...

Pagherò - gruppomade

by user

on
Category: Documents
9

views

Report

Comments

Transcript

Pagherò - gruppomade
inchiesta
il loop fin a n z i a r i o
Pagherò
Alessandro Bini
Lo Stato ha un debito di 20 miliardi di euro
negli appalti pubblici; il mercato immobiliare
è in stagnazione; le banche non erogano mutui.
I
l 2013 è un anno molto difficile per l’economia italiana. Stiamo entrando nel settimo anno di una crisi
iniziata nel 2007. I maggiori centri di previsione anticipano una contrazione del PIL largamente superiore
all’1 per cento. Vi sono però alcuni segnali di rafforzamento della domanda internazionale, di cui potrebbero beneficiare le aziende esportatrici. Si tratta di un primo impulso al ciclo economico che potrebbe non
risultare sufficiente se i vincoli dal lato delle condizioni di accesso al credito e la politica fiscale di segno
restrittivo manterranno la nostra domanda interna lungo un percorso di contrazione.
Gli strumenti attivabili sono pochi, dati i vincoli esterni alle nostre finanze pubbliche, ma qualcosa si può
fare e forse, qualcosa si sta mettendo in moto.
Anticipiamo un dato: se ci posizioniamo da un osservatorio esterno la malattia più seria, che sembra colpire
il settore delle costruzioni, è la carenza – si potrebbe parlare di totale assenza – di liquidità. Manca denaro,
per far qualsiasi cosa.
I nodi che incastrano, di fatto, tutto il sistema sono sostanzialmente questi: da un lato l’amministrazione
pubblica con i suoi endemici ritardi di pagamento e patto di stabilità interno annesso; cui si aggiunge un
sistema creditizio, con i suoi credit crunch (mica roba da Superpippo), che non aiuta certo le imprese.
Mano a mano che stringiamo l’ottica, si riescono però a scorgere alcune altre zone grigie, che estendono
4
marzo-aprile 2013
la loro influenza peggiorando una situazione già bruttina di per sè. Forse non si tratta soltanto di elementi
peggiorativi, forse nascondono le cause vere – strutturali – della mancanza di denaro. Un paio di titoli:
immobiliare, energia, struttura delle imprese. Una cosa alla volta.
I ritardi dei pagamenti
Lo stato di fatto è questo: quello dei Lavori Pubblici è, in Italia, uno tra i settori più colpiti dal fenomeno
dei ritardati pagamenti della Pubblica Amministrazione. Un fenomeno che ha determinato una situazione
di estrema sofferenza per le imprese che realizzano lavori pubblici ed esteso i suoi effetti su tutta la filiera,
creando i presupposti per l’insolvenza di migliaia di imprese. Bastano infatti poche migliaia di euro per
fare fallire un’impresa.
La dimensione finanziaria dei ritardi di pagamento della P.A. nel settore dei lavori pubblici ha raggiunto
ormai i 19 miliardi di euro ed è in costante crescita. Non solo, aumentano anche i tempi di pagamento: in
media, le imprese che realizzano lavori pubblici sono pagate dopo 8 mesi e le punte di ritardo superano
ampiamente i 2 anni. Il Patto di Stabilità Interno, che limita fortemente la capacità di investimento degli enti
locali, rappresenta assieme alle difficoltà finanziarie degli Enti la principale causa di ritardo nei pagamenti.
Anche a causa di questo, le imprese entrate in procedura fallimentare sono passate da 2.210 nel 2009 a
Paolo
Buzzetti
Presidente
ANCE
I dubbi di Ance
Sul piano del
Governo per
il pagamento
dei debiti
della Pubblica
amministrazione,
La Rivendita
ha intervistato Paolo Buzzetti, presidente di Ance,
l’associazione che riunisce le imprese di costruzione
italiane. Ecco cosa ci ha detto.
Qual è la situazione sul fronte dei costruttori e cosa
Pensa del decreto approvato l’8 aprile?
