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PIERLUIGI STA GIÀ VEDENDO LE ANTEPRIME DI TUTTI I FILM.

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PIERLUIGI STA GIÀ VEDENDO LE ANTEPRIME DI TUTTI I FILM.
ANNO VI n°2 - Maggio 2005
PIERLUIGI
STA GIÀ VEDENDO
LE ANTEPRIME
DI TUTTI I FILM.
L’amico ing. Pierluigi Foglino, che curava il nostro
appuntamento del Venerdì, ci ha lasciato dopo una
breve, dolorosa malattia.
-------------------C’eravamo incrociati negli anni ’60 al glorioso
Gonzaga, inteso come storico Cineforum dei giovani
studenti di Milano. Io arrivando dal Berchet, lui
appunto dal Gonzaga, inteso stavolta come liceo.
Eravamo collaboratori - volantinatori precoci - del
CSC, il Centro Studi Cinematografici.
Passati poi a preparare schede e dibattiti, eravamo
approdati alla serata ( ICUM) degli universitari.
Poi tante iniziative assieme: corsi, filmati, diapositive
sonorizzate, sempre a spiegare e a tentare di capire
come funziona il meraviglioso linguaggio delle
immagini.
Mi ricordo in particolare una lunga nottata - vai e
vieni - verso e dall’Adda, fino a Cassano, per un corso
anni ’70. Era promosso dal nostro amico Fumagalli,
quello che poi ha messo in piedi l’Arcadia di Melzo.
Nella nebbia,dentro la Fiat ’500, guardando un po’
fuori e guardandoci un po’ in faccia, si ragionava sui
dettagli di come alternarci nelle chiacchiere in pubblico.
La sua passione era tanta e tale che, benché avesse
conseguito rapidamente la laurea in Ingegneria e avesse un lavoro nell’edilizia già bel e pronto, non appena,
lui trentenne,spuntò il Primo Concorso Nazionale per
una Cattedra di Cinema e Televisione
(all’Umanitaria) vi partecipò, lo vinse, sbaragliando
gli altri e da allora si dedicò essenzialmente a questo,
per 30 anni, cioè fino a tre mesi fa.
Non per niente la chiesa era piena di 400 studenti,
oltre agli amici e parenti, giovani e meno giovani, che
avevano imparato ad apprezzare e distinguere il
buon,vero, grande, cinema affascinati dal Prof.
Foglino .
Tanto che i suoi allievi, presi da un senso di gratitudine irreale, hanno baciato la moglie e due figli per più
di un’ora dopo la cerimonia.
Foglino per loro era quel mitico docente, fumatore
accanito, che, prima di far usare le telecamere e far
fare delle riprese, illustrava spezzoni di film, li centellinava, li mimava, li gustava e rigustava.
L’unico il cui nome nel tempo balzasse subito chiaro
nei ricordi, quando finalmente si lavorava da professionisti sul set o in Tv.
Pierluigi arrivava in classe, come hanno testimoniato
in tanti dall’ambone, in ore antelucane perché tutto
fosse pronto. Per il cinema non c’erano confini o stanchezze. L’ho visto in mille situazioni.
Quando ad esempio abbiamo fatto assieme un film 16
mm nel 1977.
Eravamo gli sceneggiatori di “Una sistemazione più
comoda” opera firmata da Pierluigi Voi.
L’argomento era delicato e complesso: una riflessione
sulla vita, quella degli anziani che vanno in pensione,
quella sbocciata per una gravidanza inattesa, quella
dei padri, magari disoccupati, diventati padri all’improvviso...
Si andava in cerca - nel racconto/metafora di un travagliato trasloco - di una “soluzione” tra le varie contraddittorie esigenze che non fosse banalmente “… la
più comoda”. Era una “fiction” finanziata coi soldi di
un simpatico mini-petroliere piacentino e girata con la
collaborazione di molti conoscenti e qualche professionista affermato.
INSALATA DI RISO…
ALL’ITALIANA
Non riesci ad aspettare l’autunno senza film?
Non mancare al convegno estivo organizzato,
come ogni anno, dal Centro Studi Cinematografici
della Lombardia.
Appuntamento a Bormio (So) dal 15 al 19 luglio
per parlare di commedia e cinema comico all’italiana, con proiezioni commentate e dibattiti.
