PARTE - I `Chinatosi si mise a scrivere col dito per terra`
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PARTE - I `Chinatosi si mise a scrivere col dito per terra`
PARTE - I ‘Chinatosi si mise a scrivere col dito per terra’ 1 "In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3 Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei". 6 Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. 7 Allora Gesù disse loro di nuovo: "In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8 Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. 11 Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12 Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. 14 Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16 E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17 Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio". Nel piano generale dell’evangelista Giovanni, ci troviamo nella prima sezione dell’intero Vangelo, il cosiddetto Libro dei Segni, ovvero il ‘Libro’ dove sono contenuti quei ‘gesti e miracoli’ che hanno lo scopo di evidenziare l’identità del Figlio di Dio. In modo particolare il nostro capitolo decimo si situa all’interno di un ‘andare’ di Gesù, viaggio che ormai lo ha condotto dalla Galilea alla Giudea, fino alla città di Gerusalemme. 1 Siamo alla fine dell’anno: i capitoli VII-X si situano cronologicamente tra settembre (la festa delle Capanne o Tabernacoli -Gv 7, 2-) e dicembre (la festa della Dedicazione -Gv 10, 22-). In questi pochi mesi Gesù sta crescendo nella consapevolezza che prossima sarà la necessaria offerta di sé, e che l’ostilità dei farisei è evidente. Non rinuncia, però, a dimostrare con parole e gesti, la Sua verità; si serve a questo proposito di espressioni chiare: Chi ha sete venga a me e beva \ Io sono la luce del mondo \ Quando avrete innalzato il figlio dell’uomo, allora conoscerete che io sono \ Prima che Abramo fosse io sono. Egli compie, inoltre, almeno due gesti forti: il perdono dell’adultera (Gv 8, 1-11) e la guarigione del cieco nato (Gv 9, 1-41), gesti rivelativi tanto del suo essere ‘volto della misericordia del Padre’, quanto del suo essere ‘vera luce nel mondo’. Il nostro testo si pone dunque dentro questa cornice; e la pagina, attraverso le due metafore del Buon Pastore e della Porta dell’ovile, continua ad attirare l’attenzione dei discepoli su chi sia veramente il Figlio di Dio. La conoscenza della Sua identità, però, non è fine a se stessa; essa rivela gradualmente sia la relazione di Dio-Amore con noi, sia la nostra possibile risposta di discepoli. E tale risposta, ricordiamo, non è motivata dal ‘dovere’, ma dalla futura e possibile nostra ‘beatitudine’. Il capitolo XIII, infatti, si concluderà con la certa affermazione di Gesù: Conoscendo queste cose, siete beati se le fate concretamente (Cfr. Gv 13,17). Il dire di Giovanni, a prima vista, sembra essere confuso e complesso; egli non si serve della consequenziale sintassi latina, caratterizzata da una stringente logica interna, e da un ordine consequenziale dei concetti. Il testo in esame è segnato dalla forma espressiva orientale-giudaica, che conduce il lettore al cuore del discorso, attraverso un ragionamento apparentemente disorganizzato, con una ripetuta insistenza sui medesimi concetti, attraverso un graduale cambio di vocabolario, che non allontana dal pensiero, ma lo specifica. Forse la chiave di lettura più agevole è quella di paragonare il ragionamento dell’autore ad un testo poetico o ad un canto, dove ciò che si comunica non è semplicemente la freddezza di una successione di idee convincenti, quanto la personalità dell’autore che incontrandoci ci tocca nel profondo, attraverso ciò che egli è e attraverso ciò che ha vissuto. Abbiamo