In sintesi, il quadro è questo: la dimensione finanziaria dei
ritardi di pagamento della P.A. nel settore dei lavori pubblici
ha raggiunto ormai i 19 miliardi di euro ed è in costante crescita. Non solo, aumentano anche i tempi di pagamento: in
media, le imprese che realizzano lavori pubblici sono pagate
dopo 8 mesi e le punte di ritardo superano ampiamente
i 2 anni. Il risultato è che le imprese entrate in procedura
fallimentare sono passate da 2.210 nel 2009 a 2.856 nel
2012, con un aumento del 29,2%. Complessivamente in
quattro anni i fallimenti nelle costruzioni sono stati 10.380
su un totale di circa 45 mila nell’insieme di tutti i settori
economici. Pertanto circa il 23% dei fallimenti avvenuti in
Italia riguardano le nostre imprese.
Sono mesi che insieme all'Anci ci battiamo perché le imprese siano pagate in tempi brevi e con meccanismi certi e
oggi finalmente possiamo dire che e' stato fatto un passo
concreto in tal senso.
Ritiene sufficienti i 40 miliardi in due rate 2013 e 2014?
Dei 40 miliardi ipotizzati, solo 7,8 andranno a spese in
conto capitale, quindi a investimenti e lavori già realizzati,
nel 2013 e zero nel 2014. Noi consideriamo queste cifre
assolutamente insoddisfacenti per due motivi: il primo è che
11 miliardi di euro sono già disponibili nelle casse degli enti
locali e quindi dovrebbero essere pagati subito; il secondo
è che il piano predisposto dal Governo è concentrato sulla
spesa corrente alla quale vanno solo più dell’80% dei fondi
(più di 32 miliardi su 40). Occorre quindi aumentare l’importo dei pagamenti previsti, in particolare quello in conto
capitale. Noi proponiamo 11 miliardi nel 2013 (invece di
7,8) e almeno 8 nel 2014 per gli investimenti.
Che ruolo potrebbe-dovrebbe giocare il sistema del
credito in questo contesto?
Sul piano, il ruolo del sistema del credito è limitato perché
si tratta di pagare le aziende. Un intervento complementare
potrebbe arrivare sulla parte non pagata (40-50 miliardi),
potenziando lo strumento della certificazione e della cessione pro soluto.
Come dovrebbe agire il governo centrale in merito
al Patto di stabilità interno?
Per evitare la formazione di nuovi debiti degli enti locali e
garantire, anche nei confronti dell’Unione Europea, che
l’operazione di pagamenti dei debiti pregressi è di natura straordinaria, “una tantum”, occorre necessariamente
modificare le regole del patto di stabilità interno, introducendo il principio dell’equilibrio di parte corrente ed un
limite all’indebitamento; questo per evitare l’accumulo di
debiti di parte capitale della PA in presenza di risorse di
cassa disponibili.
L’esigenza di evitare la formazione di nuovi debiti è una
necessità sottolineata, oltre che dalla Commissione
Europea, anche dalla Banca d’Italia, nel corso della recente
audizione sulla relazione del Governo, che non può essere risolta solo con l’applicazione della nuova direttiva sui
pagamenti.
marzo-aprile 2013
5
inchiesta
il loop fin a n z i a r i o
produzione
Werner Rizzi
Riwega
Su questo problema posso fare davvero poche considerazioni e tutte molto prevedibili:
risentiamo in modo sensibile del ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione
e a questo si somma una rigidità da parte degli istituti di credito che produce una
generalizzata mancanza di liquidità.
Va detto che il problema non è solo italiano, ma colpisce, in generale, tutta l’Europa del
bacino mediterraneo. Per un’azienda come la nostra significa impiegare più tempo nelle
attività di recupero crediti o, a monte, nell’analisi della solvibilità della clientela che in
altre realmente produttive.
Soluzioni? Riguardano l’aspetto politico, noi possiamo fare davvero poco. Per il rilancio delle imprese italiane è
importante che sia lo Stato per primo a rispettare le regole e certamente sarebbe necessario avviare una nuova
economia, più sana, e con istituti di credito più flessibili. Non credo ci si possa nascondere dietro a generici pretesti
di mercati in discesa, peraltro realistici, poiché a ben guardare le attività da avviare e che potrebbero determinare
un’inversione di tendenza, ci sono: faccio solo l’esempio delle strutture alberghiere, che necessitano di rinnovo e
potrebbero innescare un circolo positivo, grazie a un incremento dei flussi turistici.
Gli accordi di Basilea
L’accordo sui requisiti minimi di capitale firmato
a Basilea, meglio noto come Basilea II, entrato in
vigore nel gennaio 2007, è un’intesa internazionale
di vigilanza prudenziale, maturata nell'ambito del
Comitato di Basilea, secondo cui le banche dei
Paesi aderenti devono accantonare quote di capitale
proporzionate al rischio assunto, valutato attraverso lo
strumento del rating.
