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“Ho fuggito il male, ho trovato il meglio”: le punizioni dei non iniziati
“Ho fuggito il male, ho trovato il meglio”: le punizioni dei
non iniziati nell’aldil greco
Doralice Fabiano
La sorte oltremondana di coloro che hanno partecipato ai misteri di Eleusi unanimemente descritta come una condizione di gioia, caratterizzata da una
dimensione di lieta coralit e dal luminoso paesaggio dei prati fioriti, nel quale i
defunti continuano a praticare i sacri riti in onore di Iacco1. Il destino di coloro
che non hanno visto i misteri, si svolge invece tra fango e paludi oscure2. Ai non
iniziati sono infatti attribuite tre differenti punizioni, tanto strettamente
correlate tra loro da apparire spesso inflitte contemporaneamente3 : si ritiene che
negli inferi essi siano condannati ad essere immersi nel fango, a versare acqua in
una giara forata o ad attingerla con un setaccio. In questo contributo ci
proponiamo di cogliere attraverso l’analisi di tali castighi alcuni aspetti specifici
della rappresentazione del mondo infero nel contesto dei misteri, e in particolare
di mettere in rilievo il frequente ricorso a categorie inerenti al processo di
alimentazione e digestione che connota l’aldil dei non iniziati.
Il ventre degli inferi
In primo luogo prenderemo in esame la tradizione secondo cui i non iniziati
sarebbero stati condannati nell’aldil ad essere immersi nel fango4. Tale
punizione, riportata da Platone al contesto degli “esperti delle iniziazioni” e al
loro prototipo mitico Museo5, chiaramente associata nelle fonti antiche allo
stato impurit in cui si trovano coloro che non hanno partecipato ai riti di
iniziazione. Nel Fedone, “chi arriva nell’Hades senza aver avuto conosciuto i
1
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Ar. Ran. 312 – 459 in particolare i vv. 324 – 336; 339 – 352; 449 – 459. Sui problemi
storico religiosi della parodos, v. Graf 1974, 40 – 50, 79 – 83; Dover 1993, 251 – 252;
Albinus 2000, 187 – 191; Edmonds 2004, 138 – 147. Sulla tematica della gioia e della
luce si impone il confronto con Hymn.Hom.Cer. 486 – 489, v. Richardson 1974, 316 –
321.
Sulla dicotomia del paesaggio dell’aldil tra paludi e prati Albinus 2000, 131 – 141;
Edmonds 2004, 136 – 138.
Graf 1974, 103 – 120; Sissa 1987, 168 – 187.
Ar. Ran. 145 – 146, 273; Pl. Phd. 69 c; Resp. 363 d – e; Plut. fr. 178 Sandbach; Diog.
Laert. 6, 39; Aristid. Or. 22, 10; Plotinus Enn. 1, 6, 6, 5.
Pl. Phd. 69 c; Resp. 363 d – e.
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misteri, giacer nel fango, mentre chi vi giunge purificato (kekatharmnos) e
iniziato abiter presso gli dei”6. Riprendendo la stessa immagine, sei secoli pi
tardi Plutarco immagina che dopo la morte l’iniziato venga accolto in luoghi
puri (katharo tpoi) e luminosi dai quali pu vedere “la folla dei vivi che non
sono stati iniziati (amýeton) e sono impuri (aktharton) calpestarsi e spingersi in
una grande quantit di fango e nell’oscurit”7. Secondo Fritz Graf, la palude
infera si presenta come un adeguato contrappasso alla mancata iniziazione:
coloro i quali non si sono purificati attraverso i misteri in vita sono condannati a
rimanere nell’aldil in una condizione di impurit rappresentata dal fango8.
L’uso per rappresentare ritualemente di una condizione di impurit trova inoltre
conferma al di fuori dei riti iniziatici in una delle forme pi antiche di
espressione del lutto9 : rotolarsi in un pantano (o negli escrementi) costituisce
infatti uno dei modi in cui i parenti pi prossimi rendono percepibile lo stato di
contaminazione derivato dalla morte che ha toccato il gruppo familiare.
In questo paragrafo intendiamo approfondire ulteriormente l’associazione
tra fango, impurit e mondo infero, prendendo in esame il ruolo centrale della
palude nel paesaggio dell’aldil. Proprio la zona liminare tra l’Hades e il mondo
dei vivi infatti spesso descritta come una distesa di acque stagnanti: non solo
alcune entrate degli inferi sono collocate in prossimit di zone aquitrinose, come
nel caso del lago Alkyonios a Lerna e della sorgente Kyane in Sicilia, ma spesso
lo stesso fiume Acheronte, confine tra i due regni, definito lmnē o palus 10. Pur
essendo ben nota la mefiticit di tali regioni, che da Ippocrate a Vitruvio sono
descritte come fonte di malattie e di morte11, il rapporto tra paludi e mondo
infero non si esaurisce qui. Esiste infatti una correlazione assai pi profonda che
vede questo ecosistema al centro di una rete simbolica che associa il fango alla
decomposizione, alla digestione e agli escrementi. Nelle Rane ad esempio,
6 Pl. Phd. 69 c ja· jimdume¼ousi ja· oR t±r teket±r Bl?m oxtoi jatast¶samter oq vaOko¸
timer eWmai, !kk± t` emti p²kai aQm¸tteshai fti dr #m !l¼gtor ja· !t´kestor eQr Îdou
!v¸jgtai 1m boqbºq\ je¸setai, b d³ jejahaql´mor te ja· tetekesl´mor 1je?se !vijºlemor
let± he_m oQj¶sei.
7 Plut. fr. 178 Sandbach 1j d³ to¼tou v_r ti haul²siom !p¶mtgsem ja· tºpoi jahaqo· ja·
keil_mer 1d´namto, vym±r ja· woqe¸ar ja· selmºtgtar !jousl²tym Req_m ja· vasl²tym
"c¸ym 5womter· 1m aXr b pamtekμr Edg ja· lelugl´mor 1ke¼heqor cecom½r ja· %vetor
peqii½m 1stevamyl´mor aqci²fei ja· s¼mestim bs¸oir ja· jahaqo?r !mdq²si, t¹m !l¼gtom
1mtaOha t_m f¾mtym <ja·> !j²haqtom 1voq_m ewkom 1m boqbºq\ pokk` ja· bl¸wk,
pato¼lemom rv’ 2autoO ja· sumekaumºlemom.
8 Graf 1974, 103 – 107.
9 Il. 22. 414 (escrementi); 24, 165 (escrementi); 24, 640 (fango); Od. 24, 315 – 317
(fango). cfr. Luc. De luct. 12, in cui i parenti in lutto si sporcano il capo di polvere e si
rotolano per terra.
10 Paus. 2, 36, 6 (Lerna); Diod. Sic. 5, 4, 2 (Kyane). Sull’Acheronte come palude v.
Thuc. 1, 46, 2; Eur. Alc. 443; Pl. Phd. 112 e, 113 a – d; Str. 7, 7, 5; Liv. 8, 24, 3.
