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fatto a mano - Emilia Romagna Turismo

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fatto a mano - Emilia Romagna Turismo
Reportage dalla provincia di Ravenna al seguito della più
antica tradizione dell’artigianato artistico e tipico.
Quattro percorsi seguendo i quali si scopre che la raffinata
arte decorativa dei ceramisti di Faenza si incrocia con lo splendore
delle tessere sapientemente lavorate dai mosaicisti di Ravenna,
Ravenna intorno, Verde, Azzurro, Oro
Fatto a mano
che nelle botteghe degli stampatori romagnoli si mantiene viva
la tipica stampa a ruggine e dovunque, dall’Appennino alla costa,
dal lavoro di mani sapienti e instancabili nascono opere uniche,
di ferro o di legno, create ricamando su tessuti antichi o intessute
con erbe di palude, ma anche incise sui metalli preziosi.
eventi dedicati all’artigianato.
Fatto a mano
Il testo offre spunti di approfondimento, suggerimenti
bibliografici, notizie utili sulle località toccate dai percorsi e sugli
fatto
a mano
Maestri e luoghi
dell’artigianato artistico e tipico
nella provincia di Ravenna
Camera di Commercio
della Provincia di Ravenna
Fatto a mano
Progetto grafico
Pubblicazione
Agenzia Image
a cura
dell’Assessorato
Art direction
al Turismo
Massimo Casamenti
della Provincia
di Ravenna
Impaginazione
e della Camera
Alice Lucci
di Commercio
della Provincia
Coordinamento
di Ravenna
Tiziano Fiorini
Coordinamento
Stampa
editoriale
Grafiche MDM, Forlì
Set Studio
di Giovanni e Laura
Vestrucci
Comitato editoriale
CCIAA
CNA
Confartigianato
Provincia di Ravenna
Unione
Europea
Repubblica
Italiana
gennaio 2004
Presentazione
Prosegue e si consolida con questa Guida l’intensa
collaborazione fra la Camera di Commercio e la Provincia
di Ravenna. Nel caso specifico viene posta una nuova
tessera nel complesso lavoro di valorizzazione dell’offerta
integrata del territorio.
Qui è di scena l’artigianato artistico (mosaico, ceramica, tela stampata, preziosi, artigianato della fantasia,
ecc.) che ci prende per mano alla riscoperta dei laboratori divenuti anche occasione per rivisitare le nostre tradizioni, la nostra cultura, i nostri valori, anche nella loro
valenza sotto il profilo turistico.
Ringraziamo le Associazioni artigiane Confartigianato
e CNA che, dopo aver proposto l’iniziativa, ci hanno assistito nella sua realizzazione.
Grazie anche all’autrice, Laura Vestrucci, per l’intelligente
creatività con cui ha realizzato la Guida.
Francesco Giangrandi
Presidente della Provincia
di Ravenna
Gianfranco Bessi
Presidente della CCIAA
di Ravenna
Questo viaggio all’interno delle botteghe artigiane
rappresenta la “certificazione di qualità” dell’artigianato
della nostra terra. Straordinario è il risultato che scaturisce dalla fusione tra la materia sulla quale operano
i Maestri artigiani e la genialità con cui essi esprimono
la loro manualità. La CNA e la Confartigianato sono grate
alla Camera di Commercio e alla Provincia di Ravenna per
avere accolto la proposta di realizzare questa pubblicazione ed esprimono il loro apprezzamento a Laura
Vestrucci, autrice di grande rigore ed al tempo stesso
emotivamente coinvolta. Il ringraziamento più sincero va,
infine, a tutti gli artigiani. Essi rappresentano una testimonianza diretta e indiretta di qual è stato il cammino
dell’uomo verso la civiltà ed a tutt’oggi costituiscono
un solido elemento su cui può poggiare l’economia
e la società moderna.
Riccardo Ferrucci
Presidente provinciale
CNA
Lorenzo Tarroni
Presidente provinciale
Confartigianato
Fatto
a mano
Camera di Commercio
della Provincia di Ravenna
Progetto narrativo e testo:
Laura Vestrucci
“ [...] Un creatore può fare solo una cosa,
può solo continuare, ecco quello che può fare.”
(da “Picasso” di Gertrude Stein, Adelphi)
Indice
5 Introduzione
6, 7 Cartografia
8, 9 Capitolo Primo
Ravenna, di mosaico vestita
34, 35 Capitolo Secondo
Passaggio a Faenza
66, 67 Capitolo Terzo
Una ruggine da non perdere
82, 83 Capitolo Quarto
Memoria d’antico
113 Appendice
Luoghi da vedere
Eventi e sagre
120 Bibliografia
Introduzione
Fatto a mano. È una precisazione che aleggia intorno
all’artigiano; nessuna conversazione con lui termina prima
che questo inciso, a mo’ di attributo, venga pronunciato.
La mano distingue il lavoro, gli attribuisce un valore,
quasi un marchio di qualità, esorcizza le nostre paure di
massificazione del desiderio di bellezza e di bontà. Ciò che
è bello e buono deve essere fatto a mano.
L’uomo artigiano, però, non separa la mano dall’idea,
anche il più fedele osservante dei canoni di una qualche
tradizione di manifattura non ammetterà mai che la sua
mano abbia eseguito senza creare. La fisiologia stessa del
corpo umano può sostenere questa stretta adesione della
mano alla mente che crea.
Fatto a mano. E siamo anche risospinti indietro, fino
all’infanzia dell’umanità e alla nostra stessa, quando ogni
conquista si è ottenuta grazie alla manipolazione di qualche materia e oggetto. Un flashback addirittura inevitabile
quando il manufatto ci viene presentato con un pedigree
5
di ineccepibile valore storico. Ma subito, e senza nostalgie,
ritorniamo al nostro tempo, difficile, complesso, eppure
affascinante, se è vero che oggi si può ancora parlare con
persone orgogliose del loro lavoro fatto a mano.
Mi ha colpito, come una freccia lanciata durante una
breve intervista, rilasciata in occasione delle sfilate di alta
moda parigina, nella stagione autunnale 2002, la riflessione
dello stilista Christian Lacroix sulla mano, intesa come
veicolo di modernità nella creazione artistica.
Questo reportage lo conferma, ed è esso stesso una
pagina aperta sulla modernità dei mestieri più antichi
dell’uomo.
Laura Vestrucci
Fe
r
ra
ra
Conselice
> Simbologia della cartina:
mosaico
ceramica
Bologn
a
tele stampate
Massa Lombarda
artigianato minore
Sant’Agata sul Sa
Bagnara di Romagna
Solarolo
Castel Bolognese
Riolo Terme
Faenza
Villa Vezzano
Casola Valsenio
Brisighella
Fir
en
ze
San Martino
Venezia
Sant’Alberto
Alfonsine
Fusignano
nterno
Mezzano
Villanova
Lugo
Bagnacavallo
Piangipane
Cotignola
Ravenna
Russi
S. Stefano
S. Zaccaria
Cervia
Cesenatico
Rimini
Castiglione
Gambettola
Ravenna,
di mosaico
vestita
Guida ai laboratori
del mosaico
in provincia di Ravenna
Ravenna,
di mosaico
vestita
Guida ai laboratori
del mosaico
in provincia di Ravenna
10
Si viene a Ravenna almeno una volta nella vita e da
ogni parte del mondo. A Ravenna, come a Parigi, come
a Londra, come a Roma. Si viene richiamati dal fascino di
presenze inequivocabilmente uniche. Sono le decorazioni
musive conservate nelle basiliche e nei mausolei, in alto,
sopra gli altari, sulle pareti absidali e nei perimetri geometrici delle dimore tombali. Si viene e si guarda, il capo alzato
verso le volte e le cervici impegnate in semirotazioni.
Si guarda e si ascolta la competente parola della guida
che racconta, spiega, rivela. Oppure, si guarda e si legge
la dettagliata descrizione delle guide cartacee.
Durante il tour ci accompagna la discreta, ma costante
presenza dei souvenir shop che sono per il turista come un
segno distintivo del luogo, meta di flussi turistici di notevole
intensità. E, senza l’affanno di accalcarsi nei quartieri più
frequentati come tappe del tour, incontriamo i laboratori
di riproduzione degli antichi mosaici bizantini o di realizzazione di mosaici moderni che ci offrono l’incontro ravvicinato
con i mosaicisti, artigiani e artisti, maestri e discepoli.
Se, spinti dal desiderio di portare via con noi un ricordo
delle meraviglie basilicali, vorremo acquistare una tavoletta
musiva realizzata dalla mano esperta del mosaicista, sarà
possibile, anche, domandargli ragione artistica del suo
lavoro che conserva il segreto del rapporto tra i materiali,
> µουσειον:
la derivazione del
termine mosaico ha
le tecniche del loro utilizzo e la luce che, infiltrandosi tra
gli alabastri nei siti originali, permette ancora il miracolo
della bellezza senza tempo.
suscitato gli interessi
Si può a ragione definire “senza tempo” la bellezza
delle opere musive in virtù dei materiali difficilmente corG.Scaligero,G.G.Voss): ruttibili che le costituiscono. Una sorta di eterna pittura,
c’è chi cita di aver tro- opera delle Muse come ci suggerisce l’etimologia della
vato scritto museum, parola se si ritiene di farla risalire al greco µουσειον.
di numerosi studiosi
(A.Furietti,M.Grapaldo,
chi riporta musiacum,
Se, tuttavia, il mosaico si sviluppò in tempi più lunghi
rispetto alla pittura vera e propria, dobbiamo forse accettare
vi ha visto la radice
come motivazione la difficile reperibilità dei materiali di
di un vocabolo semita, base. Inoltre la preparazione tecnica del mosaicista era
una condizione di partenza per il risultato finale che era
soprattutto quando
la parola viene usata legato non solo alla scelta dei materiali adatti all’opera, ma
anche alla preparazione del fondo su cui le diverse tessere
come aggettivo e
avrebbero trovato dimora definitiva.
potrebbe legarsi al
La tessera fu sempre un elemento primario della comtermine semita “Mosè”,
posizione, un modulo riproducibile in dimensioni imprevequindi “pertinente a
Mosè”. (Ipotesi presen- dibilmente diverse, visto che si giunse a collocarne anche
sessantatre nello spazio di un centimetro quadrato (come
tate ne “Il Mosaico”
nell’opus vermiculatum realizzato nelle più belle ville
di I. F. Roncuzzi,
romane). Tra una tessera e l’altra l’interstizio aveva la fun- 11
Ed. Longo)
zione di collegare ogni singola unità nel contesto globale,
era una sorta di facilitatore del risultato finale. Ma il fondo
sul quale si giocava la partita tra tessera e interstizio era
addirittura il protagonista della creazione musiva. La sua
composizione, infatti, avrebbe determinato la tenuta del
mosaico nel tempo. L’impresa di portare un mosaico a
parete, un mosaico come quelli parietali che ancora oggi
ammiriamo nelle basiliche ravennati, richiede un fondo
fatto ad arte.
A Ravenna, a Firenze, a Roma furono diversi i tentativi
e le soluzioni per ottenere un valido e duraturo sostegno
ai mosaici.
Gli impasti classici o empiricamente
creati, i leganti e i chiodi di rame o di
bronzo, ma anche di ferro e fili di ferro
intrecciati a reticolato ebbero, e hanno
tuttora, la funzione di trattenere la
composizione musiva, di fissarla alle
pareti a tempo indeterminato.
E bisogna aggiungere che i mosaici
di Ravenna sono assai diversi da quelli
di Venezia o di Roma. Nelle chiese e
nei palazzi della Serenissima e della
Capitale i mosaici risultano lisci e piatti
chi museacum, altri
mosiacum. E c’è chi
12
per effetto delle tessere usate quasi uniformi e molto regolari. Nel mosaico ravennate, invece, le tessere hanno
ciascuna una forma diversa e vengono collocate con inclinazioni e profondità variabili. La superficie risulta, così,
scabrosa e ruvida, tale da trattenere o riflettere la luce
secondo la posizione dell’osservatore, comunque ribassata
rispetto alle pareti absidali o basilicali. Un’attenta osservazione, possiamo chiamarla studio, dei mosaici ravennati
durante i restauri ha consentito di constatare come nei vari
periodi di epoca bizantina le tessere fossero diverse per
forma e spessore secondo l’idea architettonica che guidava
il loro utilizzo. Se nel periodo di Teodorico le scene e le
figure vengono progettate per coprire grandi superfici esse
sono però come contenute in uno spazio definito e l’esecuzione del mosaico risulta molto curata e raffinata, in primis
nel taglio dei materiali, smalti e ori, che vengono tagliati
spesso a cuneo e smussati per reagire meglio all’accostamento. Il re Teodorico era, poi, assai esigente e voleva egli
stesso conoscere i particolari più tecnici dell’esecuzione.
Di certo gli artisti all’opera per sua commissione erano
stimolati a dare il meglio di sé. E ci sono ancora particolari
rintracciabili come totalmente autentici del loro lavoro
in monumenti come la bellissima Sant’Apollinare Nuovo.
“Qui, ad esempio, in un particolare della lunetta sopra
> Tessere d’oro:
si legge nel testo di
Isotta Fiorentini
Roncuzzi “Il Mosaico,
materiali e tecniche
dalle origini a oggi”,
Ed.Longo, Ravenna
1990: “... i maestri
vetrai bizantini applicavano sopra una lastra
di vetro di un certo
spessore, detta supporto, dopo averla inumidita leggermente, la
foglia metallica d’oro.
Sopra di essa distendevano un sottile strato
di vetro polverizzato e
rimettevano nel forno.
Al calore la polvere di
vetro formava una sottile pellicola vetrosa
detta cartellina che proteggeva l’oro. La cartellina non risultava abbastanza trasparente, non
si univa completamente
al supporto, non era
uniforme in ogni punto.
Si staccava facilmente
lasciando la foglia oro
allo scoperto. L’unico
pregio era la non
uniformità. È questa la
caratteristica principale
dell’oro bizantino.”
la porta di Ravenna – spiega la professoressa Isotta
Fiorentini Roncuzzi – possiamo riconoscere la mano del
mosaicista che vi lavorò direttamente creando l’opera di
getto e in un solo tempo, su un disegno che era rappresentato nella sua mente come idea trasferita direttamente
sulla superficie: un’idea di luce, di colore, di trasparenza
e di opacità per un risultato di profondità prospettica.”
Quando, all’epoca di Giustiniano, le decorazioni musive
diventano addirittura monumentali, inserite in uno spazio
architettonico che dilata sapientemente lo spazio, il lavoro
del mosaicista assume la responsabilità di ricoprire spazi
enormi ed egli è consapevole di dover operare per soddi13
sfare un punto di osservazione assai lontano e ribassato
rispetto alla superficie su cui realizza l’opera musiva.
La tessera perde il gusto per la forma che aveva caratterizzato altri periodi, è di taglio più grossolano, ha dimensione maggiore. Non è, qui, importante la definizione
delle forme, perché esse quasi si dissolvono nella distanza
e nella monumentalità del contesto basilicale, e assistiamo
al trionfo delle sfumature di colori e dei fondi dorati.
Essi, costituiti con tessere d’oro ottenute con un
sapiente dosaggio dei componenti chimici della foglia
metallica, impegnano il mosaicista a risolvere non pochi
problemi come quello del rapporto occhio-visione,
in sequela di rigorose leggi fisiche. Bisognava evitare
il fenomeno dell’abbagliamento diminuendo la riflettività
della superficie d’oro e, nel contempo, si doveva annullare
l’effetto uniforme della tonalità. L’abilità del mosaicista
si esprimeva anche in sapienti passaggi di zone prive del
metallo dorato collocate proprio al limite di alcune figure
quasi a creare una linea continua incolore che attenuava
l’effetto della luce riflessa dall’oro e definiva meglio la
visione del disegno. Ma le tessere dorate avevano anche
la funzione di sottolineare l’importanza di un particolare,
di un volto, di un edificio. Un esempio per tutti può essere
la rappresentazione a mosaico della “Gerusalemme celeste”,
la “città d’oro” che l’Evangelista Giovanni descrive nel libro
dell’Apocalisse e che possiamo ammirare nella basilica
di San Vitale a Ravenna.
14
Le succinte note, quasi pennellate, che fin qui hanno
voluto introdurci a qualche segreto dell’arte musiva sono
uno stimolo ad intraprendere il percorso vero e proprio
attraverso l’opera dei maestri mosaicisti che nella città
di Ravenna vivono e operano esportando il frutto della propria sapienza un po’ ovunque nel mondo. I mosaici parietali nelle basiliche e nei monumenti costruiti in epoca teodoriciana e bizantina sono il giacimento al quale la città ha
attinto vigore portando motivo ad una schiera di giovani
di studiare l’arte del mosaico e di protrarre il tempo della
formazione artistica dilatandola fino a diventare la scelta
professionale definitiva.
Si è creato, dagli anni ’50 del Novecento ad oggi,
un flusso quasi ininterrotto di relazioni tra docenti e allievi,
con scambi e collaborazioni attraverso le scuole che hanno
assolto il compito di trasmettere i fondamenti della conoscenza del giacimento musivo. E dalle scuole senza soluzione di continuità si giunge ai laboratori, luoghi spesso
riposti, così bene integrati nell’edilizia urbana residenziale
che non è sempre facile individuarli tra le altre postazioni
professionali.
Ma c’è anche chi ha scelto di
allontanarsi dal centro introducendo
l’attività di composizione del mosaico
nelle aree dedicate agli artigianati che
si avvicinano al limite che li separa
dalla produzione seriale. Assai spesso
questo accade per risolvere problemi
di spazio: il capannone artigianale
delle nostre periferie è una struttura
che consente al mosaicista di impegnarsi anche nella realizzazione di
grandi opere.
In un loft artigianale ho incontrato
il mosaicista Liborio Puglisi, originario
di Enna e approdato a Ravenna nel
1968 grazie ad una borsa di studio
per il restauro del mosaico per il quale
aveva già frequentato tre anni di scuola nella sua città. Dopo un periodo
di attività svolta nella centrale via
Cavour, Puglisi ha deciso di separare
il laboratorio, dove egli realizza sia
riproduzioni delle famose scene della
15
tradizione bizantina sia soggetti nuovi da lui ideati, dal
negozio, in viale Baracca n. 5. Nel laboratorio, situato ora
in via Faentina n. 218/x, il mosaicista tiene anche corsi di
mosaico sia professionali sia per appassionati dell’arte.
I gruppi di turisti che vogliono una dimostrazione del procedimento di costruzione del mosaico possono ottenerla prendendo un appuntamento telefonico. Di Puglisi dobbiamo
segnalare l’ideazione di un kit per il mosaicista hobbista.
Tra le sue opere di recente realizzazione, la rotonda
realizzata a Riccione nel 1999 è incentrata sulla simbologia
dei quattro elementi materiali, aria, acqua, terra e fuoco.
Per associazione di provenienza dell’artista artigiano,
possiamo spostarci nel centro città e precisamente in via
di Roma, al n. 30/a, dove ha sede lo studio laboratorio
di un altro siciliano trapiantato a fare mosaici a Ravenna.
Enzo Scianna, di Palermo, si trasferì a Ravenna negli anni
’70 del Novecento, proveniente dall’esperienza della pittura
e da un tour che lo condusse in molte regioni italiane e in
paesi europei. A Ravenna ha poi sviluppato la sua passione
per il mosaico al punto da lasciare la pittura. Ma di essa
restano, forse, tracce nelle sue opere che si distinguono
per la forza espressiva. Nell’esposizione, che precede
il locale laboratorio in via di Roma, si trovano proposte
> Cooperativa
Mosaicisti
di Ravenna:
le origini si fanno
risalire all’anno 1924
quando venne istituita
la Scuola del Mosaico
dell’Accademia di
Belle Arti di Ravenna
per desiderio e grazie
all’impegno del diret-
16 tore V. Guaccimanni.
Nel primo dopoguerra
la scuola, premuta da
numerose commesse
esterne, riconobbe
di non avere le risorse
umane per fronteggiarle, sicché si costituì il Gruppo Mosaicisti
dell’Accademia delle
di arredo, mosaici moderni spesso in
collaborazione con artisti contemporanei e non mancano le riproduzioni dei
famosi temi della tradizione bizantina.
Rimaniamo su questo argomento,
ovvero la riproduzione dei grandi
mosaici del passato conservati a
Ravenna e per approfondirlo restiamo
nell’area urbana del centro storico
dove lavorano mosaicisti che si distinguono anche per la realizzazione
di copie. Dire – anche – non è privo
di importanza, perché tra tutti coloro che dedicano la loro
professionalità al mosaico è difficile trovare chi non abbia,
in qualche modo e dopo il periodo della propria formazione,
rivolto la propria attenzione al patrimonio conservato tra
le mura monumentali. Allo stesso modo si può affermare
il contrario, perché è altrettanto difficile trovare chi non
abbia in qualche misura tentato la strada della ricerca personale, realizzando una produzione artistica originale forse
meno nota di quella riproduttiva.
Le due anime del mosaicista, quella artigianale e quella
artistica, in definitiva sempre convivono e possono alternativamente ottenere visibilità attraverso le scelte che il
mosaicista stesso opera durante il proprio curriculum.
Abbiamo un esempio di questo nell’incontro con la
Cooperativa Mosaicisti di Ravenna che ha sede in via
Fiandrini, nel basso edificio che fronteggia l’ingresso
all’area monumentale di San Vitale.
Questa, presso la Cooperativa, è una tappa da prevedere e da prenotare per ottenere anche notizie di interesse
storico che l’attuale presidente, Marco Santi, può documentare.
Belle Arti che ebbe
Le realizzazioni curate dai mosaicisti soci dell’attuale
cooperativa esprimono tre fondamentali direttrici che
nel settore possono essere separatamente seguite, ma qui,
tra scuola e bottega
prevedeva che fossero grazie alle diverse competenze della equipe, convivono
assunti solo studenti egregiamente: la fattura di copia dei mosaici bizantini conservati in Ravenna, la creazione di mosaici moderni, su
provenienti dalla
cartoni di artisti, il restauro eseguito in diverse località
stessa Accademia.
italiane ed estere. Le copie o riproduzioni degli originali
Successivamente,
nel 1976, la bottega si eseguite dalla Cooperativa Mosaicisti, così come quelle
slegò dall’Accademia che ogni altro mosaicista esegue nel suo laboratorio,
e si costituì l’attuale hanno il grande merito di far conoscere il patrimonio di
valore inestimabile fuori dai confini municipali. Sebbene
Cooperativa.
da numerosi decenni il mondo si sia mosso verso Ravenna
per conoscere il giacimento musivo, tuttavia è stato grande
come direttore il
Salietti. La convenzione
il contributo dei mosaicisti esecutori delle copie per incrementare questa conoscenza. L’iniziativa che le riassume
tutte è quella che portò all’organizzazione di una vera
mostra itinerante agli inizi degli anni ’50 del Novecento,
composta da 200 copie di mosaici ravennati eseguiti dalla
stessa Cooperativa Mosaicisti.
> Mostra itinerante: la collezione delle copie dei mosaici antichi fu
prodotta all’inizio degli anni ’50 su iniziativa del Prof. Giuseppe Bovini
e con il patrocinio del Rotary Club e della locale Azienda di Soggiorno
e Turismo, per promuovere nel mondo la conoscenza di Ravenna e del suo
patrimonio musivo.
Esecuzione della copia: di ogni pezzo fu eseguito il disegno esatto e completo dei contorni su di un lucido trasparente, applicato ai mosaici originali.
In secondo luogo si fece la campionatura di tutti i colori, diversamente
graduati, e si ordinarono presso le Vetrerie di Murano le piastre vetrose
che, dopo il taglio manuale, avrebbero dato un numero considerevole
di tessere.
Il metodo di esecuzione del mosaico era detto “diretto su base provvisoria”
(un letto di calce su cui era stampato il lucido) ed era poi strappato, pulito
e ricollocato nella definitiva sistemazione.
Il Prof. Giuseppe Bovini scriveva nel 1962: “Questo lavoro non si limita alla
riproduzione esatta delle singole tessere nei loro contorni e nei loro toni
cromatici, ma si estende anche al rendimento della originaria inclinazione 17
e profondità che impresse loro il pollice degli antichi “magistri musivari”.
La Cooperativa Mosaicisti vanta anche una autorevole
esperienza nell’esecuzione del cosiddetto “mosaico
moderno” cosa resa possibile dalla capacità di creare un
legame tra la tradizione e il modernismo pittorico. Le opere
nate da questa esperienza si sono avvalse della collaborazione con artisti di chiara fama come Chagall, Guttuso,
Campigli, Severini e altri dei quali si sono tradotti in mosaico
i cosiddetti “cartoni” privilegiando sempre la scelta dei
materiali della tradizione e le tecniche rigorosamente
artistico-artigianali. Siamo giunti così alla sezione di atti-
vità dedicata al restauro del mosaico che impegnò la
Cooperativa già dal periodo postbellico nell’intento di intervenire tempestivamente a sanare i mosaici danneggiati dai
bombardamenti.
> Cartoni: sotto la direzione dell’attuale presidente, Marco Santi, si è
realizzata la trasposizione a mosaico del cartone di Sharir (1995). L’opera,
di mt. 4,10 x 18, destinata al Complesso dirigenziale del Shalom Mayer
Tower Ltd di Tel Aviv, raffigura l’intera città di Tel Aviv, con i suoi settori,
i mestieri, le istituzioni, i personaggi. L’esecuzione dell’opera ha richiesto
l’utilizzo di un elevatissimo numero di materiali organici e inorganici, marmi,
18 smalti e ori. E’ in fase di realizzazione il mosaico sui cartoni dell’artista calabrese Gisa D’Ortona, che opera in stretta collaborazione con il coniuge,
lo scultore ed esperto d’arte, Michele di Raco. L’opera verrà collocata
nella Chiesa di Santa Lucia a Reggio Calabria e occuperà un’area di 130
metri quadrati. La scelta dell’artista è quella di operare secondo le tecniche
tradizionali, con tessere tagliate a mano e materiali preziosi.
> Restauro: il restauro eseguito nei primi anni ‘50 dai soci della
Cooperativa Mosaicisti fu guidato dall’Architetto Orlandini dell’Opificio
delle Pietre Dure di Firenze, il quale impostò la tecnica basata sul distacco
della tessitura musiva dalle pareti e la sua ricollocazione in sito dopo averla
liberata dai supporti sottostanti utilizzati dai restauratori precedenti.
La tecnica del distacco venne in seguito abbandonata per i mosaici parietali per i quali si sono intraprese metodiche di documentazione e di intervento che prevedono la collaborazione attiva di ricercatori per supportare
anche la scelta dei materiali più idonei al successo dell’intervento.
Il CNR-IRTEC di Ravenna è partner della Cooperativa Mosaicisti.
All’epoca il restauro era eseguito in modo separato
dagli operatori della cooperativa, quasi degli “operai” che
eseguivano il lavoro manuale assistiti, ma sporadicamente,
dall’intervento di studiosi come il Bovini che salivano sulle
impalcature, controllavano i lavori e ne traevano spunto
per elaborare qualche pezzo teorico.
Il lavoro del restauro, poi, non era documentato, per cui
ne restano solo frammentarie testimonianze, soprattutto
appunti che lo scrupolo degli “operai” di certo appassionati
e incuriositi ci ha conservati.
La Cooperativa Mosaicisti svolge corsi per l’apprendimento dell’arte del mosaico anche per hobbisti che ne
vogliano conoscere le tecniche di base. Ci si può rivolgere
in via Fiandrini per le iscrizioni. La didattica del mosaico
è molto viva in Ravenna e tra i mosaicisti è facile trovare
quelli che, come nella Cooperativa, organizzano corsi
all’interno del proprio laboratorio.
In genere si tratta di brevi periodi, una settimana
o quindici giorni, frequentati principalmente da allievi
stranieri. Il fascino del mosaico è molto sentito in paesi
come il Giappone o gli Stati Uniti ma anche nelle nazioni
europee come la Germania e la Francia. Per gli hobbisti,
il fatto di produrre un oggetto di mosaico e di poterlo conservare è già una motivazione sufficiente e, comunque,
l’esperienza è replicabile.
