PIERLUIGI STA GIÀ VEDENDO LE ANTEPRIME DI TUTTI I FILM.
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PIERLUIGI STA GIÀ VEDENDO LE ANTEPRIME DI TUTTI I FILM.
ANNO VI n°2 - Maggio 2005 PIERLUIGI STA GIÀ VEDENDO LE ANTEPRIME DI TUTTI I FILM. L’amico ing. Pierluigi Foglino, che curava il nostro appuntamento del Venerdì, ci ha lasciato dopo una breve, dolorosa malattia. -------------------C’eravamo incrociati negli anni ’60 al glorioso Gonzaga, inteso come storico Cineforum dei giovani studenti di Milano. Io arrivando dal Berchet, lui appunto dal Gonzaga, inteso stavolta come liceo. Eravamo collaboratori - volantinatori precoci - del CSC, il Centro Studi Cinematografici. Passati poi a preparare schede e dibattiti, eravamo approdati alla serata ( ICUM) degli universitari. Poi tante iniziative assieme: corsi, filmati, diapositive sonorizzate, sempre a spiegare e a tentare di capire come funziona il meraviglioso linguaggio delle immagini. Mi ricordo in particolare una lunga nottata - vai e vieni - verso e dall’Adda, fino a Cassano, per un corso anni ’70. Era promosso dal nostro amico Fumagalli, quello che poi ha messo in piedi l’Arcadia di Melzo. Nella nebbia,dentro la Fiat ’500, guardando un po’ fuori e guardandoci un po’ in faccia, si ragionava sui dettagli di come alternarci nelle chiacchiere in pubblico. La sua passione era tanta e tale che, benché avesse conseguito rapidamente la laurea in Ingegneria e avesse un lavoro nell’edilizia già bel e pronto, non appena, lui trentenne,spuntò il Primo Concorso Nazionale per una Cattedra di Cinema e Televisione (all’Umanitaria) vi partecipò, lo vinse, sbaragliando gli altri e da allora si dedicò essenzialmente a questo, per 30 anni, cioè fino a tre mesi fa. Non per niente la chiesa era piena di 400 studenti, oltre agli amici e parenti, giovani e meno giovani, che avevano imparato ad apprezzare e distinguere il buon,vero, grande, cinema affascinati dal Prof. Foglino . Tanto che i suoi allievi, presi da un senso di gratitudine irreale, hanno baciato la moglie e due figli per più di un’ora dopo la cerimonia. Foglino per loro era quel mitico docente, fumatore accanito, che, prima di far usare le telecamere e far fare delle riprese, illustrava spezzoni di film, li centellinava, li mimava, li gustava e rigustava. L’unico il cui nome nel tempo balzasse subito chiaro nei ricordi, quando finalmente si lavorava da professionisti sul set o in Tv. Pierluigi arrivava in classe, come hanno testimoniato in tanti dall’ambone, in ore antelucane perché tutto fosse pronto. Per il cinema non c’erano confini o stanchezze. L’ho visto in mille situazioni. Quando ad esempio abbiamo fatto assieme un film 16 mm nel 1977. Eravamo gli sceneggiatori di “Una sistemazione più comoda” opera firmata da Pierluigi Voi. L’argomento era delicato e complesso: una riflessione sulla vita, quella degli anziani che vanno in pensione, quella sbocciata per una gravidanza inattesa, quella dei padri, magari disoccupati, diventati padri all’improvviso... Si andava in cerca - nel racconto/metafora di un travagliato trasloco - di una “soluzione” tra le varie contraddittorie esigenze che non fosse banalmente “… la più comoda”. Era una “fiction” finanziata coi soldi di un simpatico mini-petroliere piacentino e girata con la collaborazione di molti conoscenti e qualche professionista affermato. INSALATA DI RISO… ALL’ITALIANA Non riesci ad aspettare l’autunno senza film? Non mancare al convegno estivo organizzato, come ogni anno, dal Centro Studi Cinematografici della Lombardia. Appuntamento a Bormio (So) dal 15 al 19 luglio per parlare di commedia e cinema comico all’italiana, con proiezioni commentate e dibattiti. Ma anche per godersi la compagnia e il panorama… Per info: Francesco Rizzo (347/1534170) Giorgio Brambilla (349/5636401). Pierluigi