in particolare, dei procedimenti inferenziali rivolto a chiarire quali procedimenti di pensiero siano validi e quali non validi. Il motivo per cui si parla di logica formale è che, fin dall'antichità, i logici hanno cercato di caratterizzare i rapporti di conseguenza logica tra enunciati facendo riferimento soltanto alla forma, cioè alla configurazione sintattica, degli enunciati stessi (anche se poi, per giustificare una tale caratterizzazione, si deve inevitabilmente ricorrere a considerazioni di ordine semantico: ad es., si può enunciare il principio per cui, dati tre enunciati rispettivamente della forma "Ogni A è B", "Ogni B è C" e "Ogni A è C", il terzo è conseguenza logica dei primi due; il principio fa riferimento soltanto alla forma degli enunciati, ma è ovvio che la sua validità dipende da fatti semantici, in particolare dal significato di "ogni"). Al punto di vista formale già si atteneva con coerenza Aristotele negli Analitici Primi, dove, com'è noto, venivano indagati i diversi tipi di ragionamento sillogistico (di cui 3-5) è un esempio). Ragionamento come attività dello spirito: La parola ragionamento indica nello stesso tempo un’attività dello spirito ed il prodotto di tale attività. L’attività mentale di chi ragiona può essere oggetto di studi psicologici, fisiologici, sociali e culturali, atti a rivelare le intenzioni e i motivi di chi ha elaborato un ragionamento, le influenza di qualsiasi tipo subite e tali da far situare il fenomeno nel proprio contesto • • Ragionamento come prodotto • Il ragionamento come prodotto di tale attività intellettuale, può essere studiato indipendentemente dalle condizioni della sua elaborazione: si terrà conto del modo in cui è stato formulato, della posizione delle premesse e della conclusione, della validità del legame che le unisce, della struttura del ragionamento, della sua conformità a date regole o a dati schemi preventivamente accettati. Tale esame è di competenza di una disciplina che tradizionalmente è detta logica • • Dal punto di vista della logica, il ragionamento consiste in un processo, un movimento, un dinamismo della conoscenza spesso associato all’inferenza. L’inferenza sta a significare l’operazione mentale del passaggio da una conoscenza ad un’altra (vedo il fumo, desumo ci sia il fuoco). Tanti punti di partenza: cioè ragioni, affermazioni, proposizioni, argomenti. Le premesse sono le proposizioni che precedono le conclusioni. Ragionare significa passare dalle premesse alle conclusioni attraverso un’inferenza logica La dimensione dinamica del ragionamento assume consistenza nel processo attraverso cui, a partire da ciò che è noto (le premesse) si giunge a ciò che non è immediatamente noto, cioè alla conclusione, che pertanto risulta essere mediatamente nota: nota grazie alle premesse. La logica è una componente essenziale del ragionamento. John Dewey afferma che il pensiero ragionato (reasoned thought) converte un’azione meramente appettitiva, impulsiva, e cieca in un’azione intelligente Secondo una prima approssimativa definizione, il ragionamento deduttivo è quel ragionamento le cui conclusioni seguono necessariamente da certi fatti noti. Per esempio, se sappiamo che la Terra è più grande di Marte e che Giove è più grande della Terra, seguirà necessariamente che Giove è più grande di Marte. Se A e B sono veri, allora C deve essere vero. • • • • • La forma speciale di ragionamento deduttivo che si ritrova nella stragrande maggioranza delle sentenze è il sillogismo che è quella forma particolare di ragionamento in cui la conclusione segue necessariamente da due premesse. Ad esempio: Tutti gli uomini sono mortali Socrate è un uomo Socrate è mortale • Le tre parti del sillogismo vengono comunemente definite, premessa maggiore (tutti gli uomini sono mortali), premessa minore (Socrate è un uomo) e la conclusione (Socrate è mortale). La premessa maggiore afferma una verità generale (tutti gli uomini sono mortali), la premessa minore afferma un fatto specifico e una verità più circoscritta (Socrate è un uomo). La conclusione è l’esplicitazione di ciò che era già implicito nelle due premesse (Socrate è mortale). • • • Leibniz espresse questo concetto nei seguenti termini: ciò che è vero dell’universale è vero del particolare. Si potrebbe dire: Se è vero che le macchine hanno quattro ruote e che l’Opel è una macchina, sarà anche vero che la Opel ha quattro ruote. Se noi sappiamo che i membri di una certa classe hanno certe caratteristiche, e che certi individui sono membri di quella classe, allora sappiamo che quegli individui hanno le stesse caratteristiche della classe. Se il ragionamento deduttivo prova una conclusione particolare partendo da una proposizione generale, nel ragionamento induttivo succede l’inverso. Il ragionamento induttivo è quel ragionamento che conduce ad una proposizione generale partendo da proposizioni particolari.. Il procedimento induttivo parte tipicamente dall’esperienza. Io osservo un corvo che è nero, un altro corvo che è pure nero, un altro ancora e mi accorgo che è nero. Dall’osservazione di casi particolari (e dunque da proposizioni particolari: il corvo X è nero + il corvo Y è nero + il corvo Z è nero, …) inferisco una proposizione generale: i corvi sono neri Il sillogismo funziona nel modo seguente: Tutti gli A osservati sono B _____________ (probabilmente) Tutti gli A sono B La peculiarità del ragionamento induttivo è che le conclusioni non sono vere ma sono plausibili. Tali conclusioni verranno poste alla base di nuovi sillogismi che tuttavia non saranno rigorosamente deduttivi, in quanto le premesse non sono certe ma probabili o plausibili. • Il ragionamento dialettico è il ragionamento in cui le premesse non sono certe – come nel sillogismo rigoroso della logica formale. Aristotele ci dice nei Topici, nella Retorica e nelle Confutazioni sofistiche i ragionamenti dialettici non si riferiscono alle dimostrazioni scientifiche ma alle deliberazioni ed alle controversie. Essi riguardano i mezzi di persuasione, mediante il discorso, per criticare le tesi degli avversari e giustificare le proprie mediante argomenti più o meno forti. Il sillogismo dialettico è anche detto entimema: • • • • L'entimema (dal greco ἐνθύμημα) è, nella Retorica di Aristotele, un'argomentazione in forma di sillogismo nella quale una delle premesse non è certa ma solo probabile. Comunemente, si fa riferimento a un entimema anche quando si ha un sillogismo incompleto o ellittico, nel quale una o più premesse sono volutamente sottintese, perché già di per sé note; sarebbe quindi superfluo citarle. L'entimema può essere dimostrativo o confutativo. Sono entimemi dimostrativi quelli che traggono conclusioni da «premesse sulle quali esiste accordo» [Aristotele, Retorica II.23]. Sono entimemi confutativi quelli che traggono conclusioni «non accolte dall'avversario» [Aristotele, Retorica II.23]. “Se è vergognoso non essere capaci di difendersi con le proprie braccia, sarebbe assurdo se fosse esente da vergogna non saperlo fare per mezzo della parola, il cui uso è più proprio per l’uomo di quello delle braccia” (Aristotele, Retorica, I, 1355 ab). L’entimema, come dice Aristotele, è il “corpo della persuasione”. • La struttura di cui parliamo è il sillogismo, l’entimema è infatti definito da Aristotele sillogismo retorico. Tale sillogismo, diversamente dal sillogismo scientifico trattato negli Analitici Secondi, ha la caratteristica di partire da premesse probabili (eikòta e semèia) ma non necessarie (se si escludono gli entimemi che partono da tekmèria), e di avere conclusioni che valgono nella maggior parte dei casi ma non certe. L’ambito della retorica e del suo sillogismo specifico (l’entimema) è il campo del per lo più (os epì tò polù), è l’ambito della vita quotidiana, del probabile e dell’incerto. L’accostamento fra entimema e linguaggio ordinario funziona soprattutto per questa direttrice realistica che lega l’uso pratico del linguaggio all’esigenza di misurarsi con la vita di ogni giorno, con quella dose di scontro con l’imprevedibilità e necessità di adattamento che rendono l’atteggiamento retorico uno degli aspetti fondamentali del linguaggio umano. Penso, La dunque sono. premessa maggiore (tutti gli esseri che pensano sono esistenti manca). La logica pervade il diritto. L’insistenza del diritto sul ragionamento corretto ed esplicito inibisce i giudici e gli avvocati dal presentare argomenti che si basino su intuizioni che non siano accompagnate da principi, o che non abbiano alcuni disciplina o criterio Corte Cass. Pen 22 marzo 2011 Il