così: (a) Versetti 1-5. Un primo tentativo di spiegazione legato alla figura del pastore “che attraversa la porta dell’ovile” ( ό); (b) Versetto 6, risultato di questa spiegazione è la non comprensione da parte degli ascoltatori; (c) Versetti 7-10, l’immagine della porta delle pecore (ώ ύ ώ ά); (d) Versetti 11-15, l’immagine del ‘bel’ pastore ((ώ ή ό); (e) Versetti 16, il riferimento ad altre pecore; (f) Versetti 17-18, una sorte di sentenza finale ed esplicativa, che lascia il linguaggio delle immagini, per alludere chiaramente al mistero pasquale. Dinnanzi a questa spiegazione sorge la divisione fra i Giudei. 2 Comprendiamo, innanzitutto, che le affermazioni di Gesù qui esposte, devono possedere un contenuto sconcertante se i suoi uditori per ben due volte non comprendono o non vogliono capire (B - F); ancora, la prima immagine (A) è come riassuntiva delle seconde due (C - D), anche se la nostra attenzione è davvero catturata dalle ‘seconde’ simbologie: della ‘porta’ e del ‘bel pastore’. Vogliamo soffermarci particolarmente su alcune espressioni. Cosa significa, dunque, il primo riferimento a colui che, a differenza dei ladri, sale verso l’ovile e vi entra dalla porta? L’immagine suggerisce “normalità”. Se il gregge è il popolo di Israele (dunque la Chiesa, noi…) Cristo ci invita alla Sua sequela, raggiungendoci nella normalità, nella consuetudine, nell’ordinario del nostro vivere, senza sorprenderci con azioni spettacolari (azioni che caratterizzano, invece, chi vuole strumentalizzare il gregge per i suoi fini). Leggiamo primariamente in quest’ottica il grande segno dell’Incarnazione. Dio in Gesù Cristo mostra il suo amore di Padre, e lo fa in un modo “ordinario”. Il figlio di Dio nasce da una donna, tra i poveri, è docile ad un contesto familiare, vive per molti anni un’esperienza ordinaria e di lavoro; anche quando inizia l’impegno missionario, Egli non disdegna il vivere comune degli uomini, la loro fragilità, e si adatta al linguaggio verbale ed emotivo della nostra umanità. E’ interessante ricordarci che talvolta l’uomo, dinnanzi a questa piccolezza di Dio, non capisce; sembra essere sorpreso che il Signore ci incontri e ci ami così. Il testo dice che “quelli non capirono”, ovvero non entrano in sintonia, di idee e di vita, con quello che sta dicendo il Maestro. Esperienza umana di ieri e di oggi, laddove, dinnanzi, alla novità del Vangelo, talvolta occorre lasciarsi sorprendere e meravigliare. Dinnanzi al Vangelo, infatti, si può fare l’esperienza di realtà distanti, forse antitetiche rispetto al proprio modo di vedere la realtà, gli altri, noi stessi, l’immagine di Dio… Arriviamo così alla prima metafora: “Io sono la porta delle pecore”. Gesù si propone come il passaggio obbligato, solido e necessario per la vita in pienezza. La parola “porta”, tecnicamente qui non indica una piccola struttura di passaggio, ma una costruzione solida: l’autore, infatti, attinge al linguaggio del greco classico (ἡ θύρα). La vita dell’uomo non semplicemente può ‘imitare saltuariamente’ quella di Cristo, siamo chiamati a ‘fare essenzialmente e fedelmente’ come Lui. Nostri siano i suoi sentimenti, nostri sia la sua esperienza di obbedienza e donazione! Il frutto di questo ‘passaggio in Lui’ è evidente: è il trionfo della vita (cfr. ‘Se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo’). Tale ‘trionfo’ è posto in netta antitesi con la cultura di dominio, sopraffazione e morte che un altro tipo di “passaggio”, invece, può consegnare… “Io sono il buon pastore”, letteralmente io sono il “bel pastore”. Ci ricordiamo che secondo il sentire della cultura classico-ellenistica la virtù interiore doveva manifestarsi nella verità, anche attraverso una ‘forma adeguata’, (estetica, cioè percepibile) a questo “bello morale”. Qual è la bontà – bellezza di Gesù? Il suo amore donato sino alla pienezza! 