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Pagherò - gruppomade
inchiesta il loop fin a n z i a r i o Pagherò Alessandro Bini Lo Stato ha un debito di 20 miliardi di euro negli appalti pubblici; il mercato immobiliare è in stagnazione; le banche non erogano mutui. I l 2013 è un anno molto difficile per l’economia italiana. Stiamo entrando nel settimo anno di una crisi iniziata nel 2007. I maggiori centri di previsione anticipano una contrazione del PIL largamente superiore all’1 per cento. Vi sono però alcuni segnali di rafforzamento della domanda internazionale, di cui potrebbero beneficiare le aziende esportatrici. Si tratta di un primo impulso al ciclo economico che potrebbe non risultare sufficiente se i vincoli dal lato delle condizioni di accesso al credito e la politica fiscale di segno restrittivo manterranno la nostra domanda interna lungo un percorso di contrazione. Gli strumenti attivabili sono pochi, dati i vincoli esterni alle nostre finanze pubbliche, ma qualcosa si può fare e forse, qualcosa si sta mettendo in moto. Anticipiamo un dato: se ci posizioniamo da un osservatorio esterno la malattia più seria, che sembra colpire il settore delle costruzioni, è la carenza – si potrebbe parlare di totale assenza – di liquidità. Manca denaro, per far qualsiasi cosa. I nodi che incastrano, di fatto, tutto il sistema sono sostanzialmente questi: da un lato l’amministrazione pubblica con i suoi endemici ritardi di pagamento e patto di stabilità interno annesso; cui si aggiunge un sistema creditizio, con i suoi credit crunch (mica roba da Superpippo), che non aiuta certo le imprese. Mano a mano che stringiamo l’ottica, si riescono però a scorgere alcune altre zone grigie, che estendono 4 marzo-aprile 2013 la loro influenza peggiorando una situazione già bruttina di per sè. Forse non si tratta soltanto di elementi peggiorativi, forse nascondono le cause vere – strutturali – della mancanza di denaro. Un paio di titoli: immobiliare, energia, struttura delle imprese. Una cosa alla volta. I ritardi dei pagamenti Lo stato di fatto è questo: quello dei Lavori Pubblici è, in Italia, uno tra i settori più colpiti dal fenomeno dei ritardati pagamenti della Pubblica Amministrazione. Un fenomeno che ha determinato una situazione di estrema sofferenza per le imprese che realizzano lavori pubblici ed esteso i suoi effetti su tutta la filiera, creando i presupposti per l’insolvenza di migliaia di imprese. Bastano infatti poche migliaia di euro per fare fallire un’impresa. La dimensione finanziaria dei ritardi di pagamento della P.A. nel settore dei lavori pubblici ha raggiunto ormai i 19 miliardi di euro ed è in costante crescita. Non solo, aumentano anche i tempi di pagamento: in media, le imprese che realizzano lavori pubblici sono pagate dopo 8 mesi e le punte di ritardo superano ampiamente i 2 anni. Il Patto di Stabilità Interno, che limita fortemente la capacità di investimento degli enti locali, rappresenta assieme alle difficoltà finanziarie degli Enti la principale causa di ritardo nei pagamenti. Anche a causa di questo, le imprese entrate in procedura fallimentare sono passate da 2.210 nel 2009 a Paolo Buzzetti Presidente ANCE I dubbi di Ance Sul piano del Governo per il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione, La Rivendita ha intervistato Paolo Buzzetti, presidente di Ance, l’associazione che riunisce le imprese di costruzione italiane. Ecco cosa ci ha detto. Qual è la situazione sul fronte dei costruttori e cosa Pensa del decreto approvato l’8 aprile? In sintesi, il quadro è questo: la dimensione finanziaria dei ritardi di pagamento della P.A. nel settore dei lavori pubblici ha raggiunto ormai i 19 miliardi di euro ed è in costante crescita. Non solo, aumentano anche i tempi di pagamento: in media, le imprese che realizzano lavori pubblici sono pagate dopo 8 mesi e le punte di ritardo superano ampiamente i 2 anni. Il risultato è che le imprese entrate in procedura fallimentare sono passate da 2.210 nel 2009 a 2.856 nel 2012, con un