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1 Sostenibilità e creazione di valore

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1 Sostenibilità e creazione di valore
1 Sostenibilità e creazione di valore
1.1 Introduzione
Il dibattito sulla creazione di valore, nel passaggio dalla massimizzazione dei ritorni per gli azionisti alla soddisfazione degli interessi dei molteplici interlocutori – gli
stakeholder – intrecciati inestricabilmente con le scelte di ciascuna impresa, si fonda
oggi in modo crescente sui concetti di responsabilità sociale d’impresa (corporate social responsibility – CSR) e sostenibilità (corporate sustainability – CS) dei processi
produttivi (Perrini e Tencati 2008; Perrini et al. 2011).
Infatti, di fronte all’aggravarsi della crisi degli equilibri ecologici, alle persistenti sperequazioni sociali e ai processi di crescita economica dalle caratteristiche e dagli effetti controversi, si sta assistendo a un rinnovamento dei modelli di produzione e
consumo prevalenti nel contesto globale, finalizzato alla creazione di un sistema capitalistico virtuoso.
Sebbene, dunque, fino a qualche tempo fa a mettere tutti d’accordo bastasse un
diffuso consenso nel ritenere che la creazione di valore per gli azionisti fosse l’obiettivo più razionale per l’impresa, oggi tale impostazione è largamente superata.
Se è vero, infatti, che, nel lungo periodo, gli interessi degli azionisti e quelli degli altri soggetti direttamente o indirettamente influenzati dalle attività dell’impresa (stakeholder) tendono ad allinearsi, l’evidenza mostra come tale allineamento non sia
quasi mai automatico, ma necessita di un’attenzione costante e di uno sforzo consapevole e responsabile da parte del management.
Ciò è tanto più rilevante in presenza di pressioni esterne sull’impresa che tendono a moltiplicarsi a vantaggio degli interessi di tutte le parti sociali legate all’attività aziendale: i lavoratori, l’ambiente, la comunità locale, i clienti, i fornitori e così via
(le diverse categorie di stakeholder). La capacità di gestire le attese degli stakeholder svolge, dunque, un ruolo rilevante nell’assicurare l’economicità aziendale, perché uno stakeholder non soddisfatto può intraprendere azioni che danneggiano la vita economica duratura dell’impresa. La sola dimensione del valore per l’azionista non
è più sufficiente per fornire un quadro veritiero e corretto della qualità della gestione
aziendale, in grado di rispondere alle esigenze conoscitive dei differenti stakeholder,
come confermano ormai molti esempi.
In tale contesto, adottare volontariamente standard sociali e ambientali più elevati
di quanto prescritto dalla legge, aprirsi al dialogo con i propri interlocutori, nella convinzione che le soluzioni vadano ricercate nella cooperazione, significa per le imprese, nell’era della globalizzazione e della tensione verso lo sviluppo sostenibile, guada-
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gnare consenso e legittimazione. Sotto questo profilo, è opportuno sottolineare che la
CS non intende sostituirsi alla legge, caratterizzandosi invece per la volontarietà delle scelte da parte delle imprese in termini di iniziative, attività, politiche e strategie di
gestione delle relazioni con gli stakeholder aziendali. Allo stesso modo, è altrettanto necessario evidenziare come la CS, per quanto volontaria, non vada confusa con la
filantropia o con il marketing sociale o la beneficienza.
In altre parole, adottare comportamenti socialmente responsabili equivale a creare
valore e gettare le basi di un successo duraturo. Definita come l’integrazione volontaria di obiettivi e pratiche sociali e ambientali nei processi aziendali e nelle relazioni
con gli stakeholder, oltre quanto previsto dalla legge (Perrini e Tencati 2008), la CS,
è il risultato del progressivo riconoscimento, da parte delle imprese, della necessità di
aprirsi al dialogo, alla cooperazione con il proprio contesto di riferimento al fine di
creare valore sostenibile e orientarsi al lungo periodo.