partecipò con un entusiasmo travolgente, come gli capitava sempre per le iniziative che condivideva, creando allegria. Giocherellone ed efficiente, l’ingegnere-psicologo – aveva letto manuali e manuali - collaborò ben al di là dello “script”. Uno slancio identico mise nell’inchiesta fatta con me negli anni ’80 per la Rai sul passato e sul futuro del decentramento produttivo nella nostra regione: “Lombardia, pianeta cinema” e poi nel Festival, sullo stesso tema, organizzato a Sondrio per tre edizioni di seguito. Il sui intenti furono in quel caso soprattutto la voglia di capire fino in fondo il cinema del milanese Franco Brusati (che intervistò a lungo al tavolo di un bar) e di cogliere i motivi della comicità di Pozzetto (che incontrò all’aperto sul terrazzo della casa sul Lago Maggiore). Inventò inoltre per Rai – Educational la parte su disco elettronico di un complesso Progetto Multimediale dedicato al “Codice della strada”, dove la responsabilità dei filmati era affidata al papà delle due Pivetti, l’onorevole e l’attrice, il regista teatrale Paolo. Ma la sua vocazione era l’insegnamento, fatto giorno per giorno con un gesticolare inconfondibile, avvolgente e un’ enorme di capacità di sviluppare confronti e paragoni. Aveva una collezione di oltre 6.000 videocassette, tutte quante osservate e riosservate, non semplicemente registrate. Probabilmente il suo autore preferito,accanto ad Hitchcock, a Sergio Leone, ai Classici in genere, era in assoluto Roman Polanski, già fin dai primissimi anni ’60. L’entusiasmava lo stile ricco e coerente. E ogni suo racconto lo stuzzicava, lo istigava alla riflessione. Perché nel regista ebreo/polacco c’è una micidiale insistenza, una vera ossessione,sul tema del “vicolo cieco”,che ricorre immancabilmente nei finali delle sue pellicole (e dà persino il titolo ad una di esse, il francese “Cul de sac” ). Un tema che permea il suo mondo di un’ angoscia irrisolta. Un finale che a Foglino piaceva e non piaceva allo stesso tempo. E su cui tornava volentieri a meditare. E per in riflettere e rimuginare di continuo, come ha ricordato il sacerdote facendone - a braccio - un ritratto perfetto, si dondolava incessantemente aventi e indietro anche mentre conversava. Voleva valutare, quasi soppesare a mano le varie ipotesi,anche quelle non sue. Voleva cogliere ogni aspetto delle diverse piste interpretative. E poi voleva che tu partecipassi al suo percorso mentale. Per questo avvolgeva il discorso in larghi sorrisi e in punti di domanda continui. Non era affatto contento se non si arrivava a qualcosa di sensato e di accettabile, tecnicamente riscontabile, possibilmente accettato da entrambi. Anche per questo motivo credo abbia sofferto moltissimo, psicologicamente, nel trovarsi irrimediabilmente malato di tumore al pancreas,nel giro di appena un mese dopo i primi sintomi avvertiti ed i primi esami effettuati. Aveva davanti una strada obbligata, Voleva comunque sentire al telefono il tuo parere, anche se c’era poco da oscillare e da dibattere e a riguardo. Riusciva quasi a scherzare . Vedeva perfettamente - da ingegnere – che il vicolo che aveva davanti era un senso unico. E non faceva fatica da cinefilo ad immaginare il probabile finale. Ma era sereno. Perché lui sapeva, rispetto all’amato Polanski, sapeva bene, anzi benissimo,che una via d’uscita - in fondo al buio - c’era. GIULIO MARTINI 2 Collateral Collateral Vincent spara bombe intelligenti e Max rischia di essere colpito dalle schegge. Se vi sembra una lettura iperpolitica, sappiate che Michael Mann, il regista, da giovane se n'è andato in esilio dagli Stati Uniti perché le sue simpatie politiche per i Black Panthers rischiavano di costargli la galera"(Alberto Crespi, 16/10/04). Tuttavia da parte di Fabio Ferzetti non sono mancati rimproveri: "...Difficile