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Il fronte del Pacifico - Lau-Mar-Fil
SCUOLA MEDIA STATALE “BUSONI - VANGHETTI” EMPOLI LA SECONDA GUERRA MONDIALE Il fronte del Pacifico Da Pearl Harbor a Hiroshima ESAME DI LICENZA MEDIA Tesina di STORIA Studente: Filippo Turchi Classe 3ª Sez. E Anno scolastico 2008/2009 LA SECONDA GUERRA MONDIALE IL CONFLITTO NEL PACIFICO Prologo Nella seconda metà degli anni trenta, il Giappone si convinse che non avrebbe potuto sopravvivere ad una guerra contro le potenze europee, senza prima assicurarsi fonti di risorse naturali ed il predominio commerciale nell’oceano pacifico. Per raggiungere tali obiettivi nel 1937 intraprese la guerra contro la Cina. Nel 1939 le forze giapponesi cercarono di spingersi nell'Estremo Oriente Russo dalla Manciuria, ma furono duramente sconfitte nella Battaglia di Halhin Gol da una forza mista sovietica e mongola condotta da Georgy Zhukov. Questo fermò l'espansione giapponese verso nord e Giappone ed Unione Sovietica mantennero una pace inquieta fino al 1945 quando quest’ultima giocò un ruolo importante, per la parte alleata, nelle ultime settimane di guerra. Nel settembre del 1940 il Giappone costrinse il governo di Vichy a cedere la zona nord dell’Indocina. Gli Stati Uniti, allora, proibirono l’esportazione in Giappone di acciaio, ferro e combustibile per l’aviazione. Nel 1941 il Giappone era in una posizione di stallo sul fronte Cinese, dove compiva azioni brutali anche contro la popolazione civile, come il massacro di Nanchino, che fecero schierare l'opinione pubblica americana ed europea contro i Nipponici. Questa situazione spostò l’azione militare giapponese nel sud-est asiatico. Il 23 luglio il Giappone occupò il Sud dell’Indocina. Per frenare le mire espansionistiche nipponiche, gli Stati Uniti, il Regno Unito ed il governo olandese in esilio interruppero la vendita di petrolio al Giappone, il quale considerò ciò come un atto di aggressione, dato che senza queste risorse la sua macchina bellica si sarebbe arrestata. L'8 dicembre 1941, le forze giapponesi attaccarono i possedimenti della corona britannica di Honk Kong, Shanghai e le Filippine; utilizzarono inoltre le basi della Francia di Vichy, nell'Indocina francese, per invadere la Thailandia e da qui lanciarono l’assalto contro la Malesia. Contemporaneamente, anche se nelle Hawaii era il 7 dicembre a causa della differenza di fuso orario, lanciarono un massiccio attacco contro la flotta statunitense ormeggiata Pearl Harbor. Tre giorni dopo le due maggiori unità navali britanniche nel Pacifico venivano affondate. Si apriva così un nuovo fronte di guerra in Estremo Oriente. L’intervento degli Stati Uniti Finora rimasti neutrali, gli Stati Uniti si prepararono allo scontro con il Giappone in Asia e nell’oceano Pacifico, stringendo nel frattempo accordi con la Gran Bretagna per determinare le strategie da seguire nell’eventualità di una loro entrata in guerra. Nel marzo del 1941 il Congresso americano approvò il Lend-Lease Act (Affitti e Prestiti), un programma di aiuti militari ed economici da concedere a qualsiasi paese designato dal presidente e del quale beneficiarono la Gran Bretagna e, dopo l’invasione tedesca nel giugno del 1941, anche l’Unione Sovietica. Gli Stati Uniti speravano in una sconfitta dell’Asse senza un loro coinvolgimento diretto, ma alla fine dell’estate del 1941 si trovarono in una posizione di guerra non dichiarata con la Germania. In luglio reparti di marines americani furono dislocati in Islanda, occupata dagli inglesi: nel maggio del 1940 la Marina militare americana ebbe l’incarico di scortare i convogli nelle acque a ovest dell’Islanda; in settembre il presidente Franklin Delano Roosevelt autorizzò le navi di scorta ai convogli ad attaccare le navi da guerra dell’Asse. 1 L' attacco di Pearl Harbor All’alba del 7 dicembre 1941 le forze navali ed aeree giapponesi attaccarono la base navale statunitense di Pearl Harbor, nelle isole Hawaii. L'attacco, portato senza una preventiva dichiarazione di guerra, che fu formalizzata soltanto ad azione iniziata, causò l'intervento statunitense nella seconda guerra mondiale. L'attacco fu concepito e guidato dall'ammiraglio Isoroku Yamamoto, che sperava di distruggere la flotta americana nel Pacifico. In poco più di un'ora i 360 aerei partiti dalle portaerei giapponesi affondarono 4 delle 8 corazzate americane, mentre le altre furono fatte arenare o subirono gravi