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misericordia io voglio 2015-2016 - Diocesi Fabriano

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misericordia io voglio 2015-2016 - Diocesi Fabriano
“MISERICORDIA IO VOGLIO”
Sussidio pastorale per l’anno 2015 -2016
LA PAROLA DEL VESCOVO
Cari amici, sacerdoti e laici, ho la gioia e il dovere di invitarvi anche quest’anno a continuare
un evento che nella nostra Diocesi è diventato tradizione, tanto che viene atteso e desiderato non
soltanto dai credenti e dai praticanti: il Mercoledì della Fede, per l’approfondimento e il
rafforzamento della nostra fede personale e della nostra vita di Chiesa. Fedeli al nostro stile,
rivivremo la nostra bellissima esperienza nella Cattedrale di Fabriano, però rinnovandola, in modo
che sia sempre stimolante. Ciò che invece rimane costante è il nostro camminare in sintonia con la
Chiesa italiana, che con il Convegno Ecclesiale Nazionale (9-13 novembre 2015) ci esorta a
scoprire “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, e con la Chiesa universale, che, con papa Francesco,
ci invita a vivere l’Anno Santo della Misericordia, per vivere l’amore per l’uomo, salvandolo da
ideologie impazzite e distruttrici.
Come percorrere questo cammino in modo da armonizzare le varie istanze? Ci lasceremo
guidare dalle parole con cui Gesù cerca di scuotere i farisei – e oggi a noi – ricordando loro cosa
chiede Dio: “Misericordia, io voglio” (Mt 9,13), e da come egli, facendosi “volto della misericordia”
del Padre, ce l’ha dimostrata con il suo insegnamento e la sua testimonianza.
Il primo impegno, perciò, sarà conoscere la testimonianza e il messaggio di Gesù, espresso
in maniera straordinaria nelle parabole della misericordia, commentate in questo testo.
Lasciamoci invadere, penetrare, toccare da queste pagine del Vangelo, fino a immedesimarci in
esse, affinché imbevuti di quella misericordia che ci viene annunciata, ne possiamo diventare
testimoni credibili. Accogliere il messaggio di Gesù e seguirlo è la sorgente e il contenuto della
morale cristiana, come ci testimoniano i cristiani martiri di oggi. Il Signore Gesù non ci chiede di
sapere notizie su di lui, ma di seguirlo: “Venite dietro a me” (Mc 1,17); “vi ho dato un esempio,
infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13,15).
Gesti concreti di conversione
Cari amici, sappiamo tutti che anche i propositi più decisi e le idee più belle rischiano di
rimanere desideri inefficaci se non scendono nella realtà con gesti concreti. Anche il nostro
cammino per ottenere e dare misericordia in questo anno pastorale dentro l’Anno Santo, non
porterà frutti, se non sarà accompagnato da gesti concreti. Vi ricordo quelli più importanti.
1. Il pellegrinaggio
Per esprimere la conversione di ogni comunità il Papa propone il gesto affascinante del
Pellegrinaggio: “Il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno Santo, perché è icona del
cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La vita è un pellegrinaggio e l’essere umano
è viator, un pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata […] Il pellegrinaggio,
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quindi, sia stimolo alla conversione: attraversando la Porta Santa ci lasceremo abbracciare dalla
misericordia di Dio e ci impegneremo ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con
noi” (Misericordiae Vultus, 14).
Il Pellegrinaggio è il paradigma della vita, che è camminare insieme verso una meta certa.
Ecco allora il mio slogan, rivolto soprattutto ai giovani: siate pellegrini e non vagabondi!
Cari amici, permettetemi di condividere con voi qualche parola del messaggio audio che papa
Francesco ci ha rivolto quest’anno all’inizio del pellegrinaggio a piedi Macerata – Loreto:
“Il pellegrinaggio è un simbolo della vita, che è camminare, che è un cammino. Se una persona non
cammina e rimane ferma, non serve, non fa nulla. Un’anima che non cammina nella vita è un
anima che finisce nella mediocrità e nella miseria spirituale. Per favore, non fermatevi nella vita!
Tutti abbiamo avuto nella vita cadute, degli sbagli. Ma se tu hai fatto uno sbaglio, alzati
subito e continua a camminare. Chi cammina può sbagliare strada. Questo può succedere ad
ognuno di noi. Se tu sbagli strada, torna. Torna! Perché c’è la misericordia di Gesù” (6 giugno
2015).
Le Parrocchie propongano, soprattutto in Quaresima, il Pellegrinaggio alle Porte Sante della
Diocesi, possibilmente con buoni tratti di cammino “a piedi” (cfr. Misericordiae Vultus, 14), per
esprimere sempre più l'unità della Chiesa diocesana.
2. Il sacramento della Penitenza o Confessione
Con questo sacramento Gesù Cristo dona la misericordia del Padre, e l’uomo che la
accoglie, riconoscendosi in cammino e peccatore, perfeziona continuamente se stesso.
In questo Anno Santo, i nostri sacerdoti faranno di tutto per rendersi disponibili in tutte le ore per
le Confessioni, per essere “distributori dell’amore di Dio che consola, che perdona e dona
speranza” (Papa Francesco). Saranno pieni di misericordia, perché anche loro l’hanno ricevuta, e
ve la doneranno con gioia. Raccomando a tutti una celebrazione periodica della Confessione,
dandosi un metodo e un percorso preciso: ogni settimana, ogni mese e, soprattutto, appena
abbiamo avuto coscienza di aver commesso peccati gravi.
3. Le opere di misericordia
La misericordia ricevuta deve essere donata. Questo avviene attraverso le opere della
Misericordia, che la Chiesa ha individuato in sette opere di misericordia corporali: dar da
mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare
gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti; e in sette opere di misericordia spirituali:
consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti,
perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i
morti. Forse il benessere degli ultimi decenni ce le avevano fatte considerare sorpassate. Adesso
riscopriamo che sono attualissime, come potete leggere in questo sussidio. Queste opere di
misericordia, in realtà, sono la strada per seguire l’imperativo evangelico: “va’ e tu fa’ lo stesso”(Lc
10,37).
Consiglio a tutti, a cominciare da me, di scegliere una o due di queste opere, in cui si fa più fatica, e
di farle diventare un impegno per tutto l’Anno Santo. La nostra fede, oltre a diventare più
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concreta, diventerà anche più creativa.
Permettetemi di aggiungere un invito forte a vivere la misericordia anche nella politica,
ricordando il beato Paolo VI che ha definito la politica come una “forma della carità”. La ricerca del
bene comune e il discernimento dei mezzi per perseguirlo è una forma straordinaria di
misericordia, perché spinge la società verso la civiltà dell’amore, che il cristianesimo ha proposto e
propone come risposta ai bisogni dell’umanità.
Il sussidio: “Misericordia io voglio!”
Cari amici, per vivere il più possibile in modo personale e comunitario questo nuovo Anno
Santo della Misericordia, vi propongo questo testo, come utile strumento per la riflessione
personale, familiare, parrocchiale, nonché di gruppo e associativo.
Esorto le famiglie, nell'ora della cena, a pregare, leggendo una parabola del Vangelo sulla
misericordia, o una delle preghiere suggerite alla fine di ogni capitolo di questo sussidio.
Chiedo alle comunità parrocchiali di proporre incontri settimanali e gruppi di preghiera per leggere,
dialogare, meditare e pregare, aiutandosi con questo testo. Vi ringrazio se mi farete pervenire le
vostre riflessioni e le vostre eventuali domande.
I parroci programmeranno il pellegrinaggio alla Porta Santa della Diocesi, con la possibilità delle
confessioni; valorizzeranno i pellegrinaggi a Roma, secondo le proposte del Papa; sceglieranno
ogni mese un'opera di misericordia materiale e una spirituale da vivere in modo creativo,
concreto, continuativo.
Invito le realtà scolastiche, lavorative, sociali, culturali e politiche a confrontarsi con il tema della
misericordia, portando il loro contributo di idee e di proposte al Vescovo.
A tutti, sia singolarmente che come comunità o gruppo, chiedo con calorosa insistenza di
coinvolgere in questo Anno Santo della Misericordia le nuove generazioni. Sapete che nel
conferire la Cresima, nomino i ragazzi “missionari”. Le parrocchie e le associazioni trovino il modo
di renderli quest’anno protagonisti della Misericordia.
Cari amici, affido alla Madonna del Buon Gesù, Madre della Misericordia, e ai nostri Patroni,
tutti Padri e Madri di misericordia, questo Anno Santo che svolgiamo nella nostra cara e bella
Diocesi.
Il frutto che mi attendo è la conversione del cuore, del mio, dei miei meravigliosi preti, di
ognuno di voi, verso Gesù datore di ogni misericordia, verso la Chiesa che la distribuisce, e verso
tutti. Ma veramente tutti, i fratelli e sorelle, vicini e lontani: “Non tramonti il sole sopra la vostra
ira, e non date spazio al diavolo … Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e
maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi,
perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo”(Ef 4,26-27;31-32).
Vi benedico, offrendovi la misericordia di Gesù che tutti attende con il suo cuore
misericordioso, e a tutti chiede di accogliere, testimoniare, donare il suo amore che é per tutti,
ricordandoci che “alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore”(cfr. Misericordiae Vultus, 15).
