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diritto penale militare
INSEGNAMENTO DI
DIRITTO PENALE MILITARE
LEZIONE II
“CIRCOSTANZE CONNESSE CON IL REATO”
PROF. FRANCESCO BACCARO
Diritto penale militare
Lezione II
Indice
1 AGGRAVANTI DEL REATO MILITARE IN GENERE ------------------------------------------------------------- 3 2 LA RECIDIVA------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 5 3 ATTENUANTI DEL REATO MILITARE IN GENERE -------------------------------------------------------------- 6 4 CAUSE DI NON PUNIBILITÀ MILITARI ----------------------------------------------------------------------------- 10 5 LA NON PUNIBILITÀ PER ERRORE DI FATTO E DI DIRITTO IN RIFERIMENTO
ALL’ESECUZIONE DELL’ORDINE ILLEGITTIMO ---------------------------------------------------------------------- 13 6 LA COLPEVOLEZZA DEL SOGGETTO AGENTE ----------------------------------------------------------------- 17 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Lezione II
1 Aggravanti del reato militare in genere
Le aggravanti sono circostanze connesse con il fatto delittuoso tali da far assumere al reato
una maggiore gravità, comportando di conseguenza un aumento percentuale della pena prevista.
Per quanto riguarda i militari, trovano applicazione le aggravanti previste dal codice penale
comune, ed, altresì, le aggravanti che riguardano esclusivamente i militari responsabili di violazione
della legge penale militare e che sono da questa previste.
In riferimento a queste ultime, assume particolare rilevanza l’art. 47 del c.p.m.p., laddove è
previsto quanto segue:
a) aver agito per timore di un pericolo al quale il colpevole aveva un particolare dovere
giuridico di esporsi - si tratta di manifestazioni di codardia o viltà di fronte al pericolo,
inammissibili per un militare, che si riferiscono però non a doveri generici ma soltanto a
quelli sanciti dalla legge o dal diritto disciplinare;
b) l’essere, il militare colpevole, rivestito di un grado o di un comando - non è questa una
circostanza aggravante quando il reato è connesso con l’esercizio del comando o con i
doveri del superiore;
c) aver commesso il fatto con le armi di dotazione militare, o durante un servizio militare,
ovvero a bordo di una nave o aeromobile militare. Queste circostanze aggravanti possono
coesistere in un unico fatto delittuoso, nel qual caso sono applicabili contemporaneamente
gli aumenti di pena previsti per ognuna;
d) l’aver commesso il fatto alla presenza di tre o più militari o, comunque, in circostanze di
luogo per le quali possa verificarsi pubblico scandalo;
e) l’aver commesso il fatto in territorio estero mentre vi si trovava per ragioni di servizio,
oppure mentre vestiva, ancorché indebitamente, l’uniforme. Il prestigio delle Forze Armate
è un interesse militare che si cerca di tutelare sempre con rigore, in particolare in territorio
straniero.
E’ facile dedurre che, ogniqualvolta al militare si contesti la commissione di un reato, sia
esso militare od ordinario, a tale reato si aggiungerà nella maggior parte dei casi l’aggravante di
cui sopra alla lettera b), essendo il militare nel 99% dei casi rivestito di un grado.
Quanto all’aumento di pena che scaturisce in presenza di una circostanza aggravante,
assume rilevanza l’art. 50 del c.p.m.p., laddove è previsto che la pena da infliggere per il reato
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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commesso è aumentata fino ad un terzo, ciò allorquando l’aumento non è determinato dalla
legge.
Qualora ricorranno, invece, più circostanze aggravanti, il c.p.m.p., all’art. 52, rinvia al
codice penale comune (artt. 66 e ss. del c.p.).
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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2 La recidiva
Per la recidiva assume particolare rilevanza l’art. 99 del c.p., posto che l’art. 57 del c.p.m.p.,
rubricato recidiva facoltativa fra reati comuni e reati esclusivamente militari, è da intendersi
implicitamente abrogato a seguito delle modifiche introdotte nel predetto art. 99 del c.p. con l’art. 9
del D.L. n. 99 dell’11 aprile 1974, convertito nella legge n. 220 del 07 giugno 1974.