danni. Fortunatamente per gli americani le loro tre portaerei, la Lexington, la Saratoga e la Enterprise, che sarebbero poi state determinanti nelle successive battaglie, si salvarono trovandosi in navigazione lontano dalla loro base. Questa parziale vittoria permise al Giappone di ottenere, momentaneamente, il controllo del Pacifico e spianò la strada ai successivi trionfi nipponici, prima che gli USA riuscissero ad armare una flotta in grado di tenere testa a quella giapponese. Figura 1 - La rotta della flotta giapponese verso Pearl Harbor Insieme a questa operazione Yamamoto organizzò la contemporanea conquista della basi americane, poco difese, poste sull' atollo di Wake e sull'isola di Guam, la più grande delle isole Marianne. La conquista di queste basi, oltre all'attacco a Pearl Harbor, aveva lo scopo di tenere lontane le forze americane dal teatro delle operazioni di conquista del Giappone nell'Estremo Oriente, dove i giapponesi contavano di occupare, come poi faranno, le Filippine, il Borneo e Singapore. La flotta destinata all'attacco di Pearl Harbor era costituita da due divisioni navali: la forza di attacco e quella di scorta. La Forza di attacco consisteva in sei portaerei con a bordo un totale di 423 velivoli (all'attacco ne parteciperanno 360) fra i quali bombardieri d'alta quota, bombardieri in picchiata, aerosiluranti e caccia per la scorta, oltre a vari ricognitori, ed era posta agli ordini del viceammiraglio Nagumo, imbarcato sulla portaerei Akagi. Quella di scorta era composta da 2 due corazzate, due incrociatori pesanti, nove cacciatorpediniere, tre sommergibili e 8 navi cisterna per il rifornimento delle due flotte in mare. Inoltre una flotta di sommergibili (fra i quali 5 tascabili), al comando del viceammiraglio Mitsumi Shimitzu, avrebbe dovuto portare un attacco supplementare destinato ad affondare le navi americane che fossero riuscite a prendere il largo e comunque ad aumentare il disorientamento provocato dall'attacco aereo. Per ridurre fortemente le probabilità di intercettazione da parte di imbarcazioni mercantili e/o ricognitori aerei, l'ammiraglio Yamamoto scelse una rotta più lunga di quella che ci si sarebbe aspettati: decise di far risalire verso nord la flotta attaccante dal Giappone fino alle isole Curili per poi piegare verso sud-est e giungere sull'obbiettivo da nord, dopo aver aggirato da settentrione le Midway. La scelta del giorno (alba del 7 dicembre, tempo di Honolulu) fu dettata da una serie di considerazioni di varia natura: era una Domenica, giorno di libera uscita per moltissimi militari, quindi era prevedibile una scarsa efficienza nella reazione all'attacco, inoltre era una notte di luna nuova e l'oscurità favoriva la sorpresa, oltre a considerazioni di carattere meteorologico. Figura 2 - L'attacco a Pearl Harbor Le battaglie sul Pacifico Nei primi mesi di guerra, la situazione navale degli anglo-americani era quanto mai precaria, a causa delle gravi perdite subite a Pearl Harbour, in Malesia e nel mare di Giava. Tuttavia gli americani reagirono con decisione, utilizzando al massimo la sola arma efficace di cui in quel momento disponevano: quella sottomarina. Sommergibili americani (e in un secondo tempo anche inglesi) furono sguinzagliati in tutto il Pacifico a caccia di navi e di trasporti giapponesi. Ci furono alcuni successi contro il traffico di rifornimento nipponico, ma senza mettere in gravi difficoltà i convogli giapponesi che, in quei giorni, solcavano i mari della Sonda. 3 Figura 3 - Sommergibili nella base di Pearl Harbor La conquista dell’arcipelago delle Filippine da parte dei Giapponesi I giapponesi sbarcarono nelle Filippine, la chiave di volta dell'intero sistema difensivo americano nel Pacifico, il 13 dicembre 1941. La loro offensiva aveva avuto fino dai primissimi giorni grandi successi. Essi iniziarono quell'azione di accerchiamento che il 2 gennaio li avrebbe portati alla conquista di Manila, capitale dell'arcipelago, ed all'occupazione della baia di Cavite, sede della flotta americana nelle Filippine. Il comando delle truppe statunitensi era confinato nell'isola fortificata di Corregidor, posta all'imboccatura della baia di Manila, ma si dovrà arrendere il 6 maggio 1942, consegnando l’intero arcipelago e le loro basi militari costate milioni di dollari all’esercito del Sol Levante. Figura 4 - Soldati nipponici ammainano l'ultima bandiera americana nelle Filippine 4 L’avanzata giapponese E' il