Ma anche per godersi la compagnia e il
panorama…
Per info:
Francesco Rizzo (347/1534170)
Giorgio Brambilla (349/5636401).
Pierluigi partecipò con un entusiasmo travolgente,
come gli capitava sempre per le iniziative che condivideva, creando allegria. Giocherellone ed efficiente,
l’ingegnere-psicologo – aveva letto manuali e manuali - collaborò ben al di là dello “script”. Uno slancio
identico mise nell’inchiesta fatta con me negli anni
’80 per la Rai sul passato e sul futuro del decentramento produttivo nella nostra regione: “Lombardia,
pianeta cinema” e poi nel Festival, sullo stesso tema,
organizzato a Sondrio per tre edizioni di seguito.
Il sui intenti furono in quel caso soprattutto la voglia
di capire fino in fondo il cinema del milanese Franco
Brusati (che intervistò a lungo al tavolo di un bar) e di
cogliere i motivi della comicità di Pozzetto (che
incontrò all’aperto sul terrazzo della casa sul Lago
Maggiore).
Inventò inoltre per Rai – Educational la parte su disco
elettronico di un complesso Progetto Multimediale
dedicato al “Codice della strada”, dove la responsabilità dei filmati era affidata al papà delle due Pivetti,
l’onorevole e l’attrice, il regista teatrale Paolo.
Ma la sua vocazione era l’insegnamento, fatto giorno
per giorno con un gesticolare inconfondibile, avvolgente e un’ enorme di capacità di sviluppare confronti e paragoni. Aveva una collezione di oltre 6.000
videocassette, tutte quante osservate e riosservate, non
semplicemente registrate.
Probabilmente il suo autore preferito,accanto ad
Hitchcock, a Sergio Leone, ai Classici in genere, era
in assoluto Roman Polanski, già fin dai primissimi
anni ’60.
L’entusiasmava lo stile ricco e coerente. E ogni suo
racconto lo stuzzicava, lo istigava alla riflessione.
Perché nel regista ebreo/polacco c’è una micidiale
insistenza, una vera ossessione,sul tema del “vicolo
cieco”,che ricorre immancabilmente nei finali delle
sue pellicole (e dà persino il titolo ad una di esse, il
francese “Cul de sac” ). Un tema che permea il suo
mondo di un’ angoscia irrisolta. Un finale che a
Foglino piaceva e non piaceva allo stesso tempo.
E su cui tornava volentieri a meditare.
E per in riflettere e rimuginare di continuo, come ha
ricordato il sacerdote facendone - a braccio - un ritratto perfetto, si dondolava incessantemente aventi e
indietro anche mentre conversava.
Voleva valutare, quasi soppesare a mano le varie ipotesi,anche quelle non sue. Voleva cogliere ogni aspetto delle diverse piste interpretative.
E poi voleva che tu partecipassi al suo percorso mentale.
Per questo avvolgeva il discorso in larghi sorrisi e in
punti di domanda continui.
Non era affatto contento se non si arrivava a qualcosa
di sensato e di accettabile, tecnicamente riscontabile,
possibilmente accettato da entrambi.
Anche per questo motivo credo abbia sofferto moltissimo, psicologicamente, nel trovarsi irrimediabilmente malato di tumore al pancreas,nel giro di appena un
mese dopo i primi sintomi avvertiti ed i primi esami
effettuati. Aveva davanti una strada obbligata,
Voleva comunque sentire al telefono il tuo parere,
anche se c’era poco da oscillare e da dibattere e
a riguardo.
Riusciva quasi a scherzare .
Vedeva perfettamente - da ingegnere – che il vicolo
che aveva davanti era un senso unico.
E non faceva fatica da cinefilo ad immaginare il probabile finale.
Ma era sereno.
Perché lui sapeva, rispetto all’amato Polanski, sapeva
bene, anzi benissimo,che una via d’uscita - in fondo al
buio - c’era.
GIULIO MARTINI
2
Collateral
Collateral
Vincent spara bombe intelligenti e Max rischia di essere
colpito dalle schegge. Se vi sembra una lettura iperpolitica, sappiate che Michael Mann, il regista, da
giovane se n'è andato in esilio dagli Stati Uniti perché le
sue simpatie politiche per i Black Panthers rischiavano di
costargli la galera"(Alberto Crespi, 16/10/04). Tuttavia
da parte di Fabio Ferzetti non sono mancati rimproveri:
"...Difficile invece amare fino in fondo una certa
verbosità, le citazioni esibite (il culto del jazz che si fa
metafora del film), l' insistenza su quella che a tratti
sembra una versione thriller della cicala e la formica, col
killer senza passato e senza futuro che sgretola le piccole
certezze del common man"(Il Messaggero, 15/10/04).