3 Quella di Cristo è carità che sa intessere profondi legami di comunione e che è capace di attrarre con la confidenza, la mitezza del tratto; essa sa difendere e proteggere. Tali attitudini profonde non sono però semplicemente interiorizzate da Gesù. Dice il testo: esse si riverberano su tutta la persona del pastore; i suoi gesti, le parole, gli atteggiamenti, in generale lo stile di vita, fanno trasparire questa donazione interiore. Interessante notare la contrapposizione rispetto agli atteggiamenti ‘brutti’ (contrari alla bellezza), propri del mercenario: abbandona al pericolo, si rinchiude in egoistica autodifesa, consegna alla divisione, non ama e non conosce il gregge! SPUNTI PER IL CAMMINO * Quale immagine abbiamo di Gesù il Cristo? Egli è al centro assoluto della nostra esperienza di credenti: cosa conosciamo di Lui? Quanto ci provoca la Sua persona? Notiamo come questo confronto esistenziale con il Figlio di Dio sia quasi una costante per comprendere la misericordia e crescere in essa… * Come i discepoli siamo in cammino per capire e conoscere… Nonostante la lunga catechesi dei nostri giorni, possiamo rimanere duri di orecchi e di cuore, la novità del Vangelo rischia di essere così nuova, da non venire mai accolta e, talvolta, neppure capita. * Gesù si propone come “modello” per chi fa delle attitudini educative la sua spiritualità (cioè il suo modo specifico e singolare di vivere la fede); non per nulla questo Vangelo si lega intimamente alla esperienza salesiana ed è parte dello ‘sfondo biblico’ del “Sogno dei nove anni”. Possiamo essere provocati da ‘Cristo educatore’ almeno su tre livelli: I. Accompagnare nella vita in pienezza è “entrare dalla porta”, ovvero accogliere ed immergersi nella pienezza di umanità, propria della vita quotidiana. Il Vangelo ci invita a preferire il normale al sensazionale, la logica del tutti i giorni rispetto alla logica dell’evento. Proprie dell’educatore dovrebbero essere la semplicità, la conoscenza profonda dell’umano, l’accoglienza benevola dei propri ed altrui limiti, l’abolizione delle maschere e delle sovrastrutture, il desiderio mite di verità, l’accettazione della piccolezza e dei necessari itinerari di crescita. Forse queste dimensioni sono ancora troppo proclamate come slogan e verità teoriche, ma poi sia la vita personale dell’educatore sia la vita dell’ambiente educativo non riescono ad essere declinate su questi temi… II. Accompagnare la vita in pienezza è “essere la porta”. Ciò che tu non hai vissuto intensamente difficilmente riesci a farlo vivere ai tuoi giovani. La tua maturità umana, il tuo cammino di fede, la tua onestà, il tuo senso del dovere vengono attraversati dalle vite dei giovani, i quali imparano la statura dell’umano maturo incontrandoti, facendo concretamente esperienza della tua vita in pienezza. Essi possono così incontrare il mistero pasquale che ci plasma: quella duplicità di Croce e Resurrezione che è caratteristica intrinseca e spina dorsale del battezzato. Solo quando incontrano il 4 mistero pasquale che ci abita, i giovani gusteranno la beatitudine che nasce dall’accogliere anche essi questa logica di autentica felicità per le loro giornate. III. Accompagnare la vita in pienezza è “essere bei \ buoni pastori”. La nostra società ha fatto aumentare la sensibilità estetica; educare al bello è far crescere verso la verità e la pienezza etica, educare al bello è far incontrare Dio. Siamo chiamati ad essere ‘segni di bellezza’, ‘frammenti di gloria’… Cioè? Per un educatore non è sufficiente essere convinto interiormente in merito al senso della vita, occorre che tutto ciò si riverberi all’esterno. Davvero ‘l’ordinario’ delle nostre giornate può parlare di ‘straordinario’: laddove ciò non significa fare cose fuori dalla norma, ma possedere uno stile di relazioni, un’attività lavorativa e di studio, una gestione delle cose che ci circondano, che parlano di una Bellezza, radicata nell’Alto (nel Signore…) ed in profondità (nell’interiorità solida della persona). 