Ai sensi dell’art. 57 del c.p.m.p. è, comunque, previsto che il giudice, salvo che si tratti di
reati della stessa indole, ha facoltà di escludere la recidiva fra reati preveduti dalla legge penale
comune e reati esclusivamente militari.
Tale norma è da intendersi implicitamente abrogata poiché la prefata facoltatività è ora
anche prevista dall’art. 99 del c.p. ai seguito delle modifiche anzidette.
Pertanto, solo in passato, quando ai sensi della legge penale comune non era previsto siffatto
regime di facoltatività, aveva la sua rilevanza l’art. 57 del c.p.m.p.
Da qui deriva che, trovando applicazione anche per i reati militari l’art. 99 del c.p., non ha
più ragione di avere efficacia l’art. 57 del c.p.m.p.
In sostanza, l’art. 57 del c.p.m.p. aveva una forza derogatoria della legge penale comune,
stante, per l’appunto, la mancata previsione facoltativa della recidiva nella seconda legge.
Successivamente, invece, a seguito dell’introduzione anche nel codice penale comune della
previsione facoltativa della recidiva, non ha più avuto, quindi, motivo di esistere codesta forza
derogatoria, potendosi applicare anche ai reati commessi dai militari i principi ivi previsti.
Per quanto sopra, il Giudice che, ad esempio, si trovi a processare un militare per il reato di
disobbedienza (reato esclusivamente militare previsto e punito ex art. 173 del c.p.m.p.), ma che già
ha riportato una condanna per il reato di falso in atto pubblico (reato comune previsto e punito ai
sensi dell’art. 479), avrà la facoltà di escludere o meno la recidiva, ciò in virtù del suo potere
discrezionale. In caso di non esclusione della recidiva, troveranno applicazione gli aumenti di pena
all’uopo previsti e le altre conseguenze previste dalla legge previste ai sensi dell’art. 99 del c.p. ed,
altresì della legge n. 251 del 2005 che, a sua volta, ha introdotto ulteriori effetti della recidiva.
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3 Attenuanti del reato militare in genere
Le attenuanti sono circostanze connesse con il fatto delittuoso tali da far assumere al reato
una minore gravità, comportando di conseguenza una riduzione percentuale della pena prevista.
Oltre le attenuanti comuni e generiche previste dal codice penale comune, per il militare,
responsabile di una violazione della legge penale militare, sono applicabili le attenuanti previste dal
c.p.m.p. all’art. 48.
Ai sensi di tale articolo, le circostanze che attenuano il reato militare, quando non ne sono
elementi costitutivi o circostanze attenuanti speciali, sono le seguenti:
a) l’aver commesso il fatto per eccesso di zelo nell'adempimento di doveri militari. Tale
circostanza viene tuttavia presa in considerazione ai fini della riduzione della pena soltanto se
costituisce l'unico movente del fatto delittuoso;
b) l’essere il fatto commesso da un militare che non abbia ancora compiuto trenta giorni di
servizio militare. E’ un'attenuante valida soltanto per i reati esclusivamente militari, strettamente
connessi con i doveri militari di cui si può ammettere una scarsa conoscenza nel primo mese di
servizio militare. In riferimento a tale attenuante, si può osservare, che in base al disposto letterale,
la stessa troverà sempre applicazione nei primi trenta giorni di servizio del militare, sicchè anche
quando il militare sia consapevole dei propri doveri. Da qui deriva, che il Giudice non dovrà
svolgere alcuna indagine sull’elemento soggettivo, ricorrendo, per l’appunto, una presunzione
prevista dalla legge;
c) l’aver commesso il fatto per i modi non convenienti usati da un altro militare. Benché al
militare si richieda in ogni circostanza il pieno controllo delle proprie azioni, tuttavia si ammette
come attenuante la “provocazione” determinata dai modi del militare, sia esso superiore che
inferiore, contrastanti con il diritto disciplinare e, quindi, obiettivamente illegittimi o,
semplicemente, inopportuni nella particolare situazione di fatto.
Dal testo dell’art. 48, n. 3, del c.p.m.p., si può notare il riferimento ai modi non convenienti usati da
altro militare, talchè vittima di detti modi potrebbe essere anche un inferiore se a porli in essere
fosse un superiore. E, viceversa, quest’ultimo se a porli in essere fosse un inferiore. A questo
proposito, va precisato che un siffatto trattamento, in cui si prescinde dalla posizione gerarchica, è
stato introdotto dal legislatore nel 1985 con la modifica del testo dell’art. 48, n. 3., ciò con l’art. 10
della legge n. 689 del 26 novembre 1985.