11 Per la pericolosit delle paludi i loci classici sono Hippocr. Ar 7; Vitr. 1, 4, 1.
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Dioniso travestito da Eracle costretto per entrare negli inferi ad attraversare
“una grande distesa di fango ed escrementi senza fine”, nella quale sta immerso
“chi ha maltrattato un ospite; chi avendo approfittato d’un fanciullo lo ha
derubato del denaro promesso; chi ha battuto sua madre o colpito alla mascella
suo padre; chi ha violato un giuramento”12. Anche se il contesto chiaramente
quello dell’esagerazione comica, come dimostrato dal carattere ironico di alcune
colpe commesse da coloro che giacciono nella palude, la prossimit fango ed
escrementi ancorata ad una associazione culturale ben stabilita: nella
classificazione onirica di Artemidoro per esempio non solo il fango pu
rappresentare il sostituto onirico delle feci13, ma la similarit tra i due elementi suggerita anche dal fatto che sognare di defecare in una palude “significa
qualcosa di vantaggioso, come andare di corpo in una latrina, perch ci accade
correttamente e secondo ragione”14. Sia il fango sia gli escrementi indicano poi
nell’interpretazione dell’onirocritica l’approssimarsi di una malattia15. Palude e
latrina stanno quindi in un rapporto metonimico, confermato anche dall’identificazione di palude e intestino nell’ambito delle corrispondenze tra macrocosmo e microcosmo: per esempio, il trattato ippocratico peq· t_m 2bdol²dym,
giuntoci attraverso una traduzione latina, associa ad ogni elemento naturale una
parte del corpo, mettendo gli intestini in rapporto proprio con le paludi della
12 Ar. Ran. 145 – 150.
13 Artemid. 5, 79 Dqole»r l´kkym !cym¸feshai Req¹m !c_ma 5donem awet¹m vdator 5lpkeym
jºpqou ja· boqbºqou kab½m jºqghqom 1jjaha¸qeim ja· jatapk¼meim vdati pokk`, fpyr
euqoum te ja· jahaq¹m !pode¸neie. t0 rsteqa¸ô jkust/qa pqosh´lemor ja· rpenacac½m
t/r 2autoO castq¹r <t±> sj¼baka, ja¸peq 1cc»r £m toO !c_mor, eupour te ja· joOvor
cemºlemor 1stevam¾hg.
“Un corridore che doveva partecipare ad una gara in una festivit religiosa sogn di pulire
con una scopa e lavare con molta acqua un canale d’acqua pieno di sterco e di fango per
renderlo pulito e facilitarne lo scorrimento. Il giorno dopo, applicatosi un clistere, ed
evacuati gli escrementi dal ventre, sebbene fosse prossimo alla gara, divenuto agile e
veloce, ottenne la vittoria” [Trad. it. Giardino 2006].
14 Artemid. 2, 26.
15 Artemid. 3, 29 Pgk¹r mºsom sgla¸mei […] di± t¹ l¶te jahaq¹m eWmai vdyq l¶te c/m !kk’
1n !lvot´qym lel¸whai ja· lgd³ 6teqom eWmai. pomgq¹m owm s¼cjqila toO s¾lator toOt’
5sti mºsom pqoacoqe¼ei eQjºtyr7
“il fango preannuncie malattia […] perch non n acqua n terra pura (katharn), ma una mescolanza di entrambi gli elementi, e neppure ne forma un terzo diverso, dunque
verisimilmente preannuncia una cattiva mescolanza [scil. degli umori] del corpo, cio
malattia” [Trad. it. Giardino 2006].
Artemid. 2, 26 Jºpqor boe¸a ceyqco?r lºmoir sulv´qei, blo¸yr ja· B Rppe¸a ja· B
%kkg p÷sa pkμm !mhqype¸ar, to?r d³ koipo?r dushul¸ar ja· bk²bar sgla¸mei, lok¼mousa
d³ ja· mºsom […] !mhqype¸a d³ jºpqor pokkμ bqyl´mg pokk± ja· di²voqa sgla¸mei jaj².
“Gli escrementi dei bovini sono utili solo ai contadini, e la stessa cosa quelli di cavallo e
tutti gli altri, eccetto quelli umani; essi significano per tutti situazioni scoraggianti e
danni , e per di pi se macchiano [scil. il sognatore] significano anche malattia […]
sognare escrementi umani significa molte e gravi disgrazie” [Trad. it. Giardino 2006].
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Scizia16. Proseguendo in questa direzione, non ci sorprende trovare ulteriori
indizi che ci suggeriscono come l’Hades, in quanto habitat fangoso ed
escrementizio, possa essere rappresentato come un grande ventre intento a
digerire, cio a far decomporre ci che vi entra17. In un passo del Banchetto dei
Sette Sapienti Plutarco fa pronunciare a Solone una suggestiva requisitoria
contro l’alimentazione in cui rappresenta il ventre umano come un mondo
infero in putrefazione: “infatti [scil. il ventre] realmente l’impurit della nostra
carne ed il Tartaro, pieno come quello dell’Ade di fiumi terribili e insieme di
una mescolanza di vento e fuoco e di cadaveri”18. In queste righe Solone
polemizza contro l’alimentazione in generale e contro quella carnea in
particolare, in quanto assimilata ad un omicidio recante impurit (masma).
La gastr che digerisce assimilata all’Hades pieno di cadaveri, percorso da fiumi
e venti. L’immagine dell’oltretomba come palude di melma in putrefazione letta da Plutarco alla luce del mito escatologico del Fedone, nel quale il Tartaro rappresentato come una delle cavit presenti nel sottosuolo, dove i fiumi
infernali di fango e di lava mossi dallo pnema affluiscono formando immense
paludi19. Non sar superfluo notare che proprio la stessa immagine, quella di
una cavit percorsa da fiumi di fuoco mossi dalla respirazione, si riferisce nel
Timeo al processo della digestione20.
Questo excursus sulla rappresentazione del fango nel pensiero greco ci ha
permesso di cogliere in maniera pi precisa l’articolazione dei rapporti tra
impurit e mondo dell’aldil, e le ragioni per le quali questo elemento entra in
gioco nelle punizioni dei non iniziati, come immagine della loro sfortunata
condizione. Ci che ci preme notare che la nozione di impurit, qui costruita
in un modo culturalmente specifico attraverso categorie che appartengono alla
sfera culturale dell’alimentazione. Non tutte le impurit sono uguali, ma come
cercheremo di mostrare, l’impurit dell’aldil greco presenta delle caratteristiche
ricorrenti e coerenti, che ruotano intorno all’immagine del processo digestivo.
16 Hippocr. peq· t_m 2bdol²dym ( = Littr 8, 616 – 673), 6 Quae autem in terra sunt corpora
et arbora natura similem habent mundo que minima et que magna. […] stagna autem
vissice et longe intestinus natus.