grande momento del Giappone. Distrutte le flotte nemiche, conquistate le Indie Olandesi, le Filippine, il Borneo, invasa la Birmania, minacciata l'India, sembra che il sogno di un « Nuovo Ordine » nell'Asia Orientale debba avverarsi. Al grido di risveglio lanciato dai nipponici rispondono i nazionalisti di tutti i paesi asiatici. La Thailandia si è già schierata col Giappone e coopera alle operazioni militari contro la Birmania. Nelle Indie Olandesi si organizza in breve un governo filo-nipponico che proclama l'indipendenza dell'antica colonia. Nelle Filippine elementi antiamericani affiancano i generali nipponici. Anche dall'India, sempre più ostile al dominio britannico si alza un vento di rivolta. Bombardamento di Tokio Il 18 aprile 1942 ci fu il primo attacco aereo che gli Stati Uniti d'America condussero sul suolo giapponese. Una grossa formazione di bombardieri americani apparve di sorpresa nel cielo della capitale giapponese, scaricando sulla città il suo micidiale carico di bombe. Anche se gli effetti del bombardamento non furono ingenti, ma servì ad alzare il morale delle truppe americane. Figura 5 - Caccia americani bombardano Tokio Battaglia del Mar dei Coralli e delle Midway. I giapponesi, vittoriosi in tutto il Pacifico, decisero di estendere la loro espansione militare verso il Mar dei Coralli. I velivoli da combattimento statunitensi, decollati dalle portaerei “Lexington” e “Yorktown”, furono subito lanciati all'attacco ed ottennero il primo importante successo della guerra contro le navi giapponesi. Gli americani con la battaglia del mar dei Coralli (7-8 maggio 1942) e quella delle Midway (giugno 1942) riuscirono a fermare l’avanzata giapponese nel Pacifico centrale, ma questa proseguì nel settore sudoccidentale nelle isole Salomone ed in Nuova Guinea. 5 Riscossa U.S.A. a Guadalcanal Nell'agosto del 1942, con l'occupazione di Guadalcanal, nelle Salomone, e con la conquista di alcune isole dell'arcipelago delle Aleutine, i giapponesi raggiunsero il culmine della loro potenza nel Pacifico. Ma, proprio in quel momento, quando sembrava, che più nulla potesse opporsi alla loro espansione, cominciò la crisi nipponica. Il primo segno della ripresa offensiva americana si ebbe nella battaglia di Midway, dove i nipponici, nel giro di poche ore, persero tutte e quattro le loro portaerei e furono costretti a rinunciare al tentativo di sbarco nella isola. Contemporaneamente gli americani si risollevano dal colpo a sorpresa di Pearl Harbour e le loro squadre venivano raggiunte sia dalle navi sottratte allo scacchiere atlantico, sia dalle nuove, appena uscite dai cantieri. Figura 6 - Lo sbarco a Guadalcanal Molto più complessa, per il suo sviluppo, per importanza strategica e per le sue conseguenze sul quadro generale del conflitto nel Pacifico, fu la lotta per la conquista di Guadalcanal. Il possess o di questa isola, come quella di Midway, aveva una grande importanza per ambedue le parti contendenti. In mano ai giapponesi sarebbe stata la piattaforma di lancio per il dominio totale e incontrastato del Mar dei Coralli. In mano agli americani, invece, avrebbe alleggerito il duro servizio delle portaerei, costrette ad operare lontanissime dalle loro basi di armamento, e sarebbe servita a neutralizzare la grande base nipponica di Itabaul. Ben si comprende, quindi, l'accanimento con cui fu combattuta la battaglia di Guadalcanal che, dal 7 agosto 1942, data dello sbarco, continuò fino al febbraio del 1943. La reazione del Giappone fu pronta e violenta. Le perdite in navi ed aerei furono pesanti per entrambi i contendenti, ma furono i giapponesi ad uscirne sconfitti, dopo quasi sei mesi di durissimi scontri. Figura 7 – Attacco terrestre Figura 8 – Guado di un fiume 6 Le operazioni nel Pacifico sud-occidentale Tra il marzo ed il settembre del 1943, sullo scacchiere del Pacifico, gli americani condussero una serie di operazioni anfibie nelle Aleutine, nella Nuova Georgia e nella Nuova Guinea. Particolarmente importanti queste ultime due, perché proseguirono l’azione di smantellamento dello schieramento nipponico dal suo pernio principale: il Pacifico sudoccidentale. Infatti gli australiani e gli americani, al comando del generale Mac Arthur, costrinsero i giapponesi a ritirarsi fin sulla costa orientale della Nuova Guinea. Operazioni nel Pacifico centrale Il primo sbarco nel Pacifico centrale avvenne nelle isole Gilbert a Makin e Tarawa, nel novembre del 1943. Dopo