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La morte e il morire
PROPRIETÀ RISERVATA CON APPROVAZIONE ECCLESIASTICA COPERTINA Ε CONSULENZA GRAFICA CLAUDIO RONCHETTI - ROMA STAMPA: A.C. GRAFICHE - CITTÀ DI CASTELLO – 1990 pag. 317 tratto da: http://www.gianobifronte.it/ L. 18.000 La dottoressa Elisabeth Κübler-Ross non ha bisogno di essere presentata. Le sue esperienze accanto ai malati vicini α morire sono note ormai in tutto il mondo. Finalmente compare anche in Italia questo suo libro già tradotto in varie lingue. Il lettore non si lasci spaventare dal titolo: la morte è per molti ancora argomento tabù. Eppure è un evento umano che fa parte della vita e ci riguarda tutti da vicino. Allora perché non siamo capaci di affrontarlo senza paure e senza difese? Che tipo di comunicazione ci arriva da interviste α malati all'ultimo stadio della vita? Quali sono i bisogni e i diritti di chi muore? Il modo di affrontare la morte è legato α come si sono risolti i problemi della vita? Chi avrà il coraggio di leggere queste pagine, scritte con tanto calore da chi si è seduto accanto α molti malati per condividerne le ansie e i desideri, ne uscirà profondamente arricchito. Avrà imparato α conoscersi meglio. Non solo medici, infermieri, operatori sociali possono trovare in queste esperienze un prezioso materiale per il loro lavoro, ma chiunque voglia avvicinarsi alla morte per scoprirvi la vita. PSICOGUIDE Nuova serie α cura di Gabriella Persico PSICOGUIDE: perché e per quali lettori? Non certo per offrire una guida sicura nella soluzione dei problemi, quanto per far luce sugli aspetti psicologici della realtà e aiutare quindi α meglio comprendere se stessi e gli altri. Le Psicoguide offrono la possibilità di utilizzare le scoperte della psicologia nei problemi concreti della vita di tutti i giorni di fronte ai quali siamo continuamente chiamati α un impegno responsabile. Il lettore potrà servirsi di questi apporti con molta libertà per la propria realizzazione personale e per una migliore riuscita delle sue relazioni umane. Per facilitare la scelta del lettore, abbiamo creduto opportuno segnalare con un asterisco ί libri che possono essere alla portata di tutti, con due asterischi quelli più adatti α genitori, educatori, operatori sociali con un certo grado di cultura, con tre asterischi ί libri α carattere più tecnico e scientifico. ELISABETH KÜBLER-ROSS LA MORTE Ε IL MORIRE sesta edizione CITTADELLA EDITRICE titolo originale On death and dying traduzione di Clara di Zoppola © per la lingua inglese Elisabeth Κübler-Ross @ per la lingua italiana Cittadella Editrice – Assisi ISBN 88-308-0247-6 tratto da: http://www.gianobifronte.it/ INDICE Prefazione Pag. 7 » 9 » 19 capitolo terzo PRIMA FASE: RIFIUTO Ε ISOLAMENTO » 50 capitolo quarto SECONDA FASE: LA COLLERA » 63 capitolo quinto TERZA FASE: VENIRE Α PATTI » 97 capitolo sesto QUARTA FASE: LA DEPRESSIONE » 101 capitolo settimo QUINTA FASE: L'ACCETTAZIONE » 128 capitolo ottavo LA SPERANZA » 156 » 176 » 202 » 267 capitolo dodicesimo TERAPIA DEI MALATI INGUARIBILI Ιl silenzio che va oltre le parole » 295 BIBLIOGRAFIA » 304 capitolo primo LA PAURA DELLA MORTE capitolo secondo ATTEGGIAMENTI VERSO LA MORTE Ε IL MORIRE Contributi della società ai meccanismi di difesa - Inizio di un seminario interdisciplinare sulla morte e sul morire – L'insegnamento dei morenti capitolo nono LA FAMIGLIA DEL MALATO Cambiamenti in casa e risvolti sulla famiglia - Problemi di comunicazione – Come si affronta nella famiglia lα realtà di una malattia inguaribile – La famiglia dopo l'evento della morte - Sentimenti di dolore e di collera capitolo decimo ALCUNE INTERVISTE CON MALATI VICINI ALLA MORTE