Ancor più forte sarà la motivazione a frequentare
un laboratorio, sotto la guida di un maestro mosaicista,
degli studenti regolarmente iscritti ai corsi negli Istituti
di formazione all’arte del mosaico.
Il passaggio dalla fase teorica, seppur appresa dall’insegnamento di ottimi docenti e dalla pratica vissuta nei labo- 19
ratori scolastici, all’esperienza diretta nel laboratorio privato guidato da un maestro mosaicista, è una prova ineliminabile prima di passare alla conduzione di una propria attività nel settore. Tra gli studi-laboratorio che offrono corsi
di avviamento e avanzati segnaliamo anche “Belkis” di
Marisa Iannucci, in via dei Poggi n. 80, dove le lezioni (da
settembre a maggio, settimane full time o moduli trimestrali) spaziano dal disegno e dal corso d’arte al corso specifico
sul mosaico e sulla scultura, che utilizza inserzioni musive.
La mosaicista realizza opere legate all’edilizia e all’architettura sia in edifici pubblici che privati e, seppure in minima
parte, si dedica al tema bizantino.
> Istituti. A Ravenna si può apprendere l’arte del mosaico nei seguenti
corsi istituzionali:
ISTITUTO STATALE D’ARTE PER IL MOSAICO G. SEVERINI
Fondato nel 1959 si è inserito nella città come elemento di continuità con
la grande tradizione dell’arte musiva che ha lasciato in eredità a Ravenna
opere di valore universale.
Qui gli studenti dalla più semplice azione di copisti, diventano loro stessi
esecutori di cartoni-progetti personali.
Lo studio delle discipline ha l’obiettivo di trasmettere capacità critiche
e costruttive che consentano allo studente di destreggiarsi nel continuo
moto di trasformazione tecnologica della società.
Due corsi: Corso ordinamentale, Corso sperimentale.
Corso ordinamentale: durata 3 anni con il conseguimento del Diploma
di Maestro d’Arte (il diplomato può intraprendere un lavoro autonomo
o inserirsi in industrie e laboratori artigiani o come disegnatore in uffici
di enti pubblici).
Se si frequenta in seguito il Corso Biennale si consegue la Maturità d’Arte
Applicata (3+2) e si può accedere a tutte le facoltà universitarie.
Corso sperimentale di “Arte e restauro del mosaico”: durata 5 anni con
il conseguimento della Maturità d’Arte applicata Sperimentale.
Il diploma di maturità dà accesso a tutte le facoltà universitarie e ad altri
corsi superiori (Accademia, Cinematografia, Scenografia, Pubblicità)
20 e consente di inserirsi in industrie o uffici pubblici oltre che svolgere
una professione artistica.
ACCADEMIA DI BELLE ARTI
È stato istituito un percorso formativo sul mosaico che risponde alla vocazione storica della città. Si vuole instaurare un’attività musiva di arredo
urbano o di intervento espressivo che rispecchi il potenziale di modernità
insito nell’antichissimo linguaggio dell’arte del mosaico.
CONSORZIO PROVINCIALE PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE
Corso annuale per mosaicista-progettista: durata 6 mesi.
Ore di lezione da 700 a 1.000 (con i migliori mosaicisti ravennati e con
valenti tecnici). Stage aziendale 150 ore. Visite guidate in località di inte-
resse quali Pompei, Aquileia, Tunisia.
Discipline: storia del mosaico, disegno e fotografia, rilievi grafici e gestione
informatizzata delle immagini, chimica e mineralogia dei materiali,
marketing e autoimpresa.
SCUOLA-BOTTEGA
Ha sede presso il CPFP ed è stata aperta per volontà del Comune di
Ravenna, del Centro stesso e con il sostegno di una Fondazione Bancaria
per promuovere l’arte del mosaico e il polo ravennate sia a livello della
qualità della produzione sia a livello turistico e culturale.
Ogni anno la scuola bottega intraprende un progetto che spesso si inserisce
nel contesto dell’arredo urbano o dell’ architettura civile.
21
Vocazione primaria della scuola bottega è la realizzazione di copie
dell’antico repertorio romano, bizantino e medievale (realizzazioni della
S.B: “Pavimenta”, mostra didattica sulle diverse tipologie del mosaico
pavimentale; collezione delle copie dei mosaici di S.Giovanni Evangelista).
Corsi estivi settimanali (CISIM): dedicati a principianti sono anche
un’occasione di avanzamento e di perfezionamento, presso il Centro
Internazionale Studi Insegnamento Mosaico di Lido Adriano.
Si tengono anche nel periodo non estivo con un massimo di 8 iscritti
per settimana. Le iscrizioni sono accettate se pervengono una settimana
prima di quella scelta per il corso.
SCUOLA PER IL RESTAURO DEL MOSAICO
Gestita dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio
di Ravenna: corso quadriennale (3+1) con frequenza obbligatoria al quale
si accede per pubblico concorso.
Il numero annuale degli iscritti è contenuto entro le nove unità, di cui
sei cittadini italiani e tre stranieri di età compresa tra i 18 e i 30 anni
e con diploma di scuola secondaria superiore (livello corrispondente per
gli stranieri).
Il bando del concorso viene pubblicato annualmente sulla Gazzetta Ufficiale.
Le discipline: storiche, tecniche, chimiche, fisiche, biologiche, della documentazione, della tutela e del restauro dei beni Culturali.
Laboratori: del restauro del mosaico, del restauro lapideo, di scagliola,
gesso e stucco.
La disponibilità del mosaicista ad accogliere nel proprio
laboratorio persone nella fase dell’apprendimento
laureata in Chimica
o in quella dell’approfondimento è un fattore di salvezza
Industriale a Bologna. dell’arte, perché mantiene vive quelle relazioni che sono
il concime di ogni espressione artistica, relazioni tra maestro
Incaricata del corso
e discepolo e tra etnie diverse e logisticamente lontane, ma
di Chimica del Colore
appassionate della stessa forma artistica.
presso l’Accademia
di Belle Arti di Ravenna.
Non è casuale che a Ravenna abbia sede l’Associazione
Incaricata del corso
Internazionale del Mosaico Contemporaneo, di cui fanno
di Chimica del
parte 40 paesi, alla cui presidenza è stata per alcuni
Restauro presso la
decenni, e fino a pochi mesi fa, la professoressa Isotta
Fiorentini Roncuzzi, ravennate, autorità indiscussa nel
Soprintendenza
mondo del mosaico al quale ha dedicato la propria compeper i Beni Ambientali
e Architettonici
tenza sui materiali grazie agli studi in Chimica Industriale.
di Ravenna-Ferrara-Forlì. E ancora lo frequenta con la passione di chi conosce veraDocente di Scienze
mente tutto ciò che nel mondo si chiama mosaico.
al Liceo Classico di
L’incontro con Isotta Fiorentini Roncuzzi presso
Ravenna.
il Museo della Città dove ha sede l’AIMC (Associazione
Ha insegnato
Internazionale del Mosaico Contemporaneo) è l’occasione
all’Accademia di Belle per fare un rapido viaggio attraverso la storia dell’arte
Arti di San Pietroburgo. musiva a Ravenna che si configura come una grande opera
Insegna anche nei corsi ancora in fieri, un mosaico essa stessa sul quale si sono
del Consorzio Provinciale avvicendati gli interventi dei grandi insegnanti e artisti…
22 di Formazione
e scorrono velocemente i nomi di Ines Morigi, Cicognani,
Professionale di
Ventura, Brunetti, Signorini e Recchi dai quali hanno appreso
Ravenna e collabora
l’arte i mosaicisti contemporanei di cui andiamo scoprendo
con il CNR. Interviene
qualche segreto in questo tour cittadino.
> Isotta Fiorentini
Roncuzzi:
con corsi di lezioni
presso Università
italiane e straniere
e tiene conferenze
in Italia e all’estero.
Ha di recente ceduto
la presidenza dell’AIMC
di cui è attualmente
vice presidente.
E mentre ci apprestiamo a ritornare tra le strade di
Ravenna apprendiamo da Isotta Fiorentini che è in fase
di realizzazione il progetto, all’interno del Museo D’Arte
della Città, di una sala dedicata al mosaico antico e contemporaneo con l’utilizzo delle moderne tecnologie che consentiranno un excursus multimediale e il collegamento con altri
musei nel mondo.
È un’operazione virtuale, quest’ultima, che rispecchia
23
la dinamica reale della diffusione dell’arte musiva:
da Ravenna nel mondo e viceversa.
A conferma di ciò andiamo a conoscere altri protagonisti.
Alessandra Caprara conduce uno studio-laboratorio in via
Mariani n. 9. Siamo ancora nel centro di Ravenna e non
troviamo alcuna vetrina. Un imponente portone di legno,
assai diffuso nelle case del centro storico, ci introduce
nell’atrio che separa alcuni ambienti al piano terra dove la
mosaicista progetta, lavora e tiene corsi di apprendimento.
Dopo gli studi compiuti al Liceo Artistico di Ravenna
e proseguiti all’Accademia di Belle Arti, Alessandra Caprara
ha intrapreso la produzione di piccoli e grandi lavori di
copia del mosaico antico eseguiti nel rispetto delle tecniche
tradizionali. “Qui tutto è tagliato a mano”, precisa mentre
mi conduce nella sala-laboratorio dove due mosaiciste
sono al lavoro. Una è la figlia, la seconda generazione
di artista, ma c’è una giovanissima e promettente nipote che
lascia già disegni appesi nelle pareti dello studio. Il taglio a
mano dei materiali che la mosaicista sta facendo con la classica e indispensabile martellina è un gesto che sarà ripetuto
un numero indefinibile di volte per portare a termine l’opera
su cui si sta lavorando in questo laboratorio.
“È un pavimento che sarà collocato in una chiesa del
Massachusetts, negli U.S.A.” – spiega Alessandra Caprara,
24
e fa scorrere lentamente il cartone dipinto che riproduce
a grandezza naturale il disegno di scene dell’Antico
Testamento. Tutto il cartone è avvolto in un grande rullo
appeso in alto sul soffitto, e le mosaiciste lo fanno scorrere
verso il pavimento per realizzarlo, pezzo dopo pezzo,
sul bancone di lavoro con le tessere appena tagliate.
“È un lavoro che ci impegnerà per almeno cinque anni;
dopo il pavimento realizzeremo per l’abside un Cristo in
Gloria. Sono impegnata in viaggi periodici sul posto, sia
per controllare i lavori di posa sia per istruire un gruppo
di allievi del Massachusetts che lavorano nella loro città,
ma che in alcuni periodi vengono qui, a Ravenna, per un
ulteriore addestramento”. Se questa opera è stata commissionata da una comunità religiosa, ci sono anche singoli
appassionati che desiderano avere nelle proprie residenze
un’opera di valore come quella realizzata con il mosaico.
Quasi tutti i mosaicisti attivi a Ravenna sono impegnati sia
sul fronte di opere di interesse pubblico, sia sul fronte di
commesse private.
La grande risorsa, il valore aggiunto di un’opera realizzata con il mosaico è anche la sua versatilità che le consente
di accostarsi ad altre discipline, di applicarsi, come comunemente si dice, all’arte pittorica, alla scultura, all’architettura, alla rappresentazione drammatica attraverso le sce-
nografie. I grandi artisti hanno spesso privilegiato il mosaicista come partner nella realizzazione di opere di pregio.
Ravenna ci offre numerosi esempi di queste connessioni.
In pochi minuti di cammino dalla via Mariani ci spostiamo
in via L. Negri, al numero 14 per incontrare un’altra ottima
allieva dei grandi maestri ravennati, e oggi valente mosaicista, Luciana Notturni, il cui know how si arricchisce di
un’attività rara e preziosa per il mondo del mosaico, quella
del restauro. Il curriculum di Notturni esprime bene il possibile legame del mosaico con altri mondi artistici, e per
averne conferma basti consultare il suo sito web: la mosaicista compare in due foto di repertorio in compagnia del
regista Michelangelo Antonioni e del Maestro Riccardo
Muti; nella terza foto, alle sue spalle un quadro a mosaico,
il premio Nobel Dario Fo.
La cronaca raccontata da queste foto è quella di collaborazioni realizzate, insieme con un team di maestri mosaicisti ravennati, nell’ambito della manifestazione “Ravenna
Festival”, ideata e presieduta da Maria Cristina Mazzavillani
Muti.
> I mosaici e Ravenna Festival: “… il percorso parte nel 1991 con un
mosaico “musicale” di Gino Severini, realizzato dagli allievi dell’Istituto
d’Arte per il Mosaico. Nel 1992 Ravenna Festival presenta “Musive”,
25
7 fontanelle di mosaico realizzate da altrettanti studi cittadini (Arte e lavoro,
Alessandra Caprara, Cooperativa Mosaicisti, Silvana Costa, Luciana
Notturni, Il Mosaico, Akomena). Nel 1995 la stupenda “Chambre turque”
di Balthus, realizzazione di PROMO MOSAICO, con la direzione artistica
di Ines Morigi Berti, il coordinamento tecnico di Marco de Luca; gli artisti
protagonisti sono A. Caprara, S. Costa, L. Notturni, A. Racagni, F. Nittolo
e P. Racagni. Nel 1998 si presenta la realizzazione musiva de “Le montagne
incantate” di Michelangelo Antonioni, ad opera di L. Notturni, A. Caprara,
S. Costa, D. Strada e con la direzione artistica del maestro Renato
Signorini. Nel 1999 la città di Beirut ospita la fontana in mosaico “Ardea
Purpurea” ideata e realizzata dal maestro Marco Bravura.
Una sua copia sorgerà a Ravenna ancora opera di Bravura, a testimonianza
delle “Vie dell’Amicizia” intraprese da Ravenna Festival.
Da “Le montagne incantate” di Michelangelo
Antonioni, a “La Chambre turque” di Balthus sono grandi
realizzazioni che la mosaicista esegue senza abbandonare
la sua principale attività che è quella di docente esperta
del restauro presso la Scuola di Restauro del Mosaico
di Ravenna, unica scuola al mondo, (dipendente dalla
Soprintendenza dei Beni Ambientali ed Architettonici) che
assolve il compito di formare una generazione di restauratori di cui l’universo mosaico ha forte necessità. Dal 1970
è attivo il Mosaic Art Studio, crocevia di incontri e di colla-
26
borazioni che la Notturni instaura con artisti, architetti
e designer di fama internazionale e dove, previo appuntamento, è possibile incontrarla.
Prima di salutarla cogliamo dalle sue parole il segno
di un profondo legame con la sua città e il suggerimento che
l’arte dei maestri mosaicisti ravennati sia considerata, anche
dagli amministratori locali, un valore aggiunto nella progettualità che viene rinnovando l’assetto dell’arredo urbano.
La frequentazione del centro storico di Ravenna ci consente di individuare anche i laboratori dove si è fatta più
apertamente la scelta commerciale comunque caratterizzata
dall’offerta di oggetti che esprimono un forte legame con i
temi della tradizione, ai quali si accompagna una produzione
più moderna orientata al complemento d’arredo o anche
all’oggetto-souvenir che non guasta mai in una città percorsa
continuamente da gruppi di turisti e da scolaresche .
In via Rossi, al n. 8, a poche centinaia di metri da piazza
del Popolo, si apre la vetrina di “Mo’zaiko”, laboratorio e
negozio condotti da Elisa ed Elena Biondi che hanno iniziato
l’attività subito dopo il compimento degli studi artistici,
rispettivamente nell’Istituto D’Arte e nel Liceo Artistico di
Ravenna. “Abbiamo cominciato con un piccolo laboratorio
in un garage adibito – racconta Elisa – dove si lavorava per
preparare una mostra ogni anno, ma nel periodo estivo
il lavoro presso un bar cittadino ci
permetteva di avere i mezzi per acquistare i materiali indispensabili alla
costruzione dei mosaici. Nel 1999
abbiamo scelto di dedicarci esclusivamente al mosaico e abbiamo aperto
questo locale”. Qui la produzione
si differenzia in oggetti di ceramica,
opere di Elisa, e in mosaici realizzati
da Elena. Alcuni progetti prevedono,
però, la fusione delle due arti. La collocazione del negozio, così centrale,
suggerisce alle due sorelle di creare ogni anno una nuova
linea di manufatti giusti anche per il turista di passaggio
in città, come piccoli oggetti da regalo creati con fantasia,
ma anche le riproduzioni dei mosaici antichi.
Da via Rossi, percorrendo via Cavour, raggiungiamo in
via Argentario, al n. 5, le vetrine di “Annafietta” che dedica
un ampio spazio alla vendita di tutto quanto occorre
all’hobbista per costruire un mosaico. È un’idea ben contestualizzata per la vicinanza ai monumenti del complesso
di San Vitale. Nel piccolo atelier annesso, si confezionano
alcuni degli oggetti che poi vengono messi in vendita.
È ricorrente il tema dello specchio con cornice mosai-
27
cata che viene proposto in diverse dimensioni e colori.
Spiccano, per la cornice impreziosita da un sapiente gioco
di tessere, gli specchi, qui esposti per la vendita, di un’altra
mosaicista che ha un suo laboratorio in zona più riposta
del centro città, in via Rossi n. 35. Si tratta di Dusciana
Bravura, figlia del maestro mosaicista Marco Bravura.
Dusciana ha già segnate nel suo curriculum alcune tappe
importanti, partecipazioni a collettive di giovani e mostre
personali, quali “Specchio delle mie brame”, al Palazzo
delle Prigioni di Venezia, nel 2001, e la “Biennale Postumia
Giovani” a Mantova, nel 2002. Dopo il percorso scolastico
nell’Istituto d’Arte per il mosaico di Ravenna e
nell’Accademia di Bologna, Dusciana approda nel 1987 alla
collaborazione con il padre che sta costruendo opere di
arredo urbano come le fontane (sono “Fontana della
Chiocciola” e “Fontana del Tappeto Sospeso”).
Accettiamo la provocazione che ci viene dall’aver
incontrato la figlia, per giungere al padre; vogliamo infatti
mantenere vivo il senso dell’incontro con gli artigiani e con
gli artisti attraverso il suggerimento della città stessa.
Di Marco Bravura, che vive e lavora in una grande casa
immersa nella campagna lungo la strada Faentina di
Ravenna, ci insegue la fama un po’ ovunque durante
questo percorso dedicato al mosaico. Sebbene, dopo
28
gli studi iniziati all’Istituto d’Arte per il Mosaico di Ravenna
e completati all’Accademia di Venezia, egli sia rimasto
nella Serenissima per diversi anni, tuttavia, al suo rientro
a Ravenna con l’apertura di uno studio di mosaico, il suo
reinserimento nella città di origine è segnato dal flusso
ininterrotto della creatività che si incontra anche, felicemente, con quella del poeta Tonino Guerra.
Inizia una collaborazione tuttora in atto tra i due artisti;
Bravura non rinuncia mai alla scelta, che è una necessità
artistica, di essere non un ottimo esecutore di progetti
altrui, bensì di consentire al mosaico soprattutto come
progettista che esprime la sua idea dell’opera e la realizza
integralmente.
“Il mosaico avrà un senso compiuto quando sarà insostituibile come tecnica; – afferma Bravura – questa è stata
la mia esigenza fin dall’esordio, ridare al mosaico la sua
caratteristica che è l’essere insostituibile”.
Nascono così le grandi opere pubbliche da lui progettate e realizzate in Italia e all’estero.
Ricordiamo per il turista della terra di Romagna le fontane: “Fontana del Tappeto Sospeso” a Cervia, “Fontana
Parco Franco Agosto” a Forlì; con la “Fontana della
Chiocciola” siamo invece a S. Agata Feltria e all’estero,
a Beirut, è stata costruita “Fontana Ardea Purpurea” che
avrà, in Ravenna, quasi una gemella nella monumentale
“Ardea Purpurea” in via di realizzazione in collaborazione con
la Scuola Bottega del Centro di Formazione Professionale.
Ravenna si è potuta avvalere anche dell’acquisizione
fatta dall’Amministrazione Provinciale, della splendida
“Bambola Orientale”del Maestro.
Restiamo sulla Faentina Sud dove, al n. 2, in prossimità
di Russi, ha sede il laboratorio di Silvana Costa, mosaicista
con un curriculum di poetessa e di performer, le cui opere
sono presso collezionisti privati, in Italia e all’estero,
e in collezioni pubbliche presso alcuni comuni di Romagna
29
(Ravenna, Cervia, Russi, Bagnacavallo, Forlì).
L’intento artistico di Costa sta nel volere rinnovare il
potenziale linguistico del mosaico liberandolo dalle regole,
farlo apparire altro da sé, unirlo a materiali associabili,
come la ceramica, ma anche ad altri addirittura improbabili
come spugna, polistirolo, cocci di bottiglia.
È responsabile della Scuola per il Mosaico di Cervia
dove si tengono corsi durante tutto l’anno, naturalmente
anche in estate per i turisti, e per persone di diverse fasce
di età. Se un gruppo desidera incontrare Silvana Costa
dovrà fissare con lei un appuntamento telefonico.
Dalla conoscenza dei mosaicisti ravennati abbiamo
tratto la consapevolezza dell’importanza dei materiali che
essi usano per realizzare le loro opere, le famose tessere
vetrose e gli smalti, e più di uno ci ha suggerito di inoltrarci
nella campagna della bassa ravennate, a S. Alberto, dove è
attivo il laboratorio di Vittorio Bulgarelli. Qui si producono
l’oro e altri metalli preziosi, come il palladio, per il mosaico
e tutto è pronto anche per gli smalti. La decisione di cimentarsi in questo settore assai importante è stata presa da
Bulgarelli dopo un lungo tirocinio fatto grazie alla sua primaria esperienza di ceramista che lo ha sensibilizzato ai
processi termici e alle trasformazioni vetrose. Il brevetto
30
Bulgarelli consente di produrre oro per mosaico senza
mandare i materiali in sublimazione, evitando emissioni
inquinanti e sintetizzando in un’unica fase il procedimento
di doratura, di fusione dei vetri e di tempera. Il processo è
già sperimentato anche per gli smalti. C’è una certa attesa
nel mondo ravennate del mosaico intorno a queste nuove
produzioni, il luogo di provenienza dei materiali vetrosi è
sempre stato, infatti, il distretto di Murano, a Venezia,
e in particolare le famose ditte Orsoni e Donà.
A S. Alberto si coglie l’occasione per conoscere le creazioni di Gatti Elisa che nel suo atelier “Arredo Mosaico”, in
via Olindo Guerrini n. 70, può ricevere anche gruppi di turisti
in visita. I suoi complementi di arredo (centro-tavola di
diverse forme e dimensioni, orologi, specchi, tavolini) sono
spesso caratterizzati dall’utilizzo della pietra avventurina,
una pietra di sintesi elaborata a Venezia dal ‘600, luminosa
e ricca di riflessi e colori solari. Il lavoro di questa mosaicista vuole realizzare una sintesi intelligente tra la tradizione
e il gusto moderno.
Per restare nell’area esterna alla città, e precisamente
nella campagna ravennate ricca di centri rurali, si può raggiungere la frazione di Piangipane, in prossimità di Mezzano,
dove ha sede il laboratorio di Salvatore Palazzolo, ovvero
“Domus Aurea”, in via Maccalone n. 52.
È una tappa consigliata a quanti intendono superare
l’esperienza del complemento d’arredo e sono disponibili
a realizzare nella propria abitazione rivestimenti sia delle
pareti, sia dei pavimenti.
Negli ambienti di Domus Aurea, dove tre maestri
mosaicisti mostrano in diretta il processo di esecuzione
dei mosaici da rivestimento, si trova un’ampia mostra
delle composizioni musive, su disegni classici e moderni,
per i diversi ambienti della casa.
Salvatore Palazzolo, imprenditore, ma anche ideatore
dei decori che vengono qui riprodotti, esporta il nome
di Domus Aurea in molte regioni d’Italia e in alcuni paesi
esteri dove i suoi mosaici sono installati in dimore private,
hotel, chiese, locali del divertimento e della ristorazione.
I turisti, anche organizzati in gruppi, possono prenotare
una visita del laboratorio.
L’ultima tappa di questo percorso si preannuncia come
esperienza non usuale, pur essendo perfettamente inserita
nel tema del mosaico, in quanto ci offre un’approccio con
l’arte musiva che supera il senso della vista e ci spinge
a desiderare un contatto tattile con alcuni oggetti. Siamo a
San Zaccaria, località immersa nella campagna ravennate, 31
ma molto in prossimità con il confine provinciale verso
Forlì. A San Zaccaria vive e lavora Francesca Fabbri che ci
sorprende per la capacità di creare con il tessuto musivo
ciò che normalmente si crea con i tessuti veri e propri:
tappeti, sedie, poltrone dalla morbida seduta, divanetti.
La scelta artistica della Fabbri, dopo il primo diploma
nel 1982 ed il secondo nel 1987, si orienta alla ricerca e alla
sperimentazione contemporanea nel campo del design e
dell’architettura d’interni. Affiancata dalla consulenza artistica di Giuliano Babini e in collaborazione con alcuni grandi architetti (Ugo La Pietra, Ettore Sottsass, Adolfo Natalini
e altri) e designers, Francesca Fabbri porta nel mondo il
32
nome del suo “Akomena, Spazio Mosaico” dove realizza
vere e proprie collezioni in serie limitata di tavolini,
“Du-Du”, “Tavolini di Mabel”, e “Tappeti di pietra” insieme
con l’intrigante “Sassoft” (pouf, poltrone, divani e chaise
longue). Di grande impatto visivo e, si vorrebbe, tattile,
la Scultura Funeraria per la sepoltura di Rudolf Nureyev
a Sainte Genevieve sou Bois, a Parigi.
La visita presso Akomena è consigliata solo a gruppi
molto motivati e ben organizzati e solo dopo aver fissato
un appuntamento.
Si conclude all’insegna dello stupore questo breve
viaggio nel mondo del mosaico che non dà tregua alle
esperienze dei visitatori; dopo il tour tra i magnifici monumenti essi potranno scegliere alcune delle nostre proposte
di laboratori e ateliers, per soddisfare la propria curiosità
di certo accresciuta dall’osservazione dei capolavori antichi.
Ravenna, di mosaico vestita, stupisce il mondo anche
per la sua abilità di rinnovarsi nella tradizione.
Le aziende
da incontrare
Akomena Spazio Mosaico
di Fabbri Francesca
via Ponte della Vecchia 27
San Zaccaria
tel. 0544/554700
Lavorazione artistica di mosaico.
Arredomosaic di Gatti Elisa
via O. Guerrini 70
Sant’Alberto
tel. 0544/528714
Produzione di oggetti di arredamento.
Belkis di Marisa Iannucci
via dei Poggi 80
Ravenna
tel. 0544/66007
Produzione di decori e di complementi
di arredo in mosaico.
Cooperativa Mosaicisti Ravenna
Soc. Coop. a R.L.
via B. Fiandrini
Ravenna
tel. 0544/34779
Esecuzioni lavori in mosaico.
Dimensione Mosaico
di Cangini Claudia Maria
via Ricci Curbastro 12
Fornace Zarattini
tel. 0544/502493
Produzione mosaico.
Domus Aurea di Palazzolo Salvatore
via Maccalone 52
Piangipane
tel. 0544/417329
Produzione e vendita mosaico.
Mo’ Zaiko di Biondi Elisa
via G. Rossi 8
Ravenna
tel. 0544/213365
Mosaici, ceramiche e oggettistica.
Moman Sas di Fabbri Francesca & C.
via M. Monti 12
Zona Bassette
tel. 0544/554700
Produzione mosaico.
Mosaic di Lodoli Barbara
via Arg. Ds. Canale Molino 39
San Bartolo
tel. 0544/497228
Produzione mosaico.
Mosaic and Mosaic
di Sbrighi Massimo & C.
via Canala 75/79
Ravenna
tel. 0544/502666
Produzione mosaico artistico.
Mosaici antichi e moderni
di Caprara Alessandra
via Mariani 9
Ravenna
tel. 0544/35448
Mosaicista. Restauro di opere d’arte.
