Il conflitto e la mediazione - Consorzio Progetto Solidarietà
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Il conflitto e la mediazione - Consorzio Progetto Solidarietà
3 QUADERNI DEL CENTRO SERVIZI SCUOLA & FAMIGLIA ricerca, progetto, intervento Terzo Numero Una ricerca di senso e di schemi operativi sta alla base delle riflessioni che strutturano questo Quaderno dedicato al tema delle conflittualità e delle mediazioni. Si tratta, spesso, proprio di riuscire a situarsi nel luogo terzo e neutrale della mediazione per far fronte in termini professionali al conflitto. Per questo i due termini che compongono il tema di questo contributo sono proprio il conflitto e la mediazione. Teorie, metodologie operative, campi applicativi ed esperienze di mediazione G. CAVICCHIOLI, L. GIOIA Il Conflitto e la Mediazione Cooperativa Alce Nero Il Conflitto e la Mediazione a cura di Giorgio Cavicchioli e Loredana Gioia CS ASSOCIAZIONE CENTRO STUDI OPERA DON CALABRIA CENTRO SERVIZI SCUOLA & FAMIGLIA QUADERNI DEL CENTRO SERVIZI SCUOLA & FAMIGLIA 3 QUADERNI DEL CENTRO SERVIZI SCUOLA & FAMIGLIA ricerca, progetto, intervento TERZO NUMERO Il Conflitto e la Mediazione Teorie, metodologie operative, campi applicativi ed esperienze di mediazione a cura di Giorgio Cavicchioli e Loredana Gioia CS Associazione Centro Studi Opera Don Calabria Cooperativa Alce Nero La Redazione La collana dei “QUADERNI” è curata dal Centro Servizi Scuola & Famiglia della Cooperativa Alce Nero. Il comitato di redazione di questo numero è composto da: Giorgio Cavicchioli, Alessia Scaravelli, Laura Baratti, Monica Magistrelli, Marta Boschini, Elena Mattioli, Cinzia Chesi, Alfonso Alfonsi. Il Servizio di Mediazione Familiare “Legàmi”, all’interno del Centro Servizi Scuola & Famiglia è composto da: Giorgio Cavicchioli, psicologo, coordinatore; Vania Gadioli, psicopedagogista, mediatrice; Maria Teresa Gasparro, pedagogista, mediatrice; Lara De Agostini, avvocato, mediatrice; Cora Tortora, avvocato, mediatrice; Daniela Perondini, pedagogista, mediatrice; Bice Nuvolari, assistente sociale, terapeuta familiare; Gianluca Ganda, psicologo, psicoterapeuta. Per informazioni e richieste di intervento gli operatori del Servizio di Mediazione Familiare “Legàmi” possono essere contattati il martedì e il giovedì dalle 10,00 alle 13,00 presso il Centro Servizi Scuola e Famiglia - tel. 0376 221717 - e.mail [email protected] Il Centro Servizi Scuola & Famiglia si trova a Mantova in via Frattini, 26 prima edizione: aprile 2004 INDICE 11 Introduzione CAPITOLO 1 17 Ricostruzione teorica della mediazione Adolfo Ceretti, docente di Criminologia Facoltà di Giurisprudenza - Università di Milano Bicocca. Coordinatore Ufficio di Mediazione Penale di Milano 17 20 21 23 1.1 25 26 28 1.5 1.6 1.7 1.2 1.3 1.4 Riflessioni sulla sofferenza Una, tante definizioni Conflitti di “prima” e “seconda” generazione Mediazione: un passo oltre la riparazione del danno? I luoghi della mediazione Uno sguardo sul mediatore Per concludere CAPITOLO 2 31 Mediazione ed educazione Monica Manzani, Psicologa, Consulente scolastico, Mediatore presso Associazione Delta; Loredana Gioia, Psicologa 31 2.1 La scuola: un terreno fertile per il conflitto 36 38 41 45 La peer mediation 2.3 Il bullismo 2.4 Progetto di mediazione scolastica 2.5 Per concludere 2.2 CAPITOLO 3 47 Gestione e risoluzione dei conflitti Silvio Masin, Pedagogista, Mediatore, Presidente Associazione Delta Gestione e risoluzione dei conflitti 3.2 La mediazione sociale e culturale come attività propedeutica alla mediazione penale 54 3.3 La posizione della vittima nell’attività mediativa 57 3.4 L’esperienza del gruppo di mediatori di Verona 47 51 3.1 CAPITOLO 4 61 La mediazione familiare A cura dell’èquipe del Servizio “Legàmi” - Centro Servizi Scuola e Famiglia di Mantova - Cooperativa Alce Nero 61 63 69 4.1 75 4.4 81 4.5 84 4.6 4.2 4.3 Origini della mediazione familiare Cos’è la mediazione familiare La mediazione familiare secondo il modello sistemico-relazionale: le specificità di questo approccio Il Servizio di mediazione familiare “Legàmi” del Centro Servizi Scuola e Famiglia di Mantova Il modello operativo elaborato dall’équipe del servizio di mediazione familiare “Legàmi” Esempio di analisi dei bisogni di una coppia in mediazione 6 98 4.7 Un contributo di Isabella Buzzi: La Mediazione Familiare di Isabella Buzzi, fondatrice del centro di mediazione familiare e scuola di formazione professionale Studio T.d.L di Milano CAPITOLO 5 109 Risorse e limiti del conflitto familiare Vania Gadioli, Psicopedagogista, Mediatrice, collaboratrice del Centro Servizi Scuola e Famiglia 109 110 114 118 5.1 5.2 5.3 5.4 124 5.5 128 5.6 Premessa La famiglia come sistema Il ciclo di vita familiare Il conflitto secondo l’approccio sistemico-relazionale Il conflitto come vincolo e risorsa Il conflitto in adolescenza CAPITOLO 6 137 La formazione Loredana Gioia, Psicologa 137 6.1 L’ambito della mediazione familiare 141 6.2 L’ambito della mediazione scolastica: Peers Mediators 143 6.3 L’ambito della mediazione penale 147 Alcuni appunti conclusivi per non addetti ai lavori Alessandro Padovani, Psicologo, Direttore dei Servizi di Comunità Ist. Don Calabria, Giudice onorario Tribunale per i Minorenni di Venezia 151 Bibliografia 7 IL CONFLITTO E LA MEDIAZIONE Introduzione Due sorelle avevano un’arancia. Entrambe pretendevano l’intera arancia e avevano le loro ragioni per volerla: il litigio appariva inevitabile. Alla fine divisero a metà la loro arancia. La maggiore, irritata, bevve una mezza spremuta e buttò via la buccia. La minore, ancora più stizzita, usò la sua mezza buccia per fare un’insipida torta e buttò via il succo che non le interessava. Avessero parlato, avrebbero scoperto di poter avere un’intera spremuta e un’intera buccia con cui preparare un’ottima torta. Questo terzo quaderno del Centro Servizi Scuola e Famiglia nasce da una serie di riflessioni provenienti da altrettante esperienze di intervento nell’ambito del conflitto. Il conflitto infatti spesso ci si è presentato come caratteristica trasversale, diffusa, presente all’interno di molteplici situazioni e contesti del lavoro sociale con le famiglie, le scuole, i minori, i Servizi, le Istituzioni. La necessità, emotiva e professionale nel contempo, di attrezzarsi per far fronte alle dimensioni conflittuali ci ha più volte indotto a frequentare colleghi e maestri per mettere insieme idee e strumenti di lavoro che consentano di stare nella complessità del conflitto al fine di assolvere ai compiti che 11 nei diversi contesti di intervento ci vengono assegnati. Una ricerca di senso e di schemi operativi allora sta alla base delle riflessioni che strutturano questo Quaderno dedicato al tema delle conflittualità e delle mediazioni. Si tratta, spesso, proprio di riuscire a situarsi nel luogo terzo e neutrale della mediazione per far fronte in termini professionali al conflitto. Per questo i due termini che compongono il tema di questo contributo sono proprio il conflitto e la mediazione. Come oramai da tempo si riconosce, la mediazione o le mediazioni – poiché oggi possiamo parlarne al plurale, come una serie plurima di strumenti e anche di visioni teoriche – costituiscono la strada attualmente più frequentata e considerata come maggiormente in grado di procurare assetti e strumenti di gestione dell’intervento nelle situazioni conflittuali in grado di raggiungere obiettivi soddisfacenti. Nuovi campi applicativi, nuove visioni dell’intervento, nuovi e proficui intrecci di punti di vista teorici hanno portato ad elaborare modelli operativi e schemi teorici che gravitano intorno alla mediazione del conflitto come settore operativo che dialoga ma contemporaneamente si discosta e differenzia dai più tradizionali e noti interventi nei campi affini della psicoterapia, del counseling, della consulenza, dell’intervento educativo o giuridico. Ancora non completamente “matura” la teoresi e la modellizzazione operativa intorno alla mediazione – o perlomeno in una fase molto aperta a contributi creativi e generativi - si avvale oggi di apporti provenienti sia dalla tradizione psicologica e psicoterapeutica, in particolare come evoluzione dei paradigmi di 12 matrice sistemica, sia dell’esperienza e della riflessione maturata in ambito sociologico soprattutto a partire dalla sociologia della devianza, dalla criminologia e dagli studi sulla comunicazione nei contesti penali e giuridici. Questo terzo Quaderno dedicato al conflitto e alla mediazione si avvale ed è frutto della collaborazione tra il Centro Servizi Scuola e Famiglia e l’Istituto Don Calabria, collaborazione che in questi ultimi due anni si è stretta intorno ad una serie di progetti e servizi alcuni dei quali anche relativi proprio alla mediazione dei conflitti. Per questa collaborazione la curatela del Quaderno rispecchia il carattere plurale che si ritrova, scorrendo l’indice, anche nei contributi che lo compongono, sia dal punto di vista degli ambiti e dei contenuti presi in considerazione, sia per la numerosità degli autori che hanno contribuito con le loro riflessioni, a partire da esperienze e formazioni differenti. La strutturazione cha abbiamo voluto per questo Quaderno riflette infatti quella pluralità che sembra oggi abbracciare e caratterizzare la mediazione dei conflitti. Abbiamo così pensato di aprire con una “Ricostruzione teorica della mediazione” composta dal criminologo Adolfo Ceretti che si avvale, oltre che degli studi sul settore in ambito universitario anche dell’esperienza pluriennale del coordinamento dell’Ufficio di Mediazione Penale di Milano. I capitoli successivi sono invece tesi ad apportare contributi più specificamente declinati in ambiti applicativi della mediazione. Nel secondo capitolo, le psicologhe Monica Manzani e Loredana Gioia approfondiscono in particolare la 13 connessione teorica ed operativa tra la mediazione e l’ambito educativo, delineando quel campo oggi conosciuto anche come mediazione scolastica. La peer education, il bullismo e un esempio di progetto di mediazione scolastica caratterizzano questo capitolo. Il terzo capitolo “Gestione e risoluzione dei conflitti”, è scritto da Silvio Masin, pedagogista, mediatore e presidente dell’Associazione Delta che si occupa dello sviluppo della cultura e dell’intervento della mediazione, sottolinenando l’importanza di adottare una logica allargata dove anche l’intervento sulla cultura della comunità risulta centrale. Conclude il suo contributo con il racconto dell’esperienza del gruppo di mediatori di Verona. Il quarto capitolo è un contributo articolato curato dall’èquipe del servizio di mediazione familiare “Legàmi” del Centro Servizi Scuola e Famiglia. Questo contributo si concentra sull’ambito del conflitto familiare e del relativo intervento di mediazione, proponendo una lettura storica della mediazione familiare e la sua particolare declinazione all’interno del paradigma sistemico-relazionale. Viene in seguito proposto uno sguardo ravvicinato sul servizio “Legàmi” e sul suo modello operativo. Questo quarto capitolo si conclude con un prezioso intervento di Isabella Buzzi, fondatrice dello Studio di Mediazione e scuola di formazione professionale sulla mediazione di Milano; in questo contributo l’autrice ripropone i concetti caratteristici della mediazione familiare che vengono così narrati direttamente dalla voce di un’autrice che è oggi uno dei principali punti di riferimento nazionali ed internazionali. Il quinto capitolo, composto dalla psicopedagogista 14 Vania Gadioli, mediatrice e collaboratrice del Centro Servizi Scuola e Famiglia e membro dell’Associazione Delta, focalizza il tema del conflitto esplorandone le risorse intrinseche ed i limiti all’interno delle relazioni interpersonali e delle relazioni familiari in particolare. Il sesto ed ultimo capitolo, curato da Loredana Gioia, propone una sintetica ma esaustiva visione dei principali percorsi e modelli di formazione degli operatori che si occupano di mediazione, descrivendo la formazione alla mediazione nei tre diversi ambiti che caratterizzano anche i precedenti contributi del Quaderno: l’ambito della mediazione familiare, della mediazione scolastica e di quella penale. Le conclusioni sono affidate ad Alessandro Padovani, psicologo, mediatore e direttore dei servizi di comunità dell’Istituto Don Calabria, giudice onorario del Tribunale per i Minorenni di Venezia. Una corposa bibliografia, che comprende oltre ai riferimenti citati nei capitoli del testo anche una rassegna dei principali contributi scientifici italiani, anglosassoni, francesi ed ispanico-sudamericani, conclude il Quaderno. G.C., L.G. 15 Capitolo 1 RICOSTRUZIONE TEORICA DELLA MEDIAZIONE Adolfo Ceretti “Se tu violi i miei affetti, se tu offendi la mia vita con un gesto che mi umilia e che danneggia i miei diritti e ancor più la mia dignità ed il mio onore personale è solo attraverso la pratica della mediazione che diventa possibile prendere le distanze dalla logica della ricompensa o, qualora sia stato commesso un crimine, da quella della pena che dettano la mia sofferenza e la negazione della mia dignità”. 1.1 RIFLESSIONI SULLA SOFFERENZA Più volte, in questi ultimi tempi, mi sono sorpreso a chiedermi quali siano i motivi che mi hanno condotto a studiare e a lavorare nel campo della mediazione. Spesso mi rispondo che uno degli interessi per questo tema nasce dal desiderio di ragionare sulle modalità con cui talvolta l’insopportabile di un soggetto, nella misura in cui invade il corpo di un altro soggetto (il vicino di casa, il migrante, il coniuge, il figlio e, ancora, la vittima di un reato), si traduce da parte della vittima in una denuncia, in una querela, in una pubblica lamentela, in una richiesta di aiuto, 17 di risarcimento, di riparazione. Alcune riflessioni affascinanti su questo argomento, cioè a dire sulla storia politica e giuridica della sofferenza, sono contenute in un libro di un sociologo francese, Jean-François Laé1 su cui mi soffermerei un attimo prima di iniziare il mio discorso sulla mediazione. Egli invita a meditare sul fatto che ogni epoca storica è caratterizzata dalla messa in scena di drammi, espressi sotto forma di domande (“Perché sto male?”; “Che cosa mi sta facendo male?”) rispetto ai motivi della sofferenza, e che ogni epoca storica sceglie con cura un possibile trattamento politico del dolore, dopo aver istruito le sue dinamiche. La sofferenza di cui sto parlando contiene dunque qualcosa di ancora più intollerabile, insostenibile e profondo del senso di giustizia che si trova in seguito a una esperienza di vittimizzazione. Sto parlando di quell’emozione che si impossessa della vita, modificando il senso delle relazioni con se stessi e con gli altri, la forma degli affetti, lo scandire delle attività, e che si manifesta sempre laddove si registra una negazione dell’integrità di una persona, laddove si registra una mancanza di riconoscimento. In questa prospettiva sono il concetto di danno e le pratiche della compassione a divenire i termini fondamentali attorno ai quali riflettere. Dare un nome alla sofferenza della vittima e riconosce- 1 Laé, J.-F., L’instance de la plainte. Une historie politique et juridique de la souffrance, Descartes & Cie, Paris, 1996. 18 re il danno a cui essa si accompagna permette alla vittima stessa di stabilire una distanza dal proprio vissuto, e di trovare una modalità più soddisfacente di gestire il suo dolore. Con il ventesimo secolo si afferma dunque definitivamente l’idea che l’uomo meriti una uguaglianza e un pari trattamento di fronte a quel dolore che egli decide di non vivere in silenzio, e per il quale egli reclama una condivisione di senso. Il tipo di sofferenza riportabile a disfunzione della gestione del vincolo e del legame sociale non è pensabile che al di fuori di se stessi, poiché non si soffre di soffrire, ma si soffre in una scena pubblica che concepisce il male come uno stato d’animo che chiede attenzioni, cure, sollievi, interventi positivi. È indubitabile che nel corso del secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle la forma primaria di riparazione sia stata il risarcimento del danno che ha rappresentato l’unica modalità di dialogo e l’unico modo di dare un valore, un prezzo ed una qualità alla sofferenza. L’idea che da molto tempo porto con me, è che la modalità risarcitoria, se non si accompagna ad altre forme di riparazione, corra il rischio di finire semplicisticamente col sovrapporsi alla perdita irreparabile sofferta, all’offesa subita: il denaro diverrebbe così il doppio equivoco della sofferenza. Ho la netta sensazione che la questione del dolore venga necessariamente e costantemente coniugata con quella del denaro, inteso quale suo doppio, proprio fino a quando si imporranno all’attenzione pubblica le pratiche di mediazione. 19 1.2 UNA, TANTE DEFINIZIONI Non mi soffermerò più di tanto sulla definizione del concetto di mediazione, tenuto conto del fatto che se ne parla ormai molto diffusamente e che comunque la mediazione (sociale, penale, scolastica, linguistico-culturale) è un fenomeno plurale che difficilmente si presta a una rigorosa e univoca definizione. Per tutte valga, come sempre, quella di Bonafé-Schmitt2, il quale parla di un processo, il più delle volte formale, con il quale un terzo neutro tenta, facilitando scambi tra le parti, di permettere loro di confrontare i propri punti di vista e di cercare con il suo aiuto una soluzione al conflitto che le oppone. G.V. Pisapia parla di mediazione come di una “terra di mezzo”, che si caratterizza come luogo di (ri)costruzione della connessione, attraverso l’individuazione di uno spazio sociale al cui interno possano svilupparsi gli in-contri “ricostitutivi” tra le parti in conflitto3. Come afferma Castelli4, per trasformare i conflitti in qualcosa di utile è necessario gestirli in maniera opportuna, “prendersene cura” senza volerli “curare”. E la parola mediazione (dal latino tardo mediare, cioè a dire dividere, aprire nel mezzo) indica appunto un processo 2 Bonaffé-Schmitt, J.-P., La médiation, une justice douce, Syms Alternatives, Paris, 1992. 3 Pisapia, G.V., Editoriale, Rassegna italiana di Criminologia, 4, 1993. 4 Castelli, S., La mediazione. Teorie e tecniche, Cortina, Milano, 1996. 20 mirato a far evolvere dinamicamente una situazione problematica, a far aprire canali di comunicazione che si erano bloccati. Ogni mediazione è dunque sempre preceduta da una contesa, da una contrapposizione, da un conflitto. Nella nostra prospettiva il conflitto5 nasce dallo scontro di due desideri contraddittori, opposti, che si fronteggiano e che paiono vitali per coloro ai quali appartengono. Detto altrimenti, il conflitto nasce dentro a un senso di perdita, perdita di un passato (il prima rispetto ad una violenza, un sopruso, una parola o uno sguardo di troppo) che non esiste più (e che con l’occhio di poi è visto come idilliaco) e un desiderio di rimpiazzare quell’ordine che ora è divenuto disordine. Il passaggio dall’ordine al disordine provoca ciò che chiamiamo conflitto6. 1.3 CONFLITTI DI “PRIMA” E “SECONDA” GENERAZIONE Il conflitto ha a che fare con qualcosa di simile a una crisi di indifferenziazione7, cioè a dire una situazione in cui le persone sono entrambe convinte di funzionare con la stessa modalità di rappresentazione: ciascuno at5 Morineau J., Corsi di formazione alla mediazione, Castiglione delle Stiviere (Mantova), ottobre 1996-giugno 1997. 6 Pavarini, M. (1997), Decarcerizzazione e mediazione nel sistema penale minorile, in Picotti L. (a cura di), La mediazione nel sistema penale minorile, (1998), Cedam, Padova. 7 Girard, R. (1972) (trad. ital. 1980, III ediz. 1992), La violenza e il sacro, Milano, Adelphi. 21 tribuisce all’altro il proprio modo di funzionare. Ogniqualvolta poi l’alterità dell’altro si manifesta, non viene valutata come possibile differenza, ma come una diversità negativa; l’altro diventa l’estraneo, il soggetto incomprensibile. Attualmente i sociologi osservano che negli ultimi due decenni si sono imposte all’attenzione della sfera pubblica nuove forme di conflittualità, diverse da quelle classiche che toccavano gli ambiti della riproduzione materiale o della sfera politica (conflitti di prima generazione). La mia attenzione è perciò rivolta ai conflitti che nascono nelle sfere della socializzazione, dell’integrazione sociale e della riproduzione culturale. Questi conflitti, che potremmo chiamare di seconda generazione, sono quelli di vicinato, di quartiere, familiari, scolastici, inter-culturali, sul posto di lavoro, ed altri ancora. Essi pongono nuovi problemi alla qualità della vita, all’eguale accesso al godimento dei diritti, alla realizzazione individuale e sociale del sé. La domanda di regolazione di questi conflitti fa appello a modalità di risoluzione consensuale, basate sulla esplicitazione dei processi di comunicazione – e non solo sulla sanzione. L’incessante riprodursi di questi ultimi conflitti, ha indotto la Morineau8 a vedere nella genesi di queste situazioni insopportabili, uno scontro fra soggetti che ha a che vedere con la concretizzazione di affetti, interessi, 8 Morineau, J., Lo spirito della mediazione, Franco Angeli, Milano, 2000 (ed. or.: 1998). 22 ragioni e pregiudizi contrastanti che si fronteggiano e che paiono o sono fortemente vitali per coloro che ne sono portatori o portati. 1.4 MEDIAZIONE: UN PASSO OLTRE LA RIPARAZIONE DEL DANNO? L’essenza della mediazione consiste nella variazione dello spazio relazionale che si crea tra i mediati, una variazione che può permettere ad un soggetto di aprirsi all’altro, di porre soprattutto l’antagonista come “altro”, e di porre se stesso come “altro possibile”. Fare mediazione, infatti, significa, prima di tutto, prendersi cura, con modalità inedite sul piano socioistituzionale, di comportamenti cosiddetti antisociali e/o antigiuridici che compulsivamente, im-mediatamente producono in noi stessi e negli altri sentimenti di rivolta, risentimento, tradimento, rabbia, desiderio di vendetta, disonore, umiliazione, incomprensione, senso di colpa. Per fare mediazione, dunque, occorre anzitutto reggere la paura dei potenziali effetti distruttivi di questi sentimenti sociali, e imparare a situarsi “tra” le persone che ne sono portatrici. E’ da quel non-luogo che il mediatore cerca di incontrare la fonte di quei conflitti che creano un vuoto, un isolamento dei singoli configgenti nel proprio vissuto, nella propria versione dei fatti, nella propria solitudine e separazione dall’altro. Le parti possono raggiungere una diversa percezione l’una dell’altra, scoprire un nuovo linguaggio per parlare, provare a (ri)costruire la loro relazione elaborando 23 nuove regole che saranno utili per affrontare concretamente gli effetti del conflitto e del disagio che stanno vivendo. Nei discorsi dei mediatori e dei mediati si instaura una logica comunicativa che non si ferma alla ricerca di una soluzione liberamente negoziata ma si estende anche alla instaurazione di senso al dialogo e alla relazione sociale: “Mediare, come forma verbale che connota l’attività di mediazione, vuol dire ricollegare quello che è adesso sconnesso perché la relazione e il circuito si sono interrotti, ma il circuito e la relazione erano e potranno essere in funzione”9. Sono la mutua responsabilità ed il confronto tra valori e interessi differenti che aiutano a pervenire a “soluzioni” che contengono riparazioni simboliche prima ancora che materiali. Si ha riparazione simbolica, a mio avviso, proprio quando di fronte a un gesto che offende la vita, viola gli affetti, i protagonisti della vicenda (sia chi ha subito la violenza ma anche chi l’ha posta in essere) hanno di nuovo accesso alla propria integrità, e riacquistano la loro dignità. L’autore, difatti, proprio perché afferma anaffettivamente di essere consapevole dell’offesa arrecata e mostra indifferenza verso il proprio comportamento, è spesso conscio che il disprezzo manifestato nei confronti della vittima erode, indebolisce l’identità di quest’ultima, deludendo la sua prospettiva di essere chiamata da “al- 9 Resta, E., Le stelle e le masserizie. Paradigmi dell’osservatore, Laterza, Roma-Bari, 1997. 