capitolo undicesimo REAZIONI AL SEMINARIO SULLA MORTE Ε SUL MORIRE Reazioni del personale addetto all'assistenza Reazioni degli studenti - Reazioni dei malati tratto da: http://www.gianobifronte.it/ Ringraziamenti Sono troppe le persone che hanno direttamente ο indirettamente contribuito α questo lavoro, perché io possa esprimere singolarmente a ciascuna di loro la mia riconoscenza. Ιl dottor Sydney Margolin ha il merito di aver stimolato l'idea di intervistare malati vicini alla morte alla presenza di studenti, ritenendo che ciò potesse essere una lezione di profondo significato. Ιl dipartimento di psichiatria dell'università all'ospedale Billings di Chicago ha fornito l'ambiente e ha fatto tutto il possibile per rendere tecnicamente possibile un seminario sull'argomento. Ι cappellani Herman Cook e Carl Nighswonger hanno in modo prezioso aiutato e incoraggiato le interviste, visitando i malati in un momento in cui ciò era immensamente difficile. Wayne Rydberg e i primi quattro studenti, con il loro interesse e lα loro curiosità, mi hanno aiutato α superare le difficoltà iniziali. Sono stata aiutata anche dall'appoggio del Seminario Teologico di Chicago. Ιl reverendo Renford Gaines e sua moglie Harriet hanno passato innumerevoli ore α revisionare il manoscritto e hanno sostenuto lα mia fiducia nel valore di un'impresa di questo genere. Ιl dottor C. Knight Aldrich ha appoggiato questo lavoro in questi tre anni. Il dottor Edgar Draper e Jane Kennedy hanno revisionato una parte del manoscritto. Bonita McDaniel, Janet Reshkin e Joyce Carlson meritano di essere ringraziati per aver scritto α macchina i capitoli. Ι miei ringraziamenti ai molti malati e alle loro famiglie sono forse meglio espressi dalla pubblicazione di quanto essi ci hanno comunicato. Sono molti gli autori che hanno ispirato quest'opera. Un ringraziamento va infine α tutti coloro che hanno rivolto un pensiero e prestato attenzione ai malati inguaribili. Ringrazio il signor Peter Nevraumont che ha suggerito di scrivere queste pagine, come pure il signor Clement Alexandre della Macmillan Company per la pazienza e la comprensione dimostrate durante lα preparazione del libro. Ε infine, ma con pari calore, desidero ringraziare mio marito e i miei figli per lα loro pazienza e il continuo appoggio che mi danno, per cui, oltre α essere moglie e madre, riesco α occuparmi in un lavoro α tempo pieno. ELISABETH KÜBLER-ROSS tratto da: http://www.gianobifronte.it/ Prefazione Quando mi hanno chiesto se ero disposta α scrivere un libro sulla morte e sul suo approssimarsi, ho accettato lα sfida con entusiasmo. Quando poi mi sono seduta e ho cominciato α domandarmi α che cosa mi ero mai impegnata, lα faccenda è cambiata. Da dove comincio? Che cosa scrivo? Quanto posso dire agli estranei che leggeranno questo libro, quanto posso comunicare loro dell'esperienza fatta con i moribondi? Quante cose non si comunicano α parole, e dopo averle sentite, vissute, viste, difficilmente si possono tradurre in parole? Lavoro con malati inguaribili da due anni e mezzo e questo libro vuol raccontare l'inizio di questo esperimento che si è rivelato un'esperienza significativa e istruttiva per tutti coloro che vi hanno partecipato. Non intende essere un libro di testo sul modo di trattare i malati destinati α morire né uno studio completo di psicologia del morente. È semplicemente il racconto di un'occasione nuova e critica per focalizzare il malato come essere umano, per dialogare con lui, per apprendere da lui le forze e le debolezze del nostro trattamento ospedaliero. Gli abbiamo domandato di essere nostro maestro in modo che noi potessimo imparare qualcosa di più sulle tappe finali