invece amare fino in fondo una certa verbosità, le citazioni esibite (il culto del jazz che si fa metafora del film), l' insistenza su quella che a tratti sembra una versione thriller della cicala e la formica, col killer senza passato e senza futuro che sgretola le piccole certezze del common man"(Il Messaggero, 15/10/04). Collateral di Riccardo Moretti Soggetto e sceneggiatura: Stuart Beattie Regia: Michael Mann Fotografia: Dion Beebe, Paul Cameron Montaggio: Jim Miller, Paul Rubell Musica: James Newton Howard Produzione: Michael Mann e Julie Richardson per Dreamworks, Paramount Pictures, Edge City Llc., Parkes/Macdonald Productions Origine: Usa Durata: 119 min Interpreti: Tom Cruise (Vincent), Jamie Foxx (Max), Jada Pinkett Smith (Annie), Javier Bardem (Felix), Mark Ruffalo (Fanning), Peter Berg (Richard Weidner), Bruce Mcgill (Pedrosa) Due vite e due modi di vedere il mondo che si incontrano, si confrontano, si scontrano. L'uno, pacifico e speranzoso, incarnato dal tassista di colore Max, l'altro, violento e nichilista, rappresentato dal killer Vincent: due caratteri antitetici ma nello stesso tempo "collaterali", in una città a metà strada tra il Far West e la giungla . Questo è il nucleo di "Collateral", ultimo film del regista americano Michael Mann, il quale, avendo iniziato la propria carriera dirigendo episodi del telefilm "Miami Vice", è arrivato poi ad esser l'autore di alcune delle migliori pellicole hollywoodiane degli ultimi vent'anni: "Manhunter", "L'ultimo dei Mohicani" e soprattutto "Heat-La sfida". Dopo il mezzo-flop di "Alì", storia del leggendario pugile Cassius Clay interpretato da Will Smith, "Collateral" è per Mann "un pedaggio pagato, e brillantemente, per tornare nel grande giro"(Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 15/10/04), ma anche un' occasione per il pubblico per rivalutare Tom Cruise, brizzolato ed emaciato nei panni del cinico Vincent, e scoprire il nuovo talento Jamie Foxx - Max, quest' anno sugli schermi anche in "Ray", film grazie a cui si è aggiudicato un Oscar. Il killer: un ruolo anomalo per la star Cruise, più abituato ad interpretare personaggi positivi: - Vincent è un personaggio affascinante. E' una persona che non sente alcuna responsabilità per le azioni che commette: è qualcosa che deve fare, il suo lavoro. Ci sono voluti 5 mesi per preparare i personaggi, io mi sono esercitato ad imparare a maneggiare i revolver perché per me diventasse automatico, come un riflesso. E' anche vero che lavorare con Michael Mann in un film come questo ha significato fare un viaggio con lui. Anche la storia è molto interessante, mi piaceva soprattutto quello che voleva raccontare con questa storia. - commenta l' attore. Gli fa eco Michael Mann - Perché Tom Cruise? Nel film c’è un personaggio, che io avevo già definito nella mia mente, che comincia a spezzarsi, e si vede la sua frattura interna che comincia a emergere. Quindi avevo bisogno di un volto noto in modo che lo spettatore potesse avvicinarsi all’individuo che ci sta dietro. Non mi interessano i cattivi cinematografici tipici. Vincent fa cose brutte, ed è lui ad averne la completa responsabilità. Nel contempo, è il figlio di qualcuno, il fratello di qualcuno…-. Interessante la proposta di Tullio Kezich :"gangster o taxista? - verrebbe voglia di vedere Collateral a ruoli invertiti, con Cruise al volante e Foxx trasportato. Proprio come fanno certi attori a teatro, una sera dopo l'altra, quando incarnano a vicenda Otello o Jago"(Il Corriere della Sera, 16/10/04). Un thriller d' azione dove ci sono due moralità messe a nudo, ma "soprattutto c'è una città di 16 milioni di abitanti dove ognuno sembra vivere da solo, dove le distanze si misurano in minuti di imprevisti che possono rallentare la corsa, dove chiedere aiuto può essere più