Il rating è l'insieme di procedure di analisi e di calcolo
grazie al quale una banca valuta quanto un cliente
sia rischioso e quanto sarà produttivo in futuro, se
gli venisse concesso il credito che chiede. Tramite il
rating si calcola la "probabilità di default" ovvero la Pd
associata a ogni classe di rischio misurata negli anni
passati, si raccolgono nuove informazioni
sulla capacità di generare reddito futuro del
beneficiario.
Indubbiamente, queste nuove regole hanno
prodotto un effetto restrittivo nei confronti
delle imprese, in particolare le PMI,
storicamente sottocapitalizzate che hanno
visto peggiorare le condizioni loro praticate
con un effetto di compressione della capacità
di indebitamento
Ma non è finita. Il Comitato per la
supervisione bancaria ha rilasciato, nel
dicembre 2010, nuove regole a garanzia
della stabilità del sistema bancario, note
come "Basilea III"; queste nuove regole
dovranno integrare o sostituire la versione
6
marzo-aprile 2013
Basilea II. Le nuove regole introdotte con Basilea
III definiscono nuovi standard internazionali per
l'adeguatezza patrimoniale delle banche e nuovi
vincoli di liquidità.
Le nuove direttive entreranno in vigore il primo
gennaio 2015, ma con una copertura del 60% che
salirà gradualmente al 100% nel 2019. Alle banche
Basilea III chiede garanzie su capitale e liquidità.
In particolare sono imposte delle soglie minime di
capitale per evitare che shock finanziari le mettano in
ginocchio, riflettendosi sull’intero sistema.
A rassicurare le PMI sull’impatto di Basilea III a fine
marzo è intervenuto l’inserimento di un coefficiente
correttore che abbatterà il capitale regolamentare
obbligatorio necessario da parte delle banche, nel
caso in cui concedano prestiti alle imprese.
2.856 nel 2012, con un aumento del 29,2 per cento.
Complessivamente in quattro anni i fallimenti nelle
costruzioni sono stati 10.380 su un totale di circa 45
mila nell’insieme di tutti i settori, il 23 per cento del
totale.
In sei anni, dal 2008 al 2013, il settore delle costruzioni avrà perso circa il 30% degli investimenti, di
cui mancati investimenti in opere pubbliche pari al
42,9%. I dati delle Casse Edili relativi ai primi undici
mesi del 2012 confermano il trend fortemente negativo
del triennio 2009-2011 (-22,7% ore lavorate; -23,2%
e -19,3% rispettivamente per operai e imprese iscritti),
evidenziando un ulteriore calo tendenziale del 14,4%
per le ore lavorate, del 10,8 % degli operai e del 9,5%
per le imprese iscritte.
La situazione di crisi delle costruzioni, nel corso del
2012, ha subito un forte peggioramento. Tutti gli indicatori settoriali disponibili danno evidenza della gravità
della situazione del mercato con intensità di cadute
simili a quelle registrate nel 2009 e cioè nella fase
della crisi. Nel 2012 gli investimenti in costruzioni
registrano una flessione del 7,6% in termini reali ed
un ulteriore calo del 3,8% è previsto per il 2013. In sei
anni, dal 2008 al 2013, il settore delle costruzioni avrà
perso circa il 30% degli investimenti di cui mancati
investimenti in opere pubbliche pari al 42,9% e si
colloca sui livelli più bassi degli ultimi quaranta anni.
distribuzione
Alessandro Bilancino
Edilbilancino
Viviamo una situazione
pesantissima In questo momento
il tessuto imprenditoriale è
terrorizzato, i cittadini non
investono più: è una situazione
davvero insostenibile e
personalmente, sono molto arrabbiato. Moltissimi miei
clienti hanno seri problemi e rischiano di chiudere i
battenti da un giorno all’altro.
Trovo semplicemente indecoroso che uno stato non
paghi i debiti contratti, oltretutto a causa di imposizioni
gravosissime verso Enti locali al solo scopo di arrivare
al proprio pareggio di bilancio. A questo si aggiunga un
sistema politico – anche locale – clientelare e disonesto
che distrae denaro per fini personali e fa della piccola
corruzione e del clientelismo una regola.