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Quanto all’individuabilità di siffatti modi non convenienti in discorso, il tutto viene rimesso
al potere discrezionale del Giudice, il quale, in proposito, non potrà non tenere conto di quanto
previsto dal R.D.M., agli artt. 21 e ss. circa i doveri dei superiori e quelli degli inferiori. Con molta
probabilità, pertanto, ricorreranno i modi non convenienti in argomento ogniqualvolta verranno
posti in essere comportamenti contrari a quelle che sono le prescrizioni disciplinate nelle norme
citate.
In ordine all’attenuante de qua, la dottrina ha osservato che, con la previsione di un’attenuante di tal
genere, si è giuridicamente riconosciuta una prassi di violazione delle norme disciplinari e di abuso
nei confronti degli inferiori, prassi che evidentemente non era ignorata ai compilatori del codice.1 E’
evidente, che siffatta osservazione dottrinaria si riferisca alla formulazione originaria dell’art. 48, n.
3, del c.p.m.p., laddove si faceva riferimento ai modi non convenienti usati dal superiore.
Tuttavia, la prefata osservazione è ancora attuale, e forse ancor di più, posto che, a seguito
della modifica legislativa di cui sopra, si può dire che sia stata riconosciuta giuridicamente anche
una prassi di violazione delle norme disciplinari e di insubordinazione degli inferiori nei confronti
dei superiori.
d) l'essere il militare colpevole di ottima condotta e di provato valore. Il che significa, non solo
che il militare abbia sempre rispettato le norme di disciplina, oppure che non abbia mai ricevuto
notazioni negative e si sia sempre adeguato alle esigenze di servizio, ma, altresì, che abbia sempre
dimostrato il massimo impegno tenendo una condotta che si discosti notevolmente da quella
normale.
Tale attenuante viene concessa dal Giudice in virtù del suo potere discrezionale, il quale
dovrà tenere conto del pregresso di carriera del militare imputato e del tipo di azione criminosa
posta in essere dal militare stesso.
Al riguardo, va rilevato che in giurisprudenza non sono mancati i contrasti circa i contenuti
del militare di ottima condotta o di provato valore.
Secondo la Corte di Cassazione, non è sufficiente il semplice e puntuale adempimento dei
doveri che attengono allo status di militare, ma è necessario che ricorra una particolare dedizione ed
un’eccezionale partecipazione al servizio (tra le tante: Cass. 20 dicembre 1990).
Un siffatto rigore, invece, non è previsto dalla giurisprudenza di merito, dato che si è
ritenuto sufficiente che il militare imputato abbia tenuto una condotta caratterizzata dalla piena
1
Brunelli Mazzi, diritto penale militare, Milano - 2007, pag. 117
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dedizione alle regole di vita militare, senza mai riportare sanzioni disciplinari (Corte Militare
d’Appello, 14 ottobre 1988).
Oltre alle circostanze attenuanti previste dall’art. 48 del c.p.m.p. fin qui esaminate, va
rilevato, per completezza espositiva, che in passato, vi era la circostanza attenuante della
provocazione prevista dall’art. 49 del c.p.m.p., articolo dichiarato illegittimo dalla Consulta con
sentenza n. 213 del 18 luglio 1984.
Per le diminuzioni di pena allorquando ricorra una sola circostanza attenuante, per cui la
diminuzione di pena non è determinata dalla legge, si osservano le norme di cui all’art. 51 c.p.m.p.
Ad esempio, la pena di morte (ora sostituita con l’ergastolo – v. sopra -) con degradazione è
sostituita la reclusione militare da ventiquattro a trenta anni.
Tale norma prevede, oltre alle diminuzioni di pena in ipotesi particolari, che tutte le altre
pene siano diminuite in misura non eccedente un terzo.
Qualora ricorrano, invece, più circostanze attenuanti, il c.p.m.p., ai sensi dell’art. 52, così
come abbiamo visto innanzi per le aggravanti, rinvia al codice penale comune (artt. 66 e ss. del
c.p.).
