Vorrei dedicare questo lavoro a tutte le persone che amano l`arte e
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Vorrei dedicare questo lavoro a tutte le persone che amano l`arte e
Vorrei dedicare questo lavoro a tutte le persone che amano l’arte e che sanno apprezzare il valore di questo piccolo gioiello che è la città di Vittorio Veneto. Durante la ricerca del materiale, è stato molto interessante studiare come Vittorio Veneto, sia sempre stata aggiornata in campo artistico e abbia recepito quelle che erano le novità del momento, stando al passo con i tempi. Infatti la città è ricca di edifici che sicuramente in epoche passate, non erano inferiori in bellezza ed in eleganza a quelli che possiamo trovare nelle più grandi città d’arte. Il mio augurio è che sempre ci sia la consapevolezza dell’importanza del patrimonio che possediamo e che non ci si risparmi mai nel tutelarlo e conservarlo affinché anche le generazioni future ne possano godere. Un sincero ringraziamento va a Fulvio Di Giusto, Lidia Scarpa Mara Bernardi e Mariateresa Viotto che mi hanno aiutata e consigliata. Ringrazio anche la Provincia di Treviso, l’assessore Marzio Favero e il Fast Infine vorrei ringraziare la ProVittorio, il suo presidente Aldo Buosi e il professor Antonio Pazzaia per la disponibilità del materiale fotografico. Indice PARTE PRIMA Fenomeni politici e culturali che portarono allo sviluppo della villa veneta pag. 05 Tipologia della villa veneta pag. 09 Le ville della Pedemontana: differenze costruttive rispetto alle ville di pianura pag. 13 Le ville di Vittorio Veneto: le ville nella zona di Ceneda le ville nella zona di Serravalle pag. 15 pag. 25 Le ville del ‘900 a Vittorio Veneto in relazione alla nascita della nuova città pag. 31 Le ville dei dintorni di Vittorio Veneto pag. 35 Conclusione pag. 39 PARTE SECONDA Il giardino nell’antichità pag. 41 Il giardino in età medievale Il Castello di San Martino Il chiostro del Convento dei Frati Carmelitani a Santa Giustina pag. 45 Il Rinascimento: il giardino all’italiana a Villa Lucheschi a Serravalle pag. 49 Il giardino romantico Il Parco di Villa Costantini- Papadopoli pag. 51 La nascita del verde pubblico Il Viale della Concordia e i giardini pubblici pag. 53 Bibliografia e materiale fotografico pag. 55 Fenomeni politici e culturali che portarono allo sviluppo della villa veneta Alle soglie del XV sec. l’economia è interessata da un generale incremento delle attività, da un aumento delle tecniche impiegate e da un nuovo uso dei capitali; l’Italia centro settentrionale assume un ruolo egemone grazie alle industrie e ai commerci che promuovono un generale innalzamento del livello di vita. Questo benessere si riflette sia nelle arti dove la logica, l’armonia, la ricerca del bello assumono grande importanza e l’uomo stesso diventa misura di tutto l’universo, sia nella società del tempo, dove le famiglie più potenti sono alla ricerca di nuovi modelli di vita e desiderano ostentare sempre più la loro ricchezza attraverso la costruzione di palazzi e di ville suburbane. Infatti dopo secoli in cui la campagna era stata abitata solamente dai contadini e dai feudatari, in questo periodo, quando l’uomo desidera vivere in armonia con la natura, rinasce il gusto per la vita campestre e agricola e i castelli, perdendo la loro funzione difensiva, si trasformano e lasciano il posto a queste nuove dimore. L’idea di un ritorno alla rusticità è già presente in epoca romana: infatti secondo Plinio il Giovane, le ville non devono essere legate unicamente alla conduzione agricola, ma anche luoghi dove passare le ore migliori della giornata fra otium e studio, lontano dalle preoccupazioni dell’ambiente cittadino. Tale concetto lo ritroviamo anche in Leon Battista Alberti, architetto fiorentino del XIV sec. che nel “De re aedificatoria” scrive: “La villa deve essere situata in quella parte della campagna che non dovrà essere troppo distante dall’abitazione urbana del padrone e dalla città; e la strada che conduce dovrà essere agevole e senza ostacoli. E’ opportuno situare la villa dei signori in un punto della campagna non particolarmente fertile ma notevole per altri rispetti: avrà cioè tutti i vantaggi e le piacevolezze per quanto riguarda la ventilazione, l’esposizione al sole, il panorama… .sarà ben in vista, godrà della vista del mare, di una vasta pianura o permetterà di volgere lo sguardo su splendidi giardini (… ..)” L’ Alberti sembra pensare ad una villa destinata più che ad azienda agricola al piacere del signore: sottolinea come nel costruire l’edificio, la ricerca del sito e del terreno sia fondamentale e si dovrà tener conto anche del giardino che in questo periodo diventa il luogo ideale per riposarsi e ricevere gli amici. Dal primo Quattrocento fino all’inoltrata stagione neoclassica anche in Veneto si assiste al sorgere delle ville. E’ necessario risalire alle cause di questo fenomeno nel quale si intrecciano ragioni molteplici e diverse: da una lato quelle economiche di valore primario, dall’altro quelle di natura storica, quelle legate alla sanità del corpo e alla pace dello spirito, all’ambizione e al prestigio del committente e alla sua volontà di primeggiare nell’ambito sociale. 5 Questi motivi spingeranno i patrizi veneziani e veneti a desiderare dimore di campagna che non fossero inferiori in splendore alle dimore cittadine e fossero capaci di ospitare schiere di amici ai quali procurare ore di svago e passatempi con balli e concerti. Il principale fattore storico del fiorire della villa è dato sicuramente dall’ascesa della Serenissima Repubblica di San Marco, che agli inizi del XV sec. aveva esteso i suoi domini sulla terraferma, assicurando pace e prosperità per un lungo periodo; il territorio di Treviso, Padova, Vicenza e Verona andò ben presto popolandosi di ville di modeste dimensioni che andavano sempre più sostituendosi ai preesistenti castelli, (non più richiesti dalla situazione politica): ville capaci di offrire comoda ospitalità al loro signore. Il proprietario infatti che possedeva terre di estesa ampiezza, dalle quali egli traeva una fonte insostituibile di ricchezza, veniva a trovarsi nelle necessità di seguire la coltivazione dei campi, la semina, doveva controllare il lavoro dei suoi dipendenti e perciò tale impegno lo costringeva a lasciare la città, a trasferirsi nella sua villa per periodi più o meno lunghi specie tra primavera ed autunno. Esauriti i lavori pratici, egli nei mesi invernali ritornava alla vita cittadina per molti aspetti molto più comoda. Ma con l’andar del tempo il proprietario della villa iniziò a prolungare i suoi soggiorni in questi territori di campagna dove poteva godere della compagnia di amici e uomini di cultura e dove la vita campestre lo induceva ad un vivere più sano per il corpo e per lo spirito tenendolo lontano dalle pestilenze e dalle malattie che spesso colpivano la città. Oltre a ciò, vi era anche la volontà di rendere fertili vaste estensioni di terra, per lo più paludose, di sperimentare nuove culture e di curare l’allevamento del bestiame, altra fonte assai redditizia. Con la scoperta dell’ America, nel 1492, e con lo spostarsi del polo economico dal Mediterraneo all’ Oceano Atlantico, i nobili veneziani, fiutando il vento ormai contrario ai loro interessi, e avendo chiaramente intuito che la fonte della loro tradizionale ricchezza basata soprattutto sul commercio, si sarebbe rapidamente inaridita, rivolsero la loro attenzione alla terraferma; in questo modo si spiegano gli enormi acquisti da parte delle più ricche casate del patriziato lagunare nella varie province di Treviso, Padova e Rovigo; perciò la terraferma un tempo ignorata dai veneziani divenne l’oggetto della loro attenzione. Il ‘600 è un secolo difficile, percorso da eventi drammatici come carestie, pestilenze, guerre ed è evidente come l’attività delle ville venisse notevolmente rallentata. Solo verso la fine del XVII sec. l’economia del Veneto sembra ravvivarsi in modo imprevedibile e già agli inizi del secolo successivo si diffonde per tutto lo stato veneto un benessere proveniente dalla terra e soprattutto dall’industria dei pannilani. Nel Settecento e poi per tutto l’Ottocento, secolo in cui Venezia si avvicina sempre più al declino e alla decadenza dalla quale, dopo il trattato di Campoformido tra Napoleone e l’Austria, più non si riprenderà, la villa diventa il luogo dove non si amministrano solamente le proprietà, che spesso vengono trascurate, ma dove ci si reca, per puro divertimento circondandosi della pompa e del tumulto della città e i prodotti della campagna non sono più sufficienti a pagare il lusso della villeggiatura. Le fonti scritte di questo periodo, ci testimoniano come il tenore della vita in villa fosse elevato e la giornata tipica fosse scandita da passatempi e momenti di ozio a cui i nobili avevano la possibilità di dedicarsi. 6 La giornata iniziava nelle tarda mattinata quando i padroni ed i loro ospiti si alzavano, dopo essere rimasti a giocare al tavolo da gioco gran parte della notte. Facevano colazione bevendo la cioccolata, leggevano le lettere giunte per corriere e qualcuno riusciva a trovare ancora il tempo di mettersi al tavolo da gioco prima di andare a pranzo. Dopo colazione, si concedevano un sonnellino, passeggiavano tra i sentieri del parco, divertendosi a nascondersi nel labirinto, oppure altre volte si recavano in barca a far visita alle ville vicine; gli uomini partecipavano anche alle battute di caccia. Dopo cena riprendevano il gioco del faraone o della basetta, molto comuni in questo periodo, per poi andare nuovamente a letto all’alba. Quando c’erano occasioni particolari, partecipavano a feste mascherate, concerti e balli che si allestivano in villa. Non tutti però trascorrevano il loro tempo tra feste e giochi; vi era anche chi si dilettava a “novellare e discorrere” di cultura e a intavolare delle discussioni scientifiche e filosofiche che spesso rendevano le giornate ancora più piacevoli, nei salotti delle ville o tra i sentieri del parco. Nella vicina zona di Treviso, in questo periodo, uno dei salotti più prestigiosi è quello della nobildonna Isabella Teotochi Albrizzi che, nella sua Villa Albrizzi a San Trovaso di Preganziol, riceveva molti uomini illustri del tempo tra cui possiamo ricordare Canova, Foscolo e Pindemonte. I suoi amici con una vena di malinconia ricordano così quei momenti piacevoli trascorsi assieme: “..ci trattenevamo tutta la mattina insieme nelle nostre stanze e negli ombrosi e lunghi viali che quivi offrono a tutte le ore le più comode passeggiate, infino a tanto che la Signora cercasse di noi; né ricordo di aver mai passato più aggradevoli giornate di quelle, sì per l’amabilità dei nostri ospiti e per le delizie campestri di quel luogo e per le bene occupate sere tra filosofici ragionamenti, nei quali spaziavano liberamente tutte le opinioni politiche, morali, letterarie del gran uomo, fomentate da qualche accorta parola della Signora e rallegrata dai sali e dalla vivacità del suo spirito”. 7 Tipologia della villa veneta in generale Nel capitolo precedente si è messo in evidenza come la Repubblica di Venezia avesse assicurato un periodo di pace, di tranquillità e sicurezza, motivi per cui i nobili signori preferendo dedicarsi all’amore per la natura e per le lettere, decisero di deporre le armi, e gli antichi castelli, perdendo la loro funzione difensiva, in alcune zone più lontane da Venezia, conservarono il loro aspetto di fortilizio arricchendosi solamente nella decorazione degli interni, mentre, nelle altre più prossime, si trasformarono in abitazioni lussuose, lasciando cadere i ponti levatoi, aprendo balconate o logge nelle antiche murature e adibendo le torri ad abitazioni per la servitù o a colombaie. Questa prima tipologia di villa è definita la villa–castello; un esempio lo si trova a Roncade di Treviso ed è Villa Giustinian, edificata negli ultimi anni del ‘400 per volere del nobile veneziano Gerolamo Giustinian: all’esterno si presenta protetta da mura merlate e da torri quadrate, secondo stilemi tipicamente medievali, mentre all’interno presenta un elegante loggia ad archi sovrapposti. FOTO 1. Villa Giustinian a Roncade di Treviso. Per poter comprendere la struttura principale della villa, bisogna ricordare la pianta della casa veneziana, poiché le sue caratteristiche si protrarranno fino all’800 non solo nei palazzi di città ma anche in quasi tutte le architetture della provincia.