Giudice per le Indagini Preliminari di Catanzaro dispone la misura cautelare in carcere nei confronti dell’imputato X. Dopo qualche mese, su istanza della difesa, stabilisce che la misura cautelare in carcere debba essere sostituita con quella degli arresti domiciliari. Il nuovo provvedimento viene comunicato all’Ufficio del Pubblico Ministero in data 29 dicembre 2009. • • • Ai sensi degli artt. 591 cpp, comma 1 lett. c); 310, comma 2 e 309, comma 1 c.p.p. il PM ha dieci giorni per impugnare l’ordinanza del GIP. Il Pm in questione tuttavia aspetta quasi trenta giorni prima di impugnare. Asserisce tuttavia che l’appello è tempestivo perché – sebbene l’ordinanza del GIP sia stata comunicata all’Ufficio in data 29 dicembre, egli – magistrato incaricato delle indagini, ne ha preso visione il 12 gennaio. Da questa data si fa decorrere il dies a quo per il calcolo dei dieci giorni. La Corte di Cassazione dà ragione all’indagato. I dieci giorni decorrono dalla data di comunicazione all’ufficio e non dall’effettiva conoscenza che ne ha il magistrato (Corte Cass. 22 marzo 2011). • Premessa maggiore: • Il PM deve proporre appello entro 10 gg. dall’esecuzione del provvedimento (l’ordinanza del GIP) • Premessa minore • L’ordinanza si intende eseguita quando viene trasmessa all’ufficio del PM • Conclusione • Il PM deve proporre appello entro 10 gg. dalla comunicazione dell’ordinanza all’ufficio del PM. La logica formale aiuta quando una volta individuate le premesse si passa dalle premesse alla conclusione. Ma, come si individuano le premesse? • • • Proprio per distinguere l’operazione di formulazione le conclusioni (tirando le somme) e l’operazione di formulazione delle premesse, Wroblewski ha distinto fra due momenti nel ragionamento giudiziario: la giustificazione interna e la giustificazione esterna. • • J. Wroblewski, The Judicial Application of the Law, 1992. Rintracciare le disposizioni rilevanti: (comunemente questo lavoro lo fanno gli avvocati negli atti di giudizio): Nel caso nostro: art. 591, comma 1, lett. c); art. 310, commi 1 e 2; art., 309, comma 1 Art. 591. Inammissibilità dell'impugnazione. 1. L'impugnazione è inammissibile: c) quando non sono osservate le disposizioni degli articoli 581, 582, 583, 585 e 586; • • • Art. 310. Appello. (1) 1. Fuori dei casi previsti dall'articolo 309 comma 1, il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore possono proporre appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali, enunciandone contestualmente i motivi. 2. Si osservano le disposizioni dell'articolo 309 commi 1, 2, 3, 4 e 7. Dell'appello è dato immediato avviso all'autorità giudiziaria precedente che, entro il giorno successivo, trasmette al tribunale l'ordinanza appellata e gli atti su cui la stessa si fonda. • • • Art. 309. Riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva. (1) 1. Entro dieci giorni dalla esecuzione o notificazione del provvedimento, l'imputato può proporre richiesta di riesame, anche nel merito, della ordinanza che dispone una misura coercitiva, salvo che si tratti di ordinanza emessa a seguito di appello del pubblico ministero. In altri termini, in che modo la Corte di Cassazione è arrivata ad affermare la regola per cui i dieci giorni per impugnare non decorrono da una notifica al PM ma dalla semplice comunicazione all’Ufficio? Per ricostruire l’iter argomentativo della Corte occorre guardare alla cd. giustificazione esterna • • • • “Il Collegio, pur consapevole di diverso orientamento espresso da un’isolata pronunzia (sez. IV, 28 febbraio 1996, n. 686), ritiene che il suddetto termine decorra dalla data di comunicazione dell’ordinanza all’Ufficio del PM, a nulla rilevando che la comunicazione stessa non sia stata specificamente effettuata al magistrato “titolare” del procedimento, attesa l’unitarietà e l’impersonalità dell’ufficio della procura, come si desume dall’art. 2, lett. b) della l. 24 ottobre 2006 n. 269…. …. Ai fini della decorrenza del suddetto termine non occorre la notificazione del provvedimento impugnabile, essendo sufficiente, per il pubblico ministero, la comunicazione del provvedimento all’ufficio della procura e per la parte privata la notificazione del relativo avviso di deposito. • • • • • La giustificazione interna coincide approssimativamente con il dispositivo: è la parte finale della decisione in cui la conclusione (ricorso accolto, parzialmente accolto, respinto, etc…) segue necessariamente dalle premesse (dalla premessa maggiore e dalla premessa minore). Nei casi facili, l’intero ragionamento si riduce alla giustificazione interna: Il codice della strada sanziona con una multa di Euro colui che non si ferma al semaforo rosso (Premessa maggiore); A non si è fermato al semaforo rosso (premessa minore); La multa comminata ad A è legittima (conclusioni). • • • • • • Ad esempio, nel 2007 la Corte Costituzionale dichiarò costituzionalmente illegittima la legge n. 46 del 2006 nella parte in cui vietava al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento. La Corte in estrema sintesi dichiarò che: Il principio del giusto processo (di cui all’art. 111 Cost.) presuppone la parità fra accusa e difesa; (premessa maggiore) Il divieto di impugnazione delle sentenze di proscioglimento da parte del PM è una violazione del principio di parità fra accusa e difesa (infatti: in caso di condanna l’imputato può impugnare, in caso di assoluzione, il PM non può impugnare) (premessa minore) La legge n. 46 che fa divieto al PM di impugnare le sentenze di proscioglimento è costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 111 Cost. (Conclusione). • In realtà la Corte ha utilizzato un percorso argomentativo molto più lungo per arrivare a questa conclusione, invocando molti altri principi, fra cui il principio di proporzionalità e di ragionevolezza. Sicché conoscere la formulazione conclusiva delle sentenze è utile ma ancora largamente insufficiente per spiegare il ragionamento giuridico. Per capire la giustificazione esterna, però, dobbiamo discostarci dalla logica formale Il coltello è sporco di sangue della vittima Vi sono impronte digitali di X sul coltello Probabilmente X è l’autore del delitto il ragionamento giuridico è una forma particolare di ragionamento pratico. Aristotele fu il primo a distinguere chiaramente fra ragione teoretica e ragion pratica. La prima cerca la conoscenza per la conoscenza stessa. Il ragionamento pratico fornisce ragioni per un’azione: è cioè quello che si conclude con l’affermazione che un’azione deve essere compiuta, in altri termini con una prescrizione • • • • Il ragionamento teoretico è anche detto aletico. Si dice aletico un ragionamento i cui componenti (premesse e conclusioni) siano, tutti, proposizioni, ossia enunciati di un discorso conoscitivo o descrittivo., come tali veri o falsi.. Tutti gli uomini sono mortali Socrate è un uomo Socrate è mortale Le conclusioni del ragionamento aletico vengono valutate alla luce dei criteri di verità e/o falsità se sono vere le premesse (tutti gli uomini sono mortali e Socrate è un uomo) sono vere anche le conclusioni (Socrate è mortale) Cioè: Il ragionamento pratico o normativo è quel ragionamento la cui conclusione sia una norma, ossia un enunciato del discorso prescrittivo o direttivo, come tale né vero né falso. • • Non bisogna ledere il prossimo Picchiare qualcuno è ledere il prossimo • • • _____________ Non bisogna picchiare alcuno • • La conclusione di questo ragionamento pratico è di carattere prescrittivo generale • • Non bisogna ledere il prossimo Picchiare Simona è ledere il prossimo • • • _____________ Non bisogna picchiare Simona • • Il primo esempio di ragionamento può essere denominato teorico pratico ed il secondo pratico pratico. Il ragionamento giudiziale ha solitamente questo tenore anche se contiene ragionamenti del primo tipo. Un ragionamento aletico è logicamente valido e dunque stringente allorché ha carattere deduttivo: se le premesse sono vere, allora necessariamente anche la conclusione è vera. Ma come definire le condizioni di validità dei ragionamenti normativi? • Se per i ragionamenti aletici il criterio di validità è dato dalla verità (se sono vere le premesse sono anche vere le conclusioni), cosa dire dei ragionamenti normativi? Il problema nasce dal fatto che non possiamo estendere ai ragionamenti normativi le condizioni di validità dei ragionamenti aletici: per la banale considerazione che nei ragionamenti normativi compaiono norme e le norme non hanno valore di verità (non sono né vere né false). A quali condizioni, dunque, può dirsi valido un