+ Giancarlo Vecerrica
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1. LA MISERICODIA DI DIO IN GESÙ
“Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di
amore e di fedeltà”. Così si presenta Dio a Mosè, prima di consegnargli i dieci
comandamenti (Es 34,6).
“Misericordioso”, lo descrivono i personaggi della Bibbia: “Benedetto sei tu,
Dio misericordioso” (Tb 3,11), e così lo pregano i Salmi: “Misericordioso e pietoso è il
Signore, lento all'ira e grande nell'amore” (Sal 103,8).
Così lo rivela Gesù, invitandoci a imitarlo: “Siate misericordiosi, come il Padre
vostro è misericordioso” (Lc 6,36), e ricordandoci ciò che vuole da noi: “Misericordia
io voglio e non sacrifici” (Mt 9,13).
In che modo il nostro Dio è misericordioso, e qual è la misericordia che egli
vuole da noi? Ce lo rivela e ce lo testimonia Gesù.
La misericordia di Gesù verso chi è schiavo del peccato
La misericordia è il sentimento che genera compassione per la miseria altrui.
Gesù, di fronte a qualsiasi sofferenza, sia dei singoli che della folla, prova
“compassione”, che nel linguaggio biblico significa un’emozione profonda che
scuote tutta la persona nel profondo (il termine ebraico richiama le viscere
materne), e spinge a intervenire in soccorso di chi soffre.
La prima miseria che commuove Gesù è la schiavitù di Satana. E’, infatti,
contro di essa che Gesù interviene fin dall’inizio della sua azione: “Nella sinagoga
c'era un uomo che era posseduto da un demonio impuro; cominciò a gridare forte:
«Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il
santo di Dio!». Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E il demonio lo
gettò a terra in mezzo alla gente e uscì da lui, senza fargli alcun male” (Lc 4,33-35).
A noi, immersi come siamo in una cultura che si preoccupa soltanto delle
sofferenze fisiche, lasciano un po’ perplessi questi interventi di Gesù contro il male
che cova dentro: il peccato e Satana che lo stimola e lo incoraggia. L’operato di
Gesù, invece, ci stimola a prendere in grande considerazione questo problema,
anche perché ci aiuta a capire come mai le nostre preghiere ci sembrano quasi
sempre inascoltate, come ci suggerisce il seguente straordinario episodio.
Gesù si trovava a Cafarnao, nella casa di Pietro, che l’archeologia oggi ci
permette di vedere, quando “alcuni uomini, portando su un letto un uomo che era
paralizzato, cercavano di farlo entrare e di metterlo davanti a lui. Non trovando da
quale parte farlo entrare a causa della folla, salirono sul tetto e, attraverso le tegole,
lo calarono con il lettuccio davanti a Gesù nel mezzo della stanza. Vedendo la loro
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fede, disse: «Uomo, ti sono perdonati i tuoi peccati». Gli scribi e i farisei
cominciarono a discutere, dicendo: «Chi è costui che dice bestemmie? Chi può
perdonare i peccati, se non Dio soltanto?». Ma Gesù, conosciuti i loro ragionamenti,
rispose: «Perché pensate così nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire «Ti sono
perdonati i tuoi peccati», oppure dire «Àlzati e cammina»? Ora, perché sappiate che
il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati, dico a te - disse al
paralitico -: àlzati, prendi il tuo lettuccio e torna a casa tua». Subito egli si alzò
davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e andò a casa sua, glorificando
Dio” (Lc 5,17-26).
Immaginiamoci al posto del paralitico. Come saremmo rimasti dopo le parole
di Gesù: “Ti sono perdonati i tuoi peccati”? Probabilmente saremmo rimasti molto
delusi: “Volevo camminare con le mie gambe, mica ho chiesto di essere
perdonato!”. Invece poi lo ha ascoltato, perché ha capito la sua malattia nel
profondo, come nemmeno il malato l’aveva capita.
Noi andiamo in crisi quando la preghiera non ottiene la risposta voluta, perché
spesso preghiamo senza sapere qual è il vero bene per noi, come dice l’apostolo san
Giacomo: “Chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le
vostre passioni” (Gc 4,3). Tante crisi di fede nascono perché si pretende che Dio sia
un po’ come il genio della lampada di Aladino, che esaudisce qualsiasi desiderio. La
preghiera cristiana non è una formula magica con la quale si pretende di piegare Dio
ai nostri ordini, ma la disponibilità a compiere il suo volere. La preghiera del Padre
nostro non dice “sia fatta la mia volontà”. Gesù esaudisce in profondità la richiesta
di guarigione del paralitico, vede che la paralisi più grave non è nel corpo, ma nello
spirito di quell’uomo. Subito dopo sana anche il corpo, perché il Signore vuole la
salvezza di tutta la persona. Più conosciamo il pensiero di Dio e meglio sappiamo
chiedere: “qualunque cosa gli chiediamo secondo la sua volontà, egli ci ascolta. E se
sappiamo che ci ascolta in tutto quello che gli chiediamo, sappiamo di avere già da
lui quanto abbiamo chiesto” (1Gv 5,14-15).
Attenzione! Il Vangelo non vuole dirci che le malattie sono una punizione dei
peccati – Gesù ha smentito questa convinzione degli ebrei -, ma che non dobbiamo
preoccuparci soltanto delle malattie fisiche.
La misericordia non è buonismo
Altrettanto importante da meditare come reazione alla mentalità corrente è
l’episodio che troviamo nel vangelo di Giovanni, ma che sicuramente è stato
raccontato da Luca: “Gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in
adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa
in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne
come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere
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motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia,
poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato,
getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra.
Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo
lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna,
dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E
Gesù disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più» (Gv 8,1-11).
Il Deuteronomio (22, 22 e ss) e il Levitico (20,10) prevedono la pena di morte
per l’adultera. Ecco il tranello teso a Gesù: se assolve la donna si pone contro la
Legge, a favore di coloro che la trasgrediscono, quindi Gesù sarebbe incriminato
presso il Sinedrio (il tribunale supremo ebraico); se condanna l’adultera, si aliena la
simpatia del popolo, che amava Gesù per la sua bontà nei confronti dei peccatori.
Gesù scrive per terra. Non sappiamo il motivo: forse per far riflettere gli accusatori;
forse in riferimento a Geremia (17,13): “quanti si sono allontanati saranno scritti
nella polvere (e non nel libro della vita), perché si sono allontanati dal Signore, fonte
di acqua viva”. Sollecitato dai presenti, Gesù dà la sua brillante soluzione. Poi arriva
il punto culminante del racconto: Gesù rimprovera la severità degli accusatori più
attenti alle norme della legge che al bene della persona, dimenticando le esigenze
primarie della Legge stessa, la quale esige innanzitutto che si faccia ordine nella
propria coscienza. Stimolati a guardare dentro di sé, gli accusatori se ne vanno
“cominciando dai più vecchi”.
Gesù nella sua bontà perdona la donna, ma le dà anche un comando preciso: “D’ora
in poi non peccare più”. Il perdono è un miracolo dell’amore del Signore, ma esige
da noi la risposta della gratitudine e quindi di un nuovo deciso impegno di fedeltà a
Lui.
Gesù ci mostra la vera misericordia verso coloro che “sbagliano”: né lassismo,
né rigorismo, ma un sapiente equilibrio tra carità e verità. La carità non ci chiede di
astenerci dal giudicare gli atti esterni, oggettivi: tradire il coniuge è un peccato grave
e sarebbe sbagliato rifiutarsi di valutarlo per quello che è. Il giudizio sulle singole
persone è riservato a Dio: solo Lui è senza peccato, solo Lui vede bene nell’intimo di
ciascuno. Non tocca a noi giudicare e condannare, abbandonandoci alle critiche
malevole che ci trasformano in tribunali dove c’improvvisiamo procuratori, giudici e
giurati, facendo delle nostre parole un mucchio di pietre, di solito scagliate contro
chi non è presente. La verità, però, ci obbliga a non far finire il racconto con Gesù
che dice alla donna: “Nessuno ti condanna, va a casa e non ci pensare più”. Farebbe
comodo un Gesù tollerante ad oltranza, per darci quasi un lasciapassare ad ogni
trasgressione, senza chiedere l’impegno di un cambiamento, a volte anche radicale.
Il Vangelo dobbiamo leggerlo tutto, anche in quelle pagine che vorremmo stracciare.
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Il vero Gesù non è solo quello del: “Neppure io ti condanno”; ma anche quello del:
“Va’ e d’ora in poi non peccare più”. Dio è delicato e corregge senza schiacciare. Ma
corregge. Se una verità senza carità è spietatezza, una carità senza verità è
falsificazione dell’amore. Non sappiamo cosa fece quell’adultera dopo l’incontro con
Gesù, ma è lecito immaginare che da quella risurrezione interiore si sia sprigionata
una vita nuova.
Meditiamo!
Televisioni e giornali, che quotidianamente ci sommergono con tragici fatti di
cronaca - ammazzamenti, vittime della droga o di comportamenti irresponsabili e
sconsiderati -, si guardano bene dal ricercare l’origine profonda di questi episodi. I
commenti si limitano a lamentele generiche e alla sorpresa che gli autori dei misfatti
fossero persone normali, anzi, per bene, “solari”, che rispondevano al saluto… Per
quanto poi riguarda la tragica fine dei protagonisti e soprattutto delle vittime,
l’unica considerazione è un grido di protesta: “Non si può morire così”. E l’unico
rimedio è quello di portare fiori, bigliettini, foto sul luogo della tragedia; far volare i
palloncini durante i funerali, e accompagnare la bara con un sonoro applauso. Guai a
dire che se c’è un cartello che proibisce i fuoripista, che vieta di fare il bagno in
quella zona, che indica il limite di velocità, che proibisce di consumare alcool e
droghe, bisogna rispettarlo. Guai a dire che non si può spiegare tutto con il raptus, e
che a sedici, diciotto anni non si è più bambini.