24 tri” con il “proprio” nome e di essere guardata in un modo atteso. 1.5 I LUOGHI DELLA MEDIAZIONE Strano Paese l’Italia. Mentre ovunque, nel mondo, la mediazione reo-vittima (victim offender mediation) nel sistema penale (minorile e non) si è andata affermando con buona soddisfazione (basta pensare alle esperienze esistenti già da anni in Francia, Austria e Germania, tanto per citarne alcune), qui da noi il solo accenno ad una possibile pratica in questo campo suscita in alcuni studiosi e in molti operatori del diritto (e sociali) dubbi (legittimi), risentimenti e ostracismi (incomprensibili). C’è chi come M. Pavarini10 ha subito compreso il rischio che anche il nuovo (la mediazione) possa finire con l’essere declinato attraverso l’unico vocabolario che il nostro sistema conosce, quello della rieducazione: una volta assorbito dal sistema penale, il paradigma riparatorio perde la sua peculiarità facendosi solo involucro per un’istanza ancora una volta “trattamentale”. Strano Paese l’Italia. Mentre ovunque, nel mondo, la mediazione sociale ha una straordinaria diffusione (si pensi alla Francia), qui da noi il suo successo è legato ancora ad alcune significative, ma purtroppo isolate, esperienze pilota. 10 Pavarini M., (1997), Decarcerizzazione e mediazione nel sistema penale minorile, in Picotti L. (a cura di), La mediazione nel sistema penale minorile, (1998), Cedam, Padova. 25 Pur lasciando ad altri il compito di analizzare le ragioni di questo anomalo (e ricorrente) scenario, va fin da ora sottolineato che senza un adeguato movimento capace di diffondere la cultura della mediazione nel sociale, essa è destinata a iscriversi in progetti deputati a divenire unicamente piccole oasi in un deserto. Per quanto l’Italia continui ad essere uno “strano” paese, il ricorso alle pratiche di mediazione trova un gran senso in presenza di conflitti intra ed inter-familiari, sociali, di vicinato, scolastici, interculturali, quelli che nascono in seguito alla commissione di un reato. La mediazione è quindi un fenomeno plurale che per mezzo di specifiche tecniche operative interviene in differenti luoghi del conflitto. La si può pensare come pratica informale di regolazione di conflitti della famiglia; di mediazione si parla nell’ambito del lavoro e delle relazioni sindacali, nel settore della protezione degli interessi diffusi, in materia di consumo e di tutela dell’ambiente e persino nel campo della politica e della tutela internazionale11. 1.6 UNO SGUARDO SUL MEDIATORE Parafrasando M. Castiglioni12, il mediatore si configura come colui che accoglie la sofferenza, diventando… il ponte teso tra le due rive. 11 Ceretti, A., Garbarono, F., Giulini, P., 1995, Mediazione sociale: la giustizia fra pari, Narcomafie, n°6 (III), p. 19-21. 12 Castiglioni, M., La mediazione linguistico-culturale. Principi, strategie, esperienze, Franco Angeli, Milano, 1997. 26 Piace, anzitutto, questo suo stare al crocevia di tanti luoghi, non appartenere a nessun territorio, occupare uno spazio interstiziale tra la società civile e le istituzioni e allo stesso tempo costringere individui e istituzioni a pensare, a fare i conti con logiche e visioni alternative da quelle con cui esse, quotidianamente, si devono confrontare, al fine di creare e disseminare scambi, contaminazioni, sinergie. Egli si colloca all’interno delle pratiche di mediazione in cui, per definizione, non deve avere alcun potere, nel senso che non spetta a lui (lei, loro) la risoluzione della disputa. Le sue capacità sono quelle legate alla capacità di ascolto, di rimanere imparziale e neutrale. Mutuando quanto afferma Lanzara13, il mediatore deve sviluppare una capacità negativa, che è quella di rendersi vulnerabile al dubbio, di restare impassibile di fronte alla perdita di senso, di non volere a tutti i costi pervenire a fatti e motivi certi. Il mediatore agisce come catalizzatore, in quanto aiuta a modificare la relazione fra gli antagonisti facendola migrare da uno stato di tensione binaria (ove regnano la asimmetria, l’esclusione, la competizione e la violenza) verso un processo a tre poli, ove il dubbio, l’interrogativo e le differenze possono coesistere, e la responsabilità reciproca viene condivisa. Il mediatore è colui che non giudica mai, che non dà consigli, non trova né dà soluzioni, ma interviene nel conflitto per dare la parola ora all’uno ora all’altro per consentire l’identifica- 13 Lanzara, F., Capacità negativa, Il Mulino, Bologna, 1993. 27 zione del motore, dell’origine della situazione problematica. Per il semplice fatto di essere in possesso di un sapere, di una tecnica, di ricoprire un ruolo, di porsi come terzo rispetto a un conflitto, di avere la pretesa che certi rapporti sociali diseguali possano subire una nuova strutturazione, lo si può considerare come soggetto dotato di potere. Mi risulta ancora molto difficile, tuttavia, dire in che cosa consista effettivamente il suo potere… 1.7 PER CONCLUDERE Non mi sento di dover aggiungere altro per comprendere che il discorso sulla mediazione apre nuovi orizzonti di senso. Mi pare importante, tuttavia, che, fin da ora, si debba pensare alla mediazione non come ad una modalità capace di attivare “speranze messaniache di cambiamento e redenzione”, non come a una o, peggio, la soluzione, ma semplicemente come a una modalità cognitivamente più aperta e disponibile a passare dal momento distruttivo a quello curativo, ad accogliere il disordine che le società odierne esprimono. Mi piace spesso concludere il discorso sulla mediazione con una frase di Resta14 poiché mi sembra l’emblema più efficace per tradurre in poche righe la direzione su 14 Resta, E., Le stelle e le masserizie. Paradigmi dell’osservatore, Laterza, Roma-Bari, 1997. 28 cui lavora la mediazione: L’identità ha bisogno non di giudizi e di “cure” prescrittive ma di decifrazioni pazienti delle sue continue ridefinizione… L’identità appare più ricca quanto più assume le “determinatezze della vita” come il problema con cui vivere e su cui esercitarsi. 29 Capitolo 2 MEDIAZIONE ED EDUCAZIONE Monica Manzani, Loredana Gioia 2.1 LA SCUOLA: UN TERRENO FERTILE PER IL CONFLITTO Il conflitto è un elemento strutturale, ovvero è parte integrante della nostra vita quotidiana fin dai primi anni di vita. Uno dei contesti più “fertili” per l’emergere di situazioni conflittuali è senza dubbio quello scolastico dal momento che la scuola è per sua natura una delle principali agenzie di socializzazione, luogo di crescita e di formazione per la personalità dei ragazzi e degli adolescenti. Nello stesso tempo, però, essa è luogo delle conflittualità provocate dalla impossibilità di gestire tutte le relazioni complesse che intercorrono tra i soggetti che la compongono. Luogo in cui le dispute fra compagni sono all’ordine del giorno e così come possono risolversi sul nascere, possono anche diventare sempre più acute e cristallizzarsi fino a trasformarsi in vere e proprie aggressioni o violenze. La scuola, inoltre, rappresenta il luogo maggiormente popolato di estraneità, dove per estraneità intendiamo sia l’alterità, l’altro sconosciuto, sia una cultura-altra che ancora non ci appartiene. 31 Tali premesse, seppur scarne, ribadiscono la portata ed i vantaggi, nonché le difficoltà, insite nel progettare interventi da effettuare nella scuola. Entrare nella scuola come mediatori e soprattutto come portatori della cultura della mediazione, significa incontrare rigide e monolitiche definizioni condivise del conflitto e rischiare di lasciarsi risucchiare dal “mostro della delega istituzionale”. La cultura del buon senso vede la pace come antitetica al conflitto: in tal senso un progetto di mediazione nel sistema scolastico dovrà portare con sé una vera e propria rivoluzione epistemologica partendo da premesse teoriche diametralmente differenti. La pace andrà intesa come coerente con il conflitto perché è proprio la loro sinergia che rende vitali le oscillazioni delle relazioni. Il conflitto andrà inteso come produttore fertile di cambiamenti, di creatività, di genesi all’interno delle relazioni che però tollerino e si arricchiscano delle diversità e del confronto. Parafrasando D. Novara1, si potrebbe parlare di una vera e propria “alfabetizzazione” del conflitto, di un addestramento lento e continuo che possa produrre nuove capacità relazionali “sostando” dentro al conflitto in una incessante e attenta area dialogica con l’alterità e la diversità. La maggior parte dei conflitti a scuola sono di tipo in- 1 Novara D., L‘alfabetizzazione al conflitto come educazione alla pace, in Scaparro F. (a cura di), Il coraggio di mediare. Contesti, teorie e pratiche di risoluzione alternative alle controversie, Edizioni Guerini e Associati Spa, Milano, 2001. 32 terpersonale in quanto coinvolgono studenti o adulti aventi punti di vista differenti, obiettivi diversi, culture diverse2. Ogni conflitto è differente dall’altro, ma tutti, dice Cohen3, sono caratterizzati da alcuni parametri comuni: • Il livello di tensione non è statico. • La differente percezione che ognuno ha delle cose che vede e che sente fa sì che ciascuno interpreti ed attribuisca significati in modo del tutto soggettivo. • Il conflitto, pertanto, può essere considerato come il frutto dei nostri pregiudizi o, meglio, delle nostre inferenze rispetto alle molteplici interpretazioni del reale che vengono di volta in volta prodotte. I primi tentativi di introdurre la mediazione a scuola risalgono agli anni Sessanta negli Stati Uniti. Si trattava di programmi basati sui principi che si erano già sviluppati per la mediazione di comunità, ritenuta efficace soprattutto nei casi di dispute fra persone che si conoscevano e che avrebbero continuato a vedersi (Neighborhood Justice Center)4. La promozione della sua diffusione è stata favorita dalla fondazione, prima negli Usa e poi in alcuni Paesi euro- 2 Baldry, A.C., Conflitti e bullismo a scuola. La mediazione scolastica come possibilità di risposta, in Scaparro F. (a cura di), Il coraggio di mediare. Contesti, teorie e pratiche di risoluzione alternative alle controversie, Edizioni Guerini e Associati Spa, Milano, 2001. 3 Cohen, R., Students Resolving Conflicts, Good Years BooKs, London, 1995. 4 Umbreit, M., Mediating interpersonal conflicts. A pathway to peace, in Pisapia, G.V, Antonucci, D., (a cura di), La sfida della mediazione, Cedam, Padova, 1997. 33 pei, di alcune associazioni che si sono impegnate a fornire alle scuole principi, strumenti e competenze. Anche in Italia, sebbene si denoti il “solito” ritardo rispetto agli altri Paesi, sta crescendo la consapevolezza dell’opportunità di intervenire nelle scuole con metodi Altri, miranti a potenziare le capacità individuali e relazionali. Ne sono un esempio il “Piano nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e dello sviluppo dei soggetti in età evolutiva 2000/2001” e la Legge 451/975. Il comune denominatore di tutte queste esperienze consiste nel fatto che si possono sviluppare solo quando è stata coinvolta tutta la comunità educativa. A tal proposito, Bonafé-Schmitt6 parla dell’”effetto istituto” che stabilisce uno stretto rapporto tra coinvolgimento della comunità educativa e le diverse fasi del programma. Per entrare nel vivo di quanto detto fino a questo punto, ci sembra importante chiarire il fatto che parlare di mediazione scolastica significa principalmente trovare una alternativa per il modello disciplinare attuale e ridurre le sanzioni disciplinari tradizionali, per dare spazio ad una 5 La legge 451/97 indica che il Governo si impegna a “ridurre l’abbandono scolastico e a considerare con particolare attenzione gli atteggiamenti estremi di alcuni adolescenti, spesso legati a difficili dinamiche sociali e di gruppo, promovendo adeguati approfondimenti dei fenomeni di disagio dell’agio e di violenza degli adolescenti che si esprimono in forme di bullismo scolastico”. 6 Bonaffè- Schmitt, J.P., La mediazione scolastica: un processo educativo?, in Pisapia, G.V., Antonucci (a cura di), La sfida della mediazione, Cedam, Padova, 1997. 34 diversa gestione del conflitto7, capace di aumentare la fiducia dei ragazzi nell’istituzione nonché le loro capacità sociali e relazionali8. Essa mostra ai ragazzi ed agli adulti quanto sia importante imparare ad accettare l’Altro, accoglierlo, ascoltarlo ed essere ascoltati. Il percorso mediativo può essere propedeutico ad una educazione alla legalità perché aiuta a comprendere che i comportamenti devianti non sono meramente un’infrazione ad una norma astratta, ma sono un ledere i diritti, spezzare le emozioni e provocare una sofferenza psichica all’altro. Proponendo ai ragazzi “difficili” uno spazio in cui poter essere ascoltati, permette di offrire loro un aiuto per superare il basso livello di autostima e la mancanza di rispetto, soprattutto nei confronti di se stessi; sentimenti che spesso sono la causa di comportamenti disturbanti ed ingestibili. La caratteristica fondamentale della mediazione scolastica è il suo situarsi a vari livelli (conflitti fra alunni e alunni, fra alunni ed insegnanti, fra insegnanti, fra insegnanti e genitori, fra insegnanti e presidi) e di conseguenza il suo esplicitarsi in una molteplicità di modi (mediazioni condotte da persone interne alla scuola o esterne). 7 Bonaffè- Schmitt, J.P., La mediazione scolastica: un processo educativo?, in Pisapia, G.V., Antonucci (a cura di), La sfida della mediazione, Cedam, Padova, 1997. 8 Johnson, D.W., Johnson, R.T., Dudley, B., Acikgoz, K., Effects of conflict resolution training on elementary school studnts, in Johnson, D.W., Johnson, R.T., Teaching students to be the peacemakers, Interaction Book Company, Edina, MN, 1991. 35 L’espressione più significativa della mediazione scolastica è la cosiddetta peer mediation o mediazioni fra pari in cui sono gli stessi alunni ad essere formati come mediatori9. In altri casi, invece, può essere l’insegnante a svolgere il ruolo di raccordo tra scuola, territorio e famiglia10. 2.2 LA PEER MEDIATION Tale pratica è nata dalla necessità di superare la tendenza, troppo spesso messa in atto dagli adulti, ad ignorare, per mancanza di tempo o per la semplice mancanza di voglia di occuparsene, le dispute e le forme di prevaricazione che coinvolgono i ragazzi. Diventa allora auspicabile promuovere un percorso di mediazione condotta dagli stessi ragazzi della scuola. Non ci soffermiamo sull’origine di questa forma alternativa di gestione del conflitto, dal momento che la letteratura è già abbastanza vasta in materia, ma ci preme più che altro evidenziarne i punti di forza da un punto di vista operativo. Primo fra tutti vi è sicuramente una ragione che in apparenza sembra banale ma che, a nostro avviso, rappresenta l’elemento fondante la mediazione fra pari, ovvero il fatto che i ragazzi soggetti a varie forme di vessazione e prevaricazione, parlano più facilmente con 9 Baldry, A.C., bullismo a scuola e mediazione fra pari, in Pisapia, G .V., Antonucci, D. (a cura di), La sfida della mediazione, Cedam, Padova, 1997. 10 Menesini, E., Bullismo, che fare?, Giunti, Firenze, 2000. 36 quelli della loro età, che frequentano lo stesso ambiente, consapevoli quindi dei bisogni e dei problemi della scuola, piuttosto che con un adulto che probabilmente tratterebbe il problema in maniera classica avvalendosi della consuete sanzioni disciplinari11. In aggiunta, nell’ambito scolastico i mediatori non sono persone estranee alle parti, contattati ed incontrati in un contesto differente rispetto a quello della disputa, ma sono ragazzi della stessa scuola appositamente formati per ricoprire questo ruolo e che pertanto condividono problematiche, utilizzano lo stesso linguaggio e le stesse modalità di interazione paritetiche. Un altro vantaggio deriva dal fatto che il conflitto, se affrontato con l’aiuto ed il supporto di qualcuno che condivide la stessa realtà ove si è verificato, viene più facilmente affrontato e risolto12. Inoltre i mediatori che condividono gli stessi spazi e gli stessi luoghi delle potenziali parti che si rivolgono a loro, sono facilmente reperibili e disponibili a un confronto e ad un dialogo immediati. Un ultimo vantaggio, ma non di certo ultimo di importanza, è il fatto che i ragazzi autorizzano i propri pari al ruolo di mediatore molto più di quanto non farebbero con gli adulti. 11 Erwin, P., Friendship and peer relations in children, John Wiley, Chichester, 1993, Tindall, J.a., Salmon-White, S., Peers helping peers. Program for the preadolescent. Leader manual, Indiana, Accelerated Development, 1990. 12 Johnson, D.W., Johnson, R.T., Constructive conflict in the schools, Journal of Social Issues, 1994, 50/1, p.117. 37 È importante sottolineare come non tutti i casi siano “mediabili”: vi sono casi che necessitano delle sanzioni disciplinari tradizionali, a volte, invece, possono essere usati entrambi i metodi. 2.3 IL BULLISMO Non si può tralasciare di fare qualche accenno ad un fenomeno battezzato con il nome di bullismo che pur essendo sempre esistito, ultimamente sembra in aumento13. Spesso ci troviamo di fronte non soltanto alle semplici e banali manifestazioni di scherno e dispetto fra coetanei, ma ad episodi di vera e propria crudeltà. Sono sempre più frequenti i casi di estorsione in classe, ricatti, minacce, insulti, offese, furti, maltrattamenti, percosse verso i compagni più deboli e indifesi, per arrivare a volte a casi estremi ed eclatanti di violenze, torture e uccisioni. Il termine bullismo deriva dall’inglese bullying e sta ad indicare le varie forme di prevaricazione e prepotenza tra pari e tutt’oggi costituisce un serio problema per molti Paesi14. Per poter parlare di bullismo devono essere presenti 13 Fonzi, A., Il bullismo in Italia. Il fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte alla Sicilia, Giunti, Firenze, 1997. 14 Olweus, D., Bullying at school: What we know and what we can do, Blackwell, Oxford 1993 (tr. It. Bullismo a scuola, Giunti, Firenze, 1997); Roland, E., Munte, E. (a cura di), Bullying. An international perspective, David Fulton Publisher, London, 1989. 38 alcuni fattori: • si tratta di comportamenti perpetrati per un periodo prolungato; • esiste uno squilibrio di potere fra chi commette e chi subisce prepotenze15; • chi subisce non è in grado di reagire sia perché teme l’acuirsi della situazione, sia perché più remissivo16. Anche in Italia da diversi anni si è cominciato a parlare di questo problema17. Sempre più ragazzi sono perseguitati dai compagni con battute e scherzi pesanti, e una ricerca eseguita dal C.E.D.E (Centro Europeo dell’Educazione) e pubblicata su “Il Sole 24 Ore” di Lunedì 1° Maggio 2000 mostra come il fenomeno sia estremamente rilevante. Secondo alcuni dati il bullismo va a mano a mano diminuendo nel passaggio dalle elementari alle medie, e generalmente la prepotenza fisica risulta meno frequente con l’aumentare dell’età. Sono per lo più i bambini maschi a rivestire il ruolo di bulli, e lo esercitano soprattutto offendendo le loro vittime. Teatro di questi 15 Besag, V., Bullies and victims in schools, Open University, Milton Keynes, 1989, in Rigby, K., Bullying in schools and what to do about it, Jessica Kingsley Publishers, London, 1996. 16 Olweus, D., Aggression in the schools: Bullies and whipping boys, Hetimisphere, Whashington DC 1978 (tr. It. Aggressività a scuola, Bulzoni, Roma, 1983). 17 Baldry, A.C., Farrington, D.P., Parenting influences on bullying and victimisation, Criminal and Legal Psychology, cit. in Fonzi, A., Il bullismo in Italia. Il fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte alla Sicilia, Giunti, Firenze, 1997. 39 episodi sono l’aula o il tragitto da casa a scuola. Se in questi ultimi anni il bullismo è diventato così visibile da essere oggetto di studio, non si può certo ignorare che le radici profonde del fenomeno affondano spesso nella generale indifferenza verso la prevaricazione, l’aggressione, l’emarginazione di chi è più debole e incontra maggiori difficoltà ad integrarsi. Insegnanti, genitori, gli stessi compagni di classe spesso sottovalutano il fenomeno, “chiudono un occhio”, non intervengono. E a favore del bullo gioca spesso anche una più immediata simpatia, soprattutto da parte dei coetanei, rispetto ad una vittima spesso introversa, non accettata, isolata, chiusa nella sua sofferenza silenziosa. È pertanto necessario che tutti gli attori della realtà scolastica (bulli, compagni, genitori e maestri) inizino molto di più di quanto non hanno fatto sinora a riflettere su questi episodi, perché si può oggi affermare che il fenomeno del bullismo sia uno dei più gravi che un bambino o ragazzo si possa trovare di fronte. Le conseguenze sono frequentemente pesanti, a volte addirittura tragiche: i bambini restano isolati, timidi, insicuri di sé stessi, avendo paura di essere di nuovo maltrattati. E “bullismo” non sono solo botte o spinte ben visibili, ma “bullismo” possono essere anche offese e parole, che agli altri sembrano innocue, ma che sicuramente lasciano una ferita dentro a chi le riceve. Ridurre questi comportamenti a scuola o ancor meglio prevenirli, significa incidere positivamente sia a livello della salute psicofisica dell’individuo, sia a livello sociale e collettivo. 40 2.4 PROGETTO DI MEDIAZIONE SCOLASTICA Il progetto che ora presenteremo, ha preso corpo da quella filosofia di pensiero che sommariamente abbiamo cercato di esporre in precedenza, e che rappresenta il substrato teorico da cui la mediazione scolastica prende le mosse. Ci sembra opportuno chiarire, prima di iniziare con l’esposizione, che il presente progetto, è stato condotto con i bambini delle scuole che hanno aderito a questa iniziativa e che, trattandosi di una prospettiva di lavoro ancora “embrionale” e in via del tutto sperimentale, è stato condotto esclusivamente con due classi, sebbene, come ci insegna Bonafé-Schmitt, siano state coinvolte le istituzioni scolastiche e, ormai da qualche anno, siamo profondamente impegnati nella promozione di una cultura della mediazione a livello comunitario e territoriale. Scopo di questo lavoro, è stato sensibilizzare i ragazzi a vedere l’esperienza di rottura relazionale come un’occasione di apprendimento, attraverso la promozione di una maggiore autonomia e responsabilità nello stabilire e negoziare soluzioni possibili ai propri conflitti. Le finalità sono state orientate sia alla prevenzione che alla riparazione, ponendosi così obiettivi relativi alla promozione di nuove modalità comunicative e di gestione del conflitto, inerenti sia all’espressione di emozioni e sentimenti sia all’intervento e alla risoluzione di conflitti esistenti tra gli alunni. Il progetto che qui vi presentiamo è stato realizzato durante l’anno scolastico 2002-2003 (Aprile-Maggio) 41 e ha visto coinvolte due classi elementari (una 4° e una 5°), per un totale di 35 soggetti, appartenenti a due scuole del territorio Veronese. Nella tabella sottostante, vengono riportati i moduli fondamentali previsti dall’intero progetto, anche se le attività svolte nelle scuole di Verona rappresentano solamente l’inizio di un lavoro sperimentale che si è focalizzato sulle prime due fasi della seguente scansione di moduli formati. 