ragionamento normativo? Si può ragionare validamente con norme? • I ragionamenti normativi sono perfettamente possibili e il dilemma non ha ragion d’essere perché nasce da un presupposto errato: contrariamente a quanto il dilemma assume come pacifico e cioè che le norme non hanno valore di verità, le norme hanno valori di verità: anch’esse come le proposizioni sono vere e false. Ad esempio, la proposizione “E’ vero che non si deve uccidere” è una proposizione ben formata in italiano. Le norme sono vere allorché corrispondono a doveri o valori oggettivamente esistenti nella natura delle cose e riconoscibili mediante l’uso della retta ragione. Questo modo di vedere, caratteristico del giusnaturalismo, presuppone il cognitivismo etico, ossia la tesi della conoscibilità di valori, doveri e quant’altro. La risposta opposta è che i ragionamenti normativi sono frutto di illusione, di autoinganno. Malgrado le apparenze nessun ragionamento normativo è valido. Le norme sono, per così dire, fatti: ad esempio, comandi di un sovrano. E fra fatti può esservi forse una relazione causale ma non una relazione logica. • Se le norme sono prive di valore di verità non si può ragionare con le norme, ma si può ragionare con proposizioni fattuali che asseriscono il soddisfacimento (l’osservanza, l’adempimento, l’effettività) delle norme. Così ad esempio, la proposizione secondo cui la norma individuale “L’assassino Tizio deve essere punito” si può inferire dalla proposizione secondo cui la norma generale “Gli assassini devono essere puniti” Il dominio della logica è più ampio al dominio della verità. Le norme non ha valori di verità, ma non per questo sono privi di valori logici qualsivoglia. Il valore logico delle norme è un valore di validità, intesa come giustizia, obbligatorietà, o anche, come si usa dire, forza vincolante. Se è valida la premessa: Tutti i ladri devono essere puniti, allora è valida anche la conclusione: Il Ladro Tizio deve essere punito. Il dover essere non può discendere dall’essere. Dalla circostanza che un fatto si ripeta nel tempo non può desumersi che debba ripetersi. Dal fatto che tutti coloro che entrano in Chiesa si tolgono il cappello non può discendere che la regola secondo cui quando si entra in Chiesa ci si deve togliere il cappello Una sentenza è vera? Una sentenza è corretta? Una sentenza è giusta? Una sentenza è convincente? Il positivismo limita il ruolo della logica, dei metodi scientifici e della ragione a problemi conoscitivi, puramente teorici, e la negazione della possibilità di un uso pratico della ragione Il positivismo si oppone alla tradizione aristotelica che ammette la ragion pratica applicabile a tutti i campi d’azione, dall’etica alla politica, e tale da giustificare la filosofia come ricerca della saggezza. • • La dialettica: Il prof. J. Moreau (1963) parafrasando e commentando un testo di Platone (Eutifrone 7b) scrive: “Se tu e io fossimo di opinione diversa – dice Socrate ad Eutifrone – sul numero (ad esempio di uova in un cesto), sulla lunghezza (di una stoffa) o sul peso (d’un sacco di frumento), noi non litigheremmo per questo; non cominceremmo a discutere; ci basterebbe contare, misurare o pesare e la nostra disputa sarebbe superata. Le discussioni si prolungano e si approfondiscono solo quando mancano tali mezzi di misura, dei criteri siffatti di obbiettività: questo è il caso (precisa Socrate) di quando si sia in disaccordo sul giusto e l’ingiusto, sul bello e il brutto, il bene e il male, insomma sui valori “Se è vergognoso non essere capaci di difendersi con le proprie braccia, sarebbe assurdo se fosse esente da vergogna non saperlo fare per mezzo della parola, il cui uso è più proprio per l’uomo di quello delle braccia” (Aristotele, Retorica, I, 1355 a-b). La teoria dell’argomentazione sostituisce alla nozione di verità la nozione di accordo: il ragionamento che riguarda valori non deve dimostrare la verità di alcunché ma deve mirare all’accordo Tale concezione, nata con Descartes e sviluppata in seguito dai logici e dai matematici, considera razionale solo ciò che, per il suo carattere necessario ed apodittico, si impone a tutti con la forza dell’evidenza. Questa certezza è considerata il corollario di una dimostrazione astratta od empirica e produce il proprio effetto di verità esprimendosi in idee chiare e distinte. • Questa tendenza ha la colpa di confinare nell’ambito dell’irrazionale, territorio della suggestione o della violenza, tutto ciò che esorbita dagli stretti limiti del razionale puro. «A noi sembra, invece, che si tratti di una limitazione indebita e del tutto ingiustificata del campo in cui interviene la nostra facoltà di ragionare e di provare. […] La concezione postcartesiana della ragione ci obbliga a far intervenire degli elementi irrazionali ogni volta che l’oggetto della conoscenza non sia evidente» (ibid.). Tale concezione si basa su di una visione dicotomica dell’uomo al quale vengono attribuiti «passioni ed interessi capaci di opporsi alla ragione» (ibid.). Ma tale distinzione «è fondata su un errore e conduce ad un vicolo cieco. L’errore sta nel concepire l’uomo come costituito di facoltà completamente separate; il vicolo cieco consiste nel togliere all’azione fondata sulla scelta ogni giustificazione razionale, rendendo così assurdo l’esercizio della libertà umana» (ibid.). «Il campo dell’argomentazione è quello del verosimile, del probabile, nella misura in cui quest’ultimo sfugge alle certezze del calcolo» (ibid.). È questo il campo del discorso retorico attraverso il quale l’oratore cerca di persuadere l’uditorio all’accettazione di una tesi determinata. • L’oggetto della teoria dell’argomentazione è, dunque, «lo studio delle tecniche discorsive atte a provocare o accrescere l’adesione delle menti alle tesi che vengono presentate al loro assenso» (ibid.), studio non limitato, come quello cartesiano ai casi in cui tale consenso è caratterizzato dall’evidenza. Si tratta di un campo molto ampio comprendente le argomentazioni dei filosofi, politici, avvocati, giornalisti. • • • L'argomentazione è un ragionamento situato. E' un ragionamento nel senso che consiste nell'inferire, da enunciati che fanno da premessa, un enunciato che costituisce una conclusione. Ma a differenza di quanto avviene nella logica formale, le premesse non sono vere. Sono solo assunte come vere da chi sviluppa il ragionamento e/o da chi lo ascolta e lo valuta. Il valore di verità di quanto è affermato nelle premesse dipende dal livello di credenza sia di chi enuncia che di chi ascolta e valuta l'argomentazione D: Impersonale, Indipendente dal tempo e dallo spazio, Valida sempre e per tutti, Incontrovertibile, Superfluità di un'ulteriore dimostrazione A: Personale, Situata nel tempo e nello spazio, vincolata al qui ed ora, Valida nella situazione in cui è proposta, Sempre rivedibile, Opportunità dell'accumulo • D: Fondata su assiomi, Vale il principio del terzo escluso, Carattere di verità logica, valida sempre e ovunque, Evidenza e necessità • A.: Fondata su opinioni presupposizioni, precedenti, Non vale il principio del terzo escluso, del tutto o niente, Carattere valutativo, tipico della giustificazione della ragionevolezza di una scelta Verosimiglianza, plausibilità, probabilità • • • La finalità della nuova retorica è, dunque, quella di recuperare le argomentazioni usate nel discorso persuasivo nella sfera della razionalità, attraverso l’estensione di quest’ultima espressa dalla nozione di ragionevolezza, la quale comprende tutte le idee sostenute dagli uomini indipendentemente dal grado di adesione dagli stessi manifestato. La ragionevolezza pertanto non riguarda solo le conoscenze evidenti e necessarie, ma tutte quelle semplicemente verosimili, per le quali, non esistendo certezza oggettiva, l’adesione può essere ottenuta solo attraverso l’argomentazione (la quale si oppone così alla dimostrazione). 1. La retorica cerca mediante il discorso. di persuadere Se si ricorre all’esperienza non si parla di retorica. Vanno escluse la violenza e le lusinghe 2. La dimostrazione è più persuasiva, è convincente, sempre che si accetti la verità delle premesse da cui muove. Ma l’evidenza – come punto di partenza – è sempre possibile? 