aumento del 29,2%. Complessivamente in quattro anni i fallimenti nelle costruzioni sono stati 10.380 su un totale di circa 45 mila nell’insieme di tutti i settori economici. Pertanto circa il 23% dei fallimenti avvenuti in Italia riguardano le nostre imprese. Sono mesi che insieme all'Anci ci battiamo perché le imprese siano pagate in tempi brevi e con meccanismi certi e oggi finalmente possiamo dire che e' stato fatto un passo concreto in tal senso. Ritiene sufficienti i 40 miliardi in due rate 2013 e 2014? Dei 40 miliardi ipotizzati, solo 7,8 andranno a spese in conto capitale, quindi a investimenti e lavori già realizzati, nel 2013 e zero nel 2014. Noi consideriamo queste cifre assolutamente insoddisfacenti per due motivi: il primo è che 11 miliardi di euro sono già disponibili nelle casse degli enti locali e quindi dovrebbero essere pagati subito; il secondo è che il piano predisposto dal Governo è concentrato sulla spesa corrente alla quale vanno solo più dell’80% dei fondi (più di 32 miliardi su 40). Occorre quindi aumentare l’importo dei pagamenti previsti, in particolare quello in conto capitale. Noi proponiamo 11 miliardi nel 2013 (invece di 7,8) e almeno 8 nel 2014 per gli investimenti. Che ruolo potrebbe-dovrebbe giocare il sistema del credito in questo contesto? Sul piano, il ruolo del sistema del credito è limitato perché si tratta di pagare le aziende. Un intervento complementare potrebbe arrivare sulla parte non pagata (40-50 miliardi), potenziando lo strumento della certificazione e della cessione pro soluto. Come dovrebbe agire il governo centrale in merito al Patto di stabilità interno? Per evitare la formazione di nuovi debiti degli enti locali e garantire, anche nei confronti dell’Unione Europea, che l’operazione di pagamenti dei debiti pregressi è di natura straordinaria, “una tantum”, occorre necessariamente modificare le regole del patto di stabilità interno, introducendo il principio dell’equilibrio di parte corrente ed un limite all’indebitamento; questo per evitare l’accumulo di debiti di parte capitale della PA in presenza di risorse di cassa disponibili. L’esigenza di evitare la formazione di nuovi debiti è una necessità sottolineata, oltre che dalla Commissione Europea, anche dalla Banca d’Italia, nel corso della recente audizione sulla relazione del Governo, che non può essere risolta solo con l’applicazione della nuova direttiva sui pagamenti. marzo-aprile 2013 5 inchiesta il loop fin a n z i a r i o produzione Werner Rizzi Riwega Su questo problema posso fare davvero poche considerazioni e tutte molto prevedibili: risentiamo in modo sensibile del ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione e a questo si somma una rigidità da parte degli istituti di credito che produce una generalizzata mancanza di liquidità. Va detto che il problema non è solo italiano, ma colpisce, in generale, tutta l’Europa del bacino mediterraneo. Per un’azienda come la nostra significa impiegare più tempo nelle attività di recupero crediti o, a monte, nell’analisi della solvibilità della clientela che in altre realmente produttive. Soluzioni? Riguardano l’aspetto politico, noi possiamo fare davvero poco. Per il rilancio delle imprese italiane è importante che sia lo Stato per primo a rispettare le regole e certamente sarebbe necessario avviare una nuova economia, più sana, e con istituti di credito più flessibili. Non credo ci si possa nascondere dietro a generici pretesti di mercati in discesa, peraltro realistici, poiché a ben guardare le attività da avviare e che potrebbero determinare un’inversione di tendenza, ci sono: faccio solo l’esempio delle strutture alberghiere, che necessitano di rinnovo e potrebbero innescare un circolo positivo, grazie a un incremento dei flussi turistici. Gli accordi di Basilea L’accordo sui requisiti minimi di capitale firmato a Basilea, meglio noto come Basilea II, entrato in vigore nel gennaio 2007, è un’intesa internazionale di vigilanza prudenziale, maturata nell'ambito del Comitato di Basilea, secondo