1° modulo Presentazione del progetto agli insegnanti Presentazione del progetto ai genitori 2° modulo Sensibilizzazione degli alunni al progetto di mediazione 3° modulo Individuazione e formazione mediatori 4° modulo Mediazioni Supervisione gruppo mediatori 5° modulo Verifica progetto con alunni Verifica progetto con gli insegnanti, direttore didattico o preside Verifica progetto con i genitori Verifica progetto con referenti territoriali 42 La sensibilizzazione Dopo alcuni incontri preliminari, alla presenza degli insegnanti e dei rappresentanti dei genitori, si è passati alla fase di sensibilizzazione che rappresenta la prima tappa del progetto di mediazione scolastica. In ogni classe si sono realizzati tre incontri di due ore ciascuno, alla presenza di un solo formatore, chiedendo quindi agli insegnanti di essere facilmente reperibili in caso di necessità, ma di non essere presenti in aula. Caratteristica comune degli incontri di sensibilizzazione è l’utilizzo di tecniche attive, disegni, drammatizzazione, compilazione di schede individuali e cartelloni di gruppo, in modo da facilitare la comprensione e l’apprendimento dei temi e dei contenuti proposti. In particolare ci sono stati tre momenti principali: a) incontri di conoscenza e di definizione dei significati (violenza, conflitto e amicizia); b) costruzione di scenari, poi drammatizzati, per vedere come i bambini gestiscono il conflitto; c) elaborazione di cartelloni di sintesi accompagnati da attività di gioco. Si è prestata particolare attenzione all’uso di uno stile formativo che non discordi con i principi e i contenuti della mediazione stessa; una modalità quindi centrata sull’ascolto, sulla valorizzazione e sul rispetto del setting formativo e delle regole condivise con i ragazzi stessi. In questa fase si è notato come nei bambini sia forte l’esigenza di essere ascoltati, di essere oggetto di attenzione anche visiva e, in alcuni, è emerso il tema della reciprocità e della circolarità dell’ascolto e della 43 relazione; dall’essere ascoltati nasce il desiderio e la possibilità di ascoltare a propria volta (“Se mi ascoltano vuol dire che sono miei amici, gioco con loro, sono felice, contento...”). Nelle situazioni di non ascolto i bambini provano forti sentimenti di rabbia, malessere e colpevolezza (“Mi sento male, colpevole, mi sento triste, mi sento matto, gli chiedo scusa…”), da cui sembra derivare una rottura nella relazione di amicizia che provoca dispiacere e solitudine (“Senza la mia amica mi sento solo…”); dalla non attenzione nascono sentimenti di forte rabbia e violenza che necessitano per i bambini di essere sfogati in modo distruttivo (“Provo dispiacere, rabbia, sono infuriato, debole, sento di aver perso gli amici”). Alla richiesta di disegnare un conflitto che ricordano, gli alunni hanno rappresentato di solito litigi tra coetanei, compagni di classe e fratelli, molto raramente situazioni conflittuali con persone appartenenti ad altre generazioni, quali per esempio insegnanti o genitori. I bambini generalmente esprimono il vissuto di conflitto come esperienza di rottura relazionale, come esclusivo rapporto tra un vincente e un perdente, tra chi è più forte e comanda e chi viene annullato e distrutto; la principale funzione della risoluzione del conflitto sembra essere il mantenimento della relazione di amicizia e lo scusarsi dei due soggetti avviene soprattutto tramite gesti (“Ci diamo la mano…”). Nelle riappacificazioni, l’oggetto del conflitto è stato spesso mantenuto sullo sfondo, ritenendo che il “fattore tempo” potesse risolverlo, ma il continuo rinnovarsi e ripetersi di litigi provocati dallo stesso problema la44 sciava intendere l’esigenza, non sempre riconosciuta dai bambini, di trovare delle soluzioni condivise e durature. Tra le modalità di risoluzione dei litigi, i bambini raramente pensano all’intervento di un compagno, neanche quindi l’eventualità della mediazione, mentre manifestano ovviamente altre possibilità (“Lo dico alla maestra, alla mamma …”). 2.5 PER CONCLUDERE Questa esperienza iniziale, mi ha aiutata a capire quante difficoltà e quanti disagi può comportare un conflitto, persino quei “piccoli” e apparentemente banali “conflitti” che emergono nella scuola elementare. Ciò che più mi ha stupita durante questa esperienza di formatrice, o meglio di cultrice della mediazione scolastica, è stato il riconoscere come vi sia, da parte degli adulti, la tendenza ad insegnare a convivere con il conflitto, imparando a negarne l’esistenza, piuttosto che ad affrontarlo, imparando a gestirlo e a starci dentro. I bambini sono intrinsecamente portati a “delegare” la soluzione delle proprie dispute ad adulti di riferimento e raramente pensano di provare a gestirle in autonomia oppure facendosi aiutare da un coetaneo. Parlare di amicizia, di litigi, di violenza e di pace con loro non è stato difficile perché, una volta chiariti i significati, sono riusciti facilmente a riconoscere in queste parole astratte aspetti della loro quotidianità. Anche per i bambini, infatti, il conflitto è un elemento strutturale, un elemento che fa parte della loro vita relazionale e con il quale spesso si trovano a dover fare i 45 conti in assenza di strumenti atti ad affrontarli. Questi incontri, sono serviti a creare una maggiore sensibilità verso quegli eventi conflittuali che creano la rottura relazionale, e ciò che più mi ha colpita è stato il vedere come alcuni bambini, già dal secondo incontro, si ponessero spontaneamente ed inconsapevolmente nel ruolo di mediatore. Per concludere, ritengo che questa fase di sensibilizzazione sia stata per me un’esperienza molto stimolante, ma rimane la voglia di approfondirla, di portare avanti un lavoro che è stato utile perché ha consentito l’individuazione di “piccoli” mediatori all’interno del contesto-classe, ma che necessita di un’ulteriore interiorizzazione dei significati e dei valori che la mediazione porta con sé e che sono stati qui solamente sfiorati. 46 Capitolo 3 GESTIONE E RISOLUZIONE DEI CONFLITTI Silvio Masin 3.1 GESTIONE E RISOLUZIONE DEI CONFLITTI “Il perdono và contro l’istinto spontaneo di ripagare il male col male: nella misura in cui si affermano un’etica e una cultura del perdono, si può anche sperare in una “politica del perdono” espressa in atteggiamenti sociali e in istituti giuridici nei quali la stessa giustizia assuma un volto più umano” Giovanni Paolo II messaggio per la giornata della pace 2002 La cultura giuridica moderna è caratterizzata, oltre che dalla funzione punitiva intrecciata con quella rieducativa e con l’esigenza di difesa sociale, anche da una recente nuova concezione definita “neoretribuzionista, centrata non tanto sul reo quanto sul reato, la cui punizione funzionerebbe da stabilizzatore sociale dopo il turbamento emotivo arrecato alla collettività dal reato”1. La pena quindi rimane lo strumento sia di prevenzione 1 F.S. Borelli, riv. Dignitas, Giugno 2003. 47 speciale (l’applicazione della pena fa sì che quel soggetto non ripeta i propri comportamenti colpevoli) sia di prevenzione generale (assistendo alla punizione di colui che si è reso responsabile dell’infrazione, i cittadini dovrebbero essere dissuasi dal violare la norma). Il prof. Eusebi scriveva a questo riguardo: “È giusto che colui il quale rappresenti per me (e secondo me) un male riceva del male; è giusto che colui il quale rappresenti per me (e secondo me) un bene riceva del bene… In questo modello di giustizia dunque, l’altro è sempre un nemico almeno potenziale, candidato a subire un mio giustificabile atteggiamento retributivo consistente nel fare il suo male: per fermarlo, ostacolarlo, non consentirgli di sopravanzarmi o di limitare con le sue esigenze il soddisfacimento dei miei desideri…”2. In un documento curato dall’Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile, la mediazione penale minorile viene intesa come “attività intrapresa da un terzo neutrale al fine di ricomporre un conflitto fra due parti (…) attraverso la riparazione del danno alla vittima o la riconciliazione fra vittima e autore di reato”; viene inoltre sottolineato che per attività riparatoria può intendersi anche una riparazione che prescinda dal risarcimento del danno in senso stretto privilegiandone gli aspetti simbolici. Viene dato particolare risalto alla cosiddetta “terzietà” del mediatore, che deve collocarsi in posizione equidistante rispetto alle parti in causa, e che 2 L. Eusebi, riv. Dignitas, Dicembre 2002. 48 soprattutto non svolge una funzione giudicante, né sul piano giuridico né su quello morale: il mediatore non ha il compito di prendere una decisione o di trovare una soluzione al conflitto, mentre è invece utile che ne espliciti i termini, al fine di facilitare uno scambio fra le parti fondato sull’ascolto delle reciproche ragioni. Uscendo per un attimo dall’ambito prettamente penale, la visione e l’utilità dell’attività di mediazione è in particolare, a nostro avviso, la gestione e risoluzione positiva dei conflitti nel senso più generale del termine. I diversi contesti educativi, di animazione e di aggregazione che incontrano e accolgono le dimensioni della crescita del preadolescente e dell’adolescente - ma la tematica si può agevolmente rovesciare anche a livello di adulti - sono chiamati a convivere con le questioni relative alla gestione dei disagi e dei conflitti che nascono nelle relazioni e quindi si trovano impegnati a favorire lo sviluppo di capacità di progettazione e di intervento, per coniugare i temi della legalità, della convivenza sociale e del rispetto. Da ciò deriva l’esigenza di riflettere su come assumere il conflitto come elemento generativo, come risorsa utile all’interno della costruzione delle relazioni sociali, per creare le condizioni che permettano di ritrovare equilibri e di generare possibilità di recupero di legami interrotti od ostacolati. Nasce così l’esigenza di diffondere una nuova cultura e di favorire lo sviluppo di competenze necessarie per acquisire la capacità di porsi di fronte al conflitto e di trovare modalità di intervento che sappiano sviluppare abilità sociali utili a realizzare adeguate forme di convivenza. 49 Fare in modo che le motivazioni, gli interessi e i bisogni del singolo entrino in relazione con quelli di altri individui, attivando comportamenti cooperativi e di riconoscimento dell’altro, vuol dire orientare anche le scelte e le pratiche educative nella direzione dello sviluppo di comportamenti di tipo pro-sociale e altruistico. Collocare la cultura della convivenza e della gestione positiva del conflitto all’interno del vissuto quotidiano vuol dire anche costruire una base significativa per favorire un’esperienza concreta di un modello generativo che affianca un modello “disciplinare”. Nella logica disciplinare, la risposta e la possibile soluzione è calata dall’alto attraverso meccanismi sanzionatori, che spesso prevedono l’espulsione del minore a scapito della sua responsabilizzazione. Un approccio di tipo alternativo a questo, che prevede soluzioni non a “somma zero” (uno vince e l’altro perde) ma di tipo “siamo due Persone”, implica uno sforzo culturale e di intervento concreto da parte di tutti, che attiva la collaborazione e la capacità di trovare un accordo per risolvere il conflitto in modo vantaggioso per tutti. In questo senso ciò che caratterizza la gestione e risoluzione positiva del conflitto nei contesti di vita, del minore o dell’adulto, diventa un percorso che attraversa alcune tappe fornendo la possibilità di esprimere il proprio punto di vista, le proprie emozioni e paure, accogliendo anche quelle vissute e manifestate dall’altro. All’interno di questo tipo di gestione le motivazioni, gli interessi e i bisogni del singolo entrano in contatto con quelli di altri individui attivando dei meccanismi di regolamentazione sociale che si manifestano attra50 verso comportamenti cooperativi. Le finalità della gestione del conflitto sono orientate sia alla prevenzione che alla riparazione, ponendosi così obiettivi relativi alle modalità comunicative e di gestione del conflitto, inerenti sia all’espressione di emozioni e sentimenti sia all’intervento e alla risoluzione in modo soddisfacente, per entrambe le parti, del conflitto stesso. 3.2 LA MEDIAZIONE SOCIALE E CULTURALE COME ATTIVITÀ PROPEDEUTICA ALLA MEDIAZIONE PENALE La mediazione penale sottende un percorso mediativo sociale e culturale concepito come capacità di educare alla costruzione e alla conservazione dello spazio comune tra gli uomini. Il problema è che di questo processo si deve fare carico la società tutta intera, nelle sue articolazioni costituite dalla famiglia, dal quartiere, dalle istituzioni educative. Per fare ciò la comunità adulta si deve riconoscere parte responsabile, attivamente coinvolta in un processo circolare di costruzione della devianza da cui non può oggettivamente tirarsi fuori. Senza questa consapevolezza, l’accanimento pedagogico o le istanze “progressiste” non potranno incidere sulla realtà complessa che gli adolescenti, i giovani e gli adulti si trovano ad affrontare. L’impossibilità di trovare, nel corso dei conflitti che si vivono quotidianamente, riferimenti normativi ed umani, capaci di soccorso ed appoggio, è fonte crescente di disagio e di insicurezza in particolare negli ambienti urbani. 51 E se ciò avviene, in generale per tutti i cittadini, è inevitabile che avvenga con maggior sofferenza e lasciando “strascichi” più pesanti proprio nei più giovani. È infatti gioco forza che dalla solitudine in cui si viene lasciati in questi casi maturi e cresca la convinzione che queste situazioni debbano essere affrontate con quel “fai da te” improvvisato, povero di risorse, sgangherato che i giovani in genere e quelli più deboli fra di essi possono mettere in azione. Fughe dolorose, negazioni irrazionali, attacchi spropositati o bisogni imperiosi di risarcimento finiscono col lasciare i giovani di fronte ai loro conflitti sempre insoddisfatti ed avvolti da sensi di colpa o da vissuti di inadeguatezza. Da qui, per molti, scaturisce anche la tendenza a “vittimizzarsi” di fronte all’altro del conflitto, assumendo come proprio il ruolo passivo di chi è destinato a subire, magari sino a quando non capiterà di incontrare soggetti più deboli su cui rifarsi. E’ questo uno degli aspetti del circuito della violenza che di questi tempi, tanto ci preoccupa. Il tema del conflitto, da un lato è quello dei processi di vittimizzazione, dall’altro, meriterebbe ben altri approfondimenti di quelli qui possibili, soprattutto in riferimento alla popolazione giovanile. I conflitti in famiglia, nella scuola, negli ambiti comunitari, nella strada e sui territori informali sono in realtà presenti nella vita di ciascun ragazzo e sono esperienze destinate a lasciare profondi segni nella sua crescita. Perché, dunque, non cominciare ad occuparsene un po’ seriamente? L’interrogativo non è solo utopistico ed astratto. 52 Oggi la maggior parte dei paesi occidentali ed in particolare quelli che più ci sono vicini (vedi la Francia) hanno attuato e via via perfezionato tecniche e strategie di mediazione dei conflitti che si sviluppano in ambito sociale. Esistono in molte città, centri e servizi per la “mediazione” dei conflitti che stanno producendo risultati di notevole interesse in particolare sui modelli di convivenza territoriale dei cittadini. Ma vediamo di approfondire cosa intendiamo per mediazione, in particolare per la mediazione sociale, che può rispondere ai conflitti di seconda generazione, per adottare un’espressione di Adolfo Ceretti, quelli cioè di vicinato, di quartiere, familiari, interculturali, di ambiente e sul posto di lavoro, laddove si possono vivere una serie di incomprensioni, di offese, di violenze, più o meno palesi, che necessitano di una riparazione, possibilmente non vendicativa da parte della vittima, anche se legittimata da una legge dello Stato, ma che vada nel senso di una giustizia riparativa e che porti a una evoluzione del colpevole, ridonando, al contempo, fiducia e soddisfazione alla vittima. La mediazione è un procedimento di risoluzione dei conflitti attraverso l’interposizione di un terzo o più terzi, neutrali e imparziali, che facilitino le parti confliggenti a negoziare una soluzione pacifica del loro problema. Nello specifico la mediazione sociale, come gli altri tipi di mediazione, non è fondata su una generica buona volontà delle persone, quanto piuttosto sulla intenzione e convenienza delle parti coinvolte di rispettare il contratto o il patto sociale di convivenza che le lega. È una pratica che esige, come si è già sottolineato, lo 53 sforzo di tutte le parti in causa e risulta essere, quindi, un percorso bilaterale o plurilaterale che suppone la possibilità del cambiamento. Questo tipo di mediazione tende quindi all’efficienza ai fini della capacità gestionale dei conflitti socioculturali, ma è anche pedagogicamente efficace su tutti i soggetti coinvolti, consentendo benefici, riduzione dei costi e, soprattutto, di investire sulle lunghe scadenze. Non si tratta di una pratica che nel nome dell’uguaglianza e del rispetto astratto delle differenze offre, di fatto, servizi di assistenza, che finiscono con l’impedire ogni sforzo teso all’autentica, per quanto sofferta, comprensione delle rispettive identità e alla concreta possibilità di gestione dei conflitti. Se così fosse, la mediazione sociale tenderebbe ad impedire il manifestarsi esplicito del conflitto, costituendosi come un vero e proprio cuscinetto o ammortizzatore sociale, anche se poi molti conflitti sopiti e latenti, alla fine, esplodono e assumono una connotazione distruttiva. 3.3 LA POSIZIONE DELLA VITTIMA NELL’ATTIVITÀ MEDIATIVA Va ricordato che nel sistema storico “dei delitti e delle pene” la vittima del reato - che è il co-protagonista del fatto delittuoso nonché il soggetto che risente maggiormente del crimine - non ha ricevuto quasi mai la debita considerazione dalle istituzioni. Marginale è tuttora il ruolo che riveste nel processo, spesso insoddisfatto è il suo diritto al risarcimento del danno, completamente trascurata appare la dimensione emozionale dell’offesa. 54 Il rinnovato interesse per le vittime ha dunque contribuito a promuovere l’emersione dal modello “riparativo”, che sta riscuotendo un interesse sempre maggiore sia in Europa che nell’area giuridica di common law. La giustizia riparativa è dunque un modello di giustizia che coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di soluzioni al conflitto allo scopo di promuovere la riparazione del danno, la riconciliazione tra le parti e il rafforzamento del senso di sicurezza. La sfida che la giustizia riparativa lancia, alle soglie del XXI secolo, è quella di cercare di superare la logica del castigo muovendo da una lettura relazionale del fenomeno criminoso, inteso primariamente come un conflitto che provoca la rottura di aspettative sociali simbolicamente condivise. Il reato non dovrebbe più essere semplicemente considerato come un illecito commesso contro la società, o come un comportamento che incrina l’ordine costituito - e che richiede una pena da espiare bensì come una condotta intrinsecamente dannosa e offensiva, che può provocare alla vittima privazioni, sofferenza, dolore o persino la morte, e che richiede, da parte del reo, principalmente l’attivazione di forme di riparazione del danno. I paragrafi 27 e 28 della “Dichiarazione di Vienna” adottata a conclusione dei lavori del Decimo Congresso Internazionale delle Nazioni Unite sulla prevenzione del crimine e sul trattamento dei rei, tenutosi a Vienna dal 10 al 17 aprile 2000, stabiliscono quanto segue: “Art.27: Noi decidiamo di introdurre, laddove risulti opportuno, strategie di intervento a livello nazionale, regionale e internazionale a supporto delle vittime, come tecniche di mediazione e 55 di giustizia riparativa, e fissiamo nel 2002 il termine entro il quale gli Stati sono chiamati a valutare le pratiche essenziali per promuovere ulteriori servizi di supporto alle vittime e campagne di sensibilizzazione sui diritti delle stesse e a prendere in considerazione l’adozione di fondi per le vittime, nonché a predisporre e sviluppare programmi di protezione dei testimoni”. “Art.28: Noi incoraggiamo lo sviluppo di politiche di giustizia riparativa, procedure e programmi che promuovano il rispetto dei diritti, dei bisogni e degli interessi delle vittime, degli autori di reato, della comunità e di tutte le altre parti”. Va sottolineato come tali risoluzioni non si limitino a incoraggiare i soli servizi di assistenza e protezione delle vittime di reato, ma contengano indicazioni per una politica di più ampio respiro, che contempli anche il consolidamento delle garanzie nei confronti dei cittadini accusati o condannati e il rafforzamento della tutela della comunità. Opzione che si fonda, probabilmente, sulla consapevolezza che la promozione di una politica riparativa sbilanciata a favore delle vittime presenta un fattore di rischio non trascurabile: nella specie, quello di favorire l’attività di gruppi di pressione che “mascherano”, sotto la copertura di istanze per una reale tutela delle vittime, richieste di progressivi inasprimenti sanzionatori unicamente dettati da esigenze di “legge e ordine”, con ciò determinando una evoluzione in senso illiberale del sistema. Il riconoscimento della vittima è intesa nel senso che la parte lesa deve potersi sentire dalla parte della ragione e deve poter riguadagnare il controllo sulla propria vita 56 e sulle proprie emozioni, superando gradualmente i sentimenti di vendetta, rancore ma anche di sfiducia verso l’autorità che avrebbe dovuto tutelarla. 3.4 L’ESPERIENZA DEL GRUPPO DI MEDIATORI DI VERONA L’Opera don Calabria da anni si occupa dei temi del recupero, riabilitazione e reinserimento di minori che hanno commesso reato. In questi ultimi anni si è data particolare attenzione alle forme ed ai metodi alternativi di ricomposizione del conflitto permettendo quindi la costituzione di un percorso di formazione alla gestione positiva dei conflitti e alla mediazione, negli anni 2001 - 2003. Il gruppo formato ha svolto un lungo, serio, unitario periodo di formazione secondo un modello umanistico, non negoziale di mediazione. Tale modello, attento alle implicazioni emotive ed esistenziali del conflitto, è particolarmente efficace in ambito penale dove l’obiettivo principale è l’incontro con l’altro in modo da dischiudere una possibilità di reciproco riconoscimento tra le parti. La serietà dell’iter formativo è condizione necessaria per l’efficacia degli interventi. Il gruppo di mediatori formatisi risultano essere eterogenei per sesso, età e competenze scientifiche e/o professionali: uomini e donne, giovani e meno giovani, con marcate diversità culturali. La diversità culturale e professionale dei componenti è una delle principali ricchezze di cui gode il gruppo. I mediatori lavorano sempre in gruppi multidisciplinari 57 in cui si mescolano armoniosamente saperi teorici e pratici, che lungi dal contaminare lo spirito della mediazione, garantiscono per ogni “caso” un’attenzione globale ai molti, complessi, intrecciati aspetti coinvolti (educativi, giuridici, ecc.). Il percorso formativo nasce proprio dall’ esigenza e dalla voglia di creare spazi sul nostro territorio in cui la mediazione possa crescere e svilupparsi. Il gruppo di mediatori di Verona, costituitosi come Associazione nell’anno 2003, fa proprie quelle finalità a favore di una promozione del dialogo e della comunicazione e di una cultura della gestione del conflitto come elemento generativo, come risorsa utile per creare condizioni che permettano di ritrovare equilibri perduti. Il gruppo, in funzione dell’esperienza culturale di ogni socio e della condivisione delle linee guida date all’Associazione, ha individuato i seguenti obiettivi: 1) Promozione e diffusione nel territorio ed in tutte le realtà di vita giovanile della cultura della mediazione, per far sentire in tutti i modi possibili che si può essere aiutati nella gestione dei conflitti (con particolare e più intensa attenzione nei confronti di giovani vittime di reati, di soprusi, violenze, prepotenze, torti). 