3. Quando si tratta di scegliere fra valori si ha la sensazione che il valore che è stato scartato sia stato SACRIFICATO. Sacrificio e peso 4. La verità è impersonale, l’adesione è personale Un discorso è efficace solo se è adeguato all’uditorio. Specifica gli elementi della teoria dell’argomentazione. • L’uditorio è definito come «l’insieme di coloro sui quali l’oratore vuole influire per mezzo della sua argomentazione» (ibid.). L’oratore deve sempre avere presente l’uditorio al quale si rivolge, non solo nella predisposizione, ma anche nello svolgimento del discorso, se vuole raggiungere il proprio fine persuasivo. «La conoscenza dell’uditorio che ci si propone di convincere è dunque condizione preliminare di ogni argomentazione efficace» Tale conoscenza implica, per poter essere efficace, anche quella dei mezzi più idonei per agire sull’uditorio stesso in modo da persuaderlo. Questa azione è definita condizionamento. «Conoscere l’uditorio significa pure sapere, e come il suo condizionamento possa essere assicurato e quale sia, in ogni singolo istante del discorso, il condizionamento attuato» (ibid.). • Le principali forme di condizionamento sono non-linguistiche, tuttavia ve ne è anche una discorsiva che consiste nel «continuo adattamento dell’oratore al proprio uditorio» (ibid.). Ciò implica che è l’uditorio a determinare la qualità dell’argomentazione. «L’importante nell’argomentazione non è sapere che cosa l’oratore consideri vero o probante, ma quale sia l’opinione di coloro ai quali si rivolge. […] Spetta in realtà soprattutto all’uditorio il compito di determinare la qualità dell’argomentazione e il comportamento dell’oratore» (ibid.). • «Ci proponiamo qui di chiamare persuasiva l’argomentazione che pretende di valere soltanto per un uditorio particolare, e di chiamare invece convincente quella che si ritiene possa ottenere l’adesione di qualunque essere ragionevole» (ibid.). A differenza della concezione tradizionale (propria ad esempio di Blaise Pascal e Immanuel Kant) che vuole basare questa distinzione su basi oggettive e nette, Perelman mostra come questa distinzione dipenda in realtà dall’uditorio, e pertanto deve rimanere imprecisa. Gli autori distinguono tre diversi tipi di uditorii: l’uditorio universale costituito da tutta l’umanità; l’interlocutore nel caso del dialogo; lo stesso soggetto nel caso del monologo. • L’uditorio universale non ha esistenza oggettiva ma è una costruzione propria di ogni individuo e di ogni cultura. Esso può essere considerato tale quando «chi non ne fa parte potrà, per ragioni legittime, non essere preso in considerazione» (ibid.). L’uditorio universale fornisce all’oratore una importante soluzione nel caso in cui non riesca a suscitare un consenso unanime. «Se l’argomentazione rivolta all’uditorio universale e considerata atta a convincere non convince tutti resta sempre la possibilità di squalificare il recalcitrante, considerandolo stupido o anormale» (ibid.). L’uditorio universale è tale solo per chi gli riconosce il ruolo di modello, per gli altri resterà un uditorio particolare. Deliberativo Giudizario epidittico L’argomentare presuppone un impegno: l’impegno di sottoporre le proprie tesi alla discussione e al dialogo. le premesse del discorso, necessarie affinché esso riesca a convincere l’uditorio. Le premesse vengono analizzate da tre punti di vista: accordo, scelta, presentazione. Le premesse oggetto dell’accordo sono raggruppate in due categorie: il reale, comprendente fatti, verità e presunzioni; e il preferibile riguardante i valori, le gerarchie tra valori ed i luoghi comuni (definiti luoghi del preferibile). Nell’argomentazione la nozione di “fatto” è caratterizzata unicamente dall’idea che si ha di un certo genere di accordi riguardo ad alcuni dati, quelli che si riferiscono ad una realtà obiettiva ed indicano in ultima analisi ciò che è comune a più esseri pensanti e potrebbe essere comune a tutti. evento può essere considerato un fatto solo se non è controverso. «Dal punto di vista argomentativo siamo in presenza di un fatto soltanto se possiamo postulare per esso un accordo universale, non controverso» (ibid.). Un Es: sul corpo della vittima ci sono 10 ferite da taglio. Tuttavia «non esiste enunciato che possa godere, in forma definitiva, di tale condizione, perché l’accordo può sempre essere rimesso in questione e una delle parti può sempre rifiutare la qualità di fatto a ciò che l’avversario afferma» (ibid.). Vi sono, dunque, due modi per squalificare un fatto: a) quando vi sono dei dubbi nell’uditorio, e b) quando si dimostra che l’uditorio che ammette il fatto è un uditorio particolare (l’aristocratico che dice che il suo schiavo è contento; i parenti della vittima; il gruppo dei pubblici ministeri). • Queste si differenziano dai fatti poiché rispetto ad essi sono «sistemi più complessi, relativi a legami fra i fatti» (ibid.). Dunque, sia le verità sia i fatti non sono delle realtà oggettive, assolute ed inconfutabili, al contrario possono sempre essere contestate, ed in questo caso l’oratore non può più utilizzarli come premesse (è vero che la morte è stata causata da dissanguamento e che la perdita di sangue è dovuta alla ferita) . Godono ugualmente dell’accordo universale, tuttavia l’adesione alle presunzioni non è massima, ci si aspetta che l’adesione sia rafforzata ad un dato momento da altri elementi» (ibid.). Le presunzioni sono legate a ciò che è considerato dall’uditorio normale e verosimile. Pertanto l’accordo fondato su di esse ha, per l’uditorio, la stessa validità di quello fondato sui fatti e sulle verità. che il parlante pensa quello che dice che le cose sono come sembrano che l’obiettivo del discorso non sia l’inganno (pensiamo ai discorsi politici di oggi) «L’accordo a proposito di un valore consiste nell’ammettere che un oggetto, essere concreto o ideale, deve esercitare sull’azione e sulle disposizioni all’azione una determinata influenza, della quale si può fare uso in un’argomentazione, senza per questo ritenere che il corrispondente punto di vista si imponga a tutti» (ibid.). I valori costituiscono un oggetto d’accordo fondamentale e irrinunciabile, essi però valgono solo per un uditorio particolare, giacché non esistono valori universali (e, anche se esistessero, sarebbero tali solo nella forma: non appena si considera il contenuto, tornano le differenze particolari) Le gerarchie non sono mai nette e stabili. Si ha sempre la sensazione che se prevale un valore qualcos’altro sia stato sacrificato (Libertà, eguaglianza, dignità umana, etc..). I liberali daranno più peso alla libertà, i socialisti all’eguaglianza, i cattolici alla dignità, etc… «costituiscono un arsenale indispensabile al quale chi vuole persuadere altri dovrà per forza attingere. […] Chiameremo luoghi solo le premesse di ordine generale che permettono di dare un fondamento ai valori e alle gerarchie, e che Aristotele studia fra i luoghi dell’accidente. Questi luoghi costituiscono le premesse più generali, spesso sottintese, che intervengono a giustificare le nostre scelte» (ibid.). Della quantità Della qualità Dell’ordine Dell’esistente Dell’essenza Della persona • I luoghi della quantità, i quali attribuiscono ad una cosa un valore maggiore rispetto ad un’altra per ragioni quantitative. Appartengono a questa categoria anche i luoghi comuni basati sul probabile, sull’evidente, sull’abituale. «Ciò che si presenta più spesso, l’abituale, il normale, è oggetto di uno dei luoghi più frequentemente utilizzati, a tal punto che il passaggio tra ciò che si fa a ciò che si deve fare, dal normale alla norma, sembra per molti spontaneo» I luoghi della qualità, i quali costituiscono l’opposto rispetto ai precedenti, giacché valorizzano l’unico, in tutte le sue possibili forme, come ad esempio l’originale, il precario, l’irrimediabile, la norma unica rispetto alla molteplicità del reale i luoghi dell’ordine, i quali affermano la superiorità dell’anteriore sul posteriore; i luoghi dell’esistente, i quali affermano la superiorità del reale sull’eventuale; i luoghi dell’essente, i quali valorizzano gli individui che meglio rappresentano l’essenza; ed, infine, i luoghi della persona, legati alla sua dignità, al suo merito, ed alla sua autonomia. Costituiscono, infine, oggetti d’accordo valevoli per determinati uditorii: il senso comune, il linguaggio tecnico, le presunzioni legali, gli argomenti ad hominem, e l’inerzia sociale. • • • Tutto ciò che è oggetto d’accordo tende a perpetuarsi per inerzia. Le novità devono essere provate. Molte tecniche di argomentazione sono finalizzate a corroborare l’adesione iniziale a certe tesi. In forma generale, tutto l’apparato di cui si circonda la promulgazione di certi testi, la pronuncia di alcune parole tende a renderne più difficile il ripudio e ad aumentare la fiducia nella società. In particolare, il giuramento aggiunge all’adesione espressa una sanzione religiosa o