Nella nostra prospettiva, per CS si intende un nuovo approccio strategico alla gestione d’impresa, basato su una visione relazionale della stessa. È, in sintesi, innovazione per la sostenibilità dell’azienda (corporate sustainability) e dello stakeholder network in cui questa è inserita.
Nonostante le critiche che si sono succedute nel corso del tempo spinte dal timore
di un rischio di defocalizzazione nella gestione, dovuto all’integrazione tra obiettivi
economici, sociali e ambientali (Friedman 1970; Jensen 2001), CSR e sostenibilità rivestono oggi un ruolo di primo piano nel rafforzamento e nel rilancio, anche sul piano concorrenziale, dei sistemi economici attuali (Margolis e Walsh 2003; Perrini, Pogutz e Tencati 2006).
1.2 CS: un nuovo modello di gestione e creazione di valori
Che cosa si intende dunque per sostenibilità d’impresa? La sostenibilità (o corporate sustainability – CS) fa riferimento a un nuovo modello di gestione e governo
aziendale improntato alla soddisfazione delle aspettative degli stakeholder, oltre che
all’adempimento degli obblighi di legge e al di là di quanto prescritto da norme etiche individuali. La sostenibilità investe, quindi, le strategie e le politiche aziendali, interagendo quale conseguenza con tutti gli ambiti della gestione d’impresa: dalla
produzione (per esempio riduzione dell’impatto ambientale, sicurezza dei lavoratori,
attenzione a qualità e sicurezza dei prodotti) al marketing (per esempio soddisfazione dei consumatori), dalla gestione delle risorse umane (per esempio la gestione dei
percorsi di carriera, le politiche di formazione, la gestione degli esuberi) agli aspetti finanziari.
Per essere sostenibili, dunque, le imprese devono integrare la CS nella gestione
quotidiana dell’intera catena del valore (Perrini, Russo e Tencati 2007), adottando responsabilità sociali e ambientali oltre che economiche. Si parla a questo proposito di
gestione integrata della CS, di un investimento finalizzato alla produzione di vantaggi competitivi duraturi e alla minimizzazione dei rischi. Un modello di gestio-
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ne improntato alla responsabilità sociale d’impresa è caratterizzato dalla centralità
del rapporto con gli stakeholder, dai principi del miglioramento continuo e dell’innovazione. Quanto detto esplicita come l’esercizio della CS vada oltre semplici dichiarazioni d’intenti, o strategie di comunicazione, qualificandosi come concetto di
gestione, di governance, integrato in strategie, piani e programmi sulla base delle
specificità di ciascuna impresa.
In sintesi, se l’obiettivo finale dell’impresa è creare valore, i processi sottostanti
devono essere sostenibili, ossia durevoli nel tempo in quanto capaci di coinvolgere e
remunerare i vari stakeholder, che apportano risorse funzionali al successo duraturo
dell’organizzazione. Questo significa che tali processi devono valorizzare e consolidare le relazioni, assicurandone la sostenibilità. Pertanto, la sostenibilità dell’impresa
dipende dalla sostenibilità delle sue relazioni con i differenti portatori d’interessi.
