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10 Il linguaggio delle forme differenziali

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10 Il linguaggio delle forme differenziali
Complementi ed Esercizi di Geometria Differenziale - A. Sambusetti
10
1
Il linguaggio delle forme differenziali
Il linguaggio delle forme differenziali nasce da varie esigenze, tra le quali citiamo
almeno:
1. rendere rigoroso il formalismo dei “differenziali” ds, ds2 , dxi dxj , df ecc.
di cui si fa largo uso in matematica e fisica1 ;
2. permettere un calcolo agile di alcuni oggetti matematici rispetto a cambi
di variabile (si pensi alla regola dell’integrale per sostituzione);
3. costruire invarianti topologici di varietà, simili al gruppo fondamentale;
4. descrivere risultati di calcolo integrale difficili da enunciare con il solo uso
dei campi vettoriali (e.g. il teorema di Stokes in dimensione n ≥ 3).
Di questo linguaggio noi vedremo essenzialmente le 1 e 2-forme (poiché esse sono
esprimibili tramite l’algebra lineare e bilineare che già conosciamo) e qualche
esempio di (1), (2) e (4) (nel Foglio 12).
10.1
1-forme.
Definizione 10.1 (1-forme lineari)
Sia V uno spazio vettoriale. Una 1-forma lineare (reale) su V è un funzionale
lineare ω : V → R, i.e. un elemento dello spazio duale V ∗ .
Ricordiamo le seguenti proprietà dello spazio duale:
(i) dim(V ∗ ) = dim(V ), e precisamente: se B = {b1 , ..., bn } è una base di V ,
allora B ∗ = {b∗1 , ..., b∗n } è una base di V ∗ , dove b∗i (bj ) = δij ;
∗
(ii) Se B = (bi ) è una base di V , si ha un isomorfismo V → V ∗ dato da bi → b∗i .
Sottolineiamo che questo isomorfismo dipende dalla scelta della base B di V , ed
un’altra base definisce a priori un isomorfismo differente. Quindi, se v ∈ V ma
non si è specificata una base per V , non ha alcun senso parlare dell’elemento v ∗ .
Qualora V sia dotato di una struttura euclidea g, esiste invece un isomorfismo
naturale con V ∗ , cioè indipendente da B (ma ovviamente dipendente da g):
Proposizione 10.2 (Isomorfismi musicali)
Sia (V, g) spazio euclideo. L’applicazione [ : V → V ∗ definita da v [ (u) = g(u, v)
è un isomorfismo di spazi vettoriali, detto isomorfismo musicale; l’isomorfismo
inverso è denotato ].
Si noti che se B = (bi ) è una base ortonormale, allora b∗i = b[i ; ma ciò è falso se
B non è ortonormale.
Dimostrazione. Poiché g è non degenere, si ha v [ (u) = g(v, u) = 0 ∀u se e
solo se u = 0; quindi [ è iniettiva e, dal momento che dim(V ) = dim(V ∗ ), è un
isomorfismo.2
df
notazione dx e dx
, tuttora usata, risale alle origini del calcolo differenziale, ed è quella
introdotta a suo tempo da Leibnitz.
1 La
Complementi ed Esercizi di Geometria Differenziale - A. Sambusetti
2
Definizione 10.3 (1-forme differenziali)
Sia S una sottovarietà di Rn . Una 1-forma differenziale (reale) ω su S
(o, semplicemente, una 1-forma su S) è un elemento ωP ∈ (TP S)∗ per ogni P ∈ S.
Lo spazio vettoriale delle 1-forme differenziali su S è denotato Ω1 (S).
Esempi 10.4 (Primi esempi di 1-forme differenziali)
(i) Sia V un campo vettoriale su S: l’isomorfismo musicale TP S ∼
= (TP S)∗
definisce, punto per punto, una 1-forma differenziale ω su S: ωP = V (P )[ .
Viceversa, ad ogni 1-forma ω è possibile associare un campo vettoriale V = ω ] .
In tal modo, lo spazio Ω1 (S) delle 1-forme differenziali è uno spazio vettoriale
isomorfo allo spazio χ(S) dei campi vettoriali su S.
(ii)Sia f : S → R almeno C 1 . Il differenziale df è una 1-forma differenziale su S.
(iii) Sia C + una curva orientata di Rn . La 1-forma di lunghezza di C + è la
1-forma dC + che associa, punto per punto, al versore tangente orientato TC + di
C + il valore 1, i.e. dC + = (TC + )[ . Se α(s) è una parametrizzazione concorde
di C + tramite lunghezza d’arco (quindi una carta orientata di C + ), allora il
parametro s (cioè la coordinata “lunghezza d’arco orientata da α(0)” su C + ) è
una funzione il cui differenziale ds = dC + precisamente. Per questo la 1-forma
di lunghezza di una curva orientata si indica usualmente con ds.
Se φ è una carta su una aperto U di una m-sottovarietà S, con coordinate
locali date da funzioni (xi ), allora abbiamo punto per punto, per (ii), una base
di 1-forme differenziali B ∗ = {dx1 , ..., dxm } di TP S. Notiamo che questa è la
∂
, ..., ∂x∂m }, in quanto xi = (φ−1 )i e dunque
base duale di B = { ∂x
1
Å
ã
∂
∂xi
∂ −1
(dxi )P
(φ )i ◦ φ (x1 , ..., xm ) (P ) =
=
(P ) = δij
∂xj
∂xj
∂xj
Dunque, ogni 1-forma ω su U può scriversi in maniera unica come
ω = ω1 dx1 + · · · + ωm dxm
dove le ωi sono funzioni su U (dette le componenti di ω nelle coordinate (xi )).