11 Sextum cum ventur inferiore et longao intestinus exumus pontus et palus Meothis.
17 Ath. 276 d – e attesta la prossimit tra l’azione digestiva e la decomposizione: il medico
Dafno esprime l’opinione secondo la quale i pasti consumati di notte sono ritenuti pi
salutari a causa dell’azione della luna che favorisce la decomposizione. Cfr. Plut. Quaest.
Conv. 657 f – 660 d, che conferma che il processo di putrefazione della carne pi veloce
se questa esposta alla luce lunare perch quest’ultima in virt del proprio calore umido
causa la decomposizione favorendo il passaggio di ci che solido ad uno stato liquido.
18 Plut. Sept. sap. conv. 159 B [Trad. it. Lo Cascio 1997]. t` c±q emti toOt’ 1st· t¹ l¸asla
t/r saqj¹r Bl_m ja· b t²qtaqor ¢r 1m Îdou, deim_m timym Neul²tym ja· pme¼lator bloO
ja· puq¹r sulpevuql´mou ja· mejq_m peq¸pkeyr.
19 Pl. Phd. 111 e – 114 d.
20 Pl. Ti. 78e – 79 a; 80 d – e.
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Mystica vannus
La tradizione secondo la quale i non iniziati sarebbero stati condannati
nell’aldil a prendere acqua con un setaccio ci consentir di analizzare pi
approfonditamente la specificit dell’impurit che caratterizza i non iniziati e del
‘codice alimentare’ che la connota. La pena del setaccio attestata principalmente da Platone21: occorre tuttavia precisare che nel Gorgia essa attribuita ai
non iniziati ed associata alla giara forata, mentre nella Repubblica riguarda gli
ingiusti e gli empi ed associata all’immersione nel fango e ad un contesto
religioso esplicitamente eleusino22. Al di fuori del corpus platonico sono attestate
varianti nelle quali i condannati si servono non di setacci ma di vasi forati:
nell’affresco di Polignoto a Delfi alcuni personaggi indicati come non iniziati si
servano di recipienti rotti per riempire una giara23, mentre il filosofo Bione di
Boristene in uno dei suoi motti di spirito fa riferimento a generici recipienti
forati (ggois)24. Le ragioni della presenza del setaccio nell’aldil sono state
spiegate esaurientemente da Giulia Sissa come inversione di alcuni temi chiave
dei misteri eleusini: i gesti inutili e senza fine dei non iniziati costituiscono
l’immagine negativa della panoplia della vita civilizzata istituita dalla dea
Demetra attraverso i misteri, simbolizzata dalla giara, espressione della ricchezza
agricola al centro delle celebrazioni di Eleusi, e dal setaccio in quanto strumento
destinato a filtrare il vino dono di Iacco25. Pur accettando la validit di tali
conclusioni, intendiamo tuttavia come nel caso precedente approfondire il
significato religioso del setaccio con l’intenzione di verificare se questo castigo
implichi un immaginario dell’aldil analogo a quello presupposto dall’immersione nel fango.
L’utilizzo di vari tipi di setacci in ambito rituale ben noto non solo agli
interpreti moderni26, ma anche agli autori antichi: Servio per esempio nel suo
commento alle Georgiche spiega l’espressione mystica vannus Iacchi proprio
facendo riferimento al processo di purificazione operato dalle iniziazioni:
“Virgilio parla di ‘mistico setaccio’ perch i riti del padre Libero riguardavano la
21 Pl. Resp. 363 d; Grg. 493 a – b.
22 Pl. Resp. 363 d, dove setaccio e immersione nel fango fanno parte dell’escatologia
attribuita a Eumolpo e Museo. v. Graf 1974, 94 – 126.
23 Paus. 10, 30, 1.
24 Diog. Laert. 4, 50. =kece d³ to»r 1m Ædou l÷kkom #m jok²feshai eQ bkojk¶qoir ja· lμ
tetqgl´moir !cce¸oir rdqovºqoum. “Diceva che quelli che si trovano nell’Ade avrebbero
una punizione maggiore se portassero acqua con recipienti pieni e non forati”.
25 Sissa 1987, 168 – 187.
26 cfr. Harp. s.v. Kijmovºqor. t¹ k¸jmom pq¹r p÷sam teketμm ja· hus¸am 1pit¶deiºm 1stim· b
toOto owm v´qym. “Il setaccio necessario per tutte le iniziazioni e i sacrifici”. Sui vari tipi
di setaccio nel mondo antico ancora essenziale Harrison 1903, mentre pi
recentemente sul loro utilizzo rituale v. Berard 1976, 1990 e Kernyi 1976, 208 – 210.
Sul deposito votivo di lknoi in terracotta dell’Acrocorinto, v. Brumfield 1997.
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purificazione delle anime e gli uomini venivano purificati dai suoi misteri cos
come il frumento viene purificato dai setacci […] Di qui anche il nome di Liber,
perch libera”27. La definizione di Servio ci offre preziosi spunti di riflessione: in
quanto strumento finalizzato a separare il grano dalla pula, il setaccio si presta
bene ad essere interpretato come immagine di un passaggio da uno stato
‘impuro’ ad uno ‘puro’, da una condizione negativa a una positiva. Possiamo
trovare conferma a questa interpretazione analizzando alcune fonti greche
relative all’uso rituale del lknon (l’equivalente della vannus in latino), uno
strumento strettamente legato al culto di Dioniso28, nel quale svolge il ruolo di
contenitore di offerte (frutta o focacce) o di oggetti sacri, come la riproduzione
del fallo29. Pur non trattandosi esattamente dello stesso tipo di setaccio usato dai
non iniziati, indicato abitualmente dal termine kskinos 30, riteniamo comunque
di poter istituire una comparazione tra i due ogetti non solo in virt delle
testimonianze dei lessicografi31, che sovente spiegano un termine con l’altro, ma
soprattutto a causa della loro identit funzionale: entrambi svolgono infatti lo
stesso compito, quello di separare ci che buono e prezioso da ci che uno
scarto inutile e improduttivo.
E’ proprio questo il significato che il setaccio sembra assumere all’interno
del rito nuziale ateniese: “Ho fuggito il male, ho trovato il meglio: [questo detto]
si applica a chi procede dal peggio al meglio. Era costume infatti per gli Ateniesi
nel giorno delle nozze che un fanciullo con entrambi i genitori viventi
(amphithal), recando acanti insieme con frutti della quercia e un vaglio pieno di
pani, andasse in giro a dire questa frase, indicando cos il cambiamento per il
meglio. I frutti delle querce e la corona di acanti significavano infatti il male”.32
27 Serv. Comm. ad Verg. Georg. 1, 165. ‘mystica’ autem ‘Iacchi’ ideo ait, quod Liberi patris
sacra ad purgationem animae pertinebant, et sic homines eius mysteriis purgabantur, sicut
vannis frumenta purgantur […] Unde et Liber ab eo quod liberet dictus.