(foto 2) La casa veneziana si sviluppa su due o più piani: all’interno le sale sono disposte sul salone principale, che ha una funzione di rappresentanza, dove si ricevono gli ospiti, e che si affaccia su due fronti: quello che guarda verso il mare e quello che guarda verso la calle. Nella parte centrale della facciata, decorata spesso da stucchi e fregi, si aprono alcune finestre che affacciandosi su terrazze balconate, rendono visibile all’esterno quale è il piano nobile abitato dal proprietario. 9 Al pian terreno solitamente si trova una loggia o portico, che ha la funzione di riparare e proteggere le mercanzie scaricate dalle galere, in attesa che vengano riposte negli adiacenti magazzini. FOTO 2. Pianta della casa veneziana. A questo proposito è interessante sottolineare come le prime ville siano nate vicino all’acqua, lungo il corso di un fiume, (ad esempio il Brenta) e sembrino essere la trasposizione della casa veneziana in terraferma, mantenendo così la sua funzione prevalentemente commerciale. Solo verso la fine del ‘400 si iniziano ad innalzare delle vere e proprie dimore ossia le “ville quattrocentesche”: alcune riprendono la tipologia della villa loggiato (che è probabile in parte derivi dal castello), costituita da un edificio principale, con un portico al pian terreno, addossato ad un corpo massiccio verticale, ricordo di un’antica torre; altre invece presentano il corpo principale privo di torre e percorso da un porticato al piano inferiore e da un loggiato al piano superiore che si sviluppano per l’intera facciata. FOTO 3. Villa Trissino a Vicenza. 10 Nelle ville di questo periodo il corpo padronale si isola completamente dalle adiacenze e dagli edifici adibiti alla servitù, in modo da evidenziare nettamente la differente destinazione delle varie costruzioni. Nel corso del ‘500 si mantengono i precedenti tipi di architettura e la tipologia della casa veneziana trova modo di inserirsi negli edifici di questo periodo. Assistiamo ad una maggior partecipazione del signore alla vita della villa; egli infatti deve sovrintendere ai lavori agricoli, controllare maggiormente i dipendenti e ciò fa emergere l’esigenza di rendere la villa un impianto unitario: si assiste così alla creazione di un complesso organico dove l’edificio padronale si unisce agli altri corpi di fabbrica a cui l’ organizzazione del lavoro agricolo affida destinazioni diverse. È evidente come le varie parti, nel ‘400 nettamente separate, in questo periodo, formano un tutto uno: il corpo padronale risulta emergente sugli edifici adiacenti che, trasformati in portici, vengono destinati ad abitazioni dei contadini, a stalle, fienili e granai. Protagonista di questo radicale mutamento è Andrea Palladio, che non comprendendo e accettando il modo di edificare dei veneziani senza una logica proporzione e senza tener conto dell’ambiente circostante, edifica ville dalle facciate semplici e modulate, in perfetta armonia con il paesaggio. Un esempio di villa palladiana è la villa-tempio dove l’architetto vicentino privilegia la parte destinata al padrone ponendola al centro del complesso e la evidenzia innalzandola su uno zoccolo e definendo la facciata principale con un frontone. Contemporaneamente Palladio congiunge l’edificio padronale alle adiacenze, necessarie nella conduzione della proprietà, costruendo quei lunghi portici ossia le barchesse, che permettono al padrone di raggiungere agevolmente ogni punto delle sue proprietà. Nelle ville di questo periodo si manifesta anche il desiderio delle grandi famiglie di terraferma di non voler essere inferiori alla nobiltà veneziana: per tale motivo, a differenza delle ville del ‘400 che presentano una decorazione limitata solamente ai fregi sotto i soffitti, le ville del ‘500 si arricchiscono non solo all’esterno ma anche all’interno, di un apparato decorativo che si estende a tutte le stanze della villa, dando una veste indubbiamente sfarzosa ed esaltando le virtù del committente e il passato glorioso della sua famiglia. Una villa realizzata dal Palladio, secondo questa tipologia, è Villa Barbaro a Maser, che egli costruisce intorno al 1560 per volontà dei signori veneziani Daniele e Marcantonio Barbaro e che all’interno è impreziosita dagli affreschi di Paolo Veronese e dagli stucchi di Alessandro Vittoria. 11 FOTO 4. Villa Barbaro a Maser. Nel ‘600 le ville venete riprendono gli schemi già preesistenti; viene dato però grande rilievo al salone centrale che in altezza va ad occupare due piani dell’edificio ed è interrotto a metà da un ballatoio sul quale si affacciano gli ambienti superiori; inoltre, secondo il gusto e la moda sfarzosa del periodo, lo si evidenzia con sopraelevazioni a timpano o a cupola in modo che sia riconoscibile all’esterno. Le decorazioni vengono eseguite dai maggiori pittori del tempo, che spalancano le pareti verso scene storiche e mitologiche dalle prospettive vertiginose. Nelle ville di questo periodo e del successivo Settecento, si ambisce una villa affrescata da insigni pannelli, adorna di statue e sculture, circondata da giardini con lunghi viali, con variopinte aiuole ai bordi delle peschiere e dei corsi d’acqua e si da grande importanza a tutta una serie di costruzioni, ricche di mirabili adiacenze di foresterie, di scuderie, di rotonde belvedere e di cappelle. Con l’ Ottocento anche l’architettura delle ville si adegua alla nuova esigenza di un ritorno alla purezza e alla semplicità, prediligendo le linee proporzionate e armoniose del gusto neoclassico; permane l’interesse per il giardino che si arricchisce di finte grotte, padiglioni orientali, ponticelli e boschetti, secondo la moda del giardino all’inglese. 12 Le ville della Pedemontana: differenze costruttive rispetto alle ville di pianura Nelle ville del territorio pedemontano l’architettura si armonizza con il paesaggio circostante; una ragione di tipo climatico ha suggerito di scegliere, nella realizzazione degli edifici, luoghi protetti e scenari di collina o parametri verticali. Infatti l’impostazione paesaggistica degli edifici che si elevano dalla valle e si inquadrano nel fondale boscoso della pendice, costituisce un modello generalizzato e le costruzioni bianche delle ville e delle loro adiacenze si stagliano sul verde intenso del bosco, ritmando lo spazio della collina e della montagna, veri e propri fondali scenografici, e riprendendo la geometria semplice della natura. Questa scelta si riflette anche nelle dimensioni del parco che tende a crescere con l’andare del tempo, e ad attrezzarsi di agrumeti, serre e ripari, che consentono la produzione di primizie e la custodia di essenze rare. A differenza delle zone di pianura, il nostro territorio pedemontano, sito alla sinistra del fiume Piave, noto maggiormente per i centri storici, i castelli e le abbazie presenta ville che si sono per lo più sviluppate su queste tipologie già preesistenti: nella zona di Vittorio Veneto possiamo ricordare il Castello Brandolini di Cison di Valmareno o il Castello di San Martino, edifici in origine sorti come siti di fortificazione, e successivamente trasformati in residenze signorili. A questo proposito bisogna sottolineare come in certi paesi si possono trovare per lo più bei palazzi con scoperto piuttosto che delle vere e proprie ville: questa situazione dipende innanzitutto dal fatto che la zona offriva minor sicurezza contro eventuali invasioni, in secondo luogo presentava una diversità naturale e disomogeneità nei terreni, per lo più collinari e montuosi, e infine era caratterizzata da un maggior frazionamento della proprietà terriera, che apparteneva a diversi proprietari locali. Negli anni Cinquanta, grazie alla volontà e all’impegno di Giuseppe Mazzotti è stata realizzata una catalogazione delle ville della Provincia di Treviso, a cui ne è seguita una successiva effettuata negli anni ’90 dall’ Istituto Regionale per le ville venete cha ha portato alla valorizzazione e alla conservazione di un vasto numero di edifici e al censimento di una ventina di ville situate nella zona vittoriese. Durante questo lungo lavoro, si sono presentate delle difficoltà per l’eterogeneità degli edifici catalogati: infatti si è reso necessario separare gli edifici che rispondevano alla tipologia della villa dagli altri più prossimi come ad esempio il palazzo o il castello, che iniziati secondo uno schema tipologico diverso, meritavano comunque di venir annoverati tra queste. Inoltre non bisognava tralasciare, sia quegli edifici, ora trasformati in abitazioni rurali, che edificati dalla nascente borghesia, si ispiravano al modello della villa veneta sia i villini in stile liberty con i relativi parchi e giardini, situati lungo l’attuale Viale della Vittoria e commissionati, tra la fine dell’Ottocento ed il primo Novecento, dai nuovi capitani 13 dell’industria a progettisti di grande nome come il Caregaro Negrin, il Bagnara, il Del Giudice. Da questo lavoro è anche emerso come la maggior parte degli edifici costruiti nelle nostre zone, si possa far risalire al ‘700 e all’800. Infatti la mancanza di edifici del Quattrocento e del Cinquecento, epoche in cui il modello della villa inizia a diffondersi, dipende da un fattore storico che ha condizionato le nostre località: la presenza soprattutto a Ceneda dell’autorità del vescovo-conte limita la penetrazione della Serenissima e la conseguente possibilità di edificare ville su modello tipicamente veneziano. Questo fatto potrebbe anche fornire una spiegazione sul perché solamente i territori di pianura (Colle Umberto, Cordignano, Farra di Soligo) videro sorgere ville su commissione della nobiltà lagunare. Ad eccezione di alcuni edifici voluti da importanti famiglie veneziane come i Mocenigo, i Grimani etc, buona parte degli edifici furono edificati dalla nobiltà locale come i Minucci, i Trojer, gli Altan o dalla borghesia imprenditoriale del tempo. Un altra ragione della mancanza di ville di origine relativamente antica può essere attribuita anche alla natura dei terreni, frequentemente interessati da terremoti che hanno causato la distruzione di molti edifici storici. 14 Le ville di Vittorio Veneto Da quando detto in precedenza, emerge chiaramente come la presenza del vescovoconte a Ceneda abbia condizionato negativamente la possibilità per i veneziani di poter edificare in queste terre; ciò a mio avviso è testimoniato dal fatto che a Ceneda una parte delle ville sia stata costruita solamente nel XVIII sec. quando l’autorità del vescovo-conte decade e la giurisdizione di Ceneda passa sotto il dominio veneziano. La mancanza nel territorio pedemontano di un fiume navigabile come il Brenta o il Sile e la scarsità di strade facilmente percorribili come il Terraglio sono da considerarsi un’altra causa della scarsità di ville nel nostro territorio. Infine è importante sottolineare come per la disomogeneità del terreno, essendo le nostre zone prevalentemente collinari, si possono notare delle differenze anche da un punto di vista strutturale e architettonico: le ville di pianura si presentano come complessi molto più articolati ed estesi per la presenza di adiacenze e barchesse, mentre le ville del vittoriese il più delle volte tendono a svilupparsi maggiormente in altezza che in larghezza, ricordando la tipologia del palazzo. Le ville nella zona di Ceneda Il nostro excursus tra le ville di Vittorio Veneto prende inizio da Ceneda, in località borgo Posocon, dove al n°27 di via San Fris, troviamo VILLA POSOCCO, che situata all’interno del borgo, in posizione isolata si distingue per la semplice ed elegante architettura, tipica della villa rurale. Venne costruita verso la prima metà del sec. XVIII, dalla famiglia Posocco, di probabili origini ungheresi, e in origine, all’ esterno era protetta da un muro di cinta con due ingressi, uno carrabile ed uno pedonale. La facciata principale è segnata da un importante portale ad arco a tutto sesto, con stipiti e ghiera a conci, affiancato da due finestrelle ovali con cornici in pietra, mentre sulle porzioni laterali si aprono due finestre rettangolari anch’esse decorate con pietra. Il motivo dell’arco si ripete anche al primo piano, sopra il portale, dove si apre una finestra ad arco ribassato, i cui