Per esempio, se f : S → R è una funzione C 1 , ed (xi ) sono delle coordinate
locali, si ha
∂f
∂f
df =
dx1 + · · · +
dxm
∂x1
∂xm
Una 1-forma ω si dirà di classe C k se, su qualsiasi insieme di coordinate locali
(xi ) le funzioni coordinate come ωi sono funzioni C k ; equivalentemente, la forma
ω è di classe C k se ω ] è un campo C k .
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3
Esempio 10.5 (Forme chiuse ed esatte)
Una 1-forma su S del tipo ω = df , per qualche funzione f : S → R, si dice esatta.
Sono le 1-forme più facili da produrre! Un altro modo di produrre delle 1-forme
è di considerare delle “funzioni multivoche” su S, i.e. funzioni f˜ : S → R/∆Z;
allora è possibile definire 2 in modo non ambiguo una 1-forma ω del tipo “df˜”
(benché questa notazione si presti a confusioni, si veda l’esercizio successivo):
se f è una funzione C 1 che coincide con f˜ intorno a un punto P , allora si pone
ωp = df . È chiaro che questo non dipende dalla scelta del rappresentante f ,
poiché un altro rappresentante di f˜ differisce da f per una costante k∆, dunque
il suo differenziale è lo stesso.
La 1-forma più celebre di questo tipo è ω = dϑ, dove ϑ : R2 \ {O} → R/2πZ
è la funzione angolo nel piano euclideo.
♥ Esercizio 10.6 (Le forme differenziali dϑ e dr nel piano)
Sia ϑ : R2 \ {O} → R/2πZ la funzione angolo nel piano euclideo e ω = dϑ
definita come sopra:
(i) scrivere ω come ω1 dx1 + ω2 dx2 su R2 \ {O} (trovare cioè le componenti
canoniche di dϑ), e dire qual è la sua classe di regolarità;
(ii) ω può estendersi in modo continuo a tutto R2 ?
(iii) ω è un differenziale esatto su R2 \ {O}? È “corretta” la notazione dϑ?
Siano ora (ϑ, r) le coordinate polari del piano euclideo (funzioni su R2 \ {O},
una delle quali “multivoca”):
(iv) scrivere la 1-forma dr come f1 dx1 +f2 dx2 , e rispondere alle stesse domande;
∂
∂
∂
, ∂ e trovare
e ∂r
in funzione dei campi coordinati ∂x
(v) scrivere i campi ∂ϑ
1 ∂x2
2
il più ampio sottoinsieme di R su cui sono definiti in modo continuo;
∂ ∗ ∂ [
∂
∂
è una base, che relazione c’è tra ∂ϑ
(vi) in un punto in cui ∂ϑ
, ∂r
, ∂ϑ e dϑ?
Che relazione c’è tra
∂ ∗ ∂ [
∂r , ∂r
e dr?
♥ Esercizio 10.7 (Forme differenziali sulla sfera)
Siano ϑ, λ le funzioni latitudine e longitudine sulla sfera:
(i) precisare dove sono definite almeno C 0 , e la classe di differenziabilità;
(ii) definire rigorosamente le 1-forme differenziali dϑ e dλ, specificando il più
grande aperto di S 2 su cui sono definite di classe C ∞ . Tali forme sono chiuse?
Sono esatte (malgrado la notazione...)?
Suggerimento: usare il fatto che λ definisce una funzione S 2 → R/2πZ ≡ S 1 .
∂
∂
(iii) Dire in quale aperto massimale sono definiti i campi ∂ϑ
, ∂λ
(di classe C ∞ )
]
]
∂
∂
e la relazione con dϑ, dλ. Quanto valgono ∂ϑ
e ∂λ
?
2
Siano ora dx, dy, dz le restrizioni a S delle 1-forme canoniche di R3 :
(iv) notare che non sono indipendenti su S 2 , perché? Dove è possibile esprimere
dz in funzione di dx, dy, e come?
(v) esprimere in ogni punto (in cui sono definiti) dϑ, dλ in funzione di dx, dy, dz.
Notare che tale espressione non è unica, ma vale ovunque; dove e come è possibile
esprimere dϑ, dλ in funzione solo di dx, dy?
2 Se f˜ è C 1 nel senso che, intorno ad ogni P ∈ S, f˜ coincide con una funzione f : S → R di
classe C 1 .
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10.2
4
2-forme.
Definizione 10.8 (2-forme lineari)
Sia V uno spazio vettoriale. Una 2-forma lineare (reale) su V è una foma
bilineare ω : V × V → R, i.e. un elemento dello spazio Bil(V ).