lunghi combattimenti e pesanti perdite a causa della strenua difesa da parte dei giapponesi le isole caddero una ad una in mano americana. Le battaglie del mare delle Filippine Nel 1944 le operazioni di guerra contro il Giappone subirono una forte accelerazione: in primavera gli Alleati pianificarono un’avanzata, al comando del generale MacArthur, attraverso la Nuova Guinea, per riconquistare l’arcipelago delle Filippine. Una seconda operazione sarebbe stata condotta dall’ammiraglio Nimitz nel settore del Pacifico centrale, puntando all’occupazione delle isole Marianne e Caroline. Il 15 giugno 1944 le forze americane sbarcarono nell’isola di Saipan, nelle Marianne; il 10 agosto avevano conquistato Guam, obiettivo chiave della strategia ideata per porre fine al conflitto. L’isola poteva ospitare le basi per i nuovi bombardieri americani a lungo raggio, i B-29 Superfortress, in grado di raggiungere Tokyo e le città giapponesi. La superiorità navale americana nel Pacifico consentiva di pensare all’invasione del Giappone: i bombardamenti cominciarono nel novembre 1944, mentre proseguivano le operazioni nelle Caroline e nelle Filippine. Il 19 e il 20 giugno la prima flotta mobile dell’ammiraglio nipponico Ozawa Jisaburo incrociò l’Unità operativa statunitense 58, comandata dall’ammiraglio Marc Mitscher. Nella battaglia, che passò alla storia come “battaglia del Mare delle Filippine”, i caccia americani abbatterono gran parte degli aerei giapponesi, mentre i sottomarini americani affondarono tre portaerei nipponiche. Ozawa virò verso Okinawa con 35 aerei rimasti su 326, mentre Mitscher perse soltanto 26 aerei e tre navi riportarono danni non gravi. La successiva battaglia del Golfo di Leyte, chiamata anche “seconda battaglia del Mare delle Filippine”, è generalmente considerata la più grande battaglia navale della Seconda Guerra Mondiale e forse anche della storia. È stata combattuta nelle acque vicino all’isola filippina di Leyte, dal 23 al 26 ottobre 1944. Il 20 ottobre 1944 le truppe statunitensi avevano invaso l’isola di Leyte, come parte di una strategia atta ad isolare il Giappone dalle nazioni che aveva occupato nel Sud-est asiatico e in particolare per sottrarre al nemico preziosi rifornimenti di carburante ed industriali. A seguito di quest'invasione, la Marina Imperiale Giapponese mobilitò la quasi totalità delle sue rimanenti 7 unità navali maggiori, nel tentativo di ribaltare l’esito della battaglia, ma fu respinta dalla Terza e dalla Settima flotta della Marina degli Stati Uniti. La Marina Imperiale Giapponese fallì il proprio obiettivo e subì perdite ingentissime tanto da non poter più schierare, in seguito, una flotta di tali dimensioni. La maggioranza delle unità sopravvissute, a causa della scarsità di carburante disponibile, finì per rimanere inattiva presso le proprie basi per il resto della battaglia del Pacifico. Inoltre questa fu la prima battaglia in cui aerei giapponesi attaccarono con la tecnica kamikaze. Figura 9 - Attacco kamikaze I Kamikaze Quando gli americani sbarcarono nelle Filippine ed i resti della Flotta imperiale erano impegnati nella battaglia del Golfo di Leyte, veniva inaugurata dall'Aviazione di Marina nipponica la tattica dell’ attacco suicida. Era infatti nell'ottobre del 1944 che l'ammiraglio Takajro Onishi, comandante della Flotta aerea, formava con gli apparecchi superstiti della 201ª Squadra il I° Corpo Kamikaze. Il nome Kamikaze, che significa Vento Divino, veniva dato al nuovo Corpo d'attacco speciale, a ricordo di una terribile tempesta che nel XIII° secolo aveva distrutto una potente flotta cinese che si apprestava ad invadere il Giappone. 8 Dal 20 ottobre 1944, al 15 agosto 1945, 2.580 piloti Kamikaze si sacrificavano coscientemente esplodendo contro le navi nemiche, nel tentativo di evitare la sconfitta del proprio paese. Il giorno dopo la capitolazione, il 18 agosto, anche l'ammiraglio Onishi, raggiungeva i suoi uomini caduti prima di lui, facendo hara-kiri. Con questo ultimo atto, a chiusura del secondo conflitto mondiale, aveva termine la leggendaria tradizione dell'invincibilità del Samurai e dell'Impero nipponico. Gli aerei impiegati dai Kamikaze erano, dapprima, caccia Mitsubishi tipo Zero con una bomba da 250 kg, poi furono sostituiti dagli Ohka, che significa “bocciolo di ciliegio”, delle vere bombe volanti che venivano trasportate dai bombardieri in vicinanza degli obbiettivi da colpire. Figura 10 - gruppo di Ohka, le bombe volanti pilotate Il Giappone in difficoltà All’inizio del 1945, nel Pacifico, la fine della guerra non sembrava vicina. Anche se i successi degli Alleati permettevano loro di rioccupare le isole perse negli anni precedenti e di avvicinarsi sempre più al Giappone, la Marina nipponica anche se non era in grado di sferrare attacchi massicci, usando le azioni suicide dei kamikaze, durante i combattimenti di Luzon, nelle Filippine, riuscì a distruggere 17 navi statunitensi, danneggiandone 50. 