Collateral
di Riccardo Moretti
Soggetto e sceneggiatura: Stuart Beattie
Regia: Michael Mann
Fotografia: Dion Beebe, Paul Cameron
Montaggio: Jim Miller, Paul Rubell
Musica: James Newton Howard
Produzione: Michael Mann e Julie Richardson
per Dreamworks, Paramount Pictures,
Edge City Llc., Parkes/Macdonald
Productions
Origine: Usa
Durata: 119 min
Interpreti: Tom Cruise (Vincent), Jamie Foxx (Max),
Jada Pinkett Smith (Annie), Javier Bardem
(Felix), Mark Ruffalo (Fanning), Peter
Berg (Richard Weidner), Bruce Mcgill
(Pedrosa)
Due vite e due modi di vedere il mondo che si
incontrano, si confrontano, si scontrano. L'uno, pacifico
e speranzoso, incarnato dal tassista di colore Max, l'altro,
violento e nichilista, rappresentato dal killer Vincent: due
caratteri antitetici ma nello stesso tempo "collaterali", in
una città a metà strada tra il Far West e la giungla .
Questo è il nucleo di "Collateral", ultimo film del regista
americano Michael Mann, il quale, avendo iniziato la
propria carriera dirigendo episodi del telefilm "Miami
Vice", è arrivato poi ad esser l'autore di alcune delle
migliori pellicole hollywoodiane degli ultimi vent'anni:
"Manhunter", "L'ultimo dei Mohicani" e soprattutto
"Heat-La sfida". Dopo il mezzo-flop di "Alì", storia del
leggendario pugile Cassius Clay interpretato da Will
Smith, "Collateral" è per Mann "un pedaggio pagato, e
brillantemente, per tornare nel grande giro"(Fabio
Ferzetti, Il Messaggero, 15/10/04), ma anche un'
occasione per il pubblico per rivalutare Tom Cruise,
brizzolato ed emaciato nei panni del cinico Vincent, e
scoprire il nuovo talento Jamie Foxx - Max, quest' anno
sugli schermi anche in "Ray", film grazie a cui si è
aggiudicato un Oscar. Il killer: un ruolo anomalo per la
star Cruise, più abituato ad interpretare personaggi
positivi: - Vincent è un personaggio affascinante. E' una
persona che non sente alcuna responsabilità per le azioni
che commette: è qualcosa che deve fare, il suo lavoro. Ci
sono voluti 5 mesi per preparare i personaggi, io mi sono
esercitato ad imparare a maneggiare i revolver perché per
me diventasse automatico, come un riflesso. E' anche
vero che lavorare con Michael Mann in un film come
questo ha significato fare un viaggio con lui. Anche la
storia è molto interessante, mi piaceva soprattutto quello
che voleva raccontare con questa storia. - commenta l'
attore. Gli fa eco Michael Mann - Perché Tom Cruise?
Nel film c’è un personaggio, che io avevo già definito
nella mia mente, che comincia a spezzarsi, e si vede la
sua frattura interna che comincia a emergere. Quindi
avevo bisogno di un volto noto in modo che lo spettatore
potesse avvicinarsi all’individuo che ci sta dietro. Non
mi interessano i cattivi cinematografici tipici. Vincent fa
cose brutte, ed è lui ad averne la completa responsabilità.
Nel contempo, è il figlio di qualcuno, il fratello di
qualcuno…-. Interessante la proposta di Tullio Kezich
:"gangster o taxista? - verrebbe voglia di vedere
Collateral a ruoli invertiti, con Cruise al volante e Foxx
trasportato. Proprio come fanno certi attori a teatro, una
sera dopo l'altra, quando incarnano a vicenda Otello o
Jago"(Il Corriere della Sera, 16/10/04).