Di fronte ai tragici fatti che quotidianamente i media ci mettono sotto gli
occhi, quali sono i nostri commenti in famiglia e con gli amici? Ci limitiamo
alle espressioni di lamento e condanna, oppure proviamo a leggerli con lo
sguardo più approfondito della fede?
Quali sono le nostre riflessione su questi fatti negativi che Dio non vuole
ma permette? Mettono in crisi la nostra fede oppure riusciamo a credere,
nonostante tutto, che Dio “fa tutto concorrere al bene di coloro che lo
amano” (Rm 8,28)?
Quale consapevolezza abbiamo del peccato?
Esercitiamo la correzione fraterna per aiutarci a non cedere al peccato?
Come dosare carità e verità riguardo ai divorziati risposati, in particolare
per la comunione eucaristica?
Come deve comportarsi la comunità cristiana con gli omosessuali?
Preghiamo
Signore Gesù, che ci hai fatto conoscere
la misericordia infinita di Dio Padre,
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donaci sempre la decisione e la forza
di saperla accogliere e donare.
Aiutaci a essere decisi contro il male,
ma benevoli e comprensivi
verso coloro che lo compiono,
o che ne rimangono vittime.
E se capitasse anche a noi di cedere
alle insidie e all’inganno del maligno,
donaci subito la forza di tornare da te
per ricevere l’abbraccio del Padre.
Maria, madre della misericordia,
intercedi per noi!
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2. LA MISERICORDIA DI GESÙ
VERSO LA SOFFERENZA UMANA
Chiunque legga i vangeli non può non rimanere ammirato per il comportamento di
Gesù. Egli si commuove per tutte le sofferenze che incontra, e interviene anche se
non richiesto, persino contestando il riposo del sabato, quando c’è di mezzo il bene
delle persone.
Gesù vede la sofferenza e interviene
Gesù sta entrando nella città di Nain. “Quando fu vicino alla porta della città, ecco,
veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e
molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande
compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i
portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise
seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre” (Lc 7,11-17).
La povera vedova non chiede niente. Probabilmente nemmeno sapeva chi era Gesù.
A chiamarlo è la sua sofferenza. Drammatico lo strazio della vedova: un dolore nel
dolore: una vedova piange l’unico figlio. C’è una vedova e questo già basta per dire
una realtà desolata: le vedove perdevano ogni diritto all’eredità; se non erano
accolte dalla famiglia d’origine, diventavano – insieme agli orfani – l’emblema
dell’indigenza. Alla vedova di questo brano muore l’unico figlio che aveva. È la
solitudine più cupa che diventa disperazione. Gesù la vede. Nessuno Gli chiede il
miracolo, ma Lui “patisce con” la donna che piange. E interviene.
Meditiamo! Quante sofferenze incontriamo? Le vediamo, oppure passiamo
oltre? Lasciamo andare, perché chi ne porta il peso, o per pudore, o per non
disturbare, o perché spera nella misericordia degli altri, non chiede? Per essere
misericordiosi come il Padre, e per avere la sua misericordia, dobbiamo seguire
Gesù: dobbiamo vedere e intervenire, anche senza farci chiamare.
La persona prima di tutto
Gesù, di sabato, quando i farisei impedivano severamente qualsiasi lavoro,
sembra vada in cerca di miracoli da compiere, anche se non gli vengono richiesti. Di
questi miracoli “spontanei”, Luca ne racconta due: la “donna che uno spirito teneva
inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta” (Lc
13,10-16), e il malato di idropisia (Lc 14,1-6). Fermiamoci a riflettere su
quest’ultimo, perché ha le caratteristiche di una vera e propria sfida.
Gesù “un sabato si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi
stavano a osservarlo. Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa.
Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: «È lecito o no guarire di
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sabato?». Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò. Poi disse
loro: «Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in
giorno di sabato?». E non potevano rispondere nulla a queste parole” (Lc 14,1-6).
Il malato sembra essere stato portato lì appositamente. Infatti, una volta
guarito Gesù lo congeda. Evidentemente non stava lì per mangiare. Gesù poteva
rifiutare la sfida. Bastava dirgli: “Ripassa domani!”. Avrebbe fatto ugualmente del
bene, senza inimicarsi le autorità religiose. Il Maestro, invece, coglie l’occasione per
purificare l’interpretazione della Legge di Dio con un messaggio chiaro e una
dimostrazione concreta: “E’ lecito in giorno di sabato fare del bene” (Mt 12,12b). La
legge divina – come dovrebbe essere ogni legge scritta dall’uomo – è rettamente
interpretata e applicata quando è legge “umana”, cioè per il bene della persona, per
la sua salvezza.
Meditiamo!
Il sabato degli ebrei è la nostra domenica, e nessuno si è mai sognato di dire
che la domenica è proibito fare il bene, Anzi! E’ proprio il giorno per compiere il
bene, è il giorno della misericordia e della carità. Non per niente la Chiesa
raccomanda che nel giorno del Signore si dedichi particolare attenzione ai malati e
alle persone sole.
Attenzione, però, a una falsa convinzione molto presente anche tra i cristiani, che
sembrerebbe trovare appoggio nel comportamento di Gesù, cioè: “Io a Messa non ci
vado, perché non trovo il tempo, però porto il pranzo alla vecchietta sola che abita
nel mio palazzo. Non è meglio della Messa?”.
Il paragone non si può fare, perché la Messa è un’altra cosa rispetto a qualsiasi
buona azione, anche la più clamorosa. Essa è il nutrimento per avere la forza di
cercare di vivere come Gesù, per fare del bene non soltanto per chi ci vuole bene,
ma per tutti, anche per chi ci vuole male. E’ l’unico rifornimento per essere
misericordiosi verso tutte le sofferenze.
Per noi cristiani la domenica è il primo giorno della settimana, che aiuta a riprendere
fiato dalla fatica di vivere. La domenica serve per non smarrire il senso di quello che
si fa durante la settimana, mettendo al centro, con maggiore intensità, la relazione
con il Signore nella Messa parrocchiale, e la relazione con i familiari nei momenti e
negli altri avvenimenti della giornata.
Come viviamo la nostra domenica? E’ diventata anche per noi il giorno del
pallone, della camminata, dei lavori rimasti in dietro durante la settimana?
Troviamo sempre il tempo per la Santa Messa?
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E’ per noi il giorno da dedicare al coniuge, ai figli, ai genitori anziani, agli amici,
soprattutto a quelli malati?
Riusciamo, almeno ogni tanto, a fare una visita al cimitero?
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3. LA MISERICORDIA NELLO SGUARDO DI GESÙ
Gesù non è misericordioso soltanto quando perdona i peccati e opera
guarigioni. Lo è sempre con il suo comportamento accogliente verso ogni persona
che lo accosta con sincerità. E’ duro con i farisei, ma anche questa durezza è un
tentativo di liberarli dalla falsità e dall’orgoglio che li chiude alla misericordia di Dio.
Particolarmente toccante è lo sguardo di Gesù che penetra nella profondità del
cuore delle persone, aprendole alla conoscenza di se stesse, come nel caso di coloro
che volevano lapidare l’adultera, e nelle due vicende straordinarie di Zaccheo (Lc
19,1-10) e Pietro (Lc 22,54-62).
Zaccheo
Gesù “entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand'ecco un
uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù,
ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse
avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito,
perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia.
Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zaccheo,
alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e,
se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per
questa casa è venuta la salvezza, perché anch'egli è figlio di Abramo. Il Figlio
dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,1-10).
Il primo passo verso la salvezza non è compiuto dallo sforzo umano che sale
verso il cielo, ma è Dio che con la sua iniziativa ci attira a sé. Chi cerca il Signore lo fa
perché si rende sensibile al richiamo, spesso discreto e silenzioso, di un Dio che ci
precede, arrivando a servirsi di tutto per incontrarci. Come fa Gesù con Zaccheo.
L’esattore, abituato a sentire su di sé il disprezzo della gente, trova nello sguardo di
Gesù, in quel “profeta” che predica contro la ricchezza, la gioia di sentirsi
privilegiato. Egli, invece di rimproverarlo pubblicamente, alza lo sguardo verso di lui,
ricco, e gli offre un gesto di comunione: mangiare insieme. La forza della
misericordia ottiene ciò che il rimprovero e la condanna non avrebbero mai
ottenuto.
Il mangiare di Gesù con i peccatori non è approvazione del peccato, ma amore per il
peccatore. È la percezione di questo amore gratuito che ci converte, che ci fa
innamorare di Dio e ci spinge a lasciarci purificare dalla grazia. Chi evangelizza deve
sempre comunicare questo messaggio: “Non approvo quello che fai, ma ti voglio
bene, e per questo ti indico la via della liberazione dal male”. Zaccheo ha capito e
cambia. Concretamente! Questa è vera conversione.