9 Le battaglie di Iwo Jima e di Okinawa Il 19 febbraio si scatenò la battaglia di Iwo Jima, che si protrasse sino al 16 marzo. Ebbero la meglio gli Americani che utilizzarono i due aeroporti dell’isola come base per i loro aerei Boeing B-29 Superfortress. Da qui, in breve tempo, raggiungevano le città giapponesi per bombardarle. Figura 11 - Osaka bombardata Il 1° aprile 1945 la Xª Armata americana sbarcò a Okinawa, con il più grande assalto anfibio della guerra del Pacifico. Gli Alleati attribuirono alla pianificazione dell'assalto ed alla conseguente battaglia il nome in codice di Operazione Iceberg. Lo scontro si protrasse da marzo a giugno del 1945. Okinawa aveva una vasta popolazione civile, che vide soccombere almeno 150.000 persone a causa della battaglia. Nessuno dei contendenti si immaginava che in tale teatro si sarebbe svolto lo scontro più importante della guerra. Gli Alleati avevano progettato l'”Operazione Downfall”, ovverosia l'invasione delle isole Kyushu e Honshū. Figura 12 - Bandiera americana issata ad Iwo Jima 10 L’ Attacco al Giappone La conquista di Okinawa permise la costruzione di una nuova base per gli aerei B-29 che si aggiungeva a quelle già in uso a Saipan (distante da Tokyo 2.250 km.) e di Iwo Jima (a 1.100 km. dalla capitale nipponica). Da queste tre basi gli americani lanciavano giorno e notte attacchi sul territorio giapponese, senza incontrare ormai più alcuna reazione da parte dei caccia nipponici che erano stati trasferiti in Corea, allo scopo di preservarli per il giorno dello sbarco americano nell'arcipelago giapponese. In realtà il preventivato sbarco nell’isola di Kyushu non avvenne mai. In più di tre anni di guerra del Pacifico, gli Stati Uniti avevano perso 400.000 uomini, tra morti, feriti e dispersi. Il bombardamento e la conquista di Okinawa causarono la morte di 150.000 civili e militari giapponesi, e la perdita di circa 70.000 soldati americani. Il possesso dell’isola offrì una base ideale per la conquista del Giappone, ma i comandi Alleati temevano perdite 3-4 volte superiori, dato l'acceso patriottismo dei soldati giapponesi che aumentava mano a mano che arretravano verso la madrepatria. Per questo il Presidente degli Stati Uniti d'America Harry S. Truman, decise di utilizzare la bomba atomica sul Giappone. Nelle sue intenzioni il bombardamento doveva determinare una risoluzione rapida della guerra, infliggendo una spaventosa distruzione tale da ottenere la resa dell'Impero giapponese. Il 26 luglio 1945 Truman e gli altri capi di Stato Alleati stabilirono, nella Dichiarazione di Potsdam, i termini per la resa giapponese. Il giorno seguente, i giornali giapponesi riportarono la dichiarazione, il cui testo venne diffuso anche radiofonicamente in tutto il Giappone, ma il governo militare la respinse. Il segreto della bomba atomica era ancora custodito, e la sua esistenza non venne minimamente accennata nella dichiarazione. La prima esplosione atomica, per così dire “di prova”, era avvenuta ad Alamogordo, nel New Mexico, il 16 luglio 1945. Figura 13 - Il test nucleare di Alamogordo Figura 14 - I maggiori artefici della bomba atomica: la dottoressa ebrea Lisa Meitner, profuga tedesca; Enrico Fermi, italiano; il direttore dello stabilimento di produzione della prima bomba atomica, Oppenheimer: l'inglese professor sir Henry Dale, presidente della « Royal Society »; l'inglese sir George Paget Thomson, un fisico dell'Imperiale Scuola di Scienze. 