quasi religiosa. Esso può riguardare la verità dei fatti, l’adesione a norme, può estendersi a un insieme di dogmi: i recidivi erano passibili di pene più gravi perché contravvenivano ad un giuramento. La tecnica del giudicato tende a rendere stabili alcuni giudizi: ad impedire che le decisioni vengano rimesse in discussione • Selezione. Poiché i potenziali oggetti d’accordo sono molteplici, l’oratore deve pensare accuratamente a quali scegliere. Tale scelta è un momento fondamentale giacché «riconosce agli elementi una presenza che è un fattore essenziale dell’argomentazione […]. Così una delle preoccupazioni dell’oratore sarà quella di rendere presente, solo grazie alle magie delle sue parole, ciò che è assente […] oppure di valorizzare, rendendoli più presenti, alcuni degli elementi che sono effettivamente offerti alla coscienza» (ibid.). • I dati non vanno solo selezionati, ma occorre anche attribuire loro un senso, ossia vanno interpretati. Poiché le interpretazioni possibili sono molto numerose, l’interpretazione proposta va sempre tenuta distinta dai dati, e può essere loro contrapposta. Sono molto rari (forse inesistenti) i dati aventi un senso univoco, di regola, ogni discorso, ed ogni fatto, può acquisire più significati e pertanto necessita di un’interpretazione, che nel primo caso è definita dagli autori interpretazione dei segni, nel secondo interpretazione degli indizi. I dati non vanno solo interpretati, ma l’oratore dovrà anche scegliere le qualità degli stessi da mettere in rilievo. Questa funzione è svolta dall’epiteto. Un altro aspetto, all’apparenza neutrale, che consente di raggiungere lo stesso scopo è la classificazione dei dati, mediante la quale si attribuisce loro una particolare qualifica con la quale li si designa. • • Essa comprende innanzitutto tutti gli strumenti utilizzati per dare l’impressione della presenza, come ad esempio la ripetizione, l’accumulazione, la descrizione dei particolari, la specificazione (difatti, di regola, anche se non sempre, più un termine è concreto maggiore sarà il suo impatto emotivo). Inoltre, momento centrale della presentazione è quello della scelta dei termini, e della loro posizione nel contesto. I diversi schemi discorsivi caratterizzanti la struttura argomentativa sono ricondotti a due forme generali: i procedimenti di associazione e i procedimenti di dissociazione. «Intendiamo per procedimenti di associazione degli schemi che avvicinano degli elementi distinti e permettono di stabilire tra loro una solidarietà mirante sia a strutturarli sia a valorizzarli positivamente o negativamente l’uno per mezzo dell’altro”. Es: Geddhafi è come Hitler, dunque…. • • Intendiamo per procedimenti di dissociazione, delle tecniche di rottura aventi lo scopo di dissociare, di separare, di infrangere la solidarietà di elementi considerati come costituenti un tutto o per lo meno una unità solidale in seno a uno stesso sistema di pensiero: la dissociazione avrà l’effetto di modificare il sistema, modificando alcune delle nozioni che ne costituiscono i pilastri» (ibid.). Es.: Il Matrimonio non è un contratto perché l’aspetto patrimoniale è marginale o assente. • L’articolo 12 delle preleggi al codice civile così stabilisce: • • Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. • Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato. Casi o materie analoghe Principi generali del diritto Comunemente i principi attraverso cui si risolvono le antinomie – che per questo vengono definite antinomie apparenti – sono elaborati dalla dogmatica e dalla giurisprudenza Il primo è quello della specialità: lex specialis derogat legi generali. Ad esempio l’art. 2043 dispone che chiunque causa ad altri un danno ingiusto è obbligato a risarcire il danno. La regola generale tuttavia trova un’eccezione nella legittima difesa (art. 2044). E allora non si tratta di due norme contrastanti ma solo di una regola che viene definita anche in ragione dell’eccezione. • • Altro principio è quello cronologico: se due norme provengono da fonti distinte e sono di pari rango e hanno entrambe la medesima sfera di competenza allora vale il principio secondo cui la legge successiva prevale – perché si suppone che abbia tacitamente abrogato la precedente (art. 15 disp. Prel. C.c.). Se le norme sono legate da una relazione di tipo gerarchico (legge e regolamento) allora vige la regola secondo cui la norma di rango superiore prevale su quella di rango inferiore (principio gerarchico) Se le norme provengono da fonti con ambiti di competenza diversi, allora prevale la norma proveniente dalla fonte competente. (es. legge regionale e legge statale). • • • Domanda: Una coppia sterile a causa della congenita impotenza di generare del marito, ricorre all’inseminazione artificiale eterologa. Il successo dell’intervento, avvenuto con il pieno consenso del marito, consente alla donna di avere un figlio. Negli anni successivi il marito avanza istanza di annullamento del matrimonio per impotentia generandi e promuove per la medesima ragione azione di disconoscimento di paternità ex art. 235 n. 2 c.c., sostenendo l’irrilevanza giuridica del consenso precedentemente accordato. La disposizione richiamata concede il diritto di esperire azione di disconoscimento del figlio nato durante il matrimonio “al marito che in quel periodo era affetto da impotenza, anche se soltanto di generare”. A tale pretesa si oppone la moglie, sostenendo che l’azione trova ostacolo nel consenso alla inseminazione prestato al marito. • • Il giudice di primo grado conclude per l’accoglimento delle istanze del marito sulla base della considerazione che la disposizione citata prevede, tra i presupposti dell’azione di disconoscimento, l’impotentia generandi, che in fatto sicuramente sussisteva. La Corte va quindi oltre l’argomento letterale e rileva che l’ordinamento non contempla alcun rapporto giuridico di filiazione svincolato dal presupposto di un corrispondente rapporto biologico di sangue. Rileva inoltre che non esiste nel nostro ordinamento una diversa disposizione che attribuisca al consenso all’inseminazione eterologa efficacia escludente l’azione del disconoscimento stesso e che quindi la formulazione dell’art. 235 c.c. corrisponde alla volontà del legislatore di tutelare la sola filiazione biologica. • • Contro questa decisione la moglie propone ricorso alla Corte d’Appello di Brescia, sostenendo che la disciplina del rapporto di filiazione, originato da inseminazione artificiale eterologa, non avrebbe dovuto essere ricercata nell’angusto disposto dell’art. 235 c.c., inadatto a regolare una fattispecie non ipotizzabile al tempo dell’entrata in vigore della norma, ma avrebbe dovuto essere desunta, con lo strumento dell’interpretazione analogica, dai principi generali dell’istituto della filiazione civile. Le procedure adottive e quelle di inseminazione artificiali sarebbero l’espressione di un istituto, quello della filiazione civile, caratterizzato da una propria autonomia rispetto alla filiazione biologica tutelata dal codice civile. L’affinità tra le ipotesi di filiazione adottiva e filiazione inseminativa deriverebbe dal ruolo del consenso come elemento costitutivo del rapporto giuridico, in contrapposizione al fattore biologico caratterizzante la filiazione naturale. • • La Corte d’Appello rileva la diversità del ruolo assunto dal consenso nelle due fattispecie: nell’una è volto a dare una famiglia al minore in stato di abbandono - con intervento dell’autorità giudiziaria - , nell’altra a dare un figlio naturale a chi lo desidera. Le due fattispecie pertanto non sarebbero assimilabili, stante la assoluta diversità degli elementi costitutivi; né tantomeno riconoscibili quali espressione di un principio comune. Piuttosto, rileva la Corte, nell’attuale quadro normativo il fattore biologico è l’unico fondamento giuridicamente rilevante del rapporto di filiazione. Il giudice ordinario che rifiutasse il disconoscimento al marito consenziente all’inseminazione, introdurrebbe una limitazione non prevista al favor veritatis, introducendo un nuovo principio, quello del favor affectionis, non previsto dal legislatore. Né può obiettarsi - prosegue la Corte - che la volontà legislativa di tutelare la sola filiazione biologica sia riferita ad un legislatore che, per ovvie ragioni cronologiche, ignorava le tecniche di fecondazione artificiale, posto che queste tecniche erano note sin dagli anni 1951. In particolare erano già diffuse nel 1975, quando il legislatore intervenne incisivamente sulla disciplina del diritto di famiglia, e lasciò