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Pietro
“Dopo aver catturato Gesù, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del
sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Avevano acceso un fuoco in mezzo
al cortile e si erano seduti attorno; anche Pietro sedette in mezzo a loro. Una giovane
serva lo vide seduto vicino al fuoco e, guardandolo attentamente, disse: «Anche
questi era con lui». Ma egli negò dicendo: «O donna, non lo conosco!». Poco dopo un
altro lo vide e disse: «Anche tu sei uno di loro!». Ma Pietro rispose: «O uomo, non lo
sono!». Passata circa un'ora, un altro insisteva: «In verità, anche questi era con lui;
infatti è Galileo». Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in
quell'istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore si voltò e fissò
lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto:
«Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse
amaramente” (Lc 22,54-62).
La paura ha fatto perdere a Pietro il controllo di sé, tanto che impreca e
spergiura di non essere uno dei discepoli. Lo sguardo del Maestro fa sì che il capo
degli Apostoli apra gli occhi sul suo peccato e si converta.
Lo stesso sguardo è presente su di noi in ogni istante. Non per spiarci, però. Il
suo è lo sguardo del genitore che veglia sul suo bambino; dell’amico che ci assicura
la sua attenzione.
Se fossimo sempre coscienti di questo sguardo d’amore dentro tutte le nostre
occupazioni quotidiane, pregheremmo continuamente, poiché l’essenza di ogni
preghiera non è dire delle formule, ma è la consapevolezza di essere alla presenza di
Dio. Questa consapevolezza aiuta a vivere il timore di Dio. Questo dono dello Spirito
Santo, non è paura, ma trepidazione di fronte a qualcosa di grande, di bello, di
gratuito che ci supera, ci sorprende, ci meraviglia. E’ amore pieno di delicatezza
verso Signore che ci invita a ringraziare.
Evitare il peccato per paura dell’inferno è “timore servile”. Il desiderio di
fuggire il male per ricambiare l’amore di Dio, è “timore filiale”. La vera maturazione
spirituale, la vera conversione, è quando evitiamo il male per manifestare al Padre la
nostra gratitudine di figli.
Papa Francesco indica un mezzo straordinario, semplice e alla portata di tutti,
per alimentare il timore di Dio nell’enciclica Laudato si’, dove, indicando l’esempio di
san Francesco, scrive: “Così come succede quando ci innamoriamo di una persona,
ogni volta che Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua
reazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature… La sua
reazione era molto più che un apprezzamento intellettuale o un calcolo economico,
perché per lui qualsiasi creatura era una sorella, unita a lui con vincoli di affetto. Per
questo si sentiva chiamato a prendersi cura di tutto ciò che esiste… Questa
13
convinzione non può essere disprezzata come un romanticismo irrazionale, perché
influisce sulle scelte che determinano il nostro comportamento. Se noi ci accostiamo
alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se
non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione
con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore
o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi
interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che
esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea” (11).
Gesù, misericordia infinita
Gesù non compie atti di misericordia. E’ il “misericordioso” (Eb 2,17). Sempre.
In maniera divina nel momento conclusivo della sua esistenza terrena.
Perdona i suoi crocifissori
“Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori,
uno a destra e l'altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno
quello che fanno» (Lc 23,34-35).
Siamo così abituati a questa frase, che rischiamo di non rimanerne più
meravigliati e commossi. Un condannato ingiustamente a morte che perdona i suoi
crocifissori… Nemmeno i martiri dell’Antico Testamento perdonano i loro carnefici. Il
secondo libro dei Maccabei racconta il martirio straziante di una donna e dei suoi
sette figli ad opera del re Antioco IV Epifane. Questi giovani, incoraggiati dalla
madre, affrontano forti e sicuri fino all’ultimo le atroci sofferenze. Però poco prima
di morire rivolgono al re parole di scherno e di condanna (cfr. 2 Mac
7,9.14.17.19.34). Nel martirio di Gesù manca qualsiasi atteggiamento di sfida e di
disprezzo verso i suoi crocifissori. Sulle labbra del Figlio di Dio solo preghiera e
perdono. La sua morte riassume l’intera vita.
Lo capisce anche il centurione, un pagano, che vedendo il modo in cui muore
Gesù glorifica Dio ed esclama: “Veramente quest’uomo era giusto” (Lc 23,47). Tutti
gli insegnamenti e i miracoli sarebbero risultati inutili, se il Figlio di Dio non avesse
portato fino all’ultimo respiro la sua missione di perdono, il suo essere “ponte” tra il
Padre e l’umanità.
Porta con sé il malfattore in paradiso
“Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva
te stesso e noi!». L'altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di
Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo
quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di
male». E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose:
«In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,39-43).
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Nel delinquente messo in croce vicino al Cristo, c’è tutto il percorso
d’inversione a “U” che è il passaggio dalla morte interiore alla vita nuova. Riconosce
che a Gesù appartiene il Regno di Dio, ha capito la vera identità di quel compagno di
supplizio che muore perdonando. A dire il vero anche l’altro crocifisso capisce chi è
Gesù: “Non sei tu il Cristo?”. Ma la sua preoccupazione è solo quella di salvarsi la
pelle, sottoponendo il Messia a un’ultima tentazione : “Salva te stesso e noi!”. Il
“buon ladrone”, invece, ha compreso la salvezza vera e brucia le tappe del
discepolato: difende Gesù, riconosce la sua colpa, si affida a Cristo invocandolo
come Salvatore. Questo percorso accelerato, ma denso di una sincerità non
scontata, gli ottiene il posto numero uno per il paradiso.
Gesù non ha più forze, sta soffocando, ma fino all’ultimo fa quello che sempre ha
fatto, uscire da sé per farsi medico, strappando dall’inferno in extremis uno dei due
ladri.
Meditiamo!
Perdonare è difficile. Spesso il perdono è una prova seria per la nostra fede,
Viviamo in una società estremamente aggressiva, dove spesso basta un litigio per
contrasti di poco conto: un parcheggio conteso, un coinquilino fastidioso, una
piccola eredità da spartire, un genitore anziano da assistere, una presa in giro…,
suscitano reazioni pazzesche e tragiche. Noi cristiani siamo sempre chiamati a
smorzare e attutire la rissosità, le inimicizie, le gelosie e le invidie in tutti gli ambienti
dove viviamo o operiamo.
Allo stesso modo, la nostra attività pastorale dovrebbe fornire anche ai
peggiori, soprattutto a loro, le occasioni per entrare in comunione con l’Unico che fa
risorgere. Dio si serve di qualsiasi evento, anche dell’agonia su due pali di legno,
affinché persino il più lontano possa rientrare in sé e ritrovarsi.
E’ ciò che papa Francesco intende quando, dal primo giorno del suo
pontificato, invita la Chiesa a uscire verso le periferie non solo fisiche ma esistenziali,
e che ha motivato con l’enciclica Evangelii Gaudium: “Sogno una scelta missionaria
capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il
linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per
l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma
delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo
senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale
ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti
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pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di
tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia” (27).
Siamo abituati a chiedere perdono e a concederlo anche se costa fatica?
Sappiamo mantenere rapporti di cortesia e accoglienza anche con le
persone che hanno sbagliato.
Siamo impegnati realmente e creativamente a cercare occasione di
incontro con i lontani e con gli ultimi?
La cronaca ci propone ogni tanto atti clamorosi di perdono da parte di
persone gravemente offese e danneggiate, addirittura private della vita dei
loro cari. Questi atti nobili e coraggiosi ci stimolano a perdonare offese
molto meno gravi, che spesso hanno danneggiato soltanto il nostro
orgoglio?
Siamo capaci di pregare per i nemici, obbedendo alla parola di Gesù:
“Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico.
Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano,
affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole
sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,43-48).
Cerchiamo di essere persone benevole, accoglienti, serene, positive, capaci
di infondere serenità e fiducia intorno a noi, senza mai far pesare sugli altri
i nostri crucci e i nostri problemi?
Preghiamo
Signore Gesù, che hai vissuto tra noi
compassionevole e misericordioso
verso ogni sofferenza e malattia
del corpo e dello spirito,
aiutaci a vivere con il cuore aperto
verso chiunque abbia bisogno
di comprensione, di conforto, di sostegno.
Signore Gesù, sempre disponibile e pronto
a soccorrere coloro che incontravi
anche quando non potevano
o non sapevano chiedere,
rendici attenti, sentibili e disponibili
verso i fratelli e le sorelle
con i quali viviamo o incontriamo.
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Signore Gesù, che nel colmo del tuo dolore
hai pensato al bene degli altri,
invocando il perdono per i tuoi crocifissori,
e aprendo il cielo al ladrone pentito,
aiutaci a tenere sempre il cuore libero
da ogni risentimento e rancore,
pronti alla misericordia e al perdono.
Maria, madre della misericordia,
intercedi per noi!
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4. GESÙ INSEGNA LA MISERICORDIA CON LE PARABOLE
Per far comprendere la misericordia di Dio alle folle, ma soprattutto ai suoi
avversari che lo accusano di fare combutta con i peccatori, Gesù racconta tre
parabole: il pastore che cerca la pecora smarrita, la donna che ritrova la moneta, il
padre misericordioso.
Il pastore buono
“Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde
una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non
la trova? Quando l'ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa,
chiama gli amici e i vicini, e dice loro: «Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia
pecora, quella che si era perduta». Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo
peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno
di conversione” (Lc 15,3-7).