Un thriller d' azione dove ci sono due moralità messe a
nudo, ma "soprattutto c'è una città di 16 milioni di
abitanti dove ognuno sembra vivere da solo, dove le
distanze si misurano in minuti di imprevisti che possono
rallentare la corsa, dove chiedere aiuto può essere più
pericoloso di farsi gli affari propri e gli altri sono solo una
marea senza identità in cui nascondersi o da cui essere
ostacolato"(Paolo Mereghetti, Io Donna, 16/10/04). Se
cupo è il ritratto che vien dato dei protagonisti, ancor più
cupa e crudele appare la Los Angeles notturna, popolata
da spacciatori, ladri di strada e coyote solitari, quasi "una
proiezione astratta dei personaggi"(Lietta Tornabuoni,
La Stampa, 15/10/04) immersa in una luce acre e
metallica alla cui realizzazione han collaborato ben due
direttori della fotografia. Fotografia molto elaborata
anche perché su pellicola digitale: - Solo in digitale si
riesce a vedere un campo molto più profondo, e il
paesaggio doveva essere fatto in digitale per ottenere gli
effetti che volevo. Inoltre mi interessava anche far sì che
gli attori sentissero in un certo modo che si trattasse di
alienazione, attrazione o di potenzialità di attrazione e
questo poteva essere fatto in digitale. - spiega il regista in
un' intervista su FilmUp.com. Molto apprezzata è stata
questa scelta stilistica, che ha dotato le immagini di "una
patina di sporco che ricorda i reportage televisivi: un
tocco in più di realismo, in sapiente contrasto con l'
"ottovolante" fantastico della vicenda raccontata" (Luigi
Pani, Il Sole 24 Ore, 24/10/04).
Paragonato all' action-noir di culto "Vivere e morire a
Los Angeles" di Friedkin, o addirittura a classiche
pellicole di Billy Wilder o Jules Dassin, "Collateral" è
stato premiato con abbondanti lodi dalla critica: "Per
Mann questo film rappresenta dunque l' occasione di
forzare la gabbia di certi manierismi espressivi e tematici
(...). E' la prova di una sana inquietudine creativa"(Marco
Cavalleri, 16Noni, 15/10/04); "Collateral conserva tutte
le qualità stilistiche ed espressive perché l' ambiguità
morale e l' angoscia claustrofobica care al regista arrivino
dritte agli occhi come all' anima"(Valerio Caprara, Il
Mattino, 16/10/04). Più radicale è invece l'
interpretazione del film che viene offerta da l' Unità:
"quella che ci descrive Collateral è una guerra. Non
l'Iraq, né l' Afganistan né il Sudan, ma Los Angeles,
cuore dell'Impero (e del cinema). Una guerra nella quale
FESTA
DI FINE
ANNO
Data: Giugno 2005
Soggetto,
Sceneggatura e Regia:
Giulio Martini,
Marco Massara e
Roberta Braccio
Cast:
tutti gli iscritti
al Circolo
Così
fan
tutti
Così fan tutti
Così fan tutti
di Daniela Amoroso
Regia: Agnès Jaoui
Interpreti: Marilou Berry (Lolita Cassard), Agnès
Jaoui (Sylvia Miller), Jean-Pierre Bacri
(Etienne Cassard), Laurent Grevill (Pierre
Miller)
Sceneggiatura: Agnès Jaoui, Jean-Pierre Bacri
Genere: commedia
Origine/Anno: Francia, 2004
Durata: 110 min
Coppia vincente non si cambia. Dopo il meritato exploit
nel 2000 con Il gusto degli altri, Agnès Jaoui e JeanPierre Bacri ci riprovano e fanno di nuovo centro con
Così fan tutti, premiato a Cannes nel 2004 per la
sceneggiatura. Entrambi attori e sceneggiatori, lei anche
regista, realizzano - come da loro dichiarato - “una
commedia sull’ipocrisia e sulle barriere che si innalzano
su persone quando indossano una maschera”.
Per Tullio Kezich è il migliore risultato del sodalizio
cinematografico tra Jaoui e Bacri, che da vita a un film in
cui la descrizione dell’ambiente ha la precisione di un
repertorio, i personaggi sembrano ritagliati dalla
quotidianità e il tutto è condito da un’implacabile ironia
che non risparmia niente e nessuno (Il Corriere della
Sera, 30 ottobre 2004).