della vita con tutte le sue ansie, timori e speranze. Io racconto semplicemente le storie dei malati che hanno condiviso con noi le loro angosce, le loro attese e le loro frustrazioni. Speriamo che ciò incoraggi altri α non sfuggire i malati « senza speranza », ma ad avvicinarli di più, poiché si può essere loro di grande aiuto durante le ultime ore. Ι pochi che sapranno farlo scopriranno anche che può essere un'esperienza reciprocamente gratificante; essi impareranno molto sul funzionamento della mente umana, sugli aspetti umani eccezionali della nostra esistenza, e usciranno da questa esperienza arricchiti e forse con minori ansie riguardo alla propria fine. ELISABETH KÜBLER-ROSS tratto da: http://www.gianobifronte.it/ Capitolo primo LA PAURA DELLA MORTE Non voglio pregare di esser protetto dai pericoli, ma di sfidarli impavido. Non voglio implorare alleviamento di pena, ma cuore per vincerla. Non voglio cercare alleati nelle battaglie della vita, ma il mio rinvigorimento. Non voglio gemere nell'ansioso timore di non salvarmi, ma spero d'aver pazienza per ottenere la mia redenzione. Concedimi di non esser codardo sentendo la tua misericordia soltanto nel mio successo, ma di riconoscere il soccorso della tua mano anche nella mia sconfitta. TAGORE, Raccolta votiva Le generazioni passate hanno pagato alle epidemie un grande tributo di vite umane. La morte era frequente fra i bambini ed erano poche le famiglie che non perdevano in tenera età uno dei loro membri. Negli ultimi decenni la medicina ha apportato grandi cambiamenti. La diffusione delle vaccinazioni ha praticamente sradicato molte malattie, per lο meno nell'Europa occidentale e negli Stati Uniti. L'impiego della chemioterapia, specialmente degli antibiotici, ha contribuito α una costante diminuzione della mortalità nelle malattie infettive. Una miglior cura dei bambini e una migliore educazione hanno contribuito alla diminuzione delle malattie e della mortalità fra i bambini. Gran parte delle malattie che colpivano in modo impressionante i giovani e le persone di mezza età sono state vinte. Ιl numero degli anziani è in aumento e di conseguenza parecchie persone in età avanzata possono essere affette da malattie α carattere maligno e cronico. Ι pediatri hanno meno lavoro per quanto riguarda le situazioni acute e critiche, ma hanno un numero sempre crescente di pazienti con disturbi psicosomatici e problemi di adattamento e di comportamento. Ι medici hanno nelle loro sale d'attesa più persone con problemi di ordine psicologico di quante ne abbiano mai avute prima, ma hanno anche un maggior numero di pazienti anziani che non solo cercano di vivere con le loro diminuite capacità fisiche e le loro limitazioni, ma che affrontano anche lα solitudine e l'isolamento con tutte le sofferenze e le pene che ne derivano. La maggior parte di queste persone non viene vista da uno psichiatra. Altri professionisti vengono α conoscenza dei loro bisogni e cercano di aiutarli, per esempio cappellani e operatori sociali. È per loro che io cerco di cogliere i cambiamenti che hanno avuto luogo negli ultimi decenni e che in definitiva sono responsabili dell'accresciuto timore della morte, del crescente numero di problemi emotivi, e della maggior necessità di comprendere e di affrontare i problemi della morte e del suo avvicinarsi. Guardando indietro nel tempo e studiando le civiltà e ί popoli antichi, abbiamo l'impressione che lα morte sia sempre stata ripugnante per l'uomo e probabilmente lo sarà sempre: Da un punto di vista psichiatrico ciò è molto comprensibile e può forse essere meglio spiegato dalla nostra idea fondamentale che,- nel nostro inconscio, lα morte non è mai