stipiti reggono un architrave aggettante rispetto alla facciata. Ai lati si aprono delle finestre che si ripetono anche al piano del sottotetto creando un effetto di armonia e proporzione. Proseguendo lungo via San Fris, al n° 83, ci si può imbattere in VILLA SEGAT, edificio del XVIII sec. che si compone di due edifici disposti a formare una L: quello principale, rivolto verso la strada, è chiuso da due portali che segnano l’ingresso alla proprietà: uno dei due presenta il caratteristico arco a tutto sesto. La facciata principale si presenta simmetrica e tripartita, arricchita da decorazioni in pietra: al piano terra presenta un portale d’ingresso ad arco a tutto sesto, con stipiti e ghiera a 15 bugne, al centro del primo piano si apre una bella trifora, le cui aperture sono separate da colonnine con decoro al centro. Il balconcino centrale è chiuso da una balaustra in ferro e ai lati presenta quattro finestre rettangolari che ripetono la disposizione del pian terreno. La facciata opposta che guarda verso il cortile ha la stessa impostazione di quella principale con un portale sopra cui si apre una bifora composta da due finestre. In via San Fris al n° 127 si apre l’elegante complesso di VILLA PALATINI costituito dall’ edificio residenziale, due barchesse ed un oratorio privato. (foto 5 ) Come ricorda una lapide in facciata il complesso, costruito nel 1722 dalla famiglia Doglioni poi Bigontina, sorge su un terreno in leggera pendenza e risulta impostato su criteri di simmetria: l’edificio principale è collocato in posizione centrale ed è chiuso ai lati dalle due barchesse, poste ad un livello inferiore. A protezione dell’edificio è stato costruito un muro in sassi, su cui si apre la scalinata d’ingresso arricchita da statue collocate su pilastri, mentre una seconda scala conduce all’ oratorio della villa. La villa ha pianta rettangolare e si sviluppa su due piani; la facciata presenta la tipica tripartizione: al pian terreno si apre un portale d’ingresso con conci a bugne e finestre rettangolari ai lati, mentre il centro del piano nobile è evidenziato da una trifora, dal profilo centinato con una balaustra ad elementi in pietra a doppia anfora, e ai lati presenta monofore rettangolari che si ripetono anche nel sottotetto non abitabile. La disposizione dei locali interni si sviluppa su un androne d’ingresso al piano terra, e un salone centrale al primo piano con pavimenti tipici alla veneziana, che si apre su entrambi i fronti della villa. Le due barchesse, che delimitano il giardino hanno una pianta rettangolare, mentre l’oratorio presenta un semplice portale d’ingresso sormontato da una finestra termale e fiancheggiato da due finestre in pietra; sul tetto si trova un piccolo campanile a vela, con le campane. FOTO 5. Villa Palatini 16 Ritornati in Piazza Giovanni Paolo I, ai piedi del monte San Paolo, sorge VILLA COSTANTINI, MOROSINI, PAPADOPOLI, un grande edificio a tre piani della seconda metà del XVIII sec, voluto da Girolamo Costantini, uomo colto e raffinato che già nel 1852 aveva dato inizio ai lavori della dimora e che si pensa lui stesso ne abbia tracciato le linee essenziali. (foto 6-9-10) In seguito, con gli eredi, la villa non ebbe a subire grandi trasformazioni importanti anche se alla fine del secolo fu rialzato il tetto del corpo di fabbrica a destra della facciata. Nel 1919 la villa fu venduta alla famiglia Aldobrandini-Papadopoli che incaricò l’architetto Brenno Del Giudice di eseguire una trasformazione delle facciate secondo il gusto eclettico del tempo. A lui si deve anche la riorganizzazione e la decorazione degli interni per cui si avvalse anche dell’aiuto del pittore locale Cadorin. In epoca fascista le scuderie ottocentesche, di forma semicircolare vennero abbattute e sostituite da un edificio circolare come sede della G.I.L. e successivi lavori hanno completamente cambiato la struttura della villa. La villa appare articolata in vari corpi di fabbrica: la facciata è rivolta verso la strada pubblica, mentre verso la piazza è orientato il prospetto del corpo a impianto poligonale che avanza nel giardino. L’edificio è costituito da un corpo principale, quadrato, a tre piani, affiancato ai lati da due ali che presentano anch’esse tre piani; il volume centrale sporge rispetto al resto dell’edificio e termina in un alto sopralzo a timpano, impostato su uno stemma in pietra. Il timpano è raccordato al resto della copertura da due volute in pietra ed è decorato da pinnacoli in pietra a forma di vaso: motivo ricorrente nel resto della facciata. Al centro della facciata si trova al piano terra un ingresso principale a cui si sovrappone al primo piano, un’apertura con balaustra in ferro, e al secondo piano una serliana dai profili in pietra. La villa è affiancata da ciò che rimane delle antiche scuderie (attuale sede della scuola Segretaria d’Azienda), da una serra, un belvedere e la foresteria (sede della Biblioteca Civica), inseriti all’interno di un notevole parco, in cui si possono riconoscere una vasta gamma di essenze esotiche o semplicemente ornamentali. Al parco si accede mediante due ingressi, l’uno verso la strada pubblica che consente l’accesso alla casa rustica, l’altra più monumentale che guarda verso Piazza Duomo. Il muro di cinta che limita il complesso presenta una decorazione a fasce orizzontali a motivi geometrici che spesso ritroviamo impiegati da Antonio Caregaro Negrin. Antonio Caregaro Negrin, architetto vicentino può essere considerato uno dei progettisti più famosi del XIX sec e il più prolifico e originale creatore di giardini in Veneto nella seconda metà dell’800. (foto 7-8) E’ importante ricordare che tra le sistemazioni di antiche ville eseguite dall’architetto vi è anche quella di Villa Costantini, dove egli rimane impegnato per una ventina d’anni tra il 1862 e il 1895, riformando la casa padronale. Egli opera su di un edificio preesistente, conservando il corpo centrale e l’ala sinistra, aggiungendo quella di destra e innalzando nel 1885 anche l’ala sinistra, in modo che la struttura risulti composta da tre piani in tutte le facciate. 17 Negrin progetta anche l’apparato decorativo esterno, dove motivi della tradizione rinascimentale si mescolano ad elementi neoromanici e lombardeschi, secondo il gusto del tempo. e al primo piano sistema una cappella per la quale disegna l’altare. Presso l’ingresso sorgeva un grande rurale disposto a semicerchio, adibito a portineria, e scuderia e tra i rustici egli aveva progettato una cedraia, e un berceau a pianta poligonale. Al confine del lato nord del parco egli costruisce due serre decorate a motivi floreali, che si sviluppano in linee sinuose, caratteristici dell’architettura da giardino del tempo. Solo la casa rustica (Biblioteca), una parte del muro di cinta e la raccolta di progetti conservati nella Bibloteca di Vicenza, testimoniano l’opera del Caregaro Negrin. FOTO 6. Veduta dall’alto di Villa Costantini-Papadopoli FOTO 7. Villa Costantini-Papadopoli nel 1899 18 FOTO 8. Prospetto di Villa Costantini-Papadopoli nei disegni di Caregaro Negrin FOTO 9. Villa CostantiniPapadopoli nel 1901 FOTO 10. Interno di Villa Costantini-Papadopoli nel 1899 19 Lasciando piazza Giovanni Paolo I e dirigendosi lungo via Cosmo, al n° 108, alla nostra destra incontriamo PALAZZO DORO-ALTHANN, edificio del XVII sec. di proprietà della famiglia Lioni dalla quale passò per matrimonio alla famiglia Althann poi Altan e da questa alla famiglia Doro, per eredità della madre, ultima contessa Altan. (foto 11) Si presenta come un notevole edificio con una duplice funzione: ha carattere di palazzo lungo via del Pretorio sviluppandosi su tre piani, mentre sul fronte opposto che guarda verso via Ugo Foscolo, ricorda la tipologia della villa, elevandosi su quattro piani e aprendosi su un ampio giardino. Verso via del Pretorio, per la limitatezza dello spazio e per la pendenza del terreno, l’edificio è formato da un corpo centrale con ampie finestre rettangolari sui tre piani, tra cui risaltano quelle al pian terreno per il motivo a bugnato che le decora. Al piano terra un’ampia apertura ad arco, inquadrata da due semicolonne in stile dorico e fiancheggiata da due finestre, si ripete anche al primo piano dove il balcone principale è arricchito da una balaustra con colonnine in pietra. Ai due lati ci sono due portoni ad arco decorati da una pesante cornice settecentesca; sopra questi, in maniera simmetrica si aprono bifore dal profilo architravato cui corrisponde, sul tetto a terrazza, una balaustra in pietra. Il fronte opposto che guarda verso il giardino, pur presentando un piano in più, è meno ricco e decorato rispetto a quello principale. All’interno il pian terreno presenta stucchi alle pareti e travi alla sansovina. FOTO 11. Palazzo Althann nel 1905. 20 Dando le spalle a Palazzo Lioni e guardando verso via Lorenzo Da Ponte, al n° 116, in posizione elevata, rispetto alla strada, sorge VILLA ZULIANI che oggi è la sede della Curia Vescovile. Venne fatta costruire nel 1700-1701, per volere dei conti Zuliani, come risulta da un’ iscrizione lapidea posta sulla facciata: “D.O.M – L’ANNO DELLA NOSTRA SALUTE MDCC FU D’ORDINE DI NOI GIACOMO ET FRANCESCO FRATELLI GIULIANI PIANTATA QUESTA FABBRICA PER ABITATIONE NOSTRA ET ANCO DI GRATIOSO ET GERMANICO FIGLIOLLI DI ME FRANCESCO ET STABILITA L’ANNO MDCCI”. Dopo la morte dell’ultimo discendente della famiglia Zuliani, intorno ai primi anni del XIX sec, la villa venne presa in affitto prima dall’ Istituto del Regio Governo Austriaco, poi dal Governo italiano. Nel 1871 venne acquistata dal vescovo di Ceneda, Corradino Maria dei Marchesi Cavriani, che la fece sua residenza fino al 1885 quando la vendette alla famiglia dell’avvocato Prospero Ascoli. Nel 1927 la comprò la Curia che ancor oggi ne utilizza i locali quale sede dei propri uffici. Alla villa si accede mediante un cancello sostenuto da pilastri con volute barocche, che introduce ad un primo cortile, raccordato ad un secondo cortile tramite una ripida gradinata in pietra. La costruzione, a pianta rettangolare, si eleva su tre piani e presenta al piano terra, in posizione centrale, un arco d’ingresso a bugne e, su entrambi i piani secondari, una trifora con poggiolo in pietra e semplici finestre rettangolari ai lati. Nella parte del sottotetto la facciata presenta basse finestrelle sotto il cornicione rette da mensole. L’interno è assai prezioso: il salone centrale, su cui si affacciano le varie stanze, è ornato da stucchi, da soffitti alla sansovina e da affreschi attribuiti a Sebastiano Ricci. Se da Palazzo Althann si prosegue verso via Lioni, al n° 137, si trova VILLA PASQUALIS, oggi sede del Corpo Forestale dello Stato. Si tratta di un semplice edificio quadrangolare, interessante da ricordare perché venne edificato verso la fine del XIX sec. da Giuseppe Pasqualis. Giuseppe Pasqualis, proprietario dell’enorme Stabilimento Bacologico che si trovava in via Soffratta, dove ora sono stati costruiti dei condomini residenziali, nel 1889 diede vita ad una nuova industria, unica al mondo, che al posto di utilizzare i bachi da seta, lavorava le fibre tessili della corteccia dei rami di gelso ricavandone tessuti d’ogni genere. Questa stoffa venne chiamata Gelsolino, e il terreno davanti alla sua proprietà venne adibito alla coltivazione dei gelsi. Arrivando in località Ai Frati, all’incrocio tra via Lioni con via Garibaldi, a sinistra, si trova VILLA COSTANTINI VETTORE, eretta nel 1880 dall’ illustre bacologo Vettore Costantini, che aveva costruito vicino alla sua residenza uno Stabilimento Bacologico, andato in seguito distrutto. (foto 12) 21 Villa Costantini e Villa Pasqualis ci testimoniano come in questo periodo Vittorio Veneto fosse diventata una cittadina importante dal punto di vista economico e molti industriali del tempo avevano trovato una fonte redditizia nel settore tessile con l’allevamento dei bachi da seta e la produzione di nuovi tessuti. FOTO 12. Villa Costantini -Vettore nel 1908 A questo punto, proseguendo verso destra, alla fine di via Pasqualis, incrociamo VILLA FRANCESCHINI, un elegante edificio di gusto eclettico, che venne costruito nel 1905, per volere della famiglia Franceschini su disegno dell’architetto G. Moretti di Milano. (foto 13) E’ circondata da un ampio parco e chiusa da una cancellata di Angelo Casagrande, vero capolavoro nell’arte di lavorare il ferro battuto. Attualmente appartiene alla famiglia Manfredi de Blasiis. FOTO 13. Villa Franceschini nel 1907. 