Nel codice penale comune, all’art. 69, viene disciplinata l’ipotesi in cui concorrano
circostanze attenuanti ed aggravanti insieme.
Da una lettura combinata delle norme del c.p.m.p. e di quelle del c.p., si può avere una
chiara visione d’insieme in ordine alle circostanze attenuanti ed aggravanti e, pertanto, si consiglia
la predetta lettura, ciò anche per iniziare a prendere una confidenza con i codici.
Per completezza espositiva si riporta il seguente esempio di concorso di circostanze
attenuanti ed aggravanti, sia esse previste dal codice penale comune che da quello di pace militare.
Si fa l’esempio del militare a cui si contesta il reato di truffa militare aggravata dal fatto che
lo stesso rivesta un grado (v. art. 47, comma 2°, del c.p.m.p.), ma che risulta essere incensurato e di
aver tenuto sempre un’ottima condotta in servizio.
In questo caso, con molta probabilità, in caso di condanna, troveranno accesso alla pena da
applicare due circostanze attenuanti ed una aggravante. Più precisamente, l’aggravante prevista ai
sensi dell’art. 47, n. 2, del c.p.m.p., le attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis del c.p. ed, infine,
l’attenuante prevista al 2° comma dell’art. 48 del c.p.m.p.
Conseguentemente, in caso di riconoscimento di entrambe le attenuanti citate da parte del
Giudice, quest’ultime, ai sensi del comma 2° dell’art. 69 del c.p., prevarranno sull’aggravante e, per
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l’effetto, non si terrà conto del relativo aumento di pena, ma solo delle diminuzioni per ognuna
delle attenuanti in parola.
Per contro, ai sensi del comma 1° dell’art. 69 citato, qualora verranno considerate prevalenti
le circostanze aggravanti rispetto alle attenuanti, non si terrà conto della relativa diminuzione di
pena, ma solo degli aumenti per ognuna delle aggravanti.
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4 Cause di non punibilità militari
Come per il diritto penale comune, anche per quello penale militare, sono previste le cause
di non punibilità, ovverosia quelle situazioni, che, allorquando ricorrano, attribuiscono liceità ad un
fatto costituente reato di per sé, atteso che una norma del nostro ordinamento dispone
un’autorizzazione e/o una imposizione in tal senso.
In altri termini, in tali circostanze, il soggetto attivo del reato non subirà alcuna conseguenza
penale, ovverosia andrà esente da pena, fermo restando la configurabilità del reato.
In riferimento alle cause di giustificazione in argomento, la legge penale militare prevede
ampie deroghe alla legge penale comune, ciò in ragione dei beni-interessi tutelati dalla prima.
Secondo la legge penale comune le cause di non punibilità sono le seguenti:
1) il consenso dell’avente diritto ex art. 50 del c.p.;
2) l'esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere ex art. 51 del c.p.;
3) difesa legittima ex art. 52 del c.p.;
4) uso legittimo delle armi ex art. del 53 c.p.;
5) stato di necessità ex art. 54 del c.p.
Inoltre, bisogna aggiungere la non punibilità per errore di fatto e di diritto che verrà trattata nel
prossimo paragrafo.
L’ordinamento penale militare considera come cause di non punibilità, oltre quelle previste
dal codice penale ordinario, e testè citate, anche l’uso legittimo delle armi, la legittima difesa
militare e i casi di necessità militari.
In ordine all’uso legittimo di armi, l’art. 41 del c.p.m.p. stabilisce che:
"non è punibile il militare, che, a fine di adempiere un suo dovere di servizio, fa uso, ovvero
ordina di far uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità
di respingere una violenza o di vincere una resistenza".
Secondo tale disposto normativo, l’uso delle armi, o di altro mezzo di coazione fisica, è
giustificato di fronte alla resistenza illegittima, ed il mezzo di coazione risulti adeguato all’intensità
della resistenza e, comunque, detto mezzo deve essere attuato con il solo fine di vincere la
resistenza.
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Al riguardo, si precisa che il militare deve essere in servizio alle armi e che, a porre in essere
l’uso dei predetti mezzi, può essere il militare stesso od altri a cui il primo dovesse impartire un
ordine in tal senso.