Così fan tutti è una riflessione ironica e un po’ amara sul
potere nei rapporti familiari e in quelli sociali in un
mondo come quello borghese in cui ognuno recita una
parte - e può essere vittima o carnefice a seconda degli
eventi - e dove conta solo l’apparenza (Achille Frezzato,
Eco di Bergamo, 13 novembre 2004). Una commedia
corale magistralmente interpretata, aggiunge Frezzato,
contrassegnata da un intreccio ben costruito e da dialoghi
brillanti tipici di un certo cinema francese di ispirazione
teatrale e letteraria.
A differenza del titolo italiano che suggerisce la
leggerezza di un’opera buffa di Mozart (quello originale
è Come une image), si tratta di un racconto che, con
humour intinto nella crudeltà, ha il coraggio di affrontare
argomenti delicati, quali il desiderio di successo
personale, il bisogno di piacere e le sue rischiose
conseguenze, costringendo gli spettatori a confrontarsi
tipi umani dai quali si vorrebbero prendere le distanze
ma in cui ci si può invece riconoscere (Roberto Nepoti,
La Repubblica, 5 novembre 2004). Anche se la
regia si preoccupa più di quello che vuole dire
che del modo di dirlo, per Nepoti la
sceneggiatura è eccellente, i dialoghi sono
perfetti e gli attori formano una corale
particolarmente affiatata.
Una galleria di interpreti evocati con
piglio deciso e colorito, che la
regista fa muovere in un vortice di
incomprensione e di cattiverie
(Gian Luigi Rondi, Il Tempo,
29 ottobre 2004). Secondo
Rondi sono tutti da
applaudire, a partire dalla
stessa
Jaoui
e
dall’odiosissimo
Bacri. E proprio la
bravura stilistica e la
finezza psicologica di
Agnès Jaoui nel ritrarre i
personaggi è uno dei principali
elementi che distingue Così fan tutti da uno dei tanti film
francesi spiritosi, intelligenti e ben confezionati,
rendendolo indimenticabile (Lietta Tornabuoni, La
Stampa, 28 ottobre 2004).
Nonostante sia più serioso e programmatico di Il gusto
degli altri, Valerio Caprara considera Così fan tutti ben
riuscito, in particolare per quello che riguarda la
descrizione dei riti borghesi viziati dall’interesse e dal
sospetto (Il Mattino, ottobre 2004). Questo anche grazie
a interpreti convincenti e a dialoghi azzeccati, che si
rifanno un po’ ad Alain Resnais (per cui la Jaoui ha
scritto diverse sceneggiature) e po’ a Woody Allen.
Secondo Fabio Ferzetti, Agnès Jaoui è addirittura il
“Woody Allen d’Europa”: non solo come lui è un
personaggio “orchestra” ma ha anche il suo stesso gusto
per il teatro, ravvisando nella rappresentazione la misura
di ogni cosa (Il Messaggero, 17 maggio 2004). Non si
tratta di una novità ma, aggiunge Ferzetti, sicuramente
nuovi sono il garbo e la sensibilità, e insieme la
risolutezza, con cui la regista mette in scena l’eterno
gioco del potere. Anche a Franco Montini la Jaoui
ricorda Woody Allen, come lui è brava a raccontare con
ironia, leggerezza e intelligenza il mondo intellettuale e
borghese, dominato dalla smania di arrivare e dal terrore
di non essere accettati per quello che si è (La Repubblica,
27 agosto 2004). Siamo così di fronte a una commedia di
impianto tradizionale, con una messa in scena
convincente anche grazie a una sceneggiatura di ferro,
punteggiata da dialoghi scintillanti.
Un film a sfondo pessimistico - o forse realistico - in cui
non c’è un personaggio principale ma la narrazione
sviluppa molte storie - raccontate con una sorprendente
attenzione ai dialoghi e ai particolari - prima
intrecciandole per poi separarle di nuovo, quasi a
ricercarne il valore morale (Roberto Escobar, Il Sole 24
Ore, 8 novembre 2004).
Così fan tutti è un’opera adulta, parte del teatro di parola
con una regia che è completamente al suo servizio come
nella tradizione del grande cinema del passato (Goffredo
Fofi, Panorama, 11 novembre 2004). E la parola non è
mai gratuita, sottolinea Fofi, ma definisce gli ambienti e
i personaggi, che nascono da un’acuta analisi dei
3
comportamenti umani, formando un affresco corale
permeato da una solida moralità senza quella volgarità e
quel compiacimento tipico di tanto cinema
contemporaneo.