22 Un lato della villa si affaccia sull’attuale via Rizzera, una volta via Rizzarda, e insieme alla altre ville che si possono trovare lungo questa strada alberata, si inserisce nel nuovo progetto di urbanizzazione del territorio vittoriese, in seguito all’unificazione del 1866 e alla nascita della nuova città. Alla fine di via Rizzera, si giunge nel quartiere di San Pietro e Paolo, o anche Ceneda Bassa, dove dirigendosi verso l’inizio della pista ciclabile, in via Galvani al n°116, si trova VILLA DELLA COLLETTA, FASSINA, RAUMER-ZANCHETTA. (foto 14) Questo è un esempio di edificio seicentesco, che sorge su uno dei tanti isolotti che punteggiano il fiume Meschio. È costituito da una serie di fabbricati che presentano differenti caratteristiche architettoniche e che sono disposti a formare una corte interna. La parte principale dell’edificio, che guarda verso il fiume Meschio, è collegata alla terraferma da un breve ponticello e presenta un’originale facciata ricurva che segue l’andamento dell’ acqua e si eleva sul resto dell’edificio con un alto timpano a dentelli. Al piano terra si trova un ampio portone d’ingresso con arco a tutto sesto a bugne, mentre nella parte superiore, in corrispondenza di questo, si apre una monofora ad arco, dalla balaustra in ferro battuto. Una mensola modanata regge un semplice architrave, motivo decorativo che si ripete anche nelle finestre laterali sia nel corpo principale che nell’ala sinistra dell’edificio. A pochi metri di distanza è situato un piccolo oratorio, oggi molto danneggiato, dedicato alla Madonna di Lourdes. Nel XIX sec. la villa venne inglobata in un complesso di costruzioni industriali per la produzione della carta e di manufatti in ceramica, perdendo completamente la destinazione originaria e cadendo in completo disuso. FOTO 14. Villa Della Colletta. 23 A san Giacomo di Veglia, nostra ultima tappa nella zona sud-ovest di Vittorio Veneto, in piazza Fiume al n°68, troviamo VILLA CALBO CROTTA, edificio attribuito a Giorgio Massari uno dei più importanti architetti del Settecento. Dell’ intero complesso si sono conservate unicamente le barchesse, che attualmente sono la sede del Monastero Benedettino Circestense di clausura. (foto 15-16) I due edifici, collocati uno di fronte all’altro, in posizione perpendicolare alla strada vicina, hanno pianta rettangolare e nella facciata corta che si affaccia su questa, presentano dei grandi archi a tutto sesto, con chiave di volta, intercalati da semicolonne in stile dorico, e con finestrelle ovali nel sottotetto. Sui lunghi fronti interni, non visitabili, si sviluppano una serie di archi a tutto sesto, sostenuti da semicolonne in stile dorico che reggono un’alta trabeazione; le finestrelle del sottotetto sono divise da triglifi in pietra che sostengono la cornice del tetto, ripetendo il motivo decorativo che si trova anche nella facciata a noi visibile. FOTO 15. Barchesse Calbo-Crotta nel 1902 FOTO 16. Barchesse Calbo-Crotta ai giorni nostri 24 Le ville nella zona di Serravalle Anche nella zona di Serravalle si trovano alcune ville che sono degne di nota. Già in prossimità della Piazza Pieve di Bigonzo in località Sant’Andrea, al n°2 è situata VILLA VICENTINI, BREDA, BERRETTA, un modesto edificio del XIX sec. che si distingue dagli altri edifici adiacenti per il carattere neoclassico. Venne donato dall’ultima proprietaria alla Curia di Vittorio Veneto e oggi è la casa canonica della Parrocchia di San Andrea. La facciata principale della villa, semplice e simmetrica, presenta la parte centrale sporgente rispetto alle parti laterali. Al pian terreno si apre un arco con conci a bugne e ai lati del portale d’ingresso sono situate due aperture rettangolari; al primo piano si ripete lo schema di quello sottostante: al centro si trova un’ampia finestra centrale, collocata tra due coppie di paraste dal capitello ionico, e chiusa da una balaustra in pietra liscia con un decoro centrale a losanga. Ai lati si trovano delle ampie finestre che rispetto a quelle del pian terreno sono arricchite da un timpano, motivo che viene ripreso anche nel tetto. L’edificio a sinistra, arretrato rispetto alla villa, venne costruito nella seconda metà del XX sec. ed è sede dell’oratorio parrocchiale, mentre la costruzione a destra, a forma di L, secondo un antica tradizione orale dei residenti, era un’antica stazione di posta, che subì nel corso degli anni diverse modificazioni. La disposizione interna riflette la tripartizione della facciata e presenta l’impianto tipico della villa veneta: un grande salone al centro su cui si affacciano quattro stanze distribuite ai lati, a cui si accede mediante un vano di scale in pietra. Dalla Piazza, proseguendo per via San Andrea, al n° 3, è situata VILLA BIANCHI, ROSADA, ALTOE’, CORTUSO che si presenta come un bianco edificio del XVII sec. situato sotto il colle di Santa Augusta o Monte Marcatone. Riconosciamo la tipologia delle ville che abbiamo trovato nella zona di Ceneda, secondo uno schema 2-3-2; infatti al pian terreno presenta un portone ad arco bugnato che al primo piano, è sormontato da un elegante trifora centrale con un piccolo poggiolo in ferro e suddivisa da semplici colonnine in pietra che arricchiscono la facciata. All’interno si apre un salone centrale d’ ingresso su cui si affacciano le sale secondarie e i soffitti hanno travi alla sansovina. Giunti in via Calcada, al n° 91, nel centro storico di Serravalle, sorge VILLA ROSADA, MARINI detta anche CASA ROSSA, per il colore rosso dell’intonaco che caratterizzava l’edificio, di cui oggi si conservano solamente alcune tracce. (foto 17) Si tratta di un interessante edificio seicentesco, appartenente alla nobile famiglia serravallese Casoni, e costituito da un corpo centrale con frontone e due ali più basse ai lati. Nel corso del XIX sec. la villa a pianta rettangolare venne sopraelevata di un piano. Il corpo centrale è caratterizzato al pian terreno da finestre dal profilo centinato, mentre al primo piano si apre una bifora con conci in pietra e con poggiolo retto da una balaustra 25 composta da colonnine a doppia anfora; il motivo della monofora ad arco si ripete anche al secondo piano. Le ali presentano finestre più ampie e finestrelle nel sottotetto; sul tetto si alzano due camini, mentre al piano terra si aprono due portali, disposti in maniera alquanto irregolare, segnati da grosse bugne in pietra e da un mascherone in chiave d’arco. La parte retrostante si presenta come un semplice edificio con loggia di carattere cinquecentesco. FOTO 17. Villa Rosada detta Casa Rossa Al n° civico 53 di via N. Tommaseo, ai piedi della zona collinare in località Olarigo, in posizione isolata si trova VILLA DELLA GIUSTINA, edificio del XVIII sec. a pianta rettangolare, che si eleva su due piani fino al sottotetto. L’ingresso principale, un arco a tutto sesto, con stipiti e ghiera a bugne, si apre non in posizione centrale ma spostato rispetto all’ asse e ai lati presenta piccole finestre. Le aperture del piano superiore seguono la stessa scansione, così come nel sopralzo centrale. Proseguendo poi per via Cavour, al n° 111, non si può non notare la splendida VILLA-PALAZZO LUCHESCHI, risalente al XVI sec. (foto 18-19) Il complesso è costituito da un corpo principale, due ampie barchesse, un ampio giardino, mentre nella parte retrostante, che si affaccia sul fiume Meschio si trovano le case coloniche e una serie di proprietà che appartenevano alla villa. In origine due ponti attraversavano il fiume, segnando l’ingresso principale della villa, costituito da tre eleganti portali, posti in successione. Nel corso del XIX e XX sec, ai lati del complesso furono aggiunti due edifici di modeste dimensioni; il corpo centrale dell’edificio, che guarda verso via Cavour, presenta le 26 caratteristiche di un palazzo cittadino, mentre verso il lato che guarda dalla parte opposta riprende la tipologia della villa. Il fronte di via Cavour si sviluppa su tre piani; al centro del pian terreno presenta un arco a tutto sesto che raggiunge l’altezza del mezzanino mentre ai lati sul parametro a bugnato si aprono quattro grandi finestre. Al piano ammezzato le finestre ripetono la stessa scansione e introducono al piano nobile, dove al centro si apre un’ampia bifora e ai lati finestre dal profilo centinato, con balaustra in pietra. Finestrelle rettangolari segnano il sottotetto, ed un elegante cornicione sporgente definisce la facciata. Il fronte opposto, che guarda verso il giardino, presenta delle analogie con quello di via Cavour, ed è racchiuso dalle due barchesse. La disposizione richiama quella della facciata principale: all’altezza del piano nobile, dove si apre il portale d’ingresso, vi è un terrazzo chiuso da balaustra; all’interno il palazzo presenta la disposizione dei palazzi veneziani con salone centrale che si affaccia sui due fronti, con pregevoli pavimenti in palladiana; inoltre sono presenti alcuni affreschi attribuiti a Giovanni De Min, artista che operò a Vittorio Veneto, nel corso del XIX sec. Le barchesse sono costituite da due parti realizzate in periodi diversi: quella prospiciente il palazzo è datata alla prima metà del XVII sec. mentre quelle terminali, adibite a sala da ballo per le feste e a scuderie, furono edificate nel 1714. FOTO 18. Villa Lucheschi verso via Cavour, nel 1914 FOTO 19. Villa Lucheschi verso il fiume Meschio. 27 Uscendo da Serravalle e da Vittorio Veneto, sulla strada statale che conduce verso Fadalto e Belluno, in località La Sega, (così chiamata per la presenza di un maglio per la lavorazione delle lame ancora presente vicino alla villa), si trova VILLA CASAGRANDE, PRADAL, edificio ristrutturato alla fine del XVIII sec. ma già presente in una stampa del XVI sec. Ritenuto un punto di controllo doganale, nel corso del XIX sec. in corrispondenza dell’apertura della Strada Regia Postale d’Alemagna, viene identificato come albergo “La Sega”. L’edificio che sorge su un terreno roccioso, si sviluppa su un piano terra, un ammezzato, un primo piano e il sottotetto; il corpo principale presenta un ampio arco, sotto cui passa la strada, al centro, in corrispondenza del primo piano si aprono delle finestre rettangolari con parapetto in ferro battuto. Le due ali adiacenti sono composta da semplici aperture rettangolari, chiuse in prossimità del piano ammezzato. Un’alta cornice segna il profilo della copertura che nella parte centrale è a capanna. Il fronte opposto, si differenzia per il prolungamento delle due ali laterali: quella di sinistra si sviluppa non perpendicolarmente ma parallelamente alla strada. Se invece, usciti da Serravalle e Vittorio Veneto, proseguiamo verso Longhere, in zona Forcal, in via Trementina al n°74, troviamo CASA DE NARDI, edificio del XVII sec., assai decaduto e privo dell’intonaco.