11 Il lancio dell’atomica su Hiroshima Al velivolo 44-86292 non era stato ancora dato un nome. Tibbets chiese di dipingere la scritta ENOLA GAY, appena sotto il finestrino del pilota, sul sportello laterale. Era il nome da nubile di sua madre e Paul Tibbets intendeva onorarlo portandoselo dietro nel corso della sua carriera. Subito dopo mezzogiorno, quella domenica, la bomba atomica Mk-1 denominata Little Boy, con i suoi tre metri di lunghezza, settanta centimetri di larghezza, e un peso di quattro tonnellate e mezzo, fu caricata nella stiva bombe appositamente modificata. Tibbets seguì tutte le operazioni e con scetticismo pensò come fosse possibile che quella sola bomba avesse una potenza esplosiva pari a duecento mila bombe da 90 kg che lui aveva sganciato sull'Europa e sull'Africa nei tre anni precedenti. Figura 15 - Tibbets davanti all'Enola Gay Insieme all'Enola Gay, partecipavano alla missione altri sei aerei. L'obbiettivo principale era Hiroshima, ma se il maltempo avesse impedito il bombardamento, Kokura e Nagasaki erano i potenziali obbiettivi alternativi. Il Great Artiste di Charles Sweeney e il velivolo anonimo N° 91 di George Marquart (successivamente denominato Necessary Evil), che trasportava le attrezzature per le riprese e altra strumentazione speciale, erano di scorta all'Enola Gay. Quella sera, alle 23:00, gli equipaggi dell'Enola Gay e degli altri due aerei che lo avrebbero accompagnato verso il suo obbiettivo ricevettero il briefing definitivo. Quella fu la prima volta in cui discussero della potenza della bomba che avrebbero sganciato. Rimasero sbalorditi; la vastità dell'esplosione richiedeva rapide manovre evasive da effettuare immediatamente dopo il rilascio della bomba, procedure a cui erano stati addestrati in modo preciso. Il decollo ha luogo come programmato alle 02:45. Tibbets porta l'aereo a bassa quota mentre il Capitano Parsons va nel retro per armare la bomba. Quando raggiungono Iwo Jima, Tibbets gira in tondo all'isola per attendere l'arrivo degli altri due aerei, per poi insieme riprendere progressivamente quota. Avevano ancora 1.700 miglia da percorrere fino a Hiroshima e l'equipaggio faceva i turni per riposare. Claude Eatherly, a bordo dell'aereo che li precedeva, raggiunse Hiroshima, trovò il 12 cielo pulito, e lo comunicò via radio. Quindi tornò indietro verso la base. Hiroshima era diventata il bersaglio. Quando l'Enola Gay si avvicinò alla città, l'equipaggio era in grado di vederla chiaramente da oltre cinquanta miglia. Alle 8:15 sganciata la bomba, l'aereo s'impennò, alleggerito del suo peso, e Tibbets effettuò una stretta virata. Quarantatre secondi più tardi, momento in cui la bomba raggiunse l'altitudine di detonazione di 570 metri sopra il suolo, il cielo si accese. Anche se utilizzavano gli occhiali scuri, l'equipaggio si sentiva come se qualcuno avesse acceso un flash nei loro occhi. L'onda d'urto arrivò dopo altri quarantacinque secondi. Questo era il momento della verità. L'aereo barcollò, ma resistette all'esplosione. Il pericolo più imminente era passato. Nel mentre il fungo atomico si sollevava rapidamente, cosa che non si era mai vista prima, raggiungendo presto un'altitudine di sedici chilometri, cinque chilometri più in alto rispetto alla loro quota di volo. Nelson ricorda: "La città era proprio un'immensa confusione di fiamme e polvere". Van Kirk dice: "somigliava a un recipiente in cui ribolliva catrame". Non c'era molto da capire, così i tre aerei tornarono verso la base. Figura 16 - Hiroshima dopo l'esplosione atomica Il lancio dell’atomica su Nagasaki Dopo il bombardamento di Hiroshima, il Presidente Truman annunciò: “Se non accettano adesso le nostre condizioni, si possono aspettare una pioggia di distruzione dall'alto, come mai se ne sono viste su questa terra”. L'8 agosto 1945 furono lanciati volantini e furono dati avvertimenti al Giappone da Radio Saipan, ma la zona di Nagasaki non ricevette nessun avviso. Un minuto oltre la mezzanotte del 9 agosto, ora di Tokyo, l'Armata Rossa lanciò un'offensiva verso la Manciuria con oltre 1.500.000 uomini, 26.137 cannoni, 5.556 mezzi corazzati e 5.000 aeroplani. Quattro ore dopo, il governo di Tokyo venne formalmente informato che l'Unione Sovietica aveva rotto il patto di neutralità e dichiarato guerra all'Impero giapponese. Gli ufficiali anziani dell'Esercito Imperiale Giapponese inizialmente sottovalutarono la portata dell'attacco sovietico, ma ben presto imposero la legge marziale per arrestare chiunque avesse tentato di firmare la resa. 13 La pianificazione per il secondo attacco atomico venne stabilita dal colonnello Tibbets, in qualità di comandante del 509° Gruppo bombardieri di base a Tinian. Inizialmente previsto per l'11 agosto contro Kokura, l'attacco venne anticipato di 2 giorni per le pessime condizioni meteorologiche previste dopo il 10 agosto. La mattina del 9 agosto 1945 l'equipaggio del Bockscar, il bombardiere designato