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un`analisi su come i contributi del “crowd” vengono valorizzati
FACOLTA’ DI ECONOMIA
DIPARTIMENTO DI MANAGEMENT
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN TECNOLOGIE, CERTIFICAZIONE E
QUALITA’
UN’ANALISI SU COME I CONTRIBUTI DEL “CROWD”
VENGONO VALORIZZATI TRAMITE IL
CROWDSOURCING E IL CROWDFUNDING
Relatore
Ruggieri Roberto
Correlatore
D’Ascenzo Fabrizio
Laureando
Sforza Simone
Anno accademico 2012/2013
Quest’opera è regisrata con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Unported
INDICE
INTRODUZIONE…………………………………………………………..…….4
CAPITOLO PRIMO
1.1 Cosa si intende per Crowd……………………………...………………………6
1.2 Che cosa lo rende prezioso per le aziende………...........................................…7
1.3 Quindi basta seguire la folla?..............................................................................9
CAPITOLO SECONDO
2.1 Il Crowdsourcing…………………………………………………………..…..11
2.1.1 Intelligenza collettiva………………………………………………….…….15
2.1.2 Wikinomics...........................................................................................……..17
2.2 Come si sviluppa e perché…………………………………………………….19
2.3 Crowdsourcing per chi e per cosa?....................................................................28
2.4 Requisiti per il Crowdsourcing…................................................................…..35
2.5 Criticità del fenomeno…………………………………………………...…….36
2.6 Casi di successo…………………………………………………...………..…38
CAPITOLO TERZO
3.1 Il Crowdfunding, un fenomeno work-in-progress……………………………..42
3.2 A chi serve e perché?..........................................................................................45
3.3. Il finanziatore giusto al momento giusto….…………………………………...50
3.3.1 Business Angel……….………………………………………………………52
3.3.2 Venture capital……….………………………………………………………54
3.3.3 Quotazione…………………………………………………………………...55
3.4 I tipi di Crowdfunding…………………………………………………………56
2 3.5 Che legislazione per il Crowdfunding?................................................................62
3.6 Come realizzare una campagna per il Crowdfunding…...……………………...82
3.7 Piattaforme digitali per il Crowdfunding……………….………………………88
3.8 Casi di successo……………………..…………………………………………..92
3.9 Che cosa manca per il grande salto…….……………………………………….94
CONCLUSIONI………………………..…………………………………………..98
BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………..101
SITOGRAFIA……………………………………………….……………………..102
3 INTRODUZIONE
La motivazione che ha mosso le mie intenzioni nel produrre una tesi sul nuovo ruolo
che la massa sta assumendo è stata in principio la curiosità per un fenomeno del
quale sono venuto a conoscenza nel mio soggiorno studi negli U.S.A. nel 2011,
mentre in Italia era ed è tutt’ora un fenomeno di nicchia, che piano piano sta
trovando i suoi seguaci. Curiosità che si è ben presto trasformata in passione, per un
fenomeno, meglio denominato come Crowd (massa), declinato secondo le varie
caratteristiche funzionali in Crowdsourcing e Crowdfunding.
Tale fenomeno ha in se le peculiarità che stanno rivoluzionando il mondo del
business, di ogni genere di business, sia esso transoceanico o locale, professionale o
amatoriale, remunerato o gratis.
Nel prosieguo del lavoro ho posto particolare attenzione a destrutturare il fenomeno e
trattarlo in ogni sua forma ed evoluzione.
Entrando nel merito del lavoro; nel capitolo primo introduco il lettore al fenomeno
del Crowd e cosa lo rende “rivoluzionario”, ritengo che per avere consapevolezza
sulle potenzialità bisogna conoscere con chi abbiamo a che fare. Nel capitolo
secondo affronto uno dei due temi “core” della tesi, ossia il Crowdsourcing, da dove
esso origina, come funziona e com’è usato dalle aziende, con le presentazioni di casi
di successo. Nel capitolo terzo affronto il tema del Crowdfunding, da ogni sua
prospettiva, vero punto focale del lavoro svolto, una funzione che più di tutte tra
quelle del Crowd si sta sviluppando nel mondo per numero ed importanza, ne
4 illustrerò le diverse forme e usi, i casi di successo e la preparazione, mettendolo a
confronto con modelli simili di finanziamento, complementari al Crowdfunding.
Le Conclusioni oltre a rappresentare la “summa” del lavoro descritto, proiettano
questo fenomeno in avanti, accennando circa quelli che potrebbero essere nuove
possibili applicazioni, per differenti scopi da quelli affrontati in questo lavoro.
L’obiettivo che si vuole raggiungere è di fornire un’efficace fotografia del fenomeno
da me scelto, in ogni sua variante, con particolare riguardo al Crowdfunding,
permettendo al lettore di carpirne le origini, gli sviluppi, gli scopi, i tempi e i costi, i
pro e i contro, di un fenomeno che sta attirando su di se l’attenzione persino dei più
tradizionalisti.
5 CAPITOLO PRIMO
1.1 Cosa si intende per Crowd
Traduzione letterale del termine anglosassone Crowd è folla, massa, moltitudine di
persone…
Ma cosa c’è di nuovo allora che non vi fosse già prima, e che rende questa parola
roboante per gli addetti ai lavori?
Tutto, oserei dire, in quanto il termine Crowd che qui si vuole analizzare non sta ad
indicare la semplice somma algebrica di individui sconosciuti, ma l’aggregazione
spontanea o ad hoc di un vasto insieme indefinito e distribuito di persone, che non
necessariamente debba conoscersi o condividere le stesse idee, organizzato in
community digitali perché possa fornire una collaborazione di massa convergente
verso uno scopo.
FOLLA INTERNET SCOPO CROWD 6 Vi è un’ulteriore novità, non a caso ho usato nella parte di testo introduttiva al lavoro
in questione la parola “assumendo” riferendomi alla massa, alla folla, - d’ora in
avanti “Crowd” - intendendo con ciò il fatto che in questo fenomeno il Crowd non è
accessorio, assoggettato, subordinato all’azienda, ma bensì ne è il principio, il cuore,
in inglese direi “the trigger” ossia l’innesco, la causa scatenante.
1.2 Che cosa lo rende prezioso per le aziende
Come si evince nel paragrafo precedente il prodotto del Crowd, inteso ancora una
volta come fenomeno di aggregazione di azioni e idee è, nel significato più puro e
astratto, “l’attenzione” che una moltitudine di persone rivolge ad un qualcosa, sia
esso un hobbies, un gioco, un prodotto, un servizio, una fatto, un problema, etc.
Cosa c’è allora di più prezioso per un’azienda che non la possibilità di assecondare,
controllare, addirittura prevedere l’attenzione del mercato su un determinato topic
(argomento)? Perché di questo si tratta, ed è per questo che le aziende si stanno
alacremente organizzando. Per conoscere cosa al mercato piace, e ancor più
strabiliante, cosa il mercato richiede e cosa il mercato fa per ottenerlo.
Tanto da far prefigurare in esso un partner strategico o meglio ancora un consulente
aziendale il quale ci suggerisce se un progetto interessa (quindi investirci tempo e
denaro) o meno (cambiare direzione).
Per molti il potenziale del Crowd va persino oltre il mero valore economico
sfruttabile da un’azienda, ad esso si associano funzioni assai più profonde e
sociologiche. Come scrive l’economista J. Surowiecki, che parla di Saggezza della
folla, ovvero una teoria secondo la quale la massa sarebbe in grado di fornire una
risposta adeguata e valida ad una domanda più di quanto non siano in grado di farlo i
singoli esperti.
Secondo J. Surowiecki ci sono quattro criteri che devono venire rispettati perché la
teoria funzioni:
-
Diversità d’opinione: ogni persona deve avere un’opinione differente.
7 -
Indipendenza: le opinioni delle persone non devono venir influenzate da
quelle altrui.
-
Decentralizzazione: nessuno deve essere in grado di pilotarla dall’alto.
-
Aggregazione: le opinioni devono essere aggregate in modo da ottenere un
risultato finale.
Secondo la teoria della saggezza della folla:
• Deve essere possibile riassumere in un unico pensiero la moltitudine di pensieri
delle persone che fanno parte della folla.
• La folla è molto più intelligente della persona più intelligente che ne fa parte.
• Devono venire rispettate le tre condizioni di diversità, indipendenza e
decentramento.
• Troppa comunicazione può rendere il gruppo meno intelligente.
• E’ necessario che vi sia un sistema di aggregazione dell’informazione.
• Le migliori decisioni nascono da una discussione.
• L’informazione corretta deve essere raggiungibile dalle giuste persone, nel
momento giusto e nel luogo giusto.
Come esempio Surowiecki riporta quello dell’antropologo F. Galton, il quale chiese
ad un gruppo di persone quale fosse il peso del bue che stava loro di fronte. La media
delle risposte date dalle persone comuni si rivelò più corretta di quanto non fossero le
risposte dei singoli esperti.
O ancora quello del professore di economia J. Treynor che chiese ad un gruppo
composto da 56 individui di stimare quante caramelle vi fossero all’interno di un
barattolo e, quando in seguito fece la media delle risposte ricevute, ottenne un
numero che si avvicinava molto di più alla realtà di quanto non lo facessero le
risposte prese singolarmente degli individui che avevano partecipato all’esperimento.
La media delle risposte era infatti di 871 e si avvicinava di molto al numero di
caramelle che il barattolo conteneva realmente, 850.
Applicazioni di tale teoria non mancano anche in molti strumenti popolari del Web
2.0, vedasi Wikipedia, Yahoo Answers, PageRank di Google, etc.
8 Va detto altresì che il confine che divide tali applicazioni da forme più
strumentalizzate del fenomeno è assai sottile, tanto da essere classificate sovente tra
le linee del ben più noto Crowdsourcing - trattato nei capitoli che seguiranno - .
Traspare sin da ora ad una attenta analisi che i vantaggi che tale strumento (il Crowd)
può offrire sono di diversa gamma.
1.3 Quindi basta seguire la folla?
Pensare di affidarsi ciecamente al Crowd senza la consueta cautela non è prudente ne
avveduto, tanto più se lo si fa per un tornaconto economico.
Bisogna analizzare e conoscere il Crowd, le sue peculiarità, per sfruttarne il
potenziale.
La fonte del Crowd è innanzitutto sparsa in tutto il mondo, ciò vuol dire dover saper
dove e come raggiungere quello che fa al caso nostro.
E’ composto da un mix di attori per ogni livello dello scibile umano e molto spesso il
contenuto è effimero o inutile o addirittura fuorviante, va quindi filtrato tutto, attivare
e mantenere una costante cernita per separare, come si suol dire «il grano dal loglio».
Per sua natura il Crowd offre un prodotto che è la somma di innumerevoli e
minuziose partecipazioni della cosiddetta forza lavoro che lo compone, ciò vuol dire
che il compito che il Crowd svolge proviene da ritagli di tempo di poche ore anche
minuti che ogni workers dedica alla causa. Ottenere un risultato efficace affidandosi
al Crowd significa dover dividere il lavoro o problema che sia, in micro parti, in
modo che i componendi del Crowd scelgano dove, come e quanto tempo dedicare
alla parte interessata.
Non mancano a fronte dei punti appena detti delle critiche al fenomeno del Crowd
che, contrariamente a Surowiecki ne evidenziano i limiti.
Uno dei maggiori critici alla saggezza della folla è l’informatico statunitense J.
Lanier, secondo il quale la saggezza della folla può funzionare solo quando alla folla
9 vengono poste domande le cui risposte non richiedono nulla di più articolato di
singoli numeri o valori.
Lanier critica l’idea che il prodotto di una massa di individui sia migliore del
prodotto del singolo. Viene criticata in particolar modo la tesi che più la massa di
persone che collaborano ad un progetto è ampia più gli errori interni a questo sono
limitati.
Secondo Lanier la teoria della saggezza della folla può funzionare bene fino a
quando viene limitata alla cultura popolare (vedasi Wikipedia, citata dallo stesso),
ma fallisce nel momento in cui viene applicata a campi scientifici nei quali occorre
rigore ed alta competenza. L’innovazione e la scienza secondo Lanier sono guidate
da esperti ed intellettuali e non possono essere portate avanti da una massa di
individui.
Altri autori in periodi diversi hanno criticato l’efficacia della folla, tra i quali si
annotano C. Shirky, G. Le Bon, Freud e lo stesso cofondatore di Wikipedia Larry
Sanger è altrettanto scettico che le folle senza essere guidate possano giungere ad un
risultato soddisfacente in qualsiasi campo.
Non è azzardato a questo punto dire quindi che quale che sia il ruolo affidato al
Crowd, esso dipenderà essenzialmente dalle aspettative che in esso vengono riposte,
dalle quali dipenderà, la valutazione del risultato.
10 CAPITOLO SECONDO
2.1 Il Crowdsourcing
Farà il lavoro la persona con la giusta combinazione di talento, volontà e qualche
ora libera.
Jeff Howe
Tentare di spiegare cosa sia il crowdsourcing è tentativo non facile e me ne rendo
conto a mano a mano che approfondisco le ricerche del caso, ciò che emerge
ovunque le mie ricerche mi abbiano condotto è un misto di aspettative per l’enorme
potenziale che si intravede in tale “nuova” teoria e paure per un eccesso di euforia
disfattista.
Pur tuttavia è d’obbligo una presentazione che ne sottolinei i punti focali. Il
Crowdsourcing è innanzitutto un neologismo, coniato dallo scrittore Jeff Howe nel
2006 in un’intervista sul magazine Wired nella quale egli descrive il fenomeno come
un nuovo modello di business in cui un’azienda esternalizza funzioni e attività per
intero o in parte ad un insieme di individui esterni indistintamente distribuito (il
Crowd).
Da allora il termine è diventato molto noto fra gli appassionati e in ambito business,
pur non essendo il primo ad aver trattato quei principi che lo descrivono, infatti, altri
autori in tempi diversi, hanno dato forma pian piano al modello che ha preso poi il
nome di Crowdsourcing, tra i quali vanno citati; C.K.Prahalad e V. Ramaswamy che
nel 2000 introdussero il concetto di co-creation nell’articolo sull’Harvard Business
Review, o più recentemente Don Tapscott e Anthony D.Williams nel 2006 con il
libro Wikinomics - trattato in seguito - .
11 Va inoltre detto che già molto tempo prima che il fenomeno fosse affibbiato e
classificato con nomi e principi veniva di fatto usato per differenti scopi. Si citano tra
i più degni di nota due casi;
• «La costruzione del Duomo di Firenze si ferma all’improvviso all’inizio del 1400.
Nessuno ha trovato una soluzione valida per la copertura della celeberrima cupola:
come costruire e dove appoggiare le enormi centine di legno che avrebbero dovuto
sostenerla, fino alla chiusura definitiva con la chiave di volta? L’architetto aveva
previsto una cupola diversa, più tradizionale. Ma il progetto è stato modificato, e ora
servono risposte. L’opera del Duomo indice, dunque, un concorso pubblico, aperto a
tutta la cittadinanza. Secondo la tradizione, non vinse nessuno: e la conclusione
dell’opera, ancora oggi un capolavoro dell’architettura, viene affidata a Filippo
Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti. Secoli dopo la facciata, dalla quale Francesco I alla
fine del 1500 aveva rimosso marmi e sculture preferendo una versione dipinta, è
ancora incompleta dopo interventi posticci e provvisori durati trecento anni.
Finalmente, nel 1864, viene indetto un nuovo concorso. Arrivano moltissimi progetti
(oggi esposti al Museo dell’opera del Duomo), e il vincitore inizia i lavori pochi anni
dopo. Ma l’architetto muore, e così il suo successore, e i lavori si fermano tra mille
polemiche. Resta un dubbio sulla conclusione della facciata: le navate laterali vanno
coronate con un ballatoio piano, come nelle antiche basiliche, o con delle cuspidi
come nel Duomo di Orvieto? Vengono costruite sulle due navate le due versioni
possibili, una per lato. E si indice un referendum, coinvolgendo tutta la popolazione,
per chiedere consigli utili a prendere la decisione. Vincerà l’attuale versione con il
ballatoio, inaugurata nel 1887.
• Italia, primi anni ‘50. L’Agip di Enrico Mattei ha scoperto da poco un importante
giacimento di petrolio vicino Piacenza, e si prepara ad immettere una nuova benzina
sul mercato: la “Supercortemaggiore”. Di lì a poco sarebbe nato l’ENI, come
organismo di gestione e controllo della produzione e distribuzione degli idrocarburi
in Italia. Mattei, che non è uno sprovveduto, vuole associare una forte immagine
pubblicitaria al nuovo carburante Agip.
Rifonda quindi l’ufficio pubblicità e lancia un contest, aperto a tutti gli italiani, per la
12 creazione di un marchio, di alcuni cartelloni stradali (con il mitico slogan: “La
potente benzina italiana”) e per la colorazione delle colonnine dei distributori. Il
premio totale ammonta alla bella cifra di 10 milioni di lire: moltissimi, per l’epoca
(oggi ammonterebbero a 124 mila euro). La giuria è composta da personaggi di
grande rilievo nel mondo dell’arte e della comunicazione dell’epoca: l’architetto Giò
Ponti, Mario Sironi, Mino Maccari, Antonio Baldini, Silvio Negro. Il concorso ha un
successo strepitoso: sono oltre quattromila i bozzetti presentati da appassionati,
disegnatori, designer, uomini qualunque. Ci vogliono quattordici riunioni della
Giuria per scegliere, finalmente, il vincitore: il canedrago a sei zampe, dello scultore
Luigi Broggini coadiuvato da Giuseppe Guzzi (c’è anche qui una interessante
vicenda sulla vera paternità dell’opera: ma non è questo il luogo per approfondirla).
Lo stesso drago a sei zampe che, presentato ufficialmente nel 1954, diventa il
simbolo dell’Eni: ancora oggi, dopo due restyling (di cui il primo, celeberrimo, ad
opera di Bob Noorda negli anni ‘70), è rimasto pressoché intatto».
Dagli usi più noti e nobili al quelli puramente ludici il Crowdsourcing è impiegato in
diversi settori e per diverse attività, è difficile quindi ad oggi definirne i confini.
Siamo a mio avviso ancora nella fase di genesi del fenomeno, che abbisogna quindi
di tempo per un uso più efficiente.
Il crowdsourcing, come già accennato, può essere visto essenzialmente come un
modello di produzione e risoluzione dei problemi. Nell'accezione classica del
termine, viene richiesta la risoluzione di un determinato problema a un gruppo non
definito di persone. Gli utenti, il "crowd" (folla), solitamente si riuniscono in
comunità online, le quali forniscono una serie di soluzioni, che vengono poi vagliate
dal gruppo stesso o piattaforma o ancora dal Crowdsourcer, alla ricerca delle
soluzioni migliori. Queste soluzioni appartengono all'istituzione o all'individuo che
ha inizialmente presentato il problema e gli utenti che hanno contribuito a trovarle in
alcuni casi vengono ricompensati in denaro o premi o con riconoscimenti, in altri con
la semplice soddisfazione intellettuale, riconoscimento sociale, autostima.
Il Crowdsourcer dal canto suo otterrà e utilizzerà a proprio beneficio i contributi
ottenuti. Grazie al Crowdsourcing, le soluzioni possono provenire da utenti non-
13 professionisti o volontari che lavorano al problema nel loro tempo libero, o da esperti
e piccole imprese che erano sconosciute all'istituzione committente.
La differenza con l’outsourcing, (processo di moda negli anni ’80 e ’90 con il quale
si affida un’attività a un solo contractor esterno selezionato, per trarne un mero
vantaggio economico irrealizzabile altrimenti se fatta internamente e che, terminata
la commissione cessa ogni rapporto con il committente) sta nel fatto che con il
Crowdsourcing le imprese ottengono si, spesso un vantaggio anche economico in
termini di ingenti risparmi, ma non rappresenta il compito principale, che consiste
nel poter reperire e gestire in forma flessibile e veloce un ampio numero di lavoratori
quando se ne ha necessità e con differenti set di capacità ed esperienza. Inoltre coloro
che si iscrivono alle piattaforme di Crowdsourcing molto spesso creano delle
community online e attraverso forum dedicati possono continuamente seguire i
progetti o le aziende che interessano, scambiare opinioni con la community per
confrontarsi su ogni caso.
Per quanto simile sia il Crowdsourcing differisce anche dall’Open Source (dove
programmatori indipendenti collaborano allo sviluppo di un software con codice di
sorgente aperto a chiunque lo voglia migliorare) in quanto il primo è comunque
frutto di una iniziativa lanciata da un’organizzazione e non da la mera attività
cooperativa e volontaria di alcune persone.
Cosi come differisce dalla pratica di Open Innovation in quanto quest’ultima non ha
la stessa portata, velocità e ricchezza delle risposte.
A questo punto viene naturale chiedersi: cosa ha innescato tale fenomeno che sta
permeando sempre più all’interno di molti business e brand di portata internazionale
(Google, Microsoft, Nestlé, Unilever, Honda, IBM, tanto per citarne alcuni) e che si
dirama nell’economia nonostante le somiglianze con modelli simili ?
I very trigger, ossia le cause scatenanti, sono l’incessante avanzamento tecnologico,
la diffusione di strumenti del web 2.0 che stanno contribuendo ad abbassare le
barriere d’ingresso alla folla - prima ad esclusiva di una piccola elite di persone con
una laurea appesa - e stanno riducendo il gap tra professionisti e dilettanti, tra
produttori e consumatori e per ultimo direi, la crisi del sistema economico-industriale
14 al livello mondiale che ha intaccato i vecchi modelli di creazione del valore,
lasciando spazio a strumenti democratici di creazione.
Stiamo assistendo alla fine dell’era industriale con i suoi dogmi e siamo all’origine di
un’era definita di cultura partecipativa.
2.1.1 Intelligenza collettiva
Nello svolgimento delle mie ricerche al fine di studiare e scoprire sempre più il
fenomeno del Crowdsourcing mi sono più volte imbattuto in rimandi concettuali dal
nome di “Intelligenza collettiva”.
Come un pazzle che tessera dopo tessera si completa ho scovato le radici del
Crowdsourcing.
Dalle ricerche è emerso che l’intelligenza collettiva, come descritta da molti teorici, è
un particolare modo di funzionamento dell’intelligenza che supera tanto il pensiero
di gruppo (e le relative tendenze al conformismo) quanto la cognizione individuale,
permettendo ad una comunità di cooperare mantenendo prestazioni intellettuali
affidabili.
In questo senso, essa è un metodo efficace di formazione del consenso e potrebbe
essere considerata come oggetto di studio della sociologia.
Una concezione meno antropocentrica (se mi è concesso, esempio molto calzante)
che emerge in alcuni studi di biologia e sociologia è l’ipotesi che un gran numero di
unità (come ad esempio le api di un’alveare) possano coopeare tanto strettamente da
divenire indistinguibili da un singolo organismo, raggiungendo un unico livello di
attenzione che costituisce un’adeguata soglia di azione.
È ciò a cui si riferiva molto probabilmente (anche se il termine non era stato coniato)
Thomas Jefferson, padre fondatore degli Stati Uniti d’America, con il motto: “la
miglior difesa di una nazione è una cittadinanza istruita”.
15 Ed in effetti non sbagliava affatto, sia perché l’intelligenza collettiva (come studiato
negli anni a seguire) ha importanti risvolti sociali e politici, sia perché in sostanza il
nocciolo della teoria è che “l’unione fa la forsa”.