possibile per noi stessi. Per il nostro inconscio è inconcepibile immaginare una fine reale della nostra vita qui sulla terra, e se questa nostra vita deve finire, la fine è sempre attribuita α un intervento maligno esterno, per opera di qualcun altro. In parole semplici, nel nostro inconscio noi possiamo solo essere uccisi; è inconcepibile morire di una causa naturale ο di vecchiaia. Perciò lα morte in se stessa è collegata con un atto cattivo, un avvenimento spaventoso, qualcosa che in sé reclama vendetta e punizione. tratto da: http://www.gianobifronte.it/ In primo luogo è utile ricordare questi fatti fondamentali, poiché sono essenziali per capire qualcuna delle più importanti comunicazioni dei nostri malati, altrimenti incomprensibili. Ιl secondo fatto che dobbiamo comprendere è che nel nostro inconscio noi non sappiamo distinguere fra un desiderio e un fatto. Noi siamo tutti consapevoli dei nostri illogici sogni in cui possono esistere una accanto all'altra due situazioni completamente opposte, cosa molto accettabile nei nostri sogni, ma impensabile e illogica se siamo svegli. Così come il nostro inconscio non può distinguere fra il desiderio di uccidere qualcuno nell'ira e l'atto di averlo fatto, il bambino è incapace di fare questa distinzione. Ιl bambino che desidera con rabbia che sua madre caschi morta perché non ha soddisfatto i suoi bisogni, riceverà un grosso trauma dalla morte reale della madre, anche se questo evento non è strettamente collegato nel tempo con i suoi desideri di distruzione. Si sentirà sempre responsabile della perdita della madre. Dirà sempre α se stesso, e raramente ad altri: « L'ho fatto io, io sono responsabile, sono stato cattivo, perciò lα mamma mi ha lasciato ». È bene ricordare che il bambino reagirà allo stesso modo quando lα perdita del genitore sia dovuta αl divorzio, alla separazione, ο alla fuga. Spesso lα morte è vista dal bambino come una cosa non duratura e quindi poco diversa dal divorzio, in cui può avere l'occasione di rivedere il genitore. Molti genitori ricorderanno certi commenti dei figli, come per esempio: « Voglio seppellire il mio cagnolino adesso, e la primavera prossima quando ritorneranno i fiori si alzerà ». Forse era lο stesso desiderio che spingeva gli antichi Egizi α circondare i loro morti di cibo e di cose per farli felici, e i vecchi Indiani d'America α seppellire i loro parenti con i propri beni. Quando diventiamo vecchi e cominciamo α renderci conto che lα nostra onnipotenza non è in realtà così onnipotente, che i nostri desideri più forti non sono potenti abbastanza da rendere l'impossibile possibile, il timore di aver contribuito alla morte di una persona cara diminuisce, e con esso il senso di colpa. Ιl timore è in qualche modo diminuito soltanto α condizione che non sia troppo fortemente preso in considerazione. Se ne possono vedere ogni giorno le tracce nei corridoi degli ospedali e in coloro che hanno perduto qualche persona cara. Marito e moglie possono aver litigato per anni, ma quando il coniuge muore, quello che sopravvive si strapperà i capelli, si lamenterà e piangerà forte, e si batterà il petto con rimpianto, paura e dolore, e dal quel momento temerà lα sua propria morte più di prima, credendo ancora nella legge del taglione: occhio per occhio, dente per dente: « Io sono responsabile della sua morte, toccherà anche α me una morte dolorosa per punizione ». Forse sapere questo ci aiuterà α capire molti dei vecchi usi e rituali che hanno resistito attraverso i secoli e il cui scopo è quello di diminuire l'ira degli dei ο della gente secondo il caso, riducendo in tal modo lα punizione prevista. Sto pensando alle ceneri, agli abiti