(foto 20) L’edificio presentava due archi tondi al pian terreno ed una loggia con colonne in pietra nel centro della facciata, che sono stati nel corso degli anni in parte tamponati; infatti è visibile unicamente l’arco di sinistra, dal profilo a tutto sesto, e la parte sinistra della loggia, di cui sono rimaste tre colonnine che sorreggono un architrave in legno. Nella parte destra, a sostituzione delle parti chiuse, si trovano delle finestre rettangolari con cornici in pietra. Nella loggia in passato si trovava un affresco, di cui resta unicamente la figura di San Pietro che faceva parte di una vasta raffigurazione con la Madonna al centro ed un castello sullo sfondo. FOTO 20. Casa De Nardi a Forcal 28 In questo nostro excursus non possiamo tralasciare due ville che si trovano in località Costa. Prendendo la strada che porta verso l’Ospedale Civile, in via Dalmazia al n°40, sorge VILLA DELLA BETTA-GALLON, elegante complesso del XVIII sec, composto dal corpo padronale e da una barchessa. L’edificio a pianta rettangolare, si eleva su tre piani: nel corpo principale presenta l’ingresso originario costituito da un’ampia apertura ad arco affiancata da due monofore a cui si accede tramite una doppia scala a rampa che conduce direttamente al primo piano; al secondo piano si aprono tre finestre che riprendono la stessa scansione di quelle del primo e un semplice frontone con lo stemma della famiglia al centro, chiude la facciata. Sul fronte opposto, quello che guarda verso la strada, si aprono al primo piano due eleganti monofore, mentre al secondo un’elegante trifora. Le ali sono caratterizzate su entrambi i lati da semplici aperture con il profilo in pietra. Interessante è la barchessa prospiciente la villa, che presenta pianta rettangolare e oggi è stata completamente ristrutturata; al piano terra presenta un portico con archi a sesto ribassato e al centro si apre un arco a tutto sesto che attraversa l’edificio fino al fronte opposto. Giunti in prossimità dell’Ospedale, in località Maspiron al n°17 di Via dei Balbinot, si trova VILLA BALBINOT, poi Tonello ora De Nardi, che venne edificata nel tardo seicento in posizione panoramica e in una zona isolata con una prevalente destinazione agricola. (foto 21) L’edificio, a pianta quadrata, presenta al centro della facciata un frontone con timpano e due ali un poco più basse evidenziate da un bel cornicione di gronda sporgente e a mensoloni. Nel centro della facciata si notano una trifora e tre aperture soprastanti che culminano nel frontone; la trifora centrale a fori rettangolari presenta una originale balaustra con la parte centrale decorata da colonnine seicentesche e le finestre laterali sono chiuse da due belle pietre scolpite con eleganti motivi decorativi. Al piano terra si trova un semplice ingresso fiancheggiato da due finestrelle poligonali. Come riferisce il Mazzotti, all’interno nel locale d’ingresso il soffitto presentava robuste travi dipinte, mentre quello della stanza adibita a cucina era decorato con varie cornici di legno che probabilmente riquadravano antiche pitture. La villa possedeva anche una piccola cappella interna, in seguito adibita a camera da letto con una pala lignea. FOTO 21. Villa Balbinot a Costa. 29 Le ville del ‘900 a Vittorio Veneto in relazione alla nascita della nuova città La città di Vittorio Veneto nasce il 22 novembre 1866 dall’ unione delle due antiche municipalità di Serravalle, antica fortezza e feudo caminese, con Ceneda fin dal secolo VIII sede vescovile. Prende il nome di Vittorio in onore del Re Vittorio Emanuele II e solamente nel 1923 diventa ufficialmente Vittorio Veneto. All’atto della fusione vennero stabiliti dei patti che garantivano sia la realizzazione di alcune opere necessarie a Ceneda e a Serravalle sia la creazione di un nuovo centro cittadino nella parte non urbanizzata della città posta tra i due centri storici. Nell’agosto dello stesso anno, le due municipalità di Ceneda e Serravalle decisero di nominare una commissione con l’incarico di redigere un nuovo progetto per regolare l’unificazione delle due zone. Questo progetto doveva prevedere non solamente la costruzione del nuovo centro cittadino con il nuovo Municipio e i palazzi per gli uffici comunali ma anche poneva riguardo alla realizzazione di costruzioni private; nei documenti di questo periodo, si consigliava ai privati di acquistare una zona di terreno lungo il viale della Concordia, oggi Viale della Vittoria, che venendo a costituire il nuovo asse viario di collegamento tra le due antiche municipalità, era necessario abbellire con eleganti edifici, dotati di ampi giardini che avrebbe dato a questa via un’ immagine signorile e residenziale. Due fattori importanti in questo periodo sono sia lo sviluppo della rete ferroviaria sia la crescita economica che rende Vittorio Veneto uno tra i poli più attivi nella regione: motivo per cui saranno presenti nella riorganizzazione della città quegli industriali e quelle parte di borghesia che operavano nel settore delle costruzioni pubbliche o delle calce e dei cementi. Furono proprio costoro che si impegnarono nella costruzione dei villini residenziali lungo il viale principale, secondo l’apposito piano regolatore e già nel 1881 erano state edificate due nuove residenze per il signor Bonaldi e per l’ingegnere Ottavio Croze. L’edificazione dei villini non si limitò solamente alla zona centrale dove ancor oggi possiamo vedere Villa Bertorelli, Villa Croze, Villa Rossa-Da Re, Villa Chiggiato, Villa Errera, Villa Ivancich, Villa Da Ros situata sopra la stazione, ma si estese anche alla zona di Ceneda con Villa Franchetti e Villa Vettore Costantini, già ricordate nel capitolo precedente, e a quella di Serravalle dove vennero costruite Villa Favero, Villa Zennari, Villa Da Zara e Villa Cicogna. (foto 22-23) 31 FOTO 22. Villa Rossa-Da Re nel 1910. FOTO 23. Villa Ivancich nel 1905. Da Piazza San Michele di Salsa, procedendo in direzione del centro, lungo il Viale della Vittoria, al n° 321 sorge VILLA CROZE, oggi sede museale della collezione d’ arte moderna e contemporanea “Giovanni Paludetti”. (foto 24) Venne realizzata in stile liberty agli inizi del XX sec. dall’architetto vittoriese Carlo Costantini per la famiglia Croze. Ottavio Croze possedeva in città una fornace per la produzione di calce e cemento e produceva una serie di manufatti sia da costruzione sia decorativi come piastrelle per pavimenti, balaustre e piastrini. Oggi la villa che conserva ancora la decorazione originale sia all’esterno sia nelle sale all’interno, è stata impreziosita dalla collezione del vittoriose Giovanni Paludetti, che ha donato un cospicuo numero di opere da lui raccolte con grande dedizione e passione. FOTO 24. Villa Croze nel 1909. 32 Lungo il Viale della Vittoria, al n°158, si trova VILLA CHIGGIATO, edificata alla fine del XIX sec. e realizzata su progetto dell’architetto Motta per volontà di Giovanni Chiggiato, antenato degli attuali proprietari. (foto 25-26) L’edificio residenziale è circondato da un ampio parco con alberi secolari di notevole aspetto e comprende una serie di annessi tra cui la casa del giardiniere, una stalla ed una serra. In seguito ai due conflitti mondiali e al terremoto del 1935, il complesso è stato danneggiato ripetutamente e durante la guerra del 15-18 l’archivio di famiglia con i disegni del Motta è andato completamente distrutto. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, venne requisita l’intera recinzione ottocentesca, ad eccezione del cancello d’ingresso e il comando tedesco nel ’43 vi costruì un bunker tuttora esistente. Il corpo principale della villa si sviluppa su tre piani oltre ad un piano interrato; singolare è la torretta con bifore e trifore che si eleva sull’edificio perché costituisce un elemento tipico dello stile dell’architetto che poi è stato ripreso anche in altre ville del viale. Le finestre sia al piano terra che al primo piano hanno cornici in pietra viva intervallate da fasce decorative a colori che caratterizzano l’intero edificio. All’interno, il vano scala è illuminato da un bel rosone in vetro e ferro; la scala, in pietra con una ringhiera in ferro battuto porta al secondo pianerottolo dove le iniziali “G.C” e la data 1883 ricordano il primo proprietario e la data in cui i lavoro sono stati portati a termine. FOTO 25. Villa Chiggiato nel 1906. FOTO 26. Villa Chiggiato, la serra nel 1910 Sempre lungo il Viale della Vittoria, si può trovare VILLA ERRERA, elegante edificio in stile liberty, riadattato tra il 1870 e il 1882, per volere di Moise Errera, dall’architetto vicentino Antonio Caregaro Negrin. (foto 27) Il complesso è costituito dall’edificio principale e da dei rustici tra cui vanno segnalate le serre in pietra costruite dal medesimo architetto nel 1880 che erano provviste di un impianto di riscaldamento per il periodo invernale. Anche il parco, organizzato dal Caregaro Negrin, secondo il gusto romantico del tempo, viene ricordato in un sonetto scritto dal proprietario stesso in occasione dell’inaugurazione dell’opera: “Per te colli, giardini e selve e monti, surgono per incanto all’improvviso e fai tra marmi zampillar le fonti.” 33 FOTO 27. Villa Errera nel 1905 Usciti da Vittorio, proseguendo in direzione di Carpesica e percorrendo via del Bersagliere, in località Col di Luna, su di un promontorio collinoso sorge VILLA VIANELLO-PASSI. (foto 28) E’ un esempio di villa di fine ‘800, e venne progettata nel 1882 dall’architetto Motta per volere del capitano Francesco Alessandro Vianello, esponente di una nobile famiglia veneziana; in seguito passò in mano ai conti Passi di Visnadello. Il complesso comprende il corpo principale, una barchessa destinata a scuderia e ad alloggio per la servitù e un parco, ricco di piante secolari come i lecci e i cedri del Libano; un bel viale sul dorso del colle porta ad una rotonda belvedere da cui si può godere la vista di un panorama incantevole. L’edificio si sviluppa su due piani oltre al sottotetto e ad un seminterrato. La facciata principale risulta sporgente dal volume complessivo e al pian terreno presenta un ingresso a tre ampie aperture ad arco a tutto sesto cui corrispondono al primo piano tre finestre rettangolari. Infine una ricca decorazione policroma e una cornice a dentelli impreziosiscono la parte del sottotetto e del timpano che completa la facciata. FOTO 28. Villa Vianello- Passi nel 1901. 34 Le ville dei dintorni di Vittorio Veneto Anche le zone confinanti con la bella cittadina di Vittorio Veneto, sono caratterizzate dalla presenza di ville molto interessanti sia dal punto di vista storico che architettonico. Usciti da Vittorio Veneto, proseguendo sulla strada che dall’Ospedale Civile porta verso Fregona e Cappella Maggiore, in località Anzano si trova VILLA PANIGAI, poi Protti ora Rossi. Si tratta di un’elegante costruzione in stile neoclassico che si apre in fondo ad un viale. La facciata presenta quattro lesene con capitelli che sorreggono un cornicione e termina in un timpano a dentelli che incornicia al centro una finestra ad arco con un poggiolo in pietra. Si ritiene sia stata disegnata dal Panigai, un sacerdote che si interessava di architettura. All’interno, il salone al primo piano presenta ancora tracce di affreschi di carattere tiepolesco, mentre all’esterno sono ancora ben visibili un ampio giardino, la barchessa e quelle che una volta erano le stalle e le abitazioni dei contadini, oggi ristrutturate e trasformate in un complesso residenziale. Proseguendo poi in direzione di Cappella Maggiore, in località CASTELLETTO, si trova una piccola fortificazione costruita dalla famiglia Piazzoni, di cui rimangono tre torri e un tratto delle mura. Una volta abbandonata quella dimora Gaspare Piazzoni, poeta e umanista, costruì verso la fine del 1600 l’attuale villa, edificata in posizione panoramica. L’edificio a pianta quadrata, presenta all’interno dei soffitti a trave e degli stipiti in pietra; di particolare interesse è la sala superiore con due bifore originali che si ripetono nei due accessi laterali. Dal 1926 la villa è di proprietà della famiglia Tumiati Barbieri. Se al bivio di Anzano, ci si dirige verso Fregona, si giunge alla bellissima VILLATROYER, in seguito diventata proprietà della famiglia Lucheschi e ora appartenente alla famiglia De Mori. (foto 29) Gli elementi stilistici di questa villa e soprattutto le grandi logge sembrano preannunciare la tipologia delle ville della zona montana. Grande è lo sviluppo orizzontale, leggermente rialzato su un corpo centrale a lesene con volute e pinnacoli. Ai due lati di questo edificio dal gusto fortemente baroccheggiante si aprono due logge di bellissima linea rinascimentale con colonne in pietra viva e archi a tutto sesto. Il lato orientale conserva elementi originali sia negli stipiti delle porte che si affacciano sul loggiato, sia nei fori ovali che illuminano la soffitta e nelle mensole che incorniciano il tetto. La scalinata esterna, che conduce all’ingresso principale della villa, si sviluppa su due rampe di scale che vanno a interrompere la continuità del portico al pian terreno. Sul portale d’ingresso e sul frontone si possono notare ancora gli stemmi gentilizi; è presente anche l’antica chiesetta, mentre il parco e il giardino non sono più esistenti. 