per la missione, si alzò in volo con a bordo la bomba atomica soprannominata "Fat Man", alla volta di Kokura, l'obiettivo iniziale della missione. Tuttavia le nubi non permisero di individuare esattamente l'obiettivo, e dopo tre passaggi sopra la città, e ormai a corto del carburante necessario per il viaggio di ritorno, l'aereo venne dirottato sull'obiettivo secondario, Nagasaki. Intorno alle 07:50 ora di Tokyo, il silenzio sulla città giapponese venne squarciato dall'allarme aereo, allarme che durò fino alle 08:30, quando cessò. Alle 10:53 i sistemi radar giapponesi segnalarono la presenza di solo due bombardieri, e il comando giapponese ritenne che si trattasse solamente di aerei da ricognizione, e non venne lanciato nessun allarme. Poco dopo, alle 11:00, l'osservatore del bombardiere, lanciò tre paracaduti con appesi dei messaggi diretti al professore Ryokichi Sagane, fisico nucleare dell'Università Imperiale di Tokyo che aveva studiato all'Università di Berkeley assieme a tre degli scienziati responsabili della bomba atomica, perché informasse la popolazione dell'immane pericolo che stavano per correre. I messaggi vennero ritrovati dalle autorità militari nipponiche, ma non furono resi noti. Dopo alcuni minuti il Bockscar iniziò a sorvolare Nagasaki, tuttavia ancora una volta le nubi nascosero l'obiettivo. Dato che non era pensabile tornare indietro e rischiare un ammaraggio con a bordo un ordigno atomico armato, il comandante decise, in contrasto con gli ordini, di accendere il radar in modo da individuare l'obiettivo anche attraverso la coltre di nubi. Così "Fat Man", che conteneva circa 6,4 kg di plutonio-239, venne sganciata sulla zona industriale della città. La bomba esplose a circa 470 metri d'altezza vicino a fabbriche d'armi; a quasi 4 km a nord-ovest dal punto previsto. Questo "sbaglio" salvò gran parte della città, protetta dalle colline circostanti, dato che la bomba cadde nella Valle di Urakami. Tuttavia il computo delle vittime fu ugualmente elevato. Secondo la maggior parte delle valutazioni, circa 40.000 dei 240.000 residenti a Nagasaki vennero uccisi all'istante, e oltre 55.000 rimasero feriti. Il numero totale degli abitanti uccisi viene comunque valutato intorno alle 80.000 persone, incluse le persone esposte alle radiazioni nei mesi seguenti. Figura 17 - Nagasaki dopo l'esplosione atomica 14 Le conseguenze delle radiazioni I superstiti dei bombardamenti atomici vennero chiamati hibakusha (被爆者), una parola giapponese che significa letteralmente "persona esposta alla bomba". Superstiti e soccorritori divennero il nucleo del pacifismo giapponese del dopoguerra, e da allora il paese nipponico è diventato paladino dell'abolizione delle armi nucleari in tutto il mondo. Durante il periodo postbellico, si utilizzò questo termine al posto di "sopravvissuti" per non esaltare la vita, cosa che all'epoca sarebbe stato considerato come una grave mancanza di rispetto nei confronti dei molti morti. Oltre che sui viventi, le radiazioni sprigionate dalle esplosioni atomiche di Hiroshima e di Nagasaki, agivano anche sui nascituri, producendo aborti, parti mostruosi ed anormali. Questi effetti si faranno sentire ancora dopo molti anni sui figli e nipoti dei colpiti. Ciò è dovuto alle alterazioni che le radiazioni producono nei cromosomi, che portano la discendenza degli hibakusha a generare figli anormali, incompleti o mostruosi che nella maggior parte dei casi decedono prematuramente. Figura 18 - Il memoriale della pace ad Hiroshima 15 La resa del Giappone Il 10 agosto 1945 il governo nipponico, che aveva rifiutato la resa pochi giorni prima, a seguito delle immani rovine causate dalla bomba atomica, attraverso la Svezia e la Svizzera fece conoscere ai governi degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e dell'Unione Sovietica il proprio desiderio di accettare i termini delle dichiarazioni di Potsdam, a patto che non venissero poste in questione le prerogative sovrane dell'Imperatore come Capo dello Stato nipponico. Il 14 agosto il Giappone capitolava senza condizioni, avendo avuto assicurazioni sulla sola richiesta riguardante la persona del Tenno. Il 15 agosto, le Nazioni Unite annunciavano al mondo la fine della seconda guerra mondiale, mentre Hirohito parlava al suo popolo ed agli alleati asiatici, ringraziandoli del loro aiuto nella guerra condotta dall'Esercito imperiale. Il 2 settembre, a bordo della corazzata Missouri, nella baia di Tokyo, i rappresentanti del governo nipponico firmarono davanti al generale Mac Arthur il documento di capitolazione. Figura 19 - La corazzata Missouri Figura 20 - Il generale Mc Arthur e l'imperatore Hirohito 16 Cronologia della guerra nel pacifico dal 1941 al 1945 1941 7 dicembre - Forze aeronavali dell'Impero giapponese attaccano a sorpresa la flotta degli U.S.A. di stanza a Pearl Harbor nelle isole Hawaii. 