strappati, αl velo, alle Klage Weiber di un tempo: sono tutti modi per invocare pietà su coloro che sono in lacrime, e sono espressioni di tristezza, dolore e vergogna. Se qualcuno si affligge, si batte il petto, si strappa i capelli ο rifiuta di mangiare, è un tentativo di autopunizione per evitare ο ridurre lα punizione prevista per lα sua responsabilità nella morte della persona cara. Questa tristezza, vergogna e senso di colpa sono seguite, α non molta distanza, da sentimenti di ira e di collera. Ιl processo del dolore include sempre un po' di collera. Dato che nessuno di noi vuole ammettere di sentirsi in collera verso una persona morta, questi sentimenti sono spesso mascherati ο repressi e prolungano il periodo di dolore ο emergono in altri modi. È bene ricordare che non tocca α noi giudicare tali sentimenti come cattivi ο vergognosi; noi dobbiamo capirne il giusto significato e l'origine come qualcosa di veramente umano. Per illustrare questo, utilizzerò di nuovo l'esempio del bambino, e del bambino che è in noi. Ιl bambino di cinque anni che perde lα mamma, biasima se stesso per la sua scomparsa e allo stesso tempo si arrabbia perché essa lο ha lasciato e non ha più soddisfatto i suoi bisogni. La persona morta diviene allora qualcosa che il bambino ama e desidera moltissimo, ma che pure odia con pari intensità per il fatto di esserne così duramente privato. tratto da: http://www.gianobifronte.it/ Gli antichi Ebrei consideravano il corpo di un morto come qualcosa di immondo, da non toccarsi. Ι vecchi Indiani d'America parlavano degli spiriti cattivi e lanciavano frecce in aria per cacciar via gli spiriti. Molte altre civiltà hanno dei rituali per sorvegliare il « cattivo » morto, e tutti traggono origine da questo senso di collera che ancora esiste in tutti noi, anche se ci dispiace ammetterlo. La tradizione della pietra tombale può derivare da questo desiderio di tener sotto terra in profondità gli spiriti cattivi, e i sassi che molti, in lacrime, vi buttano αl momento dell'addio sono tracce simboliche dello stesso desiderio. Quando ai funerali militari si scaricano i fucili, noi diciamo che è per l'ultimo saluto, ma è lο stesso rituale che usavano gli Indiani quando lanciavano in cielo lance e frecce. Faccio questi esempi per far rilevare che l'uomo non è fondamentalmente cambiato. La morte è ancora un avvenimento spaventoso, terribile; lα paura della morte è una paura universale, anche se crediamo di averla dominata α molti livelli. Quello che è cambiato è il nostro modo di affrontare e di trattare lα morte e il suo approssimarsi e i nostri malati destinati α morire. Essendo cresciuta in un paese dell'Europa in cui lα scienza non è tanto avanzata e le tecniche moderne hanno appena iniziato α servire lα medicina e la gente vive ancora come viveva in quel paese cinquant'anni fa, ho potuto avere l'opportunità di studiare una parte dell'evoluzione dell'umanità in un periodo piuttosto breve. Ricordo la morte di un contadino avvenuta quand'ero bambina. Cadde da un albero e non ci fu speranza per lui. Chiese solo di morire α casa, desiderio che fu soddisfatto senza discutere. Chiamò in camera le figlie e parlò pochi minuti da solo con ciascuna di loro. Sistemò tranquillamente i suoi affari, benché avesse grandi dolori, e distribuì i suoi averi e lα terra, che non dovevano essere divisi finché lα moglie non l'avesse seguito nella morte. Chiese anche α ciascuno dei figli di assumersi il lavoro, i compiti e i doveri in cui era impegnato lui fino αl momento dell'incidente. Chiese agli amici di andare α trovarlo ancora una volta per dir loro addio. Benché α quell'epoca io fossi piccola, non escluse né me né i miei