28 Dioniso porta l’epiteto di Likntes in Plut. De Is.Os. 35; Hymn. Orph. 46, 1 e 52, 3.
Gwyn Griffiths 1970 nota ad loc; Ricciardelli 2000, pp. 413, 433; Jaccottet 2003, I 39,
n. 46; 144. Si tratta probabilmente di un epiteto di Dioniso bambino (cfr. infra n. 35).
29 Sul lknon per portare frutta v. Soph. fr. 760, 3; Hesych. k 521. Sul lknon come
recipiente di offerte nel corso di festivit in onore di Dioniso specialmente nella
documentazione iconografica v. Berard 1976; 1990; Jaccotet 2003, I 39 n. 46;
Brumfield 1997.
30 Harrison 1903. Il lknon consisteva invece in una sorta di cesto di vimini asimmetrico,
privo di un lato, da tenersi sulle ginocchia, in cui l’eliminazione della pula avveniva per
sfregamento ed oscillazione. Per quanto riguarda il kskinos esso identificato da J. E.
Harrison con il setaccio tondo per il grano, grazie al quale si separava il grano dalla pula
per frizione e che aveva il suo equivalente latino nel cribrum, mentre l’ethms era il colino
per filtrare il vino.
31 Suda k 535; Phot. k 224.
32 Suda e 3971 =vucom jajºm, exqom %leimom : t²ttetai 1p· t_m !p¹ jajoO eQr jqe?ttom
1khºmtym. 5hor c±q )h¶mgsim 1m c²loir stq´veshai !lvihak/ pa?da, !j²mhar let±
dquýmym jaqp_m v´qomta ja· k¸jmom pk/qer %qtym, k´ceim t¹ pqoje¸lemom, aQmissºlemom
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La formula “ho fuggito il male, ho trovato il meglio” ci permette di
identificare nelle nozze un rito che consente il passaggio da una condizione
negativa di partenza, cui si allude attraverso l’immagine di piante sterili o non
coltivabili (le ghiande e gli acanti), ad uno stato positivo di approdo,
rappresentato proprio dal setaccio pieno di pani. Il codice espressivo del rito
gioca qui sull’opposizione tra la povert di una forma di sostentamento
primitiva basata sulla raccolta e la produttiva ricchezza di una vita civilizzata
fondata sull’agricoltura33. In quanto strumento che trattiene ci che produttivo
eliminando ci che scarto, il lknon rappresenta efficacemente l’idea di
passaggio ad una nuova e migliore condizione, ed destinato a contenere la
parte pi preziosa dell’operazione di ‘purificazione’ del grano, cio il suo frutto
ultimo, gli rtoi. Considerando il quadro matrimoniale in gioco, possiamo
avanzare l’ipotesi che il setaccio pieno di pani rappresenti proprio un
beneaugurante segno di fecondit per gli sposi, analogo all’uso di gettare semi
sulla coppia (riso attualmente, ma nelle campagne di una volta, grano)34. Al
posto dei semi, in questo caso ci troveremmo davanti al loro prodotto finale, il
pane. Un ulteriore elemento che ci permette di situare il lknon all’interno del
campo semantico della fertilit costituito dal fatto che esso trasportato da un
pas amphitals, cio un fanciullo con entrambi i genitori viventi: la presenza dei
bambini all’interno del rito matrimoniale costituisce infatti verisimilmente un
augurio di fecondit per gli sposi, come nel caso dei bambini che in molte
tradizioni dell’Europa moderna venivano messi a dormire nel letto degli sposi35.
E’ inoltre interessante notare che nel mondo antico il lknon svolgeva anche la
funzione di culla specialmente per gli infanti, divini36, come attestato dallo
scoliaste di Callimaco: “nei tempi antichi mettevano nel setaccio i neonati,
ritenendo quest’azione un augurio di ricchezza e frutti”37. I bambini nel vaglio,
proprio come i pani o i semi, costituiscono quindi un chiaro auspicio di
prosperit. Sembra a questo punto di poter suggerire che i possibili contenuti
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tμm 1p· t¹ jqe?ttom letabok¶m. t¹ c±q 1j t_m dqu_m ja· !jamh_m st´lla jaj¹m 5kecom.
Gli altri paremiografi e lessicografi che riportano il passo omettono 1m c²loir (Hesych.
e 7546; Phot. s.v. =vucom jajºm, exqom %leimom).
Ritroviamo un analogo simbolismo botanico nell’ambito dei costumi matrimoniali cfr.
Plut. Plut. Coniug. Praec. 138 d, dove la sposa coronata di asparago, il cui frutto
dolcissimo circondato di spine. Se Plutarco vede in questa tradizione un’allusione alla
ritrosia ‘spinosa’ della sposa nei confronti del marito e dell’unione sessuale, tuttavia
possibile vedervi anche un’allusione alla fertilit augurata agli sposi (il frutto dolcissimo),
in opposizione alla precedente condizione di sterilit rappresentata dalle spine.
Gubernatis 1878, 174 – 5.
Gubernatis 1878, 175.
Sul lknon come culla Hymn. Hom. 4, 21; Callim. Hymn. 1, 48; Hesych. k 1016.
Harrison 1903; Ricciardelli 2000, 413 – 415.
Sch. in Callim. Hymn. 1, 48 k¸jmom C t¹ jºsjimom· t¹ c±q pakai¹m 1m josj¸m\
jatejo¸lifom t± bq´vg pkoOtom ja· jaqpo»r oQymifºlemoi· C t¹ joum¸om, 1m è t± paid¸a
tih´asim.
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del vaglio, i semi mondati, i pani, i bambini, si richiamano l’un l’altro,
contribuendo a formare una costellazione di significati che alludono ai temi
della fecondit e della ricchezza in quanto meta del passaggio ad una condizione
pi felice.
Non ci sorprender ritrovare il medesimo meccanismo di funzionamento
simbolico del setaccio nel mondo delle iniziazioni, dove il tema della transizione
verso uno stato radicalmente differente rappresenta un nodo centrale. I riti che
secondo Demostene erano officiati da Eschine e sua madre in onore del dio
trace Sabazio38 costituiscono in tal senso un esempio particolarmente prezioso,
non solo perch ci imbattiamo ancora nella formula “ho fuggito il male, ho
trovato il meglio”, ma anche perch possiamo scorgervi un’interessante relazione
di opposizione tra il setaccio pieno e l’elemento del fango, che abbiamo
precedentemente esaminato. Ecco la testimonianza di Demostene: “Una volta
divenuto uomo, leggevi i libri a tua madre che celebrava i sacri riti e la aiutavi
nelle altre cose, durante la notte indossavi la nebride, libavi dal cratere,
purificavi gli iniziati, li strofinavi (apomtton) col fango e con la crusca, e, dopo
averli fatti alzare a seguito del rito di purificazione, gli ordinavi di dire: ‘ho
fuggito il male, ho trovato il meglio’ ed eri fiero che nessuno avesse gridato mai
in tale modo … Durante il giorno guidavi i bei tiasi lungo le vie incoronati di
finocchio e pioppo, premevi i serpenti sulle guance e li sollevavi sopra la testa, e
gridavi ‘euoi saboi’ e danzavi intonando ‘Hyes Attis, Attis Hyes’ corifeo, guida,
portatore del tirso, portatore del vaglio sacro (liknphoros), e quant’altro di
simile eri chiamato dalle vecchiette, come compenso ricevevi pani inzuppati nel
vino, ciambelle e dolci freschi39”.
