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Sulle orme di Turner il visionario
Cultura e Società l'Adige lunedì 1 dicembre 2008 5 I paesaggi italiani del grande romantico inglese in un’eccezionale esposizione di dipinti e disegni LA MOSTRA Luce e colore Sulle orme di Turner il visionario CLAUDIO CUCCO L a mostra che Ferrara dedica a Joseph Mallord William Turner (Londra 1775 1851), a cura di James Hamilton, è una delle più importanti che siano state fatte in Italia. Con le novanta opere esposte, fra olii, acquerelli, incisioni, disegni e taccuini, che tracciano i suoi viaggi e le elaborazioni pittoriche fatte durante i soggiorni in Italia, abbiamo una visione esauriente della sua carriera. Nel 1802 Turner intraprese il suo primo viaggio in continente e trascorso un periodo a Parigi, dove, al Louvre, studiò i grandi della pittura, proseguì fino ad arrivare sulle Alpi e in Valle d’Aosta, un classico per gli inglesi, che spesso venivano fino lì per ammirare il Monte Bianco, le montagne come il San Gottardo e tutte le catene di quella zona alpina. Turner fu un ragazzo precoce e lo dimostrò quando nel 1790 presentò alla Royal Academy il suo primo acquerello; dopo soli sei anni realizzò il primo quadro ad olio. Prima di compiere il viaggio oltre Manica, il giovane Turner si cimentava in esecuzioni paesaggistiche nell’Inghilterra, nel Galles e nella Scozia. Questi studi rimarranno per tutta la sua vita di pittore le solide basi per realizzare i numerosi capolavori che in seguito avrebbe fatto. Ma se fosse stata solo una questione di mera esecuzione di paesaggi, seppure con spirito romantico, sarebbe stato, con il suo talento, uno dei tanti pittori dell’epoca. Invece, fin dalle prime opere, e questo in maniera ossessiva, il suo interesse fu per il colore e di conseguenza la luce, con l’aggiunta fondamentale della sua grande vena di visionarietà. E questo cambiava tutto. Luce e visione, nei suoi dipinti, dai primi agli ultimi, sono gli elementi che prendeva, osservando la realtà della natura e dell’urbe. La realtà la sapeva cogliere nella sua verità, per poi trasfigurarla, rendendola sempre più rarefatta, come se si allontanasse da essa. Bisogna tenere presente l’interesse, nella sua pittura, anche per le architetture, che raramente sono assenti dai suoi disegni e dalle sue opere. Da giovane, i suoi soggetti erano chiese ed edifici in stile gotico e classico. Le sue frequentazioni, infatti, erano con architetti quali Johan Soane, Thomas Hardwick, James Wyatt e Joseph Bonomi, suo insegnante, nato a Roma, che lo avevano formato e indelebilmente segnato. E se nel suo primo viaggio aveva privilegiato i paesaggi alpini - è di questo periodo A FERRARA La mostra «Turner e l’Italia» (fino al 22 febbraio 2009) è a Ferrara, al Palazzo dei Diamanti (corso Ercole I d’Este, 21). È aperta tutti i giorni, feriali e festivi, lunedì incluso: 9-19 orario continuato. Anche 8 dicembre, 25 e 26 dicembre, 1 e 6 gennaio. Info: 0532.244949. A destra, «Palestrina. Composizione» (1828; Londra, Tate Gallery). anche una delle opere più importanti come «Tormenta di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi» (1812) non presente in mostra, dove paesaggio e storia si mescolano in modo perfetto - nel secondo, molto più lungo, effettuato nell’estate del 1819, entrò nel vivo della questione italiana e visitò Torino, Milano, i laghi, Brescia, Verona, Padova, Venezia, Bologna, Rimini, Ancona, Loreto, Spoleto, Civita Castellana, Roma, Napoli, Paestum e Firenze. Il 1828 fu l’anno del suo terzo soggiorno italiano. In questo periodo però si concentrò soprattutto su Roma, dove passò molto tempo, inserendosi nella vita sociale della città. Fondamentale fu il soggiorno a Venezia, nel 1833, da cui nacquero i lavori sul paesaggio lagunare che avvicinano la sua pittura alla modernità, all’astrazione che ha caratterizzato tutto il secolo scorso. La sua pittura, le sue grandi opere, nascono proprio dagli appunti sui taccuini di viaggio che sono fondamentali e che sono le testimonianze visive che utilizzerà una volta tornato in Inghilterra. M «Roma moderna. Campo Vaccino» (1839; Edimburgo, National Gallery) a le sue vedute romane, realizzate tra il 1836 e il 1839, sono state dipinte a Roma: tra queste «Palestrina. Composizione», che diventa anche un omaggio al compositore, o «La visione di Medea». Sono però i dipinti veneziani, quelli celebrati da John Ruskin, che chiudono la mostra di Ferrara, a lasciare stupefatti: Turner li realizzò negli anni Quaranta dell’Ottocento, e