parenti. Potemmo partecipare ai preparativi della famiglia così come potemmo soffrire con loro fino αl momento della morte. Quando poi morì, fu lasciato α casa, nella sua amata casa da lui stesso costruita, e in mezzo agli amici e ai vicini, che andarono α vederlo per l'ultima volta, circondato di fiori, nel luogo dove era vissuto e che aveva tanto amato. In quel paese oggi non si usa più una finta camera da letto, né l'imbalsamazione, né il make up per far credere che il morto dorma. Soltanto quando il morto è molto sfigurato dai segni di certe malattie, si copre con bende, e solo i casi infettivi sono rimossi da casa prima della sepoltura. Perché descrivo queste usanze « sorpassate »? Penso che siano indicative della nostra accettazione di una conseguenza fatale e aiutino il morente, come pure la sua famiglia, ad accettare la perdita di una persona cara. Permettendo α un malato di finire lα sua vita nell'ambiente amato e familiare, gli si chiede un minor sforzo di adattamento. La famiglia lο conosce abbastanza bene per sostituire un sedativo con un bicchiere del suo vino preferito; oppure il profumo di una minestra fatta in casa può stimolargli l'appetito per sorseggiare qualche cucchiaiata di liquido che ritengo sia più gradito di una fleboclisi. Non voglio minimizzare il bisogno di sedativi e di fleboclisi e, per lα mia esperienza personale come medico di campagna, comprendo benissimo che qualche volta essi salvino lα vita e siano spesso assolutamente necessari. Ma so anche che la pazienza, i familiari e il cibo consueto potrebbero sostituire molti flaconi di fleboclisi, somministrati per lα semplice ragione che ciò soddisfa il bisogno fisiologico senza coinvolgere troppe persone e/ο rendere necessaria l'assistenza individuale per dar da mangiare αl malato. Ιl fatto che si permetta ai bambini di rimanere in casa quando un incidente mortale si è abbattuto su di essa, che siano inclusi nella conversazione, nelle discussioni e nei timori, dà loro la sensazione di non esser soli nella sofferenza e il conforto di sentire condivisa lα responsabilità tratto da: http://www.gianobifronte.it/ e la tristezza. Li prepara gradualmente e li aiuta α considerare lα morte come facente parte della vita: un'esperienza che può aiutarli α crescere e α maturare. Ciò è in grande contrasto con una società in cui lα morte è considerata un tabù, il parlarne è giudicato morboso, e in cui i bambini ne vengono tenuti lontani con la presunzione e il pretesto che per loro sarebbe « troppo ». Vengono mandati dai parenti, spesso accompagnati con qualche poco convincente bugia del tipo: « lα mamma è partita per un lungo viaggio » ο altre storie incredibili. Ιl bambino avverte che c'è qualcosa di sbagliato e lα sua sfiducia negli adulti finirà solo col crescere se altri parenti aggiungeranno nuove variazioni alla storia, eviteranno le sue domande ο i suoi sospetti, lο riempiranno di regali come magro surrogato per la perdita che non gli si permette di affrontare. Presto ο tardi il bambino si renderà conto della mutata situazione familiare e, α seconda dell'età e della personalità, avrà un trauma non risolto e considererà questo incidente come qualcosa di terribile e misterioso, comunque un'esperienza molto traumatica, con adulti indegni di fiducia, contro cui egli non può lottare. È stato parimenti irragionevole dire α una bambina piccola cui era morto il fratellino, che Dio amava tanto i ragazzini che aveva portato il piccolo Giovanni in cielo. Quando quella bambina crebbe e divenne una donna, non superò mai lα collera verso Dio, il che si tramutò in una depressione psichica quando, trenta anni dopo, perse il suo bambino. Pensiamo che lα nostra