pericoloso di farsi gli affari propri e gli altri sono solo una marea senza identità in cui nascondersi o da cui essere ostacolato"(Paolo Mereghetti, Io Donna, 16/10/04). Se cupo è il ritratto che vien dato dei protagonisti, ancor più cupa e crudele appare la Los Angeles notturna, popolata da spacciatori, ladri di strada e coyote solitari, quasi "una proiezione astratta dei personaggi"(Lietta Tornabuoni, La Stampa, 15/10/04) immersa in una luce acre e metallica alla cui realizzazione han collaborato ben due direttori della fotografia. Fotografia molto elaborata anche perché su pellicola digitale: - Solo in digitale si riesce a vedere un campo molto più profondo, e il paesaggio doveva essere fatto in digitale per ottenere gli effetti che volevo. Inoltre mi interessava anche far sì che gli attori sentissero in un certo modo che si trattasse di alienazione, attrazione o di potenzialità di attrazione e questo poteva essere fatto in digitale. - spiega il regista in un' intervista su FilmUp.com. Molto apprezzata è stata questa scelta stilistica, che ha dotato le immagini di "una patina di sporco che ricorda i reportage televisivi: un tocco in più di realismo, in sapiente contrasto con l' "ottovolante" fantastico della vicenda raccontata" (Luigi Pani, Il Sole 24 Ore, 24/10/04). Paragonato all' action-noir di culto "Vivere e morire a Los Angeles" di Friedkin, o addirittura a classiche pellicole di Billy Wilder o Jules Dassin, "Collateral" è stato premiato con abbondanti lodi dalla critica: "Per Mann questo film rappresenta dunque l' occasione di forzare la gabbia di certi manierismi espressivi e tematici (...). E' la prova di una sana inquietudine creativa"(Marco Cavalleri, 16Noni, 15/10/04); "Collateral conserva tutte le qualità stilistiche ed espressive perché l' ambiguità morale e l' angoscia claustrofobica care al regista arrivino dritte agli occhi come all' anima"(Valerio Caprara, Il Mattino, 16/10/04). Più radicale è invece l' interpretazione del film che viene offerta da l' Unità: "quella che ci descrive Collateral è una guerra. Non l'Iraq, né l' Afganistan né il Sudan, ma Los Angeles, cuore dell'Impero (e del cinema). Una guerra nella quale FESTA DI FINE ANNO Data: Giugno 2005 Soggetto, Sceneggatura e Regia: Giulio Martini, Marco Massara e Roberta Braccio Cast: tutti gli iscritti al Circolo Così fan tutti Così fan tutti Così fan tutti di Daniela Amoroso Regia: Agnès Jaoui Interpreti: Marilou Berry (Lolita Cassard), Agnès Jaoui (Sylvia Miller), Jean-Pierre Bacri (Etienne Cassard), Laurent Grevill (Pierre Miller) Sceneggiatura: Agnès Jaoui, Jean-Pierre Bacri Genere: commedia Origine/Anno: Francia, 2004 Durata: 110 min Coppia vincente non si cambia. Dopo il meritato exploit nel 2000 con Il gusto degli altri, Agnès Jaoui e JeanPierre Bacri ci riprovano e fanno di nuovo centro con Così fan tutti, premiato a Cannes nel 2004 per la sceneggiatura. Entrambi attori e sceneggiatori, lei anche regista, realizzano - come da loro dichiarato - “una commedia sull’ipocrisia e sulle barriere che si innalzano su persone quando indossano una maschera”. Per Tullio Kezich è il migliore risultato del sodalizio cinematografico tra Jaoui e Bacri, che da vita a un film in cui la descrizione dell’ambiente ha la precisione di un repertorio, i personaggi sembrano ritagliati dalla quotidianità e il tutto è condito da un’implacabile ironia che non risparmia niente e nessuno (Il Corriere della Sera, 30 ottobre 2004). Così fan tutti è una riflessione ironica e un po’ amara sul potere nei rapporti familiari e in quelli sociali in un mondo come quello borghese in cui ognuno recita una parte - e può essere vittima o carnefice a seconda degli eventi - e dove conta solo l’apparenza (Achille Frezzato, Eco di Bergamo, 13 novembre 2004). Una commedia corale magistralmente