Una voce un po’ fuori dal coro è quella di Giulio Frafuso,
che pensa che il film confermi solo in parte quanto di
buono era stato realizzato precedentemente dalla
collaudata
coppia
Jaoui/Bacri
(www.offscreen.it). Da un lato - spiega
Frafuso - si tratta di un film d’attore
sobrio e finemente confezionato in
cui, come nella migliore tradizione
del cinema d’oltralpe, i dialoghi
valorizzano al massimo l’interpretazione
degli attori. Dall’altro ha però il difetto di
volersi troppo adagiare al suo essere un film
francese, compiacendosi quasi subito delle proprie
virtù e, in un certo senso, parlandosi un po’ addosso.
Indubbiamente con gran classe e con enorme gusto del
dialogo, ma rischiando di dare una sensazione di leggera
futilità. Rispetto al Il gusto degli altri - osserva Frafuso si registra un passo indietro per quello che riguarda la
costruzione psicologica dei personaggi: se alcuni si
dirigono in modo scontato verso una metamorfosi un po’
troppo annunciata, altri invece che avrebbero potuto
andare verso un’evoluzione drammatica rimangono
inspiegabilmente ancorati alla loro situazione di
partenza. L’effetto è una rappresentazione un po’
unidimensionale di quella società borghese che la regista
vorrebbe mettere alla berlina.
Per Mauro Gervasini Così fan tutti ha un unico
problema, che è paradossalmente la sua perfezione (Film
TV, 45, 2004). Il film è un girotondo di personaggi senza
precise identità, un mondo di maschere con tratti quasi
horror, ma funziona tutto fin troppo bene e non ci sono
sbavature, con il risultato di avvertire una certa
meccanicità letteraria. In ogni caso, conclude Gervarsini,
averne di film così.
Entro breve i titoli
della stagione
2005/6 e le
pre-iscrizioni
La redazione
Coordinamento:
Roberta Braccio
Daniela Amoroso
Giulio Martini
Isabella Aragona
Marina Conti
Luca Cerasoli
Riccardo Moretti
4
Shrek 2
di Luca Cerasoli
Regia: Andrew Adamson, Kelly Asbury,
Conrad Vernon
Interpreti: Shrek (voce italiana Renato
Cecchetto), Fiona (v.i. Selvaggia
Quattrini) Ciuchino (v.i. Nanni
Baldini), Re Harold (v.i. Giorgio
Lopez), Regina Lilian (v.i. Maria Pia
di Meo),
Principe Azzurro (v.i. Francesco Prando), Fata
Madrina (v.i. Franca D’Amato),
Gatto con gli stivali (v.i. Massimo Rossi)
Genere: Film d’animazione
Origine: USA
Anno: 2004
Soggetto: Andrews Adamson basato sul libro di William Steig
Sceneggiatura: Andrei Adamson & Joe Stillman, J. David Stern & David N. Weiss
Fotografia: Cartoni Animati – Musica: Henry Gregson Williams
Montaggio: Michael Andrews, Sim Evan Jones Durat: 92’
Produzione: Aaron Warner, David Lipman, John H. Williams, Ilona Herberg
Distribuzione: United International Pictures (2004)
TRAMA: Le avventure dell’orco buono (Shrek) e della sua amata moglie (la
Principessa Fiona) cominciano, come nel primo episodio con l’apertura del libro delle
fiabe e la voce del narratore che ci introduce alle nuove avventure della coppia
mostrandoci alcune immagini del loro viaggio di nozze fino a farci ritrovare i nostri eroi
sull’uscio della loro casa nella palude….
Tra i personaggi che affiancano i due protagonisti, oltre all’immancabile Ciuchino,
troviamo i genitori di Fiona, il Gatto con gli Stivali e, come in ogni favola che si rispetti,
il Principe Azzurro.
FILM: Il film è stato realizzato in tre anni negli studi della PDI (Pacific Data Images)
della Dreamworks a Redwood City grazie all’utilizzo della più avanzata tecnologia nel
campo dell’animazione computerizzata, la quale, però non sarebbe stata sufficiente
senza il lavoro di disegnatori, costumisti e altri che è stato, ovviamente, preliminare alla
rielaborazione dei disegni tramite il computer.