35 FOTO 29. Villa Troyer a Fregona A Colle Umberto, in località Col di Manza, sorge la CASA DEL TIZIANO, edificio abitato da uno dei massimi pittori del Cinquecento veneziano. L’artista infatti, verso la metà del ‘500 dipinse un trittico, ora assai malandato per la chiesa di Castel Roganzuolo e si fece costruire una piccola villa per la villeggiatura situata sul vicino Col di Manza. L’edificio, edificato tra il 1549 e il 1553, con gli annessi campi passò in eredità ai nipoti, figli di Lavinia che aveva sposato un nobile Sarcinelli (il cui palazzo ancor oggi si può vedere a Serravalle) e da questi passò poi alla famiglia Fabris che ne ha la proprietà da più secoli. La costruzione, assai rimaneggiata e restaurata, ricorda l’abitazione del Tiziano con una lapide: “HAEC TITIANI DOMUS” e a fianco presenta un bel oratorio dalle forme barocche. In vicinanza di San Fior si trova VILLA MOROSINI, ora Lucheschi. L’edificio sorge in località Val Forte come casa domenicale della nobile famiglia veneziana Morosini, e il conte Domenico Morosini, erudito e podestà di Venezia sotto il dominio austriaco, la ricostruì tra la fine del ’700 e gli inizi del ‘800. La costruzione che si eleva su tre piani, presenta un corpo centrale coronato da un timpano dal cui emerge lo stemma della famiglia Lucheschi. Due ariose barchesse, ad archi aperti, destinate a cantine, granai, limonaie, scuderie, incorniciano il giardino che guarda verso i colli e verso la pianura. Vi è anche l’oratorio privato, un tempo dedicato a San Antonio, ora alla Madonna di Lourdes. All’ interno presenta sale con stucchi e due soffitti alla sansovina. Questo edificio che già apparteneva ai discendenti di Francesco Morosini, durante l’invasione del ’17-’18 divenne la sede del Comando Supremo dell’ Aviazione AustroUngarica, e dopo la prima guerra mondiale venne restaurato dagli attuali proprietari Lucheschi. Un altro edificio, già proprietà dei conti Lucheschi ora appartenente alla famiglia Verecondi-Scortecci, è il CASINO di CACCIA ONESTI; una costruzione di piccole ma armoniose proporzioni in origine adibita ad un casino di caccia. 36 La villa, a un solo piano presenta un apertura centrale ad arco a tutto sesto a conci in pietra, sormontato da un ampio frontone con lo stemma della famiglia Onesti e alla sommità una bella statua di divinità pagana All’esterno è presente una barchessa ad uso di foresteria ed una settecentesca chiesetta dedicata alla Beata Vergine della Mercede voluta dalla famiglia cenedese degli Zuliani. All’interno la villa, in tutte le stanze, è decorata da bellissimi stucchi datati 1740 e da affreschi con soggetti di fauna. In Borgo Modena si trova VILLA LUCHESCHI, che nel 1791 apparteneva alla famiglia Lucheschi di Serravalle. Si trattava di un edificio costruito nel XVII sec. e distrutto durante la prima guerra mondiale; ora resta solamente un complesso di edifici ottocenteschi in stile neogotico con torri merlate per cui è nota come “il Castello”. Le adiacenze sono state trasformate in abitazioni e un lungo viale di cedri conduce all’oratorio dedicato a Santa Augusta. Dirigendoci verso Cordignano, nella zona di Villa di Villa, in via Laura Cornaro, si trova VILLA MOCENIGO, detta il Belvedere per il bellissimo paesaggio che si può ammirare. La costruzione anticamente era una torre di guardia trasformata in castello probabilmente dalla famiglia dei Da Camino. Intorno alla metà del 1500 venne acquistata dal conte Antonio IV Altan che vi abitò per lungo tempo; venne trasformata in una sontuosa villa nel 1602 dal vescovo di Ceneda Leonardo Mocenigo. L’edificio, completato nel 1677, visse un periodo di massimo splendore verso la seconda metà del ‘700, quando vi soggiornava il doge Alvise IV Mocenigo con la sua famiglia e la sua corte. La villa possedeva un bel teatro che divenne centro importante per i letterati e gli uomini di cultura del tempo e un bel parco e giardino realizzato nel 1866 dall’architetto Caregaro Negrin in sostituzione dell’antico brolo. Dall’800 in poi la villa iniziò un lento declino subendo progressive demolizioni ed oggi si trova in una situazione di forte degrado. Il parco conserva ciò che resta di una bellissima meridiana orizzontale in pietra ed è ombreggiato da antiche piante secolari. 37 Conclusione La decadenza delle ville venete era già iniziata all’ indomani del trattato di Campoformido ed era andata in seguito accentuandosi nell’Ottocento con la riduzione della rendita agraria e soprattutto durante le due guerre mondiali. Intorno alla seconda metà del secolo scorso, in Veneto, inizia a sentirsi l’esigenza di recuperare questo prezioso patrimonio costituito dalle ville venete: ben poche infatti erano le ville mantenute in maniera decorosa; una parte era stata trascurata causa la decadenza dei patrimoni con conseguente mancanza dei mezzi necessari per il restauro; anche il disinteresse per la campagna e il cambio di abitudini, riguardo la villeggiatura in queste zone, portarono all’ abbandono degli edifici. Altri fattori avevano aggravato e accelerato la decadenza delle ville; infatti durante entrambi i conflitti mondiali erano state ridotte a sedi di comando militare, trasformate in ospedali o servivano da luogo di ricovero delle truppe e da salmerie. Anche nella zona di Vittorio Veneto alcune ville vennero adibite ad una funzione diversa rispetto a quella originaria: Villa Costantini-Papadopoli tra il 1917 e il 1918, era diventata la sede del comando supremo dell’esercito tedesco, Villa Franceschini, dove si era stabilito il comando supremo austriaco, venne eletta a soggiorno personale dell’arciduca Giuseppe d’Austria per un breve periodo. Nel giro di cinquant’anni, l’edilizia privata di questo tipo subì danni così gravi da snaturarne la struttura e talora anche la destinazione d’uso: i proprietari delle ville per ricavare denari necessari alla manutenzione e al restauro, furono costretti a tagliare gli alberi dei parchi, vendere gli affreschi o gli immobili stessi, senza rendersi conto che andava perduto un patrimonio comune. In anni recenti, per impedire che ciò continuasse a verificarsi, si è sentita l’esigenza di catalogare le ville e di provvedere al restauro sia di quelle più importanti sia di quelle minori, tenendo conto anche della tutela del paesaggio veneto che senza di esse sarebbe andato ulteriormente impoverito. E’ importante che si provveda alla conservazione delle ville con la consapevolezza che esse sono monumenti e testimonianza del nostro passato e che non ci si può permettere che un patrimonio di inestimabile valore vada completamente distrutto o venga lasciato perire. 39 Il giardino nell’antichità A differenza di quanto si possa pensare, l’idea di giardino e il desiderio dell’uomo di poter godere della vicinanza della natura è già presente in epoche remote, ed è interessante e alquanto curioso come i primi giardini siano nati proprio in mezzo alle sabbie dell’Egitto e della Mesopotamia, là dove la natura si presenta più ostile. In Egitto, durante il Regno nuovo, il giardino vive il suo periodo di massimo splendore, al punto da diventare parte integrante delle architetture civili e religiose; viene definito da un alto muro di cinta a cui si accede mediante uno o più portali d’ingresso, ed è attraversato da canali alternati a bacini d’acqua, viali alberati e boschetti. Un esempio lo ritroviamo nella tomba di Imeni, architetto di Thutmosis dove compare la raffigurazione di un vasto giardino che definisce il muro di cinta: gli edifici sono attorniati da alberi ad alto fusto, al centro è collocata una grande vasca rettangolare circondata da arbusti e filari di palme, piante ornamentali, e da una serie di alberi da frutto. Il giardino egiziano sembra infatti volersi isolare dal contesto ostile che lo circonda, e le zone desertiche sterili vengono rese fertili. L’ acqua e gli alberi diventano due fattori fondamentali, e la loro disposizione non è casuale ma seguendo regole ben stabilite, creano una geometrizzazione dell’impianto. Infatti la definizione di un perimetro crea ordine e sicurezza, le mura separano un mondo ben definito dalla caoticità della natura desertica e definiscono un ambiente intimo e protetto dai pericoli dell’esterno: nel giardino egiziano si sente la netta contrapposizione tra dentro e fuori, tra sfera privata e pubblica che sarà poi la caratteristica dei giardini rinascimentali. Anche in Mesopotamia, nelle città di Ur e di Uruk, emergono i resti di alcuni ziggurat, caratteristici dell’architettura babilonese e assira, su cui si pensa sorgessero i giardini pensili di Babilonia, fatti costruire da Nabucodonosor per la regina Semiramide e che Erodoto annovera fra le sette meraviglie del mondo. Purtroppo a testimonianza di questi giardini rimangono unicamente quattordici stanze voltate, che probabilmente servivano a sostenere delle terrazze a piani sovrapposti, coperte da uno strato di terra, dove crescevano degli alberi e percorse da una rete di canali per lo scorrimento dell’acqua che aveva la duplice funzione di irrigare il giardino e di garantire un clima gradevole nelle stanze inferiori. Un altro storico antico, Senofonte, ci da un importante descrizione del parco di Sardi, situato nella regione dell’ antica Persia: un immenso giardino che Ciro aveva fatto costruire e che lo storico definisce paradeisos ossia un paradiso in quanto “è pieno di ogni cosa bella e buona che la terra può offrire”. Anche il paradeisos di Ciro è basato su tre componenti principali, gli alberi, l’acqua e un’impostazione geometrica dell’impianto con piantagioni regolari di alberi da frutto a cui si aggiunge un gusto di ispirazione più naturalistica con zone a prato e terreni adibiti alla caccia. 41 Nell’antica Grecia, invece, a causa del clima e della conformazione del terreno, non vi è posto per i vasti spazi del paradeisos orientale; il giardino greco ha solamente un recinto a protezione di un’ area coltivata, con una funzione meramente utilitaristica e la sua ricchezza è costituita principalmente dai frutti che produce. Grande importanza e valore sacrale assumono i boschi, che vengono considerati dimora degli dei, proteggono il dio e avvicinano gli uomini alla natura; per tali motivi in prossimità di questi, vengono costruiti i santuari e sono coltivati dei poderi, alcuni consacrati alla divinità dove crescono piante aromatiche, fruttifere e fiori per il culto, altri destinati alla produzione agricola per il sostentamento del santuario. Nel primo periodo di sviluppo della civiltà romana, la popolazione, legata ancora alla coltivazione dei campi, identifica il giardino con la parola hortus che sta ad indicare la parte di terreno recinto, e che diventando parte integrante e inscindibile dell’edificio viene destinato al culto dei Lari, le divinità protettrici della casa. Anche il bosco è sacro ed il culto dei boschi è una caratteristica dei romani, popolo di pastori prima ancora che agricoltori; la sacralità del luogo è tale che esso diventa libero di crescere e prosperare secondo le sue regole. Nella Roma di Augusto, il verde pubblico acquista una grande varietà di forme: da un lato si sviluppano gli orti suburbani i cui prodotti costituiscono un importante sostentamento per la città con la produzione di verdure fresche, dall’ altro nascono gli hortuli o parchi pubblici, caratterizzati da una passeggiata alberata e dalla presenza delle terme dove l’acqua diventa un importante elemento decorativo e Roma viene appellata come la città dell’acqua. L’evoluzione del verde cittadino si riflette anche nell’abitazione romana, dove una parte di essa viene destinata ad un vero e proprio giardino ossia il peristilium: un ambiente, circondato ai lati da un lungo porticato che permette di ripararsi dalla calura estiva e di passeggiare, ricco di statue di marmo, fontane dove l’acqua zampilla e aiuole fiorite disposte in maniera regolare; l’hortus invece viene diviso in più parti adibite a diverse colture. Nelle ville del periodo neroniano, il giardino si espande e si arricchisce di elementi architettonici, spesso tratti dal paesaggio sacro, come il ninfeo, tempietti e grotte e l’ars toparia ossia l’arte di modellare i luoghi, si riflette nella volontà di creare e realizzare nuovi paesaggi rendendo la vegetazione architettura stessa. È assai curioso ricordare anche la tipologia del giardino arabo, che ebbe un posto di rilievo non solo in Spagna ma anche in Italia e nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Il giardino infatti è parte integrante della cultura e della religione islamica e nel Corano la parola jinn’a sta a significare sia giardino che Paradiso, individuando ancora una volta, tutto ciò che si contrappone al deserto e che nasce dall’armonia dei quattro elementi principali: il fuoco, l’aria, la terra, e l’acqua. Maometto il più delle volte descrive il giardino come metafora del Paradiso, dove l’uomo che ha vissuto saggiamente e i giusti potranno stare adagiati su morbidi cuscini protetti dall’ombra della vegetazione e godendo della felicità che i sensi possono offrire loro. Anche secondo la cultura islamica l’acqua è l’elemento vivificante del giardino: disseta e permette la crescita di fiori e di piante sempreverdi e a foglia perenne, poiché secondo le 42 prescrizioni del Corano, niente deve mutare o perire, quasi a voler sottolineare la continuità della vita. La centralità del giardino nella produzione islamica è testimoniata dai molti trattati che si occupano di piante e che indicano le caratteristiche costruttive di un buon giardino: deve possedere una lieve pendenza per favorire lo scolo delle acque, venire protetto da alte mura e dotato di adeguate cisterne; la composizione delle aiuole è definita secondo un impianto geometrico derivato dalla tradizione persiana per cui esse devono essere rettangolari e ordinate su due assi perpendicolari marcati da canali che vanno ad incontrarsi in un padiglione o in una fontana posta al centro da cui sgorga acqua corrente. L’impostazione del giardino arabo va a mescolarsi con una idea filosofica della struttura dell’universo dove la fontana da origine a quattro fiumi(i canali appunto) che nel Corano sono di latte, miele, vino e acqua, bevande apportatrici di piacere e appagamento. 