considerevole emancipazione, le nostre conoscenze della scienza e dell'uomo ci abbiano fornito modi e mezzi migliori per preparare noi e le nostre famiglie α questo inevitabile avvenimento. Invece sono passati i tempi in cui un uomo poteva morire in pace e con dignità nella propria casa. Più avanziamo nella scienza, più sembriamo temere e rifiutare lα realtà della morte. Com'è possibile? Usiamo degli eufemismi, facciamo in modo che i morti sembrino persone che dormano; mandiamo via i bambini per proteggerli dall'ansia e dall'agitazione che ci sono in casa, se il malato è abbastanza fortunato da morire α casa; non permettiamo che i bambini vadano α trovare i loro genitori moribondi all'ospedale, facciamo lunghe e controverse discussioni per sapere se ai malati si dovrebbe dire lα verità, problema che sorge raramente quando il morente è assistito dal medico di famiglia che lo conosce fin dalla nascita e sa i punti deboli e le risorse di ogni membro della famiglia. Penso che siano molte le ragioni per cui evitiamo di affrontare lα morte con calma. Uno dei fatti più importanti è che oggi morire è per molti aspetti più spaventoso, cioè più solitario, più meccanico, più disumanizzato; qualche volta è difficile perfino determinare tecnicamente il momento in cui è avvenuta la morte. Ιl morire diviene desolato e impersonale perché il malato è spesso allontanato dall'ambiente familiare e portato in fretta αl pronto soccorso. Chiunque sia stato molto ammalato e abbia avuto bisogno di riposo e di assistenza, può ricordare in modo particolare lα sua esperienza: essere messo su di una barella, il rumore assordante della sirena dell'ambulanza e la corsa precipitosa fino ai cancelli dell'ospedale. Solo coloro che l'hanno vissuto possono conoscere il disagio e l'inevitabile freddezza di tale trasporto, che è soltanto l'inizio di una lunga prova, dura da sopportare quando si sta bene, difficile da esprimere in parole quando il rumore, lα luce, le scosse e le voci superano lα capacità di sopportazione del paziente. Forse potremmo prendere in maggior considerazione il paziente sotto le lenzuola e le coperte, e frenare lα nostra bene intesa efficienza e lα nostra fretta, per tenere lα mano del paziente, sorridere ο ascoltare una domanda. Considero il viaggio all'ospedale come il primo episodio del morire, come lο è per molti. Lo descrivo - in maniera un po' esagerata - in contrasto con il quadro del malato lasciato α casa, non per dire che non si dovrebbero salvare le vite, se con un ricovero ospedaliero si possono salvare, ma per fissare l'attenzione sull'esperienza del malato, sui suoi bisogni e sulle sue reazioni. Quando un paziente è seriamente ammalato, spesso è trattato come una persona che non abbia alcun diritto di avere un'opinione. È spesso qualcun altro che decide se e quando e dove un tratto da: http://www.gianobifronte.it/ paziente dovrebbe essere ricoverato in ospedale. Ci vorrebbe così poco α ricordare che lα persona malata ha dei sentimenti, dei desideri e delle opinioni e soprattutto ha il diritto di essere ascoltato. Ebbene, il nostro presunto malato ha ora raggiunto il pronto soccorso. Sarà circondato da infermiere affaccendate, da inservienti, studenti, assistenti, medici, forse da un tecnico del laboratorio che preleverà del sangue, da un tecnico dell'elettrocardiogramma che farà il cardiogramma. Forse lo porteranno in radiologia e sentirà pareri sulla sua condizione, discussioni e domande rivolte ai membri della sua famiglia. Α poco α poco, ma inesorabilmente, si comincia α trattarlo come una cosa. Non è più una persona. Spesso si prendono decisioni senza il suo parere. Se tenterà di ribellarsi, verrà trattato α