4. I gesti della misericordia di Gesù (Gv 8, 1-11) Penso che sia molto opportuno (dopo avere guardato all’interiorità di Cristo ‘il mite e umile di cuore’, ed il ‘buon pastore’) incontrarci con la forma misericordiosa dell’agire di Cristo. Si impara a ‘fare come Cristo’ non semplicemente ‘capendo il Figlio di Dio’, ma toccando, entrando, facendo esperienza sensibile del suo agire. In questo i Vangeli sono di un’attualità impressionante, non semplicemente descrivono teoricamente il profilo del Cristo, ma si dilungano (e con particolari assolutamente necessari) a descrivere la concreta forma della sua vita, il Suo materiale agire secondo il cuore del Padre. Dunque se per noi può essere facile, o difficile, comprendere il cuore in sé del Figlio, le Sue azioni non solo sono di chiarezza lampante, ma divengono facilmente assimilabili; esse sono certamente esame di coscienza, ma anche possibilità reale per amare come il Figlio, toccare come lui, sentire come lui, chinarsi come lui… 1 Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5 Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7 Tuttavia, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più». 5 Iniziamo a riflettere sul testo con alcune osservazioni di carattere generale. - - - Occorre dire che il brano non è presente in un tutti i manoscritti antichi. Addirittura si potrebbe ipotizzare un’origine, non giovannea del testo, ma lucana o della sua scuola (e dunque, forse, collocabile nel terzo vangelo sinottico, dopo il cap 21,38, prima della narrazione dei giorni di Passione). Infatti il testo ha un tema evidente, legato alla misericordia; sarebbe stato collocato nel vangelo di Giovanni da una tardiva redazione giovannea. Ciò che interessa è che questa straordinaria icona del perdono è giunta fino a noi integra nella sua eccezionalità: essa sembra quasi sovvertire i criteri di umana giustizia, sembra una testo ‘scandaloso’, per l’evidenza e l’abbondanza del gesto del perdono. Ricordiamo che se leggiamo il testo nel contesto della narrazione giovannea (e oggi è questo il corretto contesto esegetico), notiamo nel procedere dei capitoli un crescente movimento di Gesù, dalla Galilea alla Giudea. Tale movimento coincide con una autorivelazione del figlio di Dio, che conduce alla divisione delle posizioni e lascia perplessi. Cronologicamente ci troviamo durante la ‘Festa delle Capanne’ di fine settembre. E’ un contesto di festa religiosa, nella quale si attingeva l’acqua dalla piscina di Siloe, per aspergere l’altare del Tempio, e si collocavano dei candelabri come segno di festa nel cortile del santuario. Gesù prendendo spunto da tale ritualità, consegna in tale clima festivo due delle sue più note autorivelazioni: ‘Chi ha sete venga a me e beva’ (Gv 7,37) e ‘Io sono la luce del mondo’ (Gv 8,12). Autorivelazioni che incorniciano il nostro scritto, formando con l’implicita autorivelazione ‘Neanch’io ti condanno…’, un perfetto trinomio. Procediamo ora soffermandoci sui singoli versetti. Vv. 1-2. Questi versetti descrivono l’ordinario della vita di Gesù. Ci colpisce sia una ricerca forse in solitaria, nelle ore notturne, del colloquio con Dio, sia l’essere come attirato dal Tempio, il luogo del Padre e della Sapienza, dove il Figlio di Dio non si esime dall’insegnamento. Gesù sembra dominato dal rapporto