Se poi questa forza convergente di intelligenze individuali si autoorganizza in
comunità senza esculdere le diversità al proprio interno (concetto trattato in seguito)
il risultato sarà una potente leva con effetti massivi a livello culturale, sociologico,
politico e antropologico.
Andando a ritroso non sorprende affatto che nelle passate epoche industriali, con
strascichi fino alla nostra era, scuole, centri di formazione e grandi corporazioni
tesero a favorire la separazione delle elite, dalle persone che dovessero seguirle,
separazione intesa inoltre come bagaglio di conoscenze accessibili ai due gruppi,
esaltando la burocrazia e la segretezza.
Quando al contrario i cittadini dovrebbe essere concepiti come frammenti di
un’intelligenza pubblica a cui devono essere forniti tutti i mezzi per giudicare e
controllare, nella visione di Robert Davis Steel Vivas.
Di seguito riporto le definizioni di due pionieri dell’intelligenza collettiva:
George Por, definisce questo fenomeno come “la capacità di una comunità umana di
evolvere verso una capacità superiore di risolvere problemi, di pensiero e di
integrazione attraverso la collaborazione e l’innovazione”.
Pierre Lévy, in un’intervista descrive cosi il suo concetto di intelligenza collettiva,
“In primo luogo bisogna riconoscere che l’intelligenza è distribuita dovunque c’è
umanità, e che questa intelligenza, distribuita dappertutto, può essere valorizzata al
massimo mediante le nuove tecniche, soprattutto mettendola in sinergia. Oggi, se due
persone distanti sanno due cose complementari, per il tramite delle nuove tecnologie,
possono davvero entrare in comunicazione l’una con l’altra, scambiare il loro sapere,
cooperare. Detto in modo assai generale, per grandi line, è questa in fondo
l’intelligenza collettiva”.
16 2.1.2 Wikinomics
Altri autori, prima di Jeff Howe, avevano trattato gli stessi argomenti come Don
Tapscott e Anthony D. Williams nel libro “Wikinomics” del 2006. La ragione del
successo di Howe e del suo Crowdsourcing è stata quella di aver dato un nome al
fenomeno, oltre che ad una più completa ed articolata contribuzione al fenomeno
della partecipazione alla creazione come valore.
È doveroso citare questa teoria sempre nell’ottica delle tessere di un grande pazzle
che compongono il Crowdsourcing.
Il concetto di Intelligenza Collettiva precedentemente illustrato si concretizza a pieno
nella teoria “Wikonomica” elaborata dai due autori.
Andando per ordine, il termine può essere scomposto in due parti Wiki-Economics,
che letteralmente significa economia basata sulle tecnologie wiki. Wiki (termine
hawaiano che significa rapido e veloce) indica un software collaborativo o un sito
web che permette la partecipazione, utilizzazione e modifica libera da parte dei suoi
utilizzaztori, i cui contenuti sono sviluppati dagli utenti stessi (non a caso da qui
deriva la nota enciclopedia Wikipedia).
Il concetto dietro la teoria della “Wiconomics”, è un concetto che va oltre la
semplice aggregazione di contenuti, esso rappresenta la massificazione del principio
di condivisione e collaborazione su scala globale, applicato ai processi produttivi
come anche all’economia, alla politica, alla società in generale. In ottica futuristica
esso rappresenta il “fare business del XXI secolo”, un business che stravolge lo
status quo in azienda e reinventa i rapporti di gerarchia e priorità che per secoli
hanno prevalso nella società tutta.
Abbatte, nei suoi principi, il muro che divideva produttori e consumatori, aziende,
mercato e società, ripensando la proprietà intellettuale e brevettuale in maniera più
condivisa «basti pensare all’idea venuta ad un avvovato che gestisce il portafoglio
brevetti della IBM di aprire i brevetti alla peer review “revisione fra pari” dove, su
modello Open Source o Yahoo! Answers persone comuni revisionavano domane di
brevetto, e anche con un discreto successo, perché su 20 domande presentate 33.000
persone (trentatremila…..) esaminarono e trovarono 192 casi di “arte anteriore”, il
tutto spendendo 0 (zero)».
17 La Wikinomics intravede in Internet e in ogni strumento in esso operante (chat,
forum, blog, community, email), un’arma di costruzione di massa, dove
consumatori, lavoratori, produttori, fornitori e concorrenti, creano valore insieme,
sfruttando appunto l’Intelligenza collettiva.
La teoria della Wikinomics è composta da quattro principi fondamentali:
-
Apertura (permeabilità delle aziende verso gli stakeholder esterni, con
particolare riguardo ai contributi provenienti da questi).
-
Peering (lo scambio e la collaborazione libera aperta a molti non è più visto
come un aspetto nocivo da evitare per l’azienda).
-
Condivisione (diffondere e allo stesso tempo ricevere conoscenze preziose
per la propria innovazione permette di ridurre drasticamente i tempi e i costi
di realizzo).
-
Azione globale (l’era delle aziende internettiane allarga i confini di azione e
di impatto delle stesse).
Ai quali vanno ad aggiungersi sette modelli di collaborazione di massa:
-
Peer Production (modalità di produzione basata su comunità paritarie e autoorganizzate).
-
Ideagorà (come piazze virtuali di idee e soluzioni dove poter trovare e
commerciare questo bene intangibile).
-
Prosumer (figura ibrida tra consumatore e produttore, è figlia delle
applicazioni web 2.0, che permettono un’interazione in tempo reale
dell’azienda con il mercato target).
-
Nuovi Alessandrini (individui, aziende e organizzazioni che costantemente
arricchiscono di nuove conoscenze delle piattaforme digitali, per lo scambio e
la crescita comune).
-
Piattaforme Partecipative (ecosistemi nati con l’intento di permettere lo
sviluppo di beni e servizi innovative attraverso la partecipazione
collaborative).
18 -
Catena di Montaggio Globale (l’espanzione orizzantale delle nuove imprese
gode dei vantaggi intrinsechi nella pluralità e nella diversità dei suoi
componeni).
-
Wikimpresa (l’impresa 2.0 è sempre più dematerializzata. L’apporto dei
contributi e dei rapport interni è ubiquitario, immediato, automono,
divertente).
I principi e i modelli della Wikinomics non fanno altro che pronunciare la
ridondanza di questi con il mondo nel quale si sviluppa il fenomeno del
Crowdsourcing. Sottolineando il fatto che la Wikinomics è il punto di partenza di
una consapevolezza verso una mutazione della folla, del mercato, dei concorrenti e
delle opportunità da sfruttare. In sintesi; la collaborazione di massa sta mettendo in
discusione i modelli di business tradizionali
2.2 Come si sviluppa e perché
Non uno, ma un mix di elementi, al posto giusto al momento giusto, compongono il
perché e il come del successo del Crowdsourcing.
I punti qui descritti sono a mio avviso i nodi che compongono la rete del
Crowdsourcing, pertanto ho ritenuto più opportuno una loro singola elencazione.
• L’ascesa dell’amatore, ovvero colui che si diletta in un qualcosa non a tempo
pieno, il cui prodotto viene quindi chiamato amatoriale, è in questo caso il
carburante del Crowdsourcing.
Se volessi dare una definizione drastica quanto mai breve al Crowdsourcing direi che
questo fenomeno è niente di più niente di meno che; il frutto della capitalizzazione e
valorizzazione dei prodotti amatoriali. Il valore del Crowdsourcing sta nel fatto che
questo fa tesoro delle capacità extra che ogni persona possiede, capacità che molto
19 spesso esulano dal lavoro quotidiano e che queste persone vogliono impiegare nei più
vari campi di interesse personale.
A riguardo ho già accennato nei paragrafi precendenti ma è sempre utile ricordare
che l’apporto della folla, degli amatoriali, è non sempre retribuito, ciò sottolinea la
spontaneità degli interessi di ogni persona per un qualcosa.
Mi preme quì far notare che il prodotto amatoriale non deve essere associato
all’ignorante, o alla bassa qualità. Quante volte sentiamo o conosciamo persone che
pur facendo tutt’altro nella vita, magari l’avvocato o il medico, eppure si
appassionano e contribuiscono a loro modo al mondo dell’astronomia, per citare un
esempio, o della scrittura… il mondo è pieno di bassa qualità è vero ma questa è altra
cosa, non dipende certo dal Crowdsourcing anzi, questo molto spesso fa da filtro
riconoscendo i contributi migliori (come in seguito spiegherò).
Il riscatto che stanno avendo i contributi amatoriali rappresenta oggi una una grande
fetta dell’economia mondiale, difficilmente quantificabile, basti pensare al valore di
Google, Youtube, Facebook, Ebay, Myspace, etc, che vivono di “user generated
content”. Ma cosa ancora più importante è che anche molte aziende che non siano
internet based si stanno affacciando al mercato dei contributi amatoriali, si pensi ad
esempio al mondo dell’informazione, con i giornali che pubblicano materiale
proveniente da non professionisti o anche della meccanica, mi viene in mente la
campagna di personalizzazione degli interni della Fiat 500, o ancora tutte le aziende
che si rivilgono ad InnoCentive (di cui si parlerà in seguito) per contributi alla ricerca
scientifica dal mondo amatoriale. Potrei citare centinaia di esempi per una lista
variegata di aziende di ogni settore, che aprono le porte ai non professionisti,
consapevoli del loro potenziale.
È chiaro che ciò che ha reso possibile tutto questo è stato senz’altro internet, non che
da questo dipenda in tutto e per tutto il Crowdsourcing ne ho già accennato, ma è
indubbio che questo ha contribuito ad innalzare il livello di istruzione e informazione
degli internauti, ad abbassare le barriere di ingresso oltre che avvicinare il mondo
amatoriale alle aziende. Internet ha ha certamente contribuito ad appiattire la
piramide gerarchica che per molti anni ha caratterizzato l’impresa “1.0”, ha permesso
di integrare in azienda un modello bottom-up affiancandolo al tradizionale top-down
classico.
20 Alle imprese di oggi, ma non solo, conviene adottare una strategia pull, surclassando
quella push adottata per anni, non solo ascoltando cosa vuole il cliente in maniera
sempre più diretta, lasciandolo entrare nell’azienda ma addirittura offrire lui gli
strumenti perché possa fare da solo ciò che più gli piace.
Internet non ha inventato il Crowdsourcing, lo ha solo reso più efficiente!
Jeff Howe
• L’Open Source come modello è ciò che si percepisce leggendo tra le righe di
questo fenomeno. L’Open source, un software aperto a chiunque lo voglia vedere,
copiare, usare e migliorare, nato quasi per necessità nel lontano 1969, per contrastare
i sistemi proprietari, sviluppati da programmatori pagati profumatamente da aziende
come Microsoft, Sun microsystem ed Apple, ha avuto negli anni vari step come
Unix, Gnu e il ben più noto Linux (di cui in seguito tratterò).
L’Open Source è il frutto non di pochi contributi commissionati ex ante ma bensì ed
inaspettatamente (per i fondatori) di milioni di ore di programmazione messe a
disposizione da diversi programmatori sparsi in tutto il mondo che hanno "regalato"
il loro tempo ad una causa in cui credevano/credono.
Il risultato? Un modello sfociato in diversi sistemi operativi (Linux, Firefox,
Chrome, Kubuntu, Red Hut, solo per citarne alcuni) considerati tra i più
all’avanguardia oggi sul mercato, ed in continua evoluzione grazie all'apporto di
contributi.
Ebbene l’applicazione dei principi Open Source estesi in campi diversi dal software,
rappresenta il leitmotiv del fenomeno di qui sto trattando, il Crowdsourcing.
• Motivazioni e utilità sono indispensabili per innescare un processo ed alimentarlo,
figuriamoci per una azienda, a cui si chiede di abbandonare stereotipi operativi
costruiti avidamente per secoli e cambiare Business Strategy a favore della
permeabilità verso il "bidello consulente".
21 Quì è bene fare una distinzione sostanziale tra le forze che motivano l'Azienda e
quelle rivolte invece al Crowd.
Per le prime, ossia le aziende, non mi riferisco solo alle ultime nate, quelle nell'era
internet, nate dalla rete stessa e quindi si potrebbe pensare più inclini a tale
fenomeno, no, qui mi riferisco a tutte le aziende, indipendentemente dalla grandezza,
geografia e settore di appartenenza. Le aziende che si avvicinano al Crowdsourcing
possono fare (e alcune già lo fanno) un valanga di soldi, non che questo sia il
vantaggio principale attenzione, ma quale impresa, no-profit a parte, intendere
esistere senza un profitto...
Prima di elencare i vantaggi per queste è bene dire perché questi vantaggi esistono.
Abbiamo detto che con il Crowdsourcing le imprese si rivolgono alle masse (crowd)
come sorgente di contributi (source), ora, una volta che le imprese affinano le
tecniche e si dotano degli strumenti per raccogliere quei contributi utili alla causa ed
efficaci soprattutto per un risultato di qualità, queste si troveranno tre le mani una
massa di creatività, talento, contenuti, ad un costo nettamente inferiore sostenuto per
avere la stessa quantità da un professionista o dipendente. Specialmente se tali
contributi alimentano la sezione R&S che sappiamo essere la più dispendiosa in
termini di tempo e risorse per le aziende.
Mentre prima le aziende cercavano la panacea nella manodopera a basso costo di
Cina, India e Vietnam, ora tale risorsa è ubiquitaria nel mondo, purché abbia una
connessione ad internet. Oserei dire che il "trucco" sta nello scovare, raccolgliere e
selezionare il talento latente di ogni persona dietro un computer.
Se a questo aggiungiamo che, nel mondo ci sono circa UN MILIARDO di persone
collegate ad internet (molto probabilmente già superato), si pensi al talento
potenziale raggiungibile per un’azienda.
E non finisce quì, perché quel miliardo non solo produce per te, contribuisce per te,
ma lo fa quasi gratuitamente, in breve tempo, quando ne hai bisogno e cosa ancor più
ambita da ogni azienda, il miliardo parla di te.
Ciò significa, tradotto in lingua aziendale; Risparmio di costi, Visibilità, Marketing
Virale, Word of mouth, Awareness!!!
Pensiamo cosa potrà accadere quando IL MILIARDO raddoppia o triplica…
22 L’azienda avrà da tutto ciò dei netti vantaggi in termini di manodopera, essendo per
lo più questa “on demand” ovvero su richiesta e al momento in cui serve “just in
time”, evitando cosi deleteri rapporti contrattuali. La formula del Crowdsourcing
elimina anche i rischi di eccessiva dipendenza da una sola azienda “lock in” alla
quale si esternalizza il lavoro e permette di abbassare notevolmente il “time to
market” ed il “cost to market”, sempre per le peculiarita fin’ora descritte.
Per quanto attiene invece alle motivazioni che spingono la folla (Crowd) qui il
discorso si fa più velato, non essendovi un diretto vantaggio economico, salvo i casi
di remunerazione previsti per i vincitori, a spingere il Crowd ad azioni così
altruistiche.
Eppure qualcosa ci dev’essere mi sono chiesto, ed è emersa più di una risposta alla
mia domanda.
Si potrebbero suddividere le motivazioni in intrinseche ed estrinseche.
Le prime sono motivazioni personali della persona, spinte ad esempio dalla passione
per la causa, il divertimento che ne trae, o ancora la semplice curiosità, il senso di
appartenenza sociale, ricerca dell’autostima, sono diverse come è possibile notare
come diverse sono le persone che ne fanno parte.
Le seconde invece, quelle estrinseche, dipendono da un’utilità maggiormente legata
al risultato del contributo apportato, ad esempio potrebbe essere una ricompensa in
denaro, la reputazione che se ne ricava, mera piaggeria, o anche fruttuosa esperienza
per attività simili del quotidiano, insomma qualcosa che possa arrecare beneficio alla
persona una volta compiuto il gesto.
È possibile ulteriormente suddividere queste ed altre categorie di moventi sotto la
classificazione di motivazioni primarie e secondarie.
I fattori motivanti primari individuati in seguito a numerose ricerche sono:
-
Il denaro. Comunque uno degli strumenti più utilizzati e catalizzanti per
stimolare interesse verso qualcosa. L’altra faccia della stessa medaglia è che
la somma prevista (stanziata dall’azienda) per catturare interesse sia
inadeguata per l’obiettivo qualitativo che si vorrebbe raggiungere in termini
23 di contributi. Ovvero un budget “parsimonioso” rischia di limitare i contributi
a quelli più futili, inappropriati e dilettanteschi per la causa impedendo cosi
ogni possibile beneficio che l’azienda potrebbe ricevere come visto
precedentemente.
-
La passione ed interesse per l’argomento. Ognuno di noi predilige
maggiormente delle cose ed altre in misura minore, ebbene un’azienda
dovrebbe puntare ad attirare quelle persone che per contingenze varie siano
interessate all’argomento per ricavarne dei contributi più efficaci al caso in
questione e cosa non da meno per garantirsi un’attenzione più longeva.
-
Basse barriere all’ingresso. Molto spesso l’assenza o l’errata gestione di
opportuni canali di comunicazione con il target di comunità ideale è un
deterrente alla partecipazione. Se ad esempio un’azienda di videogiochi abbia
bisogno di sapere dai propri utenti (quindi un target in maggioranza di
giovane età) cosa e come modificare un prodotto e l’unico modo previsto è
l’iscrizione alla fan page aziendale dietro compenso annuale, perlopiù in
lingua nipponica o finlandese, è chiaro che questo per un utente di quel
target, magari di lingua inglese, rappresenta una barriera all’ingresso che lo
farebbe desistere a favore di aziende che gli danno la possibilità di
partecipare.
Un’altra forma di barriera all’ingresso potrebbe essere la richiesta di
contributi che oggettivamente non possono essere di dominio pubblico. Dare
all’utente una sensazione di possibilità sull’argomento è un forte motivo di
attivazione.
-
Onestà. Fin qui si è detto che il Crowdsourcing è in larga parte contributi in
forma volontaria e gratuita da parte di molte persone. Non deve però questo
rivelarsi una furberia o sfruttamento da parte del crowdsourcer, la folla sa
riconoscere la disonestà ed evitare l’autore, con pesanti conseguenze in
termini di reputazione.
24 Insieme a questi vi contribuiscono altri fattori motivazionali denominati secondari:
-
Reputazione. L’utente che da tale partecipazione vedrà incrementato il
proprio status contributivo sarà motivato ad aumentare la frequenza e la
qualità dei propri interventi.
-
Utilità. Come accennato in precedenza tanto maggiore è il ritorno per l’utente
tanto maggiore sarà l’impeto per questo affinché contribuisca alla causa.
-
Divertimento. Essendo il Crowdsourcing come più volte descritto il frutto di
piccole ore del proprio tempo libero e di extra capacità personale, l’aspetto
soddisfacente e piacevole del contributo è un movente fondamentale.
-
Libertà di luogo. Il Crowd contribuisce alla causa ovunque egli disponga di
una rete internet, nient’altro vincola la persona.
-
Libertà di tempo. Come al punto sopra il contributo dipenderà non da orari
prestabiliti da contratto ma dalla disponibilità della persona.
-
Facilità di uscita. Puo sembrare scontato ma spesso il lavoratore dipendente
non può scegliere liberamente tempi e modi per abbandonare un progetto se
legato ad esempio da forme contrattuali. In questo caso invece, qualsiasi sia
la sopravvenienza, anche fosse la discordanza con la causa del progetto, si
può liberamente uscire, per rientrare quando si vuole.
A conclusione del paragrafo appena descritto ritengo necessario che emerga un
aspetto fondamentale; quale che siano le motivazioni e le utilità che le parti ne
traggono, va tenuto presente che nulla è gratis, intendendo con ciò il fatto che
allestire strumenti per sfruttare il Crowdsourcing, o ancora attirare, creare e
25 mantenere il Crowd attivo è ben più difficile di quello che si possa pensare, oltre al
costo che seppur relativamente minore è comunque presente, vi sono una serie di
responsabilità ed abilità in mancanza delle quali è facilmente decretabile il fallimento
del progetto.
Il Crowdsourcing non è per tutti se non si hanno ben chiare quale che siano le
prerogative per operare.
La folla, le comunità, il Crowd non ha bisogno di capi, non può essere governata,
semmai guidata. Il Crowd ha bisogno di stimoli.
Le aziende non devono chiedersi cosa possono avere dal Crowd, ma cosa loro
possono dare al Crowd.
• La democratizzazione della partecipazione è
stata senz’altro un grande
trampolino per il Crowdsourcing. Prima internet, poi la sempre maggiore
penetrazione digitale e l’incessante avanzamento tecnologico, hanno alimentato
quello che prima era una nicchia insignificante di prodotti di bassa qualità cresciuta
sino ad occupare a mano a mano una posizione di universo parallelo e che oggi
comincia a collidere con il mondo dei professionisti.
Causa di questo è stato negli ultimi dieci anni l’abbassamento dei prezzi di
produzione, di distribuzione e degli strumenti, che ha dato la possibilità ad aspiranti
fotografi, registi, designer, giornalisti, scrittori, di assecondare quelli che
originariamente erano hobbies e passatempo, affinando sempre più tecniche e qualità
fino a concorrere con i prodotti frutto di professionisti. Sinergicamente a questo il
web 2.0 ha dato loro un mercato di sbocco per poter far vedere di cosa erano capaci.
Per dare un’idea basti pensare al passaggio drastico che in appena un decennio ha
portato una macchina fotografica digitale di livello professionale che negli anni ’90
costava circa 13.000 dollari, nel 2005 per la prima volta ha toccato quota 300 dollari,
cifra che chiunque appassionato di ceto medio può permettersi, o il passaggio da 1,5
milioni di dollari per acquistare strumenti per mixare musica a circa 500 dollari per
avere un risultato professionale, o il costo di un computer dieci anni fa dai 15.000
agli appena 1000 dollari di oggi, o ancora l’acquisto di software per l’impaginazione
grafica, le telecamere per la produzione di film, etc.
26 Ovunque la tecnologia ha portato miglioramenti non ha fatto altro che abbassare
l’asticella che divideva il mondo d’elite dei professionisti dai non professionisti,
creando così nuove masse pronte a condividere la propria creatività con il mondo.
E anche se tale creatività passa come ogni altra legge di mercato attraverso la Regola
80/20 di Pareto secondo cui per ogni 100 prodotti l’80% e più sarebbero spazzatura
puerile e dilettantesca, vi è una quantità “il 20%” circa che ben sopperiscono alla
maggioranza. E ne sono la prova la quantità di video presenti in Youtube ad esempio,
che ha convinto Google nel 2006 ad acquistarla per la modica cifra di 1,65 miliardi
di dollari.
Una follia verrebbe da pensare, acquistare una sito dove vengono postati video
amatoriali gratis. Ma che cosa se ne fa Google?
Tutto fuorché follia invece, quello che ha acquistato Google non è tanto gli ingegneri
di Youtube o i video di per se, ma ha acquistato la comunità di gente, la folla, il
Crowd che ogni secondo da ogni parte del mondo passa di la, ha acquistato
l’attenzione. Oltre a Youtube potrei citare Facebook con un potenziale ancora
maggiore valutata oltre 15 miliardi di dollari, MySpace, Ebay, Wikipedia, Twitter,
Flickr, la lista è lunga, per non parlare di quelle che verranno, tutte società che come
valore hanno la comunità che ogni giorno passa per i loro siti.