Al contrario delle 1-forme, ci sono almeno due tipi di 2-forme particolari:
– 2-forme simmetriche, se ω(v1 , v2 ) = ω(v2 , v1 );
– 2-forme antisimmetriche (o alterne), se ω(v1 , v2 ) = −ω(v2 , v1 );
ed ogni 2-forma ω può scriversi in maniera unica come somma di una 2-forma
simmetrica e di una 2-forma antisimmetrica ω = ω s + ω a , ponendo
ω(v1 , v2 ) − ω(v2 , v1 )
ω(v1 , v2 ) + ω(v2 , v1 )
ω s (v1 , v2 ) =
ω a (v1 , v2 ) =
2
2
sicché lo spazio vettoriale delle 2-forme lineari si decompone in somma diretta
Bil(V ) = Bila (V ) ⊕ Bila (V ) delle 2-forme simmetriche e antisimmetriche.
Definizione 10.9 (Prodotto tensoriale, simmetrico ed esterno)
C’è un modo naturale per ottenere, a partire da due 1-forme su V , una 2-forma:
se ω1 , ω2 ∈ V ∗ , si pone 3
– ω1 ⊗ ω2 (v1 , v2 ) = ω1 (v1 )ω2 (v2 ), detto prodotto tensoriale di ω1 , ω2 ;
– ω1 ω2 (v1 , v2 ) = ω1 (v1 )ω2 (v2 ) + ω2 (v1 )ω1 (v2 ), detto prodotto simmetrico;
– ω1 ∧ ω2 (v1 , v2 ) = ω1 (v1 )ω2 (v2 )−ω2 (v1 )ω1 (v2 ), detto prodotto antisimmetrico,
o wedge.
Definizione 10.10 (2-forme differenziali)
Sia S sottovarietà di Rn . Un 2-campo tensoriale 4 su S è una ωP ∈ Bil(TP S)
per ogni P ∈ S. I 2-campi tensoriali antisimmetrici su S si dicono 2-forme differenziali 5 (o anche solo “2-forme su S”), mentre i 2-campi tensoriali simmetrici
si chiamano semplicemente 2-forme simmetriche.
Gli spazi dei 2-campi tensoriali, delle 2-forme simmetriche e delle 2-forme differenziali su S si indicano rispettivamente con T 2 (S), S 2 (S) e Ω2 (S).
[ ]B
Se B = {b1 , ..., bm } è una base di V , si ha un isomorfismo Bil(V ) → M (n, R)
ottenuto associando a ω la sua matrice [ω]B = (ω(bi , bj )) nella base B, che manda
2-forme simmetriche (risp. antisimmetriche) in matrici simmetriche (risp. antisimmetriche). Le dimensioni di Bil(V ), Bils (V ) e Bila (V ) sono dunque facilmente calcolate, e valgono rispettivamente m2 , m(m + 1)/2 ed m(m − 1)/2.
Utilizzando il prodotto tensoriale, simmetrico e wedge, si mostra che:
– una base di Bil(V ) è data dai b∗i ⊗ b∗j , al variare di i, j = 1, ..., n;
– una base di Bils (V ) è data dai b∗i b∗j , al variare di i ≤ j = 1, ..., n;
– una base di Bila (V ) è data dai b∗i ∧ b∗j , al variare di i < j = 1, ..., n
(è immediato verificare infatti che sono l.i., e che sono nel giusto numero).
3 In alcuni testi, si sceglie di prendere ω ω = (ω ⊗ ω )s e ω ∧ ω = (ω ⊗ ω )a , cioè
1
2
2
1
2
2
aggiungere un fattore moltiplicativo 21 ; occhio quindi alle notazioni...
4 Per la precisione: un campo tensoriale controvariante di tipo (2, 0).
5 Una delle ragioni di questa terminologia è che per forme antisimmetriche ω su S è possibile
definite una nozione di differenziale dω, come per le funzioni.
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5
Quindi, se φ è una carta di una m-sottovarietà S, con coordinate locali (xi ),
i 2-campi tensoriali
{dxi ⊗ dxj } al variare di 1 ≤ i, j ≤ n
{dxi dxj } al variare di 1 ≤ i ≤ j ≤ n
{dxi ∧ dxj } al variare di 1 ≤ i < j ≤ n
formano rispettivamente delle basi, punto per punto, di Bil(TP S), Bils (Tp S) e
Bila (TP S). Notate che, per definizione, si ha dxi dxj = dxj dxi , mentre dxi ∧
dxj = −dxj dxi e dxi ∧ dxi = 0. In particolare, ogni 2-forma differenziale, o
ogni 2-forma simmetrica ω, si scrive localmente (cioè su un aperto con coordinate
locali) come
X
X
ω=
ωij dxi ∧ dxj
ovvero ω =
ωij dxi dxj
i<j
i≤j
e le funzioni ωij si dicono le componenti di ω nelle cordinate (xi ).
La classe di regolarità di un 2-campo tensoriale è definita come la (minima)
classe di regolarità delle sue componenti ωij (tale regolarità non dipende dalla
particolare scelta di coordinate).
Esempi 10.11 (Primi esempi di 2-forme simmetriche/differenziali)
(i) Una metrica riemanniana g su S è una particolare 2-forma simmetrica su S
(che, in più, è definita positiva in ogni punto). Notare che se (xi ) sono coordinate
locali su un aperto U di S, il formalismo delle 2-forme simmetriche dà rigore
matematico alla seguente scrittura di g su U
X
g=
gij dxi dxj
i,j
∂
, ∂ ).
e le componenti di g nelle coordinate (xi ) risultano precisamente gij = g( ∂x
i ∂xi
Nella scrittura usuale, il simbolo viene spesso omesso, e dxi dxi di solito è
indicato con (dxi )2 ; l’importante è capire cosa si intenda col prodotto dxi dxj !