invariato il testo dell’art. 235 c.c., implicitamente confermando la volontà di riconoscere a fondamento dell’istituto della filiazione il solo legame biologico. Contro la sentenza di appello la moglie promuove ricorso alla Corte di Cassazione, che con sentenza 16 marzo 1999 n. 2315, accoglie i motivi di ricorso. • L’art. 235 c.c. si afferma, era approvato in un’epoca in cui la procreazione esigeva il rapporto fisico tra uomo e donna: in occasione della riforma, il legislatore non è andato oltre una revisione puramente terminologica della disposizione, mantenendo ferma l’elencazione tassativa. La riproduzione della precedente formulazione dell’articolo non può essere interpretata quale manifestazione implicita della volontà del legislatore di applicare quella disposizione al caso di fecondazione artificiale: tanto è dimostrato dal rilievo che la norma consente il disconoscimento anche nel caso della sola impotenza coeundi del marito. Un’interpretazione strettamente letterale della norma quindi consentirebbe il disconoscimento anche al marito che avesse prestato il proprio consenso per un intervento di fecondazione omologa, negando così la condizione di figlio legittimo al figlio geneticamente appartenente alla coppia. • Questo argomento (di logica interna) dimostra che l’applicazione esegetica della disposizione potrebbe fondare il disconoscimento da parte del padre biologico, in contrasto con gli stessi principi generali dettati in materia di filiazione biologica. Il successivo ripensamento del marito non è quindi riconducibile alla ratio dell’azione di disconoscimento: il favor veritatis non è un valore assoluto e incondizionato, espressione di un’esigenza pubblicistica dell’ordinamento, ma mira a difendere la posizione di quei soggetti ai quali soltanto è demandata la valutazione comparativa delle due situazioni in conflitto, la decisione di optare per l’una o per l’altra. Il marito che presta il proprio consenso, anticipa a quel momento quella valutazione attraverso il compimento di un atto giuridico con effetti, per propria natura, “irreversibili”. Ne consegue che l’articolo non è applicabile al caso di fecondazione: è una lacuna • • • Esclusa l’applicazione diretta dell’art. 235 c.c. al caso, la Corte nega anche la possibilità di estendere la portata del disposto per via analogica. Tale interpretazione postula, come sostenuto nel giudizio di secondo grado, una omogeneità di elementi essenziali ed una identità di ratio assenti caso in questione. I giudici di Cassazione dimostrano così l’esistenza di una lacuna del diritto. Peraltro la regola da applicare alla fattispecie non è rinvenibile in alcuna disciplina analoga (analogia legis), posto che natura e finalità dell’adozione sono profondamente diverse da quelle che caratterizzano le tecniche di fecondazione artificiale. La Corte di Cassazione ricorre dunque ai principi generali dell’ordinamento (analogia iuris), segnatamente a quei doveri generali di lealtà, buona fede e correttezza che, nei rapporti di famiglia, assumono il significato di solidarietà e reciproco affidamento. La scelta in favore della paternità presunta è quindi elemento costitutivo della fattispecie attributiva dello status, con effetti irreversibili. • • • • Nello studio del ragionamento analogico occorre approfondire due questioni: La sua struttura logica La sua valenza giuridica L’analogia è quella forma di ragionamento in cui, constatate alcune somiglianze fra due fenomeni, se ne inferisce che abbiano altre proprietà comuni. Si tratta di una forma di argomentazioni a simili . • Il ragionamento analogico è molto utilizzato nella scienza quando non si conoscono le leggi di certi fenomeni. In questi casi, il ragionamento analogico serve all’elaborazione di ipotesi: • • • La malattia M presenta sintomi affini alla malattia N La malattia N si cura con il medicinale D • • • Verosimilmente anche la malattia M verrà curata col medicinale D • • • La fattispecie A è simile alla fattispecie B La fattispecie B è disciplinata dalla norma N Anche la fattispecie A deve essere disciplinata dalla norma N • • All’apparenza il punto di partenza dell’analogia è la somiglianza fra due casi, ma questa osservazione non è corretta. La prima indicazione ci viene proprio dall’art. 12. Infatti, non si ricorrerebbe all’analogia se non mancasse una norma per il caso A e se cioè se non si accertasse l’esistenza di una lacuna • • • • Per la fattispecie degli A non vi è una norma nell’ordinamento La fattispecie A è simile alla fattispecie B Per la fattispecie B è stabilita una norma N Quindi anche per gli A vale la disciplina N. • • Il ragionamento analogico non funziona dunque come il ragionamento deduttivo in sede applicativa (e cioè per arrivare alla conclusione del caso), ma è rilevante per la giustificazione esterna: e cioè per reperire le premesse da applicare al caso • • Il ragionamento analogico richiama l’argomento a simili: ma vi è una differenza fra i due tipi di ragionamento. Con l’argomento a simili non siamo tecnicamente in presenza di una lacuna, ma si sta estendendo l’applicazione di una norma ad una fattispecie più ampia di quella prevista esplicitamente nel testo di legge (vietato cani = vietato gatti). La differenza consisterebbe in questo: mentre l’interpretazione estensiva è interpretativa, l’interpretazione analogica è integrativa L’uso dell’analogia è precluso nel diritto eccezionale e nel diritto penale (per le norme incriminatrici). Il motivo di tale preclusione deriva dal fatto che in certi ambiti, il principio della separazione dei poteri è più rigoroso • • • • Rapporti fra stato di diritto, principio democratico e analogia: La funzione integratrice del diritto operata dalla giurisdizione è un rischio per lo stato di diritto sotto due profilii: A) il potere legislativo spetta al parlamento, mentre il ricorso all’analogia presuppone la funzione integrativa della giurisprudenza; B) le norme che restringono gli ambiti di libertà dei cittadini vanno interpretate restrittivamente (favor liberatis e favor rei). In questi casi vale l’argomento a contrario. • • Si è detto che vi è una differenza fra interpretazione estensiva e analogia. Ma in cosa consiste questa differenza? Una prima risposta risiede nel fatto che nell’interpretazione estensiva la somiglianza è nota (cani e gatti; macchine e trattori), mentre nell’analogia la somiglianza non è così scontata. Essa va ricostruita e, soprattutto argomentata. • • Bobbio nel suo studio sull’analogia ci fa notare che l’aspetto più problematico della questione è proprio nella definizione della similitudine. La circostanza che due macchine siano entrambe rosse non implica che abbiano la stessa velocità. La similitudine, in altri termini, deve essere rilevante. • • • • Es: la norma che vieta o limita la distribuzione di libri osceni si applica: A tutti i libri Alle riviste oscene? • • • La somiglianza è più pronunciata nel primo caso, ma ovviamente l’analogia opera nel secondo caso. La somiglianza presuppone che si comprenda la ratio legis, e cioè il fine (telos) per cui la norma è stata inserita nel sistema giuridico. Di solito per comprendere il telos di una norma occorre estendere lo sguardo al sistema giuridico nel suo complesso (o comunque ad alcune sezioni): nel nostro caso i limiti alla circolazione del materiale osceno possono essere dovuti alla tutela dei minori o del buon costume, etc.. • Questione annosa è se il ragionamento analogico sia comune al ragionamento giuridico e a quello pratico generale, ovvero se nel ragionamento giuridico l’analogia operi in modo particolare. • Per affrontare questo tema occorre verificare le differenze fra l’analogia e un altro argomento più specificamente giuridico: il precedente. • • La letteratura anglosassone distingue fra l’argomento del precedente e l’argomento analogico. Tesi di Schauer: Il diritto tipicamente guarda all’indietro. A differenza della politica che guarda avanti – progetta per il futuro – il diritto guarda dietro le spalle. Il precedente è il principale meccanismo di questo funzionamento. Questo significa che la decisione non solo deve raggiungere un risultato desiderabile per il futuro ma deve anche e soprattutto essere coerente con decisioni precedenti su questioni simili o analoghe. Ma il vincolo del precedente, nel ragionamento giuridico, è ancora più stringente del semplice auspicio alla coerenza • • “By ordinarily requiring that legal decisions follow precedent, the law is committed to the view that it is often better for a decision to accord with precedent than to be right, and that it