In questo testo Eschine rappresenta l’immagine paradigmatica di colui che gi stato iniziato e pu officiare i riti di purificazione per gli aspiranti adepti del
dio: il suo ruolo rituale connotato dal diritto di maneggiare gli oggetti sacri,
38 L’identificazione del dio in onore del quale si celebravano tali riti non si trova in
Demostene, ma in Strab. 10, 3, 18. Su Sabazio, spesso identificato con Dioniso (v. Ar.
Vesp. 9 e Schol. ad loc.), v. Gicheva 1997. Il culto di questo dio si diffuse largamente
nell’impero romano, v. Turcan 1989, 289 – 324. Sull’aspetto poco edificante dei riti in
onore di Sabazio, v. Diod. Sic. 4, 4, 1 – 2, che spiega la segretezza dei riti del dio e la loro
celebrazione di notte con “la vergogna che deriva dall’atto sessuale”.
39 [Trad. it. Sanzi 2003 leggeremente modificata]. Dem. De cor. 259 – 260 !mμq d³
cemºlemor t0 lgtq· teko¼s, t±r b¸bkour !mec¸cmysjer ja· t%kka sumesjeuyqoO, tμm l³m
m¼jta mebq¸fym ja· jqatgq¸fym ja· jaha¸qym to»r tekoul´mour ja· !pol²ttym t` pgk`
ja· to?r pit¼qoir, ja· !mist±r !p¹ toO jahaqloO jeke¼ym k´ceim ‘5vucom jajºm, exqom
%leimom,’ 1p· t` lgd´ma p¾pote tgkijoOt’ akok¼nai selmumºlemor […] 1m d³ ta?r Bl´qair
to»r jako»r hi²sour %cym di± t_m bd_m, to»r 1stevamyl´mour t` laq²h\ ja· t0 ke¼j,,
to»r eveir to»r paqe¸ar hk¸bym ja· rp³q t/r jevak/r aQyq_m, ja· bo_m ‘eqo? sabo?,’ ja·
1poqwo¼lemor ‘r/r %ttgr %ttgr r/r,’ 5naqwor ja· pqogcel½m ja· jittovºqor ja·
kijmovºqor ja· toiaOh’ rp¹ t_m cqôd¸ym pqosacoqeuºlemor, lish¹m kalb²mym to¼tym
5mhqupta ja· stqepto»r ja· me¶kata.
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Fabiano, Le punizioni dei non-iniziati nell’aldil greco
157
tra cui proprio il lknon, che dobbiamo senza dubbio immaginare pieno delle
offerte delle anziane devote di Sabazio. In quanto modello di colui che ha gi
superato felicemente l’iniziazione, Eschine si presenta dunque come detentore di
un setaccio pieno, che allude al compimento della sua telet. Nella testimonianza
demostenica tuttavia, possiamo rintracciare un ulteriore elemento per noi
estremamente interessante: se la condizione del perfetto iniziato rappresentata
dal vaglio pieno, quella di coloro che si sottopongono al rito caratterizzata dal
fango e dalla crusca con cui essi sono strofinati per essere purificati40. Fango e
crusca sembrano qui alludere all’impurit dalla quale gli iniziandi devono
liberarsi per accedere ad una condizione migliore. A questo proposito innanzitutto importante sottolineare come la crusca sia uno scarto della
lavorazione del grano, analogo alla pula in quanto parte non nutriente del chicco
e come essa si opponga esplicitamente al setaccio nell’ambito dello stesso piano
semantico ‘agricolo’. La crusca infatti considerata come un avanzo strettamente
legato alla sfera degli feci: Galeno sconsiglia ad esempio di mangiare il pane di
crusca perch esso poco sostanzioso e lascia molto residuo, riempiendo il
ventre di escrementi41. Anche alla luce dell’analisi precedente possiamo dunque
suggerire che la caratterizzazione di questo elemento sia prossima a quella del
fango.
Insomma, se l’intero rito riassunto dalla formula “ho fuggito il male, ho
trovato il meglio”, sicuramente le sostanze con cui si cosparge il corpo
dell’iniziando rappresentano il ‘male’ mentre la condizione positiva dell’iniziato
(in questo caso Eschine) connotata proprio dal ruolo rituale del liknphoros: il
setaccio di colui che amministra i riti ha eliminato le impurit, ed diventato il
cesto pieno che contiene le offerte al dio o gli oggetti sacri.
E’ tempo ora di ritornare ai non iniziati, impegnati nell’inutile sforzo di
riempire il proprio setaccio con l’acqua fangosa dell’aldil. Alla luce dell’analisi
svolta possiamo suggerire che la punizione del setaccio implicitamente giocata
su un codice alimentare che oppone il nutrimento per eccellenza, il pane, agli
scarti inutilizzabili, che possono essere rappresentati da pula e crusca, ma anche
40 Il raro verbo !pol²tteim utilizzato nel testo, significa infatti “strofinare per togliere”, ed connesso al termine !polacdak¸ai, che indica il “tovagliolo” di pasta morbida con ci si
puliva le mani alla fine del banchetto e che poi veniva gettati ai cani. Per !pol²tteim v.
DELG s.v. l²ssy. Graf 1974, 106; Parker 1983, 230 – 231; Burkert 1984, 62 (con
paralleli dal Vicino Oriente antico); Paoletti 2004, 32. Il termine sembra comunque
avere un riferimento specifico ai rituali di purificazione cfr. Plut. De superst. 166 A, un
passo nel quale la vecchia che opera le purificazioni col fango definita col termine
peqil²jtqiam cqaOm utilizzando dunque un altro derivato di l²sseim col probabile
significato di “strofinare tutt’intorno”. Per le !polacdak¸ai v. Franco 2003, 50, 132 –
134. Cfr. Ar. Eq. 413 – 416; Suda s.v. !polacdak¸ai cfr. Hesych. s.v. lac¸der, l²cla.
41 Galen. De alimentor. facult. 309 ( = VI 481, 15 Khn). t¹ keptºtatom %keuqom %qtour 1j
toO koipoO poi¶saito to»r pituq¸ar amolafol´mour, akicotqºvym l³m aqt_m peiq²setai,
peq¸ttyla d’ 1qcafol´mym 1m t0 castq· pok» ja· di± toOh’ rpeqwol´mym Nôd¸yr.