2) Costruzione di una rete di connessioni collaborative con gli ambiti istituzionali e non (polizia statale e municipale, tribunali minorili e ordinario, scuola, associazionismo, servizi socio-sanitari, ecc. ). 3) Apertura di uno spazio di ascolto, in cui le narrazioni del conflitto possono liberamente essere espresse 58 trovando un’accoglienza disponibile e competente. Ovviamente non ci si sostituisce ad altri servizi, né si assumono competenze relative alla presa in carico psico-sociale dell’individuo. Proprio perché si affrontano temi relativi al conflitto deve essere evidente la neutralità di questo spazio rispetto a quelli istituzionali. 4) Predisposizione di opportunità di mediazione, perché le parti che liberamente lo scelgono, possano trovare un aiuto competente per cercare di superare le sofferenze prodotte dai vissuti di contrasto con l’altro. 5) Tracciatura di una mappa dei conflitti del territorio da cui trarre indicazioni per interventi progettuali e strutturali che possano alleggerire le tensioni individuate. 6) Preparazione del territorio per operare, in prospettiva, investimenti formativi di larga portata. L’azione di mediazione e di gestione dei conflitti trova infatti la sua piena realizzazione quando si arriva a preparare, alla gestione di questa funzione, soggetti rappresentativi del territorio, delle istituzioni e delle agenzie educative. Pertanto il gruppo di mediatori intende, nella nostra realtà sociale, utilizzare lo spirito della mediazione per diffondere una cultura di pace e aspirare a realizzare una effettiva “personalizzazione” della giustizia non solo penale. 59 Capitolo 4 LA MEDIAZIONE FAMILIARE A cura dell’équipe del Servizio “Legàmi” Centro Servizi Scuola & Famiglia - Cooperativa Alce Nero 4.1 ORIGINI DELLA MEDIAZIONE FAMILIARE La Mediazione Familiare nasce oltre 20 anni fa negli Stati Uniti grazie a Jim Coogler e l’ispirazione che ha consentito questa nascita viene ricordata in un articolo da William Neville: “…dieci anni or sono Jim Coogler ed io stavamo sorseggiando del vino e mangiando formaggio un sabato sera a casa di Jim, e lo stavamo ascoltando mentre ci parlava delle frustrazioni subite a causa del suo recente divorzio, del processo legale di divorzio su base accusatoria, e riflettemmo su come si sarebbe potuta realizzare una via migliore per divorziare se solo qualcuno avesse avuto il coraggio sufficiente e l’avesse concretizzata…. Avrebbe anche significato il doversi scontrare con duecento anni di “mentalità vincente” nazionale, come evidenza del fatto che la vita è un gioco di vittorie e di sconfitte e alla fine il vincitore sarà colui che avrà tutti gli onori”. Lo stesso Coogler afferma: “Mi sento debitore verso la mia ex moglie e i due avvocati che ci hanno rappresentati nella nostra causa di divorzio per avermi reso consapevole della necessità cruciale di un modo più razionale e più civile di 61 dividere le nostre strade. La vita della mia ex moglie, la mia e quelle dei nostri figli sono state rese, senza alcuna necessità, più amare da quella esperienza. Nella mia frustrazione e nella mia rabbia ho cominciato a pensare a qualcosa che Mahatma Ghandi scrisse mezzo secolo fa: “Ho imparato attraverso la più amara esperienza questa lezione suprema, a conservare la mia rabbia, e come il calore conservato si trasforma in energia, allo stesso modo la nostra rabbia può essere trasformata in una forza che riuscirà a muovere il mondo”. Questo sistema di Mediazione strutturata è, appunto, la mia rabbia tramutata in ciò che io considero una forza per riuscire ad andare verso un mondo più umano per coloro che decideranno di seguire le mie impronte” (Coogler, 1978). Fu certamente difficile per i primi fautori della Mediazione scontrarsi con la mentalità competitiva propria della cultura nordamericana e anche con il sistema legale tradizionale statunitense, basato sulla premessa secondo la quale il matrimonio falliva a causa dell’errore commesso da qualcuno, per cui all’atto della separazione occorreva screditare le affermazioni e le richieste della controparte al fine di risultare vincente e “prendersi tutto”. Nonostante ciò la “Mediazione di divorzio” come venne poi definita, si perfeziona e si diffonde rapidamente non solo negli Stati Uniti, ma anche in Canada, in Gran Bretagna, In Francia e via via nel resto dell’Europa dando vita, rispetto al modello originario di Jim Coogler, a modificazioni di ordine pratico e teorizzazioni di vario genere. 62 In Italia si comincia a parlare di Mediazione, intesa come specifico approccio alle situazioni di conflitto, solo verso la fine degli anni ’80 con la nascita del Centro Gea (Genitori Ancora) di Milano. Verso la metà degli anni ’90 sorgono le principali Organizzazioni che raccolgono i Mediatori italiani: AIMS e SIMEF. L’AIMS (Associazione Familiare Mediatori Sistemici) e il SIMEF (Società Italiana di Mediatori Familiari) raggruppano, infatti, gli Istituti e le Scuole di Mediazione Familiare presenti nel territorio nazionale, sono organismi formalmente riconosciuti, aderiscono alla “Charte européenne de la formation des médiateurs familiaux exerçant dans les situations de divorce ed de séparation”, firmata dai rappresentanti di tutti i paesi europei, e promuovono lo studio e la ricerca nel campo della Mediazione, la pratica della stessa e la formazione di nuovi Mediatori nell’ambito di un codice deontologico di riferimento. 4.2 COS’È LA MEDIAZIONE FAMILIARE Alle origini di ogni Mediazione vi è un conflitto, una contesa, una contrapposizione. Nella nostra cultura la parola “conflitto” ha una connotazione negativa, evoca immagini dolorose, fa pensare allo scontro, al combattimento, al disagio, allo spreco di tempo e di energie nella lotta. Tuttavia l’esistenza di conflitti è intrinseca a qualunque 63 struttura vivente e fa parte inevitabilmente della normale esperienza della vita. Negare la naturalità del conflitto (che di per sé non è né positivo né negativo, ma semplicemente esiste) significa quindi relegarlo nel campo del “patologico”. In realtà può avere effetti di crescita vitale e costituire un’opportunità (quando favorisce l’emergere di soluzioni nuove, diverse e più soddisfacenti) oppure può risultare “distruttivo” (quando dinamiche fuori controllo danno luogo ad esiti di dissoluzione della struttura globale antro cui il conflitto si è verificato e la violenza del contrasto porta a pensare che al termine ci debba essere per forza un vincitore e un vinto, attraverso uno scontro senza esclusione di colpi). Ecco dunque che la Mediazione Familiare si propone come un diverso approccio alla gestione dei conflitti che non mira a “risolvere” o “appianare” i conflitti stessi o a perpetuare situazioni insoddisfacenti o esperienze matrimoniali fallimentari. E nemmeno dobbiamo pensare che il punto sia stabilire chi ha ragione e chi ha torto. Piuttosto, la Mediazione punta a mettere le parti in condizione di uscire da situazioni di “impasse” che le vedono bloccate e ad evitare o ridurre gli effetti di un “conflitto distruttivo”. Vi è chi sostiene che la Mediazione esiste da sempre ma, come osserva Stefano Castelli, non è vero. La Mediazione è stata inventata dalla società contemporanea perché non è concepibile senza irrinunciabili premesse di libertà, di libera assunzione di responsabi64 lità da parte dei soggetti coinvolti, di indipendenza dalle pratiche già sperimentate e rappresenta qualcosa di sconosciuto alle culture “tradizionali” e di “rivoluzionario”. Sentimenti e vita privata acquistarono importanza sempre crescente solo nel corso del XIX secolo, con la nascita della “famiglia borghese”, che era propria però degli strati sociali più benestanti; solo nel dopoguerra, quindi negli anni ’50, con la ricostruzione e il relativo benessere di più larghe masse, si assiste all’allargamento dei valori della famiglia “borghese” a valori collettivi. Il matrimonio e la famiglia diventano il luogo per i propri investimenti emotivi e non più il risultato di considerazioni razionali e d’interesse (formare i mezzi necessari alla sopravvivenza, mettere al mondo la prole, ecc) e ad essi viene attribuito il compito di soddisfare i bisogni di tutti i suoi membri, di conferire un’identità e un’immagine di sé in grado di realizzare le aspettative dei singoli individui. Negli ultimi 20 anni la famiglia italiana, come del resto anche negli altri paesi dell’Europa occidentale, è mutata ulteriormente: livello di crescita vicina allo zero, aumento delle famiglie di fatto, dei divorzi, delle famiglie monoparentali, ricostituite, a doppia carriera, ecc. Nonostante questo, le ricerche che indagano gli atteggiamenti sociali e la percezione che gli individui hanno della famiglia e dei rapporti familiari, confermano l’incidenza che l’immagine della “famiglia felice” del modello borghese continua a rivestire. 65 Se i cambiamenti intervenuti recentemente nella famiglia (che sono, secondo Day e Hook, funzionali al nostro tipo di società e richiedono da parte del sistema familiare un riadattamento dell’organizzazione e dei ruoli genitoriali) non verranno supportati dal sistema culturale, se i valori sociali e i modelli familiari ideali non accoglieranno questo cambiamento già operato, i separati e le loro famiglie continueranno ad essere considerati sia dalla società che da loro stessi un fallimento sociale oltre che personale. In realtà, anche se separazione e divorzio sono comunque esperienze dolorose e stressanti, se i genitori riescono a riorganizzare funzionalmente i reciproci ruoli e mantenere vivo il dialogo in funzione dei figli, questi saranno in grado di superare positivamente la crisi e forse, di trarre addirittura un giovamento a seguito di un clima familiare più disteso e sereno. La Mediazione può contribuire efficacemente a questo scopo, come alternativa strategica di auto - responsabilizzazione (questa è la novità di cui si diceva prima) e di abbandono della ricerca di un nemico da accusare. Si diceva inoltre che è alternativa alle pratiche già consolidate, perché esse tendono ciascuna a privilegiare la propria ottica e nessuna è competente per l’intera area di problemi connessi al processo di separazione. Quali erano infatti i tipi di interventi che si attivavano prima degli anni ’80 con il sorgere di un conflitto familiare? “Allora come anche adesso” - osserva Pasquale Busso “due coniugi che intendessero separarsi o divorziare senza riu66 scire a trovare un accordo da soli, potevano richiedere aiuto a professionisti diversi, come l’avvocato, il giudice, lo psicoterapeuta, il consulente familiare, lo psicologo, l’assistente sociale, l’insegnante dei figli, il sacerdote, senza dimenticare gli amici o i parenti, che sono abitualmente i primi a prestare la loro attenzione e a fornire loro consigli”. L’avvocato, tuttavia, tenderà a privilegiare la difesa del diritto del suo assistito, l’assistente sociale sarà attivata da problematiche definite di emergenza, e così via. Negli anni ’80, con il diffondersi del divorzio e il consolidamento della pratica della separazione consensuale, si comincia a registrare l’inadeguatezza di questa parcellizzazione di risposte e a pensare ad un tipo di setting di intervento in cui lo specialista dia il suo contributo per aiutare i clienti ad essere loro stessi i creatori della soluzione, come da più di un decennio avveniva in America. Questo comporterà un periodo di sospensione della causa legale, se questa ha già avuto inizio, e le parti potranno anche rivolgersi ad esperti o ai propri avvocati di fiducia e, se lo ritengono necessario, possono invitarli a partecipare alle sedute (la presenza dei legali non è obbligatoria, ma consentita). A partire dal modello originario di Jim Coogler, l’evoluzione del concetto di Mediazione Familiare non ha conosciuto soste e quindi molteplici sono le definizioni, le teorizzazioni, i modelli di riferimento relativi ad essa. Alcuni Mediatori promuovono un modello finalizzato più alla riorganizzazione emotiva e relazionale 67 che alla riorganizzazione pratica e concreta della famiglia in seguito alla separazione e al divorzio; c’è chi è molto direttivo nei confronti delle decisioni assunte nell’accordo dalla coppia, e chi non lo è affatto; molti Mediatori scelgono, se appena è possibile, di ascoltare anche i figli dei propri clienti, altri hanno scelto di non farlo mai; alcuni Mediatori co-mediano (solitamente con altre figure professionali come avvocati e psicologi che abbiano seguito una formazione alla Mediazione), altri gestiscono da soli addirittura più coppie (Mediazione multi-familiare), alcuni scelgono la Mediazione globale (le coppie possono discutere tutti gli aspetti e i problemi causati dalla separazione o dal divorzio), altri di lasciare condurre la negoziazione delle questioni non legate ai figli, agli avvocati delle parti. C’è chi esercita la Mediazione “coatta” (su ordinanza del tribunale: “mandatory” in inglese) e chi la osteggia vivamente. Cercando di tracciare una “meta-definizione” non eccessivamente specifica e che sia condivisa da tutte queste diverse teorie potremmo dire che “La Mediazione è una procedura alternativa alla lite legale e ad altre forme di assistenza terapeutica o sociale, in cui una terza persona imparziale, qualificata e con una formazione specifica chiamata Mediatore, agisce per incoraggiare e per facilitare la risoluzione di una disputa fra due o più parti. E’ un processo informale e non basato sul piano antagonista vincitore – perdente, che ha per obiettivo quello di assistere le parti affinchè raggiungano un accordo rispondente ai propri 68 bisogni, ai propri interessi e a quelli di tutti i membri coinvolti. L’accordo raggiunto dovrà essere volontario, mutuamente accettabile e durevole. In Mediazione l’autorità decisionale resta alle parti”. (Isabella Buzzi, 1996). Infatti, la stessa “Charte europèenne de la formation des mèdiateurs familiaux exerçant dans les situations de divorce et de sèparation” recita: “la Mediazione Familiare, in materia di divorzio o di separazione, è un processo in cui un terzo, neutrale e qualificato viene sollecitato dalle parti per fronteggiare la riorganizzazione resa necessaria dalla separazione, nel rispetto del quadro legale esistente. Il ruolo del Mediatore familiare è quello di portare i membri della coppia a trovare da sé le basi di un accordo durevole e mutuamente accettabile tenendo conto dei bisogni di ciascun componente della famiglia e particolarmente di quelli dei figli, in uno spirito di corresponsabilità e di uguaglianza dei ruoli genitoriali”. 4.3 LA MEDIAZIONE FAMILIARE SECONDO IL MODELLO SISTEMICO-RELAZIONALE: LE SPECIFICITÀ DI QUESTO APPROCCIO Così come per la psicoterapia, anche per la Mediazione (nonostante si occupi di “normalità”) l’approccio sistemico costituisce un valido e riconosciuto riferimento epistemologico: l’individuo viene colto entro la struttura dei rapporti che ha con altri individui e si ha una visione “contestuale” della sofferenza e del conflitto. Il “grande padre” della teoria sistemica, Gregory 69 Bateson, afferma che senza contesto non è possibile comprendere il comportamento umano. Il punto di vista sistemico attribuisce alla Mediazione capacità perturbatrici, di confronto e di incontro, sui conflitti che si instaurano nelle relazioni ed interazioni individuali, in modo da promuovere l’evoluzione degli stessi in senso costruttivo e non distruttivo. Per “Mediazione sistemica” si intende quindi un processo di negoziazione che affronta il conflitto nei vari contesti in cui si manifesta, occupandosi del microsistema famiglia (Mediazione Familiare) o dei macrosistemi complessi ove si è generato il conflitto. Dal punto di vista teorico e pragmatico fa riferimento all’approccio sistemico – relazionale (teoria della comunicazione, dell’informazione e teoria generale dei sistemi) secondo l’idea della cibernetica di 2° ordine e del costruzionismo sociale. Anche la “neutralità” del Mediatore viene ridefinita dall’approccio sistemico secondo la cibernetica di 2° ordine, in cui l’osservatore – Mediatore è parte del processo che lo coinvolge e quindi (come osserva Bassoli) non può essere che neutrale solo all’interno delle proprie emozioni, dei propri pregiudizi e, come dice Cecchin, della propria curiosità. Nessuno può ragionevolmente sostenere, come ricorda Castelli, di essere “perfettamente” imparziale e neutrale e se il Mediatore vuole realizzare un ascolto empatico per entrare davvero in contatto con le parti, gli sarà difficile non provare simpatie o antipatie. Ma gli è tuttavia possibile mettere fra parentesi le proprie persona70 li opinioni sull’esito del conflitto per aiutare le parti a raggiungere i loro desideri e i loro obiettivi, in piena libertà decisionale. In ultima analisi, l’imparzialità e la neutralità del Mediatore non sono entità che possano essere valutate in termini oggettivi e formali e la sua correttezza può essere decisa, retrospettivamente, solo dalle parti con cui ha lavorato. Il Mediatore non è l’osservatore che si limita ad osservare il sistema coppia, ma la sua presenza modifica il sistema da due a tre e innesca il processo di cambiamento; più che di “neutralità” in senso stretto, possiamo parlare di “equi-vicinanza” nei riguardi di entrambi, di “multiparzialità”, di “affidabilità”, che sono le “qualità”, come afferma Mariotti, che consentono al Mediatore sistemico di essere “credibile”. Le diverse parti, infatti, hanno la necessità di sentirsi accolte per accettare di essere ridescritte ma nello stesso tempo il Mediatore dovrà evitare i tentativi di “triangolazione” che i partecipanti al processo, più o meno consapevolmente, tenteranno di operare: cadere in questo errore significherà la perdita di credibilità e il quasi certo fallimento del processo mediatorio. Uno degli strumenti “di difesa” che il Mediatore ha a disposizione è la “metacomunicazione”, il comunicare verbalmente sul significato della propria comunicazione. Essa ha una valenza descrittiva dell’azione, pertanto non esprime giudizi morali; il mediatore infatti non esprimerà giudizi morali sugli altri da sé, sarà invece 71 prodigo di giudizi morali, anche negativi se necessario, su se stesso. Quando tutti i componenti del processo mediatorio sapranno esprimere giudizi critici sul proprio operato, sarà arrivato il momento in cui ogni partecipante autorizzerà gli altri a concordare sulla propria descrizione; sarà un momento in cui la autostima dei singoli sarà stata accresciuta dal processo conservativo. La Mediazione familiare aderente al pensiero sistemico si propone quindi empatica, narrativa e conversativa, totalmente distante da una ideologia di controllo e di potere. Esiste infatti il rischio che la Mediazione si trasformi in una tecnica direttiva ed istruttiva legata molto più agli aspetti di contenuto che non a quelli di relazione. L’approccio sistemico – relazionale invece non entra direttamente nei problemi del conflitto proponendo linearmente soluzioni di compromesso, ma ne ricerca gli aspetti evolutivi e fornisce strumenti per una negoziazione che vede come protagonisti i contendenti. “La difficoltà maggiore non consiste nel convincere una persona a mutare strategia, da guerra a compromesso o a negoziato, quanto nel portarla a cogliere la differenza tra una strategia basata sul riconoscimento dell’altro come soggetto e una strategia basata sul riconoscimento dell’altro come “cosa”. (Busso, 1996-1997). Le decisioni concrete, infatti, finiscono spesso per diventare un campo di battaglia in cui l’unica cosa che conta è vincere, senza rendersi conto dei contenuti 72 relazionali che pesano su tali conflitti. Il Mediatore sistemico, contestualizzando tali scontri all’interno del “sistema famiglia”, aiuta la coppia a superare questa fase del ciclo di vita familiare, mettendo in luce non solo i rischi di certi comportamenti (per esempio per i figli) ma soprattutto le risorse e le potenzialità evolutive presenti affinché possano co-costruire insieme una o più storie “meglio formate”, ricche di possibilità ed alternative, piuttosto che di ostacoli. In tal modo viene dato ai singoli componenti la coppia la possibilità di riappropriarsi di risorse momentaneamente rese inaccessibili dalla dinamica conflittuale e la consapevolezza delle proprie competenze. Gli accordi che, alla fine del processo di Mediazione, potranno essere sottoscritti avranno allora buone possibilità di essere duraturi (ma anche modificabili, elastici in base a nuove esigenze che si dovessero presentare) e rispettati nel tempo perché basati sulla condivisione e sul riconoscimento dell’altro. “Alla fine del viaggio non si pianterà solo la bandierina sulla cima ma si saranno imparate cose nuove per affrontare altre scalate…” (Frison, Ceci, Ingrami, 2000). Infatti la dinamicità intrinseca dei rapporti rischierebbe di invalidare qualsiasi accordo che sia definito “una volta per tutte”, ben più importante, come dice la Delbert, è l’acquisizione della consapevolezza del disagio dei figli, la conseguente motivazione a risolvere i dissidi e dunque l’acquisizione di strumenti che possano aiutare le persone ad affrontare anche i problemi che si presenteranno successivamente all’accordo finale. 73 “Una Mediazione funziona esclusivamente nel momento in cui permette alle persone di ricostruire un senso di riconfrontarsi con quelli che sono i compiti legati alla separazione, trattare il vuoto, trattare l’assenza, trattare la perdita, ricongiungersi con la propria storia”. (Mazzei, 1999). Occorrerà sicuramente una fase, nel processo di Mediazione, che ci consenta di andare a toccare i significati, il senso dei vissuti delle persone coinvolte. L’ottica sistemica, infatti, tiene conto dell’intreccio storico trigenerazionale della famiglia e del valore simbolico degli elementi che la conflittualità ha fatto emergere. E’ l’intero sistema familiare, e non soltanto la coppia, dice Ruggiero, che deve essere aiutato ad affrontare la crisi in maniera adeguata, riorganizzando le relazioni al suo interno e ridefinendo i propri confini sulla base dei nuovi bisogni espressi dai suoi membri e dalle necessità evolutive del sistema. Il Mediatore sistemico deve essere in grado di leggere la dinamica relazionale del conflitto all’interno di tutti i sistemi che vi sono coinvolti, di costruire ipotesi sui meccanismi che tendono a cronicizzate il conflitto, di identificare le risorse ancora esistenti, di valorizzarle e di utilizzarle ai fini del cambiamento. Si tratta di un progetto complesso articolato, in cui sono in gioco le disillusioni, le aspettative e le speranze delle generazioni precedenti, nonché i destini, gli equilibri affettivi e relazionali delle generazioni future: in sintesi l’evoluzione di molti sistemi, dei loro valori e dei loro miti. Lo scopo non è vincere sull’altro, e nem74 meno cedere all’altro, ma vincere insieme all’altro, cooperando nella ricerca di soluzioni creative, senza dover rinunciare ad affermare noi stessi. 