(ii) Una metrica lorentziana su una n-sottovarietà S è una 2-forma simmetrica
su S che in ogni punto è di tipo (n − 1, 1) (indice di positività e negatività
rispettivamente uguali a n − 1 e 1).
(iii) Sia S + una superficie orientata di Rn . La 2-forma di area di S + è la 2forma differenziale dS + che associa, punto per punto, ad ogni base ortonormale
orientata E = (e1 , e2 ) di TP S + il valore 1, i.e. dS + = e∗1 ∧ e∗2 .
Questa 2-forma è ben definita e non dipende dalla particolare base (ortonormale, orientata)
scelta: se infatti E 0 = (e01 , e02 ) è un’altra tale base, abbiamo
0∗
∗
∗
∗
∗
∗
∗
e0∗
1 ∧ e
2 = (a11 e1 +a12 e2 ) ∧ (a21 e1 + a22 e2 ) = det(A)e1 ∧ e2
a11 a12
per una matrice A =
∈ SO(2), dunque con det(A) = 1.
a21 a22
Se S + ⊂ R3 ed N è il campo di versori normali ad S + che determina la sua
orientazione, allora la 2-forma di superficie può esprimersi come il coefficiente
di proporzionalità tra v1 × v2 ed N , i.e. dS + (v1 , v2 ) = (v1 × v2 ) · N (infatti per
vi = ei si ottiene proprio 1.)
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6
Se φ è una carta orientata di √
S + , con coordinate (x1 , x2 ), allora si ha (con le
+
notazioni del Foglio 9) dS = EG − F 2 dx1 ∧ dx2 = det(gij )dx1 ∧ dx2 .
+
∗
∗
+
Difatti
1 ∧ dx2 è
se dS = e1 ∧ e2 , la componente
di dS su dx
p
∂
∂
∂
∂
∂
∂
∂
+
dS
,
=
·e1
·e2 −
·e2
·e1 = det
· ej =
det(gij )
∂x1 ∂x2
∂x1
∂x2 Ä
∂x1ä
∂x2 Ä
ä∂xi
a causa dell’uguaglianza tra matrici:
∂
∂xi
·
∂
∂xj
=
∂
∂xi
· eh
eh ·
∂
∂xj
=
∂
∂xi
· ej
2
.
Di nuovo, nella scrittura usuale, il simbolo ∧ viene spesso omesso, ma in questo
caso dxi dxj è ben diverso da ciò che significa in (i)!
10.3
Cenni ai tensori e alle k-forme.
k
}|
{
z
Una k-forma lineare su V è un’applicazione multilineare ω :V × · · · × V → R,
i.e. R-lineare in ogni variabile; ω è anche detta un k-tensore su V (controvariante
di tipo (k, 0)). Come nel caso di 2-forme, esistono k-forme
- simmetriche, se ω(vσ(1) , ..., vσ(k) ) = ω(v1 , ..., vk ) ∀σ ∈ Sk ;
- antisimmetriche (alterne), se ω(vσ(1) , ..., vσ(k)) = (−1)(σ) ω(v1 , ..., vk ) ∀σ ∈ Sk ;
ma, al contrario delle 2-forme, lo spazio delle k-forme simmetriche Lsk (V ) e
quello delle k-forme antisimmetriche Lak (V ) non danno per somma diretta tutto
lo spazio delle k-forme Lk (V ).
Il prodotto tensoriale, simmetrico e wedge si estende definendo, se ω1 , ..., ωk ∈ V ∗
ω1 ⊗ · · · ⊗ ωk (v1 , ..., vk ) = ω
P1 (v1 ) · · · ωk (vk )
ω1 · · · ωk (v1 , ..., vk ) =
ω (vσ(1) ) · · · ωk (vσ(k) )
Pσ∈Sk 1 (σ)
ω1 ∧ · · · ∧ ωk (v1 , ..., vk ) =
ω1 (vσ(1) ) · · · ωk (vσ(k) )
σ∈Sk (−1)
[[ ]]B
e, se B = {b1 , ..., bm } è una base di V , si ha un isomorfismo Lk (V ) → (Rm )k
ottenuto associando a ω la sua “matrice k-dimensionale” [[ω]]B = (ω(bi1 , · · · , bik )).
Basi esplicite per gli spazi Lk (V ), Lsk (V ) e Lak (V ) sono dai tensori:
b∗i1 ⊗ · · · ⊗ b∗ik al variare di i1 , ..., ik = 1, ..., m
b∗i1 · · · b∗ik al variare di i1 ≤ · · · ≤ ik = 1, ..., m
b∗i1 ∧ · · · ∧ b∗ik al variare di i1 < · · · < ik = 1, ..., m
dunque le dimensioni di Lsk (V ) e Lak (V ) sono rispettivamente m+k−1
e m
k
k .
Un k-campo tensoriale su una m-sottovarietà S è una ωP ∈ Lk (TP S) per ogni
P ∈ S, e i k-campi tensoriali antisimmetrici su S si dicono k-forme differenziali;
gli spazi dei k-campi tensoriali, di quelli simmetrici, e delle k-forme differenziali
su S si indicano con T k (S), Sk (S) e Ωk (S). Anche in questo caso, se φ è una
carta di S con coordinate locali (xi ), i k-campi tensoriali
{dxi1 ⊗ · · · ⊗ dxik } al variare di 1 ≤ i1 , ..., ik ≤ n
{dxi1 · · · dxik } al variare di 1 ≤ i1 ≤ ... ≤ ik ≤ n
{dxi1 ∧ · · · ∧ dxik } al variare di 1 ≤ i1 < ... < ik ≤ n
formano punto per punto delle basi di Lk (TP S), Lsk (Tp S) e Lak (TP S).