cui le banche dei Paesi aderenti devono accantonare quote di capitale proporzionate al rischio assunto, valutato attraverso lo strumento del rating. Il rating è l'insieme di procedure di analisi e di calcolo grazie al quale una banca valuta quanto un cliente sia rischioso e quanto sarà produttivo in futuro, se gli venisse concesso il credito che chiede. Tramite il rating si calcola la "probabilità di default" ovvero la Pd associata a ogni classe di rischio misurata negli anni passati, si raccolgono nuove informazioni sulla capacità di generare reddito futuro del beneficiario. Indubbiamente, queste nuove regole hanno prodotto un effetto restrittivo nei confronti delle imprese, in particolare le PMI, storicamente sottocapitalizzate che hanno visto peggiorare le condizioni loro praticate con un effetto di compressione della capacità di indebitamento Ma non è finita. Il Comitato per la supervisione bancaria ha rilasciato, nel dicembre 2010, nuove regole a garanzia della stabilità del sistema bancario, note come "Basilea III"; queste nuove regole dovranno integrare o sostituire la versione 6 marzo-aprile 2013 Basilea II. Le nuove regole introdotte con Basilea III definiscono nuovi standard internazionali per l'adeguatezza patrimoniale delle banche e nuovi vincoli di liquidità. Le nuove direttive entreranno in vigore il primo gennaio 2015, ma con una copertura del 60% che salirà gradualmente al 100% nel 2019. Alle banche Basilea III chiede garanzie su capitale e liquidità. In particolare sono imposte delle soglie minime di capitale per evitare che shock finanziari le mettano in ginocchio, riflettendosi sull’intero sistema. A rassicurare le PMI sull’impatto di Basilea III a fine marzo è intervenuto l’inserimento di un coefficiente correttore che abbatterà il capitale regolamentare obbligatorio necessario da parte delle banche, nel caso in cui concedano prestiti alle imprese. 2.856 nel 2012, con un aumento del 29,2 per cento. Complessivamente in quattro anni i fallimenti nelle costruzioni sono stati 10.380 su un totale di circa 45 mila nell’insieme di tutti i settori, il 23 per cento del totale. In sei anni, dal 2008 al 2013, il settore delle costruzioni avrà perso circa il 30% degli investimenti, di cui mancati investimenti in opere pubbliche pari al 42,9%. I dati delle Casse Edili relativi ai primi undici mesi del 2012 confermano il trend fortemente negativo del triennio 2009-2011 (-22,7% ore lavorate; -23,2% e -19,3% rispettivamente per operai e imprese iscritti), evidenziando un ulteriore calo tendenziale del 14,4% per le ore lavorate, del 10,8 % degli operai e del 9,5% per le imprese iscritte. La situazione di crisi delle costruzioni, nel corso del 2012, ha subito un forte peggioramento. Tutti gli indicatori settoriali disponibili danno evidenza della gravità della situazione del mercato con intensità di cadute simili a quelle registrate nel 2009 e cioè nella fase della crisi. Nel 2012 gli investimenti in costruzioni registrano una flessione del 7,6% in termini reali ed un ulteriore calo del 3,8% è previsto per il 2013. In sei anni, dal 2008 al 2013, il settore delle costruzioni avrà perso circa il 30% degli investimenti di cui mancati investimenti in opere pubbliche pari al 42,9% e si colloca sui livelli più bassi degli ultimi quaranta anni. distribuzione Alessandro Bilancino Edilbilancino Viviamo una situazione pesantissima In questo momento il tessuto imprenditoriale è terrorizzato, i cittadini non investono più: è una situazione davvero insostenibile e personalmente, sono molto arrabbiato. Moltissimi miei clienti hanno seri problemi e rischiano di chiudere i battenti da un giorno all’altro. Trovo semplicemente indecoroso che uno stato non paghi i debiti contratti, oltretutto a causa di imposizioni gravosissime verso Enti locali al solo scopo di arrivare al proprio pareggio di bilancio. A questo si aggiunga un sistema politico – anche locale – clientelare e disonesto che distrae denaro per fini personali e fa della piccola corruzione e del clientelismo