4.4 IL SERVIZIO DI MEDIAZIONE FAMILIARE “LEGÀMI” DEL CENTRO SERVIZI SCUOLA E FAMIGLIA DI MANTOVA Il Centro Servizi Scuola e Famiglia nasce quasi quattro anni fa dal confronto con i diversi partner incontrati dalla Cooperativa Alce Nero nel corso di anni di intervento psico-socio-educativo e di promozione di comunità sul territorio mantovano. L’esperienza di lavoro nei servizi socio-educativi rivolti a bambini e ragazzi, le collaborazioni con i Comuni, la Provincia, le Istituzioni in genere, le ASL, il Provveditorato agli Studi, le singole scuole, i Consultori Familiari, il consorzio di cooperative sociale SOL.CO. di Mantova, la facoltà di Psicologia dell’Università di Padova, hanno fatto emergere alcuni dati significativi, suggerendo l’ipotesi di realizzare un’unità di offerta, che trovi posto in una sua sede specifica. Il Centro Servizi Scuola e Famiglia, infatti, grazie alla collaborazione con gli Istituti Luigi ed Eleonora Gonzaga, si colloca in una sede visibile e riconoscibile nel centro storico di Mantova, distinta dalla sede centrale della Cooperativa Alce Nero e degli altri servizi rivolti ad altre aree di intervento. Gli interventi e le attività possono in questo modo essere realizzati sia nei locali del Centro sia nelle sedi dei richiedenti (scuole, 75 parrocchie, organizzazioni, ecc.), a seconda del tipo di intervento stesso. L’ipotesi è dunque di concretizzare questa offerta il più possibile completa, innovativa per il panorama mantovano, di supporto e sviluppo rivolta in prima battuta alle scuole e alle famiglie. L’organico si avvale di un team di operatori professionisti con competenze specifiche: pedagogisti, psicologi, educatori, assistenti sociali, mediatori familiari, animatori sociali in modo da poter garantire, per ogni tipologia di intervento, un’adeguata qualità operativa. Le aree di intervento individuate sono: - l’Area della formazione per insegnanti e operatori educativi, privilegiando la dimensione formativa del gruppo; - l’Area della Psicologia Scolastica, per gli interventi di sostegno della comunicazione e delle relazioni interpersonali all’interno dei sistemi scolastici; - l’Area dei Laboratori PsicoPedagogici, per affrontare percorsi educativi su vari temi, soprattutto all’interno dei gruppi-classe; - l’Area Integrazione della diversità e progetti individualizzati, per facilitare l’integrazione di soggetti portatori di diversità culturali e di handicap psicofisici all’interno del gruppo – classe; - l’Area del Counseling psico-pedagogico, un intervento di consulenza e orientamento che, distinguendosi dall’approccio psicoterapeutico, è teso allo sviluppo delle potenzialità personali e al supporto 76 nella costruzione dei significati, che si rivolge sia ai privati – genitori, insegnanti, operatori- sia alle Istituzioni educative; - l’Area della ricerca psicosociale a favore delle organizzazione pubbliche e private utilizzando diversi metodi e strumenti conoscitivi: analisi statistiche, analisi dei bisogni, mappe territoriali ecc.; - l’Area della Mediazione Familiare, attraverso il Servizio “Legàmi”. A differenza di altri servizi (quelli rivolti alle scuole per il Counseling psicopedagogico), che si sono subito attivati e lavorano a pieno ritmo, quello di Mediazione Familiare ha avuto un periodo di gestazione più lungo. Dopo due anni di lavoro preparatorio e di costituzione del gruppo di lavoro e del modello operativo, grazie anche all’impulso dato da alcune istituzioni di riferimento, è stato attivato il servizio, la cui èquipe è formata dal responsabile del Centro stesso, psicologo, due avvocati mediatrici familiari, tre pedagogiste e mediatrici familiari, due assistenti sociali e mediatrici familiari, uno psicologo psicoterapeuta e C.T.U. La cornice di riferimento teorica che si è deciso di adottare è stata quella sistemica (per il tipo di formazione dei membri, dell’èquipe e per la condivisione di questo tipo di approccio da parte di tutti), anche se sono emersi, a seconda della scuola di provenienza, due modelli operativi diversi: uno più attento alla 77 riorganizzazione emotivo – relazionale e uno più pragmatico, mirante a riportare sempre le parti al “compito”, cioè l’accordo mirante alla riorganizzazione dei comportamenti e teso alla stipula di accordi condivisi per la gestione dei tutti gli aspetti della separazione. Forse anche la formazione di base può essere motivo di preferenza per un modello anziché l’altro, infatti a sentirsi più in sintonia con il secondo sono state le mediatrici – avvocato mentre chi proviene da studi pedagogici o psicologici ha optato per il primo (naturalmente questa non è una regola). Abbiamo deciso di considerare questa “non univocità” come una ricchezza e come fonte di scambio reciproco. Risultano quindi come peculiarità del gruppo di lavoro del servizio: - l’importanza della multidisciplinarietà dei componenti, sia dal punto di vista professionale (pedagogisti, avvocati, psicologi, assistenti sociali, insegnanti, psicoterapeuta) che di scuole di mediazione (scuola di Modena ISCRA, scuola di Padova, scuola di Milano di Isabella Buzzi); - la multidisciplinarietà che permette di completare le visioni del conflitto portato dalla coppia: l’appartenenza alle diverse scuole di mediazione, pur arricchendo il gruppo rispetto ai diversi metodi e tecniche operative ne ha aumentato senza dubbio la complessità, costringendo lo stesso gruppo ad operare una mediazione sul comune modello operativo. 78 Anche se il Centro Servizi Scuola e Famiglia dispone già di un proprio opuscolo in cui si parla anche del servizio di Mediazione, si è ritenuto opportuno preparare una brochure specifica per questo servizio. Come nome del servizio è stato scelto “Legàmi” e come logo viene utilizzata la figura di Rubin: la famosa immagine doppia dei profili e della coppa. Al di sotto di esso viene riportata la frase di Eraclito: “Ogni conflitto è un contrasto tra i diversi modi di vedere la stessa realtà”. Nella prima pagina si possono leggere alcune frasi significative per introdurre la Mediazione, mentre all’interno viene indicato in modo più specifico cosa essa sia, il tipo di formazione degli operatori, gli obiettivi, come l’utenza può accedere al Servizio, a chi esso si rivolge, cioè alle coppie conviventi e ai coniugi che abbiano maturato la scelta di separarsi, o già separati con problemi relativi alla cura dei figli e in genere alle famiglie coinvolte in conflitti. Tra le prime relazioni significative che sono state instaurate ai fini della promozione del Servizio di mediazione familiare vi sono quelle con l’Ordine degli Avvocati di Mantova e con il Tribunale di Mantova, in particolare con la Giudice che si occupa delle separazioni. Si sono inoltre effettuati scambi e contatti con i Servizi Sociali dell’ASL e dei Comuni di Mantova e limitrofi. Il gruppo ha poi incontrato il Dr. Bassoli dell’ISCRA di Modena per una supervisione sul modello operativo. Si è iniziato a prendere contatto anche con altre realtà 79 presenti nel territorio quale ad esempio l’Associazione “Padri e madri uniti”. Dall’analisi del panorama mantovano emergono grandi potenzialità per la Mediazione Familiare, in grado di promuovere una nuova cultura della separazione, uno spostamento della logica dello scontro, dove le parti sono rappresentate per vincere, alla logica dell’accordo, dove le persone sono protagoniste. Si percepisce un diffuso bisogno, per le persone coinvolte in fasi difficili del ciclo di vita, di poter essere sostenuti nella gestione del proprio conflitto, nella riorganizzazione della propria genitorialità. Questo bisogno, però, non si traduce specificatamente in una richiesta di mediazione, ancora poco conosciuta e ancor meno praticata nel territorio ma in una per lo più generica richiesta di aiuto e sostegno rivolto al Consultorio, pubblico o privato o a psicologi e psicoterapeuti operanti anch’essi sia nel pubblico che nel privato. Spesso poi in caso di separazione si limita a seguire l’iter giudiziario, anche quando porta ad una escalation del conflitto e a pesanti conseguenze, senza richiedere altri tipi di intervento che possano supportare i membri coinvolti. Maggior attenzione, conoscenza e un atteggiamento per lo più favorevole all’introduzione della Mediazione Familiare si sono potute osservare da parte degli “addetti ai lavori” (giudice, gli stessi avvocati, psicologi, operatori) e di associazioni che riuniscono persone 80 provate da iter giudiziari onerosi e che spesso intendono individuare altre strade per le separazioni. Appare che il punto fondamentale per operare nel campo della Mediazione Familiare in questo momento storico, oltre naturalmente a garantire operatori specificatamente formati e ad attivare una rete di collaborazione con tutte le realtà interessate, sia proprio quello di farla conoscere. L’ideale sarebbe cioè riuscire a farla diventare e percepire come qualcosa di “normale”, quasi di “routine” conosciuta da tutti e distinta da altri tipi di intervento, da intraprendere in caso di necessità perché in grado di portare notevoli benefici. Come dice Thomas Jordan, infatti, “il Mediatore non cura la persona, il suo cliente è il conflitto”. Questo naturalmente non significa auspicare che venga prescritta, resa obbligatoria, anzi dovrebbe sempre essere una scelta degli interessati semmai consigliati dal giudice o dagli avvocati, però nell’ambito di una mentalità ormai consolidata. Ovviamente siamo ancora molto lontani da questo obiettivo, ma è proprio in questa direzione che occorrerà operare lo sforzo maggiore. 4.5 IL MODELLO OPERATIVO ELABORATO DALL’ÉQUIPE DEL SERVIZIO DI MEDIAZIONE FAMILIARE “LEGÀMI” Si presenta qui di seguito in sintesi il modello operativo che è stato elaborato dall’èquipe operativa del servi81 zio di mediazione familiare “Legàmi”. Tale modello operativo prevede i seguenti passaggi per la realizzazione di interventi di mediazione familiare: invio o arrivo al servizio la coppia che richiede la mediazione familiare può entrare in contatto con il servizio attraverso diversi canali: - autonomamente, avendo avuto notizie del servizio tramite la lettura della brocheur del servizio stesso; - su suggerimento di soggetti terzi quali: psicologi privati o dei Consultori ASL, assistenti sociali dei servizi ASL o comunali, avvocati, Tribunale, conoscenti o parenti. Primo contatto con il servizio Il primo contatto con il servizio avviene telefonicamente. In questo primo contatto un operatore raccoglie la domanda, fornisce le prime essenziali indicazioni sul funzionamento del servizio, raccoglie i primi dati anagrafici (vedi “scheda contatto telefonico”) e fissa l’eventuale primo appuntamento. Primo colloquio Al primo colloquio è richiesta la presenza di entrambe i coniugi. In questa prima fase sono presenti un mediatore familiare e uno psicologo e la finalità è duplice: - informare dettagliatamente circa l’intervento di mediazione, il processo di intervento, i risultati atte82 si, i costi, le modalità di conduzione delle sedute; - compiere l’analisi della domanda in modo tale da poter restituire alla coppia le possibilità di intervento che, vista la caratteristica operativa del Centro Servizi Scuola e Famiglia, potrà essere un’indicazione per l’inizio della mediazione familiare, per una consulenza familiare, per una psicoterapia. Se la situazione lo richiede, questa fase preliminare potrà avvalersi di più colloqui. Intervento di mediazione familiare Se l’analisi della domanda e la motivazione della coppia porteranno all’avvio di una mediazione familiare si inizia il ciclo di sedute di mediazione. Esso avrà una durata massima di 8 – 10 incontri e sarà finalizzato alla stipula di un accordo riguardante i diversi aspetti della separazione, con particolare attenzione agli elementi che riguardano la vita e la gestione dell’eventuale prole. Gli incontri di mediazione sono condotti da un mediatore eventualmente supportato da un comediatrore con ruolo di osservatore. Ogni incontro viene videoregistrato (con il permesso degli utenti) e la seduta viene contemporaneamente seguita dall’èquipe tramite un monitor a circuito chiuso. La presenza del co-mediatore e soprattutto dell’èquipe consente al mediatore di avere dei confronti in tempo reale interrompendo, se necessario, l’intervento alfine di elaborare aspetti emergenti durante la seduta. Durante gli incontri di mediazione, se la coppia lo 83 richiede, potranno presenziare gli avvocati di parte. Nel primo incontro di mediazione familiare vengono compilati il “modulo del consenso” e la “scheda di accoglienza”. La modulistica utilizzata viene riportata al termine dei questo Capitolo. 4.6 ESEMPIO DI ANALISI DEI BISOGNI DI UNA COPPIA IN MEDIAZIONE Per far meglio comprendere le tematiche che una coppia può portare nel percorso di mediazione familiare proponiamo uno stralcio della tesi discussa al termine del corso di mediazione della dott.ssa Lara De Agostini, dove si è adottato la tecnica di analisi di un’opera cinematografica ove viene rappresentato un conflitto familiare. Il film che più di ogni altro è sembrato idoneo per questo tipo di lavoro, è stato “Storia di noi due” interpretato dagli attori Bruce Willis nella parte del marito e Michelle Pfeiffer nella parte della moglie. La storia si snoda attraverso tutti gli anni di matrimonio dei coniugi, dal momento in cui si sono conosciuti e sono diventati una coppia e del perché si sono scelti, alla nascita dei figli, con tutte le problematiche connesse e al lento ma inesorabile e progressivo distacco, espresso dalle liti e dalla mancanza di dialogo, i tentativi falliti di recupero, fino al momento della presa di coscienza della inevitabilità della crisi e della rottura. L’assoluta 84 mancanza di un dialogo costruttivo, i continui “silenzi” dentro cui la coppia ormai rassegnata stancamente sopravvive, determinano, soprattutto nella moglie l’idea di separarsi per cercare di recuperare e di riappropriarsi, almeno come singoli, del proprio “sé” più profondo, della propria natura, che con gli anni, con i problemi, con le responsabilità connesse con l’avere una famiglia, è stata completamente oscurata. In ogni caso il film nella sua fase centrale, escludendo l’epilogo, bene si presta all’analisi della coppia, dei bisogni espressi, delle posizioni di partenza, ecc., simulando così un vero e proprio intervento di mediazione coniugale. Come mediatori il lavoro con la coppia sarà il seguente: individuare il tipo di analisi che si applica nella ricerca degli elementi fondamentali per un proficuo intervento: dati – emozioni/strumenti/bisogni/ interessi (ESBI) – posizioni; tutti questi dati sono finalizzati all’inquadramento del/i problema/i di fondo originario della crisi e alla comprensione di quali risorse ci sono per risolverlo, all’acquisizione della consapevolezza su aspetti positivi/negativi della relazione, nonché dei propri e altrui bisogni. Altre considerazioni interessanti sono: capire come si è creata la coppia, che tipo di coppia era, è stata ed è, in relazione a intimità – passione – impegno, cosa stanno cercando e cosa invece trovano. L’analisi si conclude con la simulazione di una mediazione, come articolarla, quante sedute si prevedono, 85 quali tecniche adottare e perché. ANALISI Il primo step è quello di individuare i dati oggettivi elencati qui di seguito: dati sulla famiglia: genogramma KRISTIN PAUL MARY DAVID BEN KATY ERIN JOSH • Famiglia composta di quattro persone: madre e padre con due figli maschio e femmina pressoché adolescenti (non viene specificata l’età nel film); • La madre/moglie lavora come creatrice di cruciverba; • Il padre/marito è scrittore; • I due coniugi hanno entrambi i genitori 86 • • • • • • • • • • dati sul momento presente del film Cena in famiglia; i coniugi fingono normalità e che tutto tra loro procede bene. Fanno il gioco degli “alti e bassi”; Cena a due per festeggiare l’anniversario di matrimonio dove i coniugi non si parlano: c’è completo silenzio, solo monologhi interiori di ciascuno non esplicitati; Accompagnamento in auto dei figli al pulmino delle vacanze; durante il tragitto la madre si arrabbia perché sono in ritardo e i figli perderanno il pulman. Scende silenzio carico di tensione. Ritorno a casa; ancora in macchina il marito tende una mano in senso figurato, ma per tutta risposta la moglie se ne va silenziosamente. Lei resta nella casa coniugale Lui va in albergo Si telefonano varie volte con la scusa dei figli e per ragioni di servizio. Durante una di queste telefonate la moglie lo invita a cena, con la scusa di andare a prendere le camicie lavate; La cena si svolge tranquillamente, si corteggiano. Sembra un nuovo ritorno. Vanno in camera da letto. Durante la fase del corteggiamento lui accenna con toni pacati ai loro problemi inserendoli in un contesto di normalità di coppia, lei si arrabbia perché i problemi ci sono e sono seri, litigano e la moglie si convince, esplici87 • • • • • • tandolo al marito, che la loro storia è finita. Il marito se ne va. Vanno a trovare i ragazzi al campeggio e fanno finta di niente ma si percepisce disagio e tensione fra i due. Durante il ritorno il marito chiede se devono dare mandato a due distinti avvocati: anche per lui la separazione è inevitabile. Il marito durante una cena con gli amici sfoga tutta la sua rabbia nei confronti della moglie, dei suoi modi di fare e di essere, così perfezionista, così ordinata, così programmata a trecentosessanta gradi, senza dare alcuno spazio alla spontaneità, al gioco e alla complicità con lui. Alla fine però scoppia a piangere e si rende conto che le recriminazioni della moglie, le sue lamentele, le sue accuse non sono poi così infondate: è lei infatti la persona responsabile della famiglia, il fulcro attorno al quale ruotano tutti e tutti fanno riferimento. Si mette nei suoi panni. Il marito va dalla moglie per scusarsi, ammette le sue colpe, ma quando dalla cucina sbuca un altro uomo si irrigidisce e va via, riportando il discorso sulla separazione. La moglie in casa da sola si sofferma a guardare tutte le fotografie della loro famiglia, che tappezzano l’intera parete delle scale, in cui sono fissati per sempre tutti i momenti che hanno vissuto insieme. Il marito temporaneamente in albergo cerca e trova 88 casa. La moglie nota che ha l’orologio al polso, cosa che non portava mai; nota che il frigo è pieno di alimenti e che sono tutti disposti ordinatamente negli scomparti. Decidono di comunicare ai ragazzi la loro separazione. • Marito e moglie vanno a prendere i figli di ritorno dal campeggio, con l’accordo una volta a casa di comunicare la separazione, ma la moglie comunica al marito di non volersi più separare e gli spiega il perché. Anche il marito è d’accordo. • • • • • Dati sul passato primo periodo Si conoscono sul luogo di lavoro. Fuori a cena emerge che: lui è attratto e incuriosito dalla sua indole di voler dare almeno risposte ai piccoli quesiti, visto che per i grandi interrogativi della vita ciò non è possibile. Lei trova infatti molto rassicurante poter creare un mini mondo perfetto, quale è un cruciverba finito, tutto incasellato e perfetto nella sua completezza. Lei apprezza quel suo fare romantico e sognatore, molto meno incline alla razionalità e alla programmazione Si sposano e hanno due figli. Nel letto matrimoniale con i due bimbi piccoli lui le dice: “Tutto ciò che è importante si trova qui in questo letto”. Iniziano le discussioni relative alla gestione della quotidianità, dei due figli, della casa. 89 • Inizia la terapia di coppia senza apprezzabili risultati. • Durante un momento di intimità, la moglie si ricorda che devono mettere sotto il cuscino del bambino i soldi perché ha perso il dentino e quindi vuole che il marito vi provveda immediatamente. Secondo periodo • Il marito chiama al telefono la moglie per comunicarle che stanno demolendo la palazzina dove avevano abitato all’inizio della loro storia; le ricorda gli aneddoti relativi ai vicini. Lei però è presa dalla lavatrice che perde acqua, dai figli che litigano, per cui interrompe bruscamente la telefonata. • Lei trova il marito che si sta sfogando con la segretaria dei loro problemi coniugali.Si arrabbia e pensa che il marito abbia una relazione extra coniugale con lei. Il marito le risponde che non l’ha mai tradita, ma che sente che loro due non sono più in sintonia, che quella complicità, quegli sguardi del primo periodo non ci sono più. La moglie ribadisce che non sempre i suoi bisogni possono essere immediatamente soddisfatti, perché ha tante altre cose a cui pensare: lei ha già due figli, non gliene serve un altro (rivolgendosi al marito). Il marito si arrabbia perché non vuole essere considerato come un figlio. • Per cercare di recuperare il rapporto così logorato, fanno un viaggio in Italia, ed effettivamente il loro rapporto sembrerebbe recuperare. 90 • La sera stessa di ritorno a casa dal viaggio lui cerca di avvicinarsi a lei, la moglie acconsente ma solo dopo aver scritto la lettera ai figli; il marito ribadisce che se fossero stati in Italia lei si sarebbe lasciata andare subito. La moglie si sente attaccata e accusata di non essere spontanea: inizia il litigio che rivanga il passato. EMOZIONI Primo periodo Gioia - allegria - spensieratezza - complicità - naturalezza - spontaneità - umorismo: è il momento in cui si lasciano andare per quel che sono veramente. Le loro nature così profondamente diverse, lei programmatrice, schematica ordinata, lui più sognatore, romantico, gioioso e giocoso si attraggono. I due sono complementari l’uno con l’altro. Secondo periodo Prevalgono la rabbia - frustrazione - nostalgia - rassegnazione - impotenza - dispiacere - solitudine - disorientamento - abbandono - delusione - senso di fallimento che si trascinano fino al presente del film. Non avrebbero mai pensato di arrivare così. Pensavano che la loro coppia potesse durare per sempre. I sentimenti che permeano tutto il film sono la paura, paura di far soffrire i figli con la separazione e la rabbia per non riuscire a cambiare l’altro, rabbia per non essere capiti. 