Per esempio, ogni k-forma differenziale ω su S, si scrive localmente come
X
ω=
ωi1 ···ik dxi1 ∧ dxi1 ∧ · · · ∧ dxik
i1 <i2 <···<ik
e le ωi1 ···ik sono le funzioni componenti di ω nelle cordinate (xi ).
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7
Esempi 10.12 (Determinanti)
(i) Se V ha dimensione m, la m-forma lineare antisimmetrica più famosa su V
è certamente il determinante. Data una base B = {b1 , ..., bm } di V si definisce
detB (v1 , ..., vm ) = det([v1 ]B · · · [vm ]B )
sicché detB ∈
) (chiaramente questa definizione dipende dalla scelta di B).
Notare che si ha precisamente: detB = b∗1 ∧ · · · ∧ b∗m . Di più, questa m-forma
è essenzialmente l’unica m-forma antisimmetrica su V , a meno di un multiplo:
difatti la dimensione di Lam (V ), se dim(v) = m, è proprio uguale a 1.
(ii) In generale, se B = {b1 , ..., bm } è una base di V , si ha
Lam (V
b∗i1 ∧ · · · ∧ b∗ik (v1 , ..., vm ) = deti1 ,...,ik ([v1 ]B · · · [vk ]B )
dove deti1 ,...,ik (A) indica il minore di ordine k di una matrice A ∈ M (m, k; R)
corrispondente alle righe i1 , ..., ik . Per quanto visto sulla base di Lak (V ), le
k-forme lineare antisimmetriche su uno spazio V di dimensione m sono qundi
tutte le possibili combinazioni lineari di minori di ordine k della matrice delle
coordinate di (v1 , ..., vk ), su una qualsiasi base B = {b1 , ..., bm }.
(iii) Se S è una m-sottovarietà orientata, la sua forma di volume è la m-forma
dS + che associa, punto per punto, ad ogni base ortonormale orientata (e1 , ..., em )
di TP S + il valore 1, i.e. dS + = e∗1 ∧ · · · ∧ e∗m . Analogamente al caso m = 2 si
mostra che tale forma è indipendente dalla base ortonormale orientata scelta.
Inoltre, se φ è una carta orientata di S + , con coordinate (xi ), allora si ha anche
in questo caso l’espressione dS + = det(gij )dx1 ∧ · · · ∧ dxm .
10.4
Il differenziale di una forma differenziale
Come per una funzione f (=“0-forma” differenziale) su una sottovarietà S si
può considerare il differenziale df ottenendo una 1-forma, le k-forme su una
sottovarietà S si possono “differenziare”, fornendo forme di un grado maggiore;
vedremo che questa è una peculiarità delle forme antisimmetriche.
Definizione 10.13 (Differenziale esterno)
Sia ω∈Ω1 (S): il differenziale esterno6 di ω è la 2-forma dω definita nel modo
seguente: se φ è una carta per S intorno a P , con coordinate locali (x1 , ..., xn ),
P
e esprimiamo ω = ni=1 ωiφ dxi allora
!
n
n
φ
. X X ∂ωi
dxj ∧ dxi
dω =
∂xj
i=1
j=1
Per una k-forma
il differenziale è definito in maniera analoga: se in coordinate
P
locali ω = i1 <···<ik ωiφ1 ···ik dxi1 ∧ · · · ∧ dxik allora
!
n
X
∂ωiφ
. X
dω =
dxj ∧ dxi1 ∧ · · · ∧ dxik
∂xj
i <···<i
j=1
1
6 “Esterno”
k
sta ad indicare che dω non appartiene più a Ω1 (S), ma a Ω2 (S). Lo “slot”
in pù serve giustappunto a rendere l’operazione d indipendente dalle coordinate; infatti, in
un cambio di coordinate, esso fornisce precisamente il fattore necessario all’invarianza della
nuova forma.
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8
Questa definizione sembra dipendere pesantemente dalle coordinate scelte, ma
in effetti non è cosı̀: il miracolo è che, usando un qualsiasi altra carta, la
forma (dω)P ∈ Bila (TP S) che si ottiene, punto per punto, è sempre la stessa!
Mostrarlo è precisamente lo scopo del seguente esercizio:
♥ Esercizio 10.14 (Indipendenza di dω dalle coordinate scelte)
Sia ψ un’altra carta per S intorno a P , con coordinate locali (xi ), ed esprimiamo
P
ω = k ωkψ dyk . Mostrare che in ogni
! punton siÇha:
å
n
n
n
X X
X
X
∂ω ψ
∂ω φ
i
“dω rispetto a φ” =
i=1
j=1
∂xj
k
∧dxi =
dxj
k=1
h=1
P
Analoga proprietà vale per dω, se ω =
i1 <···<ik
∂xh
dyh
∧dyk= “dω rispetto a ψ”
ωiφ1 ···ik dxi1 ∧ · · · ∧ dxik .