is frequently more important for a decision to be consistent with precedent than to have the best consequences” (p. 36). In sintesi, il precedente funziona non per la sua forza logica ma in base ad un altro meccanismo. Anzi, da un punto di vista puramente logico, il precedente è una fallacia. • Schauer distingue fra l’imparare dal passato, e l’obbedire al passato. Se io faccio bollire l’uovo per sei minuti e mi rendo conto che viene fuori esattamente come voglio, la volta successiva mi comporterò allo stesso modo. Ma non perché l’ho già fatto una volta ma perché la regola dei sei minuti è giusta e questo l’ho scoperto in precedenza. Se seguo la regola non lo faccio perché obbedisco ad un precedente. Obbedisco alla regola che ho appreso dall’esperienza. Ma il precedente funziona in modo diverso • Se devo giudicare della legittimità della legge sull’aborto e c’è una sentenza della Corte Suprema (Roe v. Wade) che dice che la pratica dell’aborto è un diritto che non può essere limitato nel primo trimestre e che può essere limitato ma con alcune eccezioni nel secondo trimestre, non mi chiederò se l’aborto sia contrario o conforme a costituzione, ma giudicherò applicando il precedente: il caso deciso in precedenza. Anzi il precedente opera pienamente quando viene seguito sebbene il giudice sia convinto che non si tratti della conclusione più giusta da un punto di vista giuridico. In questo senso obbedire al precedente e imparare dall’esperienza sono processi radicalmente diversi. Nel seguire il precedente non si pone in essere un ragionamento – logico. Ma si ragiona in base ad un argomento di autorità (per questo Bentham era profondamente avverso al vincolo del precedente). • Il vincolo del precedente pertanto gioca un ruolo nelle decisioni della giurisprudenza ma non è un ruolo di tipo logico (io argomento sulla base di inferenze o analogie): ma di tipo istituzionale. L’obiettivo è quello di garantire coerenza ed uniformità nel diritto per consentire prevedibilità e certezza delle regole e dei comportamenti. La stabilità è un valore in sé, sebbene sia funzionale anche ad altro. Come affermava il giudice americano Cardozo, se si dovessero ogni volta riaprire questioni già risolte la giurisprudenza disperderebbe: sicché la regola dello stare decisis è funzionale non solo alla coerenza complessiva del sistema ma anche alla speditezza del giudizio (se non do nulla per deciso non potrò affrontare con maggiore attenzione gli aspetti ancora problematici). Il precedente è una decisione di un tribunale che ha un particolare significato giuridico. Il significato risiede nel fatto che la decisione della corte ha un’autorità non solo teorica ma pratica sul contenuto del diritto. Una decisione ha un’autorità teoretica se le circostanze al ricorrere delle quali è stata presa (l’identità del decisore, degli avvocati, delle prove disponibili) offre buoni argomenti per ritenere che la decisione sia corretta dal punto di vista giuridico. Se vi sono buone ragioni per ritenere che il caso precedente è stato deciso in modo corretto, e se i fatti del caso successivo presentano delle somiglianze rilevanti al caso precedente, allora ci sono buone ragioni per ritenere che il caso successivo possa essere deciso correttamente seguendo la medesima conclusione. MA: DICE SCHAUER, QUESTO NON è IL MODO IN CUI FUNZIONANO I PRECEDENTI. I precedenti hanno autorità pragmatica perché essi sono considerati parte del diritto. Semplificando: il diritto è ciò che ha detto la corte perché lo ha detto la corte. Siccome le corti sono vincolate ad applicare la legge e siccome le decisioni precedenti costituiscono legge allora le corti successive sono vincolate dalle decisioni dei casi precedenti. Questa è la dottrina del precedente o stare decisis In sintesi: A) nel formalismo i precedenti funzionano come le regole (opacità, applicazione a prescindere delle ragioni; autorità) B) Perelman invece offre un’altra indicazione: i precedenti funzionano sulla base del PRINCIPIO DI INERZIA. Vi è un problema nell’assimilare il precedente alla regole e nel desumere che entrambi i fenomeni siano spiegabili solo alla luce del principio di autorità. Innanzitutto perché un precedente operi occorre che i due casi (il precedente e quello presente) siano molto simili o identici: Ma di nuovo: identici sotto quale aspetto? Sicchè di nuovo si pone un problema di ricostruire le ragioni dietro la regola, nonché le funzioni svolte dal precedente. • • • • • • • Altra questione è quella delle ragioni che stanno dietro alla prassi dello stare decisisi. Vengono offerte comunemente 4 soluzioni. Gli argomenti più convincenti sono i seguenti: Coerenza (consistency) Aspettative Replicabilità (replicability) La necessità di normazione L’idea della coerenza richiama i principi morali dell’eguaglianza (trattare casi uguali in modo eguale). Il precedente va seguito perché così si realizza l’eguaglianza. I formalisti muovono una critica a questo modo di vedere le cose: I precedenti vanno seguiti anche se sbagliati. • Un altro comune argomento a favore del precedente è quello della tutela delle aspettative. Se un’istituzione ha risolto la questione in un certo modo nel passato, allora si crea un’aspettativa che lo stesso atteggiamento si ripeterà in futuro: un’aspettativa sulla base della quale la gente organizza le proprie vite e gode di qualche forma di controllo sulle proprie situazioni. Quindi vi sono buone ragioni per un’istituzione di seguire il proprio stesso orientamento anche qualora questo sia errato. • Il problema fondamentale con questo tipo di ragionamento è che esso soffre di una qualche forma di circolarità. Vero è che i sistemi legali che seguono i precedenti creano l’aspettativa che un medesimo comportamento verrà tenuto in futuro, ma la legge tutela solo le aspettative legittime. Se ad esempio un comune per prassi concede licenze edilizie a chiunque lo richieda (come è spesso avvenuto nel Sud) sebbene manchino i requisiti di legge, l’aspettativa che verrà ingenerata sarà tuttavia insufficiente a legittimare che la prassi sbagliata – in questo caso illegale – venga mantenuta. In altri termini la tutela delle aspettative non è un argomento che giustifica uno stare decisis forte, e cioè la persistenza nei propri errori da parte delle istituzioni. • Gli argomenti dell’eguaglianza e della tutela delle aspettative presuppongono che coloro che decidono possano accertare i meriti del caso correttamente. Ma il diritto funziona in condizioni non ideali dove i decisori possono commettere errori. In pratica il risultato di un caso può essere incerto non solo perché le conclusioni sono razionalmente indeterminate, ma anche perché i decisori sono fallibili. Sulla base di queste premesse, la pratica del precedente nel diritto possiede un numero di vantaggi consentendo che le decisioni istituzionali divengano replicabili • Che una decisione sia replicabile significa che è possibile per altri formulare un giudizio informato sulla probabilità di un certo risultato, alla luce del materiale giuridico rilevante, dei canoni interpretativi utilizzati nel sistema, ed una certa dimestichezza con la cultura di sfondo di riferimento. Replicabilità significa che le decisioni sono più prevedibili di quanto non sarebbero se fossero prese de novo ogni volta. Tutto ciò consente agli individui di formulare piani conformi al diritto e quindi di essere guidati dal diritto (integrità del diritto: MacCormick). Ultimo argomento a favore della dottrina dello stare decisis è che essa riconosce potere normativo alle corti: fenomeno positivo in quanto l’attività normativa avrebbe quella flessibilità che l’attività legislativa del parlamento non può avere (perché decide in astratto). L’argomento è quello aristotelico dell’epikeia. Naturalmente la questione dell’attività normativa delle corti pone questioni in relazione ai principi di stato di diritto. Specialmente in relazione al principio democratico. • Nel ragionamento giuridico l’argomento analogico sostiene che un caso deve essere risolto in un certo modo perché questo è il modo in cui è stato risolto un caso simile. Gli argomenti a favore dell’analogia completano gli argomenti a favore del precedente in due modi: (i) essi sono utilizzati quando i fatti del caso presente non rientrano pienamente nella ratio di alcun precedente; e (ii) essi sono utilizzati quando i fatti del caso presente rientrano nella ratio del caso precedente, ma per distinguere il caso presente dal precedente • La forza dell’analogia è diversa dal precedente. Un precedente da cui non si possono