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dal fango, in quanto elemento assimilato agli escrementi, ultimo scarto della
digestione. Sia nell’escatologia dei misteri, sia in altri ‘riti di passaggio’, come le
nozze, il passaggio ad una condizione migliore trova la sua espressione
nell’immagine del vaglio pieno di pani o di offerte, mentre nella rappresentazione della sorte degli amýetoi nell’aldil, il setaccio resta inesorabilmente
vuoto, e i non iniziati sono costretti a raccogliere l’acqua marcescente degli
inferi. Il plotos promesso a chi assiste ai misteri quindi rovesciato nell’aldil
nell’immagine di un setaccio destinato a restare vuoto, di un rito di passaggio
fallito42.
Digerire i misteri
Concentriamoci ora sulla pi nota punizione subita dai non iniziati, quella di
versare acqua in una giara (pthos) forata43, nella quale ritroveremo il filo rosso di
un immaginario ‘digestivo’ gi in parte esplorato da Giulia Sissa, in particolare
nella sua connessione con la rappresentazione del corpo femminile44. Sebbene le
rappresentazioni vascolari mostrino sin dal VI sec. a.C. scene di ambientazione
chiaramente infera, nelle quali un gruppo di personaggi intento a versar acqua
in una giara interrata, la loro identificazione con i non iniziati esplicita solo a
partire dalla Nekyia di Polignoto45, mentre altre fonti, in particolar modo gli usi
proverbiali, alludono alla pena della giara forata senza per far riferimento ai
non iniziati46. Il primo autore che attesta chiaramente che questo castigo attende
coloro che non hanno partecipato ai sacri riti ancora una volta Platone. Nel
Gorgia il filosofo riferisce per bocca di Socrate il racconto di un sapiente
(siciliano o italiano), secondo cui i non iniziati avrebbero dovuto nell’aldil
42 Hymn. Hom. Cer. 488 – 9 e Richardson 1974, 316 – 321. Cfr. Sissa 1987, 159 – 161.
43 La punizione com’ noto la medesima inflitta alle Danaidi. Il castigo delle fanciulle
argive tuttavia attestato nelle fonti iconografiche probabilmente a partire da met del
IV sec. a.C. (Hydria di Policoro, Mus. Naz. 38462), mentre il primo testo che la
menziona sembra essere il dialogo pseudo platonico Axiochus databile probabilmente al I
sec. a.C.. Sulle fonti relative al mito delle Danaidi v. Keuls 1974; Keuls 1986; Sissa
1987, 147 – 154; 174 – 187.
44 Sissa 1987, 168 – 177.
45 cfr. supra p. 4. Per le testimonianze iconografiche v. Kossatz-Deissmann 1981, in
particolare l’anfora di Monaco 1483 e Palermo 996.
46 Xenoph. Oec. 7, 40; Arist. Pol. 1320 a 31 – 32; Oec. 1344 b 24 – 25 ; [Plut.] De prov.
Alexandr. fr. 7 Crusius; [Plut.] peq· t_m !dum²tym 1, 46; Sud. ei 315. La forma -pkgstor p¸hor riportata anche da Diogenian. 1, 95; 7, 27; Gregor. 1, 50; Chrisoceph. 2,
20; Apostol. 3, 55. In un frammento comico del IV sec. a.C (Philetaer. CAF fr.18) la
stessa pena oltremondana attribuita ironicamente a coloro che non conoscono l’arte
della musica. E’ interessante notare che in et imperiale invece assai frequente nella
letteratura greca l’espressione “giara delle Danaidi” attestata da Lucian. Tim. 18;
Hermot. 61; Dial. Mort. 21; Alcyphr. Ep. 1, 2, 3. cfr. Sud. ei 315.
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159
riempire d’acqua un vaso forato servendosi di un setaccio, una punizione che
avrebbe inteso illustrare enigmaticamente l’insaziabilit dell’epithymetikn. “Una
volta ho sentito dire da un sapiente che qui noi siamo morti e che il corpo la
nostra tomba, e che c’ una parte della nostra anima, quella in cui nascono i
desideri, che si lascia facilmente persuadere e trascinare in su e in gi. Anzi, c’
stato un uomo di spirito – un siciliano o un italico – credo – che ci ha ricamato
sopra un mito: giocando con le parole, ha chiamato ‘vaso’ [pthos] questa parte
dell’anima che facile da impressionare e convincere [pithann te ka peistikn],
e gli sciocchi [anetoi] li ha chiamati ‘non iniziati’ [amýetoi]; e vedendo che negli
sciocchi la parte passionale dell’anima dissoluta e incontentabile, per
significare la sua insaziabilit ha usato l’immagine del vaso forato. E al
contrario di quello che pensi tu, Callicle, lui dice che nell’Ade – Ade per lui ‘l’invisibile’ – i non iniziati sono i pi sventurati, e devono versare acqua in un
vaso forato con un setaccio pieno di fori. Questo setaccio secondo lui sarebbe
l’anima, a detta di quello che mi raccontava il mito: e con l’immagine del
setaccio ha voluto far capire che l’anima degli sciocchi forata, dato che non
riesce a trattenere in s niente, per colpa della sua incredulit e della sua
smemoratezza47”.
Non possiamo stabilire in quale misura Platone rielabori una tradizione
precedente di portatori d’acqua nell’Hades: probabilmente la caratterizzazione
dell’anonimo sapiente come siciliano o italico non casuale, ma fa riferimento
ad un contesto di origine ben precisa48 – in cui la riflessione sulla sorte
dell’anima dopo la morte occupava probabilmente un posto preminente. Ad
ogni modo, ci che ci interessa maggiormente in questo passaggio la chiarezza
della metafora del non iniziato come contenitore forato e vuoto49. Giocando
47 [Trad. it. Zanetto 1994] Plat. Gorg. 493 b 6 – 7 Edg c²q tou 5cyce ja· Ejousa t_m sov_m
¢r mOm Ble?r t´hmalem ja· t¹ l³m s_l² 1stim Bl?m s/la, t/r d³ xuw/r toOto 1m è
1pihul¸ai eQs· tucw²mei cm oXom !mape¸heshai ja· letap¸pteim %my j²ty, ja· toOto %qa tir
luhokoc_m jolx¹r !m¶q, Usyr Sijekºr tir C Ytakijºr, paq²cym t` amºlati di± t¹ pihamºm
te ja· peistij¹m ¡mºlase p¸hom, to»r d³ !mo¶tour !lu¶tour, t_m d’ !mo¶tym toOto t/r
xuw/r ox aR 1pihul¸ai eQs¸, t¹ !jºkastom aqtoO ja· oq stecamºm, ¢r tetqgl´mor eUg p¸hor,
di± tμm !pkgst¸am !peij²sar. toqmamt¸om dμ oxtor so¸, § Jakk¸jkeir, 1mde¸jmutai ¢r t_m
1m Îdou t¹ !id³r dμ k´cym oxtoi !hki¾tatoi #m eWem, oR !l¼gtoi, ja· voqo?em eQr t¹m
tetqgl´mom p¸hom vdyq 2t´q\ toio¼t\ tetqgl´m\ josj¸m\. t¹ d³ jºsjimom %qa k´cei, ¢r
5vg b pq¹r 1l³ k´cym, tμm xuwμm eWmai tμm d³ xuwμm josj¸m\ !p-jasem tμm t_m !mo¶tym
¢r tetqgl´mgm, ûte oq dumal´mgm st´ceim di’ !pist¸am te ja· k¶hgm.