Si precisa, inoltre, che la violenza in discorso è da intendersi come violenza in atto, ossia un
comportamento attivo diretto ad ostacolare l’adempimento del dovere di ufficio (comprendendovi
sia un’attività fisica, sia una coercizione psichica - come la minaccia - purché si tratti di cosa
particolarmente grave e seria, come il puntare un’arma contro il militare), mentre la resistenza deve
concretarsi in una resistenza attiva, e non passiva.
Ovviamente, tale azione, che il militare va a porre in essere nelle ipotesi di cui sopra, ha un
limite legittimo, ovverosia quello che tale azione deve essere proporzionata alla offesa.
In proposito assume rilevanza l’art. 45 del c.p.m.p., laddove è previsto che se si eccede
dolosamente il limite legittimo, il militare risponde pienamente del fatto a titolo di colpa, semprechè
il fatto sia preveduto dalla legge come reato colposo.
In ordine, invece, alla legittima difesa militare, assume rilevanza l’art. 42 del c.p.m.p.,
laddove si evidenziano le differenze rispetto all’art. 52 del c.p.:
Non è punibile chi ha commesso un fatto costituente reato militare, per esservi stato
costretto dalla necessità di respingere da se o da altri una violenza attuale e ingiusta, sempre che
la difesa sia proporzionata all'offesa.
Da una lettura della norma, si può rilevare che per ritenere sussistente la legittima difesa in
tema di reati militari occorrono tre requisiti essenziali:
a)
la violenza da respingere deve essere attuale, sicchè non basta l’astratta
possibilità che la violenza si verifichi, ma occorre, invece, che la violenza sia già iniziata o
appaia imminente, cioè sul punto di attuarsi;
b)
la necessità della difesa;
c)
la proporzione tra la difesa e l’offesa.
Conseguentemente, se l’altrui offesa si è già esaurita, viene meno la giustificazione della
reazione.
Per quanto precede, è, quindi, evidente la differenza della legittima difesa militare con quella
comune di cui all’art. 52 c.p.
In sostanza, la difesa legittima militare richiede una violenza attuale e già iniziata. Per contro,
quella comune richiede anche un pericolo attuale di un’offesa ingiusta, fermo restando, sempre, una
difesa proporzionata all’offesa.
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Inoltre, un’ulteriore differenza tra le due scriminanti in discorso è ravvisabile nel fatto che la
legittima difesa militare ricorre anche allorquando l'offesa ingiusta sia evitabile con la possibile
fuga, poiché, a differenza che nella legittima difesa ordinaria (laddove essa è giustificata solo se non
vi era nessuna possibilità di fuga dalla violenza in atto o minacciata), il fuggire è contrario all'etica e
ai doveri del militare.
Ultima causa di non punibilità prevista dalla legge penale militare è rappresentata dai
cosiddetti casi particolari di necessità militari di cui all’art. 44 del c.p.m.p.., laddove è previsto che
non è punibile il militare che ha commesso un fatto costituente reato per esservi stato costretto
dalla necessità di impedire l’ammutinamento, la rivolta, il saccheggio, la devastazione, o
comunque fatti tali da compromettere la sicurezza del posto, della nave e dell’aeromobile.
Dal tenore letterale della norma, si può evincere chiaramente che l’esimente ricorra in casi
tassativamente previsti dalla legge penale militare ed allorquando vi sia l’attualità del pericolo, la
doverosa esposizione al pericolo, la mancata resistenza dell’aggressore ed un rapporto del superiore
con l’inferiore.
Da un esame delle scriminanti previste dalla legge penale comune e da quella militare, si può
notare che in quest’ultima non è contemplata la scriminante dell’esercizio di un diritto di cui all’art.
51 del c.p.. Talchè, un reato militare non potrebbe essere scriminato dall’esercizio di un diritto e ciò
in ragione proprio dello status del militare stesso.
Tuttavia ora l’art. 51 del c.p. non può non trovare applicazione anche per i militari, stante la
molteplicità dei diritti riconosciuti a costoro con la legge 382 del 1978 ed il successivo regolamento
di disciplina, norme che, come è noto, hanno introdotto un mutamento di prospettiva circa i diritti e
doveri del militare.