P. R. P. Restauro e mosaici d’arte
di Perpignani Paola
via Ghibuzza 43/a
Ravenna
tel. 0544/37537
Restauro e realizzazione di mosaici
d’arte.
Ravennae Srl
via O. Guerrini 168
Sant’Alberto
tel. 0544/529209
Produzione di ori e smalti per
il mosaico.
Scianna Enzo
via di Roma 34/a
Ravenna
tel. 0544/37556
Mosaicista.
33
Passaggio
a Faenza
Guida alle botteghe
della ceramica
in provincia di Ravenna
Passaggio
a Faenza
Guida alle botteghe
della ceramica
in provincia di Ravenna
Di passaggio a Faenza per un soggiorno o per un weekend. Si ha la sorpresa di una città a misura d’uomo, agile
l’accesso al centro storico dopo il passaggio sul fiume, se
si entra da sud est, percorrendo poche centinaia di metri,
se si scende da un treno, e in pochi minuti d’auto uscendo
dal casello autostradale.
La città è “a portata di mano”, raccolta oltre la cinta
verde dei viali e presidiata in qualche zona dai resti delle
vecchie mura. Inizia presto il dialogo pacato con Faenza
che fa quasi da guida a se stessa, come accade alle località
entrate nella geografia mondiale grazie alla propria fama.
36
Il passaggio da Faenza è intriso di interesse e di curiosità
suscitati dal suo stesso nome che ha superato l’antico
legame con i fondatori, che la spartirono equamente tra
“decumano e cardo”, a favore del legame ancora più forte
con la ceramica prodotta da ben otto secoli nel connubio
tra terra e acqua, aria e fuoco. Le “faenze” o “faiences”,
come già in epoca rinascimentale, ovvero le maioliche
> Albarello:
faentine, sono il primo motivo del passaggio a Faenza.
vaso piccolo di
Piatti, vasi, boccali, ciotole, albarelli, zuppiere, tutti
maiolica dipinta in
oggetti di uso quotidiano che il sapiente decoro rinnovatosi
uso presso gli antichi nei secoli grazie alla creatività degli artigiani locali, ha traspeziali per custodirvi sformato anche in pezzi raffinati che si guadagnano spazio
farmaci ed essenze.
nel mobile-vetrina delle case borghesi e nobili in ogni
angolo del mondo.
Chi viene a Faenza vuole guardare e acquistare, non si
lascia la città senza aver messo in valigia o nel portabagagli
un manufatto decorato secondo uno dei molti stili della
tradizione ceramica faentina.
Nelle circa sessanta botteghe sparse ai quattro punti
cardinali della città “storica”, con qualche fuga verso
la periferia e, in piacevolissimi siti, lungo la sinuosa strada
statale 302 meglio nota come “brisighellese”, possiamo
rinvenire i segni tangibili dell’appartenenza di ogni singolo
artigiano alla tradizione iniziata dai propri predecessori,
quelli che novecento anni orsono erano chiamati “orzelarii”
e, in seguito, boccalari, vasari o vasai. Si era in epoche
remote e l’artigiano era battezzato in ossequio alla forma
dell’oggetto da lui forgiato.
Oggi noi diciamo ceramista intendendo collegare l’uomo
con il prodotto generico, la ceramica, o con la produzione,
tout court. Ma, a ben guardare, sulle pareti delle botteghe,
in angoli riposti rispetto all’esposizione dei manufatti, si
possono individuare carte-diplomi che evidenziano il nome
dell’artigiano come “Maestro d’Arte Ceramica” e il suo curriculum attraverso le diverse scuole o istituti o centri di
Magistero Artistico. I faentini che hanno voluto consegnare 37
al futuro la pura tradizione della produzione ceramica sono
andati a scuola e, non appena la programmazione didattica
lo consentiva, sono andati “a bottega” dai loro maestri,
uomini che facevano parte della loro vita di cittadini, artisti
che da decenni applicavano alla manipolazione della terra
la propria genialità creativa di pittori o di scultori.
Nella piccola Faenza degli anni ‘50 e ‘60 del secolo XX
si sono formati gli artigiani che nella Faenza del 2000 noi
incontriamo già carichi di significative esperienze e di successi conseguiti sia nell’alveo della tradizione sia nello spazio mai del tutto esplorato della ricerca e della modernità.
Accanto a loro guardano e lavorano i nuovi apprendisti
38
dell’arte ai quali è affidato il compito, non facile, di non
fare calare il sipario sulla performance faentina. Un atto
unico, potremmo dire, ma lungo numerosi secoli, con
qualche inevitabile intermezzo di riflessione stilistica per
gli attori che, dietro le quinte, hanno voluto portare qualche
innovazione al copione iniziale, decisi ad intrattenere il proprio pubblico fino all’ultima battuta. Che non ha una data
e non deve averla.
Faenza, nelle sue qualità di “città impresaria”, non consente a se stessa quest’ultima battuta e continua a guidare
i cittadini del mondo attraverso le sue strade, nelle piazze,
nei borghetti rionali dove ferve la produzione di ciò che la
fa bella e attraente. E non è forse vero che le donne hanno
sempre usato, e tutt’ora lo fanno, l’argilla pura per rinfrescare la propria bellezza? Non ci meravigli, perciò, il fatto
che Faenza sia bella grazie alla sua terra: estratta nella
“cava” protetta dai rugosi e calanchivi fianchi delle colline,
raccolta nelle buche, lì presso scavate, dagli scarriolanti e
di qui caricata per la destinazione da essa più ambita, la
bottega, dove c’è un uomo, o una donna, capace di redimerla. Dalla cava a cielo aperto non sarà privo di sacrificio
il passaggio all’angolo buio e umido della bottega, in attesa
della mano sicura che verrà a prelevarla e con gesti potenti
vorrà lavorarla fino a toglierle il respiro, prima soffocata
dalla pressione e poi travolta dalla vertigine per il continuo
ruotare sul piatto del tornio. Una forma, infine, le darà un
po’ di pace, e si assopirà così forgiata dapprima in solitario
e, via via, in solidale compagnia.
Nella bottega si assiepano, quasi a stuolo, le creature
foggiate al tornio e aspettano, ancora, a lungo, protette da
malsane correnti d’aria o vampate di calori stagionali. Solo
l’aria domestica deve circondarle prima del grande fuoco, il
primo fuoco della loro esistenza. E sono chiamate “biscotto”
queste forme di colore mattone, quasi a presagire il secondo
abbraccio della fornace dove faranno il loro ingresso già
trasformate in bianche e vitree maioliche sulla cui superficie
l’artista traccia linee e disegni, intingendo il pennello in pigmenti che il fuoco secondo esalterà in colori.
Bisognerebbe poter assistere alla chiusura del forno
riempito di maioliche pressoché candide e all’apertura
dello stesso dopo un paziente suo raffreddamento: esplodono i colori che prima si perdevano nel biancore maiolicato.
Una meraviglia che alcuni ceramisti hanno voluto estremizzare con l’esperienza di un terzo fuoco, meno potente dei
primi due, e in riduzione di ossigeno. Imprevedibili risultati
che non si sa in quale percentuale attribuire alla maestria
dell’artigiano perché, con la sua complicità, è intervenuta
la magia del “piccolo fuoco” con effetti madreperlacei, con
dorature suggestive.
Dovremo dare totale fiducia alla parola del ceramista
quando ci proporrà oggetti trattati con la terza cottura:
i nostri occhi vedranno metalli e non ceramica.
Per conoscere e apprezzare l’itinerario artigianale
e artistico così succintamente raccontato non occorrono
mediazioni culturali. Basta venire a Faenza. Qui vivono e
lavorano i protagonisti della migliore performance faentina
che è la produzione ceramica.
Gli artigiani, qui, non affidano il prodotto del loro prezioso lavoro a commessi che ne curino la vendita. In ognuna
delle sessanta e più botteghe faentine, varcando la soglia,
si è accolti dal titolare dell’impresa: uomini e donne che
hanno tenacemente mantenuto l’unità tra la destrezza
manuale lungamente esercitata e l’intelligenza creativa mai
appiattita su soluzioni di facile resa commerciale.
La stessa dislocazione delle botteghe, spesso ancora
attive in siti storici, supera con eleganza e buon gusto la
soglia della concentrazione commerciale del manufatto, tipica di altre città
caratterizzate dalla produzione di artigianato artistico.
La litania, già vista, delle vetrine
con retro non impegna senza interru- 39
zione i piani terreni della schiera degli
edifici e spesso la bottega si fa cercare
dal turista visitatore con l’aiuto dello
stradario urbano.
Se non è un vantaggio, come
secondo alcuni potrebbe esserlo una
“cittadella della ceramica” nella città, è, però, una questione
di buon gusto ed eleganza che le botteghe si affaccino
sulle strade anche dei quartieri più riposti, e non solo sulle
piazze e sulle vie del centro storico.
Della loro presenza nel territorio urbano si avvale anche
l’autorevole complesso museale di corso Baccarini, noto
in tutto il mondo come Museo Internazionale delle
Ceramiche.
Il Museo continua a suscitare l’interesse del pubblico
e degli artisti perché è un punto vivo e reale di partenza
o un punto di sintesi di un percorso di conoscenza della
tradizione ceramica faentina che si può completare dopo
averlo visitato o prima di visitarlo.
È molto significativo che nell’esordio dell’estate 2002
si sia aperta all’ingresso del Museo la “Sala delle
Botteghe d’Arte Ceramica”: ogni 5 settimane le botteghe
si passeranno il testimone nella staffetta espositiva delle
proprie produzioni.
40
> Sala delle Botteghe d’Arte Ceramica: tale iniziativa è la corretta applicazione di uno dei principi inseriti da Gaetano Ballardini, fondatore del
museo nel 1908, nello Statuto Programma. Nel testo statutario il fondatore si diceva convinto che un punto qualificante del Programma fosse proprio l’istituzione di una Stanza Commerciale per la promozione dell’attività
delle botteghe ceramiche. La sua finalità era quella di occuparsi di questioni relative ai mercati esteri di ceramica, segnalando i fabbisogni e i
cambiamenti del gusto. Oggi, quando altre realtà curano questa promozione, la Stanza Commerciale vuole aiutare il recupero dei valori tradizionali portando, però, contenuti aggiornati e di innovazione.
Questa guida-reportage alla conoscenza delle botteghe
della ceramica artistica in Faenza potrebbe perciò condurre
il turista (il singolo o il gruppo) dapprima nel Museo o infine
in esso. La conoscenza della Faenza delle ceramiche si
avvale, per essere completa, di entrambe le opzioni.
Bisogna tuttavia riconoscere che la visita delle botteghe
trasmette, come è ovvio, un maggiore senso della contemporaneità dell’artigianato artistico seppure svelando un
forte legame con la tradizione.
> Tradizione: il nucleo della tradizione ceramica faentina, o delle “faenze”, si può considerare costituito dalle tipologie tecnologiche e decorative
affermatesi nel periodo rinascimentale che viene identificato come la sta-
gione artisticamente più significativa. Ma la notorietà di Faenza come
luogo privilegiato della produzione ceramica risale al XII secolo.
Si possono trovare capolavori siglati con la firma dell’artista artigiano fino
dal secolo XV. Nel 1454 Giacomo di Pietro ornava con oro la maiolica di
sua produzione. Tra il 1525 e il 1550 si distingue in Faenza la produzione
dei Fratelli Pirotti. E bisogna segnalare come vanto di due secoli fino alla
fine dell’ ‘800 la produzione della fabbrica dei Conti Ferniani.
Stili e decori della tradizione.
Primi secoli dopo il Mille: è il periodo detto anche Arcaico nel quale i vasai
di Faenza producono le maioliche (a smaltatura bianco vetrosa con pennello) e le ceramiche ingobbiate o graffite (decorate con punta di chiodo).
Temi preferiti: vegetali, tralci, fiori, palmette; faunistici, pesci, uccelli fantastici; araldici riferiti a famiglie legate alla storia della città.
Primo Rinascimento: stile Severo, cosi detto per i temi definiti e ricorrenti. In
esso si distinguono diverse famiglie: “zaffera”, “italo moresca”, “floreale
gotica”, “occhio di penna di pavone”, ”palmetta persiana“, “alla porcellana”.
In pieno Rinascimento si diffonde la famiglia delle “Belle Donne” grazie ad
una maggiore attenzione alla figura umana e successivamente la rappresentazione umana si completa con la decorazione narrativa detta “istoriato”.
Distinguiamo due periodi: primo istoriato dedicato a scene mitologiche e
bibliche, riprese o imitate da stampe e libri; secondo istoriato con l’uso di
nuove tecniche quali l’uso della maiolica di colore grigio azzurro (è lo stile
Berettino) su cui si realizzano decori come le grottesche, festoni di frutti,
41
foglie e altri. Questi motivi sono portati al massimo di espressione nello
stile “fiorito” con motivi a “raffaellesche”. Il Seicento è definito dallo stile
“Compendiario” che offre al pubblico una serie di oggetti rivestiti da uno
smalto bianco, grosso, coprente e colorati con tenui turchino e giallo.
I decori rappresentano putti, stemmi, piccole corone di fiori; le forme si
rinnovano in crespine, trafori leggeri, usate per saliere, calamai, fruttiere.
Faenza si ripropone al mondo con la produzione dei “bianchi” per sopperire alla saturazione del mercato. Metà del Settecento: cambia di nuovo il
gusto decorativo ispirato alle mode europee, ma anche ad ambienti esotici; alla fine del secolo si diffondono la “foglia di vite”, “il festone ”, “la
ghianda”, “il garofano”. Metà dell’Ottocento: i ceramisti si avvicinano alla
pittura da cavalletto con vedute acquerellate e ritratti paesaggistici.
42
All’inizio del percorso che ci porterà nei diversi quartieri
della città e nelle strade delle vicine colline fino al borgo
medievale di Brisighella, ma anche nei paesi della pianura
e della costa, appuntiamo la nostra attenzione sul segno
distintivo che individua le botteghe ceramiche di Faenza:
una targa decorata secondo una simbologia in uso all’inizio
del XVI secolo, le due mani che si intrecciano nel gesto del
saluto. La decorazione era riprodotta su piatti portadolci e
su boccali donati in occasione di nozze. Alcuni ceramisti mi
hanno espresso la propria opinione in merito ad una maggiore esposizione della segnaletica, che potrebbe avvalersi
non solo di questa bella targa collocata di fianco all’ingresso
della bottega, ma anche di un’indicazione all’inizio della
strada dove, assai spesso, troviamo più di una bottega.
Posso confermare l’utilità di un’integrazione del genere:
quando ci si muove sul tracciato del centro storico voltare
a destra, anzichè a sinistra, può portarci da tutt’altra parte
rispetto alla nostra meta. Se all’inizio di una traversa di un
corso o della traversa della traversa di un corso troveremo
un segnale circa la presenza di una bottega il nostro tour
sarà di certo più disteso. Non potendo contare all’oggi su
questo sussidio, ma avendo come unico supporto utile la
cartina predisposta dall’Ente Ceramica Faenza può essere
conveniente suddividere la città in settori.
> Ente Ceramica Faenza: associazione fondata nel 1977 alla quale aderiscono artigiani e artisti ceramisti. L’Ente è finalizzato alla tutela del marchio della ceramica di Faenza, alla promozione e valorizzazione sia in Italia
che all’estero della produzione di settore, artistica, artigianale, di design.
> Marchio: è stato ideato un simbolo grafico che qualifica la ceramica
artistica e tradizionale DOC, in base alla Legge 9 luglio 1990, n.188 come
modificata dall’art. 44 della legge 6 febbraio 1996, n.52. La denominazione d’origine è riservata ai ceramisti iscritti nell’apposito registro cui all’art.
3 della legge medesima. Tale denominazione viene riportata nei marchi
apposti sulle opere che rispondono ai requisiti stabiliti dal disciplinare.
Devo subito evidenziare la concentrazione di botteghe in almeno due
di questi settori urbani, forse favorita
dall’imponente presenza in uno di essi
del Museo Internazionale e nell’altro
dalla vicinanza alle piazze centrali.
Ma di certo la dislocazione delle botteghe deve avere stretta connessione
con le ragioni del mercato immobiliare
che talvolta hanno indotto alcuni artigiani a staccare il loro laboratorio dal
punto di vendita.
43
Tuttavia ho riscontrato che, anche là dove questo sia
accaduto, il ceramista ha sempre scelto di ricreare nel
negozio uno spazio dove poter eseguire almeno la decorazione, il che giova sia al ritmo del suo lavoro sia alla curiosità del turista. L’osservazione in diretta fa parte integrante
della scena che il ceramista volentieri ricrea per il suo
potenziale cliente. Come sempre la diversità arricchisce.
Faenza, comunque, sarebbe un’altra senza le sue botteghe, quelle che insistono nel suo centro storico. E nel
mio viaggio urbano ho scoperto le trame di storie parentali
che si sono dipanate negli ultimi cinquant’anni segnando
le sorti del settore della ceramica artistica, che non avrebbe
conosciuto il successo degli ultimi decenni se non ci fosse
stato un passaggio di testimone tra padri e figli o figlie
e un rischio d’impresa di coniugi e un coinvolgimento
tra fratelli. A costoro si sono aggregate di anno in anno le
risorse umane formatesi artisticamente negli Istituti cittadini, giovani che ancor oggi possono contare sui ceramisti
titolari di bottega per fare esperienze-tirocinio.
Al numero 13 di via Nuova, quasi all’ombra del Museo
Internazionale, ho iniziato il mio percorso entrando nel
laboratorio del torniante Gino Geminiani che ci introduce
alla prima fase della lavorazione, quella che fa i conti con
l’argilla, ancora materia informe e umida tratta dalle vene
calanchive. Il torniante la plasma e la cuoce una prima
volta ad alta temperatura per ottenere il caratteristico
mento base per inse- biscotto. Nella bottega Geminiani, come in quelle degli altri
tornianti di Faenza, predomina la bicromia grigio-rosato
gnare l’antica arte
della foggiatura. Tutti che testimonia il passaggio della materia da fresca a cotta.
Le attrezzature che arredano la bottega del torniante sono
i gesti e le prese che
prive di ogni orpello decorativo: il tornio, il forno, piccoli
in esso sono raffiguarnesi che aiutano la foggiatura dopo il sapiente lavoro
rate non sono altro
delle mani e grandi scaffalature per l’asciugatura e per
che atti che si sono
ripetuti per migliaia di l’esposizione del biscotto finito. Il torniante vende il suo
anni, come un rituale prodotto ai ceramisti che provvederanno alle successive
44 tramandato da torfasi della lavorazione secondo la propria peculiare scelta
stilistica.
niante a torniante,
Geminiani Gino ha doti di formatore e si preoccupa
per mantenere viva
un’arte che altrimenti anche della divulgazione dei contenuti che sostanziano
la sua opera, tiene corsi di foggiatura e ha predisposto
non sarebbe potuta
un manuale-guida alla conoscenza della sua storia e delle
esistere”
fasi salienti.
(Gino Geminiani).
La sua carriera come torniante iniziò per la capacità
persuasiva della sorella Silvana che, giovane studentessa
diplomatasi presso l’Istituto Statale d’Arte, aveva aperto
una bottega. Ancora oggi i pezzi decorati dalla sorella
vengono in gran parte dal tornio di via Nuova.
Incuriosita da questo intreccio di storia e di arte e
favorita dalla prossimità anche logistica, in poche decine
di metri raggiungo la bottega di Silvana Geminiani in corso
Baccarini n. 15/b . È il primo contatto con la raffinata arte
del decoro faentino. L’ambiente è sobrio ed elegante insieme ed emana un calore forse favorito dai mobili in legno in
stile classico che la titolare ha utilizzato per la sua esposizione. Oltre l’ambiente negozio si accede direttamente
ad uno spazio che suggerisce l’idea del laboratorio ed è,
infatti, dedicato alle operazioni che trasformano il biscotto
in manufatto artistico.
Il percorso artistico di Silvana Geminiani si intreccia
con la vicenda di maestri faentini, dai quali ella ha tratto
> Manuale:
“vuole essere lo stru-
i primi segreti, e con quella di giovani ai quali ha offerto la
possibilità di iniziare l’arte e di intraprendere poi imprese
personali. In questo negozio laboratorio Silvana è da sette
decoro realizzato a
mano nel periodo del anni e lo considera il luogo dove poter lavorare solo a ciò
Seicento Faentino che che soddisfa il suo estro creativo, con un rapporto pacato
con la clientela che al 10 % è costituita da turisti stranieri.
si caratterizza per lo
Cosa troviamo presso “Ceramiche Geminiani”?
stile compendiarlo;
i manufatti sono rive- Ceramiche da arredamento e da regalo, soggetti di ispirazione quattrocentesca, il compendiarlo traforato a mano,
stiti da uno smalto
bianco coprente e la
la grottesca con un blu molto tenue e raffinato. E il moderno,
decorazione è costituita anch’esso ornamentale, ma ottenuto con lo studio della
da figure semplici,
forma e degli smalti e frutto della ricerca personale.
> Traforato:
si diffonde come
appena schizzate,
La lettura della carta topografica dell’Ente Ceramica
Faenza mi avverte che qui vicino, in corso Baccarini,
> Grottesca:
al numero 7/a, ha sede la bottega di Cesare Boschi, il vice
genere decorativo
presidente dell’ente stesso. Il contrasto con la precedente
che prese piede nelè subito palese nell’ingresso: la scelta minimalista nella
l’arte italiana del
esposizione è ottenuta con scaffalature in cristallo che
Cinquecento ispiranlasciano totale spazio visivo intorno ai manufatti protagonisti assoluti dell’ambiente: maioliche tradizionali faentine
dosi alle decorazioni
dominano la scena, anche su espositori murali a griglia,
scoperte nei resti
a terra, invece, si fanno notare i grandi vasi in cotto bordati
della Domus Aurea
con il decoro tradizionale. Cesare Boschi, Maestro d’Arte
neroniana ( dette
45
“grotte”). Tale decora- con un percorso di “scuola a bottega” presso lo studio
dello scultore Angelo Biancini, è stato anche docente.
zione presenta combinazioni fantastiche Nel suo laboratorio vengono eseguite la smaltatura e la
di animali mostruosi, decorazione a pennello secondo gli stili della tradizione.
Cosa troviamo nella bottega Boschi?
figurine stravaganti,
cornucopie, per lo più Oggetti ornamentali rifiniti secondo il decoro tradizionale
di chiaroscuro bianco e nello stile “compendiario”, a “foglie di vite” e “raffaellesche”,
soprattutto su ordinazione. Spiccano nella produzione le
in fondo turchino.
“damine”, i grandi vasi in cotto decorato, i tappi in ceramica
per le bottiglie di vino che furono una idea di Boschi cosi
azzeccata che ben presto molti altri la replicarono.
Nel curriculum artistico del ceramista si distingue
“compendiate”.
l’esecuzione di un grande pannello in ceramica (460 piastrelle)
eseguito per la Chiesa dei Passionisti a Sant’Arcangelo
di Romagna.
Dopo queste prime visite e nel dialogo con gli artigiani
si fa più chiaro il panorama della produzione ceramica
a Faenza e il suggerimento al lettore-visitatore singolo è
quello di scegliere la bottega che più risponde al proprio
gusto; d’altra parte le occasioni per conoscere la tradizione
faentina pura sono tante quante le botteghe attive, perchè è
quasi impossibile trovare un ceramista che non vi si dedichi,
seppure in piccola misura. Non è impossibile, invece, acquistare oggetti di ottima fattura ad un prezzo accessibile:
46
alcuni artigiani vengono incontro a tale esigenza di acquisto
rapido ed economico esponendo piccoli oggetti souvenirs.
Ho trovato tale tipo di produzione presso la bottegalaboratorio di Monti Vittoria, al numero 22 di via Cavina;
la titolare dedica alcune linee di oggettistica da piccolo
regalo a periodi dell’anno solare che sono tradizionalmente
segnati da cerimonie religiose o ricorrenze fisse del calendario (comunioni, cresime, feste della mamma o del papà
etc.). Ma, seppure entrati con la scusa dell’oggettino, è
bene girare lo sguardo intorno: ci sono i decori “le rose
e oro” creati dalla ceramista e le pitture di soggetto sacro
su lastra di refrattario, e vari decori dal ‘400 in avanti, piatti,
vasi, brocche e anche qui le damine. Vittoria Monti ama
la maiolica e l’imitazione dei modelli classici. La titolare è
disponibile ad accogliere anche gruppi di turisti organizzati
che può dividere in due fasi di visita, usufruendo della
divisione della sua attività in due spazi separati, con due
ingressi ciascuno.
A questo punto, visto che da corso Baccarini siamo
virtualmente passati a via Cavina, segnalo un gruppo di
botteghe, non tanto perchè esse siano particolarmente
attrezzate all’accoglienza di gruppi di turisti, bensì per
rispondere al proponimento progettuale di offrire una
gamma di proposte che soddisfi la curiosità del turista che,
anche singolarmente, volesse entrare in contatto con gli
artigiani faentini. Quando ci troviamo su via Cavina, perciò,
possiamo visitare la bottega “Le terre di Faenza” di
Umberto Santandrea, ceramista che lavora in stretta collaborazione con l’artista giapponese Miho Okai, che ha
recentemente rilevato l’attività.
La produzione di ceramica di Santandrea ha avuto inizio
alla fine degli anni ottanta, sviluppandosi dopo varie esperienze di lavoro nell’industria della ceramica faentina;
grazie alla conoscenza della materia prima e delle sue
problematiche relativamente ai trattamenti di cottura
e smaltatura, egli è potuto passare alla fase più creativa
ed artistica con oggetti nei quali il decoro rivisita in chiave
moderna gli stili tradizionali. Spicca il riflessato turchese
e l’utilizzo di smalti opachi su oggetti ideati come complementi d’arredo. Inoltre Santandrea può offrire al turista
la visita di un luogo prezioso per Faenza, la cava di argilla
che era storicamente uno dei giacimenti dell’argilla faentina,
un luogo suggestivo immerso nel paesaggio dei calanchi
faentini.
Ancora su via Cavina si affaccia la bottega di Goffredo
Gaeta dove il lavoro si articola sotto la guida del maestro
secondo la maniera rinascimentale.
Artista eclettico il Gaeta, dopo tre stadi di formazione
negli Istituti d’Arte di Faenza e di Firenze e nell’Accademia
di Bologna, si afferma come uno dei grandi protagonisti
della ceramica contemporanea. Difficile, però, chiuderlo
dentro la definizione di un’arte, visto che la pittura, anche
su stoffa e vetro, l’affresco, la scultura, anche maiolicata,
fanno parte della sua produzione. I contenuti, invece, sono
preferibilmente di soggetto sacro. Infatti molte sue opere
sono state progettate per le chiese di diversi paesi nel
mondo: Stati Uniti, Canada, Giappone oltre che, naturalmente, Italia e anche molto vicino a noi, in Romagna
(Faenza, Cesena, Bertinoro).
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48
Assai vicino a via Cavina, in via Bondiolo n. 11, lavora
un altro grande maestro della ceramica d’arte, Ivo Sassi,
da Brisighella. In questo studio, presso l’ex chiesina di
Santa Margherita, possiamo incontrare anche la ceramista
Carmen Fantinelli, moglie dell’artista, la quale dopo un
lungo periodo dedicato alla tradizione classica faentina, ai
motivi del rinascimento italiano, e all’impiego della tecnica
a lustri e riflessi a terzo fuoco, si è ritrovata sulla strada
del restauro per il quale si era formata in gioventù.
Dopo aver chiuso la propria bottega di viale IV Novembre
si è trasferita qui, dove l’impronta preminente nell’ambiente
sembra, tuttavia, quella di Ivo Sassi, un maestro che lavora
instancabilmente, quasi un operaio della terra che lo ha
così affascinato da fargli abbandonare la primiera passione
giovanile per la pittura alla quale preferì la ceramica.