una regola. Voglio sottolineare una cosa, le Pa hanno sempre pagato con un notevole ritardo, però, fino a qualche anno fa la situazione andava bene a tutti, evidentemente quei ritardi erano compensati da altro. Il meccanismo, di collusione era ben strutturato e vedeva anche la complicità delle banche che rilasciavano finanziamenti dove non avrebbero proprio dovuto. Il risultato? Imprese sottocapitalizzate e non in grado di correre con le proprie gambe. marzo-aprile 2013 7 inchiesta il loop fin a n z i a r i o distribuzione Paolo Beneggi BpCom Se davvero l’importo è di soli 20 miliardi per il 2013 le imprese faranno in tempo a fallire prima di ricevere tutto il dovuto. E, del resto, non credo sia realistico pensare di reperire altri importi. Non credo di essere pessimista se affermo che ormai anche il fondo del barile è stato accuratamente spianato e la strada verso i fallimenti è spianata. Del resto le banche non erogano più un centesimo e, mi vien da dire, in modo corretto e coerente con la posizione finanziaria delle imprese. Non credono più nel settore edilizia, non solo maturo, ma in forte declino e non credono più nelle imprese di costruzione, destrutturate e sottocapitalizzate. Fino agli anni Ottanta queste aziende erano ben strutturate, disponevano di capitali, immobili attrezzature, da lì il declino. Probabilmente sono stati forniti indirizzi molto sbagliati al settore, quando sarebbe stato importante fissare paletti all’ingresso. Nutro poca speranza, per un riavvio anche nella ristrutturazione, che è in mano ai privati e a piccolissime imprese artigiane, e ancor meno nella riqualificazione energetica , perché – realisticamente – dubito sia davvero sostenuta e spinta dalla politica. Il fatto è che ci sono troppi interessi sull’energia da parte dello Stato, ridurre gli ingressi derivati dalle accise sul gasolio e sul gas sarebbe un suicidio economico. Habemus decretum Come visto, se non tutti, almeno una parte dei mali del mondo delle costruzioni viene dai ritardi nei pagamenti che, da domani, dovrebbero però essere saldati celermente. In data 6 aprile 2013, infatti, il Governo Monti, in uno dei suoi ultimi atti, ha finalmente emanato il Decreto legge recante “Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento dei tributi degli enti locali”. Intanto, il decreto, attraverso la Banca d’Italia quantifica il credito, in circa 90 miliardi di euro. Per il pagamento dei debiti di Regioni, Province e Comuni verrà creato un Fondo nel bilancio dello Stato che avrà come dotazione 26 miliardi di euro. Il Fondo sarà articolato in tre sezioni: per il pagamento dei debiti degli enti locali (2 miliardi nel 2013 e 2 miliardi nel 2014), delle Regioni per debiti diversi da quelli sanitari (3 miliardi nel 2013 e 5 miliardi nel 2014) e sempre delle Regioni ma per debiti sanitari (5 miliardi nel 2013 e 9 miliardi nel 2014). Comuni e Province, entro aprile, faranno richiesta di autorizzazione al ministero dell'Economia per i pagamenti da effettuare. Pagamenti, che come si legge dal comunicato sul sito del governo, saranno autorizzati entro il 15 maggio e finanziati con le disponibilità liquide degli enti. Entro il 15 giugno le amministrazioni dovranno comunicare importi e tempistiche alle imprese beneficiarie dei pagamenti. Ma sin da subito, in attesa dell' autorizzazione, le amministrazioni locali potranno iniziare a pagare i propri debiti nel limite del 50% dei pagamenti programmati. Se le amministrazioni sono a corto di liquidità potranno ottenere finanziamenti dal Fondo. La procedura non si annuncia molto semplice ma, proprio per non allungare i tempi, il consiglio dei ministri ha stabilito date precise: entro il prossimo 30 aprile sarà necessario inviare al Mef la richiesta di risorse necessarie per i pagamenti. E le pubbliche amministrazioni dovranno ricevere le relative ripartizioni entro il 15 maggio. Non oltre il 31 maggio verrà comunicato alle imprese creditrici il piano dei pagamenti. Per assicurare la liquidazione di tutti i debiti che risalgono a prima