interpretata, aggiunge Frezzato, contrassegnata da un intreccio ben costruito e da dialoghi brillanti tipici di un certo cinema francese di ispirazione teatrale e letteraria. A differenza del titolo italiano che suggerisce la leggerezza di un’opera buffa di Mozart (quello originale è Come une image), si tratta di un racconto che, con humour intinto nella crudeltà, ha il coraggio di affrontare argomenti delicati, quali il desiderio di successo personale, il bisogno di piacere e le sue rischiose conseguenze, costringendo gli spettatori a confrontarsi tipi umani dai quali si vorrebbero prendere le distanze ma in cui ci si può invece riconoscere (Roberto Nepoti, La Repubblica, 5 novembre 2004). Anche se la regia si preoccupa più di quello che vuole dire che del modo di dirlo, per Nepoti la sceneggiatura è eccellente, i dialoghi sono perfetti e gli attori formano una corale particolarmente affiatata. Una galleria di interpreti evocati con piglio deciso e colorito, che la regista fa muovere in un vortice di incomprensione e di cattiverie (Gian Luigi Rondi, Il Tempo, 29 ottobre 2004). Secondo Rondi sono tutti da applaudire, a partire dalla stessa Jaoui e dall’odiosissimo Bacri. E proprio la bravura stilistica e la finezza psicologica di Agnès Jaoui nel ritrarre i personaggi è uno dei principali elementi che distingue Così fan tutti da uno dei tanti film francesi spiritosi, intelligenti e ben confezionati, rendendolo indimenticabile (Lietta Tornabuoni, La Stampa, 28 ottobre 2004). Nonostante sia più serioso e programmatico di Il gusto degli altri, Valerio Caprara considera Così fan tutti ben riuscito, in particolare per quello che riguarda la descrizione dei riti borghesi viziati dall’interesse e dal sospetto (Il Mattino, ottobre 2004). Questo anche grazie a interpreti convincenti e a dialoghi azzeccati, che si rifanno un po’ ad Alain Resnais (per cui la Jaoui ha scritto diverse sceneggiature) e po’ a Woody Allen. Secondo Fabio Ferzetti, Agnès Jaoui è addirittura il “Woody Allen d’Europa”: non solo come lui è un personaggio “orchestra” ma ha anche il suo stesso gusto per il teatro, ravvisando nella rappresentazione la misura di ogni cosa (Il Messaggero, 17 maggio 2004). Non si tratta di una novità ma, aggiunge Ferzetti, sicuramente nuovi sono il garbo e la sensibilità, e insieme la risolutezza, con cui la regista mette in scena l’eterno gioco del potere. Anche a Franco Montini la Jaoui ricorda Woody Allen, come lui è brava a raccontare con ironia, leggerezza e intelligenza il mondo intellettuale e borghese, dominato dalla smania di arrivare e dal terrore di non essere accettati per quello che si è (La Repubblica, 27 agosto 2004). Siamo così di fronte a una commedia di impianto tradizionale, con una messa in scena convincente anche grazie a una sceneggiatura di ferro, punteggiata da dialoghi scintillanti. Un film a sfondo pessimistico - o forse realistico - in cui non c’è un personaggio principale ma la narrazione sviluppa molte storie - raccontate con una sorprendente attenzione ai dialoghi e ai particolari - prima intrecciandole per poi separarle di nuovo, quasi a ricercarne il valore morale (Roberto Escobar, Il Sole 24 Ore, 8 novembre 2004). Così fan tutti è un’opera adulta, parte del teatro di parola con una regia che è completamente al suo servizio come nella tradizione del grande cinema del passato (Goffredo Fofi, Panorama, 11 novembre 2004). E la parola non è mai gratuita, sottolinea Fofi, ma definisce gli ambienti e i personaggi, che nascono da un’acuta analisi dei 3 comportamenti umani, formando un affresco corale permeato da una solida moralità senza quella volgarità e quel compiacimento tipico di tanto cinema contemporaneo. Una voce un po’ fuori dal coro è quella di Giulio Frafuso, che pensa che il film confermi solo in parte quanto di buono