Ai sensi dell’art. 4, commi 4° e 5°, della legge citata, nonché dell’art. 25, comma 2°, del
r.d.m., viene riconosciuta al militare la possibilità giuridica di non eseguire un ordine allorquando
ricorrano determinate condizioni (v. sopra). In questi casi, ci si trova di fronte all’esercizio di un
diritto che va ad integrare una causa di giustificazione in ordine alla commissione di un reato.
Da qui deriva un superamento di quella che era l’impostazione della legge penale militare,
laddove, per l’appunto, vista l’insussistenza di alcun riferimento esplicito circa la scriminante di cui
all’art. 51 del c.p., non si riconosceva detta scriminante dell’esercizio di un diritto.
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5 La non punibilità per errore di fatto e di diritto in
riferimento all’esecuzione dell’ordine illegittimo
Un’altra ipotesi che esclude la punibilità del soggetto agente ricorre per errore di fatto e di
diritto.
La legge penale comune, prevede, infatti, la non punibilità del reo in caso di errore sul fatto
che costituisce il reato (art. 47, comma 1°, del c.p.) ed, altresì, allorquando l’errore su una legge
extrapenale cagioni siffatto errore (art. 47, comma 3°,del c.p.). Ed, ancora, in caso di errore sulla
legge penale; l’art. 5 del c.p., a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 364 del 1988,
prevede la non punibilità qualora l’errore sulla legge penale sia inescusabile.
La non punibilità per errore nei termini anzidetti, seppur prevista nel codice penale comune,
trova applicazione anche per i militari, fatte salve alcune eccezioni.
A tal proposito, assume rilevanza l’art. 39 del c.p.m.p., ai sensi del quale il militare non può
invocare a propria scusa l’ignoranza dei doveri inerenti al suo stato di militare.
In ragione di codesto principio, è inammissibile l’ignoranza della legge penale militare tutte le
volte in cui il reato costituisce una lesione esclusiva di interessi militari connessi con particolari
doveri militari (es. la disobbedienza, la omessa presentazione in servizio, ecc.).
Ma, al di fuori di tali casi specifici, anche i militari possono beneficiare delle cause di non
punibilità di cui ai commi 1° e 3° dell’art. 47, nonché all’art. 5 del c.p.
Si vedrà ora come si inseriscono le cause di non punibilità, in riferimento per quel che
concerne l’obbedienza agli ordini impartiti dal superiore all’inferiore.
Ai sensi dell’art. 4, commi 3° e 4°, delle norme di principio sulla disciplina militare (legge n.
382 dell’11 luglio 1978), è previsto rispettivamente: gli ordini devono, conformemente alle norme
in vigore, attenere alla disciplina, riguardare il servizio e non eccedere i compiti di istituto; il
militare, al quale venga impartito un ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato
o la cui esecuzione costituisce reato, ha il dovere di non eseguire l’ordine e di informare al più
presto i superiori.
Ai sensi dell’art. 25, comma 2°, del r.d.m., il militare al quale venga impartito un ordine che
non ritenga conforme alle norme in vigore deve, con spirito di leale e fattiva partecipazione, farlo
presente a chi lo ha impartito dichiarandone le ragioni, ed è tenuto ad eseguirlo se l’ordine è
confermato. Secondo quanto disposto dalle norme di principio, il militare, al quale venga impartito
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un ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce
reato, ha il dovere di non eseguire l’ordine e di informare al più presto i superiori.
E’ evidente che il militare debba essere in grado di valutare che l’esecuzione di un ordine sia
illegittimo nei termini di cui sopra, valutazione non facile, dal momento che l’ordine di per sé,
spesso, richiede un’esecuzione immediata, talchè non si ha il tempo di fare la predetta valutazione e,
peraltro, senza avere le dovute conoscenze in punto di fatto e di diritto.
Qualora il militare non esegua un ordine non illegittimo sempre nei termini di cui sopra, ma da
esso ritenuto tale (illegittimo), potrà essere, comunque, giustificato per errore di fatto o diritto, ciò
in base a principi generali dell’imputazione soggettiva.
A questo proposito, assumono rilevanza gli artt. 47, comma 1° e 3°, e 5 del c.p. già innanzi
menzionati.
Al 1° comma citato, è previsto che l’errore sul fatto che costituisce il reato esclude la
punibilità dell’agente e, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa se il
fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.