Soluzione. Se X(P ) = (xi (P )) ed Y (P ) = (yi (P )), cominciamo esprimendo i dxi in
funzione dei dyk , usando le formule del differenziale di una funzione composta. Sappiamo
infatti che X = φ ◦ ψ −1 (Y ), ovvero xi = xi (y1 , ..., yn ) sottintendendo la dipendenza tramite
P ∂xi
dyk , quindi
φ ◦ ψ −1 . Abbiamo dunque dxi =
k ∂y
k
ω=
X
ωiφ dxi
=
X
i,k
i
da cui ωkψ =
P
i
k
X X ∂ωφ
i
i
φ
∂ωi ∂xj
j ∂xj ∂yh
P
ψ
∂ω
k
∂yh
=
P
i
φ
∂ωi
∂yh
∂xi
∂yk
j
∂xj
!
∧ dxi =
dxj
dyk =
∂xi
∂yk
∂ωi
∂yh
i,j
+
, sicché dω rispetto a φ fa
P
i
ωiφ ∂y∂
2
xi
h ∂yk
“dω rispetto a φ” =
ωkψ dyk
X X Å ∂ωφ ∂xj ã ∂xi
i
φ
=
X
k
∂xi
ωiφ ∂y
. Otteniamo di conseguenza:
“dω rispetto a φ” =
ma
ωiφ
P
h,k
∂xj ∂yh
h,k
P
, dunque
Ç
X X ∂ωψ
k
h,k
i
∂yh
−
ωiφ
φ
∂ωi ∂xi
i ∂yh ∂yk
∂ 2 xi
∂yh ∂yk
∂yk
dyh ∧ dyk
dyh ∧ dyk . Inoltre
å
dyh ∧ dyk
Ricordando infine che dyh ∧ dyh = 0 e dyh ∧ dyk = −dyk ∧ dyh , tutti i termini contenenti le
derivate seconde si cancellano e troviamo
Ç
å
X X ∂ωψ
k
“dω rispetto a φ” =
dyh ∧ dyk = “dω rispetto a ψ”.
∂yh
h<k
i
La dimostrazione per una k-forma è del tutto analoga.2
Esercizio 10.15 (Espressione di dω tramite bracket)
Dimostrare che per ogni ω ∈ Ω1 (S) e per qualsiasi campi X1 , X2 ∈ χ(S) si ha:
dω(X1 , X2 ) = X1 [ω(X2 )] − X2 [ω(X1 )] − ω([X1 , X2 ])
Una k-forma ω si dice esatta se esiste una (k − 1)-forma η tale che dη = ω.
Una k-forma ω si dice chiusa se dω = 0. Se ω è una 1-forma, questo accade
∂ω
∂ωi
precisamente quando è verificato il criterio delle derivate in croce: ∂x
= ∂xji .
j
(Qual è il criterio equivalente, invece, per k-forme?)
Poiché le derivate seconde di una funzione f rispetto a coordinate locali (xi ) non
dipendono dall’ordine in cui sono calcolate, una condizione necessaria affinché
una 1-forma su S sia esatta, cioè del tipo ω = df , è che per le componenti ωi , su
qualsiasi carta locale, valga il criterio delle derivate in croce, i.e. ω sia chiusa.
Complementi ed Esercizi di Geometria Differenziale - A. Sambusetti
9
Analogamente, perché una k-forma sia esatta, è necessario che dω = 0.
È possibile mostrare che questa condizione è anche sufficiente se ω è definita
su una sottovarietà semplicemente connessa (Lemma di Poincaré), ma su una
sottovarietà qualsiasi, in generale, la chiusura non assicura l’esattezza, come
mostra l’esempio della forma differenziale “dϑ” su R2 \ {O} (che soddisfa il criterio delle derivate in croce, essendo localmente il differenziale di una funzione,
ma non è esatta, cf. Esercizio 10.6(iii)).
Lo studio delle 1-forme chiuse ma non esatte porta alla definizione della coomologia di De Rham di S, cioè dello spazio (vettoriale)
{k-forme chiuse su S}
k
HDR
(S, R) =
{k-forme esatte suS}
che ha un ruolo simile al gruppo fondamentale ed ai gruppi di omotopia superiore
k
(S, R),
πk (S), per k ≥ 1. Per esempio, le dimensione degli spazi vettoriali HDR
detti numeri di Betti di S, sono degli importante invarianti topologici della
sottovarietà S. La coomologia di De Rham e uno studio più approfondito delle
k-forme sarà affrontato in un corso di Topologia Algebrica.
10.5
Proprietà e uso dei differenziali
Cominciamo a osservare un vantaggio delle forme differenziali e dei campi tensoriali rispetto ai campi vettoriali. Se F : S → S 0 è una mappa C 1 tra sottovarietà, e V è un campo su S, non è sempre possibile indurre un campo su S 0 ;
se F è biettiva, invece, per ogni P ∈ S 0 si ha P 0 = F (P ) per un unico P ∈ S,
e V induce un campo F∗ V su S 0 definito come:
(F∗ V )(P 0 ) = (dF )P (V (P ))
detto push-forward di V tramite f . Se ω è un campo tensoriale su S 0 , invece,
è sempre possibile definire una forma indotta su S, che f sia biiettiva o meno:
si definisce F ∗ ω su S come:
(F ∗ ω)P (v) = ωF (P ) (dF (v))
detto pull-back di ω tramite f . Insomma, i campi vettoriali si “spingono in
avanti”, mentre i campi tensoriali (in particolare, le forme) si “tirano indietro”,
ma il vantaggio nel “tirare indietro” (cioè considerare oggetti nel duale di TP S)
è che F non deve avere proprietà particolari, a parte la differenziabilità.