43 Il giardino in età medievale Nel V sec, con la caduta dell’impero romano d’Occidente e le invasioni barbariche, la popolazione, costretta a rifugiarsi e a vivere in ambienti fortificati come borghi e castelli, abbandona e trascura la lavorazione dei terreni, che vengono invasi dalla foresta; in questo modo dalla ricchezza dei giardini romani si passa alla povertà del giardino medievale a cui non resta che uno spazio esiguo all’interno del borgo, del castello o del monastero. Attraverso gli scritti poetici di un religioso, Venanzio Fortunato, nato a Ceneda nel 530, possiamo conoscere i giardini delle città e delle corti dei Franchi e dei Goti, dove lui aveva avuto occasione di sostare durante i suoi lunghi viaggi in Francia e che lui ricorda per la fragranza delle pere e delle mele e per il profumo delle violette. Anche i monasteri, in questo periodo, svolgono un ruolo importante; infatti non sono solamente centri religiosi ma tendono ad acquistare una forte valenza culturale; vengono copiati dagli amanuensi gli antichi libri in latino tra cui ve ne sono alcuni che riguardano il tema del giardino. All’ interno dei monasteri, la memoria del giardino romano, pur nell’esiguità dello spazio, sembra mantenersi in alcuni elementi come la partitura in forme regolari delle aiuole e nella presenza dello stesso chiostro. Un esempio interessante è dato dall’Abbazia di San Gallo, che presenta un chiostro affiancato da tre giardini: quello più piccolo (herbularius) è situato in prossimità degli edifici per la cura degli infermi e vi si coltivano piante officinali; vicino è collocato il giardino “dei semplici” formato da otto aiuole rettangolari dove si trova l’indicazione delle piante coltivate tra cui anche i fiori usati per decorare la chiesa e infine, dalla parte opposta di questo giardino, troviamo l’orto, vero e proprio hortus, suddiviso in diciotto campi rettangolari, ognuno destinato alla coltivazione di un diverso ortaggio e affiancato dal cimitero. Con l’anno Mille si ha una ripresa economica e un incremento demografico che portano ad un rifiorire delle città dove le figure dei vescovi-conti acquistano sempre più importanza, si intensificano gli scambi culturali e si instaura un rapporto diretto tra i centri cittadini e la campagna circostante. Gli ordini religiosi, con Bernardo da Chiaravalle, non sono più solo trasmettitori di cultura ma acquistano rilievo sociale come centri di lavoro e di produzione e si sviluppa una nuova idea del giardino: il monastero deve infatti possedere un recinto con piante da frutto, dove i malati possano passeggiare e una vasca con pesci e con i bordi tali che i malati possano sedere a riposarsi. Inoltre le aiuole vengono ben suddivise e spartite da vialetti lastricati in cotto o pietra locale e al centro del chiostro si trovano due elementi simbolici, spesso ricorrenti, come una fontana o un pozzo e una pianta di ginepro. I fiori diventano un elemento essenziale del giardino: i loro colori e profumi pervadono i chiostri, privandoli del loro valore utilitario e rendendoli luoghi di contemplazione e raccoglimento. 45 Poche sono le testimonianze visibili dei giardini di questo periodo all’interno dei castelli; è probabile comunque che esistessero dal momento che vengono cantati nei romanzi cavallereschi e vengono spesso illustrati nelle miniature: solitamente si tratta di un prato, protetto da un muro di cinta, ricco di ogni specie di fiori e alberi da frutto e bagnato dall’acqua di un ruscello o di una fontana. Nel XIII- XIV sec, con il consolidarsi delle monarchie, iniziano a formarsi i primi parchi reali, notevoli per la vastità dei terreni e per la ricchezza dei motivi ornamentali tra cui compare il labirinto. Il labirinto, costruito in pietra e legno, è realizzato con essenze vegetali e non è estraneo neppure alla simbologia religiosa: infatti deve ricordare agli uomini le vie tortuose della ricerca della verità, ed è il luogo dove l’anima si perde ma può ritrovare la luce, guadagnando l’uscita. Per stupire e divertire il visitatore il parco si arricchisce della presenza di automi; si tratta di macchine semoventi, animali impagliati, condotti sotterranei dai quali fuoriescono getti d’acqua e specchi deformanti, che vengono disseminati e nascosti tra la vegetazione. Fra l’ XI e il XIV sec, si sviluppa anche una letteratura mistica, ricca di trattati di grande rilievo, dove il giardino e le piante assumono una vera e propria simbologia religiosa, alludendo alle figure di Gesù e di Maria per cui il giardino diventa hortus conclusus, simbolo della verginità di Maria, la rosa il simbolo del sangue di Cristo, i gigli bianchi la purezza della fede, mentre la melagrana è simbolo dell’ unità della Chiesa e degli apostoli. A Vittorio Veneto non abbiamo testimonianze di giardini di età medievale ma è possibile che esistessero anche in questa zona sia all’interno del CASTELLO di SAN MARTINO, sia in qualche convento o monastero situato in città. Il Castello di San Martino, risale al VII sec. quando viene distrutta Oderzo e Ceneda diventa un’ importante sede vescovile. Nel 903, dopo la devastazione operata dagli Ungari, il centro principale di Ceneda viene ricostruito ai piedi del Castello e nel 962 il vescovo Siccardo ottiene dall’imperatore Ottone I la giurisdizione temporale; a partire da questa data, Ceneda viene amministrata dai vescovi-conti fino al 1768, quando un decreto veneziano abolisce ogni forma giurisdizionale temporale. Dell’organismo più antico si conserva sia una massiccia torre pentagonale con bifore, che doveva servire da residenza signorile, sia i resti di una torre minore, diroccata durante il terremoto del 1873, che doveva fungere da serbatoio di raccolta dell’acqua piovana e da prigione. L’attuale nucleo centrale, la corte d’onore, risale alla fine del XV sec., e venne fatto erigere dal principe-vescovo Marcantonio Mocenigo, come sua residenza. Pur non avendo testimonianze della presenza di un giardino, oggi all’interno del Castello è possibile vedere, lungo le mura, dei terrazzamenti di verde che fanno pensare alla presenza di un luogo che probabilmente doveva avere tale funzione, così come il cortile esterno, su cui si affaccia la parte ricostruita dal Mocenigo, che racchiuso tra le mura dell’ edificio e le arcate che guardano verso il paesaggio, con una piccola fontanella posta al centro e un pozzo, non possono non ricordare la tipologia dell’hortus conclusus, andata poi modificata con il passare dei secoli. 46 All’ esterno lungo il versante della collina, dove oggi si possono vedere le coltivazioni di ulivi, probabilmente si estendevano le estese proprietà del vescovo-conte. Un altro esempio di giardino che a mio avviso potrebbe ricordare la tipologia del giardino medievale è il CHIOSTRO DEI CARMELITANI, che si trova lungo via Caprera, in prossimità della Chiesa di San Giovanni. All’ edificio eretto nel 1347, si affianca il monastero, costruito nel XIV sec, per volere dei frati francescani, e successivamente retto dai padri Carmelitani, che ancor oggi conserva il chiostro affrescato nel XVII sec, dalle linee semplici e austere. Questo chiostro presenta la tipologia dell’ hortus conclusus; infatti è chiuso da tutti e quattro i lati dalle murature dell’edificio, possiede un chiostro che aveva una valenza di riposo e meditazione, funzione questa che può essere testimoniata dalla presenza degli affreschi; inoltre le aiuole sono divise in otto spicchi da due vialetti che si incontrano al centro dove si trova un pozzo, e che dividono il giardino in quattro parti principali. Secondo la simbologia cristiana il numero quattro contiene un preciso significato: infatti quattro sono gli evangelisti, quattro le virtù cardinali, quattro i profeti e i dottori della chiesa, numero che ricorre sovente anche nella decorazione degli edifici sacri. 47 Il Rinascimento: il giardino all’ italiana Nel Rinascimento, le regole della logica, dell’armonia e della proporzione si riflettono anche nell’arte del giardino; ancora una volta, si può ricordare il “De re aedificatoria”, dove l’Alberti da alcune indicazioni su come procedere nella realizzazione del giardino: ”I sentieri saranno determinati dalla posizione delle piante, che saranno a fogliame sempreverde. Si faranno cerchi, semicerchi ed altre figure geometriche in uso nelle aree degli edifici, limitate da serie di allori, cedri, ginepri, dai rami piegati e reciprocamente intrecciati. Si terranno vasi dinanzi alle fontane, nei giardini, con funzione ornamentale. Si renderà verde il giardino mediante erbe rare, o raccomandate per qualità mediche. (… )” E’ evidente come la costruzione del giardino diventi strettamente legata all’architettura e addirittura architettura essa stessa; il giardino si pone come lo sviluppo naturale della facciata, facendole da sfondo e non è più solamente un luogo dove passeggiare e sostare, ma diventa uno scenario fisso ed immutabile, motivo per cui non compaiono fiori ma solamente specie arbustive sempreverdi e siepi dalle forme squadrate. Il giardino assume un impianto regolare all’interno di uno spazio ben definito, venendo segnato da partizioni geometriche, che seguono un preciso asse di simmetria; le statue, solitamente collocate in maniera molto casuale, nel giardino all’italiana vengono inserite in all’interno di nicchie e rientranze architettoniche, incorniciate da siepi di bosso. Agli inizi del ‘500 il primo grande giardino, che applica i principi dell’ Alberti, è realizzato a Roma da Donato Bramante per Villa Belvedere: si tratta infatti della prima progettazione di uno spazio all’aperto, concepito come architettura e con una precisa funzione: quella museografica, in quanto in esso dovevano trovare adeguata sistemazione le sculture antiche, collezionate dal proprietario. Il progetto del Bramante racchiude in sé tutte le caratteristiche tipologiche del giardino all’italiana; l’architetto infatti suddivide un grande spazio rettangolare in tre parti che corrispondono a tre differenti livelli: la terrazza più elevata acquista una funzione di prospetto principale grazie al grande portico con emiciclo monumentale al centro e risulta ripartita in aiuole rettangolari bordate da siepi di bosso, ordinate su un asse mediano e accorpate a gruppi di quattro intorno ad una fontana. La terrazza intermedia costituisce lo scenario di passaggio e di raccordo con il livello superiore, risolto con una doppia rampa di scale, al di sotto della quale è posta una grotta artificiale. Le varie terrazze sono scandite sia da elementi architettonici come balaustre, sequenze di statue, scale e loggiati sia da elementi “naturali” come grotte, radure con rotonde belvedere in punti panoramici, ninfei e fontane dove l’acqua, ancora una volta, acquista un ruolo dominante nella composizione. Interessante è il Veneto, dove il Palladio mantiene un atteggiamento distaccato nei confronti del giardino: nei suoi scritti egli si