E nella ceramica egli si è manifestato come artista a se
stesso e al mondo, che non ha potuto ignorare l’incontenibile energia che egli infonde alla materia, piegata alla sue
scelte artistiche, al desiderio di intervenire nello spazio, di
sottolinearne la tridimensionalità, di scatenare la reattività
luminosa degli smalti e dei lucidi che fuggono via dalla
buia fucina gridando al mondo tutta la riflettività possibile.
Pluripremiato ed invitato a mostre ed esposizioni in tutto
il mondo, Sassi fa parte di quella schiera di artisti che del
nome della propria arte e della propria terra fanno un
tutt’uno.
Se siamo un gruppo di turisti di passaggio a Faenza e
vogliamo avere un’incontro disteso con la ceramica faentina
tradizionale non possiamo mancare all’appuntamento con
il laboratorio ed esposizione-vendita di Gino Suzzi, meglio
conosciuto come “La Vecchia Faenza”.
Siamo in via S. Ippolito al numero 23/a. Gli spazi dilatati di una antica chiesa consentono una suddivisione tra
la zona dove le decoratrici sono intente al lavoro e quella
dove il manufatto viene esposto.
Gino Suzzi, maestro ceramista
come praticamente tutti i titolari di
bottega di ceramica, ha rivolto la sua
attenzione e impegnato le sue capacità per ottenere una produzione di
qualità nell’alveo della pura tradizione
faentina: i colori tipici, la smaltatura
ad arte, i decori nel rispetto scrupoloso
della tradizione.
Qui si trova esattamente ciò che ci
si aspetta entrando in Faenza, il solco
profondo della pura tradizione.
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Quando la grande bottega è visitata da folti gruppi,
fino a 50 persone possono entrare insieme previa prenotazione, l’equipe si arricchisce della presenza di Laura
Silvagni, moglie di Suzzi, ceramista che ha una propria
attività con esposizione e vendita in corso Garibaldi,
al numero 12/a e il laboratorio in via Mons. Battaglia.
La produzione di Laura Silvagni è incentrata su maioliche
decorate secondo lo stile “alla raffaellesca” con soggetti
ispirati al repertorio della pittura del ‘700, ma senza escludere gli altri stili di epoche diverse che Faenza ha reso
famosi. Una peculiarità è la confezione di pezzi di dimensioni inconsuete, piatti e anfore da collocare in ambienti
vasti che spesso vengono ordinati da committenti anche
stranieri.
C’è un’altra ceramista faentina che riesce sempre a
conciliare l’impegno per la propria produzione con l’accoglienza dei turisti. Mirta Morigi, in via Barbavara n. 19,
ospita gruppi in visita alla città ai quali dà dimostrazione
della sua arte, e organizza corsi di apprendimento per i più
appassionati. Impegnata nello sforzo di creare nel solco
della tradizione, ma sempre con lo sguardo al nuovo, Mirta
Morigi è lucidamente presente nel contesto odierno
dell’arte ceramica. Il suo estro interviene sulle forme rigo-
rose della tradizione dando vita a presenze inaspettate che
sembrano saltate lì, su un vaso o su una brocca, da uno
stagno o da un mondo preistorico. È il periodo delle rane,
delle lucertole, dei camaleonti, ma anche delle civette multicolori. Dove è finita la grigia argilla?
Viva si aggira tra gli scaffali in via Barbavara.
50
È ancora folto il gruppo di ceramisti che hanno scelto
di rappresentare la continuità della tradizione tout court
e assolvono il non facile compito di mantenere integra
la qualità della loro produzione, sempre rigorosamente
manuale.
Grazie al loro costante impegno Faenza può continuare
a proporsi al mondo come capitale della ceramica.
Massimo Linari propone opere di alto livello nel solco della
più raffinata tradizione faentina della Maiolica in via Naviglio
n. 19/a. Siamo nel pieno centro cittadino, durante la passeggiata a piedi fa piacere fermarsi e scegliere un oggetto
di fattura decisamente tradizionale.
Se invece si proviene dall’autostrada A 14, sulla via
Granarolo, che dal casello conduce verso i viali, al numero
63, si incontra l’edificio de “I Maestri Maiolicari Faentini”,
di Lea Emiliani, la cui facciata si distingue per il grande
arco che ricorda gli antichi forni a legna.
Ampie vetrine consentono di entrare subito in contatto
con le attività che si svolgono all’interno. Un’ampia mostra
offre ai visitatori la conoscenza delle pregiate riproduzioni
degli stili della tradizione, dall’Arcaico al Gotico-Floreale
e al Berettino, ripercorrendo la storia della ceramica dal
Medioevo al Rinascimento. L’ubicazione di questo laboratorio è assai favorevole per i gruppi di turisti che potranno
anche visitare i locali della lavorazione.
Non tutti i ceramisti hanno la concreta possibilità
di organizzare il proprio lavoro in misura compatibile con
l’accoglienza del turismo organizzato, ma sono tutti dispo-
nibili ad incontrare piccoli gruppi: due o tre persone che
entrano nel laboratorio-negozio fanno parte della normalità.
Li può accogliere anche il più piccolo ambiente che
di Faenza che si conforse ho incontrato in questo percorso, quello del ceramista
tendono ogni anno
Luciano Sangiorgi, in corso Europa n. 134, due locali
il premio del Palio
preannunciati da un grande pannello ceramicato raffigudel Niballo la quarta
rante il San Giorgio. Ma Sangiorgi, Maestro d’Arte di pasdomenica di giugno.
Il Rione ha la fisiono- saggio anche nell’industria ceramica e dotato di talento
mia di realtà di aggre- creativo, non sembra preoccupato della capienza della sua
bottega, egli lavora soprattutto su commissione e realizza
gazione sociale.
Ha una propria sede, per i suoi clienti opere che vanno a completare il loro
il museo dei costumi arredo, interno o esterno, spesso grandi pannelli decorativi
(si cita tra i committenti il Vaticano). Tra gli scaffali della
storici indossati dai
sua bottega si trovano, comunque, oggetti che rivelano
contendenti durante
la sua ricerca del legame con la tradizione e con la città.
il Palio e organizza
> Rioni:
sono cinque i rioni
iniziative promozionali.
I rioni si distinguono
per il nome in Bianco,
Nero, Verde, Rosso
e Giallo.
Assai vicino a Luciano Sangiorgi si sviluppa uno dei
rioni più attivi di Faenza, il Rione Bianco, con la bella chiesa
della Commenda, un plesso storico di grande rilievo per
la storia faentina che si può visitare facendone richiesta
presso gli uffici della Pro Loco.
E a pochi metri dalla Commenda non si può mancare
all’appuntamento con la storica Bottega d’arte ceramica
51
Gatti, in via Pompignoli n. 4, fondata nel 1928 da Riccardo
Gatti (1886-1972), uno dei più grandi maestri della ceramica
del nostro tempo, al quale già a cominciare dal 1948 si
affiancava il nipote, Dante Servadei, allievo egregio grazie
al quale oggi prosegue la fortuna e la fama della bottega,
dove si respira ancora l’atmosfera delle antiche manifatture
faentine: ogni oggetto viene prodotto
a mano secondo dettami e processi
di lavorazione in uso da secoli.
Il nome di Gatti si distingue nella
storia della ceramica per aver egli
inventato il metodo di produzione
di maioliche “a riflessi” che, applicata
alle più diverse forme rende la loro
superficie ricca di fascino e di suggestione per le iridescenze preziose.
Grandi artisti contemporanei hanno
voluto collaborare con Gatti e si sono
avvicendati nella sua bottega.
Dal 1998, anno dell’inaugurazione, è
possibile visitare, previo appuntamento,
il Museo Gatti dove è conservata una
preziosa collezione retrospettiva delle
più rare opere di Riccardo Gatti.
> Museo Gatti: qui sono raccolte le opere a partire dal 1908, quando
ancora Riccardo Gatti non possedeva un proprio laboratorio. Di rilievo
sono le opere successive che testimoniano la collaborazione di Gatti con
artisti del movimento futurista al quale egli aderì come attesta uno scritto
di Marinetti del 1928. Uscirono allora dalla bottega Gatti opere firmate da
Balla, Benedetta, Dal Monte, Fabbri. Il percorso museale prosegue verso
le opere “a riflessi” del periodo a cavallo tra la fine degli anni Venti e i
primi anni Trenta del Novecento e giunge agli anni del dopoguerra, quando il Maestro si cimentò con le ceramiche a forme antropomorfe, zoomorfe
e astratte. Si approda così alla produzione degli ultimi venti anni che sono
rappresentati dai più rari risultati nella continuità della tradizione.
52
Restando in tema di musei privati il panorama si è
arricchito dal maggio 2002 di un altro fiore all’occhiello
per Faenza, il Museo intitolato a Carlo Zauli organizzato
e guidato dai figli del grande maestro, Matteo e Monica.
Carlo Zauli, scomparso nel gennaio 2002 dopo una lunga
malattia che ci ha privato della sua creatività degli ultimi
anni, è considerato dalla critica internazionale uno dei
massimi rinnovatori dell’arte della ceramica.
Nato a Faenza nel 1926 manifestò già nell’infanzia una
forte predisposizione alla manualità che volle impostare
seguendo il rigore dell’Istituto d’Arte per la Ceramica.
Ottenne qui il diploma di Magistero Tecnico al quale si
aggiunse il titolo del Corso Speciale per la Decorazione
Ceramica. Nel 1950 iniziò il lungo percorso artistico che
lo portò a lavorare incessantemente e ad esporre le sue
opere in tutto il mondo. Fu a contatto con i più grandi
artisti contemporanei in uno scambio continuo di esperienze
e ricerche artistiche.
Per venti anni fu anche docente di Tecnologia Pratica
presso l’Istituto che lo aveva diplomato. Impossibile elencare qui i nomi, le date , i luoghi della sua carriera, ci limitiamo a ricordare che la sua fama è legata a produzioni
intitolate “I Bianchi di Zauli”, i “Vasi Sconvolti”, le “Zolle”,
le “Arate”, e alla “Faenza”, l’azienda da lui fondata per la
produzione di piastrelle di gres in monocottura e per la
quale egli creò una linea di design d’avanguardia. Tutto
questo si può vedere di persona visitando il Museo Carlo
Zauli, in via della Croce, là dove è stato ideato un percorso
della memoria e dell’arte nel luogo dove l’artista ha lavorato.
È un appuntamento al quale, di passaggio a Faenza,
non si può mancare, perché anche qui si ottiene testimonianza di come la lavorazione della terra, anche partendo
dalla ceramica, può suscitare nell’uomo che vi si dedica
il genio della scultura.
È evidente più che mai a questo punto che la tradizione
dell’arte ceramica a Faenza ha goduto della forza delle
> Leandro:
per comprendere il
lavoro di Leandro
Lega sono utili le sue
parole rilasciate per
un articolo dedicato
alla figlia: “Ho sempre
lavorato fin da giovane, ho faticato anche
manualmente e con i
piedi piantati per
terra per l’azienda
familiare dei cementi.
Con lo stesso impegno ho affrontato la
ceramica... nell’arte
ceramica ho messo,
forse, la parte migliore di me; ho provato e
riprovato in un’incessante ricerca di tecniche, di forme, di ornati, non senza delusioni e però, devo pur
dirlo, con successi e
non pochi riconoscimenti” (da I Quaderni
dell’EmilCeramica,
2002).
L’artista è deceduto
nei mesi precedenti la
stampa di questo
libro.
relazioni familiari, del fascino esercitato dai nonni o dagli
zii sui nipoti e dai padri sui figli che sono spesso diventati
i primi allievi “a bottega“ dei maestri, mentre l’incontro tra
uomini e donne della ceramica ha generato sodalizi artistici
che tuttora sono un pregio per la città.
Un ulteriore esempio ci viene dato da Carla Lega, figlia
del maestro Leandro, che si fa guida devota delle opere del
padre, esposte nella mostra di via Fratelli Rosselli n. 6,
dove ella pure lavora sulle orme dell’artista.
La produzione di ceramica artistica Lega nasce negli
anni ‘50, ‘60 periodo nel quale il Maestro partecipando
a mostre in tutto il mondo ottiene riconoscimenti e vince
53
concorsi. Nel 1975 viene affiancato dalla figlia Carla che
sviluppa il proprio interesse verso una produzione innovativa. Gli oggetti a firma Lega sono tutti pezzi unici, decorati
a mano e cotti a gran fuoco, rifiniti in riduzione mediante
ossidi e nitrati in modo da ottenere effetti iridescenti
e sempre diversi.
Si diceva poc’anzi dei maestri e dei loro figli che hanno
anche inconsapevolmente attinto alla quotidiana sorgente.
Bisogna altrettanto considerare la schiera degli allievi,
i tanti che pur non avendo in famiglia esempio che li facesse
volgere all’arte della ceramica, avendo però scelto di attingere alla risorsa così viva nella propria città, si sono trovati
nell’alveo della tradizione così ben segnato e testimoniato
dai maestri, appunto, da non poterlo più abbandonare.
Oggi la Faenza della ceramica si manifesta al mondo grazie
al lavoro dei ceramisti diplomati che continuano a “uscire”
dalle scuole faentine per entrare nelle botteghe e lavorare.
Un laboratorio di recente apertura è “Superfici”, in via
Tomba n. 7/a, dove due giovani diplomate, Marta
Monduzzi e Dea Melandri propongono le loro creazioni
in ceramica e in mosaico. Oggetti concepiti come complementi d’arredo, specchiere, lampade, tavolini, consolle
spesso in collaborazione con un artigiano che crea con
il ferro battuto, Marino Tarabusi.
Intanto proseguiamo il nostro viaggio alla conoscenza
delle botteghe e dei loro artigiani già affermati professionalmente, ma ci allontaniamo da Faenza per assecondare
la loro distribuzione sul territorio extraurbano.
La campagna e la collina hanno attirato a sè alcuni
ceramisti per i quali il fatto di lavorare nell’area del centro
storico non era più determinante anche ai fini di una esposizione verso il pubblico. Costoro hanno, in definitiva, valutato un vantaggio per sè e per la propria attività produttiva
il fatto di collocarsi in siti riposti. Questo è vero anche per
due ceramiste esperte del restauro che lavorano nell’area
rurale faentina più vicina alla cerchia urbana, lungo l’argine
del fiume Lamone.
54
Quando si lascia Faenza per raggiungere Brisighella
bisogna prepararsi ad un percorso panoramico e paesaggistico di grande interesse per il quale è consigliabile mantenere una velocità media che consenta di parcheggiare in
alcune aree al limite della carreggiata
per alcuni appunti di viaggio da scrivere
nella nostra memoria visiva. Solo così
sarà possibile notare il cambiamento
del paesaggio determinato, qui, dalla
incipiente coltivazione dell’ulivo che
ha fatto di questa zona una delle più
caratteristiche aree, è chiamata infatti
“areale”, di produzione dell’olio extravergine denominato Brisighello, il
primo in Italia ad ottenere la denominazione Dop. Questo suggerimento
di una andatura moderata ci consentirà di fare sosta anche
per il motivo della presenza, lungo la Brisighellese, S.S.
302, di alcune botteghe di produzione della ceramica faentina. Tutte possono essere visitate anche da gruppi organizzati purchè essi prendano con i titolari un appuntamento telefonico.
Nello “Studio Erreti”, al numero 469 di via Firenze in
località “La Cartiera”, la titolare, Katia Tavanti, si è trasferita
dalla centrale via Tomba (in Faenza). L’ambiente, introdotto
da segnaletica rigorosamente di ceramica, è al piano terra
di un edificio che si affaccia direttamente sulla strada e si
suddivide in stanze di produzione e di esposizione delle
varie fasi del lavoro.
Dal 1980 la Tavanti si dedica alla produzione di manufatti artistici in quasi tutti gli stili faentini: sono in continua
produzione set da credenza (servizi da caffè e da thè),
bomboniere, ceramiche da vino, “sputavino”, e da aceto
balsamico, che spesso la ceramista confeziona per aziende
agricole della regione imprimendone il logo, e ancora
cache pot, porta ombrelli. Gli stili che lo studio Erreti propone sono la “ghianda”, il “garofano”, “il compendiario”,
“lo stile severo” e altri della tradizione faentina.
In località Celle, via Celle n. 38, immerso nella prima
collina, il laboratorio di Alberto Razzi (diploma di Foggiatore
all’Istituto Ballardini di Faenza) è inserito in una tipica
costruzione rurale che gli consente di organizzare gli spazi
suddividendoli in una bella sala di esposizione e nel laboratorio vero e proprio. Una scelta di vivere e lavorare in
mezzo alla natura in collaborazione con la moglie, Patrizia
Piancastelli (Diploma di Maestro d’Arte applicata).
La produzione di Razzi si lascia scoprire attraverso
un’attenta osservazione dei particolari che la caratterizzano
e sono terrecotte decorate ottenute da argille colorate preparate nel laboratorio, arricchite da interventi con vetri
colorati che le fa risplendere e con oro zecchino che le
impreziosisce insieme con i lustri colorati cotti a terzo
fuoco. Sugli scaffali troviamo anche una serie di statuine
del presepe davvero uniche nel loro genere, un motivo in
più per visitare questo laboratorio.
Proseguendo lungo la S.S. 302 in direzione Brisighella,
dopo circa un chilometro, raggiungiamo Villa Emaldi,
pregevole esempio di dimora neoclassica, introdotta da
55
un lungo viale di cedri centenari che incrocia il binario della
linea storica tra Faenza e Firenze.
Oltre la ferrovia si entra nel parco della villa dove vive
e lavora la ceramista Antonietta Mazzotti, che ha trasformato la serra neogotica della casa padronale in suggestivo
laboratorio, mentre altri locali al piano terra di un edificio
annesso alla villa sono adibiti a esposizione permanente
delle produzioni: cachepot, saliere, versatoi, piatti da
“pompa”, servizi da piatti e da thè, bomboniere con cifre
intrecciate e stemmi, ma anche oggetti d’arredo come
lampade, portaombrelli, vasi. Antonietta Mazzotti Emaldi
con un curriculum di formazione nell’Istituto d’Arte per la
Ceramica di Faenza e all’Accademia di Bologna, dopo avere
intrapreso l’insegnamento, aprì nel 1972 la sua prima bottega nel centro storico di Faenza. La sua ricerca di una perfezione nella riproduzione degli stili della tradizione faentina le ha valso la stima di un pubblico internazionale che la
conosce sotto il marchio di “Manifattura Artistica
Antonietta Mazzotti Emaldi”.
La sua attività l’ha portata a collaborare con i musei
più importanti del mondo e a ricevere riconoscimenti dalle
maggiori istituzioni e dalla stampa internazionale. Non c’è
che dire, si vorrebbe protrarre la sosta in questo luogo
oltre il motivo contingente della produzione ceramica per
56
godere del contesto ambientale che ha il fascino delle
dimore aristocratiche.
A Brisighella , dove si fa sosta per i motivi già detti,
il bellissimo borgo e l’ottimo olio di oliva, si deve venire
anche per conoscere due ceramisti che lavorano in coppia
da una vita e che tutti conoscono come “Bartoli Cornacchia”.
Scultore il primo, Walter, antico allievo del Biancini, pittore
il secondo, Adelmo, allievo del Maestro Ugonia.
Nel grande laboratorio che si affaccia proprio sui binari
della linea ferroviaria Faenza-Firenze, di fianco alla stazione
di Brisighella, sembra che gli spazi di lavoro siano propriamente divisi tra i due che da sempre occupano ciascuno
una postazione fissa: il pittore si dedica all’arte del pennello
sotto la finestra che guarda i binari, poco distante, nei
pressi di un’altra finestra, lo scultore lavora la creta.
Tutt’intorno immagini sacre, madonne, bassorilievi, pannelli,
sculture, paesaggi agresti, scene di vita quotidiana.
A Brisighella si potrebbe addirittura seguire un percorso
dedicato alle loro opere collocate nelle chiese del borgo,
ma le ceramiche del laboratorio Bartoli-Cornacchia sono
ormai in molte altre città della provincia e della regione
(una sessantina in Italia) e viaggiano in Europa ad arricchire
la fama della ceramica faentina, ed anche in altri continenti,
in Africa, in Brasile e in Terra Santa. Se si vuole gustare
appieno la misura del lavoro di questi due artisti è bene
andare a Lugo, nella Chiesa Parrocchiale di San Lorenzo,
nella cui contro facciata campeggia “Il Giudizio Universale”
opera di Bartoli-Cornacchia, che impegna ben 150 metri
quadrati di superficie.
Abbiamo constatato che Faenza ha diffuso a raggiera
intorno a sé la dedizione alla lavorazione della terra
trasformata in ceramica; ritornando dalla collina verso la
città possiamo verificare questa diffusione anche in altre
direzioni, nella pianura e fino alla costa, a Cervia.
Nella campagna che si stende lungo l’argine del fiume
Lamone, in via San Martino, appena fuori la mura, si sono
insediate due restauratrici della ceramica, che svolgono un
lavoro prezioso e ricercatissimo da musei, non solo italiani,
da collezionisti privati, da antiquari italiani e stranieri.
Valeria Castellari, maestra d’arte specializzata in
Magistero di Restauro e attiva dal 1977, si occupa del
restauro di maioliche e porcellane di alta epoca del ‘700
e moderne.
Fra i suoi lavori si citano per il rilievo artistico il restauro
del pavimento della Cappella Vaselli nella Basilica di San
Petronio in Bologna; il restauro di una parte della collezione
dei Musei Civici di Imola; il restauro di opere del Museo
Civico di Lodi; Madonna del Santuario della Salute di
Solarolo. Le dedicano articoli riviste specializzate in ceramica antica e antiquariato e riviste divulgative (Dove,
Carnet, Brava Casa). Tiene seminari e conferenze in occasione di convegni di studio.
> Restauro: la prima forma di restauro fu la racconciatura ovvero
la pratica di rimettere insieme i pezzi dei manufatti ceramici rotti fin
dall’inizio della primissima produzione ceramica. Si accostavano le parti
rotte di un pezzo e lungo i bordi si praticavano dei fori dai quali si faceva
passare del filo di spago o di cuoio o di ferro. Se era necessario si dovevano
rifare anche parti indispensabili alla funzionalità dell’oggetto.
57
Il restauro che oggi viene praticato su pezzi antichi (o moderni) può essere
di tipo conservativo o museale, di tipo antiquariale.
Conservativo: mira a conservare e consolidare ciò che di autentico sopravvive in un esemplare, lasciando in evidenza le parti mancanti con un’integrazione puramente plastica di ciò che è andato perduto.
Antiquariale: include, oltre alla ricostruzione, il ritocco pittorico che vuole
restituire all’oggetto la fisionomia originale, perciò non si deve notare
l’intervento.
Simona Serra, anch’ella con laboratorio in via San
Martino, è discepola della Castellari e ha iniziato l’attività
nel 1994. Lavora per antiquari e restaura pezzi di collezioni
museali.
Dopo questa parentesi dedicata al restauro ritorniamo
agli attori della produzione ceramica attivi fuori Faenza.
Tra Faenza e Forlì, nella campagna di Reda, vive e lavora
Vittorio Ragazzini, siamo in via Colombarina al numero 4,
nel suo Studio d’Arte Ceramica.
Dal 1990 Ragazzini si dedica alla creazione di pezzi
unici di carattere sacro e di pannelli decorativi per l’arredo
secondo una personale ricerca in entrambi i campi e spesso
in collaborazione con artisti locali.
La produzione più caratteristica è però quella dei
58
“Milites”, ovvero statuette militari o in divisa storica che
egli produce per le varie Arme nazionali o per sodalizi civili
nel solco della tradizione iniziata dal suo maestro W. Bosi.
Su commissione si possono ottenere anche sculture-ritratto.
A circa trenta chilometri da Faenza, immerso nella pace
della zona pinetale vicino alle Terme di Cervia, il laboratorio
di Giacomo Onestini, faentino per nascita e per formazione
artistica, ci riporta all’arte della foggiatura che egli ha
praticato sempre con grande attitudine e passione.
E difficilmente un grande foggiatore (Premio mondiale
per la foggiatura nel 1980) può scegliere la strada della
decorazione. Onestini ha accettato la sfida lanciatagli dalla
manipolazione della materia prima e si è cimentato artisticamente nella forma. Poi ha lavorato sugli effetti della luce,
ottenuti con tecniche sperimentali. Sono i riflessi opachi
per riduzione ad acido o ad impasto.
Per conoscere da vicino le opere di Onestini si potrà
visitare il suo laboratorio presso l’abitazione, in via Murri n. 7,
preferibilmente dopo un appuntamento telefonico. La famiglia è attivamente impegnata ad organizzare mostre che
facciano conoscere l’opera dell’artista, dopo la sua recente
scomparsa.
A Cervia, e precisamente a Montaletto, vive e lavora
Claudia Farneti ceramista che si è formata al liceo artistico
di Ravenna e alla scuola di Ceramica “Albe Steiner”.
Gli stili che caratterizzano la sua produzione sono
il Romagnolo tradizionale e il “ticchiolo”, decoro di scuola
pesarese che in qualche modo la distingue dagli altri ceramisti. Una ventata di modernità si insinua nel suo lavoro
quando sperimenta nuovi smalti con tecniche di riduzione
in forno e ai nostri occhi appare un oggetto quasi di metallo
che non rilascia, tuttavia, alcuna sensazione di freddezza.
A Castiglione di Ravenna, in via Zattoni n. 67, Cristiana
Casadio, diplomata nel 1977 all’Istituto Ballardini di
Faenza, e specializzata in restauro ceramico, ha aperto
nel 1980 il laboratorio con vetrina e negozio; qui realizza
oggetti d’arredo, in particolare per l’illuminazione, con decori ispirati anche
ai motivi delle tele stampate di
Romagna, ma fondati sui canoni stilistici della tradizione faentina.
Se percorriamo la S.S. 16 Adriatica,
che da Cervia ci riporta verso Ravenna,
proseguendo verso nord fino a Mezzano,
possiamo fare sosta presso “Ceramica
Artistica La Balena Bianca” di Cristina
Capucci che qui propone un’oggettistica
per la casa decorata secondo gli stili
59
classici faentini, ma anche alla “turchesca”, in stile veneziano e secondo una libera creatività.
Le ultime tappe suggerite al curioso turista di passaggio
a Faenza, per conoscerne le migliori produzioni ceramiche,
lo conducono dalla costa cervese, dove siamo giunti
seguendo la traccia lasciata da alcuni ceramisti di scuola
faentina, fino al capoluogo di provincia, Ravenna, e di
seguito nel cuore della campagna ravennate, a Godo
di Russi, e a Lugo.
Ravenna, capitale del mosaico, ci riserva dunque
la sorpresa della ceramica. Quattro ceramiste tengono viva
la tradizione della ceramica faentina, ma con qualche
concessione ad una, forse inevitabile, influenza bizantina
e con una certa apertura alla Romagna. Lo possiamo vedere
con i nostri occhi.
Malatesta Anna Maria, in via Maggiore n. 149/a, dipinge
su ceramica alcuni motivi del mosaico bizantino (fiori, frutta,
le colombe), riproduce paesaggi romagnoli e soprattutto
ama proporre pitture secondo la scuola dei Della Robbia.
Rita Barboni, con bottega in via Pastore n. 6 (siamo
nella zona conosciuta come Bassette) si dedica al decoro
romagnolo ripreso dalla tradizione delle tele stampate a
mano nelle antiche stamperie; prevale il colore ruggine,
60
ma anche il blu e il verde vengono applicati su servizi
da tavola, soprammobili, lampade. In alcuni oggetti viene
proposto anche il decoro siciliano dei limoni.
Ancora a Ravenna, in via Canneti n. 2, nei pressi del
Duomo, Enrica Roncuzzi e Letizia Tozzi conducono “Argilla
srl” e offrono alla loro clientela un assaggio di tradizione
faentina con il decoro a “foglia di vite” e il “berettino”,
senza sottrarsi al fascino dei mosaici bizantini di cui riproducono particolari intriganti quali le pietre preziose di
Teodora, le stelle delle volte basilicali. Una sezione della
produzione è dedicata ad oggetti moderni sia nel design,
sia nel decoro.