91 BISOGNI Nel primo periodo i bisogni vengono soddisfatti; pian piano con l’allontanamento dovuto alle contingenze della vita e della famiglia lei si sente sola, si sente che tutto il peso della casa e dei figli grava interamente su di lei e di questo è stanca. Sente che lui è profondamente egoista perché vuole che i suoi bisogni vengano soddisfatti immediatamente, ma questo ormai lei non lo può più fare perché prima ci sono i figli, ci sono le responsabilità. Lei prova un senso di abbandono e disinteresse del marito per i suoi problemi e vorrebbe essere più ascoltata. Il bisogno della moglie è quello di essere riconosciuta e che vengano presi sul serio i suoi problemi dal marito. Lui dal canto suo si sente a sua volta abbandonato da una moglie che antepone a lui e al rapporto di coppia tutto il resto del quotidiano, senza trovare il giusto equilibrio tra l’uno e l’altro. Anche lui non si sente ascoltato. Lui ha il bisogno di sentirsi ancora la persona più importante per la moglie; ed infatti si arrabbia quando la moglie lo paragona ad un terzo figlio che pretende attenzioni. STRATEGIE Dopo la strategia del litigio ottuso che però non ha portato a niente, visto che ciascuno è fermo sulle sue posizioni, si passati, per rassegnazione al silenzio. Come dice la moglie “i silenzi più rumorosi sono 92 quelli pieni di tutte le cose dette in modo sbagliato, dette trecento volte” . Come strategia usano il silenzio e la finzione. Silenzio tra loro e finzione nei riguardi dei figli i quali non sanno niente sono tenuti allo scuro di tutto. Un’altra strategia, può essere individuata nell’allontanamento, che effettivamente sortisce l’effetto desiderato, nel senso che si cercano ed iniziano a corteggiarsi ancora. Purtroppo però visto che i problemi di fondo non sono risolti anche questa strategia fallisce. INTERESSI L’interesse principale della coppia sono la famiglia e i figli. Per lei la famiglia è sinonimo di impegno, dedizione, occupazione, dovere, con tutto ciò che ne consegue. Per lui invece la famiglia, in chiave più romantica, è il luogo degli affetti, del parlare e comunicare e del gioco. E’ il marito che ha inventato un gioco che risale alla notte dei tempi della coppia, nessuno ormai si ricorda quando è stato inventato, ma si sa solo che è stato il padre, “dell’alto e del basso”, cioè quale è stato il momento più bello della giornata e quale il più brutto. POSIZIONI Lei apparentemente vuole la separazione perché la considera l’unica via d’uscita per risolvere il suo problema. Lui non è convinto della separazione, perché 93 non riesce a soppesare veramente i problemi della moglie, che non considera importanti. Entrambi come posizione non vogliono far soffrire i figli e insieme cercano le modalità più appropriate per comunicare loro la decisione. ALTRI ELEMENTI DI INDAGINE Il problema comune, che indirettamente risponde anche alla domanda su quando si è creata la coppia, è che se all’inizio si sono piaciuti perché erano così diversi e complementari, alla lunga questa diversità ha svelato anche l’altra faccia della medaglia di ciascuna personalità. Lei si è innamora di lui proprio per questo suo carattere aperto, gioioso, ottimista e romantico, che però come punti deboli ha proprio il fatto che “non vede” o non vede abbastanza i problemi della vita quotidiana che per lui non esistono. Lei per contro gli era piaciuta proprio perché era così pignola, così attenta a dare risposte e a ordinare le piccole cose della vita quotidiana per sentirsi bene e a posto; questo però inevitabilmente porta con sé la pignoleria, la quasi maniacale attenzione alle piccole cose della vita quotidiana, al voler sempre tutto a posto e tutto perfetto senza lasciarsi andare mai. La complementarietà che all’inizio li ha attratti l’uno verso l’altra alla lunga si rivela l’elemento di innesco della loro crisi coniugale. La chiave di svolta sarà proprio ricordare che l’altro piaceva proprio per quelle 94 stesse caratteristiche che ora fanno arrabbiare, che rendono invivibile il quotidiano. Alle domande relative a cosa cercano e cosa trovano, si può dire che lui cerca l’amore romantico, ideale, la coppia che invecchia insieme, ma trova una donna molto concreta, molto meno romantica di lui, che vive questo suo tratto della personalità come un indice di immaturità ed infatti lo paragona ad un figlio da crescere. Lei cerca una persona che le possa dare sicurezza, concretezza e razionalità. Trova invece una persona che secondo lei è poco concreta, poco agganciata alla quotidianità, alla realtà. Il triangolo nella coppia: passione – intimità – impegno. In una coppia sana questi tre elementi dovrebbero sussistere in parti uguali indice di una buona armonia di coppia e di un sano equilibrio. Quando questi elementi sono presenti ma in proporzioni diverse, o addirittura uno manca si è di fronte all’amore romantico, in cui prevale la passione e l’intimità, oppure un amore amicizia, in cui prevalgono l’intimità e l’impegno. La coppia all’inizio presenta tutti e tre questi elementi in modo equilibrato. Col passare del tempo però il polo dell’impegno prevale nettamente sugli altri, soprattutto sulla passione. Unico momento in cui sembra ritornare la passione è durante il viaggio in Italia, in cui i due si comportano come fidanzatini, come se fossero durante una seconda luna di miele. 95 CONCLUSIONE Il tipo di intervento, come detto all’inizio, idealmente si andrebbe ad inserire nel momento in cui la coppia decide di separarsi e va dalla mediatrice. Si nota che questa coppia effettivamente ha dei problemi e presenta difficoltà nella comunicazione. Di fondo però, soprattutto da parte della moglie, l’idea di separarsi non è molto reale. Si tratta, perlopiù, della voglia di concludere, di finire qualcosa, ma non il matrimonio con il marito, il quale rimane sempre la persona più importante. Piuttosto direi il ruolo che anno dopo anno ha impersonato, ruolo che le va stretto e rigido e non permette di esprimere quella gioia e quell’allegria che lei sa di avere “Quella ragazza con il casco è ancora qui e io non sapevo neanche che esistesse finché non ho conosciuto te”. Dal canto suo il marito non è d’accordo con la separazione, ma altre alternative non ne trova: quali alternative ci sono ad una coppia che non riesce a comprendersi? Chiederei di iniziare a parlare prima alla signora perché è quella comunque più arrabbiata, quella che si deve sfogare di più. Se il marito dovesse intervenire smentendo o confutando quello che dice la signora e il clima iniziasse ad essere teso, inizierei a fare domande sui figli per stemperare gli animi, visto anche che sono in cima ai pensieri e alle preoccupazioni di entrambi. Se la signora durante il suo racconto continuasse a sminuire e a criticare pesante96 mente il marito farei qualche domanda relativamente a lui come padre (se sta bene in famiglia, che tipo di rapporto ha con i figli, se è un padre presente ed affettuoso). Altra tecnica che adotterei durante la seduta è quella del refraiming, per cercare di cogliere le parti salienti dei discorsi dell’uno e dell’altra, debitamente sfrondati di tutti quegli aspetti negativi, che non fanno altro che allontanare l’altro psicologicamente dalla seduta in corso: ciò che renderebbe vana la seduta stessa se non c’è ascolto e interesse. Altra tecnica da utilizzare potrebbe essere quella dell’inversione di ruoli, proprio per cercare di mettere i coniugi l’uno nei panni dell’altro, in modo da capirne il punto di vista. Utilizzerei esempi banali della vita quotidiana e metterei il marito, nel ruolo della moglie, di fronte a tutti gli impegni, le incombenze, le dimenticanze sue. Il fine è quello di far percepire il macigno che grava sulle spalle della moglie o che perlomeno lei si sente di avere e a causa di questo di stare affondando. Per contro metterei la moglie nei panni del marito: un marito che si sente sempre messo per ultimo dietro alla tremila cose che la moglie deve fare, cose anche banali che potrebbero essere certamente posticipate senza dare adito a nessun inconveniente; l’intento è di far capire alla moglie che non esistono solo i doveri, ma è giusto ritagliarsi tempo per loro come coppia, che anche quello è importante ed è ciò di cui ha bisogno il marito. 97 4.7 LA MEDIAZIONE FAMILIARE Un contributo di Isabella Buzzi Fu l’americano O.J. Coogler, avvocato e terapeuta familiare, che ebbe per primo l’idea della mediazione familiare. Trovatosi a vivere la propria esperienza di divorzio, Coogler si chiese come questa si sarebbe potuta condurre in modo più equilibrato e razionale, senza quegli schieramenti e quelle “guerre” affettive/economiche che avevano sconvolto non solo la sua vita ma, soprattutto, quella dei suoi figli. Nel tempo il modello operativo della mediazione familiare è stato perfezionato ed arricchito da molti autori, tuttavia è rimasto legato a quattro principi, ancora alla base della mediazione familiare: 1) la maggior parte delle persone vuole agire in modo responsabile ed essere trattata con rispetto; 2) le persone che affrontano una separazione o un divorzio non sono negoziatori esperti; 3) a quanti sperimentano situazioni del genere è possibile insegnare a prendere decisioni razionali, anche se sono in preda al tumulto emotivo; 4) le famiglie traggono vantaggio da accordi di tipo collaborativo, mentre escono danneggiate finanziariamente ed emotivamente da trattative di tipo antagonistico (conflitto distruttivo). Per poter operare il mediatore familiare struttura gli incontri tra le parti in lite (determina il tema degli incontri, stabilisce l’ordine di discussione dei temi 98 degli incontri, assegna compiti, controlla la completezza e correttezza legale degli accordi presi, ecc.) e il setting (fissa luogo tempi e numero degli incontri, decide chi, oltre alle parti in lite, occorre far partecipare alle sedute, gestisce il flusso comunicativo, si accerta dell’effettiva comprensione dei contenuti da parte di tutti i partecipanti, accoglie ma contiene le emozioni negative delle parti, ecc.), affinché i “mediati” possano condurre le proprie trattative e negoziazioni riguardanti la riorganizzazione concreta del loro nucleo familiare. Il mediatore familiare deve essere formato all’esercizio della mediazione familiare (anche se è già psicologo, psicoterapeuta, assistente sociale, avvocato, educatore, o svolge altra professione nell’ambito della crisi di coppia e della famiglia), e dovrà essere iscritto ad una associazione nazionale, l’Associazione Italiana Mediatori Familiari, che tiene un registro dei mediatori familiari qualificati e ne garantisce la competenza. La mediazione familiare è “globale” quando vengono affrontate in modo dettagliato e programmato tutte le questioni di importanza legale, affettiva, educativa, economica, socio-relazionale, ecc. che possono emergere in una separazione. In chiave legale i temi trattati possono essere: divisione dei beni comuni, mantenimento dei figli e del coniuge/partner più debole economicamente, affidamento dei figli minori, diritto di visita e così via. Occorre aggiungere che, oltre alle decisioni, vengono anche delineati i singoli passi concreti da compiere, cosicché i clienti sono certi che non 99 verrà trascurato o dimenticato nemmeno il più piccolo elemento in grado di riaccendere le ostilità. In generale è corretto dire che il mediatore è colui che aiuta le persone in lite ad affrontare direttamente i loro conflitti, quindi occorre sfatare o esorcizzare l’idea che il mediatore familiare sia un professionista che “fa separare” i coniugi. Anche se è molto raro che accada, alcuni coniugi, avendo avuto modo grazie al mediatore familiare di affrontare e gestire più efficacemente il loro conflitto, rinunciano all’idea di separarsi. Il mediatore può aiutare le persone a chiarire bisogni e paure, e le aiuta a comunicare in modo più efficace; questo porta a una conseguente diminuzione della litigiosità. Quando la separazione o il divorzio sono una scelta/condizione irreversibile e ci sono dei figli, la mediazione familiare è fondamentale. Infatti, con la nascita dei figli si è venuto a creare un legame che terrà “uniti” i genitori nonostante la rottura del legame di coppia. Questo legame può diventare un vero e proprio tormento quando manca la collaborazione e il rispetto reciproco. Il percorso di mediazione familiare esalta la possibilità di riuscire a collaborare come genitori e facilita senza dubbio la possibilità di continuare ad essere presenti ed efficaci nella cura e nell’educazione dei propri figli, nonostante il rapporto coniugale e di coppia si sia guastato al punto tale da spingere uno o entrambi a pensare che l’unica soluzione possibile sia quella di vivere separati. La mediazione familiare può avere inizio solo se entrambi i coniugi/partners accetta100 no di partecipare. E’ infatti importante che il mediatore faciliti e gestisca le loro trattative, ma saranno essi stessi, i mediati, a raggiungere, tutti e due insieme, il loro accordo personale e reciprocamente accettabile sulla riorganizzazione della loro famiglia e dei loro beni. Il percorso di mediazione ha inizio con un incontro orientativo durante il quale il mediatore spiega alla coppia il proprio modo di lavorare e le tariffe, le regole della mediazione familiare, il processo di mediazione nel dettaglio. Se entrambi decidono di proseguire e si impegnano a partecipare in modo effettivo agli incontri, firmano l’accordo di partecipazione. Vengono allora consegnati loro i moduli necessari per la raccolta delle informazioni economiche, vengono fissati gli incontri (da 5 a 8) e può essere fatto omaggio di un opuscolo con istruzioni dettagliate su come muoversi nel corso della trattativa. Ogni incontro dura in media 90 minuti ed ha un tema di discussione preciso, ad esempio: il calcolo delle entrate e delle uscite familiari al fine di stabilire un’equa ridistribuzione delle entrate, oppure la cura dei figli su base mensile durante il periodo lavorativo/scolastico. E’ importante che ogni incontro si concluda con una serie di accordi pratici (più o meno importanti e numerosi), è importante che la coppia veda il frutto immediato degli sforzi fatti. Gli incontri sono fissati ogni 15 giorni, in modo tale da dare alla coppia dei mediati il tempo sia per elaborare e collaudare le eventuali decisioni prese, sia per reperire le informazioni o i dati occorrenti per prendere 101 le prossime decisioni. Una volta definiti e, se possibile collaudati, tutti gli accordi necessari per legge e rilevanti per la coppia e i figli, il mediatore stila il verbale degli accordi raggiunti in mediazione familiare. Il verbale firmato dalle parti (senza la firma delle parti non potrà essere reso pubblico e non ha nessun valore effettivo), contenente tutti i dettagli della loro intesa, con esplicitate anche le loro motivazioni personali e comuni, ha valore di scrittura privata (potrà essere allegato al ricorso di separazione o integrare la richiesta congiunta di divorzio). Il mediatore familiare, anche se di base fosse avvocato, non può fornire consulenza legale ai singoli coniugi, altrimenti il suo equilibrio tra le parti (imparzialità e neutralità) potrebbe risultare inficiato. Dunque, suggerirà alle parti di rivolgersi al loro avvocato per avere una corretta assistenza legale “di parte”, assistenza particolarmente raccomandata al momento di revisionare ed eventualmente correggere il verbale degli accordi raggiunti, prima della firma. La mediazione familiare è particolarmente adatta a contesti familiari e a coppie sufficientemente equilibrate e stabili da permettere la negoziazione diretta tra i coniugi/partners (nonostante la tempesta affettiva che si accompagna sempre alla separazione coniugale e a volte anche al momento della richiesta di divorzio), in quanto previene quelle complicazioni emergenti da una cattiva gestione della conflittualità, che può essere anche molto elevata. La mediazione familiare è impossibile nei casi di gravi disturbi psico-affettivi in uno o 102 entrambi i coniugi/partners, o nei casi di abuso o violenza sui figli. Una definizione della mediazione familiare La Mediazione è una procedura aggiuntiva o alternativa alla lite legale e ad altre forme di assistenza terapeutica o sociale, in cui una terza persona imparziale, qualificata e con una formazione specifica, chiamata mediatore, agisce per incoraggiare e per facilitare la risoluzione di una disputa fra due o più parti. E’ un processo informale e non basato sul piano antagonista vincitore-perdente, che ha per obiettivo quello di assistere le parti affinché raggiungano un accordo rispondente ai propri bisogni, ai propri interessi e a quelli di tutti i membri coinvolti. L’accordo raggiunto dovrà essere volontario, mutuamente accettabile e durevole. In mediazione l’autorità decisionale resta alle parti. Il ruolo del mediatore comporta fra l’altro il compito di assistere le parti nell’identificare le questioni, di incoraggiare l’abilità dei partecipanti nel risolvere i problemi ed esplorare accordi alternativi, sorvegliandone la correttezza legale, ma in autonomia dal circuito giuridico e nel rispetto della confidenzialità, o segreto professionale. La Mediazione Familiare è destinata a coppie sposate o non sposate, prima o anche successivamente l’entrata in giudizio legale per la dissoluzione del loro rapporto coniugale, e si occupa di facilitare la soluzione di liti riguardanti questioni relazionali e/o organizzative concrete come: la divisione 103 delle proprietà comuni, l’assegno di mantenimento, gli alimenti, le scelte relative all’attività genitoriale (potestà parentale), la residenza primaria dei figli (custodia), le visite, ecc. Tutti gli aspetti relazionali, legali, economici e fiscali legati alla separazione coniugale e/o al divorzio possono essere inclusi nel processo di mediazione. In mediazione familiare la negoziazione fra le parti richiede un periodo di sospensione delle cause legali, se queste hanno già avuto inizio. La negoziazione è condotta principalmente dalle parti, che possono anche rivolgersi ad esperti o ai propri avvocati di fiducia e, se lo credono necessario, possono invitarli a partecipare alle sedute di mediazione. La presenza dei rappresentanti legali non è obbligatoria, ma è consentita. La dottoressa Isabella Buzzi, coautrice insieme a John Haynes del libro: “Introduzione alla Mediazione Familiare”, Ed. Giuffrè, (1996), ha fondato un centro di mediazione familiare e una scuola di formazione professionale: lo Studio T.d.L, ed opera oltre che a Milano (sede principale delle attività), anche in Toscana e in Sardegna. Studio T.d.L Formazione e Servizi, Corso Sempione, 8, 20154 Milano Tel. 02 342502 e-mail: [email protected] website: www.studioTdL.com; www.mediazione-conciliazione.com 104 LEGÀMI Servizio di Mediazione Familiare SCHEDA DI ACCOGLIENZA DATA CHI CI HA CONTATTATO MOGLIE Cognome e nome Telefono MARITO Cognome e nome Telefono FIGLI Numero Età COME È VENUTO A CONOSCENZA DEL SERVIZIO? DATA 1° COLLOQUIO ALTRE INFORMAZIONI LEGÀMI Servizio di Mediazione Familiare CONSENSO AL TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI E FAMILIARI (Legge 675/1996) Questo servizio di mediazione familiare si avvale della collaborazione di un’equipe professionale multidisciplinare allo scopo di rendere più efficaci gli interventi del delicato percorso di mediazione familiare. A tal fine verranno utilizzati strumenti di registrazione dei dati non solo cartacei, ma anche informatici e multimediali (es.: video-tape). Tutto il materiale (cartaceo e non) verrà trattato ad esclusivo uso professionale, nell’interesse della clientela interessata. Autorizziamo al rilevamento dei dati personali e familiari secondo le modalità descritte e ne autorizziamo un esclusivo uso professionale ad opera dell’equipe di questo servizio di mediazione familiare, secondo quanto stabilito dalla legge 675/96. Data Firme LEGÀMI Servizio di Mediazione Familiare SCHEDA DI ACCOGLIENZA PERCORSO DI MEDIAZIONE FAMILIARE Data compilazione Nome Nome Cognome Cognome Indirizzo Indirizzo Tel. Tel. Professione Professione Stato di occupazione Stato di occupazione ❑ impiego a tempo pieno ❑ impiego a tempo pieno ❑ impiego a part-time ❑ impiego a part-time ❑ libero professionista ❑ libero professionista ❑ disoccupata/o ❑ disoccupata/o ❑ prestazioni occasionali ❑ prestazioni occasionali ❑ cassa integrazione / mobilità ❑ cassa integrazione / mobilità ❑ altro ❑ altro Ente datore di lavoro Ente datore di lavoro Numero anni di lavoro Numero anni di lavoro (segue ☞) Nome dei figli: Luogo e data di nascita Luogo e data di nascita Luogo e data di nascita Luogo e data di nascita Con chi vivono i figli? Data del matrimonio ❑ rito civile ❑ rito religioso ( ❑ comunione dei beni ❑ separazione dei beni ) Data della separazione (se avvenuta anche di fatto) Eventuali conviventi Chi vi ha indirizzati a questo servizio di mediazione? ❑ sì Avete mai chiesto una consulenza di coppia? ❑ no Vi siete già rivolti ad un avvocato? ❑ sì - entrambi dallo stesso avvocato: (cognome avv.) ❑ sì - entrambi, ma da avvocati diversi ❑ sì - ma solo uno di noi ( (chi?) ): (cognome avv.) (cognome avv.) (cognome avv.) ❑ no Quale è la cosa che vi sta più a cuore? 1 I dati rilevati in questa scheda verranno utilizzati nel rispetto rigoroso della Legge 675/96 (legge sulla privacy) e saranno utili all’èquipe nel percorso di mediazione familiare. Autorizziamo al trattamento dei nostri dati personali ad esclusivo uso professionale dell’èquipe di mediazione familiare e comunque secondo la legge 675/96. (firma) (firma) Capitolo 5 RISORSE E LIMITI DEL CONFLITTO FAMILIARE Vania Gadioli 5.1 PREMESSA Con il presente articolo intendo proporre una indagine sul conflitto riguardante l’ambito familiare. Per fare ciò farò riferimento ad un testo scritto da una studiosa, Cecilia Giuliani1, che mette bene in luce come il conflitto debba ritenersi un’esperienza che si connette ai processi di sviluppo che caratterizzano l’individuo e la famiglia nel loro percorso attraverso il tempo. L’idea guida di Giuliani in questo testo è “quella secondo cui il conflitto, indipendentemente dal grado di intensità emozionale con cui è espresso, abbia racchiuse in sé preziose potenzialità evolutive che spesso restano congelate all’interno di una dinamica di competizione tra le parti, siano esse singoli o gruppi, limitando così delle possibilità di sviluppo 1 Giuliani C., Il conflitto: ostacolo e opportunità lungo il percorso evolutivo della famiglia, contenuto in AA.VV., Mediazione Sistemica, Edizioni Sapere, Padova, 1999. 109 tanto individuali quanto familiari”2. Prima di addentrarmi in modo più approfondito nell’argomento ritengo necessario precisare che quando utilizzerò i termini famiglia e conflitto farò riferimento ad una epistemologia specifica che è quella sistemico-relazionale. A mio avviso tale modello teorico propone una chiave di lettura in cui il conflitto viene considerato nella sua complessità, che tiene conto sia degli aspetti di vincolo sia degli aspetti di possibilità. 5.2 LA FAMIGLIA COME SISTEMA Uno degli assunti fondamentali che caratterizzano l’epistemologia sistemica sostiene che: “il sistema è da considerarsi qualcosa di più della semplice sommatoria delle parti”3. Ciò significa per esempio che se pensiamo a un gruppo questo è più della somma delle caratteristiche de i suoi membri. Vittorio Cigoli riprende questo concetto e ragionando sul valore del “sistema” inteso come metafora-chiave che serve per comprendere il mondo delle relazioni e per l’azione nei confronti delle medesime, esprime questo concetto sottolineando che: “il tutto eccede le 2 Cfr., Giuliani C., Il conflitto: ostacolo e opportunità lungo il percorso evolutivo della famiglia, contenuto in AA.VV., Mediazione sistemica, cit., pag. 101. 3 Bateson G., Verso una ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976. 110 parti, quando le parti (le persone in quanto membri della famiglia con intenzioni, desideri e competenze proprie) eccedono il tutto”4. Come afferma Giuliani questi concetti generali teorizzati anche da molti altri autori ci permettono di chiarire la descrizione di un sistema più specifico: “l’essere umano”. Per questi autori tale sistema viene considerato come simile alle scatole cinesi: ogni elemento contiene al proprio interno degli altri elementi di dimensioni minori e nello stesso tempo è contenuto in elementi maggiori. Ciò mette in evidenza come l’essere umano non può essere considerato come un’entità a sé: egli in quanto sistema si trova costantemente in relazione con altri sistemi che possono essere esterni (sovrasistemi) o interni (sottosistemi)5. Questo concetto può essere spiegato in modo più chiaro prendendo come riferimento un’altra scienza, la Cibernetica, che fu studiata soprattutto nel periodo della seconda guerra mondiale. La Cibernetica viene definita come “la scienza che studia il controllo e la comunicazione sia nell’animale, sia nella macchina”. 4 Vittorio Cigoli insegna Psicologia sociale all’Università Cattolica di Milano. Numerose le sue pubblicazioni, una tra queste: Il legame disperante, 1998. Vittorio CIGOLI, L’approccio dello sviluppo nella clinica delle relazioni familiari, contenuto in AA.VV., Psicobiettivo, 1997, vol. 17, 2. 