“Tirare indietro” un campo tensoriale o una forma tramite un diffeomorfismo
locale F significa scrivere lo stesso campo/forma in coordinate diverse; poiché
molti oggetti interessanti sulle sottovarietà (metriche, forme di area/volume...)
si scrivono in termini di campi tensoriali e forme, conoscere come questi oggetti
(e il loro differenziale) si trasformano tramite pull-back è importante per calcolare tali invarianti rapidamente in coordinate diverse:
Complementi ed Esercizi di Geometria Differenziale - A. Sambusetti
10
Proposizione 10.16 (Proprietà di campi tensoriali e forme)
Se F : S 0 → S 0 è una mappa C 1 tra sottovarietà, f ∈ C 1 (S), e τ, τi ∈ T k (S),
ς, ςi ∈ Sk (S) ed ω, ωi ∈ Ωk (S), valgono le seguenti formule:
(i) (f υ1 ) ⊗ υ2 = υ1 ⊗ (f υ2 ) = f (υ1 ⊗ υ2 )
(f ς1 ) ς2 = ς1 (f ς2 ) = f (ς1 ς2 )
(f ω1 ) ∧ ω2 = ω1 ∧ (f ω2 ) = f (ω1 ∧ ω2 )
(ii) υ ⊗ (υ1 + υ2 ) = υ ⊗ υ1 + υ ⊗ υ2 e (υ1 + υ2 ) ⊗ υ = υ1 ⊗ υ + υ2 ⊗ υ
ς (ς1 + ς2 ) = ς ς1 + ς ς2
ω ∧ (ω1 + ω2 ) = ω ∧ ω1 + ω ∧ ω2
(iii) F ∗ (f υ) = (f ◦ F ) F ∗ υ;
(iv) F ∗ (υ1 + υ2 ) = F ∗ υ1 + F ∗ υ2 ;
(v) F ∗ (υ1 ⊗ υ2 ) = F ∗ υ1 ⊗ F ∗ υ2
F ∗ (ς1 ς2 ) = F ∗ ς1 F ∗ ς2
F ∗ (ω1 ∧ ω2 ) = F ∗ ω1 ∧ F ∗ ω2
(vi) d(f ω) = df ∧ ω + f dω;
(vii) d(ω1 + ω2 ) = dω1 + dω2 ;
(viii) d(ω1 ∧ ω2 ) = dω1 ∧ ω2 − ω1 ∧ dω2
se ω1 , ω2 ∈ Ω1 (S);
h
d(ω1 ∧ ω2 ) = dω1 ∧ ω2 + (−1) ω1 ∧ dω2 se ω1 ∈ Ωh (S) e ω2 ∈ Ωk (S);
(ix) d(dω) = 0;
(x) d(F ∗ ω) = F ∗ dω.
Dimostrazione. Le (i) e (ii) sono identità che valgono già per tensori su uno
spazio vettoriale, e sono immediate dalle definizioni. Le (iii), (iv), e (v) valgono
per qualsiasi applicazione lineare tra spazi vettoriali L : V 0 → V , e si ottengono
dal caso lineare applicandole apunto per punto a L = dF . Le (vi), (vii), (viii),
(ix) e (x) si verificano facilmente in coordinate locali.2
Esempio 10.17 (Cambio di coordinate nell’elicoide)
A mo’ di esempio, sviluppiamo i calcoli del cambio di coordinate nell’elicoide
El, necessario per trasformare la matrice della I forma fondamentale di El in
quella di Cat (Esempio 9.16). Ricordiamo che, nelle coordinate naturali (r, s),
l’elicoide El ha prima forma fondamentale data dai coefficienti
E=
∂
∂
·
=1
∂r ∂r
F =
∂
∂
·
=0
∂r ∂s
G=
∂
∂
·
= 1 + r2
∂s ∂s
cioè in notazione tensoriale:
IEl = dr dr + (1 + r2 )ds ds = (dr)2 + (1 + r2 )(ds)2 = dr2 + (1 + r2 )ds2
(fate attenzione a non confondere dr2 = dr dr, che è una 2-forma simmetrica,
con d(r2 ) = 2rdr, che è una 1-forma!). Applicando il cambio di coordinate
r = sinh ρ e s = ϑ, cioè la mappa (r, s) = Φ(ρ, ϑ), si ottiene (senza alcuno sforzo
per ricordarsi come cambia la matrice della prima forma fondamentale rispetto
a basi diverse):
“IEl nelle nuove coordinate (ρ, ϑ)” = Φ∗ IEl = Φ∗ dr2 + (1 + r2 )ds2 =
= (d sinhρ)2 + (1 + sinh2ρ)dϑ2 = cosh2ρ dρ2 + cosh2ρ dϑ2 = cosh2ρ (dρ2 + dϑ2 ).
Notare
che si sono usate, nell’ordine, le proprietà: (iv), (v), (iii), (x) e (i).
.