A questo punto ci apprestiamo a conoscere alcune
attività di lavorazione della ceramica che impreziosiscono
il contesto rurale della provincia.
Si chiama “Arte Ceramica” la bottega condotta da
Maria Cristina Sintoni in via Faentina Nord n. 82, a Godo
di Russi. Gli appassionati dell’Araldica avranno un motivo
in più per entrare in questa bottega; qui, infatti, si realizzano
anche oggetti frutto della appassionata ricerca che la titolare conduce, da oltre 15 anni, sulla rappresentazione grafica
codificata degli stemmi nobiliari e sui simboli connessi.
Un’ulteriore novità proposta dalla ceramista sono gli
oggetti che fondono la cultura della ceramica faentina
e quella del mosaico bizantino di Ravenna; intrapresa nel
1989 questa linea produttiva si è presto imposta all’attenzione del pubblico, con il termine sintetico, ma improprio,
di “Ceramiche Bizantine”. Non mancano di attirare la
nostra attenzione anche oggetti decorati secondo la tradizione faentina negli stili, ad esempio, del ‘400 e del ‘500.
Siamo immersi nella zona più vocata all’agricoltura
della provincia e continuiamo a scoprire realtà di artigianato
artistico che sembrano perfettamente inserite nel contesto
rurale; non lontano da qui, infatti, seguendo il suggerimento
del percorso dedicato al mosaico, abbiamo incontrato anche
alcuni artisti del mosaico.
A Lugo due ceramiste hanno aperto il proprio laboratorio
e hanno in qualche modo arricchito l’offerta turistica della
propria città.
Laura Sughi, in corso Matteotti n. 25, lavora nel pieno
rispetto della tradizione faentina di cui ripropone i decori
classici eseguiti con sapiente pennellata su un’oggettistica
tipica del manufatto faentino.
Elisa Grillini si dedica alla ceramica artistica con vocazione alla sperimentazione che le ha consentito di esporre
le sue opere, tutti pezzi unici, sia in Italia che all’estero,
da sola o convogliata da esperienze di gemellaggio del
comune di Lugo con alcune capitali europee.
La caratteristica delle sue creazioni è il decoro a “lustro
persiano”, antichissima lavorazione di origine saracena con
influenza mongolo-cinese. Gli smalti preparati dalla Grillini
sono composti da sali metallici, nitrati d’oro e d’argento
che, durante la cottura, in ambiente riducente e con
l’aggiunta di composti organici, sviluppando fumi, generano riflessi variegati e imprevedibili.
Significativa è anche la sua esperienza di insegnamento
in Istituti d’Arte, ospitando gli studenti presso il suo laboratorio e raggiungendoli in Comunità di recupero. Anche
nelle Favelas del Brasile Elisa Grillini ha creato un laboratorio
di ceramica.
61
Attualmente il suo laboratorio, che
abbiamo visitato dapprima nel centro
di Lugo, si trova a Budrio di Cotignola,
in via Gaggio n. 12.
L’accostamento delle due ceramiste
di Lugo ci consente di tornare al tema
del nostro esordio, ovvero la compresenza nella storia della ceramica
faentina e nel suo presente delle due
componenti che chiamiamo “di tradizione” e “sperimentale”.
Sono due approcci molto diversi
alla lavorazione della terra e alla sua trasformazione in
manufatto; se è impossibile creare una graduatoria tra
i due, è invece consentito riconoscere il valore complementare delle due espressioni artistiche.
Accade, infatti, che in virtù di questa benefica diversità
il turista continui a segnare nel proprio taccuino di viaggio,
“oggi passaggio a Faenza”. E, seguendo la nostra traccia,
si troverà coinvolto in una storia antica che ha conquistato
l’epoca moderna.
Le aziende
da incontrare
62
Argilla Srl
via Canneti 2
Ravenna
tel. 0544/213459
Oggettistica in ceramica, mosaico e vetro.
Arte Ceramica
di Farneti Claudia
via Bollana 39
Montaletto
tel. 0544/965076
Produzione e decorazione oggetti in
ceramica.
Arte Ceramica
di Maria Cristina Sintoni da Faenza
via Faentina Nord 82/2
Godo
tel. 0544/419451
Produzione e restauro ceramiche.
Arte Della Ceramica
di Sughi Laura
via Matteotti 27
Lugo
tel. 0545/32397
Produzione di ceramiche artistiche.
Ballabene Ennio
via Fenzoni 1/b
Faenza
tel. 0546/634393
Torniante.
Bartoli e Cornacchia Snc
via De Gasperi 10
Brisighella
tel. 0546/81283
Ceramisti.
Boschi Cesare
viale Baccarini 7/a
Faenza
tel. 0546/22256
Ceramista.
Bottega d’arte ceramica Gatti
di Servadei Dante
via Pompignoli 4
Faenza
tel. 0546/634301
Ceramica artistica.
Bubani “Arte & Raku”
di Bubani Federica
corso Baccarini 5/a
Faenza
tel. 0546/23113
Ceramica ornamentale
e complementi d’arredo.
Castellari Giovanna
via Granarolo 373
Faenza
tel. 0546/41024
Produzione di ceramica artistica.
Castellari Valeria
via San Martino 21
Faenza
tel. 0546/32522
Restauro di ceramica antica.
Ceramica faentina d’arredamento
di Bedeschi Florio e C. Snc
via San Martino 5
Faenza
tel. 0546/29504
Accessori in ceramica.
Ceramica Artistica La Balena Bianca
di Capucci Cristina
via Reale 115
Mezzano
tel. 0544/522407
Ceramiche artistiche.
Ceramica Monti
di Monti Vittoria
via P. M. Cavina 22
Faenza
tel. 0546/25264
Produzione di ceramica artistica.
Ceramiche artistiche Vignoli
di Vignoli Saura e C. Snc
via Fermi 30
Faenza
tel. 0546/621076
Produzione di ceramiche
artistiche.
Ceramiche Cristiana Casadio
via Zattoni 67
Castiglione di Ravenna
tel. 0544/950308
Ceramista.
Ceramiche L’odissea
di Moretti M. e Del Fagio D. Snc
via Scaletta 6
Faenza
tel. 0546/660461
Ceramisti.
Ceramiche Morigi Mirta
via Barbavara 19/4
Faenza
tel. 0546/29940
Produzione di ceramiche artistiche.
Ceramiche Rita di Barboni Rita
via Giulio Pastore 6
Zona Bassette
tel. 0544/453981
Produzione di ceramiche artistiche.
Ceramiche tradizionali di Faenza
di Cortesi Romano
corso Mazzini 49/b
Faenza
tel. 0546/26929
Ceramista.
Ceramiche Vitali Snc
di Vitali Jacopo e C.
corso Mazzini 110/a
Faenza
tel. 0546/25791
Produzione di oggetti in ceramica.
Dapporto Mauro
via La Fonda 5
Faenza
tel. 0546/46295
Ceramista e decoratore ceramico.
De Rossi Giovanna
via Scaletta 2/2
Faenza
tel. 0546/664735
Ceramista torniante e produzione
oggetti in terracotta.
Diva Srl
via Malpighi 4/a
Faenza
tel. 0546/667606
Decorazione piastrelle.
Emiliani Miralba
via Madrara 85
Pieve Cesato
tel. 0546/44726
Ceramista.
F O S Ceramiche
di Mazzotti Piero Paolo
via Risorgimento 27
Faenza
tel. 0546/621362
Produzione ceramica.
Fictilia Arti Ceramiche
di Piazza e Morini Snc
via dell’Artigianato 12
Faenza
tel. 0546/620896
Produzione ceramica artistica.
Garavini Ilirio
via degli Olmi 10
Faenza
tel. 0546/662134
Formatore e stampatore ceramica.
Garavini P. Paolo
via degli Olmi 16
Faenza
tel. 0546/29837
Torniante ceramista.
Grillini Elisa Ceramiche d’arte
via Gaggio 12
Cotignola
tel. 0545/32015
Produzione ceramiche artistiche e
decorazione in genere.
Immagine Faentina
via S. Silvestro 1
Faenza
tel. 0546/672151
Produzione ceramica artistica.
Keser Diva Design Spa
via S. Silvestro 1
Faenza
tel. 0546/660676
Progettazione e produzione prodotti
ceramici.
La Tradizione Dalla Malva & C.
via Onestini 15
Granarolo
tel. 0546/41584
Produzione ceramica.
Maestri Maiolicari Faentini
di Lea Emiliani
via Granarolo 63
Faenza
tel. 0546/664139
Produzione ceramiche artistiche.
Maiorana Roberto
via Baccarini 9/b
Faenza
tel. 0546/28477
Ceramista.
63
64
Malatesta Anna Maria
via Maggiore 151
Ravenna
tel. 0544/465921
Ceramista.
Melandri Danilo
via Pezzi 3/a
Faenza
tel. 0546/29480
Decoratore ceramiche.
Melandri Marinella
via Battaglia 7
Faenza
tel. 0546/663840
Ceramista.
Mi.Ba. di Missiroli Marco & C. Snc
via Donatello 3
Faenza
tel. 0546/28120
Semilavorati in argilla e ceramiche
artistiche.
Mila Donati
di Donati Mila e Peroni Barbara Snc
corso Saffi 46
Faenza
tel. 0546/662665
Produzione e restauro di oggetti
in ceramica e porcellana.
Ortelli Monica
via Don Ragazzini 3/4
Faenza
tel. 0546/32488
Ceramista.
Pedrelli Giuseppe
via Gobetti 12
Bagnacavallo
tel. 0545/60497
Ceramista.
Pico Faenza
di Piancastelli Daniele
via San Martino 38
Faenza
tel. 0546/33274
Produzione ceramiche.
Razzi Alberto
via Celle 38
Faenza
tel. 0546/622112
Ceramista.
Ricciardelli Liliana
via Santa Lucia 77
Faenza
tel. 0546/32426
Decorazione e produzione
ceramica.
Sangiorgi Luciano
corso Europa 134
Faenza
tel. 0546/33270
Lavori di decorazione ceramiche.
Sartoni Danilo
via Ravegnana 409/b
Ravenna
tel. 0544/401806
Ceramista.
Sassi Ivo
via Bondiolo 11
Faenza
tel. 0546/663069
Produzione sculture in ceramica.
Serra Simona
via S. Martino 2
Faenza
tel. 0546/26978
Restauro ceramica.
Silvagni Laura
via Monsignor Battaglia 11
Faenza
tel. 0546/26357
Produzione ceramica artistica.
Solovetro e...
di Benzi Paola
viale Italia 87
Cervia
tel. 0544/975242
Lavorazione vetro.
Studio ceramico Mancusi
di Mancusi Mariapaola
via Aldo Moro 6/a
Riolo Terme
tel. 0546/71111
Ceramista.
Studio d’arte Gaeta Goffredo
via Gucci 20
Faenza
tel. 0546/39141
Ceramista lavorazione
vetrate artistiche.
Studio Erreti
di Tavanti Katia
via Firenze 469
Faenza
tel. 0546/43285
Produzione ceramica artistica.
Studio Gemi D’at
di Geminiani Silvana
via Baccarini 15/b
Faenza
tel. 0546/26566
Lavori da ceramista.
Suzzi Gino
via Sant’ippolito 23/a
Faenza
tel. 0546/26907
Ceramiche artistiche.
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Guida alle stamperie della
Associazione Stampatori
Tele Romagnole
in provincia di Ravenna
Una ruggine
da non perdere
Guida alle stamperie
dell’Associazione Stampatori
Tele Romagnole
in provincia di Ravenna
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Se la ceramica è faentina, se il mosaico è ravennate,
le tele stampate a mano, nel caratteristico colore ruggine,
sono indiscutibilmente romagnole. Ravenna, Gambettola,
Meldola, Cervia, S. Stefano, S. Sofia, Riccione, Forlì, Bellaria
e Cesenatico, sono tutti comuni di Romagna, luoghi dove
è possibile incontrare i protagonisti di un’arte che si è
mantenuta viva nel sito storico dei suoi esordi.
Dieci botteghe si sono costituite in associazione
(Associazione Stampatori Tele Romagnole) per tramandare
il metodo tradizionale della stampa a mano, difenderlo
dalle imitazioni industriali e diffondere la cultura che è
alla base della tradizione stessa.
> Sito storico: la stampa su tela diffusa in Europa già nel VI secolo dopo
Cristo, forse importata da regioni orientali come l’India, ha attraversato
i secoli fino alla modernità utilizzata soprattutto nelle tappezzerie e avvalendosi in alcuni paesi, come nell’Inghilterra del XVIII secolo, dell’invenzione
di nuovi metodi. In Italia si crearono dei distretti della stampa su tela,
come a Genova e nei territori dello Stato Pontificio, nelle attuali Marche
e in Romagna, dove ancora esistono alcuni laboratori, e dove essi erano
fortemente legati alla pratica agricola. Ricordiamo a questo proposito
la produzione di tele-coperte da buoi stampate a mano che ancora possiamo
ammirare in Romagna, nella Storica Stamperia Pascucci.
Esse erano prodotte in numerose botteghe, a Dovadola, Meldola, Castrocaro,
Santarcangelo, come testimonia un numero della Rivista “La Piè” dedicato
alla mostra del folklore romagnolo tenutasi a Forlì nel 1921 e organizzata
grazie all’impegno del poeta Aldo Spallicci. Lo stesso Spallicci, appassionato
cultore delle tradizioni romagnole, scriveva della fortuna incontrata dalla
pratica di stampare i tessuti in Romagna sia per l’arredo domestico, sia per
il vestiario, probabilmente incoraggiata dalla fama conseguente alla mostra
del 1921. E metteva in guardia dal rischio degli “stampatori d’occasione”.
Il fine è ben rappresentato nel marchio dell’Associazione:
le mani dello stampatore all’opera, l’una tiene fermo lo
stampo di legno, l’altra stringe il mazzuolo, strumento indispensabile per trasferire l’impronta del disegno sulla tela.
Un gesto sospeso nel tempo. Un’azione infinite volte
replicata fino a diventare simbolo dell’autenticità dell’arte.
Senza quel gesto non esiste la stampa a mano delle tele
romagnole. Ed è un gesto sonoro, di un rumore tondo,
compatibile, non ostico per i timpani di chi lo produce e
di quanti intorno a lui lavorano. Legno batte legno sulla tela
adagiata sul bancone. Uno, due colpi, ma sapienti, colmi
di concentrazione. Li riceve la matrice di legno di pero incisa
con sgorbie e scalpelli per pochi, circa cinque, millimetri.
Il legno di pero si addice al lavoro dello scalpello, è
tenero, infatti, e si confà alle economie sobrie degli stampatori che lo acquistavano anche nei tempi più antichi
in quantità. Se ogni bottega ha oggi un patrimonio di centinaia o di migliaia di matrici, lo dobbiamo all’oculato accumulo dei primi artigiani che, quasi in dote, trasferirono
il proprio caveau di legno alle generazioni a seguire.
La fantasia dell’incisore possiamo apprezzarla direttamente sulla tela: motivi geometrici, a greca semplice o
complessa, catene di anelli, teorie di roselline, foglie di
edera, foglie di quercia, foglie di vite, il grappolo d’uva tra
pampini e foglie, ballerini rusticani in mezzo a tralci in fiore
e ancora forme di spighe e rose lungo i bracci di corone
floreali, cerbiatti in corsa, il grifo alato, l’aquila in volo,
il fagiano tra il fogliame, galletti, rustici boccali e caveje.
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Tra tutte le matrici incise per ornare le suppellettili
di casa, una fu dedicata dai primi stampatori alla stalla e
sul dorso dei buoi, che bisognava riparare dai rigori invernali, veniva gettata la coperta recante a stampa la figura
di S. Antonio Abate, protettore delle bestie e delle stalle.
Le abbiamo viste, riproposte dalla stamperia Pascucci
di Gambettola, in mostra anche sulle spiagge romagnole,
le coperte per i buoi e le tende da spiaggia, quelle che
riparavano dal sole i nostri nonni, ma stampate con gusto
moderno, una proposta che ha piacevolmente sorpreso
il pubblico dei turisti per il felice mix di attualità e di tradizione. Perchè di questo si tratta; il lavoro che gli stampatori
romagnoli del terzo millennio proseguono nelle proprie
botteghe ci si offre come connubio tra l’arte che si radica
nell’antica, pura tradizione e il gusto dell’uomo moderno
che, in qualche misura, sa rinnovare la produzione per non
segnare il passo.
La creatività dell’artista impegnata su qualsivoglia materia sa creare con successo il binomio tra antico e moderno,
senza cedimenti alle lusinghe della produzione a basso
costo e in grandi quantità, industriale e indistinta.
Le sorprese non mancano quando si concepisce così
il lavoro artigianale e il passato prossimo in Romagna ci
offre già esempi di eventi realizzati grazie alla stretta collaborazione tra artigiano stampatore e artisti, pittori, come è
accaduto a Bertinoro, a Predappio nella cornice della Villa
Pandolfa e a Forlì nella ricorrenza della festa patronale, con
la mostra dedicata alla Madonna del Fuoco, la cui immagine
è stata ritratta da noti pittori e stampata a mano su tela
dalla stamperia Pascucci.
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Le dieci botteghe riunite sotto il marchio dell’Associazione
(nata sotto gli auspici delle Associazioni Artigiane Provinciali),
presieduta da Elisa Balsamini, hanno ciascuna la propria peculiare identità artistica, fatta di storia, di legami, di sperimentazioni, di ricerche, di scelte, di innovazione e tutte hanno accettato di non lasciarsi andare alle prospettive del guadagno facile ottenibile con la produzione seriale.
Le dobbiamo ringraziare, perchè hanno scelto insieme
una strada e un ritmo di lavoro che preservano la loro
produzione da sollecitazioni esterne e da contaminazioni.
Eppure tutte devono vendere, per non trasformarsi in piccoli
musei, ciascuna deve studiare una strategia di marketing
per conquistare la propria fetta di mercato e individuare
le occasioni giuste per incontrare il cliente. Che ama entrare
nella bottega, viverne lo spazio fisico e reale e non dimostra
disagio se non vi trova i segni della modernità. Fuori dalla
bottega, l’arte della stampa a mano si può incontrare
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in mostre, fiere, padiglioni, palazzi, in luoghi aperti, nelle
sagre locali, nelle piazze, nelle darsene, ovunque l’artigiano
stampatore sceglie di portare il segno permanente del
proprio lavoro.
Lo abbiamo visto anche nei paesi d’Oltralpe, in
Germania, in Austria, in Norvegia, quanto sia compatibile
la presenza dell’artigiano stampatore all’opera con gli
strumenti dell’arte, con la folla curiosa che si raduna per
un evento di festa e di mercato. Si hanno testimonianze
di scambi culturali e commerciali iniziati nella circostanza
di eventi organizzati all’esterno della bottega e tutte le
esperienze vi rifluiscono sia come entusiasmo dell’artista,
sia come nuovi contenuti introdotti nell’opera.
Recentissimi esempi ci confortano anche circa il proficuo
scambio che si può realizzare tra l’artista, il poeta, lo scrittore, il pittore, lo stilista e l’artigiano stampatore.
Un nome per tutti a conferma di ciò è quello di Riccardo
Pascucci di Gambettola, art director della stamperia di
famiglia, che ha raccolto negli anni recenti e negli ultimi
mesi sollecitazioni dal mondo della moda e dalle varie
discipline artistiche, ma sempre grazie all’incontro con personaggi in sintonia con la sua vena di ricerca e di creatività.
Sono nati così gli arazzi firmati da lui insieme con il poeta
Tonino Guerra. E non solo. La stamperia di Gambettola ha
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portato la tela stampata romagnola nella cornice di Palazzo
Pitti a Firenze esponendo insieme alle più consolidate
aziende di tessuti per l’abitare.
Visiteremo la bottega dei Fratelli Pascucci a Gambettola,
in via Verdi n. 18.
In provincia di Ravenna, e precisamente a Santo Stefano,
andiamo per conoscere un artigiano stampatore aderente
all’Associazione, sulla cui attività di bottega si rincorrono
voci e fama degne di un preambolo di leggenda popolare.
Egidio Miserocchi, in realtà, non ha accumulato ancora
gli anni che potrebbero conferirgli una patina leggendaria,
eppure scambiando con lui qualche parola in più si scoprono
le sfumature del suo personaggio. Architetto, mosaicista,
stampatore, pittore, ma potremmo annoverarlo anche nella
schiera dei ricercatori di quante altre espressioni creative
si possano affacciare ad una mente versatile in buona
sintonia con la manualità artigiana.
Se si entra nella bottega decisamente naif di Miserocchi
per ottenere la visione delle tele stampate romagnole,
ci si avvicina agli scaffali dove esse sono ripiegate in buon
ordine, ma per raggiungerle e sfiorarle si devono superare
con gli occhi altri tessuti, i più diversi, tra cui anche sete
e velluti che per i loro colori e i decori di cui si fregiano
richiamano la nostra attenzione. Non c’è ordine espositivo,
un disordine voluto sembra, e forse è, lo specchio dell’arruffata fantasia dell’artigiano. O è più giusto chiamarlo artista?
Si ripropone la domanda che ci accompagna in questo
nostro viaggio tra artigianato e arte.
Miserocchi non si adegua neppure all’utilizzo dei classici
stampi in legno di pero. Ne possiede diverse centinaia,
ma continua a crearne altri di materie nuove, le più astruse,
eppure disponibili a farsi cesellare secondo una sua idea.
E i colori sono anch’essi il frutto di ricerca e sperimentazione che mettono alla prova le fibre e i reagenti naturali.
Nelle stampe di Miserocchi, tuttavia, troviamo anche la
tavolozza e le pennellate del pittore: a riempire gli spazi
che, nel rigore del disegno stampato resterebbero bianchi,
interviene la pittura.
Oltre a ciò si avvicina alla linea del traguardo il progetto
di un luogo dove dare spazio e tempi nuovi al proseguimento della storia. Una nuova bottega dove lavorare, studiare, fare ricerca e anche insegnare ad altri come già gli
accade di fare. Ma non pensiamo al classico laboratorio e
alle botteghe che possiamo incontrare in questo percorso
romagnolo. Mi sovviene, qui, l’espressione di Riccardo
Pascucci, che mi fece presagire una diversità, “Un tempio!”,
mi suggeriva. Comprendo la sua meraviglia guardando le
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foto che Miserocchi ha scattato dell’ambiente che sta
costruendo con le sue mani: mosaici pavimentali e parietali,
pitture, materiali raccolti nei luoghi meno canonici e, forse,
anche qui ingannerà il nostro occhio con l’arte, da lui praticata, del tromp l’oeil.
Per ora, tuttavia, continuiamo ad annotare l’indirizzo
dell’attuale bottega in via Miserocchi n. 4 a Santo Stefano
di Ravenna. E prima di raggiungerla diamo un preavviso
telefonico.
Restiamo In provincia di Ravenna, a Cervia, dove è
molto conosciuta e anche facilmente individuabile la bottega
“C’era una volta”, che si affaccia sul
porto canale quasi di fronte al mercatino
del pesce e alla storica “La Pantofla”,
il locale della Cooperativa dei Pescatori.
“C’era una volta” è condotta da
Maurizio Babbi ed Elisa Drudi che
hanno offerto ai turisti della famosa
località balneare un’occasione in più
per apprezzare la tradizione romagnola.
Gli ospiti delle più diverse provenienze
in soggiorno a Cervia non mancano
di visitare la bottega dove, entrando,
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si è avvolti dalla calda cornice di tele disposte in ogni
angolo, nella scenografia creata dai mobili in stile rustico
provenienti dalla casa di campagna dei nonni, come le credenze e il letto antico sul quale fa spicco la coperta stampata nella bottega.
I due artigiani si integrano perfettamente nelle fasi del
lavoro, lei provvede al taglio delle tele, alla loro cucitura
e presiede la vendita, lui è l’artigiano artista, responsabile
delle scelte peculiari dell’arte: disegno, incisione, stampa
e fissaggio dei colori sono il know how di Maurizio Drudi
che ha appreso la tecnica in quindici anni di lavoro presso
la storica Stamperia Pascucci a Gambettola.
Per convenire con la nostra prima affermazione
sull’arte della stampa a mano su tela, laddove l’abbiamo
definita romagnola, ci lasciamo guidare dalla storia, dalla
tradizione, dall’odierno operare e, lasciando la provincia di
Ravenna ci dirigiamo verso il territorio forlivese che ci offre
numerose opportunità di conoscere stamperie aderenti
all’Associazione.
A Gambettola, come poco sopra si ricordava, lavorano
i fratelli Pascucci, in via Verdi n. 18, che hanno mantenuto
la sede storica del primo stampatore della famiglia attivo
nel lontano 1826 e che oggi rappresentano, in questa storia
familiare e aziendale insieme, la quinta generazione.
> Mangano:
era un’ imponente
macchina, una pressa,
usata per stirare a
freddo le tele prima
di lavorarle e tingerle.
Le tele uscivano dalla
pressatura lucenti
e compatte. Il meccanismo, pesantissimo,
era azionato dalla
forza di due persone
adulte che mettevano
in movimento, girando
intorno ad un perno
ruotante, i rulli attorno
ai quali la tela era
stata predisposta.
Era caratteristico
il rumore provocato,
uno scricchiolio di
legno in movimento.
Oggi si può ammirare
il mangano in alcune
botteghe: nella
Stamperia Pascucci, in
quella di S. Arcangelo,
due più piccoli nelle
Stamperie Olivetti
a S. Sofia e Menghi
a Bellaria.
Un passaggio di testimone che ha superato abbondantemente il secolo e mezzo mantenendo intatta la tecnica
di lavorazione, la qualità del prodotto e la sua bellezza che
attira l’attenzione di un pubblico attento alla tradizione,
ma moderno e deciso a collocare le tele stampate a mano
nella propria abitazione o nel luogo di lavoro (è il caso dei
locali della ristorazione o degli alberghi).
Il laboratorio dei Pascucci, che si snoda tra diversi
ambienti antichi, sale con i soffitti ancora travati in legno,
scaffali ricolmi di stampi di legno che sono un documento
unico della storia di questa stamperia, il grande mangano
usato per la stiratura delle tele, tutto ci vorrebbe riportare
indietro nel tempo e, una volta entrati, il tempo sembra
davvero fermarsi e la fretta di riprendere la nostra strada
si perde tra queste mura che l’assorbono, come assorbono
i rumori del lavoro quotidiano. Eppure essi stessi, gli artigiani artisti di questa famiglia, ci insegnano che il legame
con il presente è irrinunciabile, ci ricordano che ogni giorno
le scelte aziendali sono fatte anche guardando al futuro
e che le nostre scelte di consumatori possono essere
determinanti per il successo degli stampatori romagnoli
radunati sotto il marchio dell’Associazione.
Scegliere la qualità nella produzione è il primo impegno
e, per non venir meno all’esigenza, quando se ne presenti la
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necessità, di una produzione quantitativamente impegnativa,
le dieci botteghe possono attuare un processo “a catena” fra
di loro. L’importante è che non si passi a metodi che sono
del tutto sbilanciati sulla quantità, come la serigrafia, e che
non si scenda nella qualità degli stessi tessuti. Per questo
i Pascucci sono sempre alla ricerca di tele antiche, quelle
ancora conservate nei vecchi bauli e nelle cassapanche di
famiglia e spesso le ricevono spontaneamente da persone
che desiderano ornarle con i decori romagnoli, ma le acquistano anche da privati, ancora bianche, per poi stamparle
nella bottega.
La continuità dei metodi di produzione nel corso dei
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secoli non ha comportato, tuttavia, l’assenza di personalizzazione nell’esecuzione del lavoro. Riccardo Pascucci, che
ci guida in questa visita, ci fa notare che lo stesso ornato,
ad esempio i galletti, realizzato dal nonno, è diverso da
quello realizzato oggi da suo fratello. C’è un’evoluzione
nella tradizione e la fase del lavoro che più la manifesta è
quella affidata all’incisore, colui che crea il disegno, lo incide
sullo stampo di legno di pero. Ogni generazione offre
all’azienda un incisore che lascia una traccia personale.