con suo Padre, e dalla necessità di rivelare la Sua identità e la pienezza del Regno, nonostante lo sconcerto che questo graduale manifestarsi della misericordia di Dio può creare. Vv. 3-6a. Si manifesta, a questo punto, il giudizio del mondo, attraverso quattro momenti: - la donna ‘viene condotta’; non c’è dubbio sul suo peccato; essa viene impietosamente ‘collocata nel mezzo’, come oggetto di giudizio; si profila il gioco perverso del mettere alla prova il magistero di Gesù, e del ricercare capi di accusa contro di lui per la condanna. In queste azioni tutto dice contrapposizione: la scelte dell’uomo e le posizioni morali della legge, gli accusatori da un lato, Cristo e la donna, dall’altro. Ancora, da una parte si trova l’intransigente 6 violenza, legittimata dal diritto, e dall’altra la doppia debolezza: della donna (trattata da oggetto) e del magistero di Cristo (caratterizzato dall’essere solo e in una posizione svantaggiosa di accusa ed inganno). Accomunano la donna e Gesù, le intenzioni di tutti coloro che si trovano sulla scena. Il Figlio di Dio e l’adultera sono accomunati dall’essere oggetto della ferocia del fariseismo legalistico, e della curiosità meschina del popolo. A ben guardare le ‘accuse’ sono due: una quella alla donna causa il suo peccato pubblico, l’altra quella a Gesù, in quanto rivelazione del volto di Dio. V. 6b. Nella concitazione generale si delinea il gesto di Gesù, in palese opposizione a tutto il contesto! Si china nell’umiltà, e scrive per terra, nella ricerca di un possibile silenzio ragionevole. Molto si è detto su questo gesto; è possibile intravvedere due riferimenti biblici: Giob 13,26 (‘Perché scrivi contro di sentenze amare’) e Ger 17, 13 (‘Quanti si allontanano da me saranno scritti nella polvere’). Mi pare corretto leggere in questo gesto anche solo semplicemente il tratto della personalità interiore di Cristo: egli custodisce il distacco emotivo (che consegna dignità), aderisce alla sua interiorità misericordiosa, non rifiuta il necessario silenzio di carità. Ma soprattutto Gesù scende giù: presso la terra, presso il peccato della donna; egli sa guardarla negli occhi della sua umiliazione, è lì dove lei è accovacciata, perché buttata lì con violenza, ove rannicchiata, e forse dolorante, sta nel pianto, nella disperazione e nella paura. Cristo non ha paura della terra: qui sta presso una peccatrice, poi starà sul pavimento del Cenacolo a lavare i piedi e quindi si distenderà sulla terra delle strade di Gerusalemme, caduto sotto il peso della croce prima, e infine starà a terra slogato, sulle rocce del Calvario. V. 7. L’espressione ‘Chi di voi è senza peccato…’ si noti che è come estorta dalla violenza dell’intorno; ciò pare giustificare la sinteticità e l’intensità delle parole. Tale frase dice come il Figlio di Dio conosca profondamente la nostra libertà ed il suo margine di azione, ma anche come tale libertà sia soggetta alla debolezza e possa essere autenticamente ferita dalle nostre scelte di peccato. L’espressione non significa tanto ‘tutti siamo peccatori e dunque…va bene così’, tale frase evidenzia particolarmente come il dono della libertà, fatto all’uomo dal Creatore, si sia incrinato ed offuscato con quelle scelte di male che sembrano esserci nel cuore di ognuno… V. 8. L’ultimo versetto si può interpretare come il crescere drammatico dell’azione di misericordia. Gesù ritorna nel rispettoso silenzio dello scrivere per terra, sta nella solitudine con la donna (condivide l’amarezza della sua umiliazione e la freddezza dei rapporti lacerati); questa volta lui stesso interroga la donna (con due domande che sanno di delicatezza e di comprensione), offre il perdono. Si noti l’insistente uso della negazione (Nessuno ti ha condannata \ Nessuno… \ Neanch’io) che è come il sigillo del perdono di Dio, quasi una antitesi alla violenza affermativa del mondo (questa donna!). Non rimane banale chiedersi nel concreto il tono della ‘nostra’ misericordia * La nostra vita di educatori è segnata dalla realtà del peccato (può divenire pubblico \ può essere nascosto nel cuore \ può coincidere con la durezza della formale osservanza religiosa \ può condurre all’umiliazione). 