del 2012 e non sono ancora stati estinti, le amministrazioni sono chiamate entro il prossimo 15 settembre alla ricognizione completa dei debiti scaduti o in scadenza ancora pendenti. Dopodiché dovranno produrre, senza oneri per le imprese, l’elenco di tutti i debiti ancora da estinguere. Sarà poi la Legge di stabilità del 2014 a programmare il completamento del processo di liquidazione. Il decreto – oltre a un ovvio allentamento del Patto di stabilità interno – contiene anche una norma che prevede la compensazione dei crediti fiscali con i debiti della pubblica amministrazione. I punti deboli Uno dei punti più spinosi è che non si sa quanti siano, complessivamente, i debiti dello Stato e delle amministrazioni locali nei confronti delle imprese private (secondo Ance, ai soli loro associati sono dovuti oltre 9 miliardi di euro). A ottobre scorso, EuroStat diceva che nel 2011, la PA doveva alle imprese circa 67 miliardi di euro solo relativamente alla spesa corrente (escludendo le spese per gli investimenti): circa 8 marzo-aprile 2013 Il Patto di stabilità interno Il principio del Patto di stabilità e crescita nasce con il trattato di Maastricht che impone ai paesi che partecipano alla Unione Monetaria di mantenere il rapporto deficit/Pil al di sotto della soglia del 3%. In particolare, il Patto di Stabilità Interno è l’accordo che lo Stato Italiano ha assunto con gli altri Paesi europei in base al quale anche gli enti locali devono contribuire alla riduzione del debito pubblico nazionale, osservando delle regole che limitano fortemente le loro possibilità di spesa. L’articolo 28 della L. 448/1998 stabilisce che " le Regioni, le Province Autonome, le Province, i Comuni e le Comunità Montane concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica assunti dall’Italia con l’adesione al Patto di Stabilità e crescita, impegnandosi a diminuire progressivamente il finanziamento in disavanzo delle proprie spese e ridurre il rapporto tra il proprio ammontare di debito e il prodotto interno lordo." Affinché gli impegni vengano mantenuti, gli Enti locali, di anno in anno, devono rispettare regole sempre più rigorose, che spesso generano difficoltà nella realizzazione delle attività programmate a favore della popolazione. Questo sistema restringe l’autonomia degli enti locali impedendo, spesso, sia di realizzare nuove opere pubbliche, sia di effettuare interventi di manutenzione straordinaria che le infrastrutture richiedono. Il Patto impone, infatti, un limite tassativo nei pagamenti, soprattutto per quanto riguarda i lavori pubblici, generando talvolta situazioni paradossali, come quella di un ente che dispone di risorse finanziarie per realizzare una determinata opera, ma non può farla eseguire, visto che, successivamente, non potrebbe pagarle perché tenuto al rispetto dal limite imposto dal Patto di Stabilità. Qualora un ente, ad esempio un Comune non rispettasse il Patto di stabilità, sarebbe soggetto a sanzioni molto pesanti, come la drastica riduzione dei trasferimenti finanziari annuali da parte dello Stato; la drastica riduzione delle opere di manutenzione ordinaria; una riduzione dei servizi assistenziali; il divieto di assunzione di personale, a qualunque titolo e il divieto di contrarre mutui per il finanziamento di opere pubbliche. Il decreto 8 aprile 2013 n. 35 sul pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, prevede un immediato allentamento del Patto di stabilità interno: “Esclusione per il 2013 dal Patto di stabilità interno dei pagamenti di debiti certi, liquidi ed esigibili di parte capitale (investimenti già effettuati dalle PA) per un importo di 5 miliardi di euro per quanto riguarda gli enti locali, di 1,4 miliardi per quanto riguarda le regioni, 500 milioni per quanto riguarda le amministrazioni centrali e 800 milioni per investimenti cofinanziati dai fondi strutturali europei, necessario a consentire il conseguimento dei target di spesa”. distribuzione Valerio Lermini Gruppo Distribuzione Edile Ritardi dei pagamenti e stretta