Voglio sottolineare una cosa, le Pa hanno sempre pagato
con un notevole ritardo, però, fino a qualche anno
fa la situazione andava bene a tutti, evidentemente
quei ritardi erano compensati da altro. Il meccanismo,
di collusione era ben strutturato e vedeva anche la
complicità delle banche che rilasciavano finanziamenti
dove non avrebbero proprio dovuto. Il risultato? Imprese
sottocapitalizzate e non in grado di correre con le proprie
gambe.
marzo-aprile 2013
7
inchiesta
il loop fin a n z i a r i o
distribuzione
Paolo Beneggi
BpCom
Se davvero l’importo è di soli 20
miliardi per il 2013 le imprese faranno
in tempo a fallire prima di ricevere
tutto il dovuto. E, del resto, non credo
sia realistico pensare di reperire altri
importi. Non credo di essere pessimista
se affermo che ormai anche il fondo
del barile è stato accuratamente spianato e la strada verso i
fallimenti è spianata.
Del resto le banche non erogano più un centesimo e, mi vien da
dire, in modo corretto e coerente con la posizione finanziaria
delle imprese. Non credono più nel settore edilizia, non solo
maturo, ma in forte declino e non credono più nelle imprese di
costruzione, destrutturate e sottocapitalizzate. Fino agli anni
Ottanta queste aziende erano ben strutturate, disponevano di
capitali, immobili attrezzature, da lì il declino. Probabilmente
sono stati forniti indirizzi molto sbagliati al settore, quando
sarebbe stato importante fissare paletti all’ingresso.
Nutro poca speranza, per un riavvio anche nella
ristrutturazione, che è in mano ai privati e a piccolissime
imprese artigiane, e ancor meno nella riqualificazione
energetica , perché – realisticamente – dubito sia davvero
sostenuta e spinta dalla politica. Il fatto è che ci sono troppi
interessi sull’energia da parte dello Stato, ridurre gli ingressi
derivati dalle accise sul gasolio e sul gas sarebbe un suicidio
economico.
Habemus decretum
Come visto, se non tutti, almeno una parte dei mali
del mondo delle costruzioni viene dai ritardi nei
pagamenti che, da domani, dovrebbero però essere
saldati celermente.
In data 6 aprile 2013, infatti, il Governo Monti, in uno
dei suoi ultimi atti, ha finalmente emanato il Decreto
legge recante “Disposizioni urgenti per il pagamento
dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per
il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché
in materia di versamento dei tributi degli enti locali”.
Intanto, il decreto, attraverso la Banca d’Italia quantifica il credito, in circa 90 miliardi di euro. Per il
pagamento dei debiti di Regioni, Province e Comuni
verrà creato un Fondo nel bilancio dello Stato che
avrà come dotazione 26 miliardi di euro. Il Fondo
sarà articolato in tre sezioni: per il pagamento dei
debiti degli enti locali (2 miliardi nel 2013 e 2 miliardi
nel 2014), delle Regioni per debiti diversi da quelli
sanitari (3 miliardi nel 2013 e 5 miliardi nel 2014) e
sempre delle Regioni ma per debiti sanitari (5 miliardi
nel 2013 e 9 miliardi nel 2014).
Comuni e Province, entro aprile, faranno richiesta
di autorizzazione al ministero dell'Economia per
i pagamenti da effettuare. Pagamenti, che come si
legge dal comunicato sul sito del governo, saranno
autorizzati entro il 15 maggio e finanziati con le
disponibilità liquide degli enti. Entro il 15 giugno
le amministrazioni dovranno comunicare importi e tempistiche alle imprese beneficiarie dei pagamenti.
Ma sin da subito, in attesa dell' autorizzazione, le amministrazioni locali potranno iniziare a pagare i propri debiti nel limite del 50% dei pagamenti programmati. Se le amministrazioni sono a corto di liquidità
potranno ottenere finanziamenti dal Fondo. La procedura non si annuncia molto semplice ma, proprio
per non allungare i tempi, il consiglio dei ministri ha stabilito date precise: entro il prossimo 30 aprile sarà
necessario inviare al Mef la richiesta di risorse necessarie per i pagamenti. E le pubbliche amministrazioni
dovranno ricevere le relative ripartizioni entro il 15 maggio. Non oltre il 31 maggio verrà comunicato alle
imprese creditrici il piano dei pagamenti.