era stato realizzato precedentemente dalla collaudata coppia Jaoui/Bacri (www.offscreen.it). Da un lato - spiega Frafuso - si tratta di un film d’attore sobrio e finemente confezionato in cui, come nella migliore tradizione del cinema d’oltralpe, i dialoghi valorizzano al massimo l’interpretazione degli attori. Dall’altro ha però il difetto di volersi troppo adagiare al suo essere un film francese, compiacendosi quasi subito delle proprie virtù e, in un certo senso, parlandosi un po’ addosso. Indubbiamente con gran classe e con enorme gusto del dialogo, ma rischiando di dare una sensazione di leggera futilità. Rispetto al Il gusto degli altri - osserva Frafuso si registra un passo indietro per quello che riguarda la costruzione psicologica dei personaggi: se alcuni si dirigono in modo scontato verso una metamorfosi un po’ troppo annunciata, altri invece che avrebbero potuto andare verso un’evoluzione drammatica rimangono inspiegabilmente ancorati alla loro situazione di partenza. L’effetto è una rappresentazione un po’ unidimensionale di quella società borghese che la regista vorrebbe mettere alla berlina. Per Mauro Gervasini Così fan tutti ha un unico problema, che è paradossalmente la sua perfezione (Film TV, 45, 2004). Il film è un girotondo di personaggi senza precise identità, un mondo di maschere con tratti quasi horror, ma funziona tutto fin troppo bene e non ci sono sbavature, con il risultato di avvertire una certa meccanicità letteraria. In ogni caso, conclude Gervarsini, averne di film così. Entro breve i titoli della stagione 2005/6 e le pre-iscrizioni La redazione Coordinamento: Roberta Braccio Daniela Amoroso Giulio Martini Isabella Aragona Marina Conti Luca Cerasoli Riccardo Moretti 4 Shrek 2 di Luca Cerasoli Regia: Andrew Adamson, Kelly Asbury, Conrad Vernon Interpreti: Shrek (voce italiana Renato Cecchetto), Fiona (v.i. Selvaggia Quattrini) Ciuchino (v.i. Nanni Baldini), Re Harold (v.i. Giorgio Lopez), Regina Lilian (v.i. Maria Pia di Meo), Principe Azzurro (v.i. Francesco Prando), Fata Madrina (v.i. Franca D’Amato), Gatto con gli stivali (v.i. Massimo Rossi) Genere: Film d’animazione Origine: USA Anno: 2004 Soggetto: Andrews Adamson basato sul libro di William Steig Sceneggiatura: Andrei Adamson & Joe Stillman, J. David Stern & David N. Weiss Fotografia: Cartoni Animati – Musica: Henry Gregson Williams Montaggio: Michael Andrews, Sim Evan Jones Durat: 92’ Produzione: Aaron Warner, David Lipman, John H. Williams, Ilona Herberg Distribuzione: United International Pictures (2004) TRAMA: Le avventure dell’orco buono (Shrek) e della sua amata moglie (la Principessa Fiona) cominciano, come nel primo episodio con l’apertura del libro delle fiabe e la voce del narratore che ci introduce alle nuove avventure della coppia mostrandoci alcune immagini del loro viaggio di nozze fino a farci ritrovare i nostri eroi sull’uscio della loro casa nella palude…. Tra i personaggi che affiancano i due protagonisti, oltre all’immancabile Ciuchino, troviamo i genitori di Fiona, il Gatto con gli Stivali e, come in ogni favola che si rispetti, il Principe Azzurro. FILM: Il film è stato realizzato in tre anni negli studi della PDI (Pacific Data Images) della Dreamworks a Redwood City grazie all’utilizzo della più avanzata tecnologia nel campo dell’animazione computerizzata, la quale, però non sarebbe stata sufficiente senza il lavoro di disegnatori, costumisti e altri che è stato, ovviamente, preliminare alla rielaborazione dei disegni tramite il computer. Tom Huster (character designer di Shrek 2) spiega, a titolo esemplificativo, che per la realizzazione dei personaggi, oltre ai disegni, sono state da lui costruite delle vere e proprie sculture in argilla in modo da poter decidere quale fosse la fisionomia più adatta per ogni personaggio (per