Tom Huster (character designer di Shrek 2) spiega, a titolo esemplificativo, che per la
realizzazione dei personaggi, oltre ai disegni, sono state da lui costruite delle vere e
proprie sculture in argilla in modo da poter decidere quale fosse la fisionomia più adatta
per ogni personaggio (per il re sono state costruite 11 statue).
Il film è stato tradotto in 33 lingue e, nella maggior parte dei casi, la Dreamworks ha
voluto come doppiatori dei personaggi famosi; nella versione originale tra i doppiatori
figurano Mike Myers (Shrek), Cameron Diaz (Fiona), Eddie Murphy (Ciuchino),
Antonio Banderas (Gatto con gli Stivali), Julie Andrews (la Regina) e Rupert Everett
(il Principe Azzurro) e a tutti si è voluta lasciare un’ampia libertà nell’interpretare i
personaggi.
I registi Conrad Vernon, Kelly Asbury e Andrew Adamson hanno fortemente voluto che
il film, pur essendo un cartone animato, fosse il più reale possibile; nel DVD di
presentazione ci invitano, tra l’altro, a far attenzione ad alcuni dettagli quali la pelle dei
due protagonisti che risulta essere più verde e translucida rispetto al primo film,
offrendoci un effetto più realistico, così come gli occhi: per la prima volta è stata creata
al computer un’iride, una lente ed una pupilla che si dilatano come un
occhio vero; grande cura si è avuta anche nella scenografia ed è stata
addirittura ricostruita al computer, in una sequenza
del film, una via di Beverly Hills (a voi indovinare
la sequenza e la via)..
CRITICA:
“…Tutto alla rovescia. Shrek è un orco buono, un
Principe Azzurro brutto, un eroe ridicolo. Il
segreto del suo successo e dell’affetto che ha
suscitato è, naturalmente, la trasgressione: tutto in
lui è contro le regole,….E’ una regola della narrativa
fiabesca che gli orchi mangino i piccoli e perseguitino i
grandi: lui non fa del male a nessuno, anzi..”
“ Tecniche 3D di altissimo livello. Scelta elevata di voci per il doppiaggio
inglese….Morale della favola? Facile e falsa, nel tempo dell’apparire: l’aspetto non
conta nulla, l’importante è la felicità”
La Stampa – 15/12/2004- Lietta Tornabuoni
“……il risultato – oltre ad essere di quelli alti, testimonia una tendenza sempre più
precisa all’interno dell’animazione Usa. Quella per cui la stessa è sempre meno intesa
come prodotto meramente per ragazzi e sempre più come entertainment sì per tutti ma,
soprattutto, per gli adulti. Tendenza iniziata dalla Pixar ….,tale per cui il disegno
animato, o computerizzato che dir si voglia, punta sempre di più a sostituire
l’esperienza cinematografica con attori e locations fisicamente individuabili. In un
certo senso una possibile rivoluzione rispetto allo standard Disney che è stato, nel bene
e nel male, il cinema d’animazione, il modello con cui tutti dovevano confrontarsi…..
E qua e là, oltre all’humor linea guida della pellicola, affiora anche qualche tocco di
poesia. Non è detto che i bambini al di sotto dei sei anni lo gustino completamente: per
farlo è necessaria una pur minima conoscenza del cinema. Ma se c’è, o almeno è in
fieri, il godimento è assicurato. Da vedere.”