Per assicurare la liquidazione di tutti i debiti che risalgono a prima del 2012 e non sono ancora stati estinti,
le amministrazioni sono chiamate entro il prossimo 15 settembre alla ricognizione completa dei debiti scaduti o in scadenza ancora pendenti. Dopodiché dovranno produrre, senza oneri per le imprese, l’elenco di
tutti i debiti ancora da estinguere. Sarà poi la Legge di stabilità del 2014 a programmare il completamento
del processo di liquidazione.
Il decreto – oltre a un ovvio allentamento del Patto di stabilità interno – contiene anche una norma che
prevede la compensazione dei crediti fiscali con i debiti della pubblica amministrazione.
I punti deboli
Uno dei punti più spinosi è che non si sa quanti siano, complessivamente, i debiti dello Stato e delle
amministrazioni locali nei confronti delle imprese private (secondo Ance, ai soli loro associati sono dovuti
oltre 9 miliardi di euro). A ottobre scorso, EuroStat diceva che nel 2011, la PA doveva alle imprese circa
67 miliardi di euro solo relativamente alla spesa corrente (escludendo le spese per gli investimenti): circa
8
marzo-aprile 2013
Il Patto di stabilità interno
Il principio del Patto di stabilità e crescita nasce con il trattato
di Maastricht che impone ai paesi che partecipano alla Unione
Monetaria di mantenere il rapporto deficit/Pil al di sotto della
soglia del 3%.
In particolare, il Patto di Stabilità Interno è l’accordo che lo
Stato Italiano ha assunto con gli altri Paesi europei in base al
quale anche gli enti locali devono contribuire alla riduzione
del debito pubblico nazionale, osservando delle regole che
limitano fortemente le loro possibilità di spesa. L’articolo 28 della
L. 448/1998 stabilisce che " le Regioni, le Province Autonome,
le Province, i Comuni e le Comunità Montane concorrono alla
realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica assunti dall’Italia
con l’adesione al Patto di Stabilità e crescita, impegnandosi a
diminuire progressivamente il finanziamento in disavanzo delle
proprie spese e ridurre il rapporto tra il proprio ammontare di
debito e il prodotto interno lordo."
Affinché gli impegni vengano mantenuti, gli Enti locali, di anno
in anno, devono rispettare regole sempre più rigorose, che spesso
generano difficoltà nella realizzazione delle attività programmate
a favore della popolazione.
Questo sistema restringe l’autonomia degli enti locali
impedendo, spesso, sia di realizzare nuove opere pubbliche,
sia di effettuare interventi di manutenzione straordinaria che
le infrastrutture richiedono. Il Patto impone, infatti, un limite
tassativo nei pagamenti, soprattutto per quanto riguarda i lavori
pubblici, generando talvolta situazioni paradossali, come quella
di un ente che dispone di risorse finanziarie per realizzare
una determinata opera, ma non può farla eseguire, visto che,
successivamente, non potrebbe pagarle perché tenuto al rispetto
dal limite imposto dal Patto di Stabilità.
Qualora un ente, ad esempio un Comune non rispettasse il Patto
di stabilità, sarebbe soggetto a sanzioni molto pesanti, come la
drastica riduzione dei trasferimenti finanziari annuali da parte
dello Stato; la drastica riduzione delle opere di manutenzione
ordinaria; una riduzione dei servizi assistenziali; il divieto
di assunzione di personale, a qualunque titolo e il divieto di
contrarre mutui per il finanziamento di opere pubbliche.
Il decreto 8 aprile 2013 n. 35 sul pagamento dei debiti scaduti
della pubblica amministrazione, prevede un immediato
allentamento del Patto di stabilità interno: “Esclusione per il 2013
dal Patto di stabilità interno dei pagamenti di debiti certi, liquidi
ed esigibili di parte capitale (investimenti già effettuati dalle PA)
per un importo di 5 miliardi di euro per quanto riguarda gli enti
locali, di 1,4 miliardi per quanto riguarda le regioni, 500 milioni
per quanto riguarda le amministrazioni centrali e 800 milioni per
investimenti cofinanziati dai fondi strutturali europei, necessario
a consentire il conseguimento dei target di spesa”.
distribuzione
Valerio Lermini
Gruppo Distribuzione Edile
Ritardi dei pagamenti e stretta creditizia generano effetti a catena che si
ripercuotono sulle nostre attività di distribuzione e, per fortuna, viviamo solo
parzialmente i casi di grosse imprese del mondo della cooperazione che in questa
zona (Bologna ndr) hanno subito danni ingenti da questa situazione. Certo è che
nei rapporti di forza il nostro ruolo è vicino allo zero. Cerchiamo di limitare al
massimo le esposizioni, ma alla fine, il materiale a qualcuno lo devi fornire.