creditizia generano effetti a catena che si ripercuotono sulle nostre attività di distribuzione e, per fortuna, viviamo solo parzialmente i casi di grosse imprese del mondo della cooperazione che in questa zona (Bologna ndr) hanno subito danni ingenti da questa situazione. Certo è che nei rapporti di forza il nostro ruolo è vicino allo zero. Cerchiamo di limitare al massimo le esposizioni, ma alla fine, il materiale a qualcuno lo devi fornire. Le cause di questa situazione non sono nemmeno difficili da individuare: credo si tratti di un sistema figlio di tanti anni favorevoli, quando tutti potevano accedere al credito senza troppe garanzie, e oggi siamo alla resa dei conti. Le imprese hanno le loro colpe, fino a 15, 20 anni fa avevano personale, uffici tecnici, capitali, poi si è iniziato a esternalizzare tutto. E noi, come rivenditori, abbiamo trovato i nostri vantaggi, poiché, in un certo modo, abbiamo supplito a molti buchi che si erano creati nell’impresa. D’altro canto, il sistema bancario è stato un acceleratore della crisi. Fino a 3, 4 anni fa finanziava tutto, poi si è dato alla fuga, perché non c’è stata programmazione e si è costruito più del necessario. Ora la casa non è più un bene da investitore e anche le banche spesso hanno al loro interno un patrimonio immobiliare enorme ma altrettanto difficile da valutare. Insomma, tutto il tessuto ha raggiunto un profilo talmente basso che temo sarà difficile da aggiustare. marzo-aprile 2013 9 inchiesta il loop fin a n z i a r i o il 4 per cento del PIL. La stima della Banca d’Italia, su cui è stato organizzato il decreto, dice che alla fine del 2011 il totale dei debiti della PA sarebbe stato pari a circa 90 miliardi, cioè il 5,8 per cento del PIL. La stima esclude però molte imprese, tra cui quelle con meno di 20 dipendenti, che sono una parte molto importante dell’economia italiana. A conti fatti, questo decreto ha un po’ il sapore della ricerca di un concordato: io Stato ti devo 90-120 milioni e te ne pago 40, in due anni. Un’altra questione è l’effetto di queste misure sui conti pubblici. Complessivamente, la relazione che il governo ha presentato al Parlamento dice che il rapporto tra il deficit e il PIL per l’anno 2013 (si tratta di previsioni) deve essere rivisto al rialzo di mezzo punto percentuale: non sarà del 2,4 per cento come previsto in precedenza, ma del 2,9 per cento. Il pagamento dei debiti influenza probabilmente questo peggioramento, benché si tratti del pagamento di debiti che la PA si trascina dietro da tempo e che sono quindi già stati messi nei bilanci degli scorsi anni. In pratica, però, ha sostenuto il vicepresidente della Commissione Europea Antonio Tajani, “circa il 20% dei debiti non è ancora né contabilizzato né pagato”: quindi, qualora si arrivasse a pagare le spese non ancora contabilizzate, i conti dello Stato peggiorerebbero. Il fatto è che per una quota di spese della PA, in particolare quella per investimenti, viene conteggiata nel deficit solo quando i debiti vengono effettivamente saldati: questa parte di spese potrebbe effettivamente costituire un problema per i conti pubblici. La questione del credito Nell’ottobre del 2004, al Saie di Bologna, si tenne un convegno molto istruttivo e anticipatore su quel che sarebbe stato il rapporto tra credito e imprese di costruzione. Il tema era la prossima entrata in vigore degli accordi Basilea 2. In quell’occasione Pietro Modiano, allora amministratore delegato di UniCredit Banca d’impresa, affermava: “La sottocapitalizzazione delle imprese di costruzione, in particolare delle piccole e medie, è nota ed endemica. In più, il ricorso al credito a medio termine è bassissimo. Il sistema di finanziamento attuale della piccola impresa fa conto prevalentemente sul capitale di famiglia e questo, a lungo andare, genera un cortocircuito finanziario che porta inevitabilmente alla chiusura”. Nulla di nuovo: l'impresa media italiana è piccola, di natura familiare e – storicamente – ha mantenuto questo assetto anche quando riusciva a raggiungere