• La diversità per quanto se ne pensi è il valore aggiunto che al di fuori del
Crowdsourcing le imprese non possono avere, ed è preziosissima. La diversità è un
bene tanto prezioso quanto difficile da mantenere.
Preziosa perché come osserva Scott Page in seguito a molti esperimenti da lui svolti,
le persone conformi a precisi comportamenti o modelli di studio ed analisi dei
problemi, siano essi persone di talento o meno, sono portati a ragionare in modi
simili e precostituiti senza lasciare spazio a logiche che prevedano punti di vista
differenti. Ciò limitando lo spettro di soluzioni possibili per problema.
È difficile da mantenere perché se da un lato la condivisione che avviene sui forum,
blog, community on line è preziosa per la crescita comune, allo stesso modo vi è il
rischio di una convergenza tra gli utenti, che avviene con il dibattito ed il confronto,
creando consenso, ovvero uguaglianza dei pensieri.
27 La diversità rende prezioso il Crowdsourcing perché lo rende portatore di soluzioni,
nuovi punti di vista e spunti per nuovi prodotti che un’azienda rivolgendosi alla
solita cerchia di professionisti non ha.
Se tu hai una mela, e io ho una mela, e ce la scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela
per uno.
Ma se tu hai un’idea, ed io ho un’idea, e ce la scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee.
George bernarde Shaw - Premio Nobel per la letteratura 1925
2.3 Crowdsourcing per chi e per cosa?
Si è fatto cenno in precedenza alla difficoltà di delimitare le funzioni del
Crowdsourcing, essendo questa una “disciplina” di recente emersione e quindi in
continuo mutamento ed ampliamento nei più diversi campi applicativi. Solo il tempo
ci dirà quanti e quali di questi rimarranno, perché effettivamente apportano un reale
vantaggio alternativo.
Quello che però è possibile fare è classificare l’attività frutto del Crowdsourcing così
come oggi è adoperato. Studiosi in materia distinguono tre macrocompiti, 1- per la
creazione di contenuti. 2- per lo svolgimento di attività di routine. 3- per l’apporto di
contributi creativi.
Vediamo ora più in dettaglio cosa si intende per ognuno di essi:
1- Il crowd è generatore e fornitore di contenuti, siano essi in forma video, foto,
scritta o audio.
Esempi in questo sono i contenuti presenti in piattaforme come Youtube,
Flickr, Pintirest, Etsy, Ebay, Facebook, Twitter, iStockphoto, Wikipedia,
Craiglist, solo per citarne alcuni tra i più noti.
Ma non mancano impieghi di contenuti user-generated anche in campi lontani
dal software e più quotidiani come il citizen-jounalism, dove amatori o
28 freelance inviano materiale che entra a far parte della pubblicazione (cartacea
o digitale).
Come anche i contenuti con finalità informativa che il Crowd può fornire alle
aziende o al Crowd stesso attinenti ad un certo argomento. Mi vengono in
mente le recenzioni o valutazioni di alcuni prodotti/servizi da parte dei
fruitori (meglio noto come Crowdvoting), o i forum di assistenza e modalità
d’uso tra utenti.
Il contenuti in ogni caso possono essere valorizzati dall’azienda e “sfruttati”
economicamene per trarne dei profitti, siano essi derivanti da spazi
pubblicitarì o da percentuali su transazioni.
2- Le attività routinarie sono più presenti in un’azienda di quanto si possa
pensare, generando per molte di queste costi molto rilevanti per altro senza
alcun apporto di valore aggiunto che possa in qualche modo ammortizzare
tali costi.
Si pensi agli uffici in tutto il mondo che ogni giorno devono vagliare milioni
di richieste di brevettazione ripetendo per ognuna di esse gli stessi compiti,
alla ricerca di casi di anteriorità esistente, come già accennato nei paragrafi
precedenti, questa funzione potrebbe essere delegata alla folla, nella quale ci
sarà la persona adatta ed esperta nel dare giudizi in materia.
O anche l’ente addetto al controllo per la sicurezza e pulizia delle strade che
richiederebbe un numero di impiegati elevatissimo per segnalare ogni tipo di
infrazione o malfunzionamento che sia, quando invece potrebbe delegare tale
compito alla folla attraverso un apposito portale creato per raccolgliere le
segnalazioni in diretta.
In ogni caso in cui non è richiesta una particolare specializzazione o
applicazione creativa, ma soprattutto si abbisogna di tempo, e nel caso in cui
non si tratti di funzioni “sensibili” per l’azienda, il Crowdsourcing è un utile
strumento di aiuto.
3- I contributi creativi rappresentano la fetta dei contributi del Crowd che
meglio delle altre evidenziano il valore aggiunto di questo fenomeno. Se nelle
29 prime
due
categorie
non
emerge
(sbagliando)
il
potenziale
del
Crowdsourcing, perché considerato come mera aggregazione di prodotti che
non per forza richiedano particolari doti creative o abilità tecniche,
nell’ultimo compito qui individuato invece emerge tutto l’impeto che sta
spingendo questo fenomeno all’attenzione del mercato.
Nel 2005 Eric Von Hippel pubblicò il testo “Democratizing Innovation” nel
quale dimostra come e perché i clienti stessero prendendo nelle loro mani il
processo di innovazione. Egli spiega che il fruitore sa meglio di tutti come e
cosa migliorare proprio perché esso stesso ne fa uso e perciò consapevole
delle performance che meglio lo soddisfarrebbero.
Tra gli esempi pratici che egli riporta vi è quello delle cinghie montate sulle
prime tavole da windsurf, frutto appunto dell’iniziativa di alcuni surfisti, e
subito dopo prodotte dalle stesse case produttrici di tavole.
Clay Shirky ha chiamato questo; downsourcing, ovvero il processo di
spostare verso valle, i clienti, il peso dell’innovazione.
La cosa a mio avviso affascinante di questo ultimo punto sulla creatività da
Crowdsourcing, è che essa può spaziare dalla mera opinione o consiglio a
vera e propria cogenerazione o cosviluppo di un prodotto/servizio (nota come
Crowdcreation). Il livello massimo di uso di tale creatività è la risoluzione di
problemi “complessi”, siano essi informatici, scientifici, medici, manageriali,
che l’azienda non è in grado di risolvere “insourcing”, internamente. Non è
un caso se proliferano progetti aziendali che mirano a questo.
Jeff Howe fa una suddivisione del Crowdsourcing da diversa angolazione che è
importante tenere presente per completezza di concetto.
Egli suddivide l’intelligenza collettiva in tre modelli;
1- Mercato delle previsioni o delle informazioni. Come un mercato azionario
degli investitori comuni comprano dei contratti agganciati a previsioni future,
siano esse l’assegnazione di un premio Oscar o la vittoria presidenziale.
30 Secondo Howe in tale modello l’accuratezza del “valore” del fatto oggetto di
contratto è da ritenersi più accurata di un semplice sondaggio in quanto “gli
stupidi”, come egli chiama coloro che agiscono a caso, si guardano bene di
investire in una cosa della quale non hanno informazioni veritiere, cosa non
garantita nel semplice sondaggio.
Tra i più noti esempi a riguardo cito il caso dell’Iowa Electronic Markets
(Iem), nel quale si trovano quotazioni riguardanti le elezioni di paesi esteri,
variazioni dei prezzi delle azioni di Microsoft, future decisioni della Federal
Reserve (la banca centrale degli Stati Uniti), insomma non proprio frivolezze
come ci si potrebbe aspettare. Molti sono i mercati, creati per ogni cosa,
Itrade, Policy Analysis market, l’Hollywood Stock Exchange ad esempio
fornisce previsioni degli incassi ai botteghini, molte sono le aziende che
consultano tali mercati per effettuare investimenti societari, procedere a
decisioni in ambiti come magazzino, obiettivi di vendita o capacità
manifatturiera.
Per capire in che modo tali mercati delle previsioni creati da “agenti” comuni
siano tenuti in considerazione riporto un recente esperimento condotto da
Hewlett-Packard (Hp) il noto colosso dell’elettronica che, a metà degli anni
novanta creò un mercato dei futures per prevedere le vendite di una serie di
prodotti Hp. Quello che stupì fu non solo il fatto che tali previsioni furono
affidate ai dipendenti, quindi gente comune senza conoscenze tecniche, e non
come vuole la prassi ad analisti e managers, ma ancor più sorprendente fu
che per sei degli otto prodotti soggetti a previsione, i dipendenti (la folla)
batté gli esperti.
Da allora Hp come molte altre aziende tra le quali vanno citate Google,
Microsoft, Goldman Sachs, Deutsche Bank si avvalgono del mercato delle
previsioni per condurre ricerche “aggiuntive” a quelle interne e mettere a
punto più accurate strategie aziendali.
2- Il secondo modello è il network per risolvere i problemi, o Crowdcasting,
qualcuno con un problema lo rende noto su speciali piattaforme dove
31 community di esperti in vari campi tentano di risolverlo molto spesso dietro
ricche ricompense in denaro.
Tra gli esempi più noti vi sono InnoCentive, Netflix Prize, Nine Sigma,
Prize4life.
Il caso InnoCentive:
InnoCentive è una società nata nel 2001, il cui lancio venne finanziato
dall’azienda farmaceutica Ely Lilly, che permette sostanzialmente alle
aziende di esternalizzare il reparto R&S per risolvere casi ad hoc. Questa
piattaforma mette in contatto i seeker (le aziende che devono risolvere un
problema) con i solver (comunità online di ricercatori indipendenti, membri
della piattaforma, oggi stimati intorno ai duecentomila).
InnoCentive funge da intermediaro, per garantire al vincitore del concorso il
premio previsto e alle aziende l’anonimato, il titolo della proprietà
intellettuale che ne da diritto all’uso. Quello che fa sostanzialmente questa
piattaforma è di creare un ponte tra le aziende e le competenze di migliaia di
persone. Il premio in denaro che va dai diecimila ai centomila dollari rivela la
serietà dello scopo. I numeri parlano chiari, più del 30% dei problemi postati
su InnoCentive hanno trovato soluzione, con un risparmio per le aziende di
diversi milioni in R&S, e se ne sono rerse conto aziende come Boeing,
DuPont e Procter & Gamble tra i migliori clienti di queste piattaforme.
Un esempio di successo emblematico in tal senso rappresenta il problema
postato dal colosso dei prodotti per la cura ed igiene del corpo Colgate
Palmolive; questa aveva bisogno di un modo per iniettare polvere di fluoruro
in un tubetto di dentifricio senza disperderla nell’aria circostante. Per mesi
chimici e ricercatori interni hanno invano e con svariati finanziamenti a
disposizione, effettuato ricerche su ricerche. La soluzione la trovò uno
stavagante ingegnere elettrico canadese appena il tempo di finire di leggere
l’annuncio postato su InnoCentive: ovvero caricare elettricamente la polvere
e collegare a terra il tubetto con la massa, le particelle di fluoruro cariche
32 positivamente sarebbero state attratte dal tubetto senza alcuna dispersione
rilevante. Questo procurò all’azienda un risultato positivo per diversi milioni
e per il solutore dieci minuti per venticinquemila dollari.
3- Il terzo ed ultimo modello individuato da Howe è denominato idea jam
“ressa di idee”, una concentrazione di idee online come fosse un grande
brainstorming, con sessioni che vanno da poche ore a giorni, quasi ad
assomigliare ad una cassetta dei suggerimenti.
La grande differenza con il modello precedente sta nel fatto che questo è più
aperto a qualsiasi proposta, non è inerente al caso da affrontare, e inoltre non
è frutto di un problema da risolvere, ma sono prodotte a prescindere.
Il caso Dell con il progetto IdeaStorm
Altro esempio di come le aziende sfruttano l’intelligenza collettiva è data dal
progetto del produttore di computer Dell. Questo progetto lanciato nel 2007
ha l’obiettivo di coinvolgere i clienti e catturare la loro intelligenza, come
afferma Michael Dell; «…Noi ascoltiamo, impariamo e quindi miglioriamo e
innoviamo in base a ciò che i nostri clienti vogliono…»
In questo caso Dell non deve risolvere alcun problema ma usa il Crowd per
innovare e trovare nuove idee, che vanno dal: equipaggiare i computer con
preinstallato Linux - proposta votata da trentamila utenti e poi
commercializzata da Dell - alla richiesta di più porte usb sul retro dei
computer.
Oltre al progetto Ideastorm, Dell ha creato anche Studio Dell, dove si
possono caricare e visionare video su come utilizzare al meglio i prodotti
Dell.
Il caso italiano Ducati
Anche in Italia si muove qualcosa in tal senso, è il caso della nota fabbrica di
motoveicoli protagonista nel mercato vendite e delle competizioni.
Ducati attraverso il “Tech Café” ha creato un forum dedicato allo scambio di
conoscenze tecniche, idee per la personalizzazione delle moto, ma anche un
33 luogo dove i ducatisti forniscono suggerimenti per il
migliramento dei
prodotti. Non solo un luogo dove scambiarsi le conoscenze tecniche e aiutarsi
reciprocamente (cosa che ha ridotto le chiamate ai call center della società
visto l’aiuto reciproco nella soluzione di problemi), ma anche uno strumento
di conoscenza del “fan” delle sue esigenze oltre che uno strumento di
fidelizzazione grazie alla raccolta dei feedback.
Uscendo dalle classificazioni, utili a individuare quei macrocompiti per i quali sino a
oggi il Crowdsourcing si è rivelato utile, vi sono una moltitudine di ruoli svolti in
Crowdsourcing, siano essi per aziende, per la public governance o sociali, alcuni
sono stati accennati nel corso dell’elaborato, qui riporto alcuni casi che è interessante
elencare.
Il Crowd come detto più volte puo essere “usato” per differenti scopi, ad esempio; tra
i più interessanti esso può fornire notizie e informazioni in tempo reale da tutto il
mondo, ed è ciò di qui si avvalgono alcuni siti metereologici, notiziari informativi
come Rai con Citizen report, France 24 con The Observer, la CNN con IReport, o
anche software per la navigazione satellitare come Waze, che si aggiorna
continuamente sui dati forniti da altri utenti.
Tra le altre funzioni esso è molto utile come filtro collaborativo per le aziende che
devono analizzare una grande massa di dati, infatti la folla con appositi strumenti che
possono essere i semplic tag, o mi piace può selezionare il bello, il buono e il
rilevante, tra il tutto.
Il Crowd si sta ritagliando una fetta di spazio sempre maggiore per il citizenjournalism (molti report di denuncia provengono da qui), come anche in ambito
crativo community based design.
È efficace nel passaparola digitale, nella distribuzione, nella creazione di spot
pubblicitari (la campagna pubblicitaria trasmessa al SuperBowl del 2011 per il
marchio di patatone Doritos è stata creata tramite concorso dai fan), analisi politiche,
scrivere copioni, libri, recensire ogni cosa. Basta saperla invogliare.
34 2.4 Requisiti per il Crowdsourcing
Per quanto il Crowdsourcing lasci ampia discrezionalità da ambodue i lati,
crowdsourcer-folla, non deve venir meno il rispetto di requisiti basilari, omnivalenti
per tutti i tipi di progetti, per ottenere dal Crowd un reale valore aggiunto. Qui di
seguito vengono riportate le regole:
• Scegliere il modello giusto. In base alla finalità delle intenzioni. Problem Solving,
Decision Making, CoCreation, CoFinanziamento, richedono ognuno approcci
personalizzati.
• Scegliere la folla giusta. È vero, abbiamo detto che la folla è per tutto, è per tutti, è
ubiquitaria, c’è in qualsiasi momento, ma ciò non significa che tutta la folla è sempre
indispensabile. Se un’azienda che produce pannoloni da bambino apre un forum per
raccogliere feedback utili, di certo non avrà bisogno di attirarea se una folla
interessata al giardinaggio.
• Scegliere i giusti incentivi, serve a selezionare in partenza la qualità e la quantità di
contributi. Vi sono diversi metodi di incentivi: non remunerativi, con remunerazione
competitiva, con markup sulle vendite, per ore lavorative o remunerazione minima.
Senza dimenticare che attrarre la folla non significa garantirsi di conservarla in
eterno.
• Semplificare e spezzettare il compito da svolgere è prerequisito per ottenere il
tempo e le capacità in eccesso del Crowd.
• Indirizzare la folla. Non pensare di lasciare al Crowd tutto di tutto, ne verrebbe
fuori il caos. Un leader morale è indispensabile per incanalare nella giusta direzione
il pathos del Crowd.
35 2.5 Criticità del fenomeno
Questo paragrafo si può considerare conclusivo del fenomeno fino ad ora analizzato,
in quanto argomenta circa le critiche mosse in ambito etico, sociale ed economico da
nuovi e vecchi esegeti in materia, sul fenomeno del Crowdsourcing.
Entrando nel dettaglio delle critiche esse riguardano sia ed in particolar modo il
Crowd, ovvero il lavoratore, inteso nella funzione da esso svolta, sia l’azienda che ad
esso si rivolge. Tra le prime, più aspre e frequenti critiche ascrivibili a riguardo vi è
quella dello sfruttamento del lavorotare, per l’apporto di tempo e contenuti di questo,
che nella stragrande maggioranza non prevede alcuna ricompensa (monetaria e non)
e quando prevista è di ammontare insufficiente a ripagarne gli sforzi e la qualità. In
tal senso il Crowdsourcing viene accostato al più spietato dei modelli capitalistici,
dove l’azienda si appropria del lavoro extra dei lavoratori senza una giusta
ricompensa. Inoltre il modello è accusato di garantire al crowdsourcer una mole di
contributi, per i quali esso inizialmente ricompensa il migliore, ma che in tempi
futuri, con appositi contratti che le trasferiscono il diritto di proprietà, potrà
modificare e riutilizzare liberamente, a costo praticamente nullo.
Il Crowdsourcing è accusato inoltre di non essere realmente alla portata di tutti, la
causa è l’impossibilità di alcuni “lavoratori” di dedicarsi interamente ad esso se privi
di un’entrata costante, vista la sua durata ad intermittenza, ed inoltre a causa del
digital divide, che imperversa ancora nel mondo, soprattutto nelle aree dei paesi in
via di sviluppo, comprimendo così quella “diversità” che andrebbe invece garantita
come punto di forza.
Cosi come rischioso per il lavoratore (secondo tali correnti), allo stesso modo
rappresenta un rischio per l’azienda.
Infatti gli “studiosi” mettono in guardia le stesse dall’uso del Crowdsourcing in
quanto portatore di risultati miseri e di bassa qualità. L’azienda non solo rischia di
perdere personale qualificato dipendente, ma lo fa a fronte di lavoratori dei quali non
si conosce ex-ante le competenze ne le intenzioni, con il rischio (secondo alcuni),
non del tutto remoto, di sabotaggio volontario da parte di competitors.
Inoltre le aziende non potrebbero con tale modello di sviluppo, tenere protetti da
segreto i loro sviluppi, ne tanto meno le aree o l’oggetto per le quali si richide
36 “aiuto”, non essendovi un rapporto di dipendenza con chi apporta contenuti e
sviluppi e quindi alcun contratto che ne tuteli la riservatezza. Quello che le aziende
rischiano di perdere è soprattutto il know-how che si genera in azienda quando un
progetto viene sviluppato internamente per tramite del learning by doing dei propri
progettisti, sempre per la mancanza di “continuum” con il lavoratore.
Il Crowdsourcing garantisce qualità dei risultati tanto maggiore è la folla, il suo
“spessore”, in modo da produrre delle ridondanze dei contributi segno di
autoselezione del buono.
Il fatto di avere una folla però non è così scontato come sembra, innazitutto perché la
folla deve coesistere, ovvero aggregarsi per numero e contributi, ma mantenere allo
stesso tempo l’individualità del singolo, altrimenti verrebbe meno la diversità per
l’omogeneità, ed inoltre perché “avere” una folla significa avere ben spacchettato il
lavoro (come spiegato in precedenza), attirato i curiosi, trovato il giusto stimolo, ma
soprattutto avere a disposizione un numero sufficiente di competenze in merito, cosa
non semplice, non di rado molte proposte in Crowdsourcing vanno evase per
mancanza di Crowd sufficiente a garantirne l’efficacia. La causa di questo potrebbe
essere lo scarso interesse in merito, le barriere linguistiche o tecniche, e soprattutto le
ricompense.
Quale di queste critiche sia vera non sta a me stabilirlo, solo il tempo darà i suoi
frutti, di sicuro c’è che sempre di nuove ne usciranno. Nel frattempo però, le ricerche
e i sondaggi svolte sugli utilizzatori del Crowdsourcing (aziende-folla) fanno
emergere un risultato tutto positivo, dove i benefici superano notevolmente le
inconvenienze, dove le opportunità e la flessibiltà offerte da tale modello sono
un’assoluta novità. Forse è per questo che abbiamo bisogno di tempo, per
sedimentare i cambiamenti in atto.
37 2.6 Casi di successo
Threadless:
Quest’idea è davvero originale e interessante, è rivolta a chi ama il disegno e ha tante
idee che desidera condividere con gli altri. Nello specifico si tratta di realizzare
slogan e figure che verranno poi poste sulle magliette del noto marchio. L’utente non
ha bisogno di attrezzature particolari, stampanti e quant’altro per stampare le t-shirt,
e inoltre non deve creare una propria società, può semplicemente sfruttare il marchio
Threadless, che permetterà di esprimere e forse realizzare le proprie idee, con il suo
sito ultrafamoso nel panorama delle magliette personalizzate.
Threadless è un marchio giovane, si tratta di una vera e propria comunità on line, che
nasce a Chicago nel 2000, e che negli anni ha riscosso un notevole successo.
Sostanzialmente è una piattaforma dedicata per creare t-shirt online dove si
possono inviare e votare i design delle t-shirts. Come recita la fanpage italiana:
“Threadless è un sito basato sul concetto di “community” che produce e stampa TShirts create e scelte da TE!”.
Tutti i design stampati su Threadless vengono votati e scelti dalla community. Gli
utenti presentano i propri lavori, che vengono poi votati dalle altre persone entro un
periodo di massimo 7 giorni. Passati i 7 giorni il design riceve un punteggio da 0 a 5,
che viene utilizzato come indicatore per decidere cosa inserire in catalogo.
Quando si sceglie un design per la stampa, il proprietario cede i diritti esclusivi a
Threadless per la creazione delle magliette. Ogni designer viene rimborsato in questi
termini:
- 2000 dollari in contanti;
- 500 dollari come Buono regalo da usare sui siti della famiglia SkinnyCorp; che
possono diventare 200 dollari in contanti.
- inoltre, si riceverà un pagamento di 500 dollari ogni volta che il design verrà
ristampato (con alcune eccezioni).
38 L’originalità di questo sito non è tanto nel realizzare magliette con frasi efficaci e
disegni nuovi, ma nel consentire a persone comuni di farlo.
Istockphoto:
iStockphoto è un fornitore on-line di fotografie royalty free (talvolta anche
erroneamente indicate come "esenti da diritti d'autore") che opera secondo il modello
di micro-pagamenti. Il costo delle immagini varia infatti, a seconda della dimensione
di queste, da un minimo di 1 dollaro ad un massimo di svariate centinaia di dollari
con un sistema di pagamento basato su crediti.
iStockphoto è stato fondato da Bruce Livingstone nell'aprile del 2000 ed è stato
acquistato nel febbraio 2006 da Getty Images.