il re sono state costruite 11 statue). Il film è stato tradotto in 33 lingue e, nella maggior parte dei casi, la Dreamworks ha voluto come doppiatori dei personaggi famosi; nella versione originale tra i doppiatori figurano Mike Myers (Shrek), Cameron Diaz (Fiona), Eddie Murphy (Ciuchino), Antonio Banderas (Gatto con gli Stivali), Julie Andrews (la Regina) e Rupert Everett (il Principe Azzurro) e a tutti si è voluta lasciare un’ampia libertà nell’interpretare i personaggi. I registi Conrad Vernon, Kelly Asbury e Andrew Adamson hanno fortemente voluto che il film, pur essendo un cartone animato, fosse il più reale possibile; nel DVD di presentazione ci invitano, tra l’altro, a far attenzione ad alcuni dettagli quali la pelle dei due protagonisti che risulta essere più verde e translucida rispetto al primo film, offrendoci un effetto più realistico, così come gli occhi: per la prima volta è stata creata al computer un’iride, una lente ed una pupilla che si dilatano come un occhio vero; grande cura si è avuta anche nella scenografia ed è stata addirittura ricostruita al computer, in una sequenza del film, una via di Beverly Hills (a voi indovinare la sequenza e la via).. CRITICA: “…Tutto alla rovescia. Shrek è un orco buono, un Principe Azzurro brutto, un eroe ridicolo. Il segreto del suo successo e dell’affetto che ha suscitato è, naturalmente, la trasgressione: tutto in lui è contro le regole,….E’ una regola della narrativa fiabesca che gli orchi mangino i piccoli e perseguitino i grandi: lui non fa del male a nessuno, anzi..” “ Tecniche 3D di altissimo livello. Scelta elevata di voci per il doppiaggio inglese….Morale della favola? Facile e falsa, nel tempo dell’apparire: l’aspetto non conta nulla, l’importante è la felicità” La Stampa – 15/12/2004- Lietta Tornabuoni “……il risultato – oltre ad essere di quelli alti, testimonia una tendenza sempre più precisa all’interno dell’animazione Usa. Quella per cui la stessa è sempre meno intesa come prodotto meramente per ragazzi e sempre più come entertainment sì per tutti ma, soprattutto, per gli adulti. Tendenza iniziata dalla Pixar ….,tale per cui il disegno animato, o computerizzato che dir si voglia, punta sempre di più a sostituire l’esperienza cinematografica con attori e locations fisicamente individuabili. In un certo senso una possibile rivoluzione rispetto allo standard Disney che è stato, nel bene e nel male, il cinema d’animazione, il modello con cui tutti dovevano confrontarsi….. E qua e là, oltre all’humor linea guida della pellicola, affiora anche qualche tocco di poesia. Non è detto che i bambini al di sotto dei sei anni lo gustino completamente: per farlo è necessaria una pur minima conoscenza del cinema. Ma se c’è, o almeno è in fieri, il godimento è assicurato. Da vedere.” Recensione:di Marco Cavalieri http://www.16noni.it/cinema/2004/shrek2.htm “È molto spiritoso e divertente il sequel in animazione digitale di Shrek, cartone quasi sovversivo, elogio della bruttezza e della diversità… “Un’esplosione di furberia, di tecnica e di pazienza,…in cui l’uso della computergraphic permette miracoli incredibili, aiuta la psicologia e dà vita ad uno stile che non diventa ibrido né macabro,… Il Corriere della Sera – 18/12/2004 - Maurizio Porro “…Ora Shrek 2 è un buon film, .. anche se inferiore agli “Incredibili”, però il suo lancio non avviene tanto sulla base dei favorevoli giudizi estetici riscossi al Festival di Cannes, quanto sugli incassi oltreoceano. Insomma non è buono ciò che è buono per lo spettatore, ma quel che rende al produttore” Il Giornale – 18/12/2004 – Maurizio Cabona “Ritengo che difficilmente un sequel possa superare l’originale ed anche in questo caso penso che ciò sia vero: pur essendo migliorato dal punto di vista tecnico in Shrek 2 manca, l’originalità del suo