8 dicembre - Gli Stati Uniti dichiarano guerra all'Impero giapponese e si schierano al fianco dei britannici e dei francesi. 25 dicembre - I soldati giapponesi iniziano l'invasione di Thailandia, Malaysia e Indocina francese, sbarcano ad Hong Kong e nelle Filippine. 1942 2 gennaio - Manila viene occupata dalle forze giapponesi. 11 gennaio - L'Impero giapponese dichiara guerra ai Paesi Bassi e invade le Indie Orientali olandesi e la Birmania. 25 gennaio - La Thailandia dichiara guerra agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna. 15 febbraio - Singapore viene presa dalle forze giapponesi. 3 aprile - Le forze giapponesi iniziano l'assalto finale contro le forze americane e filippine arroccate nella penisola di Bataan. 9 aprile - Caduta di Bataan e inizio della Marcia della morte di Bataan. 6 maggio - A Corregidor, le ultime forze americane e filippine si arrendono alle forze giapponesi. 8 maggio - La battaglia del Mar dei Coralli giunge alla fine. 4 giugno - 7 giugno - Battaglia delle Midway tra le forze americane e quelle giapponesi. 7 giugno - Forze giapponesi invadono le Isole Aleutine. 7 agosto - Inizio della battaglia di Guadalcanal: i marines americani iniziano la prima azione offensiva della guerra nel Pacifico, sbarcando a Guadalcanal, nelle Isole Salomone. 17 11 ottobre - Battaglia di Capo Esperance: a nord-est di Guadalcanal la flotta americana intercetta la flotta giapponese con rifornimenti e truppe destinate alla difesa dell'isola. 12 novembre - 15 novembre - Inizia la battaglia navale di Guadalcanal tra le forze americane e quelle giapponesi. 1943 8 febbraio – Fine della Battaglia di Guadalcanal. Gli americani la conquistano. 12 luglio - Battaglia di Kolombangara tra le forze americane e quelle giapponesi. 20 novembre - Inizio della battaglia di Tarawa: sbarco di marines americani negli atolli di Tarawa e Butaritari delle Isole Gilbert. 1944 3 febbraio - Termina la Conquista delle Marshall che vengono totalmente liberate dalle forze americane 15 giugno - Battaglia di Saipan: gli Stati Uniti invadono Saipan. 19 giugno - Battaglia del Mare delle Filippine, scontro aereonavale tra la flotta giapponese e americana. Il Giappone perde tre portaerei e la gran parte degli aerei imbarcati. 10 agosto - Battaglia di Guam: truppe americane liberano Guam. 24 novembre - Bombardamento di Tokyo: Raid di 88 bombardieri americani sulla capitale giapponese. 18 1945 21 gennaio - Truppe anglo-indiane iniziano la riconquista della Birmania. Successivamente gli Alleati occupano le Filippine. 16 febbraio - Truppe americane sbarcano a Corregidor nelle Filippine. Riconquistano la penisola di Bataan. 19 febbraio - Inizia la battaglia di Iwo Jima, più di 30.000 marines sbarcano sull'isola. 23 febbraio - Battaglia di Iwo Jima: gli americani conquistano l'isola e issano la bandiera a stella e striscie, immortalata in una celebre fotografia. 23 febbraio - Manila, capitale delle Filippine, viene liberata. 17 marzo - Bombardieri B-29 americani bombardano Kobe provocando la morte di 8.000 persone. 21 giugno - Termina la battaglia di Okinawa. 16 luglio - Stati Uniti: nel deserto del New Mexico si svolge il Trinity test, la prima esplosione di una bomba atomica. 17 luglio - Inizio della Conferenza di Potsdam. 21 luglio - Il presidente Truman approva l'ordine di utilizzo della bomba atomica sul Giappone. 28 luglio - Il governo giapponese respinge la Dichiarazione di Potsdam. 6 agosto - Hiroshima: il bombardiere americano Enola Gay sgancia la prima bomba atomica (Little Boy), causando circa 150.000 vittime. 8 agosto - L'Unione Sovietica dichiara guerra all'Impero giapponese e invade la Manciuria 9 agosto - Nagasaki: esplode la seconda bomba atomica (Fat Man). 15 agosto - Giappone: capitolazione dell'imperatore Hirohito. Fine della guerra anche sull'ultimo fronte rimasto. 2 settembre - Il governo dell'Impero giapponese riconosce ufficialmente la disfatta e firma sulla corazzata americana Missouri la propria capitolazione. Finisce la seconda guerra mondiale. 19 20 21 22