Pertanto, sarà configurabile l’errore sul fatto, con conseguente esclusione della punibilità del
soggetto agente, qualora costui non abbia conoscenze di fatto circa la vicenda in cui si viene a
trovare al momento della ricezione dell’impartizione dell’ordine da parte del superiore.
Ai sensi del 3° comma citato, invece, è prevista l’esclusione della punibilità allorquando il
soggetto agente sia incorso in un errore sul fatto che costituisce reato a causa di un errore sulla
legge extrapenale.
Pertanto, non sarà punibile il militare che non abbia conoscenze in ordine alle norme
extrapenali circa la vicenda in cui si viene a trovare al momento della ricezione dell’impartizione
dell’ordine da parte del superiore.
Quanto, infine, all’errore sulla legge penale, l’art. 5 del c.p., a seguito della sentenza della
Corte Costituzionale n. 364 del 1988, prevede la non punibilità qualora l’errore sulla legge penale
sia inescusabile.
Se poi l’errore in discorso (di fatto e di diritto) sia conseguenza di una negligenza del soggetto
agente, quest’ultimo risponderà del reato a titolo di colpa semprechè sia prevista la fattispecie
colposa, ciò ai sensi degli art. 47, comma 1°, e 59, comma 4°, del c.p.
Da qui deriva che il militare che esegue un ordine, ritenuto, dallo stesso, erroneamente,
legittimo, non sarà chiamato a rispondere del reato commesso in concorso con il superiore che ha
impartito l’ordine stesso. Sarà solo quest’ultimo a rispondere del reato commesso dall’inferiore a
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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seguito dell’esecuzione dell’ordine. L’inferiore potrà, però, essere chiamato a rispondere a titolo di
colpa qualora il fatto sia previsto dalle legge come delitto colposo.
Per contro, risponderà a titolo di dolo allorquando il militare si sia rappresentato l’illegittimità
di un ordine. Come, pure, risponderà a titolo di colpa se la mancanza di siffatta rappresentazione sia
stata determinata da colpa ed il fatto sia preveduto dalla legge come colposo.
A questo punto bisogna però considerare un'altra ipotesi di ordine illegittimo, ovverosia quella
disciplinata ai sensi della prima parte del secondo comma di cui all’art. 25 del r.d.m., laddove è
previsto: il militare al quale venga impartito un ordine che non ritenga conforme alle norme in
vigore deve, con spirito di leale e fattiva partecipazione, farlo presente a chi lo ha impartito
dichiarandone le ragioni, ed è tenuto ad eseguirlo se l’ordine è confermato.
Dal tenore letterale di siffatta norma, scaturisce, con chiara evidenza, che il militare non possa
sottrarsi all’esecuzione dell’ordine dallo stesso ritenuto non conforme alle norme in vigore, pena la
configuarabilità di un illecito disciplinare in capo allo stesso. Sicchè potrebbe rilevarsi che quanto
innanzi argomentato circa l’errore in fatto ed in diritto non abbia cittadinanza nell’ordinamento
militare.
Ed, invece, la citata cittadinanza sussiste e come, dal momento che anche quest’ultima norma
si riesce ad inserire con armonia con la non punibilità penale del soggetto agente per errore sul fatto
e sul diritto.
Qualora ricorra l’ipotesi di cui alla prima parte del comma 2°, dell’art. 25 del r.d.m., il
soggetto agente, che esegue l’ordine, non subirà, infatti, alcuna conseguenza penale, né a titolo di
dolo e né a titolo di colpa, a meno che non si dimostri che lo stesso non avesse la piena
consapevolezza dell’illegittimità dell’ordine. Cosicchè, è necessario che non abbia un minimo
dubbio, oppure una quasi certezza, circa la predetta illegittimità. Pertanto, stante la piena
consapevolezza circa la legittimità dell’ordine, non avrebbe senso richiedere la conferma al
superiore.
Nell’ipotesi in cui, invece, il militare, che pur trovandosi di fronte al dubbio circa la legittimità
di un ordine, esegue l’ordine stesso senza nemmeno chiedere conferma al superiore nei termini
della norma del r.d.m. in questione, risponderà del reato commesso in concorso con il superiore,
semprechè non ricorra il prefato errore di fatto e diritto.