Le cause di questa situazione non sono nemmeno difficili da individuare: credo
si tratti di un sistema figlio di tanti anni favorevoli, quando tutti potevano accedere al credito senza troppe
garanzie, e oggi siamo alla resa dei conti. Le imprese hanno le loro colpe, fino a 15, 20 anni fa avevano
personale, uffici tecnici, capitali, poi si è iniziato a esternalizzare tutto.
E noi, come rivenditori, abbiamo trovato i nostri vantaggi, poiché, in un certo modo, abbiamo supplito a
molti buchi che si erano creati nell’impresa.
D’altro canto, il sistema bancario è stato un acceleratore della crisi. Fino a 3, 4 anni fa finanziava tutto, poi
si è dato alla fuga, perché non c’è stata programmazione e si è costruito più del necessario. Ora la casa non
è più un bene da investitore e anche le banche spesso hanno al loro interno un patrimonio immobiliare
enorme ma altrettanto difficile da valutare. Insomma, tutto il tessuto ha raggiunto un profilo talmente basso
che temo sarà difficile da aggiustare.
marzo-aprile 2013
9
inchiesta
il loop fin a n z i a r i o
il 4 per cento del PIL. La stima della Banca d’Italia, su cui è stato organizzato il decreto, dice che alla fine
del 2011 il totale dei debiti della PA sarebbe stato pari a circa 90 miliardi, cioè il 5,8 per cento del PIL. La
stima esclude però molte imprese, tra cui quelle con meno di 20 dipendenti, che sono una parte molto
importante dell’economia italiana.
A conti fatti, questo decreto ha un po’ il sapore della ricerca di un concordato: io Stato ti devo 90-120
milioni e te ne pago 40, in due anni.
Un’altra questione è l’effetto di queste misure sui conti pubblici. Complessivamente, la relazione che il
governo ha presentato al Parlamento dice che il rapporto tra il deficit e il PIL per l’anno 2013 (si tratta di
previsioni) deve essere rivisto al rialzo di mezzo punto percentuale: non sarà del 2,4 per cento come previsto
in precedenza, ma del 2,9 per cento. Il pagamento dei debiti influenza probabilmente questo peggioramento, benché si tratti del pagamento di debiti che la PA si trascina dietro da tempo e che sono quindi già
stati messi nei bilanci degli scorsi anni. In pratica, però, ha sostenuto il vicepresidente della Commissione
Europea Antonio Tajani, “circa il 20% dei debiti non è ancora né contabilizzato né pagato”: quindi, qualora
si arrivasse a pagare le spese non ancora contabilizzate, i conti dello Stato peggiorerebbero. Il fatto è che
per una quota di spese della PA, in particolare quella per investimenti, viene conteggiata nel deficit solo
quando i debiti vengono effettivamente saldati: questa parte di spese potrebbe effettivamente costituire un
problema per i conti pubblici.
La questione del credito
Nell’ottobre del 2004, al Saie di Bologna, si tenne un convegno
molto istruttivo e anticipatore su quel che sarebbe stato il rapporto
tra credito e imprese di costruzione. Il tema era la prossima entrata
in vigore degli accordi Basilea 2. In quell’occasione Pietro Modiano,
allora amministratore delegato di UniCredit Banca d’impresa, affermava: “La sottocapitalizzazione delle imprese di costruzione, in
particolare delle piccole e medie, è nota ed endemica. In più,
il ricorso al credito a medio termine è bassissimo. Il sistema di
finanziamento attuale della piccola impresa fa conto prevalentemente sul capitale di famiglia e questo, a lungo andare, genera un
cortocircuito finanziario che porta inevitabilmente alla chiusura”.