Recensione:di Marco Cavalieri http://www.16noni.it/cinema/2004/shrek2.htm
“È molto spiritoso e divertente il sequel in animazione digitale di Shrek, cartone quasi
sovversivo, elogio della bruttezza e della diversità…
“Un’esplosione di furberia, di tecnica e di pazienza,…in cui l’uso della computergraphic permette miracoli incredibili, aiuta la psicologia e dà vita ad uno stile che non
diventa ibrido né macabro,…
Il Corriere della Sera – 18/12/2004 - Maurizio Porro
“…Ora Shrek 2 è un buon film, .. anche se inferiore agli “Incredibili”, però il suo
lancio non avviene tanto sulla base dei favorevoli giudizi estetici riscossi al Festival di
Cannes, quanto sugli incassi oltreoceano. Insomma non è buono ciò che è buono per
lo spettatore, ma quel che rende al produttore”
Il Giornale – 18/12/2004 – Maurizio Cabona
“Ritengo che difficilmente un sequel possa superare l’originale ed anche in questo caso
penso che ciò sia vero: pur essendo migliorato dal punto di vista tecnico in Shrek 2
manca, l’originalità del suo predecessore e trovo che, in generale, anche il ritmo sia
inferiore rispetto al primo episodio. Ciò non toglie che il film sia assolutamente da
vedere e che, nel complesso, anche questo secondo episodio, pur non all’altezza del
primo, sia ben riuscito”
Appuntamento col corto
Il 16 e 17 marzo si sono svolte le due serate di presentazione dei cortometraggi di wHp – Wood Hall Pictures, la “casa di produzione” degli spettatori del nostro cinercircolo che
non si accontentano di “guardare” il cinema, ma provano a farlo. E i risultati nel tempo si sono visti. Parecchi dei nostri corti hanno avuto, ai concorsi del settore, selezioni,
segnalazioni, premi. Il più recente è stato ottenuto da “Una storia come tante” di Mauro Colella – regista di documentari e docu-fiction, nonché bravissimo operatore della
Macacos Film, ma anche di altre produzioni di wHp – che è arrivato terzo al concorso “Premio Perini 2004” di Milano. Ed eccoci dunque arrivati alla 8a edizione. I lavori
presentati erano ben 7, tutti di ottima qualità, sia tecnica che di contenuti, che hanno riscosso un notevole successo tra il pubblico in sala, tra il quale è stato avvistato anche il
presidente del cineforum, Giulio Martini.
Marco Massara, papà di wHp e come di consueto conduttore delle serate, ha introdotto prima i documentari, poi le fiction. “Tempo” di Silvia Macchini, che ha aperto la serata,
è una specie di video-poesia, con delle belle immagini in bianco e nero di Milano sottolineate da una splendida canzone di Ivano Fossati. “Paris Passage” di Mauro Colella e
Riccardo di Vincenzo è una suggestiva passeggiata tra le gallerie di Parigi (una specie di secondo capitolo sui passage, dopo quello sulle gallerie di Milano dell’anno passato).
“Grassia Ricevutta”, sempre di Mauro Colella, ci fa conoscere le cappellette affrescate della val Soana, in Piemonte, dipinte tra il Settecento e i primi anni del Novecento a scopo
votivo, per chiedere una grazia o per ringraziare per una grazia ricevuta. “B.B.C.” di Raffaele Parolisi è un divertente omaggio a Sergio Leone: una paradossale “parodia” de “Il
buono, il brutto, il cattivo” che in questo caso diventa “Il buono a nulla, la brutta megera, la cattiva zanzara”. “Quanto ti odio”, di Marina Conti, è un corto grottesco/comico
(quasi) muto nel quale, di notte, si scatenano gli istinti omicidi di una moglie, ma sogni e realtà si confondono… fino alla canzone finale - cantata dalla protagonista, che è anche
la regista, ovvero la sottoscritta - che così spiega: Certe volte ti odio sai / esser libera vorrei / ma andartene non vuoi / e lasciarti non saprei / vorrei ucciderti ma poi / senza te io
che farei / senza te io non vivrei… “Fil rouge – storie di cuore e di carta”, di Marco Massara, segue il tormentato percorso di una busta che viene persa, ritrovata, scambiata
procurando vari guai ai protagonisti. “Ryori” di Giovanni Lanzarotti, Manuelle Le Rhun e Paolo Scafoletti, è una trilogia che ha come comun denominatore l’ambientazione: la
cucina. Nella prima parte, la storia viene raccontata dal solo movimento di piedi femminili e maschili, nella seconda una madre che vuole ordinare due pizze per telefono si
ritrova a dialogare con una strana, surreale, inquietante segreteria telefonica. Nella terza il protagonista consuma la sua ultima cena in compagnia della morte che ha bussato alla
sua porta e cerca inutilmente di fregarla. Come avrete capito da queste brevi spiegazioni, la varietà quest’anno è stata notevole, da documentari tradizionali, a video-poesie, a
fiction serie, comiche, grottesche, surreali: con una certa tendenza a far ridere, o almeno a sorridere. Concludo invitando ancora una volta gli spettatori del cineforum a unirsi a
noi. È un’esperienza entusiasmante, divertente, anche faticosa, ma che dà tante soddisfazioni.
Marina Conti
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