Per contro, in caso di conferma da parte del superiore, il militare che esegue l’ordine, per cui
non può esimersi pena la configurablità dell’illecito disciplinare nei suoi confronti, non risponderà
del reato che potrebbe ricorrere né a titolo di dolo e né a titolo di colpa.
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Va precisato che la questione della conferma dell’ordine riguarda l’ipotesi in cui il militare
ritenga che l’ordine ricevuto sia contrario alle norme in vigore. Non è richiesta siffatta conferma,
allorquando l’ordine sia manifestamente rivolto contro le istituzioni dello stato o la cui esecuzione
costituisce comunque manifestamente reato, dal momento che in tali casi il militare ha il dovere di
non eseguire l’ordine ed informare al più presto i propri superiori. A quest’ultimo proposito,
assumono rilevanza le argomentazioni innanzi svolte circa l’errore di fatto e diritto.
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6 La colpevolezza del soggetto agente
Per concludere la parte riguardante il reato in generale, occorre ricordare che in base alla
legge penale, ordinaria e militare, non è sufficiente che il fatto sia materialmente commesso dal
soggetto agente perché a questi possa muoversi un rimprovero, ma è, altresì, necessario che sia
ravvisabile la colpevolezza dell’agente stesso, ovverosia che il fatto gli sia attribuibile
psicologicamente.
In sintesi è necessario un nesso di causalità psicologica tra il soggetto agente ed il fatto
commesso, ovverosia una consapevolezza in ordine all’azione ed all’omissione preveduta dalla
legge come reato. In difetto, il soggetto agente non è punibile pur in presenza del fatto costituente di
per sé reato.
Tutto ciò trova riscontro nel combinato disposto degli artt. 42 ed 85 del c.p. che, per
l’appunto, rispettivamente, recitano : nessuno può essere punito per una azione od omissione
preveduta dalla legge come reato se non l’ha commessa con coscienza e volontà; è imputabile chi
al momento in cui ha commesso il reato ha la capacità di intendere e volere.
Il fatto è attribuibile psicologicamente ogniqualvolta la volontarietà sia reale e potenziale.
Pertanto, affinchè un soggetto possa considerarsi responsabile di un reato e, quindi, punibile,
è necessario che lo stesso sia imputabile, talchè abbia la capacità di intendere e di volere.
La capacità di intendere consiste nella capacità di rendersi conto del valore etico-sociale
dell’atto che si compie, mentre la capacità di volere è l’attitudine della persona a determinarsi in
modo autonomo, ossia la facoltà di stabilire quello che si ritiene giusto fare.
A titolo di esempio, si può far menzione ad una delle cause di non imputabilità generali,
ovverosia l’ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore prevista all’art. 91 del c.p.:
Non e' imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la capacita'
d'intendere o di volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza
maggiore.
Se l'ubriachezza non era piena, ma era tuttavia tale da scemare grandemente, senza
escluderla, la capacita' di intendere o di volere, la pena e' diminuita.
Si può notare che la norma fa riferimento all’ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza
maggiore.
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In virtù dell’art 92 del c.p., l’ubriachezza volontaria o colposa preordinata al fine di
commettere un reato, infatti, non esclude l’imputablità, ma, al riguardo, comporta un aumento di
pena in riferimento al predetto reato commesso.
Quanto sopra trova anche applicazione per i militari, seppur con conseguenze più gravi,
stante, per l’appunto, il particolare status di militare.
Il militare non in servizio, che, volontariamente o colposamente, si ubriaca o si droga,
commette, sempre, e comunque, una infrazione disciplinare.
Invece, il militare in servizio, o già comandato di servizio, che si ubriaca o si droga
volontariamente o colposamente, compromettendo, anche in parte, la propria efficienza e la propria
capacità a svolgerlo, commette un vero e proprio reato militare, definito come ubriachezza in
servizio (art. 139 del c.p.m.p.).
E’, quindi, evidente, che in tal caso, l’ubriachezza e l’assunzione di sostanze stupefacenti
costituiscano non una circostanza aggravante ma un reato vero e proprio.
Conseguentemente, il militare che, volontariamente o colposamente, si ubriaca o si droga, ed
in tale situazione commette un reato, si troverà a rispondere di quest’ultimo reato (con l’aggravante
per essere ubriaco o drogato) ed, altresì, di quello di cui all’art. 139 del c.p.m.p.
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