Nulla di nuovo: l'impresa media italiana è piccola, di natura familiare e – storicamente – ha mantenuto questo assetto anche quando
riusciva a raggiungere fatturati di rilevanti dimensioni. Questa
caratteristica ha fortemente limitato la propensione a una adeguata
capitalizzazione poiché i soggetti su cui si concentrava il rischio
di impresa hanno sempre cercato di limitarne la portata, creando imprese con il minor apporto possibile
di capitale proprio. Dunque, che si faceva? Al momento del bisogno si ricorreva al capitale proprio o di
finanziamento (costituito quasi esclusivamente da finanziamenti bancari) che ovviamente finiscono per
ingessare la struttura creando un altissimo livello di dipendenza.
Questa situazione era ottimamente tollerata dagli istituti di credito per due motivi: il primo per un rapporto
di fiducia che si instaurava nel corso del tempo con l'imprenditore, di cui si conosceva la storia, puntualità
dei pagamenti eccetera; il secondo, perché riscuotere interessi passivi, è un’operazione semplice e prima
dell’arrivo degli accordi Basilea 2, la banca aveva un potere discrezionale decisamente elevato.
A questo si aggiunga che dagli anni Ottanta in poi, le imprese non hanno ricevuto dal legislatore stimoli
alla crescita, al superamento del nanismo, alla sottocapitalizzazione, alla frantumazione. L’assenza di un
sistema consolidato di grandi imprese innovative e competitive ha condizionato tutto il settore. Grandi
imprese orientate soltanto al mercato immediato e prive di investimenti in sviluppo, hanno indotto nelle
medie e piccole una competizione sui fattori più bassi: sui costi e su forme diffuse di concorrenza sleale.
Dunque, il motivo per il quale le nostre imprese di costruzione non riescono farsi finanziare è sostanzialmente
uno: non offrono sufficienti garanzie per accedere al credito. E oggi se ne aggiunge un altro.
10
marzo-aprile 2013
La bolla immobiliare
produzione
C’è, non c’è? Esplode? Forse, chissà. Sta di fatto
Massimo Buccilli
che la discesa dei prezzi delle case procede inflesVelux Italia
sibile. Questo significa che un istituto di credito,
Entro il 16 marzo tutti gli Stati
prima di concedere un finanziamento a un’impreMembri devono recepire la
sa che vuol costruire, ci pensa molte volte, anzi, la
Direttiva Ue che obbliga la PA
reazione tipica è quella del vampiro che intravede
al saldo in 30 giorni, ed anche
i primi raggi del sole.
se l’Italia l’ha già recepita,
Secondo gli ultimi dati Istat diffusi il 4 aprile, l'Indice
il ritardo dei pagamenti
dei prezzi delle abitazioni (Ipab) acquistate dalle
alle imprese da parte della
Pubblica Amministrazione resta una piaga del sistema
famiglie sia per fini abitativi sia per investimento
economico italiano e, a parte ciò che avverrà in futuro,
registra il quinto calo congiunturale consecutivo a
resta un grosso debito pregresso da saldare.
partire dalla fine del 2011, mentre la diminuzione
Voglio essere molto chiaro: dubito che la direttiva
in termini tendenziali è la più marcata delle quattro
possa funzionare davvero in Italia, perché noi siamo
registrate nel corso del 2012.
sempre molto bravi a trovare sistemi per aggirare
I prezzi delle abitazioni nuove è diminuito dello
le leggi. Del resto, poi, se le amministrazioni non
0,3% su base congiunturale, segnando un aumento
hanno soldi, procrastineranno comunque i pagamenti,
dello 0,8% rispetto allo stesso trimestre del 2011.
accollandosi gli interessi. Le responsabilità? Non c’è
Quelli delle abitazioni esistenti è diminuito del 2,2%
molto da cercare: chi ci ha governato e il sistema
rispetto al trimestre precedente e del 6,9% su base
bancario. Quest’ultimo, gioca come al solito un ruolo
annua.
d’attesa, non vedo alcuna iniziativa seria di sostegno e
È la terza volta consecutiva, quindi, che i prezzi delle
di rilancio, quando mi piacerebbe vedere una maggior
attività.
abitazioni nuove registrano un rallentamento dei
tassi di crescita rispetto allo stesso periodo dell'anno
precedente, mentre, sempre su base annua, i prezzi
delle abitazioni esistenti presentano diminuzioni via via più marcate a partire dal quarto trimestre del 2011.
In media, nel 2012, i prezzi delle abitazioni diminuiscono quindi del 2,7% (nel 2011 la variazione annuale
era stata pari a +0,8%), sintesi di un aumento del 2,1% dei prezzi delle abitazioni nuove (+2,7% nel 2011)
e di una diminuzione del 4,7% dei prezzi di quelle esistenti (dopo il -0,2% del 2011).