La donna e la moneta ritrovata
“Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e
spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata,
chiama le amiche e le vicine, e dice: «Rallegratevi con me, perché ho trovato la
moneta che avevo perduto». Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per
un solo peccatore che si converte» (Lc 15,8-10).
Il padre misericordioso
“Un uomo aveva due figli. l più giovane dei due disse al padre: «Padre, dammi
la parte di patrimonio che mi spetta». Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi
giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano
e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto,
sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel
bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che
lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di
cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse:
«Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame!
Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a
te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi
salariati». Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro,
gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e
davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». Ma il padre disse ai
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servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli
l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo,
mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita,
era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la
musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo.
Quello gli rispose: «Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello
grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo». Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo
padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: «Ecco, io ti servo da
tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un
capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il
quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello
grasso».Gli rispose il padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo;
ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è
tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,11-32).
Con le tre parabole Gesù dichiara che il suo comportamento è lo stesso del
Padre celeste (simboleggiato dal pastore, dalla donna e dal padre) il quale “non
vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (Ez. 18,23 e 33,11).
In quella del padre misericordioso, notissima, considerata la perla del Vangelo, impropriamente chiamata del figlio prodigo, perché il personaggio principale è il
padre misericordioso - Gesù vuole comunicare la misericordia di Dio e la sua gioia
per la conversione dei peccatori.
Il figlio minore rifiuta di essere figlio, di ricevere tutto l’amore del padre,
pretendendo di essere padrone di se stesso, come Adamo nell’Eden. Il figlio giovane
compie questo peccato, lasciando la casa paterna, e cercando la bella vita libero
dalle indicazioni del padre. Il risultato del suo peccato è che perde un padre e trova
un padrone che gli fa pascolare i porci, il colmo della degradazione per un ebreo,
perché la Legge proibiva di allevare i maiali, considerati animali immondi (Lv 11,7).
La sua conversione non nasce dal dolore per aver lasciato il padre. E’ “per la
fame” che si rende consapevole di ciò che aveva nella casa del padre e che
scioccamente aveva abbandonato. E’ la fame che lo fa ritornare. Luca vuol far
risaltare che l’amore del Padre è gratuito e totale, prima e sopra ogni movimento da
parte dell’uomo. Per il padre della parabola il prodigo è “suo figlio”: al solo vederlo
arrivare ha compassione, fremono le sue viscere (termine tecnico per descrivere la
tenerezza materna dell’amore di Dio per noi); supera le convenzioni sociali - mai un
notabile si sarebbe messo a correre, perché avrebbe perso sua dignità -; gli si getta
al collo e lo bacia teneramente; non gli fa completare la formuletta che aveva
preparato (l’atto di dolore!), e subito lo riabilita come figlio: i sandali sono il segno
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della libertà riacquistata (gli schiavi andavano scalzi), il vitello ingrassato è il cibo che
il giovane aveva rifiutato e poi rimpianto. Niente rimproveri. Soltanto festa.
Ma la parabola – attenzione! – non finisce qui. il figlio maggiore rifiuta questa
soluzione. Egli si considera giusto come i farisei che vantavano titoli e meriti davanti
a Dio. In effetti aveva dato, ma con le mani non con il cuore, non da figlio, ma da
servo (“ti servo da tanti anni….”). Nonostante ciò, il padre manifesta il suo amore
anche verso di lui: va a invitarlo di persona, lo chiama figlio, fa appello al suo
sentimento, gli ricorda la comunione di vita e di beni e lo invita a rallegrarsi con lui
per il ritorno del fratello.
La finale è aperta: il figlio maggiore entra o rimane fuori? La parabola
suggerisce che anche per lui, se vuole, c’è misericordia.
Meditiamo!
Oltre allo straordinario messaggio sulla misericordia di Dio, la parabola
sembra descrivere la nostra società, vista dall’angolo di visuale dei comportamenti,
soprattutto di quelli dei nostri giovani. La scelta del “figlio più giovane”, il suo
“sabato sera”, si può riassumere, infatti, con gli slogan che vanno per la maggiore,
predicati da tutti i media: “fa’ quel che vuoi”, “se si può fare, perché non farlo”;
“fanno tutti così”; “fa’ solo ciò che desideri”; “contano solo le emozioni”;
“l’importante è divertirsi”.
Ogni totalitarismo - anche quello attuale del relativismo, che non si impone
con la forza, ma con la persuasione occulta di cantanti, divi, campioni sportivi,
showman e showgirl che propongono ideali facili da raggiungere, anzi belli e pronti
da consumare - ha bisogno di gente, soprattutto giovane, che, come “il figlio
giovane”, sfoghi senza autocontrollo le sue pulsioni, vivendo più “con la pancia” che
“con la testa”, perché questo fa di un popolo una massa fragile, quindi più
facilmente manipolabile.
Qual è il nostro atteggiamento verso chi si comporta come il figlio più
giovane? Indifferenza? Critica? Tentativi di accoglienza? Ostilità? …?
Vivo realmente in me la fiducia nella misericordia di Dio? Ha conseguenze
nella mia vita pratica? La so trasmettere?
Credo nell’amore di Dio per me? Accetto il suo perdono, oppure rimango
nei miei sensi di colpa?
Avverto in me sentimenti di invidia come quelli del fratello maggiore nei
confronti di coloro che non sono “bravi cristiani” come me? Li so vincere?
Qual è il nostro impegno educativo affinché i nostri ragazzi e i nostri
giovani non si allontanino dalla “casa del Padre”, e, eventualmente, per
aiutarli a ritornare?
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Sono sicuro di non nutrire i sentimenti del figlio maggiore nei confronti di
coloro che non sono bravi cristiani come me?
Preghiamo
Signore Gesù, se ci dovesse capitare
di allontanarci dalla strada della tua parola,
ricordaci che tu ci stai già cercando
per ricondurci nella tua amicizia.
Signore Gesù, se ci dovessimo perdere
dietro a false e ingannevoli gioie,
ricordaci che tu ci vuoi ritrovare,
perché ci consideri preziosi nonostante tutto.
Signore Gesù, se lasciassimo la casa del Padre
in cerca di autonomia e di libertà,
facci comprendere che là fuori
non troveremo padri ma padroni.
Signore Gesù, se ci trovassimo affamati e umiliati
donaci la forza di rientrare i noi stessi
e di riprendere la strada verso il Padre
certi che ci aspetta, pronto ad abbracciarci.
Maria, madre della misericordia,
intercedi per noi!
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5. LA MISERICORDIA SULLE STRADA DELLA VITA
Come vivere in concreto la misericordia di Dio nella nostra vita quotidiana,
Gesù ce lo insegna con il protagonista di un’altra straordinaria parabola: il buon
samaritano, un personaggio con il quale Gesù risponde (“Va' e anche tu fa' così”) a
un saccente dottore della Legge che vuole intavolare con lui un astratta discussione
sull’amore verso il prossimo.
“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti,
che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo
mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e,
quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre.
Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe
compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò
sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente,
tirò fuori due denari e li diede all'albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui; ciò che
spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno». Chi di questi tre ti sembra sia stato
prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha
avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' così» (Lc 10,25-38).
Prima di tutto è necessario vedere, cioè vivere con gli occhi aperti sulla realtà,
non ripiegati verso se stesso. Però, non basta vedere, come il sacerdote e il levita. Il
Samaritano è buono perché vede, ha compassione, si fa vicino, aiuta
concretamente, si preoccupa che il problema del poveretto sia risolto. E’ questo
percorso che lo rende veramente buono.
Sono di grande importanza la cultura, la conoscenza delle questioni sociali,
l’organizzare aiuti adeguati, ma ciò che dà sostanza e qualità a queste tre attitudini è
la “compassione”, parola chiave due volte citata nella parabola. In quello sguardo
del Samaritano, che precede il darsi da fare, in quel soffrire interiormente insieme a
chi ha subito violenza, c’è il giusto sentire che dovrebbe anticipare e sostenere ogni
organizzazione caritativa. Il Samaritano fascia le ferite, versa olio e vino, trasporta
fino all’albergo, spende denaro, coinvolge l’albergatore. Sono tutte scelte che
dicono come i sentimenti di Cristo debbano essere incanalati dentro un’azione
puntuale e competente, sia di ogni singolo cristiano, sia delle comunità. Senza
sapere chi fosse il malcapitato, egli lo soccorre perché è nel bisogno, senza curarsi se
sia uno dei suoi, o un nemico, (un nero, o un bianco, o un extracomunitario!); se
aveva ragione o torto. Lo soccorre e basta. E’ suo fratello.
22
Meditiamo!
Quello del samaritano è lo stesso percorso che il Signore vuole vedere nelle nostre
comunità, affinché ci siano parrocchie capaci di mettersi “in rete” tra loro,
coinvolgendo le associazioni di volontariato, sotto la supervisione della Caritas
diocesana, includendo, dov’è possibile, anche una collaborazione con l’Assessorato
ai Servizi Sociali.
La sollecitudine intelligente che non fa dei poveri una bandiera ideologica, ma una
scelta quotidiana e discreta, è il tratto distintivo della Chiesa di Cristo, primo vero
“buon Samaritano” dell’umanità.
Come singoli e come comunità parrocchiali sentiamo l’impegno di farci
carico delle preoccupazioni dei più deboli e dei più bisognosi?