fatturati di rilevanti dimensioni. Questa caratteristica ha fortemente limitato la propensione a una adeguata capitalizzazione poiché i soggetti su cui si concentrava il rischio di impresa hanno sempre cercato di limitarne la portata, creando imprese con il minor apporto possibile di capitale proprio. Dunque, che si faceva? Al momento del bisogno si ricorreva al capitale proprio o di finanziamento (costituito quasi esclusivamente da finanziamenti bancari) che ovviamente finiscono per ingessare la struttura creando un altissimo livello di dipendenza. Questa situazione era ottimamente tollerata dagli istituti di credito per due motivi: il primo per un rapporto di fiducia che si instaurava nel corso del tempo con l'imprenditore, di cui si conosceva la storia, puntualità dei pagamenti eccetera; il secondo, perché riscuotere interessi passivi, è un’operazione semplice e prima dell’arrivo degli accordi Basilea 2, la banca aveva un potere discrezionale decisamente elevato. A questo si aggiunga che dagli anni Ottanta in poi, le imprese non hanno ricevuto dal legislatore stimoli alla crescita, al superamento del nanismo, alla sottocapitalizzazione, alla frantumazione. L’assenza di un sistema consolidato di grandi imprese innovative e competitive ha condizionato tutto il settore. Grandi imprese orientate soltanto al mercato immediato e prive di investimenti in sviluppo, hanno indotto nelle medie e piccole una competizione sui fattori più bassi: sui costi e su forme diffuse di concorrenza sleale. Dunque, il motivo per il quale le nostre imprese di costruzione non riescono farsi finanziare è sostanzialmente uno: non offrono sufficienti garanzie per accedere al credito. E oggi se ne aggiunge un altro. 10 marzo-aprile 2013 La bolla immobiliare produzione C’è, non c’è? Esplode? Forse, chissà. Sta di fatto Massimo Buccilli che la discesa dei prezzi delle case procede inflesVelux Italia sibile. Questo significa che un istituto di credito, Entro il 16 marzo tutti gli Stati prima di concedere un finanziamento a un’impreMembri devono recepire la sa che vuol costruire, ci pensa molte volte, anzi, la Direttiva Ue che obbliga la PA reazione tipica è quella del vampiro che intravede al saldo in 30 giorni, ed anche i primi raggi del sole. se l’Italia l’ha già recepita, Secondo gli ultimi dati Istat diffusi il 4 aprile, l'Indice il ritardo dei pagamenti dei prezzi delle abitazioni (Ipab) acquistate dalle alle imprese da parte della Pubblica Amministrazione resta una piaga del sistema famiglie sia per fini abitativi sia per investimento economico italiano e, a parte ciò che avverrà in futuro, registra il quinto calo congiunturale consecutivo a resta un grosso debito pregresso da saldare. partire dalla fine del 2011, mentre la diminuzione Voglio essere molto chiaro: dubito che la direttiva in termini tendenziali è la più marcata delle quattro possa funzionare davvero in Italia, perché noi siamo registrate nel corso del 2012. sempre molto bravi a trovare sistemi per aggirare I prezzi delle abitazioni nuove è diminuito dello le leggi. Del resto, poi, se le amministrazioni non 0,3% su base congiunturale, segnando un aumento hanno soldi, procrastineranno comunque i pagamenti, dello 0,8% rispetto allo stesso trimestre del 2011. accollandosi gli interessi. Le responsabilità? Non c’è Quelli delle abitazioni esistenti è diminuito del 2,2% molto da cercare: chi ci ha governato e il sistema rispetto al trimestre precedente e del 6,9% su base bancario. Quest’ultimo, gioca come al solito un ruolo annua. d’attesa, non vedo alcuna iniziativa seria di sostegno e È la terza volta consecutiva, quindi, che i prezzi delle di rilancio, quando mi piacerebbe vedere una maggior attività. abitazioni nuove registrano un rallentamento dei tassi di crescita rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, mentre, sempre su base annua, i prezzi delle abitazioni esistenti presentano diminuzioni via via più marcate a partire dal quarto trimestre del 2011. In media, nel 2012, i prezzi delle abitazioni