Funziona con un sistema che permette (all’acquirente) di caricare sul proprio account
un certo numero di crediti e di utilizzarli per acquistare fotografie, illustrazioni
vettoriali, filmati video, tracce audio ed animazioni flash tra quelle presenti sul sito.
Un credito corrisponde a circa 1 euro.
Prima di poter vendere le proprie fotografie gli utenti-fotografi devono rispondere ad
un questionario on-line su alcune domande riguardanti le regole del sito, qualche
conoscenza base di fotografia ed alcune questioni legali. Passato il primo test, è
possibile inviare alcune fotografie di prova che saranno valutate secondo criteri di
qualità ed idoneità prima di essere approvate. Una volta approvate, il fotografo può
iniziare a caricare sul sito e vendere le proprie foto.
Usando un modello basato sui micro-pagamenti per la fotografia di stock, i siti di
fotografia micro-stock rappresentano una minaccia al vecchio e ben radicato mercato
della fotografia stock tradizionale. Questa è infatti stata per lungo tempo un mercato
di élite accessibile a pochi e con prezzi elevati.
Le commissioni di iStockphoto vanno dal 15% al 20% per un fotografo normale (1520% all'autore e 80-85% ad Istockphoto) e dal 25% al 45% per un fotografo che
firma un accordo di esclusiva. Sono compensi di acquisto più bassi comparati con
quelli delle agenzie di stock tradizionali ma bisogna comunque ricordare che le
fotografie presenti su iStockphoto sono immagini che vengono vendute diverse volte,
pertanto non garantendo l'esclusività dell'utilizzo, possono avere alti rendimenti per i
fotografi pur avendo prezzi moderati per gli utilizzatori. Un fotografo di talento,
39 vendendo le proprie foto su iStockphoto, può arrivare a guadagnare circa 70.000
dollari l'anno.
Anche qui siamo difronte ad prodotto utilizzato e rivenduto da un’azienda, in questo
caso Istockphoto, ma costuito essenzialmente da contrubuti degli utenti, non per
forsa professionisti.
Zoopa:
Costituita nel 2007, è leader nel mercato del social ADV con oltre 100 brand famosi
e 150 contest. È presente negli USA, Brasile e Italia. Zooppa nasce dall'idea di
offrire uno spazio per la pubblicità realizzata attraverso contenuti realizzati dagli
utenti.
È legata ad un modello di business in cui persone e aziende entrano in contatto in un
contesto virale basato sulla creatività e sul riconoscimento di una somma di denaro
variabile per i contenuti autoprodotti. Questo significa incentivare il talento creativo
di tutti coloro che solitamente non hanno voce in capitolo nel mondo tradizionale
della pubblicità.
Zooppa è una start up incubata da H-Farm, centro per la ricerca e l'innovazione nel
campo delle tecnologie e dei nuovi media, situato vicino a Venezia. Lavora con
aziende a livello nazionale e internazionale, interessate a sponsorizzare i loro marchi
attraverso le gare che periodicamente vengono lanciate sul sito. Sulla base delle
indicazioni fornite dalle aziende committenti, gli utenti sono invitati a creare
pubblicità per marchi o prodotti delle aziende in questione. Gli utenti registrati
possono partecipare con diversi tipi di contributi: scrivere un'idea o una breve
sceneggiatura per una potenziale pubblicità, realizzare delle pagine grafiche o dei
banner con il logo dell'azienda e un pay off, registrare degli spot radiofonici,
produrre un'animazione o girare un video vero e proprio.
Per ogni società con cui Zooppa stipula un accordo commerciale, viene lanciata una
nuova gara per gli utenti, che sono anche incoraggiati a postare i propri contributi per
concorrere alla vincita dei premi in palio. Una volta che gli utenti hanno caricato i
loro contributi, sta alla community decretare i vincitori di ogni gara. Gli utenti
registrati, dunque, votano e, sulla base delle loro preferenze, Zooppa assegna loro
40 premi in denaro.
Zooppa è dunque un nuovo modello di pubblicità fondata su Internet e sulla sua
capacità di mettere in relazione persone da ogni parte del mondo.
Inoltre, il progetto di Zooppa prevede anche un'altra attività: laddove, infatti, le
aziende che sponsorizzano le gare vogliano utilizzare i materiali postati sul sito per
sfruttarli come campagne pubblicitarie su altri mezzi, Zooppa svolge il ruolo di
intermediario tra gli autori dei contenuti e le aziende stesse. Così facendo, Zooppa
assicura un range di prezzo da un valore minimo a uno massimo, all'interno del quale
far incontrare gli interessi degli utenti e delle aziende.
Le aziende affidano a Zooppa le loro campagne pubblicitarie e gli utenti iscritti sono
messi in competizione tra loro per vincere premi in denaro. La community di Zooppa
è formata da più di 100.000 utenti e cresce giorno dopo giorno.
Su Zooppa ci sono diverse gare creative sponsorizzate da famosi brand. I brand
lanciano un brief e mettono in palio un montepremi. Si può guadagnare denaro, dare
visibilità al proprio portfolio, incontrare altri creativi, ottenere feedback sui propri
lavori e trovare interessanti contatti. Non c'è limite al numero di contributi che si
possono caricare. É possibile votare e commentare tutti i lavori in gara.
Ci sono diverse possibilità per vincere:
• Giuria: il brand valuta tutti i contributi e sceglie a chi assegnare i suoi
Company Prizes. Può inoltre scegliere di utilizzare i migliori contributi per
l'off–line riconoscendo una ulteriore ricompensa agli autori. Anche Zooppa
assegna i propri premi, scelti dallo staff.
• Voto: la community vota i suoi preferiti e decide così i Community Prizes.
Più voti ottiene un lavoro, più alto salirà in classifica. Fino ad ora sono stati
assegnati più di 550.000 dollari.
41 CAPITOLO TERZO
3.1 Il Crowdfunding. Un fenomeno work-in-progress
Ad oggi dare una definizione esaustiva del Crowdfunding è quantomeno azzardato se
non impossibile. Il perché è molto semplice, ed è per il fatto che tale fenomeno é
troppo recente per aver consolidato usi, forme e una disciplina che lo inquadri nelle
varie legislazioni nazionali. Tutto ciò è quello che sta avvenendo proprio in questi
giorni in tutto il mondo, ossia emergono continuamente nuovi ed efficaci usi del
fenomeno, forme per operare nei più diversi contesti e, soprattutto, concertazioni tra i
policy makers nazionali e mondiali per una urgente legislazione, per un fenomeno,
che ha colto di sorpresa persino i più progressisti, per i tempi e i feedback ottenuti
dal mercato.
Detto ciò, quello che questo lavoro vuole fare, è presentare il fenomeno così come
oggi appare, definendone le caratteristiche, le funzioni, i modelli operativi, gli attori
che lo compongono, i vantaggi ed i possibili sviluppi, senza presunzione di
compiutezza.
Il primo passo da fare in tal senso è soffermarci sulla parola “Crowdfunding”, la
quale potrebbe suonare familiare, ed infatti lo è, perché il Crowdfunding “mangia”
dallo stesso piatto del Crowdsourcing, solo che in questo caso i contributi che
derivano dalla folla non hanno carattere di idee, opinioni, materiale digitale o
problem solving, ma bensì soldi, finanziamenti, sostegno.
Il Crowdfunding non è altro che la declinazione finanziaria del Crowdsourcing, tutto
qua, con le sue specificità, le piattaforme dedicate, gli attori e gli scopi
personalizzati.
42 Il Crowdfunding, letteralmente “finanziamento dalla folla”, consiste nel raccogliere
fondi, somme di varia entità (generalmente micro), per essere poi adoperati su singoli
progetti, aree di business e startup.
Questi fondi pur avendo diverse finalità; finanziamenti, donazioni, prestiti e
investimenti (come meglio spiegato in seguito), hanno in comune molti aspetti:
• Primo fra tutti, lo strumento di raccolta, che è per tutti Internet. É solo con
l’avvento di Internet infatti e delle Web e Mobile based Application e Social
Network, che la funzione di raccolta di fondi collettiva “già esistente da secoli”, ha
avuto lo slancio planetario e la penetrazione che le ha permettessero di guadagnarsi
l’attenzione necessaria ad ottenere un bacino d’utenza che non fosse solo elitario, per
i soliti, pochi operatori e/o finanziatori istituzionali.
Internet ha democratizzato la partecipazione attiva al substrato economico, ha
veicolato verso questo l’informazione, abilitandolo a ruolo attivo, di primo piano e in
concorrenza con lo strato superiore, composto da chi dispone solitamente di soldi e
potere decisionale.
• Il secondo punto che caratterizza il Crowdfunding, in ogni sua forma, è il suo
bacino d’utenza, la fonte apportatrice di sostegno, il pubblico al quale si rivolge. Il
mercato di cui si parla qui è composto come detto in precedenza dal substrato, da
privati, da persone comuni, dall’economia reale e non finanziaria (come avviene nei
canali tradizionali di raccolta fondi). Da qui il nome alla pratica “attingere dal basso”
per i propri scopi, che ne fanno il cavallo di battaglia.
• Il Crowdfunding fa leva sul concetto di long tail (coda lunga), espressione coniata
da Chris Anderson in un articolo su Wired nel 2004, oggi usata in molti campi
economici e commerciali per spiegare come oltre alla porzione ad alta intensità e
frequenza di un un mercato target (rappresentata in senso verticale su di un piano
cartesiano con il nome di Importo dei Finanziamenti) da sempre ambita da ogni
43 impresa, esiste in un continuum con questa, una porzione di mercato che scema per
frequenza ed intensita ma che offre lo stesso valore commerciale della prima
(rappresentato in senso orizzontale su di un piano cartesiano con il nome di Numero
dei Finanziatori) ottenuto grazie alla somma del restante mercato, tralasciato dai
leader, moltiplicato l’ampiezza dello stesso.
Quello che ne esce fuori è un mercato di altrettanto valore (spesso superiore), che
molte imprese cominciano a prendere in considerazione traendone ottimi profitti.
Tradotto per il Crowdfunding signica che piccole somme ottenute da un grande
numero di finanziatori possono realizzare quello che grandi somme provenienti da
pochi finanziatori non possono (o non vogliono) realizzare.
fonte: elaborazione personale
Sforza Simone
44 La commistione dei punti sopra citati ha permesso in sostanza di abbassare le
barriere all’ingresso a chiunque ne voglia far parte. Cosi come per il Crowdsourcing,
dove chiunque può aspirare a contribuire con articoli di giornali, fotografie,
invenzioni e soluzioni, anche nel Crowdfunding chiunque ha le porte aperte alla
finanza, o, visto da un punto di vista semplicistico, ha la possibilità di dare il suo
piccolo sostegno allo sviluppo sociale.
Un esempio tangibile di come queste barriere si siano abbassate, per favorire la
partecipazione di massa, sono le diverse soglie di importi in denaro stabiliti dal
fundraiser (cosi chiamato per intendere sia il singolo imprenditore come anche
l’organizzazione nel suo intero che cerca di sostenere nuovi business) per permettere
ad ogni funder (termine che accomuna, senza distinzione, chi finanzia un progetto o
una startup) di poter “partecipare” alla causa anche con cinque euro.
3.2 A chi serve e perché?
Brutalemnente mi verrebbe da rispondere a questo quesito (da me posto per
agevolare la comprensione del fenomeno a chi si dovesse imbattere in questa lettura)
con un motto, «per tutti e per tutto», intendendo con ciò che il Crowdfunding non fa
distinzione (ed è questa la peculiarità che più di tutte lo distingue) di scopo o
soggetto (sia esso fisico o giuridico).
Ma, dovendo sovvenire alle istintive intenzioni e spersonalizzandomi dal tema, di
seguito riporto i casi che meglio rispondono al tema per il quale questo paragrafo è
stato pensato.
Il Crowdfunding, con la pratica del pooling di risorse finanziarie da esso svolta,
necessariamente crea un link tra chi queste risorse le versa e chi le raccoglie a sua
richiesta, questo ha dato vita a tre “nuove” figure attive in questo campo; nuovi
imprenditori, nuovi investitori e nuovi intermediari (quest’ultimo trattato nel
paragrafo delle piattaforme digitali per il Crowdfunding).
Quale che sia il lato in cui operano i diversi attori, come di seguito spiegato, ognuno
di essi trae dei “benefit” dal Crowdfunding.
45 • Nuovi imprenditori
Questo è a mio avviso il primo “prodotto” del Crowdfunding, quello che meglio di
tutti lo caratterizza e che più di tutti ne ha favorito l’evoluzione fino ad ora.
Esso, mi concedo di dire, è figlio e padre allo stesso tempo del fenomeno, che in
origine null’altro era che non necessità, poi divenuta opprtunità.
Il core del fenomeno sta nel fatto di offrire la possibilità a molti imprenditori,
neoimprenditori o aspiranti tali, ad organizzazioni già esistenti o in fase di startup, di
raccogliere dalla folla non solo denaro, che rappresenta “solamente” la punta
dell’iceberg, ma anche idee, risorse di ogni genere, informazioni, knowhow tecnico,
validazione alla propria idea, sfruttando anche quì, come nel Crowdsourcing la
“saggezza della folla”. Per trasformare il tutto in realtà di prodotto, voluta dal
mercato stesso.
Il Crowdfunding racchiude in se il potenziale di un vasto insieme di tecniche
manageriali e di marketing necessarie all’avvio (non al successo) di un progetto
quali: ricerche di mercato, segmentazione, raccolta ed analisi dei feedback,
interazione con consumatore, CRM, azioni di word-of-mouth, pricing, il tutto non
solo senza oneri accessori (salvo quelli di una buona ed impregnativa campagna in
CF) ma ad un costo totale generale prossimo allo “zero”.
Il tutto deriva dal fatto che sovente il finanziatore/sostenitore è anche il primo
consumatore finale, come è anche parte interessata al successo della causa
(giocoforza), attivando così, di sua iniziativa, tutte le proprie reti sociali e network
(in aggiunta a quelle del fundraiser) utili a sostenere qualcosa in cui lui crede ed ha
finanziato, allargando in tal modo ulteriormente la base dei finanziatori/consumatori.
Il tutto, moltiplicato il numero di sostenitori per ogni round di finanziamento
richiesto (che non si esclude possa essre più di uno).
Ma non è fnita quì, perché il funder (inteso come Crowd, insieme di finaziatori), in
contatto diretto con il fundraiser dal momento del finanziamento, interagisce con
esso e con esso si confronta, ad esempio per possibili sviluppi ulteriori del prodotto,
inoltre, direttamente o indirettamente segnala (tramite anche la piattaforma) i progetti
più interessanti, quanto è disposto a finanziare per progetti simili, i tipi di sostegno
preferito, i tempi per completare un finaziamento, etc.
46 Tra gli innumerevoli vantaggi per il fundraiser, il più degno di nota, se non altro
perché rappresenta il primo scoglio da superare per una nuova idea, è la possibilita di
arrivare ai fondi, bypassando così i tradizionali canali di finanziamento molto spesso
refrattari alle nuove idee, specialmente in periodi di credit crunch come quello a qui
assistiamo in questi ultimi anni a causa di istabilità economiche, o alle mancate
chance di incontrare i favori di Angel Investor o Venture Capitalist, lontani molto
spesso, sia in senso geografico che di interessi, dalle PMI, che più di tutte ne
avrebbero bisogno e andrebbero salvarguardate, perché rappresentano il 90% del
tessuto imprenditriale Italiano ed Europeo e la conseguente incidenza occupazionale.
(Per completezza sarà approfondito il concetto dei canali di finanziamento nel
paragrafo prossimo)
Va sottolineata l’importanza di questo punto, in quanto è vitale per un paese, creare i
presupposti e le infrastrutture (fisiche e digitali) che agevolino le persone a liberare
la creatività e non ad ignorarla o peggio ancora a contrastarla, come avviene molto
spesso con le maglie della burocrazia, o la solitudine nella quale vengono lasciati
molti imprenditori.
L’imprendorialità, è il germe che favorisce la creazione di posti di lavoro sempre
nuovi, stimola le innovazioni, arricchendo la società tutta.
Questi ed altri valori, cruciali per la competitività di un paese, per il benessere
sociale, per lo sviluppo economico, sono racchiusi in ogni imprenditore.
• Nuovi Investitori
In questo secondo caso il Crowdfunding rappresenta per il funder, «causa le stesse
instabilità», alternative di investimento a breve o medio termine, che ne permette una
efficace diversificazione dei portafogli investimenti, sapendo perfettamente (avendo
un ruolo attivo di gestione dei propri soldi) a chi e per cosa si cede il proprio denaro
e per quanto tempo, avendo contatti diretti e continui con il destinatario del
finanziamento, cosa non certo possibile con i soldi giacenti sui conti correnti o
investiti in chi sa quali fondi propinati da agenti.
47 Non solo, anzi raramente direi, il funder sostiene un progetto con il fine di ritorni
economici, spesso è mosso da spinte emozionali, senso di appartenezza ad un’idea,
progetto o business, per sentirsi parte motrice che ne ha permesso lo sviluppo, o
anche semplicemente per conoscenze personali (del fundraiser o tecniche del
progetto), per questioni puramente geografiche, sostenendo un’iniziativa che apporti
valore e lavoro ad un territorio, perché intravede un interesse personale o valori ad
esso comuni, magari con finalità sociali, come anche, potrebbe essere spinto da una
percezione di richio minore e quindi un azzardo misurato.
Quest’ultima frase, fa da spartiacque al concetto chiave che segue; perché la figura
del funder, ovvero colui che finanzia e sostiene un fundraiser, che sia per
investimento per donazione o altro, non è necessariamente colui (persona o
organizzazione) che lo fa di professione e/o dispone di buonissima liquidità, fattore
che è selettivo nei casi di BA e VC, ma al contrario, come si ha avuto modo di capire
quì sopra, chiunque può “azzardare” con somme modestissime a finanziare tramite
Crowdfunding, qualsiasi siano le finalità.
La differenza nella finalità del sostegno è comunque decisa ex ante dal funder a
seconda delle piataforme e dei modelli di Crowdfunding esistenti scelti dallo stesso
come intermediari, ognuna, con scopo differente (trattate in seguito nel paragrafo sui
Tipi di Crowfunding).
Allo stesso modo, le aziende più attente, monitorando scrupolosamente
le
piattaforme e i progetti in essi proposti, dispongono di informazioni puntuali che le
permettono di individuare le aree di investimento più “apprezzate” dal mercato,
tramite i progetti finanziati, potendo così anch’esse
investire in produzioni
“alternative” all’idea. Ne è un esempio a riguardo, la prossima uscita, su scala
mondiale, degli smartwatch da polso per due colossi dell’elettronica (ed altri ne
seguiranno in seguito), ricordando che nel 2012, fu proprio un progetto di uno
smartwatch a raggiungere la straordinaria cifra di 10.266.845 $ raccolti sulla
piattaforma Kickstarter.
48 • L’intermediario
La terza figura, fondamentale nel contesto operativo che si è creato è l’intermediario,
piattaforma digitale, la quale funge da ponte di collegamento tra il Crowd e
l’imprenditore, affianca chi ricerca fondi nella creazione di campagne idonee allo
scopo e allo stesso tempo accattivanti per raccogliere sostegno ed opera come figura
professionale nel diffondere fiducia all’investitore, che crede nel progetto scelto e
vorrebbe avere tutte le informazioni necessarie per sostenerlo.
Tale figura sarà trattato singolarmente nel paragrafo sulle Piattaforme digitali per il
Crowdfunding.
In conclusione aggiungo che; il fascino del Crowdfunding non si ferma a quanto sino
ad ora detto, alla mera funzione di canale di raccolta fondi alternativo alle banche per
finanziare progetti o imprese che abbiano finalità di generare profitto, il
Crowdfunding va ben oltre questo, sarebbe troppo semplice circoscriverlo a funzione
precisa, etichettarlo e dotarlo di un direttore che decida chi e cosa finanziare e a
quale prezzo, come avviene in ogni altro canale. Il finanziamenro tramite la folla,
così come può essere richiesto da chiunque può essere richiesto per qualunque cosa,
che va dal piccolo sostegno economico per rifare il tetto o costruire la serra, alla
richiesta di fondi per scrivere un libro, girare un corto, prodursi la musica, andare in
vacanza, fino a scopi ben più nobili ma comunque no-profit come il sostegno
finanziario richiesto da alcune fondazioni o enti per restaurare o comperare opera
d’arte (il Louvre, ad esempio, ha utilizzato il crowdfunding per acquistare “Le tre
grazie” di Cranach da un collezionista privato (Campagna “Tous Mecenes” allo
scopo di raccogliere 1 milione di euro attraverso le donazioni delle web community)
o sostenere eventi culturali, o meglio ancora (e qui entra in gioco la reattività dello
Stato nel promuovere ed usare trasparenza e giudizio), può essere usato per chiamare
i cittadini a collaborare alla costruzione o ristrutturazione di opera pubbliche di
grande e piccola entità, come giardini, parchi, piazze, illuminazioni, giochi pubblici
etc, necessarie per la collettività e per ciò di forte richiesta, attraverso il cosiddetto,
Crowdfunding Civico, sul quale sono già molte le iniziative sia in Italia che
49 all’Estero.
3.3 Il finanziamento giusto al momento giusto
Una volta compreso, dai paragrafi precedenti, cosa sia il Crowdfunding e il perché
abbia visto un’ascesa in popolarità ed uso così repentina, è bene completare il quadro
composto dal “set” di possibili canali di finanziamento a disposizione di imprenditori
ed per nuove o già esistenti imprese.
Prima di illustrare brevemente le peculiarità dei canali/modelli successivi al
Crowdfunding, nello specifico i tre più importanti per l’impresa per la qualità dei
contributi offerti, è opportuno menzionare che ognuno di questi (intendendo con ciò,
gli artefici dei modelli) possiede finalità e scopi ben distinti, ma allo stesso tempo
complementari tra loro e non per forsa conflittuali o concorrenziali come si potrebbe
pensare.
Ognuno di essi è fondamentale nel percorso evolutivo dell’azienda, intervenendo in
“step” operativi distinti e consequenziali, pur sovrapponendosi molto spesso,
sfumando gli uni negli altri.
Va detto altresì che a mano a mano che ci si sposta in alto a destra (nel grafico che
segue) più l’imprenditore “perde” controllo societario a favore di una più ampia base
azionaria con potere decisionale ed una rivoluzione nella struttura manageriale.
Detto ciò, il fatto che il Crowdfunding si sia “autogenerato” e che continui ad
alimentare la base di “fan”, non è dipeso dal fatto che quest’ultimo sia più o meno
buono, migliore o peggiore, o ancora, aprioristicamente più efficace degli altri
modelli di finanziamento, ma bensì (e questo lo rende ancora più affascinante) è una
naturale saturazione, creata dal mercato per il mercato, di un gap esistente tra «l’idea
e il prototipo» ossia un “vuoto” di copertura finanziaria tra il sostegno degli amicifamigliari e i primi business angels e/o ventur capitalist.
La fase nella quale il Crowdfunding raccoglie seguaci è quella che in gergo aziendale
va dall’illuminazione dell’imprenditore, al seed money, alla fase di startup. Fasi
50 queste, dove i rischi per un solo investitore sono maggiori delle certezze, dove non ci
sono elementi per una due diligence puntuale che permetta di intravedere per i
finanziatori spiragli di profitti in cui credere.