5 Cfr. Giuliani C., Il conflitto: ostacolo e opportunità lungo il percorso evolutivo della famiglia, in ID, Mediazione Sistemica, pag. 103. 111 Intrecciando questa scienza con la teoria dei sistemi si ha che: • fra gli elementi di un sistema c’è un continuo scambio di informazioni; • un sistema tende a mantenersi in uno stato di equilibrio; • mette in atto dei meccanismi per correggere la sua azione; • un sistema, per regolare gli stati di disordine, può raggiungere un nuovo ordine modificando la sua organizzazione. Si può concludere dicendo che un sistema può essere inteso come un tutto che funziona con caratteristiche proprie in virtù dell’interdipendenza delle sue parti6. Come è già emerso, uno degli elementi che caratterizza questo “sistema” è la relazione. Ora, se pensiamo alla relazione in senso lato ci rendiamo conto che essa trova un suo contenitore significativo in un altro sistema: la famiglia. Secondo l’approccio sistemico-relazionale la famiglia è un sistema, costituito da elementi, esseri umani, che sono uniti fra loro dalle relazioni che costruiscono attraverso la comunicazione. Pertanto si può affermare che la famiglia è un sistema, cioè un insieme di elementi (le persone) che sono connessi fra loro. Tali elementi contribuiscono tutti insieme a dare forma al gruppo. 6 Ganda G., La famiglia nella società che cambia, Appunti non pubblicati. 112 Per capire meglio questo altro assunto faccio riferimento ad Eugenia Scabini, la quale afferma che, la famiglia può essere intesa come un’organizzazione complessa di relazioni di parentela che ha una storia e che crea storia. Essa è infatti scenario, lungo il proprio ciclo vitale, di conflitti di varia natura che si snodano a diversi livelli relazionali7. Tali conflitti possono riguardare i sottosistemi familiari come la coppia coniugale, i figli, la relazione genitori-figli, i rapporti con le famiglie di origine e la famiglia estesa, all’interno quindi di una cornice multigenerazionale e multietnica. Se teniamo conto di ciò risulta evidente che ogni gruppo familiare presenta una propria specificità nelle dinamiche relazionali, così come nelle modalità interattive e nel tipo di problemi che si troverà ad affrontare tanto al suo interno quanto in relazione all’ambiente esterno8. Desidero sottolineare che quando si parla di famiglia non si può non tenere conto della molteplicità che tale organizzazione ha assunto nella società odierna. Per tanto è necessario tenere presente che oltre all’immagine consueta della famiglia nucleare composta dalla coppia coniugale e dai figli, esistono anche le cosiddette famiglie alternative. Per esempio le famiglie plurinucleari o comunitarie o quelle con coppia omosessuale. 7 Scabini E., L’organizzazione famiglia tra crisi e sviluppo, Franco Angeli, Milano, 1985. 8 Cfr., Giuliani C., Il conflitto: ostacolo e opportunità lungo il percorso evolutivo della famiglia, cit., pag. 105. 113 5.3 IL CICLO DI VITA FAMILIARE Come ho già detto l’approccio sistemico-relazionale considera la persona un sistema che ha un proprio ciclo di vita. Tale ciclo, però, non può essere considerato come qualcosa a se stante poiché è necessario tenere presente che esso fa riferimento ad un contesto più ampio e significativo all’interno del quale si colloca ogni percorso di crescita individuale: la famiglia. In merito a ciò ritengo importante sottolineare, insieme a Giuliani, come anche il sistema familiare incontra nel tempo mutamenti e trasformazioni talora lievi e altre più profonde, tali da implicare una vera e propria riorganizzazione della qualità oltre che delle strutture relazionali. L’autrice afferma che coerentemente al principio sistemico secondo cui il sistema è più della somma delle parti, lo sviluppo delle famiglie non può essere ricondotto semplicemente al modo in cui i singoli cicli di vita dei suoi membri si affiancano o accavallano. Il ciclo di vita familiare si pone pertanto come un irriducibile intreccio dei percorsi di sviluppo individuali ognuno dei quali a sua volta si contraddistingue per la sua unicità9. Il concetto di “ciclo di vita” è stato ampiamente utilizzato per descrivere l’evoluzione familiare. 9 Cfr., ivi, pag. 113. 114 Esso fa riferimento ai vari momenti che scandiscono la vita della famiglia, dalla sua formazione alla sua dissoluzione. Il modello proposto per descrivere il ciclo di vita della famiglia è ipotizzato come un percorso a tappe (fasi) all’interno delle quali il sistema familiare è chiamato ad affrontare compiti specifici (compiti evolutivi) il cui superamento permette l’avanzamento alla tappa successiva (cfr. gli studi di F.Walsh)10. In letteratura si possono ritrovare numerose e differenti suddivisioni del ciclo di vita familiare, tutte strettamente influenzate dal contesto socio-culturale, politico, economico, religioso legato al momento storico in cui si collocano. Tenendo conto di questi elementi ho scelto di citare il ciclo di vita teorizzato dall’italiana Scabini. Il suo modello di ciclo di vita prende in considerazione il contesto italiano caratterizzato da un allungamento temporale del processo di autonomizzazione dei giovani e indica nella formazione della coppia la prima fase del ciclo di vita familiare. Ad essa segue la famiglia con bambini, con adolescenti, la famiglia “lunga” del giovane adulto e infine la famiglia con anziani11. Secondo Giuliani i vari modelli teorici del ciclo di vita, in quanto tali, presentano ognuno dei punti di forza e 10 Walsh F., (a cura di), Ciclo vitale e dinamiche familiari, Franco Angeli Editore, Milano, 1993. 11 Scabini E., (a cura di), Psicologia Sociale della famiglia, Bollati Boringheri, Torino, 1995. 115 dei punti di debolezza. A suo avviso quando si parla di ciclo di vita è necessario tenere conto di altri aspetti, quali per esempio: la pluralità e le stratificazioni dei percorsi e dei processi evolutivi; vale a dire che si rende necessario considerare anche il ruolo significativo dei fattori contingenti e contestuali che giocano nello sviluppo. Per l’autrice questo comporta porre l’accento al carattere d’interconnessione sistemica, cioè al modo in cui le linee evolutive individuali, familiari e sociali si intrecciano tra loro. Da ciò ne consegue che tanto l’individuo quanto le famiglie elaborano una costruzione del proprio percorso di sviluppo, da cui risulta una mappa mentale del ciclo di vita inteso come intreccio di cronologie individuali, relazionali e sociali (Fruggeri12; Boscolo e Bertrando13). Come mette in evidenza Giuliani a volte, però questo intreccio può risultare incrinato, rallentato o anche ingarbugliato. L’autrice usa la metafora di una matassa in cui non è sempre possibile districare i fili, i tempi e i ritmi evolutivi familiari in quanto questi non essendo più armonizzati tra di loro, possono portare ad una conseguente asincronia e/o blocco del percorso di sviluppo dell’individuo e/o della famiglia14. A mio avviso queste precisazioni e questa immagine 12 Fruggeri L., Famiglie, N.I.S., Roma, 1996. AA.VV., I tempi del tempo, Bollati Beringheri, Torino, 1993. 14 Cfr., Giuliani C., Il conflitto: ostacolo e opportunità lungo il percorso evolutivo della famiglia, in ID, Mediazione Sistemica, pag. 117. 13 116 permettono di comprendere come in un’ottica sistemica complessa, ogni singolo processo di crescita ha inevitabilmente delle conseguenze che innescano nuovi slanci evolutivi o involutivi a livelli differenti, in virtù della inestricabile connessione tra i sistemi. Il principio di apertura sistemica prevede infatti che i sistemi ai diversi livelli in cui si collocano siano tra loro interagenti, per cui lo sviluppo dell’uno non può prescindere da quello degli altri15. Giuliani rifacendosi ancora una volta ai modelli del ciclo di vita familiare mette in evidenza anche un altro aspetto molto importante. L’autrice precisa come per lungo tempo molte teorie hanno fatto coincidere il funzionamento familiare “normale” con un funzionamento ideale in cui ogni polo negativo veniva negato. Da ciò l’idea di un’assenza di conflitto, di contraddizione, di disagio e di sofferenza quale principale criterio in base al quale discriminare le famiglie normali da quelle patologiche. A suo avviso queste teorie avrebbero mostrato che una famiglia può essere considerata “sana e normale” quando regna l’equilibrio e l’armonia, mentre i momenti di contrasto e di divergenza vengono considerati come parentesi negative, non desiderabili, auspicabilmente poco frequenti e comunque in grado di riassorbire rapidamente tali parentesi così da ripristinare lo stato di armonia precedente. Ciò 15 Cfr., Giuliani C., Il conflitto: ostacolo e opportunità lungo il percorso evolutivo della famiglia, in ID, Mediazione Sistemica, pag. 117 117 rimanderebbe ad una teoria implicita del funzionamento normale, adeguato o ideale della famiglia, in cui la normalità viene intesa come rovescio della medaglia rispetto alla patologia16. Negli ultimi anni si sono avvicendate nuove teorie nelle quali si sostiene, invece, che l’equilibrio di una struttura sociale o di un sistema viene concepito in senso dinamico, ovvero come transitorio di un processo di cambiamento e di sviluppo che comprende necessariamente anche l’inevitabile emergere di divergenze e opposizioni. Il conflitto cessa così di essere ritenuto essenzialmente antifunzionale per essere considerato, entro un certo grado, un elemento cruciale sia nella formazione che nello sviluppo dei sistemi sociali. Da ciò si può dedurre che la famiglia è tale sia nei momenti di equilibrio e di armonia, sia nei tanti casi in cui i membri che la compongono si ritrovino a gestire discordanze e opposizioni generati da tensioni interne o esterne al sistema. 5.4 IL CONFLITTO SECONDO L’APPROCCIO SISTEMICO-RELAZIONALE Proseguendo sul tema del conflitto Giuliani afferma che esso affonda le proprie radici nella “differenza” e dalla differenza è originato e sulle difficoltà di gestione delle differenze si espande e si autoalimenta. 16 Cfr. ivi, pag.121 e segg. 118 Successivamente l’autrice prosegue sostenendo che l’ineludibilità delle esperienze conflittuali lungo il cammino che la famiglia compie nel tempo affonda le radici nella differenza, o meglio nelle differenze che caratterizzano il sistema familiare sino al momento stesso della sua formazione. Per esempio nel sistema familiare in formazione, con la nascita della coppia, l’unità non si fonda tanto sulle similitudini quanto sulle differenze, nelle associazioni dell’uno al diverso. Le differenze, siano esse relative al genere, al ruolo o al potere, racchiudono in sè una funzione generativa. Giuliani afferma inoltre che quando l’entità delle differenze diviene troppo grande, tanto da non essere più tollerata possono insorgere disarmonie, contrapposizioni e conflitti. Condivido il pensiero dell’autrice secondo la quale il conflitto per eccellenza nella famiglia ruota attorno alla differenza tra separazione ed unità, distacco e intimità17. Per Giuliani ogni sistema familiare, in particolare modo nei momenti cruciali della propria evoluzione, è chiamato a conciliare forze di segno opposto, nel tentativo di compiere sintesi complesse tra le spinte individuali verso la differenziazione e le esigenze di unità tese a mantenere l’identità del sistema nel tempo da un lato, e tra le tendenze e il mantenimento 17 Cfr., Giuliani C., Il conflitto: ostacolo e opportunità lungo il percorso evolutivo della famiglia, in ID, Mediazione Sistemica, pagg. 125126-127. 119 dell’omeostasi e le tendenze verso il cambiamento dell’altro. La famiglia diviene così teatro di disarmonie e contrasti che creano il giusto attrito perché il sistema si trasformi nel tempo senza perdere però la propria identità. Basti pensare ai difficili passaggi evolutivi che impegnano la famiglia in occasione della costituzione di una nuova coppia, della nascita di un nuovo membro, della adolescenza dei figli, senza trascurare le esperienze di separazione fino alla perdita e alla morte. Diversi altri autori che si rifanno all’approccio sistemico-relazionale hanno analizzato le dinamiche del conflitto. Tra questi anche Margherita Di Lorenzo e Alessandro Nolè. Essi sostengono che il conflitto è un evento naturale e necessario, pertanto esso non è negativo, né positivo ma esiste e come tale è un evento naturale nel senso che è presente in ogni relazione nel suo divenire. Ciò significa che il conflitto può essere considerato come un atto necessario che prepara alla trasformazione e al cambiamento18. Gli autori affermano che, molte volte accade che il conflitto può punteggiare la crescita di una famiglia favorendo alcune dinamiche familiari cristallizzate e diventa così uno stimolo utile alla mobilitazione effettiva del gruppo familiare. 18 Cfr., Di Lorenzo M., Nolè A., Il processo di mediazione familiare, Maieutica La sfida ecologica del conflitto, n. 9-10-11, ISCRA Modena – I.T.F.F. Firenze 1998-1999, cit. pag. 95 e segg. 120 Altre volte, invece, accade che, quando il conflitto si radica e si stabilizza, può divenire un contenitore di ansia, senza permettere, però, una apertura verso il cambiamento. In questo caso, secondo gli autori, si determina una situazione di equilibrio negativo nel senso che si sviluppa un circuito interattivo all’interno del quale il conflitto si autoalimenta e si proroga. Questa distinzione mette in evidenza che esistono diversi tipi di conflitto così come esistono diverse risposte possibili ad esso. Riprendendo uno schema suggerito da Cristopher W. Moore i conflitti possono essere: • Conflitti Relazionali: in questo caso possono essere presenti forti emozioni, quali per esempio la rabbia legata al passato e al presente e ad un’immagine stereotipata e pregiudizievole dell’altro. La comunicazione è povera. I comportamenti sono ripetutamente negativi. • Conflitti sui dati: questi sono causati dalla mancanza di informazioni, o da disinformazione; da punti differenti di vista sulle cose rilevanti; differenti interpretazioni sui dati di differenti procedure di valutazione. • Conflitti d’interessi: questi possono essere determinati soprattutto dal conflitto psicologico relativo alla propria autostima e autoimmagine e si sviluppano ogni volta che qualcuno contrasta o non accetta il livello d’immagine del sé che sta dietro gli interessi materiali o professionali o di posizione sociale. 121 • Conflitti di valore: questi riguardano i valori morali, religiosi, culturali e le possibilità che possono essere condivisi o accettati o rispettati senza che si determini uno sconfinamento in aree proprie degli interessi. Per quanto riguarda le possibili risposte al conflitto, Di Lorenzo e Nolè ne indicano alcune: 1) risposte di evitamento: queste avvengono quando le persone evitano, con il silenzio, con la rinuncia o con lo spostamento, che il conflitto esploda; 2) risposte di antagonismo: queste si hanno quando le parti entrano in competizione e determinano una rigidità nelle posizioni iniziali; 3) soluzione del problema: ciò avviene quando le parti si dispongono con un atteggiamento di ricerca della soluzione del problema19. In merito alle risposte di evitamento e alla soluzione del problema un interessante contributo è stato proposto anche da Eugenia Scabini. Per quanto riguarda l’evitamento Scabini afferma che questa è una modalità di rapporto che tenta di eliminare l’ansia legata al confronto mediante alcune strategie. Una di queste è per esempio la negazione del problema tout-court. Tra le “tecniche” di esasperazione dell’evitamento, che si manifesta quando, nonostante i partners 19 Cfr., Di Lorenzo M. , Nolè A., Il processo di mediazione familiare, Maieutica La sfida ecologica del conflitto, cit. pagg. 95-96. 122 rifiutino implicazioni personali, il conflitto cresce di intensità e si evidenziano modelli ripetitivi di reazione, troviamo: l’esternalizzazione (ossia porre l’enfasi su problemi esterni alla relazione, sul lavoro, ecc); la qualificazione (con pensieri del tipo: “non c’è nulla che mi disturbi”) e infine il doppio legame che si riferisce a quel tipo di comunicazione che consiste nella trasmissione simultanea di due messaggi che si escludono a vicenda nel contesto di una relazione vitale20. In merito invece alla soluzione del problema - processo che Scabini definisce “impegno” - l’autrice sostiene che l’impegno in un conflitto interpersonale può permettere una soluzione costruttiva e mutuamente arricchente. Esso si verifica quando le parti riescono a mettere in atto una buona varietà di risposte in situazioni di conflitto (humor, spontaneità, ecc.) evitando l’espandersi del conflitto al di là del problema che lo ha innescato. Secondo la studiosa in questo caso si capisce che ciò che conta veramente tra le parti non è tanto la risoluzione, quanto il processo di interazione tra di esse. Scabini precisa, tuttavia, che una buona flessibilità, una indagine accurata delle possibili soluzioni ed un’ampia gamma di risposte non assicurano tranquillità, né pieno successo nei conflitti coniugali; esse for- 20 Cfr., Scabini E., L’organizzazione: tra crisi e sviluppo, Franco Angeli, Milano, 1987, pag. 43. 123 niscono, piuttosto, una possibilità di crescita e di sviluppo. Aggiunge anche che l’impegno potrebbe diventare una modalità rigida di relazione e questo avverrebbe quando il conflitto tende ad assorbire l’intera prospettiva temporale del rapporto, allargandosi fino a provocare attacchi sull’identità personale e toccando aree particolari di vulnerabilità, quali ad esempio le relazioni parentali, e quando vi è la tendenza ad accumulare una grande quantità di problemi in modo da sopraffare il partner. Infatti l’espansione del problema suggerisce che è in gioco qualcosa di più del problema specifico: il conflitto se non è arginato, può prendere un corso distruttivo. Il conflitto viene assimilato così ad uno schema di interazione che solleva ansietà e provoca perciò chiusura, risposte stereotipate e impermeabilità degli schemi21. 5.5 IL CONFLITTO COME VINCOLO E RISORSA Più sopra abbiamo visto che per Scabini la famiglia è un sistema in costante trasformazione e che è in grado di adattarsi alle diverse esigenze che via via incontra, esigenze che mutano nel corso del tempo e per il variare delle richieste sociali, allo scopo di assicurare continuità e crescita psico-sociale ai membri che la compongono. La riuscita o meno del suo svi- 21 Cfr., ivi, cit. pag. 44. 124 luppo dipende dalla sua capacità di ben utilizzare gli aspetti conflittuali, in una parola dalla capacità di rendere costruttivo il conflitto. Constatata l’inevitabilità e l’importanza del conflitto entro le relazioni sociali, gli studi si sono diretti verso l’analisi della dinamica della sua risoluzione perché ad essa in ultima istanza è affidata la sua sorte, quella cioè di divenire fonte di crescita o al contrario di disgregazione. Per Scabini si possono rilevare numerose funzioni positive del conflitto: previene la stagnazione, stimola interesse e curiosità, è un mezzo per affrontare i problemi e per giungere a soluzioni e può rappresentare una esperienza significativa del pieno uso delle proprie capacità; nel contempo differenzia i gruppi tra loro e contribuisce allo stabilizzarsi dell’identità personale e di gruppo. Scabini precisa, però, che spesso il termine conflitto è usato come sinonimo di competizione, tuttavia, mentre la competizione produce conflitto, non tutti i casi di conflitto producono competizione. La competizione implica una opposizione tra le parti tale che la probabilità di vincita dell’una sia inversamente proporzionale alla probabilità che l’altro raggiunga lo scopo. Il conflitto emerge invece anche in assenza di questa assoluta incompatibilità di scopi: può avvenire sia in un contesto “competitivo” sia in un contesto “cooperativo”. La competizione o la cooperazione sono due 125 modalità fondamentali di condizione del conflitto, rilevanti non solo in relazione all’esito di questo (accordo o perdita o vincita) ma anche in relazione al processo22. Scabini sostiene, inoltre, che uno dei problemi fondamentali nell’analisi del conflitto consiste nell’individuare le caratteristiche, i meccanismi e i processi che rendono il conflitto positivo o negativo, nel comprendere ai fini del funzionamento del gruppo quali modalità consentono una “gestione produttiva delle divergenze” e se sia possibile facilitare tale problema. L’importanza di questo obiettivo consiste nel fatto che quanto più riusciamo ad individuare le strategie che favoriscono il superamento degli ostacoli e liberano le risorse bloccate nel mantenimento di essi, tanto più possiamo operare in vista della crescita individuale e di gruppo e trasformare le forze distruttive presenti in ogni uomo, in ogni donna e in ogni raggruppamento umano in potenziale sviluppo. Ma quando possiamo ritenere che il conflitto possa essere distruttivo? In merito a ciò Scabini afferma che il conflitto è tanto più distruttivo quanto più è “onnipervasivo”, quanto più cioè tende ad eccedere il problema in questione per mettere in discussione aspetti vitali quali il vissuto di “autostima” o di potere nella relazione. Per esempio alcune coppie disaccordi su questioni 22 Cfr., ivi, cit. pag. 39. 126 anche futili innescano sentimenti e percezioni di sospetto e di attacco interpersonale ai quali si reagisce per lo più con tattiche sottili di coercizione o ricatto. All’opposto per alcune coppie i conflitti sulle modalità di relazione vengono scaricati rapidamente in conflitti su un problema o addirittura negati, non presi in considerazione. Questa difficoltà sembra essere più nel creare il legame che nello stabilire una distanza da esso. Non è facile nella famiglia pervenire ad una adeguata soluzione del conflitto per eccellenza, quello tra separazione e unità, o distacco e intimità. La riuscita di questo obiettivo è collegato alla struttura del gruppo, alla capacità o meno di flessibilità, in particolare della diade coniugale, alla sua capacità di tollerare la difficoltà, prestazione o contraddizione, di metacomunicare su di esse, restituendo loro un senso e una direzione23. Nel corso della vita di una famiglia si stabiliscono in genere una serie di accordi condivisi, per lo più indiscussi. Si elaborano una serie di regole sui vari settori della vita in comune, e si stabilisce in genere anche, e del tutto istintivamente, la strategia da seguire in caso di disaccordo. Il conflitto nasce dal disaccordo sui tipi di regole o, più sottilmente, dal tentativo di instaurare regole incompatibili tra loro. 23 Cfr., ivi, cit. pag. 41. 127 5.6 IL CONFLITTO IN ADOLESCENZA Quello che ho presentato fin ora è una breve e generale illustrazione di come il conflitto sia stato analizzato e rivalutato in questi ultimi vent’anni da diversi studiosi. Nella prima parte di questo scritto ho già anticipato, citando Eugenia Scabini, come i conflitti possano riguardare i sottosistemi familiare: la coppia coniugale, la relazione genitori-figli, i rapporti con la famiglia di origine, la famiglia estesa, ecc. A conclusione di questo lavoro desidero soffermarmi in modo più specifico su un conflitto che riguarda un sottosistema familiare: la relazione genitori-figli adolescenti. La scelta di prendere in considerazione in modo più approfondito questo tipo di conflitto riguarda la mia esperienza di lavoro. Nel mio lavoro di psicopedagogista, ma anche di educatrice, mi sono ritrovata spesso ad affrontare situazioni di conflitto. Come ho scritto sopra, la maggior parte di questi concerne la relazione genitori–figli. Ho potuto constatare che tali conflitti sono più numerosi quando i figli stanno attraversando la fase della pre-adolescenza o dell’adolescenza. Nella letteratura ma anche dall’esperienza si è visto che uno dei momenti in cui si verifica maggiormente questa conflittualità è quando i/le ragazzi/e per concedersi dei movimenti di autonomia e di trasgressione sentono il bisogno di attaccare il ruolo del genitore. 