7 * Anche per noi la dinamica di ‘misericordia - perdono – accoglienza’ scandalizza e sembra inaccettabile socialmente. * Gesù diviene modello di questa misericordia, ‘così propria dell’umano’. Oggi siamo chiamati a divenire maestri in questo atteggiamento misericordioso, che non rinnega l’oggettività dello sbaglio altrui e lo sa chiamare per nome, anche se nel silenzio e nel rispettoso nascondimento. Sembra che il Cristo ci insegni l’itinerario necessario per consegnare la misericordia: tratto distintivo del credente e della comunità dei credenti. Occorre costruire tale atteggiamento di perdono a partire da un distacco emotivo, che non rinnega l’altrui dignità; quindi è necessario collocarsi ‘a terra’ ovvero scendere nell’umiltà dell’incontro, che è forse riconoscimento della propria debolezza e, dunque, sguardo autentico sui limiti altrui. Aderendo profondamente alla propria interiorità è possibile iniziare il dialogo della comprensione, dell’accoglienza vera, colma di speranza, e della riconsegna della fiducia, che ricostruisce il peccatore. * Se è ‘facile’, forse, descrivere gli elementi esegetici del gesto di Gesù, sembra quasi impossibile farli propri, ci sembra un tirocinio troppo costoso porci alla sequela del Maestro che scende giù per risollevare, avvertiamo come nella nostra vita sia pesantissimo questo discendere, per innalzare; solo forse sostenuti dallo Spirito è possibile essere docili a Lui, che ci plasma il cuore ad immagine del Figlio… * Rimangono così utili alcune domande: sto camminando per perdonare e per donare misericordia innanzitutto a me stesso\a? Mi lascio perdonare da Dio? Coltivo interiorità, silenzio, equilibrio delle emozioni così da essere capace di perdono? Sono convinto\a della strategia della riconciliazione? PER LA LETTURA SPIRITUALE (St. Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, Omelia 33, 5-8) 5. Cosa rispose dunque il Signore Gesù? Cosa rispose la verità? Cosa rispose la sapienza? Cosa rispose la stessa giustizia contro la quale era diretta la calunnia? Non disse: Non sia lapidata! Si sarebbe messo contro la legge. Ma si guarda bene anche dal dire: Sia lapidata! Egli era venuto, non a perdere ciò che aveva trovato, ma a cercare ciò che era perduto (cf. Lc 19, 10). Cosa rispose dunque? Guardate che risposta piena di giustizia, e insieme piena di mansuetudine e di verità! Chi di voi è senza peccato - dice - scagli per primo una pietra contro di lei (Gv 8, 7). O risposta della Sapienza! Come li costrinse a rientrare subito in se stessi! Essi stavano fuori intenti a calunniare gli altri, invece di scrutare profondamente se stessi. Si interessavano dell'adultera, e intanto perdevano di vista se stessi. Prevaricatori della legge, esigevano l'osservanza della legge ricorrendo alla calunnia, non sinceramente, come fa chi condanna l'adulterio con l'esempio della castità. Avete sentito, o Giudei, avete sentito, farisei e voi, dottori della legge, avete sentito tutti la risposta del custode della legge, ma non avete ancora capito che egli è il legislatore. Che altro vuol farvi capire, scrivendo in terra col dito? La legge, infatti, fu scritta col dito di Dio, e fu scritta sulla 8 pietra per significare la durezza dei loro cuori (cf. Es 31, 18). Ed ora il Signore scriveva