Ci interessiamo per cercare e creare possibili iniziative a favore di chi ha
perso il lavoro, di coloro che non riescono a trovarlo?
Riteniamo possibile e utile aprire un gruppo Caritas in tutte le parrocchie,
almeno in quelli più grandi?
Quali sono i nostri sentimenti, personali e comunitari, nei confronti degli
immigrati?
Siamo capaci, o almeno proviamo, a portare la misericordia dentro i luoghi
di vita: il lavoro, le professioni, gli amici?
Preghiamo
Signore Gesù, aiutaci a vivere con gli occhi aperti
per accorgerci di chiunque sulla strada della vita
incontriamo bisognoso di misericordia
perché ferito, umiliato, sfruttato, scoraggiato.
Aiutaci a non passare mai oltre di fronte a chi soffre,
ma ad avere compassione e a farci vicini
intervenendo come possiamo con quello che abbiamo,
per curare e fasciare le sue ferite.
Aiutaci a prenderci cura di questi fratelli feriti,
preoccupandoci di risolvere i loro problemi,
23
e facendo tutto il possibile affinché la società
diventi attenta ai più deboli e bisognosi.
Maria, madre della misericordia,
intercedi per noi!
24
6. LA MISERICORDIA DEI CRISTIANI
Decenni di benessere ci hanno fatto credere che non ci fosse più bisogno di
misericordia perché “noi” stavamo tutti bene. Poi, grazie ai media, la società e il
mondo si sono spalancati davanti ai nostri occhi e abbiamo visto quanta fame e sete,
non soltanto di pane e di acqua, c’è nel mondo e perfino intorno a noi. Allora
dobbiamo far tornare di grande attualità le opere di misericordia, andate un po’ in
disuso, che la tradizione cristiana aveva elaborato per facilitare la pratica quotidiana
e concreta della misericordia. Le opere da compiere, divise in materiali e spirituali,
non sono altro che la misericordia in opera. Senza di esse la fede è morta. A che
serve credere in Dio se amiamo solo noi stessi passando a largo del fratello
bisognoso? Dobbiamo tenere sempre avanti agli occhi e al cuore ciò che ci fa
immaginare Gesù con il brano di Matteo 25, 31-46.
“Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui,
siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli
separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le
pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla
sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato
per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da
mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto,
nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a
trovarmi». Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto
affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere?
Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo
vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a
visitarti?». E il re risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a
uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». Poi dirà anche a quelli
che saranno alla sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno,
preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete
dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi
avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete
visitato». Anch'essi allora risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto
affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo
servito?». Allora egli risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete
fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me». E se ne andranno:
questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
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Opere di misericordia corporali
Fame e sete
Dar da mangiare agli affamati. Dar da bere agli assetati
Il Signore Gesù, che ci fa pregare il Signore: “Dacci oggi il nostro pane
quotidiano” (Mt 6,11), ha promesso che ci ricompenserà per “un bicchiere d’acqua
fresca” dato a un assetato, perché è come se l’avessimo dato a lui (Mt 10,42).
“Del Signore è la terra e quanto contiene: il mondo, con i suoi abitanti”,
afferma la Bibbia (Sal 24,1). Dobbiamo ringraziare Dio Padre per quello che ci
concede, ma davanti a tanta generosità come si può avere un cuore duro,
indifferente pensando che con la stessa misura usata verso gli altri con la stessa
misura saremo misurati nel giorno del giudizio? Attenti, dice un detto popolare
argentino: “ Chi vende un amico credendo far negozio, avrà pane per un giorno, poi
lo divorerà il pidocchio”.
C’è chi dice che se c’è la fame è perché siamo troppi. Ma c’è chi afferma che
non è il cibo che manca, ma è l’ingiustizia che regna. Dovremmo aver il coraggio di
dire: è la mia ingiustizia! Perché quando la mia misericordia non si fa condivisione e
quando non prendo coscienza che quello che abbonda nella mia casa è proprietà del
povero, e che se non condivido sono un ladrone, continueremo a puntare l’indice
uno contro l’altro e tutto resterà come prima. Quante volte quello che chiamiamo
risparmio non è altro che avarizia?
Tutto è nostro, ma niente è del tutto nostro. Scrive papa Francesco: “Il
principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei
beni e, perciò, il diritto universale al loro uso, è una “regola d’oro” del comportamento sociale, e il « primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale ». La
tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla
proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di
proprietà privata” (Laudato sii, 93).
Vestito e casa
Vestire gli ignudi. Alloggiare i pellegrini
Il nostro corpo ha bisogno di essere protetto. E’ una necessità e quindi un
diritto avere di che vestirsi e un tetto dove alloggiare. “Casa povera, ma casa mia, la
più bella che ci sia”, insegnavano i nonni. Come si ritorna volentieri a casa dopo una
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lunga assenza. Si crea con essa un rapporto così profondo che, lontani, ci sentiamo
orfani.
Il cavaliere chiamato Martino è diventato San Martino, un esempio per tutto il
mondo, per aver diviso il suo bel mantello con un povero che tremava dal freddo. La
notte gli apparve in sogno Gesù, portando sulle spalle la metà del suo mantello.
E’ misericordia donare indumenti e calzature in ottimo stato perfino acquistati
con nostro sacrificio, evitando di esibire vestiti firmati. Tutto questo sarà possibile se
guardiamo lui che viene a noi attraverso le ferite dei nostri fratelli.
Non può non farci riflettere lo spettacolo di gente costretta a vestire di stracci,
e di altra gente che compera a caro prezzo vestiti stracciati
La solitudine del malato e del carcerato
Visitare gli infermi. Visitare i carcerati
Gesù, nell’orto degli ulivi, si lamentò con i suoi amici che non furono capaci di
vegliare con lui neanche un’ora (Mt 26,40). Non è tanto facile consolare chi sta solo.
Molte volte il modo con cui si consola conta più di ciò che si dice o si dà. Ricordo una
malata che preferiva ricevere la visita di un gruppettino di donne che le cantavano,
al contrario di altre che con il loro chiacchiericcio l’appesantivano soltanto.
C’è chi ha scritto che l’allegria è il più attivo dei succhi gastrici. E’ un dono di
Dio portare allegria sana con modi discreti e sinceri a chi sta solo. Anche “Dio ama
chi dona con gioia” (2 Cor 9.7). E’ vero che dobbiamo portare speranza, ma prima
occorre tanta serenità nel cuore. Quando non riusciamo, come spesso purtroppo
succede, ad evitare il dolore ai sofferenti, allora non ci resta altro che condividerlo.
Il malato per la sua condizione è particolarmente sensibile all’affetto, al colloquio, al
rapporto personale. Dovunque ci sono malati, lì il Signore dà l’appuntamento a noi
cristiani. Non sempre possiamo dare sostegno sanitario come il buon Samaritano,
ma sempre il calore umano.
Pietà per i morti
Seppellire i morti
“Si muore una sola volta ed io devo procurar di morire bene, così spero di
fare con l’aiuto del Signore. Non mi resta che la speranza della sua misericordia il
giorno che mi congederò dal mio corpo. Vorrei dare l’ultimo sorriso all’ultimo
respiro”. Furono le parole d’addio di san Camillo de Lellis.
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Oggi si sta tentando di nascondere la morte, di illudersi che non c’è.
Cerchiamo di non farla vedere ai bambini, e, se possibile, di non vederla nemmeno
noi, o almeno da allontanarla da casa, lasciandola arrivare nel freddo degli ospedali
e dei ricoveri. Noi ci riserviamo per un bel funerale, magari con l’applauso, i
palloncini colorati e le poesiole strappalacrime. Ma prima di un bel funerale è
necessaria la misericordia con i morenti, aiutando i fratelli e le sorelle a compiere
bene il passaggio, senza false parole o atteggiamenti convenzionali. Se abbiamo il
diritto a vivere bene abbiamo il diritto anche a morire bene, presentando il Signore
come Padre e Amico, e la morte come il misterioso nodo che unisce il tempo con
l’eternità, la vita terrena con l’eterna. Al fondo del tunnel nero della nostra vita ci
sono le braccia di un Padre che ci aspetta, perché sul Calvario non è morto Gesù ma
è morta la morte. Nati nel battesimo non si muore più. Se la morte è la fine della
vita, la resurrezione è il fine della vita.
Pietà anche per chi resta, per chi vive la morte come una separazione
dolorosa. Le lacrime delle madri sono tutte uguali. Diceva una di loro: “Sono morta
trent’anni fa, quando uccisero mio figlio”. La vicinanza, il calore, le parole discrete e
profondamente sincere, sono balsamo per chi resta.
Quando ci lasciamo prendere dal fastidio e dalla preoccupazione per i migranti
che vengono a invaderci, pensiamo mai a loro come figli di Dio che muoiono nel
Mediterraneo, nei deserti, dentro i TIR, senza una lacrima, senza una carezza, senza
una preghiera?
Opere di misericordia spirituali
Fermarsi solo alle opere di misericordia corporali significa rischiare di ridurre
la Chiesa a un ente assistenziale, e la carità personale a elemosina. E’ vero ci si fa più
bella figura, è più facile e spontaneo ricevere l’applauso, ma Gesù ci ricorda: “Non di
solo pane vivrà l’uomo” (Lc 4,4).