predecessore e trovo che, in generale, anche il ritmo sia inferiore rispetto al primo episodio. Ciò non toglie che il film sia assolutamente da vedere e che, nel complesso, anche questo secondo episodio, pur non all’altezza del primo, sia ben riuscito” Appuntamento col corto Il 16 e 17 marzo si sono svolte le due serate di presentazione dei cortometraggi di wHp – Wood Hall Pictures, la “casa di produzione” degli spettatori del nostro cinercircolo che non si accontentano di “guardare” il cinema, ma provano a farlo. E i risultati nel tempo si sono visti. Parecchi dei nostri corti hanno avuto, ai concorsi del settore, selezioni, segnalazioni, premi. Il più recente è stato ottenuto da “Una storia come tante” di Mauro Colella – regista di documentari e docu-fiction, nonché bravissimo operatore della Macacos Film, ma anche di altre produzioni di wHp – che è arrivato terzo al concorso “Premio Perini 2004” di Milano. Ed eccoci dunque arrivati alla 8a edizione. I lavori presentati erano ben 7, tutti di ottima qualità, sia tecnica che di contenuti, che hanno riscosso un notevole successo tra il pubblico in sala, tra il quale è stato avvistato anche il presidente del cineforum, Giulio Martini. Marco Massara, papà di wHp e come di consueto conduttore delle serate, ha introdotto prima i documentari, poi le fiction. “Tempo” di Silvia Macchini, che ha aperto la serata, è una specie di video-poesia, con delle belle immagini in bianco e nero di Milano sottolineate da una splendida canzone di Ivano Fossati. “Paris Passage” di Mauro Colella e Riccardo di Vincenzo è una suggestiva passeggiata tra le gallerie di Parigi (una specie di secondo capitolo sui passage, dopo quello sulle gallerie di Milano dell’anno passato). “Grassia Ricevutta”, sempre di Mauro Colella, ci fa conoscere le cappellette affrescate della val Soana, in Piemonte, dipinte tra il Settecento e i primi anni del Novecento a scopo votivo, per chiedere una grazia o per ringraziare per una grazia ricevuta. “B.B.C.” di Raffaele Parolisi è un divertente omaggio a Sergio Leone: una paradossale “parodia” de “Il buono, il brutto, il cattivo” che in questo caso diventa “Il buono a nulla, la brutta megera, la cattiva zanzara”. “Quanto ti odio”, di Marina Conti, è un corto grottesco/comico (quasi) muto nel quale, di notte, si scatenano gli istinti omicidi di una moglie, ma sogni e realtà si confondono… fino alla canzone finale - cantata dalla protagonista, che è anche la regista, ovvero la sottoscritta - che così spiega: Certe volte ti odio sai / esser libera vorrei / ma andartene non vuoi / e lasciarti non saprei / vorrei ucciderti ma poi / senza te io che farei / senza te io non vivrei… “Fil rouge – storie di cuore e di carta”, di Marco Massara, segue il tormentato percorso di una busta che viene persa, ritrovata, scambiata procurando vari guai ai protagonisti. “Ryori” di Giovanni Lanzarotti, Manuelle Le Rhun e Paolo Scafoletti, è una trilogia che ha come comun denominatore l’ambientazione: la cucina. Nella prima parte, la storia viene raccontata dal solo movimento di piedi femminili e maschili, nella seconda una madre che vuole ordinare due pizze per telefono si ritrova a dialogare con una strana, surreale, inquietante segreteria telefonica. Nella terza il protagonista consuma la sua ultima cena in compagnia della morte che ha bussato alla sua porta e cerca inutilmente di fregarla. Come avrete capito da queste brevi spiegazioni, la varietà quest’anno è stata notevole, da documentari tradizionali, a video-poesie, a fiction serie, comiche, grottesche, surreali: con una certa tendenza a far ridere, o almeno a sorridere. Concludo invitando ancora una volta gli spettatori del cineforum a unirsi a noi. È un’esperienza entusiasmante, divertente, anche faticosa, ma che dà tante soddisfazioni. Marina Conti