Ma gli stampi possono essere anche assolutamente nuovi,
commissionati da un cliente che desidera un disegno da lui
pensato, uno stemma per la famiglia, e sugli scaffali vi sono
alcuni esempi di questa produzione moderna e personalizzata. E parlando di stampi si affronta anche il discorso
della loro conservazione e della memorizzazione delle
migliaia di matrici che sono conservate sugli scaffali.
Salta fuori, allora, un pesante catalogo che raccoglie,
stampati su ruvida carta gialla, tutti i disegni della collezione
Pascucci. Alcuni li ammiriamo poi direttamente sulle tele
che egli srotola sul banco di lavoro e su quelle che sono
stese ad asciugare in alto, sopra le nostre teste, appese
alle canne che nascondono il soffitto della sala. In questi
giorni il panorama dell’asciugatura è rinnovato dai grandi
arazzi che Riccardo Pascucci ha realizzato in collaborazione
con il poeta Tonino Guerra.
Ma le novità appassionano tra i Pascucci soprattutto lui,
Riccardo, che cura proprio la produzione e il rapporto con
il cliente, che avverte le flessioni del mercato, più sensibili in
alcuni periodi, ma accettate come fasi ineludibili. L’importante
è guardare avanti mantenendo forte il legame con il proprio
patrimonio culturale, ciò che affascina la clientela.
Il viaggio alla scoperta delle stamperie romagnole,
dove ancora si pratica il metodo della stampa a mano, può
continuare nelle province di Forlì-Cesena e Rimini dove
in maggior numero esse sono situate.
Tra la costa, a Cesenatico, Bellaria, Rimini e Riccione,
e l’Appennino, da Forlì, Meldola e Gambettola fino a S. Sofia,
gli stampatori mantengono viva la tradizione pur proponendo
soluzioni moderne e accattivanti per il nostro abitare.
I DECORI
C’è stata un’epoca in cui gli stampatori della Romagna
attinsero idee per decorare le proprie tele dal repertorio
accademico, ovvero dal cosiddetto “ornato”, che si era
venuto consolidando grazie al fiorire, dal Seicento all’Unità
d’Italia, di accademie dove si approfondivano le conoscenze
della pittura e del disegno.
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I luoghi del sapere accademico nel campo delle “belle
arti” più vicini al territorio delle stamperie erano l’Accademia
di Bologna e l’Accademia di Ravenna, sorta quest’ultima
nel 1827. Dai luoghi del sapere le conoscenze uscivano
e si diffondevano anche tra il popolo, visto che gli artigiani
stampatori scelsero di inserire tra le decorazioni della propria bottega anche quelle desunte da modelli accademici.
A questa divulgazione contribuirono di certo anche i testimanuali di disegno che nei primi decenni del XIX secolo
vennero pubblicati.
Se poi si vuole fare una ricognizione anche se molto
rapida sul risvolto sociologico di questo fenomeno si può
ipotizzare che le classi contadine, che soprattutto usavano
il tessuto stampato nelle proprie dimore, avessero colto
l’opportunità di avere un qualche richiamo all’eleganza
tipica della borghesia, utilizzando decori secondo i dettami
dell’ornato accademico, pur se riprodotti su tessuti non
così raffinati come quelli in uso nelle case borghesi.
Un’altra fonte di ispirazione per l’incisione dei clichès
furono i motivi del ricamo e dei merletti divulgati da testi
canonici come il Burato (1527) o dai dettami della società
Aemilia Ars (attiva a Bologna dal 1898 al 1903).
L’attenzione degli incisori si appuntò frequentemente
anche sui motivi più ornamentali del mosaico bizantino
(tralci, girali) e ancora sulle decorazioni ceramiche (airone
faentino).
In anni relativamente recenti, anni ‘30 del Novecento,
si fa strada un concetto di decorazione più moderno,
inerente al design e alla grafica pubblicitaria, che utilizza
uno stampo riempito di chiodini di ferro tale da riempire
completamente la superficie dei tessuti anche più sottili
della canapa, quali il lino e la seta. Questo tipo di stampo
si può tuttora trovare nel caveau di alcune stamperie.
LA STAMPA A RUGGINE
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Il Romagnolista Aldo Spallicci descrive la preparazione
della pasta in “La Piè”, X, 1929, p. 88:
“Tre vasi, tre misture. Ecco tutto il gabinetto del chimico
tintore. In un caldano tenuto in vista d’un braciere (perché
il calore deve essere molto discreto), fanno un bagno
aromatico chiodi e ferramenta di ogni genere. Aceto di
vino, dev’essere ben forte e maturo. Niente acido acetico.
Un vecchio aceto di botticella ben sgrumata di tartaro che
a levarne solo il cocchiume se ne profumi tutta la cantina.
Si intride poi, in un secondo vaso, del fiore schietto di farina
di frumento in acqua di acetato di piombo e di solfato di
ferro. Infine si fa consumare nell’acido nitrico (che fa da
mordente) qualche pezzo di ferro non corroso dalla ruggine.
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È certo che la mistura ad occhio richiede una lunga
esperienza. L’essere qui più, là meno generoso nella manciatella, significa donare un tono più freddo o più caldo
alla tinta. È un po’ un impasto da tavolozza che vuole un
certo garbaccio da pittore. Ora di tre vasi se ne fa uno solo
e il contenuto, ben rimescolato, tanto da avere una certa
densità da colla da attaccare o da inchiostro da tipografia
(…), si rovescia in un vassoio da calcina o in una cassetta”.
Ingredienti di base: ferro dolce opportunamente ossidato
e trattato con puro aceto di vino e acido nitrico per farne
precipitare la ruggine; si aggiungono acetato di piombo e
solfato di ferro e il tutto viene “legato” con farina bianca
di frumento che deve dare consistenza collosa alla pasta
colorante. I pesi e le misure sono determinati dall’esperto
colpo d’occhio dell’artigiano.
Gli altri colori sono ottenuti nelle stamperie con basi
minerali sintetizzate chimicamente e ciascuna può ottenere
colori inediti facendo proprie ricerche ed esperimenti,
come la bottega Visini di Meldola che ha ideato il verde
marcio ricavato dall’ossido di rame.
Dopo la preparazione della pasta come procedono gli
odierni stampatori? La pasta viene stesa su un tampone;
la tela viene collocata sul bancone da lavoro, ben imbottito.
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L’artigiano prende lo stampo, lo intinge nel tampone e lo
appoggia sulla tela che vuole decorare con un gesto sicuro,
rapido, indi lo percuote con il mazzuolo una, due, anche
tre volte. Il mazzuolo ha il peso calibrato di circa 4 chili
e imprime il disegno con nitidi contorni. L’operazione si
ripete fino a decorare tutta la tela. Ora la stoffa decorata
viene posta ad essiccare, appoggiata in alto a bastoni,
e quindi si passa al fissaggio ottenuto con soda caustica
che rende la tinta ruggine permanente.
Le aziende
da incontrare
C’era una volta di Drudi Elisa
via Nazario Sauro 150
Cervia
tel. 0544/971234
Stampe su tela.
Miserocchi Egidio
via Miserocchi 4
Santo Stefano
tel. 0544/563728
Stampe su tela.
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Memoria
d’antico
Guida alle botteghe
degli artigianati minori
in provincia di Ravenna
Memoria
d’antico
Guida alle botteghe
degli artigianati minori
in provincia di Ravenna
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E subito è doverosa una precisazione. Si può parlare
di minorità di alcuni artigianati solo in riferimento alla loro
concentrazione sul territorio, ovvero alla diffusione.
Null’altro, infatti, potrebbe relegare in seconda posizione
l’arte del liutaio o quella del progettista e costruttore di navi
in legno e, ancora, come potremmo non sentire il valore
dell’arte orafa e il romantico richiamo delle ricamatrici e
delle sarte che vestono bambole confezionate in ceramica?
Sono pochi gli artigiani del ferro battuto, ma ottengono
risultati splendidi nella loro fucina. Che dire poi degli anziani
che continuano a dare dimostrazione, e soprattutto alle
giovani generazioni, dell’arte di intrecciare le antiche erbe
di palude? La piadina romagnola viene cucinata ad arte
in ogni comune della provincia, mentre un solo artigiano
continua a costruire il testo per cuocerla. E ancora... uno
solo sa creare arte in attesa del vento.
Questi artigiani hanno accettato il testimone nella
staffetta della storia e hanno saputo traghettare nel millennio più tecnologizzato l’arte antica, salvandone non solo
la memoria, ma, ci auguriamo, il futuro. Questi artigianati
valgono come un tesoro.
LA LAVORAZIONE DEI METALLI PREZIOSI
Si entra nel mondo della lavorazione dei metalli preziosi
in punta di piedi e con la sensazione di invadere un “luogo”
ricco di segreti custoditi tra le mura di alcune piccole imprese
artigiane. Piccole può significare il lavoro di una sola persona, il titolare. È anche questa l’entità di risorsa umana che
caratterizza l’impresa di oreficeria sparsa nei centri storici
del territorio provinciale di Ravenna.
Spesso però l’impresa si accresce diventando negozio,
dove il frutto della creatività artigiana diventa proposta
commerciale; il cliente affezionato, l’intenditore o l’investitore sanno che dietro i portoncini blindati di alcune oreficerie-negozio potranno trovare quella nicchia di creatività,
un oggetto già creato dall’orefice o quello che essi gli vor-
ranno proporre come oggetto del proprio desiderio affinché
egli lo costruisca.
In Italia esistono dei veri e propri distretti dell’arte
orafa, a Vicenza, a Valenza Po, ad Arezzo sono sorte innumerevoli ditte e si organizzano eventi espositivi, ma solo
di recente si è organizzato un corso di studi a livello universitario per la lavorazione del metallo prezioso, a Milano
presso l’Università della Bicocca.
In realtà le migliaia di orefici attivi sul territorio hanno
quasi sempre imparato a bottega e, se hanno frequentato
corsi professionali e scuole, hanno comunque cercato ben
presto di affiancarsi ad un maestro orefice nel suo laboratorio.
Il breve percorso sul territorio provinciale per conoscere
alcuni artigiani orefici tocca il capoluogo, Ravenna, ed
i comuni di Russi e Fusignano.
A Ravenna, per conoscere un artigiano che realizza il ciclo
completo del lavoro sul metallo prezioso nel proprio laboratorio, andiamo da Riccardo Brescini, in via Camporesi n. 21.
Quando si dice laboratorio si immagina un luogo non
definito dall’immagine esterna, rivolta al pubblico, ma dalle
azioni che si compiono al suo interno. Infatti la vendita, qui,
è legata alla commissione, si acquista quasi esclusivamente 85
ciò che abbiamo ordinato all’orafo, un oggetto studiato
con lui. La vetrina, se c’è, è secondaria, ha soprattutto una
funzione di segnale e secondariamente di attrattiva.
Orafo, costruttore, riparatore, incassatore, Riccardo
Brescini lo è diventato lavorando il metallo prezioso con
passione, curiosità e dedizione fino dalla giovinezza.
A 15 anni era già in un laboratorio quando lo notò Paolo
Ferretti, attivo a Russi, e lo spronò ad intraprendere un’attività in “proprio”. “Da quel momento, erano gli anni ‘70,
non c’è stato per me un solo giorno senza lavoro”, vuole
precisare Brescini, che è ancora legato alla tradizione dei
Ferretti di Russi attraverso il figlio, Daniele Ferretti, che
tuttora gli commissiona dei pezzi.
Nel laboratorio di Brescini si realizza il ciclo completo
della produzione, dall’idea all’oggetto “finito”, attraverso
tutti i passaggi che trasformano un lingottino o una lamina
in anello o in bracciale o in catena.
È possibile ripercorrere nel laboratorio l’iter della lavorazione chiedendo al titolare un appuntamento e si potrà
cogliere l’occasione di studiare con lui un oggetto da regalare a noi stessi o ad una persona cara.
Qui tutti i procedimenti fondamentali sono realizzati a
mano e con il supporto, indispensabile, di alcuni strumenti
e di piccole macchine: si passa dai crogiuoli alle lingottiere,
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al laminatoio, alla filiera per giungere alla lavatrice ad ultrasuoni e alla pulitrice dotata di spazzole di varie dimensioni.
Un recipiente pieno di segatura di canna è il passaggio per
l’asciugatura.
Il ciclo della lavorazione non ammette perdite neppure
dei minuscoli granuli di polvere caduti sul piano di lavoro o
sul pavimento. Tutto viene recuperato. L’acqua che scorre
nel lavabo non finisce nel tubo di scarico, che non c’è più,
sostituito da un secchio dove un cappello di feltro funge da
filtro. Le immondizie, quelle poche che vengono prodotte,
non raggiungono i cassettoni municipali bensì, raccolte
e trasformate in lingotto, vengono portate alle ditte specializzate nella raffinazione.
Un ciclo di lavoro eco-compatibile si realizza nel laboratorio di Brescini, che ha imparato nell’esperienza quotidiana anche l’arte dell’incassare le gemme e le pietre
nell’oggetto d’oro da lui costruito.
Una caratteristica della produzione Brescini è la lavorazione detta a “fusione diretta” che consente di creare effetti
di decoro lavorando il metallo fuso direttamente sulla lamina
d’oro. Sono tutti pezzi unici, quindi, quelli che escono dalle
mani di questo artista dell’oro.
Una seconda tappa alla scoperta dell’arte orafa può
essere fatta in via Maggiore n. 159, nel laboratorio di
Marco Gerbella. Le sue creazioni, frutto della formazione
presso valenti orafi, nella Valenza, patria dell’arte, e della
sua personale vena creativa, ci espongono al fascino del
monile classico: sapientemente studiato per ottenere un
risultato che bilanci perfettamente le sue componenti,
perla, pietre e brillanti con la quantità d’oro.
Nonostante la giovane età, ha potuto fare anche esperienze di approfondimento dell’artigianato orafo applicato
alla creazione di oggetti indirizzati all’uso di rappresentanza
istituzionale di autorevoli ambienti, come quelli vaticani.
Allievo in questo del maestro Marotto.
A Russi l’orafo Daniele Ferretti è facilmente raggiungibile
nel negozio laboratorio sotto i portici di piazza Dante n.15.
Prima di superare il piccolo ingresso blindato è consigliabile soffermarsi a guardare un angolo della vetrina
dove Ferretti espone le sue creazioni: oggetti in oro giallo
e oro bianco, impreziositi spesso da pietre, creati secondo
un’ispirazione suscitata in lui giovanissimo dalla vicinanza
del padre Paolo, orafo astrattista, anticipatore di forme
e volumi come nella pittura fu il futurismo.
All’epoca, erano gli anni tra il ‘50 e il ‘60 del Novecento,
Paolo Ferretti non vendeva le sue creazioni perché troppo
in anticipo rispetto al gusto del tempo, che prediligeva
le forme classiche.
Nel 1971 il figlio Daniele cominciò ad affiancarsi al
padre che gli aveva trasmesso la propria passione creativa,
e non solo verso la lavorazione del metallo prezioso.
Uomo poliedrico, maestro di magia di scena, prima di lavorare l’oro Paolo Ferretti aveva provato con i metalli dei residui bellici dai quali ricavava gli accendini.
Oltre a ciò il passaggio di esperienze dal padre al figlio
si arricchisce con le prove nella pittura e nella musica rock.
Anche oggi le creazioni di Daniele sono decisamente
“ferrettiane”, forse con qualche attimo di pacatezza in più
nella invenzione di forme che anche una donna ancorata
allo stile classico possa indossare.
È sempre apprezzabile, comunque, l’idea che muove
la mano, come quando Ferretti decide di lavorare intorno
alla madreperla che conserva in sé il piccolo frutto non
maturato, o quando costruisce oggetti sul tema dell’abitare,
micro-riproduzioni degli ambienti domestici, un salottino,
la libreria, la bathroom, fusioni in oro impreziosite talvolta
da un brillante.
Le tecniche di lavorazione sono per noi come il titolo
di una favola, i segreti della lavorazione a colatura, a lastra o
a cera persa li lasciamo nell’angolo-laboratorio del negozio,
sotto i portici di piazza Dante a Russi.
87
A Fusignano troviamo l’esperienza di un artigiano
specializzato nella conoscenza e riparazione degli orologi,
sia quelli personali da polso o da taschino, sia quelli
d’arredo. Nel laboratorio di Erasmo Baravelli, in via Emaldi
n. 86, possiamo portare anche un oggetto prezioso, come
un orologio d’epoca in oro zecchino, per farlo restaurare.
L’esperienza di Erasmo Baravelli è anch’essa costruita
fin dai tempi della giovinezza, con i primi rudimenti, la classica gavetta, appresi a bottega presso lo storico laboratorio
Girotti a Bologna. Qui lo notò la titolare della oreficeria
di Fusignano che lo invitò a trasferirsi nel laboratorio in
provincia di Ravenna dove egli è rimasto fino ad oggi,
specializzandosi ben presto nella lavorazione dell’orologeria.
Supportato da ripetute frequentazioni di corsi di aggiornamento nella patria dell’arte, in Svizzera, Baravelli ha
offerto a Fusignano e a largo raggio nel territorio ravennate
la sua sicura competenza avvalorata dalla passione che
ha trasmesso anche ai figli: un negozio Baravelli è attivo
anche a Faenza presso il Centro Commerciale “Cappuccini”.
Qui a Fusignano il negozio, ampio e con grandi vetrine,
conserva l’angolo di lavoro con il mobile in legno attrezzato
con cassettiere, luci da tavolo, bilancine, piccoli attrezzi
indispensabili al meticoloso lavoro delle mani.
Ma le piccole mani dell’orologiaio sono sempre più rare;
non è facile, oggi, introdurre i giovani di 15 anni a questo
lavoro e se le mani non si esercitano a partire dall’adolescenza esse non saranno più adatte all’arte dell’orologeria.
Non a caso le mani di Baravelli sono perfette, testimoni
di un’arte esercitata con costanza a partire dall’età giusta.
ARTIGIANATO DEL LEGNO
88
Cantiere Navale De Cesari a Cervia
A Cervia, perla della riviera romagnola dove si viene
per i motivi classici della vacanza balneare, per godere,
cioè, di sole, mare e spiaggia, c’è un luogo forse poco frequentato dai turisti, molto di più dai proprietari di barche
da diporto: la piccola darsena, gremita di natanti che solo
verso il molo lasciano qualche spazio alla piccola flotta
dei pescherecci cervesi.
E accanto alla darsena, passando da Cervia a Milano
Marittima sul ponte mobile o sul traghetto, ci si trova,
in via Sinistra del Porto, tra il Circolo Nautico e l’imponente
mole dei capannoni di un cantiere navale.
Siamo nell’azienda di Pier Paolo De Cesari, artigiano,
costruttore e progettista di barche a vela di legno, attivo
dagli anni ‘70 del Novecento quando, dopo aver frequentato
l’Istituto per le Costruzioni Navali di Trieste, si inserì
nell’attività iniziata negli anni ’30 dal padre Adriano (registrato con la tessera n. 4, nel 1947, come 4° Maestro d’Ascia
Nazionale). Una passione lunga un secolo ha generato
un’azienda che aggiunge fama alla Cervia balneare, offrendole il valore aggiunto di un artigianato praticamente unico
in Adriatico.
Nel Cantiere De Cesari si costruiscono barche a vela in
tempi che non possono concorrere con quelli di una catena
di montaggio. Il committente, quasi sempre straniero,
molto spesso americano, deve prevedere un’attesa di circa
tre anni per poter varare la propria imbarcazione che viene
costruita completamente a mano, compreso l’arredo che
viene studiato su misura e realizzato sulla barca.
Le pareti dell’ufficio di De Cesari, un luogo spartano
in totale sintonia con il contesto marittimo portuale in cui
sorge, sono tappezzate di foto di imbarcazioni costruite qui
e varate nel corso degli ultimi decenni.
Oggi si sta lavorando per ultimare la barca numero 363,
una 26 metri, che potrà ospitare nel cabinato sei persone
più l’equipaggio e il personale di servizio. Almeno otto
persone lavorano nel cantiere tra le quali immancabile
il maestro d’ascia, l’artigiano portatore di una qualifica
indispensabile, la numero uno, per la costruzione delle
barche di legno. Con queste premesse non possiamo
stupirci quando ci viene detto che il valore di una di queste
barche non scema neppure nell’arco di 10-11 anni. Gioielli
del mare.
IL LIUTAIO
La lavorazione del legno ci porta dal grande scafo
delle barche a vela al piccolo strumento musicale costruito
nel “ritiro” di un laboratorio cittadino
Violini, viole e violoncelli escono dal laboratorio di Marco
Minnozzi, liutaio attivo a Ravenna in via dei Tomai n. 3.
Cambiano di gran lunga le dimensioni dell’oggetto,
dai 26 metri di lunghezza della barca passiamo a 30-35 cm 89
del violino, ma non si accorciano i tempi di lavorazione.
La pazienza sembra governare il lavoro degli artigiani del
legno. Minnozzi solo grazie ad un costante impegno può
costruire forse due strumenti in un anno, visto che deve
impegnare addirittura qualche mese per la fase intermedia
della verniciatura. E prima di questa ha dovuto ideare
il modello, disegnarlo e tagliare il legno secondo il disegno
definitivo. Passano in questa prima fase alcuni mesi.
Si devono poi costruire le piccole parti, le fasce,
gli zocchetti, il manico a riccio, la tastiera, i filetti, l’anima,
scegliere e applicare le corde e infine fare le prove di voce,
verificare cioè, l’intonazione dello strumento.
È l’anima, un bastoncino posizionato in verticale
all’interno dello strumento, il punto di verità, la sua corretta
posizione e la giusta tensione consentono di mettere a
punto la vocalità del violino e dei suoi similari. In quei pochi
centimetri di strumento stupisce la varietà di materiali
usati: il legno, ad esempio, cambia secondo le parti che
esso deve costruire, acero dei Balcani marezzato, salice
rosso, abete italiano della Val di Fiemme, ebano, ai quali
si aggiungono il budello animale, l’argento o altre leghe
per le corde, per finire con le resine naturali che devono
rivestire alla perfezione lo strumento affinché esso le senta
come ciascuno di noi sente un abito, né troppo largo, né
90
troppo stretto.
Minnozzi fa questa paziente costruzione da solo, inserendosi perfettamente nella grande tradizione dei maestri
liutai che lo ha conquistato giovanissimo durante gli anni
di studio compiuti presso il Conservatorio di Parma, coronati da un master negli U.S.A. per apprendere anche l’arte
del restauro. Il primo strumento lo costruì nel 1981, ma
l’azienda è stata avviata nel 1988.
Circa l’80 % della sua produzione è destinata ad una
clientela internazionale; in Inghilterra, Svizzera, America,
ma soprattutto in Giappone i musicisti eseguono con gli
strumenti di Minnozzi. Un artigiano che lascerà, come tutti
i grandi liutai, un segno della propria sapienza ben riconoscibile proprio grazie ai mutamenti e all’evoluzione della
sua creatività nel creare i modelli, che possono essere
un centinaio nella vita di un liutaio.
Ogni modello, infatti, seppure costruito secondo il
desiderio del musicista committente, porta in sé il segno
dell’artigiano che lo ha ideato e realizzato. È così che
ancora oggi, possiamo riconoscere uno Stradivari, un
Guarnieri. La perfetta conoscenza dei fondamenti tecnici
della costruzione è la base su cui si innesta la sensibilità
del liutaio.
E Minnozzi è certo che questa sensibilità si affini anche
grazie a ciò che gli occhi del liutaio possono vedere fuori
dal ritiro del laboratorio. Le bellezze senza tempo della sua
Ravenna sono per lui un riferimento ineliminabile per creare
armonie di forme e di suoni.
IL RESTAURO DEL LEGNO E DEL MOBILE D’EPOCA
C’è un pool di artigiani che si dedica al legno nella fase
delicata del suo recupero allo splendore d’origine. Sono
i restauratori, che si applicano al recupero del mobile
d’epoca, ma anche al restauro dei cosidetti “beni culturali”
che a Ravenna costituiscono una delle risorse di maggiore
interesse turistico e che richiedono una costante opera
di monitoraggio e sapienti interventi di mantenimento.
Renzo Valmori è, in Ravenna, un valente artigiano impegnato in questo importante settore del restauro.
Per conoscere, invece, i segreti dell’arte del restauro
del mobile d’epoca possiamo raggiungere i laboratori
di Marcello Monte, in via Bassano del Grappa n. 72 e
di Antonio Vicentini, in via Port’Aurea n. 31. Qui il nostro
mobile antico, se bisognoso di cure particolari, otterrà
di tornare in auge, recuperato, perciò, al suo valore non
solo affettivo, ma anche commerciale.
Questi artigiani sono consapevoli della necessità
di avere degli eredi della loro arte e sono particolarmente
sensibili al problema della formazione delle giovani generazioni: auspicano per esse un percorso formativo scolastico
completo che aumenti la competitività delle loro prestazioni.
ARTIGIANATO DELLA FANTASIA
Non lo diremo ai bambini che abitano nei comuni della
nostra provincia che tra la pianura e l’Appennino ci sono
luoghi dove si fabbricano i loro sogni: bambole, bambolotti,
putti, cavalli a dondolo, in terracotta, e case di bambola
in miniatura, accessori in legno e carillon.
Un mondo di favola costruito in tre piccole aziende
artigiane la cui produzione viene venduta nei negozi specia- 91
lizzati di tutto il mondo. Presso le aziende non si compra, in
realtà, neanche uno spillo, ma i tre titolari sono disponibili
ad accogliere qualche gruppo di turisti, soprattutto se
stranieri, per fare conoscere le fasi della lavorazione.
Indispensabile la prenotazione.
Partendo da Ravenna la prima tappa di questo tour
da favola potrebbe essere presso lo Studio Ceramiche
Artistiche di Danilo Sartoni, in via Ravegnana n. 409/b.
Dal 1976 in questo laboratorio si costruiscono bambole
e bambolotti, si confezionano i loro abiti con tessuti provenienti da antichi corredi, con pizzi e trine e si creano per
loro ambienti, suppellettili in miniatura.
Ogni bambola è un oggetto unico, le
parti del corpo mobili e i visi decorati
a mano e lucidati con cera d’api sono
in terracotta.
Ancora in pianura, ma appena fuori
Faenza, passato il primo cavalcavia sulla
autostrada, si imbocca via Spadarino,
una viuzza immersa nella prima campagna, per arrivare al laboratorio di Cleò,
al numero 39.
Una creatività bizzarra ci accoglie
92
nel porticato. Sono le “maniche a vento” in forma di uccello
migratore, di aeroplano, di conventicola di frati. Girano e si
gonfiano ad ogni sospiro dell’aria. Le ha costruite Gianni
Fabbri, contitolare dell’azienda. La Cleò, infatti, è conosciuta
come azienda di Salaroli Sergio snc; dove è finito Fabbri?
Lui, ironico, precisa di essere, appunto, “nella snc”.
In realtà la creatività qui è soprattutto la sua: centinaia
di bambole, sedute, distese, in piedi, tutte deliziosamente
espressive, carinamente sorprese o pensosamente tristi,
vestite in sartorie dedicate, pettinate in fogge diverse,
calzano scarpe artigianali.
Sono pronte per fare il giro del mondo, tanto vasto è il
mercato di Cleò. Si attraversano alcune stanze così abitate
e si giunge in un angolo di lavoro, irripetibile, dove Fabbri
inventa e realizza gli arredi in miniatura che egli ambienta
in una scatola, in una custodia di violino, in un pneumatico,
in una stalla. Per le sue creazioni è stato premiato anche
dalla Disney. Chi desidera acquistare in zona le bambole di
Cleò può trovarle a Faenza presso il negozio di Mila Donati,
ceramista, che le propone insieme con la sua produzione
di ceramiche decorate secondo la tradizione.
Bisogna raggiungere Brisighella ed inoltrarsi verso
l’Appennino fino a San Martino in Gattara per conoscere
l’azienda artigiana “Piccole cose Pieli”, in via San Martino n. 20.