Compiere queste opere significa essere strumenti dello Spirito Santo
Consolatore e veri figli della Madonna, la Consolatrice degli afflitti, proprio perché
piena di Grazia, cioè di Spirito Santo. Chi dà da mangiare agli altri non ha bisogno di
ricevere il pane, perché ne ha già in abbondanza. Le opere di misericordia spirituali,
invece, valgono per tutti. Chi è capace di consolare è anche desideroso di essere
consolato; siamo chiamati a perdonare le offese, ma siamo anche offensori;
preghiamo per gli altri ma siamo anche bisognosi della preghiera di tutti.
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Consigliare i dubbiosi
Chi non ha incertezze, dubbi, esitazioni? Sì, ci sono persone – e non sono
nemmeno poche! – che, credendo di aver la verità in tasca, sicure del fatto loro,
dimostrano di non avere dubbi, di non avere bisogno di nessuno.
Che regalo prezioso quello di un amico che aiuta a risolvere per il meglio una
situazione di grande incertezza.
Dobbiamo poi anche fare i conti con una cultura secondo la quale il dubbio è il
segno di una mente libera e aperta, così che le certezze sono giudicate come
chiusure al dialogo e intolleranza. Soprattutto le “certezze” cristiane. Guai, però a
mettere in dubbio le loro certezze. Con costoro il dialogo diventa impossibile.
L’unica possibilità è la testimonianza coerente con ciò in cui si crede. D’altra parte,
per tutti il miglior consiglio è quello dato con l’esempio più che con belle parole.
Meglio un aiuto che cento consigli!
“Ma le certezze (i dogmi) cristiane sono un impedimento al dialogo?”.
Tutt’altro! Esse nascono da una luce che la Chiesa lungo i secoli ha ricevuto dallo
Spirito di verità. Per non sciupare la vita abbiamo bisogno di punti fermi, sempre
rispettando la varietà delle opinioni. Saper non imporre, ma offrire certezze
indubitabili all’amico disorientato è vera opera di misericordia. Non si può vivere
sempre con i perché sulle labbra senza una base certa che dia un senso, una
direzione sicura al nostro vivere.
Pensiamo a quanto è grave la situazione dei nostri giovani, spesso lasciati in
balia di se stessi, senza sì e no che li aiutino a non buttarsi via, dietro alle mode e ai
modi, imposti dal “che male c’è?”, e dal “fanno tutti così”.
Insegnare agli ignoranti
Oggi l’uomo è in grado di andare a raccogliere sassi sulla luna, ma tante volte
non sa che cosa è venuto a fare sulla terra e cosa ci sta a fare. Andiamo a cercare
l’acqua sui pianeti e non sappiamo distribuire a folle enormi quella della terra. Puoi
essere un famoso scrittore o un professore universitario, ma possono sfuggirti le
cose che più contano, e rimanere ignorante davanti alle domande fondamentali e
più semplici: da dove sei venuto, dove vai, perché il dolore, perché la morte?
Istruire coloro che ignorano queste verità è la prima misericordia che la Chiesa
esercita. Il linguaggio della verità, però, è duro. L’hanno rinfacciato anche a Gesù:
“Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?” (Gv 6,60), che non è venuto a patti, ma:
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“Volete andarvene anche voi?” (Gv 6,67), chiedendo di scegliere. E’ duro seminare
tra le spine delle preoccupazioni mondane, dei piaceri della ricchezza, tra le pietre
dell’incostanza. Ma la speranza di trovare terra buona e la fede nel Signore
dell’impossibile non devono farci girare indietro. La Parola seminata anche dove
sembrerebbe non poter attecchire a suo tempo darà un frutto inaspettato (Cfr. Mc
4,3-8, la parabola del seminatore).
Ammonire i peccatori
Non si tratta di scagliare pietre contro chi pecca, né di voler togliere la
pagliuzza nell’occhio del fratello quando nel mio c’è una trave (Cfr. Mt 7,3-5), ma di
dare la mano al fratello per aiutarlo a liberarsi dalla peggior disgrazia che ci possa
capitare: peccare. Scrive l’apostolo Giacomo: “Chi riconduce un peccatore dalla sua
via di errore lo salverà dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati” (Gc 5,20).
Sappi correggere con dolcezza e vigila per non cadere anche tu in tentazione. Questa
è opera di misericordia e di grande saggezza.
San Francesco piangeva quando sentiva bestemmiare, perché diceva: “Se Dio
non avesse avuto compassione di me, ora sarei peggiore di quel fratello”.
L’ammonizione deve essere reciproca. Oggi sono io che ti tendo la mano per
sollevarti, domani avrò io bisogno della tua.
Certo la migliore ammonizione è quella di un buon esempio di vita. Siamo un
po’ tutti come i bambini, più disposti a fare quello che i nostri occhi vedono, che
seguire quello che le nostre orecchie ascoltano. Dice Gesù: “Da questo
riconosceranno che voi siete miei discepoli: nell’amore che avrete gli uni per gli altri”
(Gv 13, 35). E dei primi cristiani dicevano: “Guarda come si amano!”. Amandosi
hanno insegnato l’amore, ammonendo coloro che odiavano i propri fratelli. Perché
la verità si fa strada nella misura che si fa strada l’amore.
Consolare gli afflitti
Si dice che siamo fatti per la felicità, eppure essa è come la luna dietro la
montagna che il pastore credeva di poter raggiungere finché non è morto sfinito, o
come i miraggi di acqua nel deserto: trappole di morte per gli assetati. Oggi tutti ci
attirano con prodotti e situazioni che garantiscono successo, benessere e felicità.
Cedere a questa mentalità ci può far cadere nell’illusione che la felicità sia altrove: in
un altro luogo, con altre persone, con un altro lavoro, per poi accorgerci che il tarlo
della tristezza ce l’abbiamo dentro e ce lo portiamo con noi. Dobbiamo contrastare
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questa mentalità, testimoniando una fede gioiosa, perché la fede, se è autentica,
non può che essere così, dal momento che essa nasce dal Vangelo, dalla buona
notizia, e poggia sulla sicurezza che Gesù è accanto ai suoi discepoli: “Vi ho detto
questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate
coraggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16.33). Un cristiano triste è una contro
testimonianza, come un famoso filosofo, Jean Paul Sartre, ha scritto, vedendo i
cristiani uscire dalla Messa con il volto imbronciato. Per questo san Paolo esorta:
“Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a
tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate
presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace
di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo
Gesù” (Fil 4,4-7). Lo stesso apostolo ci rassicura: “Egli ci consola in ogni nostra
tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni
genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio” (2
Cor 1,4).
Se non siamo testimoni di speranza, certi che l’afflizione si cambierà in gioia,
noi cristiani non serviamo a niente.
Perdonare le offese
Senza il perdono delle offese sarà l’orgoglio a dominare la famiglia, la società,
il mondo, aprendo la porta alla violenza e alle guerre, piccole e grandi. E chi parte
per la guerra ha già perso. L’ “occhio per occhio e dente per dente” (Es 21,24) non ha
funzionato mai, ha soltanto moltiplicato i ciechi e gli sdentati, perché la risposta,
scatenando una spirale di violenza che riduce il mondo a una selva di bestie feroci, è
sempre superiore all’offesa.
Nel Padre Nostro, il Signore ci ricorda che il perdono è necessario come il
pane quotidiano, senza dei quali la vita sparirebbe. Chi non perdona fa il male a se
stesso come la vespa che piantando il suo pungiglione sul malcapitato, perde la vita.
Non c’è vizio che oscuri tanto la vita quando l’odio e il desiderio di vendetta. Allora:
“Àmati, amando!”. I risentimenti e i rancori coltivati, come radici velenose, ci
rendono sordi alla Parola del Signore: “Non rendete a nessuno male per male” (Rm
12.17); “Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha
qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a
riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono” (Mt 5, 23-4); “benedite
coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male” (Lc 6,28);
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“Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite” (Rm 12,14).
Quale catena interminabile di rappresaglie e di sofferenze ha provocato e
provoca fare orecchie da mercante alle parole del Signore che è venuto a portare la
pace che nasce dal perdono: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i
peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”
(Gv 20,22-23). Così ha detto il Signore Gesù, mostrando le sue mani trafitte dai
chiodi, e dopo averci perdonati tutti dall’alto della croce. E Gesù Cristo non è l’uomo
che somiglia a tutti gli altri, ma è l’uomo a cui tutti devono somigliare.
Sopportare pazientemente le persone moleste
Un vicinato che non dà problemi lo trovi solo al cimitero. Come dire che
dobbiamo metterci tutti nel numero delle persone moleste. Tutti dobbiamo
imparare la virtù della sopportazione. Non perché siamo buoni e amabili, dobbiamo
voler bene agli altri , ma perché è buono Dio che per amore ci ha creati tutti, e “ fa
sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt
5,45). Su noi e gli altri. Finché Dio non ci porterà in cielo, nessuno di noi è
dispensato dalla necessità di aver pazienza. In un mondo sempre più intollerante la
comunità cristiana è chiamata a dare questo esempio di pazienza e tolleranza,
vivendo e testimoniando l’indicazione di Gesù: “Tutto quanto volete che gli uomini
facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 7,12).
Ricordiamo il re Davide. Perseguitato dal figlio Assalonne sta fuggendo con i
suoi amici verso il deserto. Un lontano parente lo maledice, lo prende a sassate. Il re
non reagisce e proibisce ai suoi di reagire, dicendo: “Forse il Signore guarderà la mia
afflizione e mi renderà il bene in cambio della maledizione di oggi” (2Sam 16,5-12).