in terra, perché cercava il frutto. Avete dunque sentito il verdetto? Ebbene, si applichi la legge, si lapidi l'adultera! E' giusto, però, che la legge della lapidazione venga eseguita da chi dev'essere a sua volta colpito? Ciascuno di voi esamini se stesso, rientri in se stesso, si presenti al tribunale della sua anima, si costituisca davanti alla propria coscienza, costringa se stesso alla confessione. Egli sa chi è, poiché nessun uomo conosce le cose proprie dell'uomo, fuorché lo spirito dell'uomo che è in lui (cf 1 Cor 2, 11). Ciascuno, rivolgendo in sé lo sguardo, si scopre peccatore. Proprio così. Quindi, o voi lasciate andare questa donna, o insieme con lei subite la pena della legge. Se dicesse: Non lapidate l'adultera! verrebbe accusato come ingiusto; se dicesse: Lapidatela! non si mostrerebbe mansueto. Ascoltiamo la sentenza di colui che è mansueto ed è giusto: Chi di voi è senza peccato, scagli per primo una pietra contro di lei. Questa è la voce della giustizia: Si punisca la peccatrice, ma non ad opera dei peccatori; si adempia la legge, ma non ad opera dei prevaricatori della legge. Decisamente, questa è la voce della giustizia. E quelli, colpiti da essa come da una freccia poderosa, guardandosi e trovandosi colpevoli, uno dopo l'altro, tutti si ritirarono (Gv 8, 9). Rimasero soltanto loro due: la misera e la misericordia. E il Signore, dopo averli colpiti con la freccia della giustizia, non si fermò a vederli cadere, ma, distolto lo sguardo da essi, si rimise a scrivere in terra col dito (Gv 8, 8). 6. Quella donna era dunque rimasta sola, poiché tutti se ne erano andati. Gesù levò gli occhi verso di lei. Abbiamo sentito la voce della giustizia, sentiamo ora la voce della mansuetudine. Credo che più degli altri fosse rimasta colpita e atterrita da quelle parole che aveva sentito dal Signore: Chi di voi è senza peccato, scagli per primo una pietra contro di lei. Quelli, badando ai fatti loro e con la loro stessa partenza confessandosi rei, avevano abbandonato la donna col suo grande peccato a colui che era senza peccato. E poiché essa aveva sentito quelle parole: Chi di voi è senza peccato, scagli per primo una pietra contro di lei, si aspettava di essere colpita da colui nel quale non si poteva trovar peccato. Ma egli, che aveva respinto gli avversari di lei con la voce della giustizia, alzando verso di lei gli occhi della mansuetudine, le chiese: Nessuno ti ha condannato? Ella rispose: Nessuno, Signore. Ed egli: Neppure io ti condanno, neppure io, dal quale forse hai temuto di esser condannata, non avendo trovato in me alcun peccato. Neppure io ti condanno. Come, Signore? Tu favorisci dunque il peccato? Assolutamente no. Ascoltate ciò che segue: Va' e d'ora innanzi non peccare più (Gv 8, 10-11). Il Signore, quindi, condanna il peccato, ma non l'uomo. Poiché se egli fosse fautore del peccato, direbbe: neppure io ti condanno; va', vivi come ti pare, sulla mia assoluzione potrai sempre contare; qualunque sia il tuo peccato, io ti libererò da ogni pena della geenna e dalle torture dell'inferno. Ma non disse così. 7. Ne tengano conto coloro che amano nel Signore la mansuetudine, e temano la verità. Infatti dolce e retto è il Signore (Sal 24, 8). Se lo ami perché è dolce, devi temerlo perché è retto. In quanto è mansueto dice: Ho taciuto; ma in quanto è giusto aggiunge: Forse che sempre tacerò? (Is 42, 14 sec. LXX). Il Signore è misericordioso e benigno. Certamente. Aggiungi: longanime, e ancora: molto misericordioso, ma tieni conto anche di ciò che è detto alla fine del testo scritturale, cioè verace (Sal 85, 15). Allora infatti giudicherà quanti l'avranno disprezzato, egli che adesso sopporta i peccatori. Forse che disprezzi le ricchezze della sua