Di seguito vengono riportati i grafici 1 e 2 per una più chiara comprensione di quanto
sino ad ora accennato e di quanto seguirà a riguardo nei paragrafi 3.3.2, 3.3.3, 3.3.4,
nei quali tratterò brevemente le caratteristche rispettivamente del: Business Angel,
Venture Capital, Quotazione in Borsa.
fonte grafico: elaborazione personale
Sforza Simone
51 fonte grafico: elaborazione personale
Sforza Simone
3.3.1 Business angel
Il Business Angel, anche detto Angel Investing o Angel Financing, è una forma di
finanziamento in imprese non quotate detta esterna (in contrapposizione al
finanziamento interno che non prevede mutamenti nella compagine sociale né
indebitamenti verso terzi), che prevede la sottoscrizione di capitale di rischio con il
quale il finanziatore non ha pretese ne certezze su dividenti e rimborsi ne in quota
capitale ne in quota interessi, anzi quest’ultimo si accolla parte del rischio d’impresa
(al contrario di quanto avviene con il capitale di debito, dove è previsto l’obbligo di
rimborso in capitale e interessi, i tempi e le modalità).
Il Business Angel è un tipo di finanziamento di tipo “informale”, la qui informalità è
data da una più snella procedura di approccio all’avvicinamento e selezione
dell’imprenditore e dell’impresa (neonata o esistente), come anche da una maggiore
52 elasticità in termini di rigore contrattuale e tempistico nella fase di investimento,
gestione e disinvestimento.
Il Business Angel, inteso come colui che finanzia, rappresenta per l’impresa il primo
baluardo di sostegno al progetto proveniente da un numero limitato di grossi
finanziatori (contrariamente a quanto avviene con il Crowdfunding). Gli “angeli”,
come spesso sono chiamati, solitamente sono persone fisiche, benestanti, sovente ex
imprenditori, manager o liberi professionisti, con una buona disponibilità economica
oltre che un’ampia rete di contatti ed un knowhow consono all’attivita che si
accingono a sostenere. Queste persone sono spinte sia dall’interesse personale per
l’attività che finanziano sia dalla previsione di futuri guadagni ottenute dall’aumento
di valore della società, come non è da escludersi il peso dello status sociale che
vanno attribuendosi contribuendo allo sviluppo di un progetto.
La fase operativa nella quale si attiva il Business Angel è quella successiva al seed
capital, che va dalla sturtup all’early stage, fasi nelle quali l’idea è stata formalizzata
in ogni suo aspetto, esiste un Business Plan accurato e un prototipo pronto ad essere
lanciato al grande mercato, il suo contributo si oscilla tra i 50.000 € e i 500.000€
(anche più se si organizzano delle cordate di Angels). Le imprese target coprono un
ampio spettro, ma le predilette da questo tipo di finanziatori sono imprese operanti
nel campo dell’innovazione, dell’ICT, della biomeccanica, elettronica, software, etc.
Tutte imprese nascenti o da poco operative che hanno grandi prospettive di crescita e
guadagno, ricche di Know-How, brevetti e marchi, i cosiddetti “intagible asset”, ma
privi di una storia aziendale (garanzie patrimoniali) che le renda credibili dagli
investitori tradizionali, come le banche.
L’investimento degli “angeli” è un investimento temporaneo, solitamente 5/7 anni,
che prevede la sottoscrizione di quote societarie, diventando a tutti gli effetti soci
dell’azienda, non pretendendo però di sedere nel “board” della stessa, anche se
spesso accade.
La cosa che rende tale finanziatore essenziale per le aziende non è solo il contributo
economico, che ne permette lo sviluppo e le accompagna a fasi successive
dell’evoluzione per poi trovarsi una exit way che solitamente sfocia nell’entrata di
fondi di investimento tradizionali (venture capital o private equity) e/o nella
53 quotazione in borsa, ma anche il contributo in termini di esperienze tecnicooperative, Know-How specifico, consigli gestionali, network di settore.
3.3.2 Venture Capital e Private Equity
L’altra faccia della medaglia sulla quale poniamo i Business Angel sono i Venture
Capital o più genericamente Private Equity. Questi si differenziano dagli “angels”
per il carattere “formale” e istituzionale ad essi riconosciuto, ovvero una maggiore
specializzazione in forma di Fondi di investimento, SGR, Finanziarie, Fondi
pensione, etc.
Altra differenza “macroscopica” può essere vista nel fatto che il Ventur Capitalist
proprio per la sua funzione di raccolta (tramite la Capital Call) ed uso dei fondi
ricevuti dai sottoscrittori/investitori del fondo, abbisogna di una più accurata due
diligence di quanto facciano i singoli Business Angel che, contrariamente investono
per loro conto. Da qui la diffidenza dei VC dalle imprese nascenti o neonate che si
trovino nella fase iniziale dell’evoluzione.
Ciò che li accomuna ai BA è il fatto che anche quì si parla di apporto di capitale di
rischio in imprese innovative e promettenti, troppo onerose per i Business Angels e
troppo piccole (ovvero carenti di requisiti) per la quotazione in Borsa.
Il carattere dell’investimento è temporaneo come per gli “angeli” in ottica di
medio/lungo periodo, con exit way che prevede la vendita, totale o parziale delle
quote societarie possedute a: altri Venture capital o Private Equity, al gruppo
imprenditoriale originale, a nuovi o vecchi soci o infine con la quotazione in borsa
dei titoli societari.
La differrenza (più formale che sostanziale) tra i due termini, Venture Capital e
Private Equity, sta nel considerare i primi come finanziatori in fasi iniziali della vita
aziendale, mentre i secondi operativi per imprese che si trovano già in una fase del
ciclo di vita successiva a quella iniziale.
Anche per questo tipo di finanziatori il fine è quello di monetizzare il proprio
investimento, attraverso la realizzazione di un “capital gain”, inteso come incremento
54 di valore della partecipazione dal momento della sottoscrizione al momento del
disinvestimento. Spesso cio avviene partecipando attivamente al CDO aziendale.
3.3.3 Quotazione
La quotazione in borsa rappresenta l’ultimo step evolutivo di un’impresa, che si
trova ormai nella fase di maturità e ha bisogno di una forma stabile di investimenti
che le permettano di rafforzare la struttura finanziaria ed aumentare la solidità
patrimoniale per ulteriori processi di crescita interna ed esterna, per acquisizioni o
per finaziare nuovi progetti.
La quotazione comporta come accennato in precedenza un radicale mutamento
strutturale e culturale all’interno dell’impresa, dove vi è un’inevitabile perdita di
controllo da parte dei fondatori, se non altro dovuta all’alienazione a terzi di parte di
quote societarie. Ma allo stesso tempo rappresenta una grande opportunità per
disinvestire, tutto o parte, i capitali impegnati sino a li dai finanziatori siano essi
“formali” o “informali”, come anche quella di ottenere una notorietà ben maggiore
ed una più ampia responsabilizzazione del management, frutto di stimoli maggiori e
delle stock option.
A fianco a tutto ciò non mancano come è plausibile gli oneri, si vedano i maggiori
obblighi di trasparenza ed informazione, l’implemantazione di politiche dei dividenti
(assenti generalmente per BA, VC), l’impegno e le garanzie sociali per il maggio
peso acquisito nella società.
I passi perché un’azienda arrivi a quotarsi in borsa sono molti e lunghi, superati i
controlli e ottenute le autorizzazioni, l’impresa deve scegliere in che mercato
quotarsi (Italiano o Estero) e soprattutto su quale segmento di questi, dopodiché
attraverso un’OPA (Offerta Pubblica Iniziale), la stessa offre al pubblico la quota dei
propri titoli prevista ad un prezzo di partezza stabilito.
55 3.4 I tipi di Crowdfunding
Nei paragrafi precedenti si è accennato riguardo i vantaggi offerti dal Crowdfunding,
molti e diversi a seconda del tipo di sostegno apportato dal funder e, come
dimostrato, non necessariamente di natura economica. Inoltre, è stato specificato che
i funders, hanno nella totalità, fini differenti per la loro azione, come differenti sono
gli usi che i fundraiser ne intendono fare di queste somme “raccolte”.
A rendere possibile allora il matching tra le due necessità si sono sviluppati nel
tempo modelli di Crowdfunding che, pur convivendo sotto lo stesso tetto
(condividendo i principi ad inizio capitolo elencati) hanno ruoli, piattaforme, tempi e
regolamentazioni dedicate.
I principali tipi di Crowdfunding usati sono quattro:
•Donation-based
•Lending-based o Debt-based
•Reward-based
•Equity-based
Ma, a complicare le cose vi è che, pur rimanendo questi i quattro pilastri, sempre
nuovi ne nascono, originati dalla promisquità dei primi e quindi delle necessità
emerse. I più degni di nota sono:
• Pre-sales
• Social Lending
• P2P e P2B Lending
• Reward In Kind (Lending/Equity)
Qui di seguito, prima di affrontare uno per uno i tipi di Crowdfunding, viene
riportato il grafico che dimostra dove i diversi tipi si posizionano e i casi di
promisquità.
56 EQUITY-­‐LIKE
DONATION EQUITY REWARD IN KIND ING SOCIAL LEND
LENDING PRE-­‐SALES REWARD fonte: elaborazione personale
Sforza Simone
• Donation-based
In questo modello il funder dona al fundraiser, persona fisica o organizzazione
(molto spesso si tratta di ONG, no-profit) una somma di denaro, senza finalità né
aspettativa di ritorno di nessun tipo. Questo tipo di CF è tra i più vecchi, usato
soprattutto per cause in cui il funder crede, in cui è coinvolto emotivamente; vedi
cause sociali, religiose, umanitarie, filantropiche, culturali, ambientali, umanitarie,
per i diritti animali, dei bambini, etc.
Tantissime sono le cause per le quali si raccolgono aiuti finanziari. La forma di
Donation-based Crowdfunding va oltre il semplice Fundraising, in questo caso il
funder conosce in ogni momento l’evoluzione del singolo progetto o ente che ha
finanziato, ed inoltre con la donazione il funder ha un ruolo proattivo, tramite i
portali dedicati, e pertanto è il primo sostenitore e promulgatore della causa.
57 Questo tipo di CF pur essendo tra i primi nati, mantiene un tasso di crescita
costantemente positivo, calcolato sia dalla totalità delle somme raccolte, sia dal
numero di piattaforme ad esso dedicate.
La media delle somme raccolte dai progetti per tale modello è per la maggior parte di
entità modesta, intorno ai 10.000/15.000 euro.
• Lending-based o Debt-based
Letteralmente questo tipo di CF mette in contatto il lender (colui che intende prestare
dei soldi), con il borrower (colui, persona o organizzazione, che prende in prestito
dei soldi). Questo modello, con il quale la somma versata dal funder ha finalità di
profitto tramite il ritorno della somma versata più una quota interessi (che comunque
rimane di gran lunga più vantaggiosa che nel caso di Banche, BA o VC), è
maggiormente usato per progetti o business che riguardano beni di largo e generale
consumo, beni digitali. È detto anche Debt-based in quanto la forma che assume è
quella di un debito contratto con il prestatore, attraverso un contatto diretto con lo
stesso.
Per tale modello, la media di finanziamento per progetto si aggira sui 25.000 euro.
• Reward-based
Questo modello di Crowdfunding è il più conosciuto, il più “usato”, oserei dire che
forse è quello che ha sdoganato al mondo i vantaggi del Crowdfunding. Con una
quota di mercato che da sola copre circa la metà delle somme raccolte tramite tutti i
tipi di Crowdfunding (fonte: Massolution).
Il modello operativo ne ha caratterizzato il successo. Similarmente al caso Donationbased il funder finanzia un progetto o business non per ritorni economici, ed inoltre,
lo sceglie perché da esso attratto da morivazioni solitamente personali. A differenza
di questo però, il funder in tal caso riceve una ricompensa, che non è in denaro, ma
abitualmente in prodotto o servizi. Pur non trattandosi di soldi, comunque tali
ricompense hanno un intrinseco valore economico per entrambi le parti. Per il funder
ad esempio, il valore in esso riposto potrebbe essere anche superiore al prezzo
58 economico di mercato, o quello pagato come sostegno al progetto (ad esempio, un
personale ringraziamento dall’imprenditore, un invito per un incontro con lo stesso o
con persone importanti, biglietti d’ingresso per un evento di gala o sportivo,
difficilemente reperibile o ancora gadget di ogni tipo fino ad una versione del
prodotto/servizio finanziato).
Per il fundraiser, come abbia visto, la ricompensa ha comunque un peso economico,
pur non trattandosi di soldi. La differenza sta nel fatto che per il fundraiser, il minor
valore economico restituito sotto forma di ricompensa al funder è giustificato dal
fatto che la finalità principale per il quale quei soldi sono stati raccolti è per
sviluppare un determinato progetto o business, per tanto, a tal fine la maggior parte
dei soldi devono essere destinati.
L’ulteriore innovazione strategica che tale modello ha apportato, con il fine di
catturare più fondi possibili e da più funders possibili, è la possibilità di finanziare un
progetto o business con diversi importi di denaro, per ognuno dei quali, al crescere
dell’importo cresce anche il valore della ricompensa.
• Equity-based
L’Equity-based è il modello di Crowdfunding che ha visto negli ultimi mesi la più
repentina crescita sia in termini di importanza, che di somme raccolte. Tale modello,
prevede l’acquisizione da parte del funder, attraverso formale contratto con il
fundraiser, del diritto alla condivisione dei profitti futuri generati dal progetto o
business, o meglio ancora, prevede l’acquisizione di quote/azioni dell’impresa
(molto spesso Startup) che sta finanziando. Spesso oltre all’acquisizione dei diritti
patrimoniali si acquisiscono anche i diritti amministrativi sull’impresa finanziata.
Il vantaggio per il funder è dato dalla realizzazione futura, delle attese di crescita e di
monetizzazione del progetto o della startup, con il fine di vendere poi ad investitori
istituzionali le quote (vedi BA, VC), per il fundraiser il vantaggio è dato dalla
possibilità di raccolgliere capitali freschi, in una fase giovane del business
generalmente di poco appeal per le banche, ed essere utilizzati come working capital
(capitale operativo), necessario all’imprenditore per sviluppare il business e renderlo
59 appetibile al mercato e ai sostenitori successivi, con una maggiore disponibilità
economica.
Tale vantaggio è assai più importante per le PMI, attive in campi innovativi,
specilamente quelle appartenenti ai settori: ICT, digitale, software, medicale e
tecnologico, che hanno inizialmente costi operativi e di R&S altissimi, a fronte di
rischi altrettanto alti di insuccesso. Di converso va detto altresì che sono proprio tali
organizzazioni ad essere più facilmente finanziate dal mercato, proprio per la loro
potenzialità di generare profitto.
L’aspetto che rende particolare questo tipo di Crowdfunding è la sua recentissima
legificazione a riguardo, nonostante i numeri siano già importanti, tanto che la media
raccolta per un progetto è di 250.000 euro e oltre (fonte Massolution).
La regolamentazione della formula per tale modello, avviene: nel caso Italiano, con il
Decreto Crescita 2.0 (trattato in seguito), mentre in America è introdotto da Obama
con il JOB Act, entrambe entarte in vigore nel 2012.
A conclusione del paragrafo sui tipi di Crowdfunding, e, come accennao in
precedenza, ultimamente sono emersi dei modelli di raccolta fondi che non possono
essere ignorati visti i risultati che stanno riscuotendo, segno che il mercato si
autorganizza a colmare tutti i gap possibili nel linkare gli investors (funder) con gli
investees (fundraiser). Questi nuovi modelli sfumano per le loro caratteristiche in
uno più dei quattro modelli principali poc’anzi spiegati.
Questi che seguono, meritano una trattazione personalizzata, in quanto la loro azione
li rende comunque separati dai primi, anche se da questi originano.
• Pre-sales
Questo modello deriva dal Rewar-based in quanto come questo è prevista una
ricompensa per il funder, la differenza però, e lo dice il nome stesso (pre-vendita),
sta nel fatto che i fundraiser utilizzano miratamente questo tipo di Crowdfunding per
proporre nuovi prodotti o servizi sulle piattaforme dedicate, e monitorare, attraverso
le valutazioni, i feedback e gli acquisti/sostegni ottenuti dai funder, se ed in che
modo il prodotto/servizio piace al mercato. È una forma di ricerca di mercato e
60 validazione dallo stesso, utile per l’imprenditore, il quale si ritrova una percezione di
quota di mercato dal quale partire.
Per il funder in questo caso, l’interesse è sia nel fianziare un progetto per la
produzione di un prodotto o servizio che vorrebbere avere in commercio, sia perché
con questo modello, a loro viene proposto non il semplice ringraziamento, invito o
ricompensa varia, ma bensì uno sconto sul prodotto che il funder si accinge a
finanziare/acquistare.
• Social Lending
Il Social Lending è una forma di Lending/Debt-based Crowdfunding, per la
caratteristica del finanziamento offerto al fundraiser, anch’esso sotto forma di debito
da restituire al funder in un preciso ammontare e tempo. Viene però denominato
Social perché è usato per prestare soldi in progetti cosiddetti “sociali” senza la quota
interessi per il funder.
In sonstanza il funder, non presta soldi con lo scopo di guadagnare dalla quota
interessi, ma lo fa per sostenere una progetto in cui crede.
Un esempio oramai noto di microprestiti, è operato dalla piattaforma Kiva dal 2005,
la quale ha raccolto oltre 170 milioni di euro con un tasso di ripagamento del 99,01%
(fonte: Kiva.org)
• P2P e P2B Lending
Altro caso simile al Lending è il prestito di denaro tra pari, tra persone (P2P) o tra
persone e organizzazioni (P2B). La differenza principale con il Lending-based sta nel
fatto che il finder (lender) generalmente non conosce ne ha contatti con il fundraiser
(borrower), perché l’intermediazione viene operata da terzi attori. Ulteriore
differenza è con il Social Lending, in questo caso esiste la possibiltà, seppur
modestissima (circa 1%), di un profitto per i lender tramite la quota interessi. Questo
tipo di CF è ideale per coloro i quali necessitano di finanziamenti e sono disposti a
rimborsarli con interessi, ma non dispongono delle garanzie necesarrie per ottenerli
dai canali standard.
61 • Reward In Kind (Lending/Equity)
Questa forma di CF è più particolare delle altre, vista la sua derivazione. In questo
caso il funder pur essendo, per contratto, un lender (creditore) tramite Lending-based
o shareholder (azionista) tramite Equity, nei confronti del fundraiser (solitamente
impresa startup), non riceve in cambio del suo finanziamento soldi e interessi o
dividendi, ma prodotti e servizi.
Infatti il Reward In Kind è letteralmente; ricompensa “in natura”, dove per natura si
intende il prodotto o servizio finale generato dall’impresa finanziata. Chiaramente il
valore della ricompensa, pur se in natura, deve soddisfare i funders. Questo tipo di
Crowdfunding è utile perché, permette alle imprese di destinare, anche solo per un
periodo iniziale, gli utili generati dall’attività, ad un uso interno, rimanendo nella
disponibiltà dell’imprenditore, invece di destinarli a rimborare i finanzitori con
dividendi e quindi privarsene per usi più proficui all’impresa.
3.5 Che legislazione per il Crowdfunding?
Il 30 Aprile 2013 la Consob (Commissione nazionale per la Società e la Borsa) ha
chiuso la fase di concertazione per la regolamentazione in materia di raccolta di
capitali di rischio tramite portali online da parte di imprese startup innovative. Tale
fase di consultazione, lasciata aperta al confronto e ai suggerimenti provenienti da
esperti in materia in pieno stile Crowdsourced legislation sfruttando anche in questo
caso la “saggezza della folla”, è la risposta esecutiva alla delega con la quale il
governo Monti ha assegnato alla Consob il compito di regolamentare l’attività di
raccolta di capitali di rischio tramite portali on line (sia per i gestori delle piattaforme
di intermediazione, sia per le startup) e, allo stesso tempo rispondente alla necessità
di tutelare (come avviene negli altri casi di raccolta del pubblico risparmio) i
finanziatori di dette startup.
62 La delega deriva dall’emanazione, il 18 ottobre 2012 a firma del Presidende della
Republica, Giorgio Napolitano, del Decreto Crescita 2.0 (decreto Sviluppo bis),
sviluppato sotto il governo Monti al fine di agevolare la nascita e lo sviluppo di
nuove imprese in campo innovativo e la ricerca di “nuovi” capitali da parte delle
stesse.
Prima di entrare nel merito della disciplina Italiana in materia, è bene precisare che
ciò su cui il legislatore è intervenuto a legiferare non è il crowdfunding in senso
generico, ma un preciso modello dello stesso, che più di tutti gli altri (trattati in
precedenza) richiedeva un inquadramento normativo, avendo ingerenze importanti in
campi quali: tributario, risparmio privato, contabile, fiscale, controllo societario, etc.
Pena, l’espanzione dello stesso.
Il modello in questione è l’Equity Crowdfunding. Gli altri modelli, viste le
caratteristiche operative, sono generalmente autoregolamentati (da buon senso,
professionalità e fiducia) o fatti rientrare nell’applicazione di discipline più generiche
già esistenti. Il perché, deriva non dal minore utilizzo o utilità degli stessi, tutt’altro,
come si è accennato i modelli donation e reward based sono i primi e più ampi (ad
oggi) in misura quantitativa delle somme raccolte, ma semplicemente perché l’entità
delle somme generalmente richieste dalle imprese e le finalità delle stesse non
pongono le parti in situazioni di necessaria prevenzione e mitigazione del rischio di
frode.
Questo non vuole dire che in altri tipi di CF non ci sia richio di frode o di perdita del
denaro offerto, sia ben inteso, ma che tale rischio se soppesato con l’entita del
finanziamento non sia compromettente della stabilità economica di un individuo o
organizzazione.
Entrando ora nel merito del regolamento Consob, in vigore dal 26 Giugno 2013
(l’Italia è il primo paese in Europa a vantare una displina dedicata alla materia, gli
altri paesi sono ancora in fase di concertazione tra il legislatore e gli attori, gli USA
invece, pur essendo stati i pionieri del fenomeno, ben conosciuto oltre oceano prima
ancora che in Italia grazie anche ad una maggiore attitudine alle innovazioni, pur
avendo firmato nel 5 Maggio 2012 dal Presidente Obama il JOB Act, ed aver
incaricato la Securities and Exchange Commission –SEC-, ovvero la Consob
63 Italiana, nel definire le linee guida del modello, si attarda ad arrivare ed è prevista
per la fine dell’anno).
Riporto di seguito il testo con gli articoli che disciplinano il modello pubblicati dalla
Consob sul sito:
[…]
«Cosa sono le startup innovative?
Le startup innovative sono piccole società di capitali (spa, srl o cooperative) italiane,
da poco operative, impegnate in settori innovativi e tecnologici o a vocazione
sociale.
Il “Decreto crescita bis” stabilisce i requisiti che tali società devono possedere e
dispone diverse semplificazioni normative per favorirne la diffusione e lo sviluppo.
Per crescere bene è necessario un’ambiente favorevole: per questo il legislatore, nel
disegnare il sistema ha previsto una particolare categoria di soggetti, gli “incubatori”:
società di capitali italiane che offrono servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo
delle startup innovative. Le startup innovative possono offrire i propri strumenti
finanziari (anche) attraverso portali online se sono iscritte in una sezione speciale del
registro delle imprese tenuto dalle Camere di commercio, industria, artigianato e
agricoltura dove è possibile acquisire le principali informazioni sulle società. Anche
il sito internet delle singole startup è un’importante fonte di informazioni: esso
riporta (e aggiorna ogni sei mesi) le informazioni sull’attività svolta, sui soci
fondatori, sul personale e sugli altri elementi indicati dal Decreto nonché sul
bilancio.