fare delle differenze deve essere seguito a meno che la corte non abbia il potere di abrogare la decisione precedente. Al contrario gli argomenti per analogia variano nella loro forza: da analogie molto “strette” – che hanno una forza rilevante per una determinata decisione, ad analogie più “remote” che sono molto più deboli. Le analogie non vincolano: esse vanno considerate come ragioni fra tante per raggiungere certi risultati. Che un’analogia è rifiutata in un caso non preclude che venga utilizzata in un caso diverso. • • • SCHAUER: IL RAGIONAMENTO ANALOGICO SERVE PER ARRIVARE ALLA CONCLUSIONE MIGLIORE O PER CONVINCERE DI UNA CERTA TESI. E’ UN AMICO. AL CONTRARIO, L’ARGOMENTO DEL PRECEDENTE E’ IL NEMICO. VINCOLA PER ARRIVARE ALLE CONCLUSIONI CUI ALTRIMENTI NON SI SAREBBE ARRIVATI. In sintesi: il ragionamento analogico non è tipico del diritto ma del ragionamento pratico generale. • Le analogie, come i precedenti, nascono nel contesto della dottrina. Le analogie si pongono o in relazione a casi simili o a dottrine simili. Bruciare una bandiera è analogo a gridare in una piazza? Un coltello è analogo ad una pistola nella definizione di armi? La dottrina della duress è analoga a quella della provocation? Non si può essere analoghi in astratto, ma in relazione ad un contesto legale concreto. • Due questioni si pongono in relazione al ragionamento analogico. Primo, in base a quale processo il decidente individua le caratteristiche comuni fra il caso presente ed il caso analogo? Secondo, che tipo di forza giustificativa deve avere la caratterizzazione comune? Le questioni sono connesse: ed infatti come non esistono casi identici così è raro trovare casi che non hanno alcuna caratteristica in comune. Con la conseguenza che la selezione dei tratti comuni rilevanti – effettuata sulla base delle ragioni che giustificano la scelta – diventa centrale. • Facciamo il caso della regola secondo cui qualora un individuo si finga il marito di una donna e poi risulta non esserlo il consenso al rapporto non si presume e dunque si presume vi sia un episodio di violenza. Tale regola si applica altresì alla falsa simulazione di essere il fidanzato? Qual è la giustificazione della prima regola? Il presupposto che vi sia intimità fra i coniugi che fa presumere il consenso. La regola si deve dunque applicare analogicamente anche ai fidanzati visto che nel caso dei fidanzati il presupposto è lo stesso. Se invece la ratio è quella di evitare l’adulterio allora l’analogia non si applica. • • • 1) analogia e principi Teoria piuttosto diffusa è che l’analogia si fondi sui principi che sottostanno alcune decisioni esistenti (e.g. MacCormick 1978, 152–94; Eisenberg 1988, 83–96; Sunstein 1993). Un certo numero di casi possono essere esaminati per stabilire quali principi – o quale gruppo di principi coerenti –. Se il principio identificato attraverso questo procedimento si applica al caso presente, allora ciò costituisce una buona ragione a sostegno del risulto sostenuto dal principio. La critica che viene mossa all’idea che l’essenza del ragionamento analogico risiede nell’estensione del principio è che lo stesso principio può applicarsi a casi affatto diversi. Sicché è possibile che le conclusioni di un caso vengano raggiunte sulla base di principi ma questo non ha nulla a che vedere con l’analogia. • L’approccio che si fonda sulle ragioni per spiegare il ragionamento analogico mette l’attenzione sulle giustificazioni per il caso analogo (per due modelli diversi, cfr. Raz 1979, 201–6 e Brewer 1996). Esso considera la misura in cui il ragionamento della decisione nel primo caso si applichi anche al caso presente. Prendiamo il caso della simulazione del marito nella legge sullo stupro. Per capire se le medesime conclusioni si applicano anche al fidanzato dobbiamo guardare alla ratio della decisione nel primo caso. Non è detto che vi sia un unico principio alla base di tale argomentazione, ma si potrebbe trattare di una serie di fattori che rafforzano la decisione. • Nell’ordinaria deliberazione morale, le analogie sono utilizzate per argomentare che una questione oggetto di discussione è indistinguibile da un’altra situazione in cui il merito è relativamente chiaro. Rimangono tre opzioni: (a) che il nuovo caso è effettivamente indistinguibile dal precedente in quanto la medesima giustificazione si applica ad entrambi; (b) che il caso è distinguibile o (c) che il caso non è distinguibile ma che tuttavia sulla base di una riflessione più accurata il caso precedente era un errore. (Naturalmente anche qualora i casi sono distinguibili la riflessione può indurre a ritenere che la prima soluzione non era corretta) Di conseguenza le analogie sono utili strumenti euristici per affinare ed approfondire la riflessione nel merito. • Nel diritto, al contrario, le analogie hanno un peso maggiore sul merito del caso. L’approccio delle corti è complesso. Alcune decisioni e dottrine vengono ritenute sbagliate e non hanno alcuna potenza analogica. Altre dottrine possono essere ritenute imperfette – non totalmente corrette – ma tuttavia mantengono una forza analogica. Altre possono essere ritenute corrette, ed esse possono fornire ulteriori argomenti per la conclusione del nuovo caso. Vi sono parecchi possibili benefici indiretti del ragionamento analogico, come l’esporre i giudici ad una varietà di fatti maggiore di quella presente nel caso presente, come il far prendere in considerazione le opinioni di altri giudici e l’esercitare una certa pressione alla conservazione su decisori individuali (Sherwin 1999). Ma esiste qualche giustificazione superiore del ragionamento analogico? • La giustificazione più forte del ragionamento analogico risiede nel valore della replicabilità. Questo valore è di solito formulato sotto l’etichetta dell’integrità del diritto (‘coherence’ in the law) (MacCormick 1978, 153, 187–8; Sunstein 1993, 778–9; see also Raz 1979, 204). Gli argomenti a favore dell’integrità del sistema di solito segnalano il valore strumentale. Ciò è connesso alla replicabilità delle decisioni.. • • • Vi sono due caratteristiche importanti delle decisioni giuridiche. La prima è la natura frammentaria del materiale giuridico. La seconda è data dalla presenza di una pluralità di organi che emettono le decisioni. Il materiale giuridico è frammentario in due sensi: Il materiale giuridico è frutto di mani differenti in tempi differenti e con visioni differenti delle cose; Alcune branche del diritto sono il risultato più di alcune mani e di alcuni periodi che altri. Anche il pluralismo dei decidenti ha una duplice caratteristica: Si tratta di individui differenti Tali individui non condividono la stessa visione delle cose. La natura frammentaria del materiale giuridico è più evidente di fronte ad una questione nuova. • • Il ragionamento analogico contribuisce a rendere le soluzioni dei casi più prevedibili, dando peso a decisioni esistenti e alla dogmatica esistente. Tuttavia questo avviene solo se si assume che nonostante la natura frammentaria del materiale giuridico vi siano dei valori e dei principi comunemente accettati. In altri termini, il ragionamento analogico funziona solo se sullo sfondo si presume un certo (alto) grado di accordo su alcuni valori. L’uso delle analogie nel diritto serve dunque a compensare la indeterminazione che deriva dalla natura frammentaria e dal pluralismo dei decidenti. L’analogia viene fatta valere perché il questo modo si rende il diritto più replicabile e dunque dà agli avvocati la possibilità di predire le conclusioni di casi nuovi. Si tratta naturalmente di un valore relativo, che può essere superato da altri valori, qualora sia più opportuno distinguere piuttosto che assimilare. • 1. Originalismo • 2. Teoria dei diritti (Dworkin) • 3. Giudice arbitro (Roberts) • 4. Minimalismo interpretativo (Cass Sunstein) • 5. Pragmatismo Molte teorie sull’interpretazione della costituzione sono state elaborate da giudici costituzionali (Zagrebelsky in Italia, in America: Scalia, Brennan, Breyer, Ginsburg; Roberts, etc…). Costituzionalismo popolare (Larry Kramer; Mark Tushnet) Costituzionalismo Ackerman) a due funzioni (Bruce • • Ragionamento e ruolo (giudici, avvocati, cittadini) Ragionamento e stato di diritto: – – – Obbligo di motivazione (art. 111 cost) Vincolo di legge (art. 101 Cost) In nome del popolo Struttura del ragionamento (fatto e diritto) Individuazione delle premesse Giustificazione interna Autorità (Schauer) Ragionevolezza (Alexy) Retorica (Perelman) Percettività sociale (Realismo) Sensibilità culturale (Ermeneutica)