Pieli è il cognome della titolare, di nome Domenica,
che qui crea con Simona Sartoni e con un gruppo di abili
artigiane, bambole sempre vestite e pettinate secondo
un’antica e romantica foggia, ciascuna dotata di un certificato di autenticità e di unicità: i capelli sono veri, i pizzi
antichi e pregiati, le stoffe impreziosite da ricami e passamanerie. Oltre alle bambole in azienda si confezionano
anche lampade rivestite di tessuti ricamati, carillon e altri
oggetti come complementi di arredo. Il mercato è soprattutto estero.
LAVORAZIONE ARTIGIANA DELLE ERBE
A Casola Valsenio, patria del famoso professore Rinaldi
Ceroni, ideatore del primo Giardino delle Erbe Officinali,
tuttora attivo e interessante luogo di sperimentazione
didattica, c’è anche un’azienda che contribuisce a consolidare la fama che questo angolo di Romagna pre appenninica
ha come di “piccola Provenza”.
La “Patrizio Breseghello” in via I Maggio n. 28, porta
il nome del titolare, veneto di origine, ma si è sviluppata
grazie alla stretta collaborazione con la moglie Maria Rosa,
emiliana di Vignola. I due, erboristi diplomati ad Urbino
circa venti anni fa, hanno raccolto la tradizione della fami- 93
glia Breseghello che, dalla seconda metà dell’8oo, era attiva
nella coltivazione e lavorazione di piante officinali, in provincia di Padova. L’azienda nasce nel 1991 e nel 1996 viene
trasferita a Casola.
I Breseghello considerano vincente l’idea di specializzarsi nelle erbe, nella lavorazione delle piante officinali
e dei loro derivati. La materia prima giunge qui da molte
zone dell’Italia e dall’estero, raccolta nei paesi d’origine
in periodi che dipendono dal tempo balsamico delle stesse
piante, e viene immagazzinata in attesa della lavorazione
che può essere totale o parziale. La clientela, anche internazionale, sono i grossisti che seguono poi la distribuzione
del prodotto confezionandolo per la
vendita. La Breseghello ha introdotto
le erbe biologiche che seguono un
apposito disciplinare di lavorazione
e vengono certificate secondo il decalogo Codex.
E un’ottima offerta per il mercato
è stata quella del pot pourri che viene
proposto in una vasta gamma, già
profumato e miscelato secondo una
formulazione aziendale.
Le novità per lo sviluppo della
> Aule:
il riferimento è ad
“Arte sonora per i
bambini”, percorso
di collaborazione
(dal 1996) insieme
con Arianna Sedioli,
esperta di pedagogia
azienda sono legate al futuro inserimento dei figli che
potranno curare aspetti importanti come la commercializzazione e portare dentro all’azienda il know how scientifico,
secondo il corso di studi che stanno seguendo. Quando
sarà aperto il punto vendita aziendale sarà piacevole venire
a Casola anche per acquistare i prodotti Breseghello.
Oggi è possibile ottenere una visita nell’azienda solo
previo appuntamento.
musicale e atelierista,
per guidare i bambini
L’ARTE COME MESTIERE, UNA STORIA DI ARMONIA COSTRUITA
tra arte, musica e
CON L’AIUTO DEL VENTO
Ho conosciuto un artigiano, ma molte persone della
Romagna ormai lo conoscono e la sua fama si sta diffon(www.artesonoraperi- dendo nel mondo secondo un percorso anomalo, che non
segue i canali pubblicitari, bensì le piste da lui stesso tracbambini.com).
ciate alla ricerca e nell’attesa di un soffio di vento.
Incontro Luigi Berardi nel suo nuovo “Laboratorio del
Pereo”, in via Pereo n. 18 a S. Alberto di Ravenna, un loft
ottenuto in affitto dalla Cooperativa Culturale del paese.
Berardi si può incontrarlo in molti altri posti, laddove egli
monta le sue installazioni, “Arpe Eolie” le ha chiamate,
lungo l’argine di un fiume, su uno scoglio di mare, lungo
le dune, e… lungo i confini del mondo, ma anche nelle sale
94
dove egli espone progetti o nelle aule dove si intrattiene
con i bambini ai quali vuole insegnare a dipingere un paesaggio di suoni. Qui, però, nel suo laboratorio, in prossimità
di un confine naturale oltre il quale si può solo traghettare
verso le umidità delle valli ravennati, si ha la sensazione
di poterlo come catturare prima che scappi dietro al vento.
Qui egli esprime la sua umanità, di ricercatore che, inserito
in un contesto abitativo, famiglie e lavoratori, non vuole
oltrepassare la linea del comprensibile, non vuole essere
visto come l’artista strano e inavvicinabile, bensì si preoccupa dei suoi vicini e delle loro reazioni al suo lavoro.
Che non è usuale, neppure tra gli artigiani. Eppure egli
lavora materiali assolutamente compatibili come il bambù,
il legno, la corda, il rame, metalli.
Ciò che non è usuale è il progetto,
l’idea che muove le sue azioni, il credere che il suono della natura sia uno
strumento musicale e farlo provare
ai suoi simili nel mondo.
Nel laboratorio Berardi studia e dà
forma ai suoi progetti, nel laboratorio
si può fare un percorso attraverso
le sue molteplici esperienze o performance raccontate dai manifesti e dalle
parti smantellate o ancora assemblate
sonorità dell’ambiente
in cui vivono
95
che abitano lo spazio: le grandi canne di bambù che sono
state sulla Muraglia Cinese nel 2000, le valve di conchiglia
prototipo di quelle che saranno poste in galleggiamento,
con il contenuto di un ospite, un Totem reduce da un laboratorio didattico, e fuori dal laboratorio, sul prato, “Silenzio
Armonico”, una grande campana in forma di doppio gong,
nella quale, entrando, si attende un’esperienza sonora,
ma anche solo guardandola dall’esterno ci suggerisce una
qualche complicità con il suo costruttore e con il paesaggio. Per conoscere subito l’artigiano e la sua versatilità di
artista consultate il sito: www.paesaggiosonoro.com.
BURATTINAI A RAVENNA
La famiglia Monticelli è impegnata da cinque generazioni nel teatro delle marionette e dei burattini.
Infatti produce e promuove spettacoli dal 1800.
Il nome dell’attuale compagnia costituita nel 1979 dai
fratelli Andrea e Mauro, figli di William Monticelli, è “Teatro
del Drago” la cui attività si svolge su due versanti: quello
della tradizione, con gli spettacoli di burattini tradizionali
e la conservazione dei materiali della Collezione Monticelli,
e quello della ricerca attraverso gli spettacoli di figura contemporanei dove si concretizza una personale linea artistica,
originale sia nell’impiego dei materiali, sia nelle tecniche
di animazione.
Numerose sono state le tournèe all’estero in occasione
dei più importanti Festival di settore in Europa (Gran
rappresentati da
Bretagna, Svizzera, Polonia), in Africa (Tunisia, Libia), in
Mauro e Andrea
Monticelli sono spet- Asia (Giappone, Taiwan). E numerosi sono i premi assegnati
tacoli dinamici, basati ai titolari del Teatro del Drago: “La luna d’Argento” Premio
alla carriera nel 2002, Premio Hesperia 2000, al Festival
su gag e giochi di
Internazionale di Teatro per ragazzi, ad Aosta, Premio
parole che divertono
Nazionale migliore burattinaio dell’anno, nel 1994, per
adulti e bambini dai
cinque ai novantacin- ricordarne solo alcuni.
Se vogliamo essere tra il loro pubblico dobbiamo inforque anni.
96 I testi sono tratti da
marci sulle date delle loro tournèe consultando il loro sito
internet: www.teatrodeldrago.it.
antichi canovacci
L’indirizzo è via S. Alberto n. 297, Ravenna. Le tournèe
dell’Ottocento patriromagnole toccano importanti teatri come il Rasi di Ravenna,
monio di famiglia:
fiabe antiche, espres- ma anche scuole, giardini pubblici in estate, sale parrocchiali,
sione di una saggezza piazze, e la scena si ripete nelle città d’Italia e d’Europa.
> Teatro del Drago:
i burattini tradizionali
popolare. I ritmi e gli
stereotipi sono quelli
IL CENTRO ETNOGRAFICO DELLA CIVILTÀ PALUSTRE
della Commedia
DI VILLANOVA DI BAGNACAVALLO
Villanova di Bagnacavallo è un piccolo centro che si
raggiunge facilmente lasciando la S.S. 253 San Vitale che
da Ravenna conduce a Bologna.
Lo spettacolo può
Situata in una zona denominata “ Bassa Romagna” e
essere rappresentato
in qualsiasi luogo, nel caratterizzata da terreni acquitrinosi, da cui le derivò anche
il nome di ”Padusa”, Villanova diede ai propri abitanti una
teatro e nella piazza
risorsa di lavoro e di reddito grazie alla lavorazione di ben
di paese, perchè la
sua struttura lo rende cinque varietà di erbe palustri reperite nel territorio insieme
con legni autoctoni quali il pioppo e il salice.
auto portante e indiSi era nel XIII secolo allorché sorse il paese di
pendente, senza par“Villanova delle Capanne”, presto sviluppatosi lungo l’argine
ticolari esigenze tecsinistro del fiume Lamone, famoso in zona come re di tutte
niche.
le bonifiche, che vennero realizzate, però, a partire dalla
fine del secolo XIX. Prima di allora la regione era disseminata
di zone umide in un ricco complesso idrogeologico costituito
da stagni, zone acquitrinose dell’entroterra, aree deltizie,
dell’Arte, come pure
le maschere.
basse retrodunali. Il tutto offriva agli abitanti una vegetazione
spontanea adatta a usi tipici e rispettosi dell’ambiente.
La raccolta tramite sfalcio stagionale delle vegetazioni
palustri, oltre che dare alle popolazioni motivo di lavoro,
aveva la funzione di mantenere l’equilibrio ambientale,
favoriva la vita delle zone paludose, agevolava i ritmi
migratori degli uccelli. La struttura urbanistica di Villanova,
cosidetta “a pettine”, in quanto costituita da borgate
costruite lungo la strada che collega i territori di Bagnacavallo
e Mezzano, consentiva al passante forestiero di incontrare
direttamente la litania delle attività di lavorazione delle
erbe che le donne svolgevano anche sulla soglia della casa
e nei cortili. Era un modo naturale di promuovere l’economia
del paese: esporre le manifatture per attirare l’attenzione
del potenziale acquirente-cliente.
Stuoie, graticci, legacci, sedie impagliate, borse e sporte,
scope, ciabatte, panciotti, pantofole, cappelli costituivano
l’offerta della produzione locale, realizzata grazie alla lavorazione delle 5 erbe locali, la canna, la stancia, il giunco,
il giunco pungente, il carice. E nelle corti delle tenute e nei
poderi si costruivano con la canna palustre i capanni, usati
come abitazione, poi sempre più come luoghi per il ricovero
di animali, attrezzi di lavoro o di generi alimentari bisognosi
di conservazione.
97
I capanni erano un altro esempio di integrazione con
il territorio che non riceveva alcun danno da tali costruzioni
“a zero impatto ambientale”. Una dimora paragonabile in
tutto alle tane costruite dagli animali.
Tutto questo è stato salvato in esemplari, raccolto
e sistemato in un’area museale, il Centro Etnografico della
Civiltà Palustre” a Villanova di Bagnacavallo, in Largo Tre
Giunchi n. 1.
Il Centro è attivo dal 1985. Grazie alla passione e al
lavoro ininterrotto della curatrice, Maria Rosa Bagnari,
si è potuto salvare un pezzo di storia interamente scritta
dalla capacità di integrazione dell’uomo con l’ambiente
in cui egli viveva.
Il Centro Etnografico è visitabile secondo un percorso
ideato dalla curatrice e suddiviso in ambienti, o sezioni
espositive, dove è stato raccolto il materiale prezioso
trovato presso le famiglie del paese.
Le sezioni espositive sono 6:
> La cambra d’in Ca
> Bonifica e Trasporti
> Canna
> Carice-Legno
> Stancia-Giunco
> I giochi di una volta
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La visita-percorso ha un momento privilegiato nell’incontro con i depositari dell’arte e della cultura delle erbe palustri:
artigiani che ancora, nonostante l’età, sono disponibili
a dare dimostrazione del modo di lavorare, intrecciandole,
le diverse erbe.
Assai utili sono gli audiovisivi che possono essere
visionati in alcune tappe della visita per completare l’informazione su “Sfalci e raccolte”, su “I Capen”, su “La vita,
la gente di un paese”.
Da non perdere la visita esterna in ambiente rurale ad
un capanno e ad una capanna-cantina di tipologia classica,
e la passeggiata in zone umide che solo l’esperienza di una
guida esperta può rendere fonte di preziose conoscenze.
Il Centro che si propone come struttura interattiva,
interdisciplinare, è di interesse didattico per tutte le fasce
di età scolare, compresa l’universitaria, ma è molteplice
anche il pubblico adulto, studiosi e semplici turisti.
L’appuntamento per tutti è nella seconda settimana
di settembre durante la Sagra dedicata alla civiltà delle
erbe palustri.
È NATA PRIMA LA PIADINA O IL TESTO?
La “piada” in Romagna tutti la fanno ad arte, ma
il “testo” per cuocerla ad arte lo fanno solo a Montetiffi:
Rosella Reali e suo marito Maurizio Camilletti sono gli unici
tegliai rimasti a portare nel nuovo millennio uno dei mestieri
più antichi, una famiglia e un’azienda artigiana in un borgo
di case di pietra. Prima di loro e fino agli anni ‘90 del
Novecento c’erano Pierino Piscaglia e Leone Reali, ma quando
essi lasciarono il mestiere per limiti d’età il testo rimase un
simbolo di Montetiffi, quasi un pezzo da museo etnografico.
Finchè, nel 1998, i due giovani, Rosella e Maurizio,
si lasciano conquistare dal fascino discreto dell’antica arte
e decidono di imparare dagli unici maestri rimasti.
Introduco prima il “testo” non per voler suggerire
una risposta al quesito posto nel titolo, ma per collocare
in questo capitolo un manufatto che, come le tele stampate
a mano, ci porta oltre i confini provinciali e, in questo caso,
fin quasi al Montefeltro.
Dobbiamo infatti inoltrarci fino a Ville di Montetiffi
ed oltrepassare Sogliano al Rubicone, patria del famoso
Formaggio di Fossa, per incontrare gli eredi di un antichissimo artigianato ai quali spetta l’onore e l’onere di aver
salvato dall’estinzione il “testo” ovvero la teglia, detta
anche tegghia o teggia o tegia, ma anche lastra e tegola,
per cuocere la piadina.
Oggi le teglie di Montetiffi hanno un marchio che
garantisce il metodo tradizionale di fabbricazione, un timbro
impresso a rilievo quando la teglia è ancora tenera: una
teglia con quattro orecchie alle estremità e al centro la
millenaria abbazia di Montetiffi.
> Metodo tradizionale: la materia prima per fabbricare il testo è l’argilla,
rossastra o grigio verde, prelevata dalle vene naturali in loco.
L’argilla viene prima asciugata al sole e, seccata, viene poco alla volta
depurata e successivamente impastata con polvere di calcite ottenuta con
un antico e faticoso procedimento; la pasta ottenuta, posta sul tornio,
viene lavorata a mano fino ad ottenere un disco sottile rifinito nel bordo
secondo un disegno semplice, ma ben identificabile. La fase successiva è 99
quella della stagionatura in un luogo chiuso e arieggiato, essa può durare
anche due mesi in inverno, ma in estate si ottiene in un solo mese.
La cottura avviene in forno dove i dischi di argilla rifiniti ed essiccati sono
posti verticalmente in un numero che non supera i 150.
La cottura è molto delicata e la temperatura deve salire in modo graduale
fino a 700 gradi per non provocare la rottura dei pezzi.
Solo dopo due giorni si procede all’apertura del forno.
Il testo veniva poi usato per cuocere altri cibi come i ceci, le castagne,
carne e pesce e, talvolta, perfino i cappelletti.
Quando a causa del prolungato uso il testo subiva danni esso veniva
riparato, quasi cucito, con filo di ferro.
Seguendo quasi un percorso inverso, la storia della
piadina, che nel passato era legata al testo quanto la fame
domestica ad un mestiere che la poteva sedare, si è caratterizzata per un passaggio progressivo della stessa da cibo
dei poveri, confezionato nelle case della campagna, a prelibatezza portata sulle mense delle nostre città a simboleggiare la tradizione culinaria romagnola.
Le città della Romagna sono ormai tutte disseminate
dei caratteristici “chioschi” che si affacciano sui marciapiedi,
sempre affollati di clienti, alcuni occasionali, di passaggio,
altri fidelizzati, che affidano alla piadina il compito di riscaldare le proprie mense nei giorni di festa, o di ravvivare
100
i propri banchetti, le feste di compleanno dei bambini
e le merende consumate in allegra compagnia.
Non si può infine dimenticare che anche nei migliori
locali della ristorazione tradizionale la piadina viene sempre
servita nel cesto di vimini, spesso gradita più del pane.
La ricetta base della piadina romagnola è di una semplicità
disarmante: farina, un pizzico di bicarbonato, strutto di
maiale, acqua tiepida e sale.
Le varianti, e sono relative sia alla quantità degli ingredienti sia alla scelta degli stessi, hanno nel corso dei
decenni denominato la piadina con il nome della città in
cui quella certa ricetta è adottata per tradizione.
La fantasia del cuoco può naturalmente intervenire per
modificare l’impasto, ma gli estimatori sono concordi nel
preferire il prodotto confezionato secondo la ricetta base.
Nell’immaginario collettivo la piadina si accompagna con
la musica della tradizione, con il chiassoso vociare delle
compagnie, con il sapore degli affettati che la farciscono e
dei formaggi freschi come lo squaquerone e, inconfondibile,
con il profumo che emana nel momento magico della cottura mentre la forchetta puntigliosa la punge e la spinge
sul nero testo infuocato.
Si vedono assai spesso lunghe file di persone in attesa
di ordinare la piadina, ma... il popolo della piadina romagnola è tale da poter fare lunghe file di attesa ai chioschi
senza dare segni di impazienza e senza mancare di rispetto
al vicino che come lui aspetta il suo turno.
LA PASTA FATTA A MANO
Le mani dell’Azdora, ovvero della donna romagnola
che nei decenni del Novecento ha assunto il dettato orale
della tradizione nella quale è cresciuta, sono un libro aperto. Ricche di sapienza, insegnano la pazienza e l’abilità,
l’umiltà e la devozione. La trasformazione della società
italiana, e perciò di quella romagnola, se ha allentato
la frequentazione femminile dei siti storici della propria
appartenenza alla tradizione contadina quali l’aia, la cucina,
il focolare, il paiolo sul fuoco e il tagliere, non ha tuttavia
cancellato l’istinto che ancora oggi porta la donna in età
matura a tramandare il proprio sapere manuale alle giovani
generazioni.
Abbiamo un chiaro esempio di questo nelle “sfogline”
della Bassa ravennate che tuttora si sfidano in gare annuali
sui taglieri infarinati e testimoniano la poetica iniziazione
delle giovani all’arte della pasta fatta a mano ad opera
delle madri e delle nonne.
Se nell’alveo di questa tradizione dura a morire si è
sviluppato un business, ovvero la fioritura di negozi specializzati nella confezione della pasta fresca artigianale, non
possiamo temere un esito di allontanamento dal solco
della tradizione casalinga, bensì possiamo addirittura
applaudire alla capacità imprenditoriale che ancora una
volta è delle donne impegnate in affari “da cucina”.
Cappelletti, tortelli, passatelli, strozzapreti, lasagne,
tagliatelle e tagliolini, destinati al
condimento rosso a base di carne di
maiale e manzo, ragoùt, o al grasso
brodo di gallina o di cappone, vengono
incessantemente confezionati nelle
botteghe artigianali della Romagna
101
e consentono anche alla donna che
lavora come operaia, come impiegata
o come professionista, di offrire ai
propri commensali un piatto tipico
della tradizione, genuino e fatto ad
arte.
GLI ARTIGIANI DEL FERRO BATTUTO
Nelle campagne del ravennate la bottega del fabbro
ancora negli anni ’50 era un valido supporto alle attività
rurali, vi si costruivano infatti caveje, vanghe, vomeri e
roncole. Ma c’erano anche fabbri che in piccole botteghe
si dedicavano alla forgiatura del ferro per ottenere cancelli
e oggetti di genere più decorativo.
Oggi sono rare le botteghe del fabbro, i pochi artigiani
rimasti proseguono con orgoglio un’attività intrapresa in
tenera età, ma non trovano giovani ai quali affidare la propria arte.
Dire che è un mestiere duro sembra addirittura banale.
Chi può amare un lavoro che sviluppa muscoli asimmetrici,
che si svolge in un ambiente spesso freddo e caratterizzato
dal colore scuro del ferro lavorato al fuoco? Eppure qualcuno
sostiene che può essere più sano di altri lavori; si sono
visti fabbri nonagenarii.
Noi proponiamo di scambiare qualche opinione con
alcuni artigiani che, seppure in modo diverso, testimoniano
una passione per il metallo addirittura insospettabile.
102
A Fusignano, in via Molino n. 33, Giovanni Martini
dopo una vita dedicata al mestiere ha organizzato addirittura una mostra delle opere da lui realizzate in senso
artistico. Sono oggetti costruiti nella sua fucina che si può
visitare sotto la sua guida per conoscere tutti gli attrezzi
del mestiere e le macchine di cui il fabbro si avvale. Martini
può farci assistere alla lavorazione del ferro reso incandescente dal fuoco e battuto e ribattuto con un martello che
può pesare anche cinque chili.
La sua abilità, ottenuta grazie ad un esercizio quotidiano fino dalla giovinezza e ad una innata passione per la
manipolazione dei materiali più diversi, la creta usata da
bambino, il legno, poi il rame, si è espressa in oggetti classici, un vaso, una brocca, un ortaggio come la zucca, e poi
ha creato forme nuove, moderne, avveniristiche, frutto di
una intuizione repentina suscitata dal pezzo di ferro ancora
informe.
La materia prima viene reperita nelle officine meccaniche
comprata a peso; sono flange di ferro dalle quali può originarsi un cane, un bue, una stella o una forma tutta da
interpretare. Anche la lavorazione del ferro battuto crea
eventi, mostre, concorsi, porta soddisfazioni all’artigiano.
Martini ha già vinto due concorsi alla Biennale Europea del
Ferro Battuto che si tiene a Stia, in provincia di Arezzo.
L’ambiente della mostra permanente dei suoi lavori,
completamente ristrutturata, è talmente spaziosa da poter
accogliere anche un gruppo di turisti. E di fianco al grande
edificio si può ammirare anche un vecchio mulino dal quale
si gode uno scorcio antico di campagna.
A Villa Vezzano di Brisighella, Marino Montevecchi va
fiero di rappresentare la quarta generazione di artigiani
103
del ferro battuto, una tradizione di famiglia iniziata dalla
fonderia Montevecchi, specializzata nella costruzione di
campane da chiesa. Ma non ci sono all’orizzonte eredi che
possano prolungare nel terzo millennio, dopo più di cento
anni, l’arte dei Montevecchi.
L’attività di Marino Montevecchi è incessante, le stanze
della sua “fabbrica” sono piene di oggetti finiti pronti per
la consegna e il tavolo degli ordini è disseminato di disegni
e progetti. Molti i letti costruiti per le coppie di sposi, ma
numerosissimi gli oggetti che completano l’arredo di interni
ed esterni. C’è poi la sala dove sono conservati gli oggetti
utilizzati per mostre personali o collettive.
È quasi incredibile la leggerezza che questi oggetti
suggeriscono, il ferro lavorato dopo il riscaldamento nelle
fucine acquista sotto il martello, pesante diversi chili, uno
spessore che sembra suscettibile di movimenti ad un soffio
di vento. Qui vengono i clienti, spesso sono architetti e
Montevecchi realizza con perizia e passione i loro progetti.
Il capannone ha le pareti altissime, rivestite di pezzi da
restaurare.
Le pause dal lavoro sono poche, troppi gli ordini per
concedersi una vacanza, e la sera fino a tardi gli amici
vengono qui a fargli compagnia mentre lavora. Quando lo
si saluta e gli si stringe la mano è impossibile non notare
104
lo sviluppo anomalo del muscolo che ogni giorno stringe
il martello di cinque chili per forgiare il ferro, Montevecchi
che in gioventù fu pugile ne va fiero. Prima di venire a Villa
Vezzano telefonate perché Montevecchi potrebbe essere
in viaggio per montare uno dei numerosi pezzi d’arredo
che egli costruisce.
Un’altra tappa può essere fatta a Ca’ di Lugo dove un
giovane fabbro, Paolo Quadalti, è impegnato a fabbricare
originali complementi d’arredo in ferro secondo una progettazione personale, ma definita nel dialogo con il proprio
cliente.
Se a Villa Vezzano siamo arrivati alla quarta generazione
di artefici del ferro battuto, a Ravenna incontriamo il rappresentante della settima generazione: Enrico Bartolotti, artigiano in via Circonvallazione San Gaetanino, al numero 211.
Si replica la magia di una lavorazione che può spaziare
dalle forme più tradizionali ad altre decisamente moderne
per accondiscendere all’evoluzione del gusto: cancellate
artistiche, quindi, ringhiere, testate di letti, ma anche tavolini con inserti di mosaico, sedie, lampade, e una nicchia
di produzione che esprime la creatività pura dell’artigiano
nella realizzazione di animali: gufi, lumache, pesci e altri
esseri che traggono vitalità dalla sapiente battitura del
metallo infuocato.
Bartolotti, se raggiunto da un preavviso telefonico,
è disponibile ad organizzare una dimostrazione della sua
arte, dall’accensione del fuoco alla fase creativa.
ASSOCIAZIONE “C’ERA UNA VOLTA IL RICAMO” A BRISIGHELLA
Se vogliamo conoscere e ammirare un artigianato che
vive grazie alla passione e all’impegno di un gruppo di artiste
dell’ago da ricamo dobbiamo segnare in agenda due
appuntamenti: il primo, ovvero la mostra annuale, si tiene
a Brisighella presso la Chiesa del Suffragio dalla domenica
delle Palme fino alla festa di Pentecoste; il secondo, ovvero
il concorso biennale giunto nel 2002 alla 4a edizione,
richiama un folto pubblico a Faenza, a Palazzo Gessi, dal
24 novembre al 10 dicembre.
“Di più non possiamo fare – precisano Anna Bartoli
e Claudia Cassani, entrambe ricamatrici provette e maestre
di ricamo oltre che organizzatrici dei due eventi – Non
abbiamo risorse economiche sufficienti per dare maggiore
visibilità al nostro lavoro che, però, ha uno spazio fisso
nella rivista Rakam e in altre specializzate”.
Ma anche le risorse umane, e sono tutte di alta qualità,
non superano le dita delle due mani: dieci persone sono
l’anima di questa associazione che, allo spegnersi dei
105
riflettori sulla mostra e sul concorso, rifluisce nel silenzio
dell’alta valle del Lamone, fino alle propaggini dell’Appennino,
a San Cassiano.
Qui incontro Anna Bartoli e Claudia Cassani e le seguo
con paziente stupore mentre aprono sotto i miei occhi gli
scrigni: scatole e cesti pieni di tessuti rifiniti a ricamo bianco
o colorato. E mi introducono brevemente ai segreti dell’Aemilia Ars, mi
illustrano le principali differenze tra
i punti tradizionali del ricamo.
Così incontro un pezzo di storia di
questa valle che le ricamatrici mantengono viva e, proprio come accadeva
alle nonne e bisnonne loro o delle
altre socie, tra un ricamo e l’altro può
capitare di passare in cucina a controllare l’arrosto perché il ricamo, in valle
del Lamone, era un’attività svolta
dalle donne in casa per arrotondare il reddito familiare.
A Brisighella e a Fognano l’arte fiorì ed ebbe successo
dall’inizio del Novecento fino alla seconda guerra mondiale.