• Art 2. Requisiti della startup innovative
Ai sensi del “Decreto crescita bis”:
-
non è quotata su mercati regolamentati (o su altri sistemi di negoziazione);
-
è costituita e svolge attività di impresa da non più di 48 mesi;
-
ha la sede principale in Italia;
-
è di piccole dimensioni (totale del valore della produzione annua non
superiore a 5 milioni di euro);
-
non distribuisce utili;
64 -
è impegnata in via esclusiva, o comunque prevalente, nello sviluppo,
produzione e commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto
valore tecnologico, ovvero opera in via esclusiva nei settori di riferimento
della disciplina dell’impresa sociale.
Le startup innovative devono inoltre possedere almeno uno dei seguenti requisiti:
-
investire in ricerca e sviluppo (almeno il 15% del maggior valore tra costo e
valore della produzione);
-
avere fra i dipendenti più di un terzo di dottori di ricerca o laureati comunque
impegnati nella ricerca (ovvero più dei due terzi in possesso di laurea
magistrale);
-
essere titolari di diritti di sfruttamento (almeno uno) di invenzioni industriali,
elettroniche, biotecnologiche o di nuove varietà vegetali ovvero di diritti
relativi a un programma per elaboratore originario.
• Art 3. Deroghe in favore delle start-up innovative
Il “Decreto crescita bis” stabilisce in favore delle startup innovative una serie di
deroghe all’applicazione di norme di legge in materia di:
-
obblighi di riduzione del capitale in presenza di perdite (alle startup
innovative è consentito ridurre il capitale entro due esercizi anziché entro
l’esercizio successivo);
-
diritti dei possessori di quote di s.r.l. (a differenza della disciplina ordinaria è
consentita la creazione di “categorie di quote” aventi diritti diversi rispetto
alle quote ordinarie e anche di quote prive del diritto di voto);
-
crisi d’impresa (le startup innovative in crisi non sono assoggettate al
fallimento né alle altre procedure concorsuali potendo invece accedere alle
più semplici procedure di riorganizzazione del debito e di liquidazione del
patrimonio previste dalla legge n. 3 del 2012);
-
offerta al pubblico di quote di s.r.l. (le quote di partecipazione al capitale di
startup innovative che hanno la forma di s.r.l. possono essere offerte al
pubblico, a differenza delle comuni s.r.l. cui ciò è vietato).
65 Secondo i dati pubblicati nella sezione speciale del registro delle imprese delle
Camere di Commercio la quasi totalità delle startup innovative sono costituite in
forma di s.r.l.
• Art 4. Gli incubatori di startup
Affinché possano effettivamente supportare le startup gli incubatori devono
possedere i seguenti requisiti:
-
disporre di strutture, anche immobiliari, idonee;
-
disporre di attrezzature adeguate, quali accesso a internet ultraveloce,
macchinari per test e prove;
-
avere amministratori e dirigenti di riconosciuta competenza in materia di
impresa e innovazione;
-
avere regolari rapporti di collaborazione con università, centri di ricerca,
istituzioni pubbliche e istituti finanziari;
-
avere una comprovata esperienza nell’attività di sostegno alle startup
innovative, valutata attraverso la concreta attività prestata.
Qualora posseggano i requisiti richiesti anche gli incubatori, come le start-up
innovative, sono iscritti in una sezione speciale del registro delle imprese tenuto dale
Camere di commercio dove è possibile assumere informazioni sulle loro attività e
caratteristiche.
Dove posso trovare le informazioni sulle offerte di capitali online? Cosa sono i
portali di equity crowdfunding?
Per assumere le informazioni necessarie a decidere se investire (tramite internet) in
strumenti finanziari emessi da startup innovative gli investitori consultano i portali
online che si occupano di equity crowdfunding. Si tratta di piattaforme vigilate dalla
Consob che facilitano la raccolta del capitale di rischio delle startup innovative.
I portali forniscono agli investitori le informazioni sulle startup e sulle singole offerte
attraverso apposite schede (redatte secondo il modello standard allegato al
66 Regolamento) che possono essere presentate anche con strumenti multimediali
tramite immagini, video o “pitch” (le presentazioni, normalmente in PPT, con cui si
descrivono l’azienda, la sua idea di business, le persone che la compongono e i piani
che intendono perseguire con l’investimento cercato).
• Art 5. La trasparenza delle startup innovative.
La legge impone alle startup di fornire ed, eventualmente, aggiornare con cadenza
almeno semestrale sul proprio sito le seguenti informazioni:
a) data e luogo di costituzione, nome e indirizzo del notaio;
b) sede sociale ed eventuali sedi periferiche;
c) oggetto sociale;
d) breve descrizione dell’attività svolta, comprese le attività e le spese in ricerca e
sviluppo;
e) elenco dei soci, con evidenza delle fiduciarie, holding, con autocertificazione di
veridicità;
f) elenco delle società partecipate;
g) indicazione di titoli di studio e delle esperienze professionali dei soci e del
personale che lavora nella startup (ad eccezione dei dati sensibili);
h) indicazione dell’esistenza di relazioni professionali, di collaborazione o
commerciali con incubatori certificati, investitori istituzionali e professionali,
università e centri di ricerca;
i) ultimo bilancio depositato (nel formato “standard XBRL”);
j) elenco dei diritti di privativa su proprietà industriale e intellettuale.
Chi può gestire un portale per la raccolta online di capitale di rischio emesso da
startup innovative? I gestori iscritti al registro e quelli annotati nella sezione
speciale ….
Proprio per il ruolo cruciale che svolgono il legislatore ha ritenuto necessario
garantire l’affidabilità e la “qualità” del servizio svolto dai portali.
Per questi motivi la gestione di portali è riservata a due categorie di soggetti:
-
i soggetti autorizzati dalla Consob e iscritti in un apposito registro tenuto
67 dalla medesima Autorità;
-
le banche e alle imprese di investimento (SIM) già autorizzate alla
prestazione di servizi di investimento (i c.d. “gestori di diritto”, annotati nella
sezione speciale del registro tenuto dalla Consob).
L’elenco dei gestori di portali è consultabile sul sito della Consob.
• Art 6. Il registro dei gestori di portali
Il Regolamento Consob distingue il registro dei portali in due sezioni, una ordinaria e
una speciale.
Nella sezione ordinaria sono iscritti i gestori di portali che sono autorizzati dalla
Consob in seguito alla positiva verifica della sussistenza dei requisiti richiesti, tra i
quali:
-
la forma giuridica di società di capitali;
-
il possesso, da parte dei soci di controllo, dei previsti requisiti di onorabilità;
-
il possesso, da parte dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione,
direzione e controllo, dei previsti requisiti di onorabilità (gli stessi dei soci di
controllo) e di professionalità;
-
la presentazione di una relazione sull’attività di impresa e sulla struttura
organizzativa (da predisporre secondo le indicazioni allegate al Regolamento
Consob).
La perdita dei requisiti è una delle cause che comporta la cancellazione del gestore
dal registro.
Nella sezione speciale sono invece annotati i “gestori di diritto”, ovvero le banche e
le imprese di investimento autorizzate alla prestazione dei relativi servizi di
investimento che hanno comunicato alla Consob lo svolgimento della gestione di
portali di equity crowdfunding.
Il registro è consultabile attraverso il sito internet della Consob e attraverso i siti dei
portali; al suo interno potranno essere rinvenute importanti informazioni sui gestori
di portali tra cui: il collegamento alla home page del sito internet del portale e gli
estremi degli eventuali provvedimenti sanzionatori e cautelari adottati dalla Consob
68 nei confronti dei gestori.
La Consob esercita la vigilanza sui gestori iscritti al registro potendo richiedere dati
notizie e documenti ed effettuando ispezioni. Nel caso accerti la violazione di regole,
può sospendere il gestore dall’attività e, nei casi più gravi, radiarlo dal registro, oltre
ad irrogare sanzioni pecuniarie.
Cosa accade quando si investe tramite un portale gestito da un soggetto
iscritto al registro della Consob? Ci sono differenze nei rapporti con gli
investitori?
Ai gestori dei portali iscritti nel registro della Consob si applica una disciplina più
“leggera” rispetto a quella dettata per gli intermediari tradizionali presso cui
abitualmente i risparmiatori effettuano i propri investimenti.
Come contropartita i gestori iscritti non possono detenere somme di danaro di
pertinenza degli investitori né eseguire direttamente gli ordini per la sottoscrizione
degli strumenti finanziari offerti sui propri portali, dovendo a tal fine trasmetterli
esclusivamente a banche o SIM. I gestori non possono poi svolgere in alcun modo
consulenza finanziaria nei confronti degli investitori.
Il ruolo fondamentale del portale è quello di assicurare che gli investitori possano
comprendere caratteristiche e rischi degli investimenti proposti, prendendo visione
della relativa informativa presente nel portale e della presente sezione di investor
education.
• Art 7. Quali sono le informazioni che deve fornire il portale?
Il portale gestito da un soggetto iscritto nel registro tenuto dalla Consob deve mettere
a disposizione dell’investitore le informazioni necessarie a assumere consapevoli
decisioni di investimento (tenendo conto quindi delle caratteristiche e dei rischi che
corre). I portali possono utilizzare anche tecniche multimediali di comunicazione per
fornire le informazioni dovute (ad esempio, video e presentazioni).
In sintesi, il Regolamento Consob prevede che l’investitore sia messo in grado di
acquisire una adeguata conoscenza in merito ai tre principali aspetti dell’equity
crowdfunding.
69 Il portale: l’investitore deve sapere:
-
chi gestisce il portale (chi controlla tale soggetto e chi svolge funzioni di
amministrazione direzione e controllo);
-
le attività svolte da portale (ad esempio, in che modo sono selezionate le
offerte);
-
come sono gestiti gli ordini per la sottoscrizione degli strumenti finanziari
offerti;
-
i costi a carico degli investitori;
-
le misure che il portale ha predisposto per gestire i rischi di frode, i conflitti
di interesse, i reclami e il corretto trattamento dei dati personali;
-
i dati aggregati sulle offerte svolte dal portale e i risultati raggiunti;
-
la normativa di riferimento, i link al registro tenuto dalla Consob, alla sezione
di investor education predisposta dalla Consob e alla sezione speciale del
registro delle imprese dedicata alle startup innovative e agli incubatori;
-
i provvedimenti sanzionatori o cautelari che la Consob ha adottato nei
riguardi del gestore del portale;
-
le iniziative assunte nei confronti delle startup innovative nei casi di
inosservanza delle regole di funzionamento del portale.
L’investimento in capitale di rischio emesso da una startup innovativa: l’investitore
deve essere informato su:
-
il rischio di perdere l’intero capitale investito;
-
il rischio di non poter “liquidare” in tempi brevi l’investimento (è il rischio di
illiquidità);
-
il fatto che non percepirà i dividendi sugli utili finché la società sarà una
startup innovativa (perché la legge ha posto un divieto);
-
i benefici fiscali introdotti di Decreto crescita bis (durata e decadenza);
-
le deroghe al diritto societario e al diritto fallimentare;
-
i contenuti tipici di un business plan;
-
il diritto di recesso che il Regolamento Consob attribuisce agli investitori
retail esercitabile (senza alcuna spesa né motivazione) entro sette giorni dalla
data dell’adesione online all’offerta.
70 Le singole offerte, relativamente alle quali il portale deve pubblicare:
-
una “scheda” con tutte le informazioni che la Consob ha elencato
nell’Allegato 3 del Regolamento e i relativi aggiornamenti
-
le banche e le imprese di investimento cui saranno trasmessi gli ordini per la
loro esecuzione;
-
il conto corrente (vincolato) della startup innovativa presso cui saranno
depositate le somme raccolte;
-
le informazioni e le modalità per esercitare il diritto di revoca dell’adesione
all’offerta che il regolamento Consob attribuisce agli investitori retail definiti
come quelli “diversi dagli investitori professionali” (sono investitori
professionali le banche, le SIM, le compagnie di assicurazione, etc.) nei casi
in cui sopraggiungano dei fatti in grado di influire sulla decisione di
investimento (fatti nuovi sull’offerta oppure modifiche delle informazioni
fornite a seguito di un errore),
-
le informazioni sullo stato delle adesioni alle offerte (dando anche
informazioni circa le modalità di pubblicazione e di aggiornamento).
Una particolare tutela è rivolta nei confronti degli investitori retail (cioè quelli diversi
da banche, SIM, compagnie di assicurazione, etc.) i quali devono completare un vero
e proprio “percorso di investimento consapevole”: per accedere alla sezione del
portale in cui è possibile aderire alle offerte devono infatti aver compilato un
apposite questionario online da cui risulti che hanno preso visione delle informazioni
messe a disposizione e che hanno compreso le caratteristiche e i rischi
dell’investimento in startup innovative.
Se l’investitore retail non supera il percorso il gestore non può consentire che questi
aderisca alle offerte presenti sul portale.
• Art 8. Il “percorso consapevole” che gli investitori retail devono completare per
poter aderire alle offerte online.
Il regolamento Consob prevede che prima di poter aderire alle offerte presentate sul
portale gli investitori non professionali (“retail”) devono, mediante le modalità
71 presenti sul portale:
-
dare prova di aver preso visione delle informazioni di investor education
presenti sul sito internet della Consob;
-
aver risposto positivamente a un questionario sulle caratteristiche essenziali e
i rischi principali connessi all’investimento in startup innovative;
-
dichiarare di essere in grado di sostenere economicamente l’intera perdita
dell’investimento che intendono effettuare.
È sufficiente aderire all’offerta sul portale iscritto per completare l’investimento? Il
ruolo delle banche e delle SIM in questa fase.
Una volta che l’investitore decide di investire in una startup, il gestore del portale
deve trasmettere l’ordine di adesione ad una banca o una impresa di investimento che
provvederanno a perfezionare la sottoscrizione degli strumenti finanziari (e a
raccogliere le somme corrispondenti in un conto indisponibile a favore
dell’emittente).
In virtù della normativa vigente (nota anche come “disciplina MiFID” stante la
derivazione dalla norma europea) le banche e le SIM dovranno svolgere l’attività nel
rispetto della disciplina sui servizi di investimento che prevede una serie di obblighi
informativi e di comportamento nei confronti degli investitori (tra cui la c.d.
“profilatura della clientela”).
Per favorire lo sviluppo del crowdfunding e, quindi, agevolare l’accesso ai
finanziamenti da parte delle startup innovative, il Regolamento prevede una
esenzione dall’applicazione della disciplina sui servizi di investimento per gli
investimenti che siano complessivamente al di sotto di una determinata soglia pari a:
-
500 euro per singolo ordine e 1.000 euro per ordini complessivi annuali, per
gli investimenti delle persone fisiche,
-
5.000 euro per singolo ordine e 10.000 euro per ordini complessivi annuali,
per gli investimenti delle persone giuridiche.
Per poter applicare l’esenzione, è necessario che gli investitori dichiarino di non aver
superato le soglie (prendendo in considerazione, per la soglia annuale, anche gli
investimenti effettuati presso altri portali nell’anno solare di riferimento).
72 E cosa accade quando il portale è gestito da una banca o da una SIM
(annotata nella sezione speciale del registro tenuto dalla Consob)?
Le banche e le SIM non hanno bisogno di un’autorizzazione della Consob per gestire
un portale per la raccolta di capitali di startup innovative (in quanto sono già
autorizzate alla prestazione dei servizi di investimento) ma vengono semplicemente
annotate nella sezione speciale del registro dei portali previa comunicazione alla
Consob.
In questi casi ai rapporti tra il portale e gli investitori si applicano le regole comuni in
materia di servizi di investimento, come chiarito nella Comunicazione Consob n.
0066128 del primo agosto 2013.
A tali soggetti non si applicano le regole più restrittive previste per i gestori iscritti
alla sezione ordinaria del registro (divieto di detenere somme di denaro e obbligo di
trasmissione degli ordini a banche e SIM) e possono quindi gestire integralmente il
processo della raccolta di capitali delle startup innovative. Di contro, non godono
dell’esenzione dalla disciplina di derivazione MiFID per gli ordini al di sotto delle
soglie stabilite dal Regolamento Consob.
È opportuno che gli investitori prendano conoscenza del diritto di recesso che il
portale dispone e delle condizioni per il suo esercizio.
Quali sono le regole che si applicano alle offerte di capitali online?
Le offerte online di strumenti finanziari emessi da startup innovative sono offerte
“speciali”. Ad esse infatti si applicano le regole stabilite dalla legge e dalla Consob:
ad esempio è importante sapere che non è pubblicato un prospetto, ma una scheda
informativa (non approvata dalla Consob) che deve essere pubblicata sul portale e
redatta secondo il modello stabilito dalla stessa Autorità.
• Art 9. Le regole speciali delle offerte online di strumenti finanziari emessi da
startup innovative.
73 Il Tuf e il Regolamento adottato dalla Consob stabiliscono che tali offerte:
-
non possono superare la somma di 5 milioni di euro;
-
possono essere trattate solo da portali gestiti da soggetti iscritti o annotate nel
Registro tenuto dalla Consob;
-
possono avere ad oggetto solo strumenti finanziari rappresentativi del capitale
di rischio (azioni o “quote”);
-
vanno a buon fine solo se il 5% del loro ammontare è sottoscritto da un
investitore professionale;
-
devono riconoscere il diritto di revoca agli investitori per i casi in cui
intervengono cambiamenti significativi della situazione della startup o delle
condizioni dell’offerta.
Infine, affinché l’offerta sia ammessa sul portale, lo statuto della startup deve
prevedere:
-
nel caso in cui, una volta che si è chiusa l’offerta sul portale, i soci di
controllo trasferiscano il controllo a terzi, la possibilità per gli altri soci di
recedere dalla società (diritto di recesso a seguito del quale si ha diritto alla
liquidazione della propria partecipazione) ovvero il diritto per gli altri soci di
vendere anche le proprie partecipazioni al soggetto che acquista il “pacchetto
di controllo” alle stesse condizioni applicate ai soci di controllo (c.d. diritto di
“co-vendita” o “tag-along”),
-
la comunicazione alla start up nonché la pubblicazione (sul sito della stessa)
dei patti parasociali.
• Art 10. Quali sono le informazioni sulle singole offerte che trovo sul portale?
-
una “scheda” con tutte le informazioni che la Consob ha elencato
nell’Allegato 3 del Regolamento ed i relativi aggiornamenti;
-
le banche e le imprese di investimento cui saranno trasmessi gli ordini per la
loro definitiva esecuzione;
-
il conto corrente (vincolato) della startup innovativa presso cui saranno
depositate le somme raccolte;
-
le informazioni e le modalità per esercitare il diritto di revocare l’adesione
74 all’offerta nei casi in cui, una volta che l’investitore abbia aderito all’offerta,
sopraggiungano dei fatti in grado di influire sulla decisione di investimento
(fatti nuovi sull’offerta oppure modifiche delle informazioni fornite a seguito
di un errore);
-
le informazioni sullo stato delle offerte (modalità di pubblicazione e
aggiornamento).
Dal momento in cui gli investitori aderiscono online a un’offerta su un portale al
momento in cui entreranno effettivamente in possesso degli strumenti finanziari
oggetto dell’offerta potrebbe trascorrere del tempo e talvolta l’offerta potrebbe anche
non andare a buon fine.
Alla chiusura dell’offerta il portale dovrà verificare che il 5% degli strumenti
finanziari offerti sia stato sottoscritto da investitori professionali e che siano state
rispettare tutte le altre condizioni della singola offerta.
• Art 11. Le condizioni dell’offerta
Affinché un’offerta vada a buon fine è necessario che si verifichino tutte le
condizioni cui è subordinato il suo perfezionamento. Si tratta dei presupposti stabiliti
dalla legge e dal Regolamento Consob e delle ulteriori eventuali condizioni apposte
dalla startup e di cui l’investitore prende conoscenza leggendo la “scheda”
dell’offerta pubblicata sul portale.
In particolare, l’investitore deve comprendere se sta aderendo ad un’offerta “tutto o
niente” perché in questo caso, se non è raggiunto il 100% delle adesioni (di cui il 5%
da parte di investitori professionali), l’offerta decade (e i soldi versati per la
sottoscrizione degli strumenti finanziari nel conto indisponibile sono restituiti agli
investitori). Diverso è il caso delle c.d. “offerte scindibili” che vanno a buon fine a
prescindere dalle somme raccolte (per le quali però esiste un maggior rischio di
fattibilità del progetto imprenditoriale nel caso in cui l’offerta raggiunga un numero
di sottoscrizioni ridotto).
Ho aderito a un’offerta di capitale di startup innovativa su un portale: e
adesso? Posso cambiare idea?
75 Gli investitori retail hanno il diritto di cambiare idea a patto che ciò avvenga entro i
termini stabiliti. In particolare:
-
entro 7 giorni dall’adesione è sempre possibile recedere senza alcuna spesa
tramite una comunicazione al portale, secondo le modalità indicate dallo
stesso;
-
entro 7 giorni dalla data in cui nuove informazioni (fatto nuovo o
segnalazione di un errore materiale) rispetto a quelle esposte sul portale sono
portate a conoscenza degli investitori, è possibile revocare l’adesione
all’offerta, in entrambi i casi i soldi già versati saranno restituiti
Quali sono i principali rischi dell’investimento in start-up innovative?
Adesso, prestiamo bene attenzione.
L’investimento in startup innovative presenta caratteristiche particolari e rischi
economici più elevati rispetto agli investimenti tradizionali.
Riflettiamo in primo luogo sul fatto che una startup innovativa è qualcosa di nuovo:
non ha una storia, né propria né riferita al settore in cui opera, non ha risultati da
presentare, non ha dividendi da promettere (la cui distribuzione non è consentita
affinché gli utili eventualmente realizzati siano reinvestiti nell’attività d’impresa).
Una startup, in sostanza, offre un’idea e un progetto per realizzarla.
La decisione se investire oppure no, pertanto, non si basa, come tradizionalmente
avviene, su elementi economici e razionali ma, inevitabilmente, sul nostro modo di
apprezzare, anche emotivamente, il progetto che ci viene presentato. E sull’impatto
emotivo che il progetto può avere su di noi ben possono influire, oltre che le parole,
le immagini, i video o i “pitch” presenti sul portale.
Tutti gli studi che trattano il tema del crowdfunding sottolineano l’importanza del
fattore emozionale nella scelta del progetto da finanziare. E questo costituisce forse
uno degli aspetti più delicati di cui l’investitore (soprattutto quello non professionale)
deve prendere coscienza nella sua decisione di impiegarvi i propri risparmi.
La mancanza di elementi economici e razionali cui fare riferimento e,
conseguentemente, l’approccio inevitabilmente emozionale con cui si valuta
76 l’investimento, oltre che la intrinseca rischiosità di società neo costituite operanti in
settori innovativi, sono alla base dei principali rischi dell’investimento in startup
innovative. A questi si aggiunge il rischio di truffa tipico di tutte le transazioni
effettuate on-line. Esaminiamoli più nel dettaglio.