sofferma raramente sulla descrizione dei giardini e nelle sue realizzazioni, si limita a creare ampi recinti di forme geometriche che 49 introducono alla villa; per questo motivo le sue ville sembrano avere vita piena nel paesaggio, inserendosi completamente nella campagna che le circonda o lungo il fiume senza bisogno di una mediazione formale. Il giardino all’italiana rappresenta un modello che avrà gran fortuna in tutta Europa in particolar modo in Francia, dove l’assolutismo nel XVII sec. sembra travolgere anche l’arte di costruire i giardini, affermando in questo campo la volontà di rappresentare una realtà solenne e grandiosa. Nei giardini francesi infatti il giardino all’italiana viene ripreso come prototipo, ma gli spazi vengono moltiplicati, e le superfici sembrano perdersi nel territorio dando un’idea di vastità e privandosi di contorni chiari e ben definiti. Il limite del giardino alla francese, non è più un muro o una siepe ma diventa una foresta segnata da viali rettilinei che incontrandosi tra loro, formano delle trame geometriche a grande scala. I parchi occupano intere valli; si moltiplicano le fontane che si arricchiscono di giochi d’acqua, si costruiscono padiglioni e casini di caccia per lo svago e il divertimento della corte: in questo modo i giardini diventano degne cornici per una celebrazione perenne del potere del re. A Vittorio Veneto le testimonianze dalla presenza di giardini all’italiana, sono molto limitate e soprattutto sono poco visibili dal momento che i parchi sono racchiusi da alti cancelli e non è possibile visitarli. Presso VILLA LUCHESCHI, in via Cavour, a mio parere, è possibile vedere ancora qualche traccia, anche se in dimensioni molto ridotte, di un giardino all’italiana; la facciata interna, racchiusa dalle barchesse, presenta un terrazzo al primo piano con una balaustra ricoperta da piante rampicanti, che ne arricchiscono l’aspetto, e nel parco, tra le piante secolari, si possono intravedere aiuole e siepi dalle forme geometriche, alcune statue e una piccola fontanella. Il parco probabilmente si estendeva oltre i cancelli della villa, dove erano situati i terreni di proprietà della famiglia Lucheschi. 50 Il giardino romantico Vi è un importante volume “Upon the garden of Epicurus” scritto nel 1685 dall’inglese William Temple che sembra gettare le basi per quello che sarà il giardino all’inglese; infatti egli pone il problema di costruire i giardini “secondo natura” e non più secondo le forme squadrate che l’uomo imponeva alle piante e per primo, egli descrive i giardini cinesi che tanto influenzeranno tale tipologia. Nell’arte dei giardini del Settecento la componente del fasto e della grandiosità è ancora presente ma con il volgere del secolo, sembra venir soppiantata da ideali di semplicità e rigore per cui la bellezza si esprime in un gusto per il “pittoresco”. Il termine Pittoresco, che caratterizzerà i giardini di questo periodo, chiamati anche “all’inglese”, esprime l’idea della natura come un ambiente in cui l’uomo vive e dove la spontaneità diventa un elemento principale. Al contrario del giardino geometrico e ben ordinato che aveva avuto gran fortuna nel Cinquecento e nel Seicento, il giardino all’inglese o pittoresco, non presenta elementi che servono a circoscrivere lo spazio come fondali, quinte arboree o siepi, ma si basa sull’accostamento casuale di elementi naturali ed artificiali, che si scoprono passeggiando, senza aver mai una veduta d’insieme. In un giardino di questo tipo, si susseguono prati e grotte, ruscelli e rocce, pagode e tempietti in stile gotico o dalle forme classiche e finte rovine, suscitando nel visitatore grande sorpresa e un’ idea di spontaneità, dal momento che la natura assume così un carattere selvaggio, senza però venir mai trascurata. Un importante elemento è come la natura riesca a suscitare diverse emozioni, dal momento che si mostra nelle sue molteplici manifestazioni; infatti l’acqua forma ruscelli e laghetti adagiati in morbide conche erbose, i boschi presentano piante autoctone, di grosse dimensioni a cui si mescolano piante esotiche, che acquistano sempre più una presenza corposa nella progettazione del giardino, infine si possono incontrare padiglioni orientali e pagode che testimoniano il gusto per il giardino cinese. Nel giardino all’inglese, il paesaggio circostante sembra avere un ruolo centrale e predominante sull’intera composizione, e il giardino, espandendosi oltre il confine del parco va a inglobare la campagna e i terreni circostanti, in un senso di armonia per cui tutto il paesaggio sembra diventare un immenso giardino. Nel corso dell’Ottocento, lo stile paesaggistico sembra venir influenzato dal gusto eclettico, motivo per cui all’impianto informale del giardino si aggiungono delle “stanze” all’aperto disposte secondo un gusto classico o esotico. Queste “stanze” segnano la convivenza di più ambienti all’interno di uno stesso giardino, segnando la fine del concetto di unitarietà dello stile per cui le varie parti tendono a frantumarsi in una serie di elementi, alcuni di gusto esotico con pagode e padiglioni, altri legati ad un revival storico con antiche rovine, templi e edifici in stile gotico o rinascimentale. E’ importante ricordare come in questo periodo si sviluppa una vera e propria architettura da giardino, motivo per cui, si costruiscono serre, pagode, cedraie utilizzando materiali nuovi come il vetro e il ferro. 51 A Vittorio Veneto, in località Ceneda, il parco di VILLA COSTANTINIPAPADOPOLI si adegua pienamente al gusto del giardino all’inglese e nel 1874 viene così descritto dal Caccianiga: “..nessun parco può vantare un orizzonte più vasto e magnifico del giardino Costantini. Quivi l’arte non ebbe che apparecchiare delle cornici ai gran quadri presentati dalla natura circostante contemplati da un’ oasi deliziosa di fiori” mentre nel 1903, nel suo “Indicatore della città di Vittorio” , Iacopo De Rossi lo definisce “il più vago parco che vi sia nella provincia di Treviso”. Il parco venne realizzato da Antonio Caregaro Negrin, uno dei più grandi progettisti di parchi del Veneto, in collaborazione con il proprietario della villa, il nobile Costantini, appassionato di botanica e di studi riguardanti le tecniche di silvicoltura. Negrin realizzò un pittoresco giardino che si estende fino al colle sovrastante la villa, e fu costretto a demolire i muri della vecchia strada. Per la realizzazione del grande muraglione pensile , ai piedi del colle, su cui si sviluppa una parte del parco, l’architetto progettò una ricca decorazione con tondi contenenti busti di personaggi illustri, putti scolpiti e la costruzione di finte grotte. Il gusto eclettico dell’architetto, si manifesta nella realizzazione di un tempio a cupola, in stile rinascimentale dedicato al Cadore, luogo nativo del Costantini, e nella presenza di un berceau poligonale con una funzione di belvedere in stile goticheggiante. Della struttura originaria e delle architetture presenti nel parco, purtroppo resta ben poco, ma camminando lungo i vialetti, tra alberi antichi e maestosi, si prova quella sensazione di curiosità, propria del “gusto pittoresco” e si possono ancora incontrare le rovine dell’ antica serra, i resti di una cedraia e una rotonda belvedere da cui si può godere una bellissima vista sul paesaggio circostante. 52 La nascita del verde pubblico Già nell’antichità il verde pubblico ha una sua importanza; ad Atene infatti i primi giardini, di pubblica utilità, sono quelli dell’Accademia del Linceo e a Roma si costruiscono vere e proprie aree suburbane; ma solamente nell’Ottocento, si iniziano a realizzare i primi parchi moderni, pensati per un uso pubblico e il progetto del verde diventa parte integrante dei piani di sistemazione urbanistica dove le parti vecchie della città si raccordano a quelle nuove mediante la costruzione di viali alberati e parchi. Nel corso del XIX sec. si consolidano gli elementi caratteristici del verde urbano che deve avere come obiettivo principale quello della salubrità; infatti deve prevedere la presenza di spazi all’aria aperta che permettano al corpo e alla mente di riposarsi. A ciò si aggiunge un fattore di tipo estetico che porta alla ricerca di una “città bella” e all’esigenza di armonizzare l’elemento del decoro urbano con quello del verde, motivo per cui si costruiscono quartieri residenziali con villini di prestigio vicino ai parchi e lungo le vie principali della città. Infine, nella realizzazione del verde pubblico, non si può trascurare un interesse di tipo scientifico che trova larga diffusione in questo periodo, per cui forte è la richiesta di orti botanici e di giardini specializzati, che si arricchiscono di piante esotiche e ornamentali. In questa nuova idea del giardino, il verde pubblico, con parchi e abitazioni private contribuisce a creare nuovi e piacevoli luoghi di svago che garantiscono un miglioramento nella salubrità dei siti. Nel 1866, Vittorio Veneto, in seguito alla nascita della nuova città, sembra dare grandissima importanza al verde pubblico; infatti i piani comunali prevedevano la realizzazione di un lungo asse viario, il Viale della Concordia, così chiamato perché la città era considerata vivibile e salubre, lungo il quale dovevano venir piantati alberi molto grandi che con la loro ampia chioma, avrebbero permesso ai cittadini delle piacevoli passeggiate. (foto 30-31) Nella zona centrale, davanti al Municipio, vennero realizzati i giardini pubblici; l’ingegnere Gentili affidò al Caregaro Negrin il progetto che però non venne mai realizzato. Alcune foto, datate agli inizi del XX sec. mostrano i giardini vittoriesi costituiti da due ampi spazi: il primo, l’attuale Piazza del Popolo, dove si trovava situato un monumento in onore del Re d’ Italia Vittorio Emanuele II, era raccordato ad un secondo spazio, molto più esteso, dove oggi si trovano i giardini, con al centro collocata una statua dedicata a Garibaldi. Già allora, secondo la moda del periodo, erano stati piantati gli alberi secolari e le piante esotiche, che ancora oggi sono presenti. Sullo sfondo si intravede la nuova stazione con Villa Da Ros e lungo il viale della Concordia, l’attuale bar Lux, in quegli anni costruito secondo un gusto tipicamente liberty. (foto 32) Tale impostazione “risorgimentale” dei giardini, cambia negli anni ’30, quando in entrambi gli ampi piazzali, le statue vengono sostituite con due grandi fontane, ancor oggi presenti, e la statua di Garibaldi viene collocata sotto le scalinate di accesso alla stazione. 53 FOTO 30. Viale della Vittoria nel 1908 FOTO 31. Viale della Vittoria con l’attuale Lux FOTO 32. I giardini pubblici nel 1908 54 BIBLIOGRAFIA PARTE RELATIVA ALLE VILLE. RINO BECHEVOLO, Il Castello di San Martino. GIANCARLO BRAIDO, Città e industria: la formazione urbana e industriale di Vittorio Veneto nel XX sec, 1990. COLLE UMBERTO, fascicolo a cura del Comune di Colle Umberto. ADRIANO FAVARO, Isabella Teotochi Albrizzi, 2003. ISTITUTO REGIONALE VILLE VENETE PER LA PROVINCIA DI TREVISO, Ville venete: la provincia di Treviso, 2001. GIUSEPPE MAZZOTTI, Le ville venete, a cura di G.Mazzotti, 1987 ANTONIO PAZZAIA, 550 “VEDUTE” 1886-1914. La cartolina illustrata nella corrispondenza postale aperta e gli annullamenti, a cura di A. Pazzaia, 1992. FRANCO POSSOCCO, dal Flaminio n° 10, 1997. BERNARDETTA RICATTI, Antonio Caregaro Negrin, un architetto vicentino fra eclettismo e liberty, 1980. GIANDOMENICO ROMANELLI, Palladio, art dossier, 1995. VINCENZO RUZZA, Guida di Vittorio Veneto e dintorni. BASILIO SARTORI, Pagine di storia e di vita cenedese. VILLE VENETE, fascicolo a cura della Regione Veneto. PARTE RELATIVA AI GIARDINI MARGHERITA AZZI VISENTINI, Il giardino veneto: storia e conservazione 1998 MARIELLA ZOPPI, Storia del giardino europeo. MATERIALE FOTOGRAFICO Foto 1-3-4 tratte da LE VILLE VENETE a cura della Regione del Veneto. Foto 2 tratta da LE VILLE VENETE a cura di Giuseppe Mazzotti. Foto 5-6-11-14-17-19-20-21 tratte dall’Archivio Fotografico della Provincia di Treviso. Foto 7-8 tratte da ANTONIO CAREGARO NEGRIN a cura di Bernardetta Ricatti. Foto 9-10-12-13-15-18-22-23-24-25-26-27-28-30-31-32 tratte da 550 “VEDUTE” 1886-1914. La cartolina illustrata nella corrispondenza postale aperta e gli annullamenti, a cura di A. Pazzaia . Foto 16- 29 foto personali del signor Fulvio. 55