diminuiscono quindi del 2,7% (nel 2011 la variazione annuale era stata pari a +0,8%), sintesi di un aumento del 2,1% dei prezzi delle abitazioni nuove (+2,7% nel 2011) e di una diminuzione del 4,7% dei prezzi di quelle esistenti (dopo il -0,2% del 2011). Una discesa dei prezzi che, comunque, non è sufficiente a far ripartire il mercato, visto che nel 2012 ha perso oltre un quarto di scambi. L'Osservatorio del mercato immobiliare dell'Agenzia delle Entrate ha infatti marzo-aprile 2013 11 inchiesta il loop fin a n z i a r i o registrato un calo del 25,8% del numero di abitazioni compravendute. Qualche segnale di ottimismo viene da Nomisma che confida in una leggera ripresa dei finanziamenti – ai privati – che possa stimolare le compravendite a partire dal 2014; sempre però in un contesto di prezzi ancora in calo, con dimensioni non molto differenti rispetto a quanto registrato dall'Istat sul mercato dell'usato. Forse non c’è più bisogno di case (non parliamo poi di immobili industriali, che quelli quasi te li regalano). “Si è cresciuti troppo per poter crescere ancora”. Così concludeva l’introduzione al documento Cresme su “Il mercato delle costruzioni 2003”. Dieci anni fa. Quello di cui ci sarebbe davvero bisogno, invece, è ristrutturare in senso energetico il nostro obsoleto patrimonio edilizio. produzione Thomas Garbislander Torggler Chimica Credo che il decreto rappresenti una dichiarazione d’intenti, è una prima spinta, una piccola boccata d’ossigeno che può aiutare molto emotivamente. Purtroppo, nella sostanza noi imprenditori che subiamo il ritardo dei pagamenti a vario titolo, ci aspettavamo qualcosa di molto più sostanzioso. I 40 miliardi spalmati su due anni non sono certo sufficienti a mettere in salvo molte aziende che stanno fallendo, e tantomeno l’intero settore. La considerazione che, purtroppo, viene naturale è che l’intera vicenda ha davvero aspetti tristi: la pubblica amministrazione – centrale o periferica – dovrebbe dare il buon esempio, invece marcia in senso contrario. Sul sistema creditizio, c’è poco da dire: immobilità e attendismo. Anche qui, tuttavia, la sensazione, da non esperto di macroeconomia, è che la Bce abbia rifinanziato abbondantemente le diverse banche locali e queste non abbiano, con altrettanta generosità, ridistribuito verso l’economia reale. Probabilmente, il mondo della grande e virtuale finanza ha ormai un sovrappeso eccessivo su quello produttivo reale. La questione energetica Tutti gli anni le nostre abitazioni consumano circa 32 miliardi di metri cubi di gas per riscaldamento e circa 2 milioni di tonnellate di gasolio. Troppo, davvero troppo. In questi combustibili ogni famiglia italiana spende un sacco di denaro. E tutto questo inquina, ormai a livelli insostenibili. Le tecnologie – tutte cose abbastanza semplici e nemmeno costosissime – per abbattere di almeno il 50 per cento i consumi energetici sono alla portata di tutti. E applicarle, come ogni buon osservatore sostiene ormai da anni, rimetterebbe davvero in moto il settore, con iniezioni di liquidità salvifiche. Però c’è un problemino: quando un consumatore acquista un metro cubo di gas, pagandolo circa 90 centesimi, acquista un po’ di gas e un po’ di accise; per la precisione, il 30 per cento. Diciamo che circa 37,5 centesimi sono il prezzo della materia prima; 15,1 vanno in costi infrastrutturali, 7,1 sono i costi di vendita e 30,6 le imposte. La medesima cosa, più o meno, per il gasolio, dove – prezzi medi 2012, per 1000 litri – il prezzo industriale era pari a 799,08 euro, a cui andavano a sommarsi 252,48 euro di Iva, 403,21 di accise per arrivare al prezzo al consumatore di 1.454,76 euro. Fatti due conti, a spanne, dai soldi che gli italiani spendono per riscaldarsi, lo stato incamera qualcosa come 10 miliardi di euro. Pensare che lo Stato italiano – in questo momento, ma non l’ha fatto nemmeno quando poteva – incentivi davvero il decremento di una delle sue maggior fonti di introito è quanto meno ingenuo. That’s the economy, baby. 12 marzo-aprile 2013