Il rischio di perdita del capitale
La disciplina italiana sull’equity crowdfunding consente di sottoscrivere solo
strumenti di capitale delle startup innovative: si tratta quindi di investimenti tra i più
rischiosi, perché acquistando “titoli di capitale” si diventa soci della start-up e si
partecipa quindi per intero al rischio economico che caratterizza tutte le iniziative
imprenditoriali.
• Art 12. Gli strumenti finanziari oggetto delle offerte on-line
Il “Decreto crescita bis” ha stabilito che sui portali online è possibile svolgere offerte
aventi ad oggetto unicamente “strumenti di capitale di rischio” emessi da startup
innovative: si tratta delle azioni di s.p.a. e delle quote di s.r.l. Non è dunque possibile
che si svolgano offerte aventi ad oggetto titoli di debito (ad es. le obbligazioni).
Chi acquista titoli di capitale normalmente ha diritto a percepire annualmente il
dividendo (cioè, una quota parte) sugli utili che la società ha conseguito nel periodo
di riferimento. A parità di altre condizioni, un titolo di capitale è più rischioso di un
titolo di debito, in quanto la remunerazione spettante a chi lo possiede (dividendi) è
legata all'andamento economico della società emittente (e cioè alla presenza di utili).
La remunerazione del soggetto che acquista un titolo di debito corrisponde al
pagamento degli interessi e il rischio che sopporta (mancato pagamento degli
interessi) sussiste solo in caso di dissesto finanziario della società emittente
(prescinde quindi dalla presenza o meno di utili: gli interessi dei titoli di debito
devono comunque essere pagati, a meno che la società non sia in dissesto).
Vi sono poi differenze anche con riferimento al valore del capitale che è stato
investito. In caso di fallimento della società emittente, i detentori di titoli di debito
potranno infatti partecipare, con gli altri creditori, alla suddivisione (che comunque si
realizza in tempi solitamente molto lunghi) dei proventi derivanti dal realizzo delle
77 attività della società, mentre è pressoché escluso che i detentori di titoli di capitale
possano vedersi restituire una parte di quanto investito.
Per converso, in caso di andamento positivo del progetto imprenditoriale finanziato,
l’investitore potrà vedere crescere il valore della propria partecipazione ben oltre
quanto inizialmente investito.
Poiché si tratta, come detto, di società neo costituite operanti in settori innovativi, il
rischio che il progetto imprenditoriale non vada a buon fine è ancora maggiore
rispetto a quello delle società già da tempo operanti in un determinato settore, il che,
ovviamente, incide anche sul rischio per gli investitori di perdere l’intero capital
investito.
E’ opportuno pertanto investire in startup solo le somme per le quali riteniamo di
poter sostenere la totale perdita.
Inoltre, con riferimento all’intero nostro portafoglio, è sempre una saggia regola
quella di diversificare gli investimenti: in considerazione della sua elevata rischiosità
l’investimento in startup innovative dovrebbe rappresentare un percentuale (molto)
limitata del portafoglio complessivamente investito anche in attività più tradizionali
(titoli di Stato, obbligazioni, azioni, quote di fondi comuni, prodotti finanziari
assicurativi, depositi etc.).
Mancanza (iniziale) di dividendi
Dobbiamo comprendere che non è facile che una società da poco costituita riesca, nei
primi anni di vita, a produrre utili. Il “Decreto crescita bis” ha addirittura posto il
divieto di distribuzione di utili (per tutto il periodo in cui la società emittente
possiede i requisiti di startup innovativa, e cioè per un massimo di 4 anni dalla
iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese). Gli eventuali utili
saranno quindi necessariamente reinvestiti nella società accrescendo il valore della
partecipazione nel caso in cui la startup consegua risultati positivi nel tempo. Chi
investe in startup potrà però beneficiare di un trattamento fiscale di favore (art. 29
del “Decreto crescita bis” e regolamenti ministeriali di attuazione).
78 Il rischio di illiquidità
La liquidità di uno strumento finanziario consiste in generale nella sua capacità a
trasformarsi prontamente in moneta senza perdita di valore. Essa dipende in primo
luogo dall’esistenza di un mercato in cui il titolo può essere trattato e dalle
caratteristiche di questo mercato.
In generale, a parità di altre condizioni, i titoli negoziati sui “mercati organizzati” (ad
esempio, la Borsa Italiana) sono più liquidi dei titoli non trattati su detti mercati. Ciò
accade perché la domanda e l'offerta di titoli vengono convogliate in gran parte sui
mercati organizzati e, quindi, i prezzi rilevati in quel contesto sono ritenuti indicatori
più affidabili dell'effettivo valore degli strumenti finanziari.
Quando invece gli strumenti finanziari non sono negoziati in mercati organizzati può
risultare difficoltoso o impossibile liquidarli o comprenderne il valore effettivo:
questi strumenti finanziari sono più “illiquidi” (è più difficile venderli in tempi rapidi
e a un prezzo che rispecchi effettivamente il loro valore).
Gli strumenti finanziari emessi dalle startup innovative che possono essere
sottoscritti tramite i portali di equity crowdfunding appartengono alla seconda
categoria, dal momento che il Decreto crescita ne vieta la negoziazione nei mercati
organizzati per il periodo in cui la società può essere considerata una startup
innovativa (art. 25, comma 2 del “Decreto crescita bis”).
Pertanto, chi compra tali strumenti deve essere consapevole del fatto che, accanto al
rischio di perdita dell’intero capitale investito, vi è anche il rischio di “illiquidità”
collegato sia al divieto per un primo periodo di essere scambiati su mercati
organizzati e sia al fatto che , inizialmente, non esiste un c.d. “mercato secondario”
sul quale è possibile effettuare gli scambi una volta che gli strumenti sono stati
sottoscritti.
E quali sono i rischi connessi con gli investimenti effettuati tramite portal on-line?
La diffusione dell’utilizzo di internet per le transazioni commerciali ha aumentato il
rischio di incappare in iniziative illecite o in vere e proprie truffe. Se riceviamo una
proposta di investimento via email, o se vogliamo aderire ad un’offerta per
79 sottoscrivere o acquistare prodotti finanziari su un sito internet, è bene fare qualche
verifica in più, ad esempio:
-
controllare che il soggetto che propone l’investimento sia chiaramente
identificabile;
-
verificare che gli indirizzi forniti (telefono, fax e sede del soggetto)
corrispondano effettivamente a quelli del soggetto, avvalendosi magari dei
servizi “elenco abbonati telefonici”;
-
verificare sempre direttamente presso la Consob che il gestore del portale sia
iscritto al registro dei gestori di portali tenuto dalla Consob. È bene inoltre
sottolineare che anche qualora il soggetto dichiari (e lo sia effettivamente) di
essere vigilato da un’autorità pubblica, ciò non comporta alcuna assunzione
di responsabilità da parte di tale autorità né garantisce il contenuto delle
proposte effettuate;
-
verificare che l’indirizzo internet del portale cui si è connessi coincida con
quello indicato nel registro dei gestori di portale presente sul sito della
Consob;
-
diffidare delle richieste di dati/informazioni personali; è sempre bene
controllare la politica di trattamento dei dati personali che il portale deve
mettere a disposizione degli investitori (al fine di accertare che i propri dati
non siano trasmessi a terzi).
-
ricordare infine che la raccolta di capitali promossa tramite portali di
crowdfunding iscritti nella sezione ordinaria del registro tenuto dalla Consob
si perfeziona sempre tramite banche o imprese di investimento (SIM). Il
gestore iscritto nel registro dei portali non può richiedere al cliente di versare
a suo favore le somme necessarie per la sottoscrizione degli strumenti
finanziari. Queste dovranno essere versate solo in un conto indisponibile
intestato all’emittente acceso presso la Banca o la SIM.
... e dopo?
Investire i propri risparmi non implica soltanto la scelta e l'acquisto: è bene
continuare a seguire i nostri investimenti nel tempo e acquisire il maggior numero di
80 informazioni.
Se siamo diventati soci di una società startup, possiamo partecipare alla vita
societaria esercitando, ove previsto, il diritto di voto nelle assemblee o esaminando e
approvando i bilanci societari. Siamo d'accordo: non si tratta di documenti che si
presentano come particolarmente interessanti. Ma vanno letti, perché ci forniscono
informazioni sullo stato di ”salute” del nostro investimento e ci possono far riflettere
sull’opportunità di mantenerlo o liquidarlo.
A questo fine, dobbiamo leggere attentamente la documentazione che normalmente
la società mette a disposizione dei soci. Ricordiamo che il portale, una volta conclusa
l’offerta, non è obbligato a pubblicare questa documentazione e pertanto dobbiamo
seguire con molta attenzione il sito internet della società di cui abbiamo sottoscritto
gli strumenti finanziari ricordandoci che la società, finché è in possesso dei requisiti
di startup innovativa, deve aggiornare le informazioni elencate dal “Decreto crescita
bis” almeno ogni sei mesi.
Attenzione poi al cambio di controllo! Lo statuto della startup innovativa (che ogni
socio deve conoscere), finché rimane tale e comunque nei successivi tre anni
dall’offerta effettuata tramite il portale, deve riconoscere agli investitori, nel caso di
cambio di controllo societario,il diritto di recesso o di co-vendita (c.d. tag along),
indicandone modalità e condizioni.
Attenzione, inoltre, alle vicende societarie successive alla raccolta di capitali cui noi
abbiamo aderito: la società potrebbe ad esempio effettuare ulteriori aumenti di
capitale anche attraverso portali di crowdfunding. Se non si esercita il “diritto di
opzione” (cioè il diritto dei soci già esistenti di sottoscrivere le nuove azioni o quote
emesse dalla società) esiste il rischio che il proprio investimento subisca un effetto di
“diluizione” (perché sono entrati nuovi soci a seguito dell’aumento di capitale), e la
propria partecipazione nella società “pesare” (percentualmente) un po’ meno, in
termini di voti, dividendi attesi e valore. La società emittente potrebbe infine avere
un’interesse ad agevolare un “mercato” dei propri strumenti finanziari. Seppure i
titoli di una startup innovativa non possano essere negoziati in mercati regolamentati,
potrebbero essere creati, anche con l’ausilio del portale, dei punti di incontro fra gli
investitori (blog, bacheche etc.) dove i soci possono seguire gli sviluppi della vita
societaria e proporre la compravendita dei propri strumenti finanziari».
81 3.6 Come realizzare una campagna per il Crowdfunding
Apro questo paragrafo precisando che: secondo uno studio condotto su alcune
campagne, di vario genere, è emerso che la durata media per la realizzazione del
funding goal va dalle “cinque” alle “dieci” settimane.
Il risultato di questa indagine palesa come sia cruciale per gli organizzatori di una
campagna di Crowdfunding preparare la stessa in modo assolutamente dettagliato e
analitico, con un’attenzione rivolta a 360° su ogni set di fattori chiave, al fine di
sfruttare al meglio ogni singolo minuto del breve periodo (5-10 settimane) che segna
l’ascesa o la caduta di un progetto.
Inoltre la relativa facilità d’uso delle piattaforme, la concreta possibilità per tutti di
realizzare le proprie idee, gli incredibili quanto fuorvianti casi di strasuccesso per
alcune campagne sbandierate ovunque, non aiutano molto a creare quella giusta
cultura e professionalità con la quale si dovrebbe invece prendere questa chance.
Pensare che per fare Crowdfunding basti trovare un’idea, un sito dove pubblicarla e
aspettare che qualcuno (tra i tanti utenti del web) passi di lì e ci lasci i suoi “sudati”
soldi, è meno raro di quanto si pensi.
Uno studio in materia ha dimostrato che oltre il 60% delle campagne postate sulle
diverse piattaforme, non raggiunge l’obiettivo prefissato (per verificarlo basta
seguire qualche progetto su qualche piattaforma per capirlo da soli).
Ciononostante non bisogna lasciarsi scoraggire, ma cercare di capire, osservando
attentamente le campagne concluse, sia quelle di successo e altrettanto quelle fallite,
i punti chiave della loro impostazione che ne hanno segnato il successo o
l’insuccesso e metterli a confronto con i casi propri, in particolar modo se trattasi di
progetti simili.
Detto ciò sono ottimista a riguardo, intravedendo nella maggiore diffusione del
fenomeno nel nostro paese, nell’implementazione dei fattori fondamentali per una
campagna, nella creazione di benchmark operativi, nella sana concorrenza e
nell’attenzione raccolta dai policy maker, una maturazione della cultura del
fenomeno e la conseguente professionalità, per affinare le tecniche d’uso e sfruttarne
tutte le potenzialità.
82 Qui di seguito vengono ora affrontati i punti chiave che sino ad ora hanno
caratterizzato per importanza le concluse campagne di Crowdfunding.
In punti in questione, ricolegandomi a quanto detto sopra, appartengono alla fase
operativa che precede il lancio del progetto per la campagna di raccolta fondi. Come
si avrà modo di capire, la quantità di lavoro che deve essere fatta per preparare una
campagna di Crowdfunding è abbondante e variegata, impegnando i progettisti per
competenze e tempo richiesto.
Calzante è in tale circostanza la nota teoria Paretiana dell 80/20, che in questo caso
vede da una parte (80%) il lavoro di preparazione, analisi, ricerca, impostazione, etc,
e dall’altro (20%) la campagna in azione.
LAVORO PRELANCIO PER LA PREPARAZIONE DELLA CAMPAGNA DURATA VARIABILE. DAI 6 MESI AD 1 ANNO CAMPAG
5/10 NA WEEKS ONLINE 1. La piattaforma. Scegliere prima di tutto se si vuole presentare la campagna sul
sito/piattaforma personale o se lanciarlo su una delle piattaforme esistenti. La scelta
non è scontata in quanto in ballo ci sono molti aspetti inerenti l’esito del progetto
come: i soldi che si è in grado di raccogliere (qualità e quantità dei fondi in base ai
modelli) la visibilità del progetto o azienda, le competenze necessarie, la necessità di
riservatezza o meno, le scadenze, la risoluzione dei problemi, etc.
Se si è sicuri di possedere quel network di conoscenze e “fan” in grado di sostenere
autonomamente il progetto e, in caso di necessità, la copertura economica, allora si
può scegliere la prima opzione, altrimenti sarebbe meglio sfruttare il mix di benefits
83 offerti dalle piattaforme esistenti, come: la consulenza pre e post lancio, il numero di
visitatori attratti, la fiducia trasmessa, il problem solving, social marketing virale, etc.
Complementare a tale opzione vi è poi l’altrettanto ardua scelta della piattaforma
sulla quale lanciare la campagna. Oramai le piattaforme spopolano in tutto il mondo
per numero e qualità (trattate nei paragrafi che seguiranno), ognuna di esse opera per
conto di diversi tipi di Crowdfunding (Donation/Reward/Lending, etc), può essere
specializzata per settori e prodotti o generalista, e offrono ognuna un diverso set di
servizi, bacino d’utenza, costi (fee), esperienza, etc.
2. Benchmark. Prima di lanciare il progetto in rete può tornare utile un approfondito
sguardo alle campagne presenti e passate di prodotti/progetti simili, l’esito che
stanno riscuotendo o che hanno riscosso, il tipo di rewards, il taglio delle somme per
finanziare il progetto, i tempi di realizzazione, la presentazione del prodotto/progetto,
il budget obiettivo, e quant’altro possa tornare utile per migliorare il proprio
“lancio”, per differenziarsi dai prodotti competitor e per posizionarsi sul mercato in
modo da essere percepiti come assoluta novità.
3. Team. “Chi fa da se fa….poco”, come è stato più volte ripetuto preparare un il
lancio per una campagna di Crowdfunding non è cosa semplice, bisogna allora
circondarci di un team preparato, motivato, che condivida gli stessi obiettivi ed
pronto a diffondere con ogni suo mezzo il progetto. Avere gli uomini giusti ai posti
giusti è propedeutico a tutta la preparazione del lancio, perché solo cosi è possibile;
moltiplicare il numero di ore “fisiologicamente” messe a disposizione del progetto
per il numero di collaboratori, ottenere un importante mashup di competenze e punti
di vista critici da cui attingere che possono tornare utile nel corso della preparazione
e, primo fra tutti, amplificare l’azione divulgativa mossa da un gruppo di persone
attraverso diversi canali di comunicazione attivando ognuno numerose reti sociali
che concorrono alla creazione di comunicazione virale intorno al progetto che,
sommato il tutto, si traduce in più contatti e nuovi contatti.
L’azione del team contribuisce allo scopo se: vengono dettagliatamente stabiliti i
ruoli di ognuno, le responsabilità, le risorse a disposizione, i modi di azione e
comunicazione e i tempi.
84 4. Budget & Funding goal. Definire con molta attenzione dapprima il budget
necessario per realizzare il progetto/prodotto comprensivo delle spese per materiali,
manodopera, burocratiche e fiscali che con esso si generano. Una volta fatto ciò si
può stabilre il cosiddetto “funding goal” ossia l’obiettivo di finanziamento raccolto
dalla folla, che includerà sia il budget “operativo” per portare in vita il progetto e sia
le forme di reward previste, in base ai tipi Crowdfunding, per i funders, siano esse in
prodotto o servizi, ricompense di altro genere, o interessi da restituire a breve sulle
somme raccolte. I rewards, si badi bene, incidono sulle somme “nette” da destinare
all’investimento nel progetto, pertanto vanno pianificate nel dettaglio per non
ritrovarsi improvvisamente senza fondi da destinare al progetto o peggio,
impossibilitati ad onorare l’accordo con il funder per la ricompensa perché si sceglie
di destinare i fondi al progetto.
Definire il funding goal non è cosa semplice. Molti progettisti falliscono, pur avendo
le potenzialità giuste, perché commettono l’errore di fissare l’asticella dell’avvio
troppo alta o troppo bassa. Nel primo caso il funder potrebbe pensare che tale
progetto non arriverà mai a conclusione e quindi non vuole vincolare una somma di
denaro invano, nel secondo potrebbe essere scoraggiato pensando che tale somma è
ragionevolmente troppo bassa per quel progetto tanto da indurlo a pensare che le
somme richieste dal progettista non siano in realta necessarie allo scopo richiesto ma
magari ad una semplice necessità di liquidità immediata. In entrambi i casi quello
che conta è che il funder o ha desistito dal sostenere il progetto o anche nel caso lo
avesse fatto non contribuisce a diffondere la conoscenza tra le sue reti, stimolato
dalla voglia di ottenere i suoi benefits, per assenza proprio di questo.
Un’altro criterio da tenere presente per stabilire concretamente il proprio obiettivo di
raccolta è la stima della target audience, sia iniziale che raggiungibile. Avere una
base di “fan” iniziale considerevole agevola le fasi iniziali della campagna, critiche
per popolarità, fiducia e soldi, ed inoltre è un ottimo slancio verso obiettivi
importanti.
5. Somme vs Rewards. Complementare al punto appena descritto è la
predisposizione dei reward previsti per i funders. Tali reward devono essere
85 differenti al variare dell’importo finanziato e per ogni step di importo ne vanno
stabilite le eventuali disponibilità quantitative.
Definire con che tipo di ricompense “ringraziare” i finanziatori è anch’esso (come il
funding goal) un aspetto incentivante al sostegno del progetto, sia per il diretto
interessato che per gli indiretti che seguiranno tramite questo.
Altro lato della stessa medaglia sono le somme richieste per finanziare il progetto. È
proprio in relazione a queste che variano i rewards, perché tanto maggiore è il
contributo richiesto, tanto maggiore dovrà essere il valore (intrinseco, non
necessariamente economico) delle ricompense.
Le somme di denaro con cui si chiede di partecipare e contribuire ad un progetto
determinano il livello di democratizzazione della partecipazione.
Non va dimenticato che il Crowdfunding si poggia sullo (s)fruttamento della long
tail, ossia della coda lunga di investitori-dilettanti, tali grazie proprio alle basse
barriere all’ingresso per questo tipo di finanza “sociale”.
Pertanto si intuisce l’importanza che hanno entrambi nel raccogliere attenzione,
trasformarla in interesse ed in fine in finanziamenti.
Li dove un progetto non interessa per questioni tecnico-pratiche, si può comunque
incentivare il sostegno con l’azione convergente del basso importo delle somme
richieste e/o di ricompense interessanti.
6. Pronti al Pitch. Preparare il lancio, la pubblicizzazione del progetto. Il termine
anglosassone usato per racchiudere il senso di questa azione è “Pitch”, esso
rappresenta per l’utente il nostro biglietto da visita, la stretta di mano, come siamo
vestiti, se siamo carini, le nostre caratteristiche, come comunichiamo, se
trasmettiamo appeal o meno.
Il tutto in una manciata di secondi, preziosi per convincerlo a darci un po dei suoi
soldi.
Potrebbe sembrare bizzarro quanto appena detto ma è la traduzione delle funzioni
racchiuse in questo “espediente” a disposizione del progettista, ed è il modo in cui
viene interpretato il messaggio dal funder.
Il Pitch include ogni mezzo e supporto utile a trasmettere all’utente, che si imbatte
sul “nostro” progetto tra le tante presenti sulla piattaforma, la nostra potenzialtà, i
86 nostri valori, gli obiettivi, l’utilità del nostro progetto, l’originalità, la differenza dai
competitor, il valore aggiunto dei nostri prodotti, la fiducia e quant’altro serva a
catturare la sua attenzione, ad emozionarlo, a restare qualche secondo in più sulla
nostra finestra virtuale per sapere di più di noi e del progetto, a finanziarci e a
stimolarlo a diffondere il tutto.
I mezzi e i supporti utilizzabili possono essere sia digitali (video, musica, audio,
slides) sia fisici (stampe, carta, prototipi), il core di ognuno è che rispondano
all’esigenza di veicolare il meglio possibile e nel minor tempo possibile il
messaggio, possibilmente in modo divertente.
7. Deadline. Stabilire la durata della campagna è importante sia per il fundraiser che
per il funder. Il primo è così in grado di determinare le risorse necessarie per
affrontare la campagna, sia in termini di tempo che di azioni promozionali per
mantenere alta l’attenzione e il coinvolgimento. I funders in tal modo hanno visione
dei tempi di “attesa” per le loro ricompense o per verificare se un progetto/prodotto
arriverà sul mercato a breve. Come accennato ad inizio paragrafo i tempi per una
campagna sono brevi, questi generalmente sono frutto dell’accordo tra il progettista e
la piattaforma.
8. Check. Arrivati al punto di non ritorno, non rimane altro che controllare se tutto è
stato predisposto nel dettaglio, se emerge qualche imprecisione o mancanza è
opportuno interrompere l’uscita e ripristinare il gap. Dopo di che, si va in scena.
9. Monitorare il post lancio. La prima cosa da fare una volta online è raccogliere i
feedback dal mercato degli utenti, dalla piattaforma e dai collaboratori. L’attenzione
d’ora in poi va mantenuta alta e costante. Persino una volta conclusa la campagna,
sia che abbia avuto successo che non, ma di certo nel primo caso a maggior ragione,
va comunque mantenuta la base di controllo e aggiornata continuamente con ogni
titpo di indicatori, utili come archivio da cui poter attingere in ogni evenenienza, sia
questa o una nuova.
87 10. Stay Tuned. Che la campagna sia in corso o sia conclusa, il fundraiser e il team
deve continuamente tenere alta l’attenzione e il coinvolgimento del pubblico.
Rispondendo alle domande e curiosità sul progetto/prodotto, risolvendo i problemi
che emergono, attivando tutte le leve di marketing e advertaising a sua disposizione,
essendo presente e attivo sui social network.