bontà, della sua pazienza, della sua longanimità, non comprendendo che questa bontà di Dio ti spinge solo al pentimento? Con la tua 9 ostinatezza e con il tuo cuore impenitente accumuli sul tuo capo l'ira per il giorno dell'ira, quando si manifesterà il giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere (Rm 2, 4-6). Il Signore è mansueto, il Signore è longanime, è misericordioso; ma è anche giusto, è anche verace. Ti dà il tempo di correggerti; ma tu fai assegnamento su questa dilazione, senza impegnarti a correggerti. Ieri sei stato cattivo? oggi sii buono. Anche oggi sei caduto nel male? almeno domani cambia. Tu invece rimandi sempre e ti riprometti moltissimo dalla misericordia di Dio, come se colui che ti ha promesso il perdono in cambio del pentimento, ti avesse anche promesso una vita molto lunga. Che ne sai cosa ti porterà il domani? Giustamente dici in cuor tuo: quando mi correggerò, Dio mi perdonerà tutti i peccati. Non possiamo certo negare che Dio ha promesso il perdono a chi si corregge e si converte; è vero, puoi citarmi una profezia secondo cui Dio ha promesso il perdono a chi si corregge; non puoi, però, citarmi una profezia secondo cui Dio ti ha promesso una vita lunga. 8. Gli uomini corrono due pericoli contrari, ai quali corrispondono due opposti sentimenti: quello della speranza e quello della disperazione. Chi è che s'inganna sperando? chi dice: Dio è buono e misericordioso, perciò posso fare ciò che mi pare e piace, posso lasciare le briglie sciolte alle mie cupidigie, posso soddisfare tutti i miei desideri; e questo perché? perché Dio è misericordioso, buono e mansueto. Costoro sono in pericolo per abuso di speranza. Per disperazione, invece, sono in pericolo quelli che essendo caduti in gravi peccati, pensano che non potranno più essere perdonati anche se pentiti, e, considerandosi ormai destinati alla dannazione, dicono tra sé: ormai siamo dannati, perché non facciamo quel che ci pare? E' la psicologia dei gladiatori destinati alla morte. Ecco perché i disperati sono pericolosi: non hanno più niente da perdere, e perciò debbono essere vigilati. La disperazione li uccide, così come la presunzione uccide gli altri. L'animo fluttua tra la presunzione e la disperazione. Devi temere di essere ucciso dalla presunzione: devi temere, cioè, che contando unicamente sulla misericordia di Dio, tu non abbia ad incorrere nella condanna; altrettanto devi temere che non ti uccida la disperazione; che temendo, cioè, di non poter ottenere il perdono delle gravi colpe commesse, non ti penti e così incorri nel giudizio della Sapienza che dice: anch'io, a mia volta, godrò della vostra sventura (Prv 1, 26). Come si comporta il Signore con quelli che sono minacciati dall'uno o dall'altro male? A quanti rischiano di cadere nella falsa speranza dice: Non tardare a convertirti al Signore, né differire di giorno in giorno; perché d'un tratto scoppia la collera di lui, e nel giorno del castigo tu sei spacciato (Sir 5, 8-9). A quanti sono tentati di cadere nella disperazione cosa dice? In qualunque momento l'iniquo si convertirà, dimenticherò tutte le sue iniquità (cf. Ez 18, 21-22 27). A coloro dunque che sono in pericolo per disperazione, egli offre il porto del perdono; per coloro che sono insidiati dalla falsa speranza e si illudono con i rinvii, rende incerto il giorno della morte. Tu non sai quale sarà l'ultimo giorno; sei un ingrato; perché non utilizzi il giorno che oggi Dio ti dà per convertirti? E' in questo senso che il Signore dice alla donna: Neppure io ti condanno: non preoccuparti del passato, pensa al futuro. Neppure io ti condanno: ho distrutto ciò che hai fatto, osserva quanto ti ho comandato, così da ottenere quanto ti ho promesso. 10