l’ossessione a quel punto era diventata la luce. Venezia fu al centro del suo dipingere negli ultimi dieci anni di vita, basti pensare ad «Arrivo a Venezia» o «Venezia e la Salute», dove la figurazione sembra archiviata e l’astrazione del colore è la nuova protagonista di una pittura sempre più rarefatta. Chi però, dalla nostra regione, cominci a scendere per andare a Ferrara, può fare una tappa a Verona, presso la Galleria Studio La Città, dove Hiroyuki Masuyama espone una serie di «Led Lightbox», di vario formato, dedicate al pittore inglese (fino al 31 gennaio 2009). L’ispirazione dell’artista giapponese prende spunto infatti proprio da Turner. E la mostra prosegue anche nella MLB Gallery a Ferrara (fino al 20 gennaio 2009). L’omaggio a Turner parte dai luoghi che Masuyama ha rivisitato, compiendo una sorta di viaggio sulle tracce di Turner, scattando poi centinaia di fotografie. Gli scatti ottenuti sono stati poi rielaborati con la tecnologia digitale e rimontati. Le fotografie non sono più solo i luoghi dei quadri di Turner, ma una reinterpretazione della realtà. Di essa Masuyama ha registrato altre cose del luogo originario, ad esempio turisti o le impalcature dei restauri in corso sugli edifici. Le fotografie così ottenute e illuminate dai «led» posti sul retro della scatola, in cui le immagini sono state inserite, riproducono i luoghi con i particolari contemporanei, ma che si possono vedere solo se si guarda l’opera da vicino. La bravura di Masuyama è di sapere restituire la sensazione della luce che Turner aveva percepito naturalmente e che poi aveva trasferito nei quadri. Masuyama ha ripercorso il viaggio di Turner e ne ha adottato il metodo di lavoro, le fotografie sono per lui quello che i disegni erano per Turner. Tutto è ripensato e riprodotto una volta tornato nello studio; una sorta di spunto per la memoria, che restituisce però più verità. La verità dei luoghi e dei quadri originali di Turner. Fotografia | Donev, Jordanov, Keshishian e Papazyàn espongono a Rovereto Quattro bulgari secchi CORONA PERER I l più famoso dei quattro, Garo Keshishian, origini armene, venne a Rovereto quattro anni fa per dare il via alla Galleria Transarte che in questi anni ha sempre proposto importanti eventi culturali. Il più giovane, Rossen Donev, è forse il più classico dei quattro. In ogni caso, tutti condividono un «dettaglio»: la nazionalità. Sono bulgari, e Sergio Poggianella, patron di Transarte, li presenta così: «Quattro bulgari secchi rigorosi nella scelta del bianco e nero, per la precisa volontà di non distogliere l’emozione dall’immagine. Quattro artisti talentuosi per la personalissima ricerca tecnico-stilistica». La mostra è stata inaugurata venerdì scorso nei locali della galleria in via Valbusa e resterà aperta fino al 29 febbraio. Vengono proposti «fotografi» che vivono in Bulgaria, a Varna, sul Mar Nero, le cui scelte estetiche, pur differenti tra loro per temi e linguaggi, rappresentano tuttavia la realtà artistica del loro Paese. «Sfuggiti alle spire di un forzato artigianato fotografico di stampo realista sovietico, sono alla costante ricerca di una identità nuova», dicono da Transarte. Garo Keshishian (Varna, 1946) inaugurò Transarte con un’antologica non convenzionale. Oltre alla mostra con i connazionali da Transarte, una sua opera verrà installata a breve nel mezzanino del Mart in occasione dell’annuale appuntamento «Auguri ad Arte». Si tratta di una installazione di sedici ritratti fotografici, «Vocal-player» (2000), che esprime la forza e le potenzialità della musica vocale che veicola la rabbia di una società repressa. L’opera sarà visibile dal 12 dicembre al 18 gennaio pros- simo ma intanto il celebre fotografo partecipa a «4 bulgari secchi». Ma ecco gli altri tre. Jordan Jordanov (Sòfia, 1940), noto per i suggestivi reportage promossi e finanziati dalla Swiss Cultural Foundation «Pro Helvetia», qui presenta «Mongolia» (1999). Rossen Donev (Varna, 1953) presenta immagini dei luoghi più remoti della Bulgaria, dove cerca e mette in luce la civiltà rurale. Ashot Papazyàn (Gumri, Armenia,1950) è il più innovativo dei quattro con i suoi tagli fotografici che fanno della foto una sorta di struttura architettonica su carta foto sensibile, se non vere e proprie sculture tra ombra e luce. «4 bulgari secchi»: fotografie di Donev, Jordanov, Keshishian, Papazyàn. Galleria Transarte a Rovereto (via Valbusa), fino al 28 febbraio 2009. Orario: 16-19. Una fotografia di Ashot Papazyàn: quasi una scultura, tra ombra e luce