Allora esistevano le scuole, a Brisighella sotto la guida
delle sorelle Valvassori, a Fognano presso il Convitto
Emiliani delle Suore.
Dopo l’apprendimento dell’arte le donne proseguivano
questo lavoro tra le mura domestiche, lavorando anche
fino a tarda notte a lume di candela. Il che non impedì loro
di creare dei corredi splendidi che sono stati conservati nelle
case dei privati, nei conventi, nelle chiese e che, durante la
mostra, l’Associazione propone al pubblico degli appassionati ed intenditori.
Se domando alle due “maestre” quali siano le loro
allieve, per quali motivi giungano a frequentare i loro corsi,
capisco che l’applicazione all’arte del ricamo compete con
molte attività che, in un’epoca tecnologizzata come l’attuale,
conquistano il nostro tempo libero. Prima di lasciare questo
luogo immerso nel silenzio posso ammirare alcuni pezzi
lavorati dalle due ricamatrici in totale libertà creativa e
ritrovo il fil rouge che sto pazientemente seguendo in questo viaggio nel mondo dell’artigianato artistico: il legame
tra la mano, abile e sicura per un lungo addestramento,
e un’idea alla quale essa vuole dare corpo.
> Associazione “C’era una volta il ricamo”: si è costituita nel 1988, dopo
un corso di formazione professionale per “Operatrici di Ricamo Tradizionale”.
Oggi l’Associazione conta 10 socie. Ha sede in viale della Stazione n. 38,
a San Cassiano di Brisighella (tel. 0546/86049).
106 Finalità dell’Associazione:
1) Studio ed approfondimento della storia e della tradizione del ricamo
2) Progettazione e realizzazione di pezzi originali
3) Ricerca ed analisi di manufatti d’epoca
4) Divulgazione e formazione, esposizioni e corsi di ricamo.
Si vuole mantenere attiva la pratica di tutte le tecniche di base del ricamo
e di alcuni merletti come il tombolo, il modano, l’aemilia ars, il lavoro su
tulle, velluto, seta ed altri tessuti delicati.
L’Associazione organizza:
> La mostra annuale che si tiene a Brisighella dall’aprile al maggio.
La 1a edizione fu nel 1996. Il pubblico proviene da diverse regioni italiane
> Il concorso biennale di Faenza (fine novembre – primi di dicembre) per
il ricamo ispirato alla ceramica, che esamina i manufatti provenienti da
molte regioni italiane e dall’estero.
La partecipazione al concorso è gratuita.
La giuria, composta da specialisti del settore, da giornalisti, da ceramisti,
è presieduta dal direttore della rivista Rakam.
I premi:
dal 1° al 5° classificato> pezzi unici del maestro faentino Goffredo Gaeta,
dal 6° al 10°> oggetti di maiolica faentina offerti dall’Ente Ceramica Faenza,
fino al 22° classificato> un attestato di partecipazione ed un oggetto
di maiolica faentina.
Premi speciali: assegnati alla Scuola o Associazione di ricamo che ha partecipato con più elaborati, al concorrente più giovane, a quello più anziano
e a quello più lontano.
RICAMO BIZANTINO A RAVENNA
Il percorso delle ricamatrici di Brisighella ha incoraggiato altre “artiste dell’ago” di Ravenna a tracciare una
pista di conoscenza della tradizione del ricamo ispirato
dalla tradizione decorativa bizantina.
Carla Scarpellini ha scritto un libro, “Il ricamo bizantino” (Ed. Essegi, 1998), nel quale viene proposto un itinerario di riscoperta storica, anche supportata da un ampio
corredo di illustrazioni, della “Bizantina Ars” o Ricamo
Bizantino.
Essa trae ispirazione e soggetti dai mosaici ravennati
del V e VI secolo, ma anche dai capitelli e dalle transenne
finemente lavorate.
Nel breve saggio di Andrea Ricci, contenuto nel libro, si
rintracciano i nomi e i luoghi che danno al Ricamo
Bizantino il fondamento di arte appresa presso una scuola
e grazie all’insegnamento di esperte ricamatrici.
A Russi l’arte del Ricamo Bizantino è tenuta viva da
Irma Scudellari Melandri (Artigianato Artistico Bizantino,
Russi, tel 0544/580869) che ha voluto riportare in auge
il patrimonio artistico di una scuola di ricamo che ebbe
alterne vicende, a cavallo dei due conflitti mondiali del
secolo passato.
Le numerose mostre che Irma
Scudellari ha organizzato, e organizza
tuttora, nel mondo, in Giappone, in
Francia, in Germania e in diverse
regioni italiane, fanno conoscere al
pubblico una lavorazione che riproduce su tessuto i motivi dei mosaici, dei
marmi, dei bassorilievi conservati
nelle basiliche di Ravenna.
È in fase di ultimazione un testo
che la signora Scudellari ha curato
sull’argomento.
107
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PIZZI E VECCHI MERLETTI A RAVENNA
Si chiama Flora Giugni e lavora nel suo atelier, in via
Pasolini n. 9 (una traversa della centralissima via Cavour),
dove realizza articoli per corredi e corredi interi, anche
per il neonato. Se desiderate una culla inedita per il vostro
bebè qui potete realizzarla.
Non solo: la titolare crea tovaglie, tende, paralumi,
sottopiatti (erano suoi quelli sulla tavola imbandita per
il Presidente Ciampi in visita a Ravenna). E le sue creazioni
spesso viaggiano oltreoceano.
Le aziende
da incontrare
> Metalli Preziosi
Arte Oro
di Michieletti Gianni
via Mangagnina 57
Ravenna
tel. 0544/451022
Fabbricante oggetti preziosi
ed orafo.
Baldini Srl
corso Emaldi 86
Fusignano
tel. 0545/53343
Lavorazione e trasformazione di
metalli preziosi.
Brescini Riccardo
via Camporesi 21/a
Ravenna
tel. 0544/483465
Orafo.
Cose Preziose
di Grandi Stefano
via Reale 238/a
Mezzano
tel. 0544/523071
Fabbricazione e riparazione oggetti
preziosi.
Dottori Giuseppe
via Mazzini 45
Ravenna
tel. 0544/219482
Fabbricante di oggetti preziosi.
Farneti Cristiano
via Mura S. Vitale 11
Ravenna
tel. 0544/32412
Fabbricazione oreficeria e metalli
preziosi.
Iacono Gian Luca
via Toscana 24
Ravenna
tel. 0544/464749
Orafo.
Il regno della natura
di Bazzi Gaetano
via Cantinelli, 31/33
Faenza
tel. 0546/28044
Lavorazione pietre dure e oggetti
in metallo prezioso.
L’arte dell’0r0 di Pagani Gianfranco
via Ugonia 3
Faenza
tel. 0546/680456
Orafo.
La Bottega dell’orafo
di Bedronici Massimo
via Emilia Interna 20
Castel Bolognese
tel. 0546/54438
Riparazione di oggetti preziosi.
La bottega dell’oro D’Anetra Federico
via Castel S. Pietro 52
Ravenna
tel. 0544/479252
Orafo e riparazione orologi.
Laboratorio artigiano
di Farri Gianni e C. Snc
via Resistenza 16
Massa Lombarda
tel. 0545/82832
Produzione artigiana di oreficeria.
Laboratorio incisioni Guerrini
di Antonellini Maria
via Fiume Abbandonato 67/69
Ravenna
tel. 0544/32106
Laboratorio di incisioni.
Liviano Soprani Taglieria pietre preziose
via Cerchio 61
Ravenna
tel. 0544/215080
Lavorazione pietre preziose.
Marco Gerbella orafo
via Maggiore 159
Ravenna
tel. 0544/464142
Orafo. Fabbricazione di gioielli.
Michieletti Gaetano
via Primieri 49
Ravenna
tel. 0544/452066
Riparazione oggetti in metallo prezioso.
Monilia Snc
di Unich Luca e Scolaro Ettore
corso Emaldi 110
Fusignano
tel. 0545/53466
Oggetti di gioielleria e oreficeria.
109
Rubino di Olivoni Vittorio e C. Snc
via C. Battisti 6
Riolo Terme
tel. 0546/71959
Orafo, fonditore, riparazione orologi.
Senno Gian Piero
via San Mama 77
Ravenna
tel. 0544/275057
Incastonatore di pietre preziose.
Zella Alfonsino
via S. Vitale 26
Ravenna
tel. 0544/39367
Orafo.
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> Costruzioni barche
Cantiere navale De Cesari A. Snc
di De Cesari Pier Paolo
via Sinistra del Porto 9
Cervia Milano Marittima
tel. 0544/974040
Costruzione imbarcazioni di ogni
genere e loro accessori.
Carnevali Srl
via Pisacane 45
Marina di Ravenna
tel. 0544/538660
Costruzione e riparazione barche
e natanti.
Nova Vetro Srl
via Bartolotti 7
Marina di Ravenna
tel. 0544/439126
Costruzione e riparazion
e imbarcazioni.
Orioli Enrico & figli
di Orioli Luciano & C. Snc
via del Marchesato 23
Marina di Ravenna
tel. 0544/530429
Costruzione e riparazione barche.
Scalvenzi Nautica
di Scalvenzi Giuseppe e C. Sas
via San Rocco 11
San Pietro in Vincoli
tel. 0544/551194
Costruzione e riparazione
natanti.
> Restauro
Anobium di Gaiani Romeo e C. Snc
via X Aprile 17
Lavezzola
tel. 0545/80143
Riparazione e restauro mobili.
Antichità e restauro
di Piancastelli Giancarlo
via Trieste 37
Villa Vezzano
tel. 0546/70659
Restauro di mobili e ceramiche antiche.
Arte e restauro Sas
di Angela Guerrini & C.
via Anita Garibaldi 52
Mandriole
tel. 0544/449108
Conservazione e restauro opere d’arte.
Baldassarri Angelo
via Farini 1
Bagnacavallo
tel. 0545/63634
Restauro mobili e opere d’arte.
Bordini Mariano
viale IV Novembre 30/1
Faenza
tel. 0546/28941
Restauro architettonico e mobili.
Campagnoni Giorgio
via Monastero 31
Brisighella
tel. 0546/81817
Restauro pulitura e lucidatura mobili.
Cantoni Restauri Antiquariato
di Cantoni Elisa
via P. Alighieri 23
Ravenna
tel. 0544/38117
Restauro mobili antichi e decorazioni.
Ceroni Telesforo
piazza Marconi 27
Brisighella
tel. 0546/81191
Restauratore mobili.
Ciarlariello Domenico
via Ripe 23
Bagnara Di Romagna
tel. 0545/76590
Restauro mobili e lavori artistici.
Contoli Valerio
viale Ceramiche 54
Faenza
tel. 0546/662499
Lavori di restauro pitture antiche.
Gavelli Ruggero
via Medaglia d’oro 96
Faenza
tel. 0546/620768
Restauro e lucidatura di mobili.
Il Restauro
di Foschi Gilberto
via Granarolo 14
Faenza
tel. 0546/661625
Restauro mobili e accessori
di arredamento.
L’arte del restauro
di Monte Marcello
via Bassano del Grappa 72
Ravenna
tel. 0544/470837
Restauratore mobili antichi e usati.
Montanari Marco
piazza San Rocco 5/a
Faenza
tel. 0546/681357
Restauro e lucidatura mobili.
Neri Otello
via Campidori 16/a
Faenza
tel. 0546/30169
Riparazione mobili antichi.
Sonygiò
di Corelli Sonia
via Bastia 319
Frascata
tel. 0545/914330
Restauro mobili.
Vassura Isacco
via Croce 27/b
Faenza
tel. 0546/20078
Lucidatura e restauro mobili.
Vicentini Antonio
via Port’Aurea 37
Ravenna
tel. 0544/218274
Ebanista restauratore.
> Bambole
Cleo
di Solaroli Sergio e C. Snc
via Spadarino 29
Faenza
tel. 0546/46335
Produzione bambole e relativo
abbigliamento.
Diavolerio Snc
di Todoli Giovanna e Nicosanti D
via Mazzolani 15
Cervia
tel. 0544/970533
Produzione giociattoli e oggetti
artistici.
P. F. Bambole Bricolage
di Focaccia Claudia e C. Snc
via della Boaria 48/2
Faenza
tel. 0546/22278
Bambole da collezione ed articoli
da regalo.
Piccole Cose Pieli
di Pieli Domenica e S
via Ca Battistone 19
San Martino in Gattara
tel. 0546/87063
Bambole ed articoli da regalo
e d’arredo.
> Erbe e piante officinali
J. N. Srl.
via Lucania 20
Pinarella
tel. 0544/980711
Produzione alimenti biologici.
L’albero del sole Snc
di Calderoni Giuseppe & C.
via dell’Artigianato 7
Fusignano
tel. 0545/954113
Prodotti da forno biologici.
Patrizio Breseghello
di Breseghello Patrizio
via 1° Maggio 28
Casola Valsenio
tel. 0546/73400
Lavorazione piante officinali
aromatiche.
111
> Costruzione strumenti di fantasia
Berardi Luigi
via degli Angeli 211
Santerno
tel. 0544/417321
Realizzazione strumenti musicali,
sculture.
> Liutai
Minnozzi Marco
via De’ Tomai 3
Ravenna
tel. 368/3422267
Liutaio.
112
> Ferro Battuto
L’incudine
di Bartolotti Enrico
via Circ.ne San Gaetanino 211
Ravenna
tel. 0544/454711
Lavori artistici in ferro battuto.
Montevecchi Marino
vicolo Galetti 3
Villa Vezzano
tel. 0546/89015
Lavorazione ferro battuto.
> Pizzi e merletti
Giugni Flora
via Pasolini 9
Ravenna
tel. 0544/34680
Pizzi e ricami, paralumi e cartonage.
Non solo pizzo
di Cicognani Ermanna
via G. Rossi 14
Ravenna
tel. 0544/212765
Articoli in tessuto e pizzo pregiati.
Mister B
di Gondoni Ambra
via Rambelli 18
Faenza
tel. 0546/634569
Stampe su tessuti in genere.
Luoghi
da vedere
> info:
> Ravenna
Lo straordinario complesso di basiliche, battisteri e mauso
lei del V e VI secolo che costituisce la più ricca e ben
conservata testimonianza di arte paleocristiana e bizantina
in Italia: la chiesa di San Vitale con i mosaici raffiguranti
i cortei di Giustiniano e Teodora, il Mausoleo di Galla
Placidia che conserva i mosaici parietali più antichi
113
di Ravenna, la basilica di S. Apollinare Nuovo in origine
chiesa palatina di Teodorico, la basilica di S. Apollinare
in Classe grandiosa per l’architettura e i mosaici raffiguranti
la Trasfigurazione, il Mausoleo di Teodorico con la cupola
monolitica in pietra d’Istria, i Battisteri degli Ariani
e degli Ortodossi. Il Museo Nazionale con notevoli collezioni
romane, paleocristiane, bizantine e medioevali.
Il Duomo e il Museo Arcivescovile dove è conservata
la Cattedra d’avorio del Vescovo Massimiano.
La zona dantesca con il sepolcro, il Museo di Dante
e la chiesa di S. Francesco.
Il Museo d’Arte della Città, presso la Loggetta
Lombardesca sede della Pinacoteca Comunale e di mostre
prestigiose. La basilica di S.Giovanni Evangelista e la chiesa
di Sant’Agata entrambe del V secolo. La zona archeologica
con i resti dell’antico porto di Classe. Il dominio veneziano
è testimoniato dalle architetture di Piazza del Popolo e
della Rocca Brancaleone, mentre la Biblioteca Classense
risale al XVI secolo.
> Bagnacavallo
L’antico Centro Storico costruito su pianta medioevale,
con singolare struttura sinuosa, di prevalente stile
barocco; la Piazza Nuova, piazza ovale portificata
Iat
Ravenna
tel. 0544/35404
Iat
Bagnacavallo
tel. 0545/280898
[ luoghi da vedere ]
Pro Loco
Bagnara di R.
tel. 0545/76733
Iat Pro Loco
Brisighella
tel. 0546/81166
Iat Pro Loco
Casola Valsenio
tel. 0546/73033
Iat Cervia /
Milano Marittima
tel. 0544/993435
del XVIII secolo, antica sede di macellerie, pescherie
e altre botteghe; la Torre Civica del XIII secolo e gli
antichi palazzi nobiliari; la Pieve di San Pietro in Sylvis
(VII secolo), una delle pievi meglio conservate del
ravennate. Nei dintorni a Villanova di Bagnacavallo:
il Centro Etnografico della Civiltà Palustre con la ricca
raccolta di manufatti realizzati in epoca preindustriale
con le erbe di valle e il legno di pioppo e salice
(lavorazione artigianale tuttora esistente).
114
> Bagnara
di Romagna
La Rocca medioevale, attualmente sede del Municipio,
e il Museo Mascagni, che raccoglie i cimeli del musicista
e il carteggio di 5.000 lettere tra Mascagni e la bagnarese
Anna Lolli.
> Brisighella
L’antico borgo medioevale con la via degli Asini,
caratteristica strada sopraelevata e coperta, unica
al mondo; il Museo Civico Giuseppe Ugonia; le Chiese
dell’Osservanza e della Collegiata; la Torre dell’Orologio
con il Museo del Tempo; la Rocca Manfrediana con
il Museo della Civiltà Contadina; la Pieve del Tho, costruita
fra l’VIII e il X secolo d.C.; lo stabilimento termale, al centro
di una grande parco, famoso per le cure a base di acque
sulfuree e salso-bromoiodiche, indicate per le forme
infiammatorie croniche delle vie respiratorie.
> Dintorni di Brisighella: il Parco del Carnè, oasi verde
a 5 Km da Brisighella, ideale per pomeriggi all’aperto, visite
guidate ed escursioni didattiche. Con il suo paesaggio
tipicamente carsico rappresenta uno degli angoli più belli
della Vena del Gesso la cui formazione risale a circa sei
Pro Loco
Lugo
tel. 0545/22567
Iat
Riolo Terme
tel. 0546/71044
Pro Loco
Russi
tel. 0544/583301
[ luoghi da vedere ]
Iat Pro Loco
Faenza
tel. 0546/25231
milioni di anni fa. Particolarmente suggestiva la Grotta
della Tanaccia, frequentata dall’uomo fino dall’età del rame.
> Casola
Valsenio
> Cervia
L’Abbazia di Valsenio, fondata dai Benedettini intorno
al X secolo, è di notevole interesse storico e architettonico.
Il Cardello, antica foresteria dell’Abbazia, poi trasformato
in dimora signorile a fine Ottocento, fu a lungo abitato
dallo scrittore Alfredo Oriani.
Possiede un parco di rara bellezza.
La Torre S. Michele costruita nel 1691 per difendere
il porto dalle incursioni piratesche, oggi sede della
biblioteca comunale; il Magazzino del Sale Torre (1691)
e il Magazzino del Sale Darsena (1712) dove veniva
raccolto e preparato il sale; il Museo della Civiltà Salinara
sulla storia e il lavoro dei salinari; il Centro Storico con il
“Quadrilatero” delle case dei salinari, il Palazzo Comunale,
la Cattedrale, la Chiesa del Suffragio dove è conservato
un pregevole crocifisso ligneo del XIV secolo, la Chiesa
di S. Antonio da Padova, il Teatro Comunale; la fontana
“Il Tappeto Sospeso”; la Casa delle Aie costruita nel 1790
come casa del fattore e dei pignaroli della pineta di Cervia;
le Terme e il Parco Naturale.
> Dintorni di Cervia: la Salina Camillone, unica salina
artigianale rimasta in funzione, e le saline a raccolta
industriale; il Santuario della Madonna del Pino (1487)
di stile tardo-romanico con il bel portale in sasso
d’Istria; la Pieve di S. Stefano di Pisignano, risalente
al 977, che fu ospizio per i romei, i pellegrini che
nel Medioevo si recavano a Roma.
115
[ luoghi da vedere ]
> Faenza
Il Centro Storico raccolto intorno alle due piazze principali,
Piazza del Popolo e Piazza della Libertà, che richiamano
l’idea di un salotto a cielo aperto; nel centro storico:
il Duomo del 1400, Palazzo Milzetti, il principale palazzo
neoclassico della regione Emilia Romagna, il Teatro Masini
nella corte del palazzo comunale detto “la Molinella”;
il Museo Internazionale delle Ceramiche, uno dei più
importanti al mondo, che presenta la ceramica faentina
dall’epoca romana ai nostri giorni e numerose opere di
ceramica moderna realizzate da famosi artisti del XX secolo;
le botteghe dei tornianti e dei ceramisti disseminate
un po’ dovunque nella città, luogo di lavoro e di vendita,
nelle quali gli artigiani sono lieti di illustrare i passaggi
salienti della loro arte.
> Dintorni di Faenza, Oriolo dei Fichi:
la Torre esagonale a “doppio puntone” costruita
dai Manfredi nel 1476, oggi sede dell’Associazione
Produttori della Torre di Oriolo.
> Lugo
La Rocca di fine ‘500, oggi sede del Municipio;
il Pavaglione, caratteristico quadriportico costruito
nel XVIII secolo per il mercato del baco da seta, oggi
sede del mercato del mercoledì e, in estate, di una
famosa rassegna di spettacoli; il Teatro Rossini nel quale
si svolgono tutto l’anno spettacoli di prosa, concerti e una
stagione lirica di prestigio internazionale; il Museo di
Francesco Baracca allestito in onore dell’aviatore lughese
eroe della Prima Guerra Mondiale, la chiesa della
Collegiata; il Parco del Loto, area di verde attrezzato
nell’Oasi delle Buche Gallamini.
116
[ luoghi da vedere ]
> Riolo Terme
La Rocca è un esempio interessante di fortificazione
militare quattrocentesca, costruita dai bolognesi nel
1388. Il Centro Termale è immerso in un parco di alberi
secolari. Le sue acque sono celebri per le proprietà
terapeutiche in numerose affezioni.
È attivo un moderno Centro di Terapie Naturali
117
e Biotecnologiche che ogni anno mette a punto nuovi
metodi diagnostici e terapeutici.
Il Campo da Golf a 18 buche si estende per 200 ettari
sulle colline riolesi. Il tracciato è estremamente tecnico
e movimentato.
> Dintorni di Riolo: la Vena del Gesso, ambiente carsico
di importanza europea, formatasi in lontane ere geologiche.
Si presenta come una lunga cresta rocciosa di selenite,
definita “pietra di luna” per i suoi riflessi lunari, che
percorre trasversalmente per chilometri le valli del Senio
e del Lamone. Fenomeni carsici hanno disegnato nel corso
dei millenni scenari spettacolari, con grotte, doline,
inghiottitoi. Da segnalare la grotta di Re Tiberio e gli Orridi
di Rio Bassino, con cavità tortuose a cielo aperto, cascatelle,
insenature e pozze di acqua limpida.
Numerosi i sentieri segnalati per escursioni a piedi e in
mountain bike e per il trekking.
> Russi
La Villa Romana, risalente alla fine del I secolo d.C.,
al centro di un complesso archeologico di estremo
interesse; il Palazzo San Giacomo (fine XVI sec.) costruito
dai conti Rasponi di Ravenna come casa domenicale
del nobile casato; la Pieve di Santo Stefano in Tegurio
(VIII-IX sec. d.C.) e la Pieve di San Pancrazio (fine VIII sec.).
Eventi
e sagre
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Tutto l’anno
> 3° fine settimana di ogni mese
Mostra Mercato dell’antiquariato e artigianato
a Ravenna
> settembre/maggio 1° fine settimana di ogni mese,
giugno/agosto venerdì sera
Mercatino “Fatto ad Arte” a Ravenna
> gennaio/giugno, settembre/dicembre
2° domenica del mese
Mercato dell’antiquariato, artigianato artistico
e collezionismo a Lugo
> ultimo sabato di ogni mese
Il Mercatino dei Ricordi a Massalombarda
> aprile, settembre, novembre
I Mercatini delle feste a Fusignano
Primavera-estate
> marzo/maggio
La soffitta in piazza / Mercatino di primavera
a Villanova di Bagnacavallo
> aprile/maggio
Mostra di ricamo a Brisighella
> aprile/maggio
Note di primavera a Bagnacavallo
> maggio/settembre
I Martedì d’estate a Faenza
> maggio/settembre
Mostra Mercato dell’antiquariato,
artigianato artistico e collezionismo a Cervia
> giugno/luglio
Bagnacavallo al chiar di luna a Bagnacavallo
> giugno/agosto
Mosaico di notte a Ravenna
> giugno/settembre
I lunedì delle meraviglie a Riolo Terme
> giugno/settembre
Mercatino serale del venerdì a Brisighella
> giugno/settembre
Il Mercatino del porto a Porto Corsini
> giugno/settembre
Il Mercatino degli hobbisti a Marina Romea
> giugno/settembre
Il Mercatino degli hobbisti a Marina di Ravenna
> giugno/settembre
Il Mercatino degli hobbisti a Punta Marina Terme
> giugno/settembre
Il Mercatino degli hobbisti a Lido di Dante
> giugno/settembre
Il Mercatino degli hobbisti a Classe
> giugno/settembre
Il Mercatino degli hobbisti a Savio
> giugno/ottobre
Estate Ceramica a Faenza
> luglio/agosto
Mercatino delle erbe officinali a Casola Valsenio
Altri eventi
> luglio
Mondial Tornianti a Faenza
> settembre
Fiera biennale dell’agricoltura, industria e artigianato
a Lugo
> settembre
Sagra della Civiltà delle Erbe Palustri
a Villanova di Bagnacavallo
> settembre
Festa di San Michele a Bagnacavallo
> dicembre
Mercatini d’Europa a Cervia
119
Bibliografia
Isotta Fiorentini Roncuzzi, Il Mosaico. Materiali e tecniche
dalle origini a oggi, Ravenna Longo Ed.
Isotta Fiorentini Roncuzzi, Arte Tintoria a Ravenna. Dalla
flora tintoria ai minerali coloranti, Ravenna Longo Ed.
Carmen Ravanelli Guidotti, Thesaurus di opere della
tradizione di Faenza nelle raccolte del Museo
Internazionale delle Ceramiche in Faenza, Agenzia Polo
Ceramico
Monica Ribetto, Tesi di Laurea “La Ceramica Artistica di
Faenza nel panorama italiano”, 1996/97 (Corso di Laurea
in Economia e Commercio)
Elisabetta Merendi - Laura Tramonti, Il gioco del mosaico.
Il metodo di Bruno Munari in un laboratorio di mosaico,
Ravenna, Longo Ed.
120
Carla Scarpellini, Il ricamo Bizantino, Essegi Ed.
G. Milantoni, S. Nicolini, S. Pascucci, Decorare ad arte,
Essegi ed.
Si ringraziano
Archivio dell’Assessorato al Turismo
della Provincia di Ravenna
Archivio dell’Associazione Stampatori
Romagnoli
Archivio dell’Ente Ceramica di Faenza
Archivio di CNA di Ravenna
Archivio di Confartigianato di Ravenna
Archivio di Consorzio Provinciale
per la Formazione Professionale
Archivio della Società d’Area di Brisighella,
Casola Valsenio, Riolo Terme
Archivio del Comune di Cervia
Alessandra Caprara
Francesca Fabbri
Luigi Berardi
Maria Cristina Sintoni
Archivio di Centro Etnografico della Civiltà
Palustre di Villanova di Bagnacavallo
Marco Gerbella
Paolo de Cesari
Marco Minnozzi
Associazione “C’era una volta il Ricamo”
di Brisighella
Salvatore Palazzolo
“Il Teatro del Drago“ dei fratelli Monticelli
Sergio Salaroli
Danilo Sartoni
Carla Scarpellini
Ed. Essegi
Piero Bandini
Cesare Boschi
Maria Concetta Cossa
Riccardo Pascucci
Enzo Pezzi
Isotta Fiorentini Roncuzzi
Un ringraziamento particolare è rivolto
a Edoardo Godoli della CCIAA, a Massimo
Branzanti di CNA e a Claudio Suprani
di Confartigianato che hanno seguito
il progetto nelle sue diverse fasi.
L’Autrice
Fly UP