Pregare Dio per i vivi e per i morti
Il Signore ascolta più volentieri la nostra preghiera quando preghiamo per gli altri,
compresi gli antipatici e i nemici, perché allora dimostriamo di essere veri figli del
Padre che fa piovere e fa splendere il sole su tutti (Cfr. Mt,5-45).
Quella che chiamiamo “comunione dei santi”, è un profondo mistero
spirituale che sarà manifestato nella sua pienezza soltanto nell’ultimo giorno,
quando saremo simili a Dio, perché lo vedremo “così come egli è”(1Gv 3,2).
L’espressione “comunione dei santi” designa la solidarietà intima di tutti i credenti,
quelli sulla terra e quelli nel cielo, invisibile, ma non per questo meno vera ed
efficace. Ciò che ogni membro compie di bene e sopporta di sofferenze contribuisce
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non soltanto alla sua salvezza personale, ma può concorrere anche alla salvezza di
coloro ai quali è legato. Non siamo isole, ma parte di un grande continente che
chiamiamo Corpo mistico, nel quale tutti professiamo la medesima fede, guidati
dallo stesso Capo-Gesù e vivificati dal medesimo Spirito.
Nello stesso modo in cui è possibile fare un trapianto di pelle da una parte del
corpo ad un’altra, da un corpo a un altro, e si può operare una trasfusione di sangue
da un individuo ad un altro, così, nell’organismo misterioso della Chiesa è possibile
applicare ad altri delle preghiere e trasferire ad altri dei meriti e dei sacrifici. “Non
può l'occhio dire alla mano: Non ho bisogno di te; oppure la testa ai piedi: Non ho
bisogno di voi”, ricorda san Paolo ai cristiani (1 Cor 12,21).
Papa Francesco, nell’omelia pronunciata a Lampedusa (8 luglio 2013), ha
detto: «Abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti
nell'atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell'altare, di cui parlava
Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto (o
morto) sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la
nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a
posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili
alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla,
sono l'illusione del futile, del provvisorio, che porta all'indifferenza verso gli altri”.
Non lasciamoci trascinare nella “globalizzazione dell’indifferenza” (Papa
Francesco, messaggio per la Quaresima 2015).
Preghiamo
Dio nostro Padre, riempi la nostra famiglia
della tua infinita e gratuita misericordia,
affinché essa diventi la regola e l’impegno
del nostro quotidiano vivere insieme
come sposi, come genitori, come figli.
Signore Gesù, donaci la tua compassione
verso ogni sofferenza e ogni dolore,
affinché il nostro cuore, come il tuo,
sia sempre attento e pronto a soccorrere
chi in quel momento è più in difficoltà.
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Spirito Santo, sii generoso con i tuoi doni,
affinché nella nostra famiglia
l’amore, la comprensione, il dialogo, la pace
siano ogni giorno alla base dei nostri rapporti,
superando stanchezze, insuccessi e delusioni.
Santa Maria, madre della misericordia;
veglia sui nostri pensieri e sulle nostre azioni,
affinché nessun giorno si chiuda
senza avere superato tra noi ogni ostacolo
alla misericordia, alla comprensione, al perdono.
Maria, madre della misericordia,
intercedi per noi!
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7. LA MISERICORDIA NON È UN OPTIONAL
La misericordia di Dio, insegnata, manifestata e vissuta da Gesù non è un
optional che i suoi discepoli possono prendere o lasciare. E’ una scelta necessaria
per camminare verso Dio e per vivere per sempre con lui. Questo proclama
l’evangelista Matteo con un parabola che può essere la conclusione della nostra
riflessione.
“Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette
colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli
rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il
regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva
cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva
diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che
fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito.
Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti
restituirò ogni cosa». Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e
gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari.
Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: «Restituisci quello che devi!». Il suo
compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti
restituirò». Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non
avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a
riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo
e gli disse: «Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai
pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto
pietà di te?». Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse
restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non
perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello» (Mt 18,21-35).
Questa parabola (che soltanto Matteo racconta) ci ricorda la necessità di
trasmettere ai nostri fratelli la misericordia ricevuta e goduta da noi. La parabola si
articola intorno a tre scene: nella prima appaiono il padrone e il servo; nella seconda
il servo e il suo collega; nella terza il meritato castigo del servo spietato e malvagio.
Le prime due mettono in evidenza il contrasto tra il comportamento dei due
creditori. La richiesta dei due debitori è formulata con le stesse parole, ma ha un
esito diversissimo. Il debito di diecimila talenti è una cifra enorme, corrispondente a
cinquantacinque milioni di lire oro (Flavio Giuseppe scrive che il reddito delle tasse
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ricosse da Erode il grande era di novecento talenti!). Cento denari sono la paga di
un operaio per cento giornate lavorative.
L’insegnamento della parabola è trasparente: la differenza del debito rivela la
distanza abissale tra il “debito” contratto da noi con Dio e quello del prossimo nei
nostri confronti; tra l’infinita misericordia del Signore che perdona “tutto” il debito
e l’intransigenza degli uomini verso i propri simili. Questa rende impossibile la
remissione dei peccati. Da notare che anche qui compare di nuovo il verbo “avere
compassione”, già visto in Luca, proprio della commozione viscerale che Dio prova
nei confronti dei figli poveri. Qui l’amore “viscerale” di Dio è messo maggiormente
in risalto dalla meschinità e grettezza della creatura.
Solo con Dio l’uomo può contrarre debiti così esorbitanti, e solo Lui può condonare
somme così ingenti. Egli è munifico e condona per una semplice richiesta.
Di fronte a Dio siamo tutti debitori insolventi, ma Egli, nella sua bontà, offre a tutti la
possibilità di uscirne speditamente: basta inoltrare un’umile domanda di grazia.
I crediti che l’uomo ha con i suoi simili sono inezie a confronto di quelli che ha con
Dio, per questo deve essere disposto a rinunciarvi per ottenere il perdono delle
obbligazioni contratte con il suo Signore.
Meditiamo!
Forse non sempre prendiamo sul serio il Padre Nostro, che pure recitiamo
continuamente, quando diciamo: “rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo
ai nostri debitori”. Forse pensiamo che questa frase non vada interpretata alla
lettera, perché noi certe offese proprio non riusciamo a perdonarle. In realtà, la
parabola del servo spietato afferma che non ci sono scappatoie interpretative. Ad
allontanare ogni equivoco o dubbio ci ha pensato Gesù: “Con il giudizio con il quale
giudicate, sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a
voi” (Mt 7,2). Ovviamente giudicare, qui come in altre pagine della Bibbia, non vuol
dire esprimere un giudizio, operazione necessaria per distinguere il bene dal male,
ma condannare.
Dobbiamo avere ben presente questa parabola quando celebriamo il
sacramento della Confessione. Non possiamo essere perdonati, se non decidiamo
con lealtà e sincerità di perdonare chi ci ha fatto del male. Anche se per riuscirci ci
servirà tempo, il proposito deve essere fermo. Ancor più quando ci accostiamo alla
Comunione. La presenza in noi di odio o rancore non ci permette di mangiare Colui
che ha perdonato anche i suoi crocifissori.
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Il segno della pace che ci scambiamo durante la Messa è un gesto abitudinario
e scontato, oppure ci impegna a mettere in pratica le parole di Gesù: “Se
dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha
qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a
riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono” (Mt 5,23-24).
Nota bene! Non solo se tu hai qualcosa contro un tuo fratello, ma un tuo
fratello ha qualcosa contro di te.
Siamo consapevoli che, dando la pace al vicino, ci impegniamo a darla non
solo a tutti coloro che sono in chiesa con noi, ma a tutti coloro con i quali
viviamo, lavoriamo, e che incontriamo?
Preghiamo
Signore Gesù, aiutaci a presentarci al Padre
con l’umiltà del peccatore nel tempio,
pregando: “Abbi pietà di me peccatore!”,
consapevoli della sua infinita misericordia
verso i nostri debiti e le nostre debolezze.
Non permettere che ci dimentichiamo
dell’immeritata misericordia ricevuta,
in modo da essere sempre pronti
a farne dono ai fratelli e alle sorelle
per i loro piccoli debiti nei nostri confronti.
Signore Gesù, per non trovarci a essere
ingrati e duri di cuore come il servo malvagio,
ricordaci di rifornirci della misericordia e del perdono
che tu ci hai messo a disposizione
nei sacramenti dell’Eucaristia e della Confessione.
Maria, madre della misericordia,
intercedi per noi!
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INDICE
Introduzione del Vescovo
1. LA MISERICODIA DI DIO IN GESÙ
Testi biblici, riflessione, preghiera
2. LA MISERICORDIA DI GESÙ
VERSO LA SOFFERENZA UMANA
Testi biblici, riflessione, preghiera
3. GESÙ INSEGNA LA MISERICORDIA CON LE PARABOLE
Testi biblici, riflessione, preghiera
4. LA MISERICORDIA SULLE STRADA DELLA VITA
Testi biblici, riflessione, preghiera
5. LA MISERICORDIA DEI CRISTIANI
Testi biblici, riflessione, preghiera
6. LA MISERICORDIA NON È UN OPTIONAL
Testo biblico, riflessione, preghiera
7. Appuntamenti e proposte degli Uffici diocesani,
delle associazioni e dei gruppi
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