48 Il sapiente identificato con Empedocle da Olympiod. In Plat. Grg., 30. Elementi della
concezione Empedoclea del piacere come plrosis ovvero riempimento sono in effetti
presenti nel passo immediatamente successivo del Gorgia 393 d 5 – 395 b 9, v. Dodds
1959, 304 – 305. Secondo Dodds 1959, 296 – 299 il sapiente sarebbe invece un autore di
poemi di tipo orfico; secondo Linforth 1944, l’allegoria sarebbe invece pura invenzione
platonica.
49 Esemplare l’analisi di Sissa 1987, 180 – 187.
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sulla stretta associazione etimologica e culturale che intercorre tra l’iniziazione
(mýesis) e il verbo mýein “chiudere”, il sapiente citato da Socrate riprende
l’immagine dei non iniziati come un corpo perfettamente chiuso, le cui labbra si
serrano per non rivelare i misteri cui hanno assistito50. Questa concezione chiaramente espressa da un’immagine assai significativa dell’Edipo a Colono, il
cui coro invoca “le dee venerande” che “danno i sacri misteri come nutrimento
ai mortali, sulla cui lingua si trova la chiave d’oro degli Eumolpidi, ministri del
rito”51. La chiave sulla lingua concorre in questo caso a rappresentare
metaforicamente l’iniziato come un contenitore chiuso, che conserva gelosamente il suo contenuto52, mentre il verbo tithenontai, letteralmente “allattare”
colloca chiaramente l’azione delle dee nel campo semantico dell’alimentazione e
della maternit. Se i misteri sono nutrimento e acquisizione, il contenitore senza
fondo degli amýetoi rimanda invece all’immagine di un ventre che digerisce
senza assimilare: nel passaggio del Gorgia immediatamente successivo a quello
citato, gli anetoi-amýetoi sono infatti paragonati all’uccello caradrio53. Il
significato di questa comparazione chiarito dagli scoli al dialogo, secondo cui
questo uccello, probabilmente da identificarsi con il piviere, espelle immediatamente ci che mangia ed pertanto costretto a nutrirsi in continuazione54.
L’omologia tra vaso forato e processo digestivo evidente: la giara dei non
iniziati che si lascia sfuggire il proprio contenuto un’immagine analoga al
modello digestivo negativo del caradrio, che elimina immediatamente il
nutrimento sotto forma di escrementi, senza assimilarlo.
Non ci sorprende pertanto scoprire come la giara forata, in quanto
immagine di un ventre che digerisce-decompone tutto ci che vi entra, possa
essere usata proverbialmente per indicare sia una persona golosa, sia l’Hades
50 Linforth 1944, in particolare 302 – 3. cfr. Suda l 1486. Lust¶qia7 teketa¸. Lust¶qia
1jk¶hg paq± t¹ to»r !jo¼omtar l¼eim t¹ stºla ja· lgdem· taOta 1ngce?shai. l¼eim d´ 1sti
t¹ jke¸eim t¹ stºla.
51 Soph. OC 1050 – 1052.
ox pºtmiai selm± tihgmoOmtai t´kg
hmato?sim ¨m ja· wqus´a
jk+r 1p· ck¾ssô b´baje pqospºkym Eqlokpid÷m7
52 cfr. AP 10, 42, per l’immagine del sigillo sulla lingua:
)qq¶tym 1p´ym ck¾ss, svqac·r 1pije¸shy7
jqe¸ssym c±q l¼hym C jte²mym vukaj¶.
“Sia posto sulla lingua un sigillo alle indicibili parole: / meglio infatti custodire i
discorsi che i beni.”
cfr. anche l’espressione BoOr 1p· ck¾ssgr (Diogen. 3, 48; Zenob. 2, 70) che indica
l’impossibilit di parlare.
53 Plat. Grg. 493 d 5 – 495 b 9.
54 Schol. in Plat. Grg. 494 b 6 (308 Cufalo) = Olympiod. Schol. in Plat. Grg. 157, 23 – 158,
3 Westerink.
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161
stesso, in quanto gastr insaziabile, che domanda sempre nuove morti: “Giara
incolmabile: si dice di coloro che mangiano molto e dei ghiottoni. Deriva dal
racconto sulle Danaidi, e sulla giara nella quale versano l’acqua che attingono. Si
dice che la giara che non si riempie mai si trovi nell’Hades. Si affannano intorno
ad essa le anime dei non iniziati. E fanciulle, che si dice siano le Danaidi,
riempiendo d’acqua recipienti rotti, la versano nella giara forata. Il proverbio si
pu riferire all’Hades stesso, che, sebbene muoiano sempre molte persone, non
si riempie mai”55. Nella spiegazione di Zenobio, che affastella sincronicamente
(e confusamente) tutte le associazioni compatibili con la giara forata, tra cui
quella post-classica delle Danaidi56, ribadisce una volta di pi l’analogia tra
l’oltretomba e l’immagine di un ventre occupato da un processo digestivo
ipertrofico che richiede sempre nuovo nutrimento.
L’associazione tra vaso forato e insaziabilit acquisisce una pregnanza ancora
maggiore se si mette in parallelo con un passo del Timeo secondo cui gli dei
crearono l’intestino proprio per impedire che l’uomo si trovasse nella temibile
condizione del caradrio, condannato a mangiare in continuazione: “[scil. gli dei]
crearono la cosiddetta cavit inferiore come ricettacolo per trattenere le bevande
e il cibo in eccesso, e avvolsero tutt’intorno in spirali l’organo dal quale si
origin l’intestino, affinch il nutrimento passando troppo velocemente
attraverso il corpo, non lo costringesse a richiedere di nuovo altrettanto
velocemente altro nutrimento, e provocandone in tal modo l’insaziabilit, non
lo rendesse inadatto alla filosofia e ai doni delle Muse a causa della golosit, n