Complementi ed Esercizi di Geometria Differenziale - A. Sambusetti
10.6
11
Il dualismo campi - forme differenziali
In certi casi, il linguaggio dei campi vettoriali è equivalente al linguaggio delle
forme differenziali. Per esempio, si è già visto che, tramite isomorfismi musicali,
dare un campo vettoriale V è equivalente a dare la 1-forma ω = V [ , e molte
operazioni su ω si traducono naturalmente su V . Ma non tutte: per esempio, non
c’è un modo di tradurre in un campo vettoriale il risultato dell’operazione dω,
a meno che S = R3 . In effetti, se S = R3 (o più in generale se S è una qualsiasi
sottovarietà orientata di dimensione 3), l’equivalenza tra i formalismi tra campi
e forme può spingersi più in là, ed esprimersi tramite l’operazione di prodotto
vettoriale ×; per esempio, è possibile “tradurre” l’operatore d : Ω1 (S) → Ω2 (S)
in un operatore rot : χ(S) → χ(S), il rotore. Per capire bene come trasformare
forme in campi (e viceversa), oltre agli isomorfismi musicali dobbiamo introdurre
l’operatore di Hodge.
Cominciamo a notare che, data una k-forma lineare ω (dunque una cosa che
agisce su k vettori) su V , ed un vettore fissato v, è possibile ridurre il numero
di argomenti di ω, fissando il primo argomento sempre uguale a v, ed ottenendo
quindi un (k − 1)-forma, detta iv ω:
(iv ω)(v1 , ..., vk−1 ) = ω(v, v1 , ..., vk−1 )
questa operazione si chiama prodotto interno (o contrazione) di ω con v.
Possiamo ora definire l’operatore di Hodge:
Definizione 10.18 (Operatore di Hodge)
Sia S una m-sottovarietà orientata di Rn , e sia dS + la sua m-forma di volume.
Ricordiamo che se E = (e1 , ..., em ) è una base ortonormale orientata di TP S, si
ha dS + = e∗1 ∧ · · · ∧ e∗m . L’operatore di Hodge è l’applicazione lineare
? : χ(S) → Ωm−1 (S)
V 7→ iV dS +
ovvero, scritto in maniera un po’ più esplicita sulla base E:
escluso
i−1
?ei = (−1)
e1 ∧ · · · ∧
e∗i−1 ∧
z}|{
e∗i ∧e∗i+1 ∧ · · · ∧ e∗m
e cioè tale che e∗i ∧ ?ei = dS + . Dalla scrittura esplicita è ovvio che si tratta di
un isomorfismo, visto che manda una base di χ(S) in una base di Ωm−1 (S).
Denoteremo l’isomorfismo inverso ancora con ?.
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12
Esempi 10.19
(i) Sia S una superficie orientata di Rn . In questo caso:
? : χ(S) → Ω1 (S)
p
?V = dS + (V, •) = EG − F 2 dx1 ∧ dx2 (V, •)
Su una base ortonormale orientata (e1 , e2 ) di TP S + vale: ?e1 = e∗2 e ?e2 = −e∗1 .
Notare che se S è una superficie di R3 , orientata dal campo di versori normali
N , l’isomorfismo ? si può anche esprimere come:
?V (•) = (V × •) · N = (N × V ) · •
L’isomorfismo di Hodge è dunque differente dall’isomorfismo [ : χ(S) → Ω1 (S);
precisamente si ha ? = [ ◦ R π2 , dove R π2 è la rotazione antioraria determinata
dall’orientazione su S.
(ii) Sia S = R3 con coordinate standard (xi) e forma di volume det=dx1∧dx2∧dx3 .
L’isomorfismo di Hodge è in questo caso:
? : χ(S) → Ω2 (S)
?V = det(V, •, ◦) = (V × •) · ◦
∂
∂
∂
= dx2 ∧ dx3 , ? ∂x
= −dx1 ∧ dx3 , ? ∂x
= dx1 ∧ dx2 .
Sulla base canonica vale: ? ∂x
1
2
3
?
Esplicitamente: V = (v1 , v2 , v3 ) ?V = v1 dx2 ∧dx3 −v2 dx1 ∧dx3 +v3 dx1 ∧dx2 .
Verificare allora che divergenza e rotore usuali di un campo vettoriale
V = (V1 , V2 , V3 ) in R3 si possono scrivere (in modo coordinate-free):
div(V ) = ∇ · V =
rot(V ) =
∂V3
∂V2
−
∂x2
∂x3
∂
−
∂x1
∂
∂
∂
V1 +
V2 +
V3 = (d?V )/det
∂x1
∂x2
∂x3
∂V3
∂V1
−
∂x1
∂x3
∂
+
∂x2
∂V2
∂V1
−
∂x1
∂x2
∂
= ?d(V [ )
∂x3
(1)
(2)
ä
∂
∂
∂
,
,
, ben noto ai fisici.
dove ∇ indica l’operatore formale ∂x
∂x
∂x
1
2
3
Equivalentemente:
dω = div(?ω) det per ogni ω ∈ Ω2 (R3 )
dω = ?rot(ω ] )
Ä
per ogni ω ∈ Ω1 (R3 ).
In particolare questa descrizione intrinseca di div e rot mostra che le formule
(1) e (2) sono valide non solo nelle coordinate canoniche, ma in qualsiasi sistema
di coordinate affini ortonormali equiverso (x1 , x2 , x3 ) di R3 .
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