128 Questi movimenti di autonomia e di trasgressione si possono ricondurre ai cambiamenti piuttosto repentini che attraversano in questa fase i ragazzi e le ragazze. Tali cambiamenti significativi riguardano non solo l’aspetto fisico, ma anche e soprattutto il piano psichico e comportamentale. Essi appartengono al normale sviluppo di crescita di tutti gli esseri umani ma a causa del loro manifestarsi in modo discontinuo e spesso “tumultuoso” non sono facili da affrontare. Queste trasformazioni non riguardano, però, solo i preadolescenti o gli adolescenti ma anche i genitori. I genitori cambiano a causa dei cambiamenti dei propri figli nello stesso tempo avvengono dei cambiamenti nei genitori e nei ragazzi. Questi cambiamenti nei genitori avvengono in modo meno evidente, ma essi sono altrettanto significativi in quanto a loro volta influiscono sui cambiamenti dei propri figli. Grazie ai contributi di Giuliani, Scabini, Di Lorenzo e Nolè, e altri autori abbiamo potuto constatare come il conflitto appartiene alla dimensione umana e in quanto tale è un evento naturale. È necessario precisare che tale affermazione, però, non è condivisa da tutti: con la parola “tutti” mi riferisco soprattutto a coloro che non si occupano professionalmente di tali questioni. In modo più specifico mi riferisco a tutte e a tutti quelle mamme e quei papà o quei figli o quelle figlie che intendono e vivono invece la dimensione del conflitto tendenzialmente in senso negativo. Nel mio lavoro di consulenza o di formazione con i 129 genitori spesso mi è capitato di spiegare loro che il conflitto anche se molte volte porta con sé contrasti, opposizioni, sofferenza, ecc. non è da considerarsi sempre in senso negativo, così come non è giusto evitarlo o addirittura negarlo. Al contrario esso potrebbe rappresentare una risorsa, un momento di evoluzione. Ritengo che il conflitto possa essere colto come un altro modo di/per comunicare, per dialogare ed inoltre esso può essere utile in quanto può fornire delle “informazioni” sul vissuto dei propri figli. Rispetto quanto appena detto la domanda successiva che spesso i genitori pongono è: come riuscire a comprendere quando il conflitto è un limite o quando invece può rivelarsi una risorsa? Per questo interrogativo desidero citare un altro importante studioso Camillo Loriedo che si è occupato proprio di questo tema: adolescenti e conflitto. Egli sostiene che malgrado all’adolescenza venga riconosciuta la dignità di una fase di sviluppo, essa non viene invece considerata una tappa del ciclo vitale della famiglia. L’adolescenza viene semplicemente considerata un’epoca di transizione tra una fase e l’altra, che corrisponde al periodo che precede lo svincolo dalla famiglia24. 24 Camillo Loriedo è psichiatra e Socio Fondatore S.I.P.P.R., Direttore del Centro Studi e Ricerche per la Pscicoterapia della Coppia e la Famiglia di Roma. Cfr. Loriedo C., Adolescenza, Conflitto, Salute Mentale contenuto in AA.VV., L’adolescente e i suoi sistemi, ED. KAPPA, cit. pag. 55 e segg. 130 Secondo Loriedo nel corso dell’adolescenza vengono costruite infatti una serie di relazioni tendenti allo svincolo. Cambiamenti che hanno luogo nell’adolescenza e che la caratterizzano con la loro stessa presenza sono spesso cambiamenti critici a causa della mancanza di stabilità e di maturità che accompagna il/la giovane nell’epoca dello sviluppo in cui si verificano ma anche per le incertezze e le difficoltà che l’adolescenza impone ai genitori. Questi tipi di cambiamenti facilitano lo sviluppo di relazioni conflittuali all’esterno e soprattutto all’interno della famiglia. Per Loriedo la conflittualità che insorge nel corso dell’adolescenza ha il valore di formare il giovane ad affrontare situazioni di contrasto che si troveranno a far parte della vita quotidiana di adulto. Più sopra ho già messo in evidenza come il conflitto può essere fonte di sofferenza ma anche di opportunità di conoscenza e di apprendimento per l’individuo e per la famiglia. L’autore aggiunge che è importante tenere in considerazione un altro aspetto è cioè che se è vero che i conflitti sono generati dai critici cambiamenti che accompagnano l’intero periodo dell’adolescenza, è anche vero che i conflitti sono a loro volta generatori di cambiamenti. Se nell’adolescenza si attiva una condizione di conflittualità che coinvolge l’intera famiglia, questa conflittualità svolge una funzione determinante nell’ambito della evoluzione del sistema familiare. 131 Come possiamo notare anche per Loriedo come per gli altri autori citati il conflitto è evento naturale; esso è rilevante per lo sviluppo sia individuale sia familiare. Egli sottolinea, inoltre, come questo debba essere considerato parte integrante della nostra vita intrapsichica e di relazione, e pertanto non può essere escluso dall’esistenza degli esseri umani. A questo punto l’interesse dell’autore si concentra su quelli che possono chiamarsi i limiti o le risorse di un conflitto. In modo più specifico Loriedo parla di conflitti costruttivi e di conflitti ostruttivi25. Quali sono le caratteristiche che differenziano un conflitto costruttivo da uno ostruttivo? Per l’autore i conflitti costruttivi sono quelli che agevolano l’evoluzione verso fasi successive del ciclo di vitale e non danneggiano né la relazione, né i suoi componenti. Inoltre per Loriedo il tipico conflitto costruttivo contiene i presupposti per una evoluzione verso uno stadio di sviluppo successivo. All’interno del conflitto devono pertanto aver luogo nuove acquisizioni e deve essere trasmessa informazione (nel senso letterale del termine: conoscenza che produce cambiamento). Il conflitto costruttivo è quindi un conflitto che produce informazioni, che cambia. Cambia gli individui e le loro relazioni. 25 Cfr. Loriedo C., Adolescenza, Conflitto, Salute mentale, in ID, AA.VV., L’adolescente e i suoi sistemi, cit., pag. 61. 132 Al contrario i conflitti ostruttivi ritardano o impediscono il passaggio alle fasi successive del ciclo vitale e determinano limitazioni più o meno evidenti delle potenzialità della relazione e degli individui che ne fanno parte. Loriedo osserva quanto sia importante, soprattutto nel campo terapeutico, avere la capacità di riconoscere non soltanto i conflitti ostruttivi, ma anche la presenza di conflitti costruttivi che nella terapia o nella consulenza devono essere sufficientemente apprezzati e sostenuti. Ritornando all’ambito più specifico dell’adolescenza l’autore sostiene che è durante il corso dell’adolescenza che si acquisisce la competenza a sviluppare e condurre conflitti costruttivi. Precisa, però, che questo processo tende a verificarsi e si realizza quando si verificano delle condizioni favorevoli. Egli rileva come sia importante il ruolo svolto dagli adulti che consentono all’adolescente di addestrarsi al conflitto fino ad acquistarne autonoma capacità. Per l’autore, genitori o insegnanti che non sono in grado di gestire il conflitto, o che ne sono spaventati, non riescono ad essere partner adeguati per l’addestramento al conflitto; in mancanza di questo “allenamento” il/la giovane può risentire di inadeguatezze più o meno gravi nella gestione del conflitto26. 26 Cfr., ivi, cit. pag. 65. 133 Caratteristiche del conflitto costruttivo e caratteristiche del conflitto ostruttivo CONFLITTO COSTRUTTIVO CONFLITTO OSTRUTTIVO Agevola l’evoluzione verso fasi successive del ciclo vitale Ostacola l’evoluzione verso fasi successivedel ciclo vitale Aperto Coperto Riconosciuto Negato Flessibile Rigido Verte su un contenuto Verte su aspetti di relazione Con simmetria, senza escalation Con escalation Senza intromissione di terzi Con stabile partecipazione di terzi Portato a termine Interrotto Viene risolto Cronico Finalizzato a uno scopo condiviso Senza scopo o con scopi divergenti È’ possibile discuterne (metacomunicazione)27 Non è possibile discutere del conflitto 27 Cfr., Loriedo C., Adolescenza, Conflitto, Salute mentale, in ID, AA.VV., L’adolescente e i suoi sistemi, in ID., cit. pag. 62. 134 Come possiamo osservare questa distinzione permette di comprendere meglio quando possiamo ritenere un conflitto che pone dei limiti da un conflitto che invece permette un passaggio ad una fase successiva e anche ad un cambiamento. Per concludere si può dire che cambiamenti e conflitti hanno in sé delle enormi potenzialità evolutive, nello stesso tempo hanno in sé anche molti rischi che in un’epoca della vita come quella della pre-adolescenza o dell’adolescenza possono esercitare i loro effetti sullo sviluppo successivo dell’adulto. Concordo con Loriedo quando afferma che come avviene per le altre epoche della vita superare l’adolescenza non significa dover anche perderla. Perdere l’adolescenza, per Loriedo, vorrebbe dire perdere i rischi ma significherebbe perdere anche delle opportunità28. 28 Cfr., ivi, cit. pag. 76. 135 Capitolo 6 LA FORMAZIONE Loredana Gioia 6.1 L’AMBITO DELLA MEDIAZIONE FAMILIARE La formazione in Italia avviene, nelle migliori scuole, attraverso un corso che si articola in due fasi: il corso teorico-pratico e la supervisione dei casi di mediazione. FORMAZIONE TEORICO-PRATICA OBIETTIVI: promuovere, sviluppare conoscenze/abilità/atteggiamenti finalizzati alla pratica della mediazione familiare. CONTENUTI: 1. 2. 3. 4. 5. primi contatti primi colloqui lavoro di mediazione familiare la conclusione della mediazione familiare la mediazione familiare come strumento conoscitivo ed operativo 6. esercitazioni SUPERVISIONI E ANALISI DELLA PRATICA verifica della pratica di mediazione familiare, avvio di servizi guidati di mediazione familiare. OBIETTIVI: 137 Riteniamo doveroso riportare qui sotto il codice deontologico a cui tutti i mediatori familiari dovrebbero attenersi: CODICE DEONTOLOGICO DEL MEDIATORE FAMILIARE IN MATERIA DI SEPARAZIONE E DIVORZIO APPLICAZIONE Tutti gli aderenti alla S.I.Me.F. sono tenuti a sottoscrivere il presente codice di deontologia. DEFINIZIONE E OBIETTIVI La Mediazione Familiare (MF) è un percorso per la riorganizzazione delle relazioni familiari in vista o in seguito alla separazione o al divorzio: in un contesto strutturato, un terzo neutrale e con formazione specifica (il mediatore familiare), sollecitato dalle parti, nella garanzia del segreto professionale e in autonomia dall’ambito giudiziario, si adopera affinché i genitori elaborino in prima persona un programma di separazione soddisfacente per sé e per i figli, in cui possano esercitare la comune responsabilità genitoriale. COMPETENZE DEL MEDIATORE FAMILIARE Può esercitare la MF solo chi abbia acquisito: - sia una competenza precedente in materia di relazioni familiari - sia una formazione specifica alla MF coerente con i criteri enunciati dal “DOCUMENTO DI FONDAZIONE DELLA S.I.Me.F.” Essere membri della S.I.Me.F. o di associazioni che si 138 occupano di mediazione familiare non implica automaticamente la qualifica di mediatore familiare. ETICA DEL MEDIATORE FAMILIARE L’esercizio della MF implica da parte del mediatore familiare l’imparzialità e la neutralità nei confronti degli utenti. Il mediatore familiare non può e non deve: intervenire in mediazioni che coinvolgono persone con cui vi sia un precedente legame personale (familiari, amici, colleghi,...); erogare servizi che esulino dallo specifico della MF. Il mediatore ha l’obbligo di informare le parti che richieste di intervento o supporto d’ordine legale e psicoterapeutico devono essere indirizzate a specialisti dei rispettivi campi; fare pressioni sulle parti affinché aderiscano a un intesa che non sia frutto di libero consenso. RISERVATEZZA Fatta eccezione per i casi previsti dal codice di procedura penale in materia di segreto professionale, il mediatore familiare deve attenersi al più assoluto segreto quanto allo svolgimento e al contenuto dei colloqui di MF e agli accordi eventualmente conseguiti. La sospensione del segreto professionale può avvenire solo con l’assenso di tutte le parti. DIRITTI DEGLI UTENTI Fin dal primo colloquio il mediatore familiare deve informare gli utenti sugli obiettivi e sulle modalità del 139 processo di MF. Deve precisare loro la specificità del suo intervento in rapporto a quello di altri operatori (avvocati, consulenti familiari, psicoterapeuti,...). Il mediatore familiare riceve l’incarico esclusivamente dalle parti. L’accesso alla MF non può in alcun caso essere di tipo coattivo. L’invio da parte di magistrati è subordinato al consenso delle parti e non può essere oggetto di provvedimenti o decreti a carattere obbligatorio. In nessun caso la MF deve configurarsi come ambito penale. I risultati della MF possono essere comunicati al magistrato solo dagli utenti stessi. Il mediatore deve informare i clienti del costo eventuale dei colloqui e delle modalità di pagamento. Il costo dei colloqui non può essere subordinato ai risultati ottenuti. L’intesa finale tra le parti può dar luogo a un accordo scritto o verbale che ha valore solo tra le parti medesime. L’eventuale formalizzazione degli accordi, se richiesta dalle parti, è demandata a un legale scelto dalle parti stesse. INTERRUZIONE DELLA MEDIAZIONE FAMILIARE Il processo di MF può essere interrotto: da una delle parti o da entrambe; dal mediatore familiare se valuta che le regole della MF non sono state rispettate o se non è in grado di garantire la necessaria imparzialità e neutralità. ESTERNAZIONI PUBBLICHE Tutte le esternazioni pubbliche degli aderenti al codice deontologico devono essere coerenti con i suoi contenuti. 140 6.2 L’AMBITO DELLA MEDIAZIONE SCOLASTICA: PEER MEDIATORS Alcuni programmi prevedono che tutti gli studenti della scuola apprendano le tecniche della mediazione e della gestione dei conflitti. In altri casi saranno solo gli studenti che diventeranno mediatori a usufruire di questa formazione. L’approccio più efficace risulta quello che si articola nelle seguenti fasi: • fase preliminare di sensibilizzazione alla mediazione rivolta a tutti gli studenti e a tutti i componenti della scuola; • fase di reclutamento dei potenziali mediatori: l’elemento distintivo sarà la forte motivazione; • fase di selezione dei futuri mediatori (circa 20): i soggetti si possono proporre spontaneamente o su proposta di insegnanti o degli altri compagni. Solitamente si tratta di studenti degli anni intermedi che già conoscono la scuola e che sono conosciuti dai compagni. Si richiede che tali soggetti abbiano alcune delle seguenti caratteristiche: capacità di ascolto, buona autostima, capacità di parlare di fronte ad un gruppo, studenti con potenziale leadership positiva. Possono essere inclusi anche soggetti cosiddetti a “rischio” per dar loro la possibilità di acquisire competenze utili per se stessi. E’ importante includere anche studenti appartenenti a culture e a culture differenti. In tutti i casi deve esserci un bilanciamento tra maschi e femmine. • Fase di formazione vera e propria: realizzata da or141 ganizzazioni specializzate esterne o dagli stessi coordinatori precedentemente formati. • Il corso ha una durata variabile: dalle 8 alle 20 ore sia all’interno sia all’esterno dell’orario scolastico. • Contenuti della fase di formazione vera e propria: - Discussione sul conflitto: definizione, tipologie e modalità costruttive di gestione del conflitto. - Stili di comunicazione. - Competenze per un ascolto attivo, utilizzo di un linguaggio neutro. - Mediazione e i suoi principi: fasi della mediazione, riservatezza e confidenza, regole. - Formazione per la gestione dei casi. • Fase di debriefing e screening: alla fine del corso i mediatori individuano l’idoneità dei ragazzi che hanno preso parte al corso. • Fase di monitoraggio e supervisione permanente delle attività di mediazione scolastica (da parte del coordinatore). La peer mediation si articola nelle seguenti tappe: 1) Presa in carico. 2) Incontro congiunto. 3) Fase di apertura. 4) Identificazione del problema. 5) Condivisione dei propri stati d’animo. 6) Individuazione di possibili soluzioni. 7) Formalizzazione dell’accordo. 8) Follow-up. 142 6.3 L’AMBITO DELLA MEDIAZIONE PENALE Più complesso è il discorso sulla formazione dei mediatori che si occupano dell’area penale, dal momento che non esistono ancora dei corsi istituzionalizzati né delle linee guida specifiche per il percorso formativo. Per tal motivo ci limiteremo a fornire alcuni spunti operativi tratti dall’esperienza dell’Ufficio per la Mediazione che dal 1998 è operativo a Milano (su tale modello si basa anche il Gruppo dei Mediatori di Verona), su mandato dell’Autorità Giudiziaria Minorile. I mediatori sono fin dall’origine 14, eterogenei per sesso, età e competenze scientifiche e/o professionali (educatori, assistenti sociali, giuristi, criminologi, pedagogisti, sociologi e teologi). L’intero gruppo ha svolto, prima dell’apertura del Servizio, un lungo, serio ed unitario periodo di formazione secondo un modello umanistico, non negoziale di mediazione.1 Il modello umanistico: Esistono vari modelli e diverse tecniche di mediazione che fanno emergere l’aspetto negoziale oppure quello del riconoscimento e dell’incontro tra le persone coinvolte nel conflitto. Si passa così da un’algida e formale “tecnologia” di 1 La formazione è stata condotta da Jacqueline Morineau fondatrice del Centre de Mediation et de Formation à la Médiation di Parigi. 143 risoluzione del conflitto che applica certe regole che dovrebbero condurre ad un compromesso (problem solving), incentrato sulla soddisfazione materiale degli interessi delle parti, alla mediazione quale procedimento che può portare alla reale trasformazione del conflitto attraverso l’incontro con l’altro, tenendo conto delle dimensioni e delle potenzialità relazionali, emotive e umane. Il modello umanistico si inserisce all’interno di quest’ultima cornice teorica. Essendo particolarmente attento alle implicazioni emotive ed esistenziali del conflitto, risulta efficace in ambito penale, dove più che raggiungere un accordo è indispensabile lavorare sugli effetti del reato per dischiudere una reciproca possibilità di riconoscimento fra le parti.2 L’incontro di mediazione, infatti, diventa lo spaziotempo in cui i sentimenti ed i valori universali sono richiamati e si im-pongono allo sguardo delle parti spingendole verso una convergenza ed un mutuo riconoscimento. Il percorso formativo: La formazione è avvenuta presso la Scuola di Formazione del Ministero di Grazia e Giustizia di Castiglione delle Stiviere o presso l’Ufficio Servizio Sociale per i Minorenni di Milano, per un totale di oltre 200 ore, nell’arco di 2 anni circa. 2 Mazzuccato C., L’esperienza dell’Ufficio per la Mediazione di Milano, in Ufficio Centrale Giustizia Minorile (a cura di), La mediazione penale in ambito minorile: applicazioni e prospettive. 144 Formazione teorica: • Teoria della mediazione Formazione pratica: • Attività di role playing; • Sviluppo delle tecniche di ascolto; • Sviluppo delle tecniche di intervento nella relazione fra persone in conflitto a seguito di un fatto-reato; • Sviluppo delle tecniche di comunicazione; • Sviluppo delle tecniche di facilitazione del dialogo. Formazione in itinere: • Attività di supervisione dei casi; • Stages condotti da formatori esterni; • Periodici incontri tra i mediatori. 145 Alcuni appunti conclusivi per non addetti ai lavori Alessandro Padovani ACCOGLIERE UNA SFIDA Se esiste una sfida, importante e tremendamente seria, all’interno dell’interesse per le questioni del conflitto e delle possibili vie per affrontarlo, questa risiede nella voglia di recuperare la passione (o forse il desiderio) per quelle competenze “sociali” essenziali al dialogo, alla comunicazione, allo scambio con l’altro portatore di disagi, differenze, dolore, ferite. La passione per la parola pensata e che pensa il dolore e la rabbia, la parola che sale e sovrasta gli effetti dei comportamenti, sia per chi li ha attuati e sia per chi li ha ricevuti, spesso subiti con invasività e violenza. LE PASSIONI La passione per imparare a “usare” le parole che non pretendono di curare quel qualcosa che comunque rimane nelle possibilità delle libertà umane, perché provocare e vivere il torto, lo spregio, la mortificazione sono comunque versanti ed espressioni di relazioni ancorate al possibile di ogni incontro umano. La passione per un lavoro ed un impegno orientato ad alimentare un sogno, un progetto: le persone possono 147 ancora essere capaci di com-prendere ciò che succede, che è successo, e di trovare personalmente gli elementi di una riparazione e gli accordi che permettano di convivere ancora con quelle esperienze ricordate come tradimenti, disillusioni, sconfitte, paure. La passione per proporre nei diversi luoghi (le famiglie, la scuola, i tribunali, le città) e alle professioni specifiche alle quali spesso lasciamo l’incarico di “gestire” i diversi conflitti, l’esigenza di riflettere sulla necessità di richiamare e rimettere in quota, oltre alle funzioni di cura e del prendersi cura, anche il valore della riparazione. I DESIDERI Il desiderio di non lasciare al bisogno di sicurezza, oggi imperante, la strada aperta della politica, della politica sociale, della vita nei quartieri delle città, nelle scuole, nelle case: se è così, se diventa primario questo bisogno resta solo da decidere come rinforzare la sfera del controllo e da alimentare gli strumenti e gli operatori che lo eseguono. Resta da decidere quale modalità riesce a garantire meglio la certezza dei comportamenti degli altri, lontani e vicini, in modo da togliere ogni forma di imprevisto nei tragitti e nei percorsi dei rapporti di convivenza. Rimane ancora, comunque, da decidere quale cura è più efficace per sanare le insicurezze interne ai nostri comportamenti. Il desiderio di non lasciare solo alle scienze il compito di insegnare le pratiche di soluzione dei conflitti (la mediazione è una di queste), ma rimettere anche le coscienze nella prospettiva di pensare alle possibilità 148 di dare futuro e spazio alle storie, alle vicende, ai sentimenti impregnati di sofferenza. Il riconoscimento può nutrirsi attraverso gli sguardi e le parole. Il desiderio di accompagnare le persone ad attraversare un po’ quello che di solito è facile “mettere sotto una pietra” quando sei vittima di continui soprusi a scuola, di gesti violenti che hai denunciato, di silenzi e liti con la persona che ti accorgi di non amare più. Il desiderio di sviluppare l’idea che l’antidoto all’insicurezza, alla paura, al sentirsi vittime non risiede nei luoghi del controllo e della certezza della punizione e della pena, ma nella dimensione del riconoscimento e della responsabilità. UN ULTIMO DESIDERIO Contribuire a diffondere alcune parole e lasciare alcuni pensieri che aiutino a “stare nel mezzo” dei conflitti e della libertà umana di riconoscerli e di accoglierli. 149 BIBLIOGRAFIA AV. VV., I tempi del tempo, Bollati Boringheri, Torino, 1993. AV. VV., La Médiation dans tous ses états, numero monografico di LE GROUPE FAMILIAL, n. 125, ottobre/dicembre, Paris, 1989. AV. VV., Divorce mediation: perspectives on the field, JOURNAL OF DIVORCE, SPECIAL DOUBLE ISSUE, Vol. 8, n. 3/4, Spring/Summer, 1985. ABELSOHN D., Tratando con la dinamica de la abdicacion en la familia despues del divorcio: un contexto para la crisis adolescente, TERAPIA FAMILIAR , N. 15, 1986. AHRONS C. R., The good divorce, Harper & Collins, London, 1995. 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