disobbediente alla parte pi divina che in noi”57. E’ particolarmente
significativo sottolineare che in questo passaggio digestione e conoscenza sono
presentati come due processi direttamente proporzionali: la conoscenza sarebbe
infatti impossibile, se il processo digestivo non consentisse all’uomo di essere
55 Zen. 2, 6 -pkgstor p¸hor7 1p· t_m pokk± 1shiºmtym ja· castqilaqco¼mtym.
Letem¶mejtai d³ !p¹ toO l¼hou toO peq· t±r Damaýdar, ja· toO p¸hou eQr dm !mil_sai
vdyq b²kkousi. K´cetai c±q oxtor b p¸hor 1m Îdou eWmai oqd´pote pkgqo¼lemor7
p²swousi d³ peq· aqt¹m aR t_m !lu¶tym xuwa¸ ja· jºqai d´, $r Damaýdar k´cousim,
pkgqoOsai 1m jateacºsim !cce¸oir vdyq pq¹r aqt¹m v´qousi tetqgl´mom. D¼matai d³ B
paqoil¸a ja· 1p’ aqtoO k´ceshai toO Îdou, fti pokk_m p²mtote hmgsjºmtym oqd´pote
pkgqoOtai.. Il proverbio non mai attestato altrove in questa forma, che ricorda il nostro
“pozzo di San Patrizio”. L’espressione citata da Zenobio sembra derivare direttamente
dall’uso che Platone (Grg. 493 b) e Plutarco (Sept. Sap. Conv. 160 B) fanno della giara
forata come simbolo di aplesta.
56 v. supra n. 43.
57 Plat. Tim. 72 e 46 – 73 a 7 Vm’ owm lμ vhoq± di± mºsour ane?a c¸cmoito ja· !tek³r t¹ c´mor
eqh»r t¹ hmgt¹m tekeut`, taOta pqooq¾lemoi t0 toO peqicemgsol´mou p¾lator 1d´slatºr
te 6nei tμm amolafol´mgm j²ty joik¸am rpodowμm 5hesam, eVkin²m te p´qin tμm t_m
1mt´qym c´mesim, fpyr lμ taw» diejpeq_sa B tqovμ taw» p²kim tqov/r 2t´qar de?shai t¹
s_la !macj²foi, ja· paq´wousa !pkgst¸am, di± castqilaqc¸am !vikºsovom ja· %lousom
p÷m !poteko? t¹ c´mor, !mup¶joom toO heiot²tou t_m paq’ Bl?m.
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almeno transitoriamente libero dal continuo bisogno di nutrirsi. Il corporecipiente che si lascia immediatamente sfuggire il suo contenuto, evoca al
tempo stesso la mancata assimilazione del cibo e un modello negativo (non
assimilativo, appunto) di apprendimento. L’analogia tra questi due processi
permette inoltre di spiegare perch i non iniziati nel discorso dell’anonimo
sapiente rappresentino proprio gli anetoi, cio coloro che non sono capaci di
acquisire il sapere filosofico. Sia la conoscenza filosofica sia i riti dei misteri sono
dunque passibili di essere rappresentati come alimenti che possono essere
correttamente conservati in vasi chiusi, cio assimilati, oppure andare persi nella
voragine del vaso forato, cio espulsi sotto forma di escrementi.
Dobbiamo a questo punto domandarci quale sia il valore di queste
conclusioni rispetto alla punizione dei non iniziati. L’immaginario digestivo
relativo alla punizione della giara forata, che la costruisce come emblema di
un’eterna insaziabilit, ci sembra particolarmente pertinente se rapportato
all’ambito di azione della dea Demetra, che gestisce tanto il plotos per
eccellenza, quello della produzione dei cereali, quanto l’esatto contrario, la
carestia e la fame. La fame stessa infatti sotto il suo dominio, come ci mostra
un raro epiteto della dea, riportato da Sofocle, quello di Azesa, un termine
derivato da azanein “seccare i frutti”58. A Siracusa invece l’ galma di Demetra
Sit “del grano” era connesso al culto di Adephaga (ingordigia, voracit)59. La
storia di Erisittone, costretto a mangiare senza mai saziarsi per avere offeso la
dea, ancora pi esemplificativa di questo potere60. In Callimaco la gastr
affamata di questo personaggio paragonata alla profondit stessa del mare in
cui tutto precipita invano61. Rinchiuso nei thlamoi che dovrebbero conservare
la ricchezza della casa, Erisittone apre invece per la sua famiglia una voragine che
tutto consuma, quasi fosse una personificazione vivente della giara forata. La
punizione dei non iniziati dunque, particolarmente adatta a rappresentare il
potere della dea nella sua accezione pi inquietante e negativa: lontani dal poter
trattenere in s il vero nutrimento costituito dai misteri della dea, essi sono
58 Hesych. a 1468 = Soph. fr. 981 Radt.
59 Ael. VH 1, 27.
60 Hes. fr. 43 a Merkelbach-West; Hellan. 4 F 7 Jacoby; Callim. Hymn. 6, in particolare i
vv. 87 – 91; Lycoph. 1393 e scholl. ad. loc.; Ov. Met. 8, 738 – 837. Per una bibliografia
essenziale v. Crusius 1884; Casanova 1977; Brillante 1983; Robertson 1984; Cassin
1987; Kron 1988.
61 Callimac. Hymn, VI 87 – 91
1mdºluwor dEpeita pam²leqor eQkapimast²r
Eshie luq¸a p²mta· jaj± d’ 1n²kketo cast¶q
aQe· l÷kkom 5domti, t± d’ 1r buh¹m oXa hak²ssar
!kel²tyr !w²qista jat´qqeem eUdata p²mta.
“E tutto il giorno a tavola mangiava senza fine, nel fondo della casa. E pi mangiava pi
il ventre gli balzava orribilmente. Ogni cibo scorreva inutilmente, senza alcun piacere,
come nella voragine del mare.” [trad. it. D’Alessio 2007].
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Fabiano, Le punizioni dei non-iniziati nell’aldil greco
163
invece l’immagine di un contenitore che trasforma tutto ci che vi viene versato
in un liquido residuale e impuro.
Le punizioni dei non iniziati, seppure in modi differenti, sembrano quindi
presupporre un comune quadro di riferimento, quello della sfera alimentare e
digestiva, che suscita interessanti spunti di riflessione. Da una parte infatti, esse
utilizzano, invertendone il segno, il codice alimentare dei misteri, sfruttando sia
elementi concretamente utilizzati nella pratica rituale, come il setaccio, sia figure
– chiave a livello di immaginario, come la giara. D’altra parte, i medesimi
castighi inferi rimandano ad una concezione negativa dell’aldil espressa
attraverso immagini di impurit, decomposizione e digestione. In entrambi i
casi, estremamente significativo notare una continua interazione tra differenti
livelli, quello delle pratiche rituali, dell’escatologia, del discorso filosofico, che
concorrono a creare tuttavia un’immagine unitaria e coerente dell’aldil dei non
iniziati.
Bibliografia
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et en prolgomnes une histoire de la vannerie grecque, “ AK ” 19, 101 – 114 (pll. 26 –
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