Una discesa dei prezzi che, comunque, non è sufficiente a far ripartire il mercato, visto che nel 2012 ha
perso oltre un quarto di scambi. L'Osservatorio del mercato immobiliare dell'Agenzia delle Entrate ha infatti
marzo-aprile 2013
11
inchiesta
il loop fin a n z i a r i o
registrato un calo del 25,8% del numero di abitazioni
compravendute. Qualche segnale di ottimismo viene da
Nomisma che confida in una leggera ripresa dei finanziamenti – ai privati – che possa stimolare le compravendite
a partire dal 2014; sempre però in un contesto di prezzi
ancora in calo, con dimensioni non molto differenti rispetto
a quanto registrato dall'Istat sul mercato dell'usato.
Forse non c’è più bisogno di case (non parliamo poi di
immobili industriali, che quelli quasi te li regalano). “Si è
cresciuti troppo per poter crescere ancora”. Così concludeva l’introduzione al documento Cresme su “Il mercato
delle costruzioni 2003”. Dieci anni fa. Quello di cui ci
sarebbe davvero bisogno, invece, è ristrutturare in senso
energetico il nostro obsoleto patrimonio edilizio.
produzione
Thomas Garbislander
Torggler Chimica
Credo che il decreto
rappresenti una dichiarazione
d’intenti, è una prima spinta,
una piccola boccata d’ossigeno
che può aiutare molto
emotivamente. Purtroppo,
nella sostanza noi imprenditori che subiamo il ritardo
dei pagamenti a vario titolo, ci aspettavamo qualcosa
di molto più sostanzioso. I 40 miliardi spalmati su due
anni non sono certo sufficienti a mettere in salvo molte
aziende che stanno fallendo, e tantomeno l’intero
settore.
La considerazione che, purtroppo, viene naturale è che
l’intera vicenda ha davvero aspetti tristi: la pubblica
amministrazione – centrale o periferica – dovrebbe dare
il buon esempio, invece marcia in senso contrario.
Sul sistema creditizio, c’è poco da dire: immobilità
e attendismo. Anche qui, tuttavia, la sensazione, da
non esperto di macroeconomia, è che la Bce abbia
rifinanziato abbondantemente le diverse banche locali
e queste non abbiano, con altrettanta generosità,
ridistribuito verso l’economia reale. Probabilmente,
il mondo della grande e virtuale finanza ha ormai un
sovrappeso eccessivo su quello produttivo reale.
La questione energetica
Tutti gli anni le nostre abitazioni consumano circa 32 miliardi di metri cubi di gas per riscaldamento
e circa 2 milioni di tonnellate di gasolio. Troppo, davvero troppo. In questi combustibili ogni famiglia
italiana spende un sacco di denaro. E tutto questo inquina, ormai a livelli insostenibili.
Le tecnologie – tutte cose abbastanza semplici e nemmeno costosissime – per abbattere di almeno il 50
per cento i consumi energetici sono alla portata di tutti. E applicarle, come ogni buon osservatore sostiene
ormai da anni, rimetterebbe davvero in moto il settore, con iniezioni di liquidità salvifiche.
Però c’è un problemino: quando un consumatore acquista un metro cubo di gas, pagandolo circa 90
centesimi, acquista un po’ di gas e un po’ di accise; per la precisione, il 30 per cento. Diciamo che circa
37,5 centesimi sono il prezzo della materia prima; 15,1 vanno in costi infrastrutturali, 7,1 sono i costi di
vendita e 30,6 le imposte.
La medesima cosa, più o meno, per il gasolio, dove – prezzi medi 2012, per 1000 litri – il prezzo industriale era pari a 799,08 euro, a cui andavano a sommarsi 252,48 euro di Iva, 403,21 di accise per arrivare
al prezzo al consumatore di 1.454,76 euro.
Fatti due conti, a spanne, dai soldi che gli italiani spendono per riscaldarsi, lo stato incamera qualcosa
come 10 miliardi di euro.
Pensare che lo Stato italiano – in questo momento, ma non l’ha fatto nemmeno quando poteva – incentivi davvero il decremento di una delle sue maggior fonti di introito è quanto meno ingenuo. That’s the
economy, baby.
12
marzo-aprile 2013
Fly UP