The more the better!
3.7 Piattaforme digitali per il Crowdfunding
Per completare il quadro degli attori che compongono il Crowdfunding, manca
all’appello il ruolo svolto dall’intermediario; chi è, che fa, perché è così importante,
cosa ne guadagna, etc.
Questo paragrafo, dedicato a questa figura, ha l’obiettivo di metterne in evidenza i
tratti significativi, senza l’intenzione di entrare nello specifico delle differenze
(infinite) degli uni dagli altri e accennado ai trend di crescita sino ad oggi.
Gli intermediari in azione quando si parla di Crowdfunding sono meglio conosciuti
come “Piattaforme Digitali”, ognuna poi distinta con la propria ragione sociale o
nome commerciale.
Questi attori pur avendo visto la luce recentemente, negli ultimi anni o addirittura
mesi sono stati protagonisti di una proliferzione imponente, seguendo la scia lasciata
dall’espansione del Crowdfunding, proliferazione che, a detta di esperti, è ancora ben
lontana dal vedere il suo “boom”.
Dal 2008, anno in cui è possibile datare la nascita delle prime piattaforme (tale anno
indica la presenza di un numero consistente di piattaforme “consapevolmente”
operanti per il Crowdfunding poiché vi sono anche casi di datazione anteriore per
alcune di esse, come l’italiana Produzioni dal Basso nata nel 2005, che già operava in
quello che “successivamente” è stato confinato sotto il nome di Crowdfunding) la
crescita di questo intermediario ha visto un trend in sola crescita, aumentando di
88 circa il 10% l’anno e arrivando a toccare ad oggi la stima delle 600/700 piattaforme
in tutto il mondo.
La maggior parte di queste originarie del Nord America, seguite poi dall’Ovest
Europa ed in forte ascesa in questi ultimi mesi anche in paesi come Brasile, India,
Australia e Canada, ma certamente non si arresta qui, altri ne seguiranno non appena
le legislazioni ed i mercati saranno maturi.
Tirando giù qualche cifra, utile alla comprensione del peso e della portata mondiale
di tale fenomeno, la crescita registrata fino ad oggi in termini di fondi raccolti
(considerando il Crowdfunding nel suo complesso) è di 530 mln $ nel 2009, 850 nel
2010, 1500 nel 2011, 2800 nel 2012 e per il 2013 ancora in corso si stima che questa
raddoppi ancora arrivando intorno ai 6000 mln $. Si noti come la crescita imponente
è avvenuta dal 2011 in poi, questo non è lasciato di certo al caso, ma conferma come
il mercato ha in un primo momento assimilato il fenomeno con prudenza, maturando
nei suoi confronti la giusta dose di fiducia ed esperienza che le impedisse di
“scottarsi”, azzardando una sovrafiducia mal riposta che portasse poi ad una drastica
disillusione con perdita di denaro. Una volta superata la fase di timidezza reciproca
e, fatte le dovute conoscenze dei limiti e dei benefici, il mercato (inteso come gli
attori in azione) ha sviluppato quella cultura e professionalità che è dimostrata dai
numeri registrati negli anni a seguire.
Il mercato Italiano di certo non è rimasto a guardare, registrando un volume di fondi
raccolti superiore ai 14 mln €, con la presenza ad oggi di 30 piattaforme operative
più altre pronte al lancio nei prossimi mesi. L’arrivo poi della direttiva Consob a
giugno di quest’anno fa ben sperare in un’impennata del fenomeno nei confini
nazionali, in particolar modo per il modello Equity.
A tutt’oggi il modello predominante, in termini di numero di piattaforme dedicate, in
Italia come nel mondo è il modello Reward, seguito dal modello Donation e
Lending, anche se il modello Equity sta registrando la crescita più repentina sia per
numero di piattaforme sia per ammontare di fondi raccolti, spronato anche dal
sostegno normativo in Italia (D.C. 2.0) e in America (JOB Act).
Al di là dei numeri sospinti dal Crowdfunding, le piattaforme vivono di vità propria,
esse entrano a far parte del Crowdfunding quando quest’ultimo entra in azione,
89 prestando quei servizi che con tale attivazione si rendono necessari e nel contempo
svolgendo più manzioni.
Esse si differenziano le une dalle altre oltre che per il semplice nome, per una folta
serie di connotati quali: origine e luogo operativo, generaliste o tematiche, take all
(prendi tutto) o all or nothing (tutto o niente), per modello operativo (Donation,
Rewards, etc), per il set di servizi offerti pre e post campagna (es. integrazione social
network e media, raccolta feedback sul progetto), per i tipi di funders ammessi, per
l’anno di nascita, il volume di affari, la tipologia di prodotti/progetti ammessi, per la
selezione o meno dei progetti prima della pubblicazione, per la percentuale di “fees”
sulle somme raccolte, per la presenza o meno di altre commissioni, etc.
L’unica cosa che hanno in comune, è che tutte presentano particolarità esclusive in
qualche cosa.
Pertanto è assai arduo definirne le caratteristiche di ognuna, ma allo stesso tempo è
importante, per chi si accinge a lanciare una campagna, scegliere tra le tante quella
che più fa al caso proprio per il mix di servizi offerti.
Tra i tanti tratti sopra elencati ve ne sono alcuni cruciali:
-
Il luogo operativo indica se la piattaforma opera solo nel paese dove ha
origine o travalica in confini, dando segno in tal caso di possedere quegli
strumenti per competere ovunque, che tradotto per il fundraiser significa
riuscire ad attrarre molti più utenti/finanziatori.
-
Le piattaforme generaliste, al contrario di quelle tematiche, accolgono
solitamente ogni tipo di progetto/prodotto, rivolgendosi in tal modo ad un
pubblico vasto. Quelle tematiche sono create da e per specifiche cause quali
ad esempio: musicisti, registi, giornalisti.
-
Con il modello take all le piattaforme acconsentono al fundraiser di trattenere
le somme raccolte anche qualora queste non avessero raggiunto il funding
goal stabilito sulla piattaforma. Nel caso invece all or nothing come dice la
parola stessa, solo nel caso in cui il funding goal fosse raggiunto il fundraiser
può trattenere le somme, nel caso contrario queste vengono generalmente
rispedite al funder o non addebbitate sul conto (Paypal e Amazon Payment in
questo sono molto utili).
90 «La scelta per la piattaforma su quale dei due modelli offrire non è di poco
conto, perché per un finanziatore che crede in un progetto, la cui
realizzazione dipende dalla somma richiesta, vedere che questa non viene
raggiunta ma che comunque il fundraiser trattiene il denaro, potrebbe mettere
in cattiva luce la bontà del fundraiser come della piattaforma. Come invece
può lasciare al fundraiser la possibilità di realizzare comunque il progetto,
con le dovute garanzie di rimborso previsto».
Esistono piattaforme che offrono ambedue i modelli.
-
Quando si parla di specifici funders ammessi alla piattaforma si fa
riferimento alla possibiltà di selezionare il tipo di sostenitore a cui è rivolta la
richiesta, ad esempio: associazioni, privati, enti, pubblica amministrazione,
aziende.
-
La selezione dei progetti prima della pubblicazione è una pratica usata da
molte piattaforme per compiere quelle adeguate ricerche riguardo alla
fattibilità del progetto proposto con le rispettive somme richieste o anche per
controllare, li dove è possibile, il background del fundraiser nel tentativo di
prevenire eventuali frodi o sufficienza progettuale che comunque
danneggierebbe i funders e il Crowdfunding in generale, oltre che la fiducia
risposta verso la piattaforma.
-
Le fees rappresentano per le piattaforme la principale fonte di guadagno,
queste sono applicate in forma di percentuale e possono essere addebitate
solo per i progetti interamente finanziati e/o anche per le sole somme che si è
riusciti a raccolgliere.
La percentuale delle fees va da un minimo del 2% ad un massimo del 25%,
generalmete minori in nord America, agevolate dalla maggiore maturità del
mercato sul fenomeno, dalla più ampia diffusione e competizione e dalla
tassazione assai più leggera.
Si intuisce da quanto sin qui detto circa la quantità e la qualità dell’intermediazione
svolta dalle piattaforme. Come accennato in precedenza questi esempi non vogliono
ne possono essere esaustivi del caso in questione, semplicemente perché al momento
in cui sto scrivendo ne staranno nascendo di nuove, sempre più specializzate in
91 campi fino ad ora poco esplorati e con nuovi servizi integrati, per meglio
conquistare la fiducia dei fundraiser e dei funders in un mercato che si fa sempre più
competitivo giorno dopo giorno.
3.8 Casi di successo
Numerosi sarebbero gli esempi da riportare come casi di successo, a cominciare dal
famoso Kickstarter con il primato raccolto per il Pebble Watch di oltre 10 mln $, ma
ve ne sono alcuni che rappresentano la portata del Crowdfunding, al di là del valore
economico sottostante.
Qui ne riporto alcuni selezionati in giro per il mondo:
KIVA è un organizazione no-profit fondata nel 2005 che opera in cinque continenti
in collaborazione con istituti di microcredito per fornire accesso al capitale a persone
“non bancabili” ma con progetti di rilancio territoriale e personale. Kiva mette in
contatto attraverso la propria piattaforma i borrowers ed i lenders, per raccogliere
finanziamenti da quest’ultimi (anche di 25$). Alla scadenza del termine previsto il
prestito viene riconseganto al prestatore senza interessi, attraverso speciali partner.
«Kiva doesn't charge interest to its Field Partners and does not provide interest to
lenders».
Attualmente vanta piu di 985.000 lenders, circa 470 mln $ raccolti, con un tasso di
ripagamento del 99,01%, finanziando oltre 1 mln di borrowers, in 72 paesi, reso
possibile da 450 volontari.
Il modello di Crowdfunding con cui opera Kiva è il Social Lending.
SELLABAND è una piattaforma per il modello Reward based che permette ai fans
di finanziare l’artista, la canzone o il disco prescelto, attraverso piccole donazioni.
Alla data di scadenza i soldi raccolti dall’artista saranno usati per produrre il progetto
e restituire ai fans gadget vari più copie del progetto realizzato e parte dei ricavi dallo
stesso (nei casi previsti). Sella band ha permesso, dal 2006 anno di fondazione, a più
92 di 80 artisti di raccogliere qualcosa come 4 mln $, ma il vero punto di forza sta nel
permettere a band “indipendenti” di entrare nel circuito della musica senza il
benestare delle grandi case discografiche (major) le quali si accaparrano gran parte
dei diritti delle stesse. Il servizio offerto da questa piattaforma è molto utile anche
per creare una fan base prima del lancio del disco e verificarne la popolarità.
OPEN GENIUS è una piattaforma che attraverso il modello Donation based si
rivolge alla folla per raccogliere finanziamenti. Fin qui nulla di eccezionale che non
sia già visto, ma la particolarità sta nel fatto che i fondi richiesti servono a finanziare
ricerche in ambito scientifico, cosicchè la comunità può scegliere il tipo di ricerca da
sostenere secondo i propri interessi o priorità.
Il servizio Open Genius si articola in tre passaggi principali:
1) Proposta: le proposte progettuali, presentate dai ricercatori, sono pubblicate su un
database online, includendo una descrizione dei principali obiettivi, la durata
prevista, ed il contributo richiesto.
2) Selezione: I progetti sono valutati attraverso un processo di revisione tra pari
(peer review) in forma anonima, che assegna un punteggio a ciascuna proposta e alla
reputazione scientifica di ciascun proponent.
3) Donazione: I progetti con punteggio più elevato sono pubblicati su Open Genius e
possono ricevere i contributi dei donatori (privati cittadini, imprese filantropiche),
che hanno la possibilità di scegliere direttamente su quali progetti investire.
Iscrivendosi al servizio e contribuendo con una donazione, i donatori hanno inoltre la
possibilità di seguire i progressi dei progetti da loro supportati attraverso un sito web
regolarmente aggiornato dai ricercatori. In questo modo, gli investitori possono
verificare l’andamento del progetto, il modo in cui vengono spese le loro risorse, e
gli obiettivi raggiunti in corso d’opera.
SIAMOSOCI è una piattaforma che favorisce l’incontro tra imprese in fase di
startup con forte contenuto innovativo in cerca di capitali per svilupparsi e investitori
in cerca di opportunità di investimenti in business di cui hanno spesso competenza e
con alto potenziale di crescita.
93 Tale modello operative viene chiamato Equity based Crowdfunding in quanto gli
investitori a fronte del finanziamento versato ricevono azioni o quote della startup.
SPOTUS è una piattaforma dedicata alla raccolta fondi tramite donazioni dirette
della comunità, per commissionare e finanziare ricerche giornalistiche e report su
importanti questioni, spesso tralasciate dai media tradizionali.
3.9 Che cosa manca per il grande salto
«Italiani, popolo di santi, poeti e navigatori, o meglio: popolo di eroi, di santi, di
poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori».
È il 1935, anno in cui venne pronunciata questa frase rimasta famosa da allora, che
campeggia sul Palazzo della Civiltà del Lavoro a Roma, a tutt’oggi ancora immutata
nel suo principio.
Mi chiedo allora, quand’è che potremo pronunciare nuovamente tale citazione
aggiungendo l’aggettivo “Innovatori”, che per secoli ci è appartenuto, per poi svanire
pian piano nel nulla, per colpa di chi o cosa non ci è dato sapere.
Con speciale riguardo al mio paese. Quello che manca per il grande salto, come da
titolo di quest’ultimo paragrafo, è racchiuso a mio avviso proprio nell’assenza di tale
espressione.
Essere innovatori significa: esserlo a 360°, h24, 365 giorni l’anno, tutti coinvolti
nessuno escluso.
Il popolo italiano ha un rapporto di amore e odio nei confronti dell’innovazione e
nell’attitudine al rischio che essa si porta dietro. Tale atteggiamento è da imputarsi a
più di una causa, in primis culturale oserei, da sempre poco aperti ai cambiamenti,
alle novità e ai rischi, facendo del tradizionalismo una fede. Ciò ha determinato un
ritardo cronico nell’implementazione delle innovazioni che il mercato offre, qualsiasi
sia il settore.
Questo spiega perché nel fenomeno del Crowdfunding, che anche rientra in pieno in
quello che potremmo considerare un’innovazione, l’Italia mantiene un gap dagli altri
paesi (avanzati si intende).
94 Anche se per la prima volta a Giugno di quest’anno possiamo vantare il primato
“virtuoso” di aver dato ordine al quadro normativo riguardo le imprese di nuova
generazione (startup), sfornando il regolamento Consob che prevede la possibiltà per
queste di emettere quote azionarie per la raccolta fondi dal basso, resta comunque un
bassa diffusione nell’uso di questo straordinario mezzo.
Le cause? L’alta diffidenza, la scarsa propensione al cambiamento e alla
condivisione, la bassa attitudine all’uso di internet per comprare e vendere online,
l’uso singolare delle carte di credito e conti online, che vanno ad aggiungersi a quei
deterrenti “fuori dalla portata dei singoli”, intendendo con ciò “non imputabili a
inerzie personali”, ma alle autorità che sarebbero preposte a dare impulso (e non
fanno) alle innovazioni attraverso: sgravi fiscali, diminuzione del costo del lavoro,
burocrazia snella, sostegno economico, promozione culturale, sostegno tecnico,
protezione, regolamentazione chiara e adeguata.
Il risultato di un tale circolo vizioso è l’ingessamento di un sistema economico e
sociale privo di stimoli ma ricco di disincentivi per chi volesse essere parte attiva
della vita economica, portatore ognuno del loro fare ed del loro sapere, fertilizzando
l’humus territoriale, a beneficio della collettività.
Balzando fuori dal caso italiano appena descritto, lo studio dell’argomento sino a qui
svolto, mi ha in più di un’occasione fatto luce circa quelle che sono le mancanze in
materia e, in sequenza, l’urgenza e l’attenzione con le quali andrebbero colmati
questi gap.
Quelli elencati qui di seguito, sono i punti sui quali a mio avviso si dovrebbe
intervenire, per favorire la diffusione del Crowdfunding su scala mondiale:
1. La creazione di un’infrastruttura condivisa, composta da ogni operatore
interessato (stakeholder, progettisti, piattaforme, funders, policy maker), per
la raccolta di ogni genere di feedback, apporto di esperienze, idee, consigli e
supporto di ogni genere, per meglio progettare un’architettuta che sostenga il
Crowdfunding e il più possibile omogeneamente worldwide.
95 2. Sfruttare un tale livello di partecipazione e condivisione per sviluppare un
sistema di sicurezza per la prevenzione da frodi o gap di ogni tipo a beneficio
di ogni genere di utente.
3. Diffusione, con dei programmi ad hoc creati di concerto dai professionisti del
settore, della cultura del Crowdfunding. Informare le nuove generazioni sui
potenziali benefici nell’uso di questo canale, mettendoli in guardia anche dei
limiti dello stesso, vorrebbe dire seminare oggi per raccoglierne domani i
frutti, che varrebbero una società più diversificata nell’uso dei fondi, meno
attendista, con maggiore autonomia e maggior controllo non solo dei propri
soldi, ma su cosa vogliamo che il mercato produca per noi, per quali scopi e
con quali caratteristiche.
4. Assistere le piattaforme affiancandole negli stadi iniziali. Un utile strumento
sarebbe la creazione di benchmark di mercato per i diversi servizi che si
intende integrare e individuare le best practice.
5. Istruire,
istruire,
istruire
(ripetizione
voluta)
i
progettisti/process
owner/fundraiser su come preparare una campagna per il Crowdfunding e su
come vada alimentata durante e dopo la dead line. Responsabili di questo
aspetto “dovrebbe” essere chi in passato ha adoperato con successo il CF e/o
professionisti esperti nello studio delle campagne di successo. La consulenza
vale.
6. Punto chiave per spalancare la porta al Crowdfunding conducendolo nel
mondo dei “grandi”.
Preparare, informare, addestrare i funders ad usare questa opportunità offerta.
L’ipprovisazione potrebbe far male a lui alla comunità di fundraiser e al
Crowdfunding in generale. Al primo perché l’eccessiva aspettativa potrebbe
causargli delusioni e il conseguente ritorno ai classici canali di investimento.
Ai secondi perché come detto nei paragrafi precedenti il Crowdfunding è
fatto dalla massa, dalla “coda lunga”, qualora questa massa cominciasse a
96 perdere pezzi verrebbe meno la fonte primaria di finanziamento. Quanto al
terzo punto questo è la naturale somma dei due precedenti, se mancano gli
attori svanirebbe ben presto la “magia”, circoscrivendo il Crowdfunding a
mero strumento di investimento per pochi, avvezzi all’azzardo.
97 CONCLUSIONI
Con inaspettata sorpresa trovo incredibilmemte arduo scrivere questa parte del
lavoro, ciò è dovuto essenzialmente al significato che io sono solito riporre nella
parola “Conclusioni”. Quest’ultima, infatti, suscita in me ogni qualvolta mi sono
imbattuto in essa in altre occasioni, l’aspettativa di trarre da quella parte di testo la
compiutezza dell’opera che ne è descritta, ossia la descrizione completa fino ai
confini dell’argomento, la definizione omnivalente dei casi citati, come anche dei
modelli o sottomodelli che in un trattato si espongono.
Mi rendo conto allora che per il lavoro da me trattato fin qui dovrò derogare a quanto
poc’anzi detto, perché mancano proprio quegli aspetti che rendono una conclusione
tale.
In breve il lavoro ha voluto evidenziare che, in entrambi i modelli descritti,
Crowdsourcing e Crowdfunding, vi sono numerosi punti in comune, tra i quali
spiccano tra tutti: l’importanza data al singolo - il ruolo attivo del singolo, che
diventa Crowd con l’integrazione di questo con internet e scopo - la raccolta e il
pooling di contributi provenienti dalla Crowd - l’uso degli stessi attraverso una
opportuna canalizzazione per gli scopi sottostanti - la nascita di nuovi attori operativi
(funders, piattaforme e fundraiser per il Crowdfunding) e (contributori, piattaforme e
Crowdsourcer per il Crowdsourcing) - l’abbassamento delle barriere alla
partecipazione - la delegazione di molti aspetti cruciali alla saggezza della folla l’utilità generata per tutti gli utilizzatori - la nascita recente per entrambi.
Ma l’aspetto che più di tutte accomuna i due fenomeni nascenti è; la loro
incompiutezza, causa la continua mutazione ed evoluzioni circa le caratteristiche, i
modelli, gli scopi e i regolamentazioni.
Tutto ciò, ricollegandomi a quando detto ad inizio paragrafo, ne impedisce una
“vera” conclusione, in special modo ai fini didattici, a causa proprio della
iperfrenesia che al momento accompagna i fenomeni lungo i primi step del ciclo di
vita che ognuno dei due sta percorrendo.
98 Visto allora che non è possibile trarre delle conclusioni dai due fenomeni descritti,
parrebbe più opportuno rilanciare l’oggetto del presente paragrafo verso il fututo,
ossia proiettare gli usi che potrebbero derivare dai due in ambiti sempre nuovi quali
ad esempio quello politico, medico-sanitario e civico, solo per citare tre aree nelle
quali la saggezza della folla e il sostegno di questa sia sotto forma finanziaria che di
contributi vari diversi dal denaro sarebbero di grande beneficio per tutta la
collettività.
In ambito politico, oltre alla raccolta fondi per sovvenzionare le campagne elettorali
tramite la folla di fan/elettori (come nel celebre caso di Obama o Renzi alle primarie
2012) facendo risparmiare così un bel pò di soldi destinabili ad altro, si potrebbe
chiamare in causa la folla per la proposta di nuove leggi o la correzione di nuove o
vecchie, questo potrebbe avvenire tramite community online di cittadini, sia essa di
accesso libero a tutti i cittadini o chiamando in causa solo le comunità digitali di
esperti in materia. Va da sé che l’utilità della funzione dipende dal grado di
trasparenza, celerità e rispetto dell’esito, pena la credibiltà della piattaforma e della
funzione in se.
In ambito medico-sanitario i contributi della folla potrebbere essere usati per aiutare
un ospedale nell’acquisto di macchinari preziosi o autoambulanze (Crowdfunding) o
nell’individuazione ad esempio delle aree territoriali che più necessitano di copertura
medica. O ancora, la raccolta (tramite portale dell’ospedale) di feedback sull’operato
di questo o quel medico o assistente, o sulla struttura nel complesso per problemi
logistici, igienici e di messa in sicurezza, apportando non solo lamentele ma anche
soluzioni (Crowdsourcing).
Per quanto riguarda l’ultimo esempio da me riportato, esso concerne il cittadino in
qualità di membro di uno stato e di un territorio, con ripercussioni in ambito
educativo, conservativo ed informativo, con doveri in capo al cittadino “attivo” nella
tutela, difesa e valorizzazione della Res Publica. Un esempio? La raccolta fondi per
aiutare i territori colpiti da disastri naturali e ricostruirli, o, nel caso di contributi
diversi dal denaro, la segnalazione di anomalie territoriali prima di danni irreversibili
e costosi.
99 Pur essendo già attivi alcuni di questi usi per le aree individuate, questi si presentano
ancora “timidi”, quasi timorosi nello sfruttare a pieno le potenzialità dei due
fenomeni, non considerando le diverse aree per le quali sarebbero attivabili.
Quasi si temesse che si rivelino più efficienti dello status quo…
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