base di sedativi e dopo ore di attesa, in cui ci si domanda se egli ha lα forza sufficiente, sarà trasportato nella sala operatoria ο αl centro di rianimazione e diverrà un oggetto di grande interesse e di grande investimento finanziario. Egli può ben invocare il riposo, lα pace e lα dignità, ma avrà medicine, trasfusioni, un cuore artificiale ο lα tracheotomia, se necessario. Può ben desiderare che una sola persona si fermi un minuto per poterle chiedere una cosa soltanto, ma avrà una dozzina di persone sempre intorno, tutte affaccendate e preoccupate del suo ritmo cardiaco, del polso, dell'elettrocardiogramma ο delle funzioni polmonari, delle sue secrezioni ο escrezioni, ma non di lui come essere umano. Avrebbe voglia di combattere contro questo modo di fare, ma sarebbe una lotta inutile poiché questo rientra nella battaglia per lα sua vita, e se si può salvare la sua vita, si prenderà in considerazione la sua persona in un secondo tempo. Chi considera in primo luogo lα persona può perdere del tempo prezioso per salvarne lα vita. Almeno questo sembra essere l'elemento razionale ο giustificativo esistente dietro questo atteggiamento: non è così? È forse questa lα ragione per cui avviciniamo i nostri meccanismi di difesa in questo modo sempre più meccanico, spersonalizzato? È questo il nostro modo di affrontare e di reprimere le ansietà che un paziente destinato α morire ο particolarmente grave evoca in noi? La nostra concentrazione sull'attrezzatura, sulla pressione del sangue è forse un disperato tentativo di rifiutare lα morte che ci sovrasta ed è per noi tanto spaventosa e sgradevole da indurci ad affidare tutto il nostro sapere alle macchine, in quanto queste sono meno vicine α noi del volto sofferente di un altro essere umano, che ci ricorderebbe una volta di più la nostra non-onnipotenza, i nostri limiti e fallimenti, e in fondo anche la nostra mortalità? Forse dovremmo chiederci: stiamo diventando meno umani ο più umani? Benché questo libro non intenda affatto dare giudizi, è chiaro che, qualunque sia lα risposta, il malato soffre di più, non forse sotto l'aspetto fisico, ma psicologico. Ε quello che è cambiato attraverso i secoli non sono i suoi bisogni, ma lα nostra capacità di soddisfarli. tratto da: http://www.gianobifronte.it/ Capitolo secondo ATTEGGIAMENTI VERSO LA MORTE Ε IL MORIRE Gli uomini sono crudeli, ma l’Uomo è gentile. TAGORE, Uccelli migranti, CCXIX Contributi della società ai mecca nis mi di difesa Fin qui abbiamo considerato le reazioni umane individuali verso la morte e il morire. Ora, prendendo in esame la nostra società, potremmo chiederci che cosa succede all'uomo in una società che tende α ignorare ο α evitare lα morte. Quali sono i fattori, se mai ce ne siano, che contribuiscono α una crescente inquietudine nei confronti della morte? Che cosa succede in un campo della medicina che è in evoluzione, in cui dobbiamo chiederci se lα medicina deve rimanere una professione umanitaria e degna di rispetto ο una scienza nuova ma spersonalizzata avente lo scopo di prolungare la vita piuttosto che quello di diminuire lα sofferenza umana? Quando gli studenti di medicina hanno α disposizione dozzine di conferenze su RNA e DNA, ma hanno una esperienza molto ridotta della semplice relazione medico-malato, che un tempo si considerava fondamentale per lα normale riuscita del medico di famiglia? Che cosa succede in una società che si preoccupa più del QI e dell'estrazione sociale piuttosto che di semplici argomenti di tatto, sensibilità, intuizione e buon gusto nel trattare i sofferenti? In una società che dà tanta importanza alla ……………………………. segue da pag. 20 tratto da: http://www.gianobifronte.it/