Dunque, valore sostenibile per relazioni sostenibili. Tale assunto è alla base di
una nuova concezione del valore fondata sulla capacità di soddisfare le aspettative
delle diverse categorie di stakeholder che in vario modo si interfacciano con l’impresa (Freeman, Harrison e Wicks 2007). La creazione di valori prende, dunque, diverse
forme riassumibili come segue:
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adeguata remunerazione per soci e azionisti, garantita da un’attenta gestione dei
rischi e associata a modelli di governo dell’impresa che sappiano coniugare efficienza con trasparenza, pluralità e tutela delle minoranze (Goldman Sachs 2006);
migliori e appaganti condizioni di lavoro per i collaboratori, che ne esaltino le
competenze e assicurino un ambiente organizzativo improntato alla protezione e
promozione della persona e della sua integrità (Sciarelli 2007);
prodotti e servizi innovativi in grado di soddisfare appieno le esigenze, esplicite o
inespresse, della clientela, veicolando il messaggio della sostenibilità (Pivato, Misani e Tencati 2008);
condivisione della conoscenza e collaborazione di lungo periodo con i fornitori
per assicurare rapporti fondati non su una logica di competizione, ma di co-evoluzione (Valdani 1997);
relazioni chiare e trasparenti con i partner finanziari (in particolare, banche e assicurazioni);
corretta e responsabile relazione con gli organi di governo e collaborazione alle
dinamiche di governo dei processi di crescita in ambito locale e nazionale (Tencati e Zsolnai 2009);
ruolo propulsivo e innovativo, nella (o nelle) comunità, da parte dell’impresa, in
quanto vero e proprio motore di sviluppo e luogo d’innovazione (Vurro, Dacin e
Perrini 2010);
attenzione all’ambiente (e ai diritti delle generazioni future) grazie a pratiche sostenibili orientate alla piena tutela delle risorse naturali (tra cui alcuni fondamentali beni comuni, come l’acqua, l’aria, il suolo) e alla minimizzazione degli impatti associati ai cicli di trasformazione, produzione e consumo.
Alla luce delle riflessioni svolte sin qui, la CS diviene orientamento strategico cruciale per gestire l’azienda. L’idea di fondo è che la sopravvivenza duratura della stes-
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sa sia legata a una duplice capacità: da un lato, attrarre, attraverso il proprio sistema
d’offerta complessivo, le risorse migliori per garantire continuità e sviluppo alle attività; dall’altro, rispondere alle attese dei vari portatori d’interessi in maniera coerente
e consapevole, costruendo e rafforzando relazioni di mutua fiducia e supporto.
Oltre a presentarsi come concreto meccanismo correttivo delle distorsioni nei sistemi capitalistici moderni, la sostenibilità aziendale è oggi un’interessante e non trascurabile opportunità di competitività e creazione di valore a diversi livelli.
Basti pensare a come il World Business Council for Sustainable Development abbia recentemente stimato in 6,2 trilioni di dollari le opportunità di business connesse
allo sviluppo sostenibile, sottolineando come siano, in primo luogo, i first mover, nei
diversi settori, a poterne beneficiare in modo rilevante1.
Al giorno d’oggi, i temi del cambiamento climatico, della preservazione dell’ambiente, della coesione sociale e dello sviluppo sostenibile sono al centro dell’attenzione di tutti i governi mondiali, consapevoli ormai della necessità di interventi immediati volti a evitare la futura sovversione delle caratteristiche climatiche, biologiche e
geografiche del nostro Pianeta. Le fondamenta di uno sviluppo sostenibile della nostra società sono molteplici e comprendono interventi che vanno dalle fonti energetiche rinnovabili alle misure di efficienza energetica e distribuzione dell’energia, alla
gestione dei rifiuti e dell’inquinamento e la gestione delle risorse idriche fino a comprendere nuovi prodotti o processi produttivi, anche nei servizi pubblici locali, rispettosi della preservazione dell’ambiente e della coesione territoriale.
Infatti, se si adotta una prospettiva globale, negli ultimi anni il Pianeta ha incassato una serie di «dolorose sconfitte» e qualche importante «vittoria», che appare utile richiamare brevemente. L’Agenzia Internazionale dell’Energia, nell’annuale World
Energy Outlook ha sottolineato come nel 2010 le emissioni globali di CO2 siano aumentate del 5,3 per cento, per un totale di 30,4 miliardi di tonnellate equivalenti, per
effetto della prima ripresa economica. La domanda globale di energia è aumentata
nello stesso anno del 5 per cento, mentre l’intensità energetica globale è peggiorata
per il secondo anno consecutivo (IEA 2011). In un articolo pubblicato da Nature nel
2009 un gruppo di ricercatori internazionali lanciava un grido di allarme sullo stato
del Pianeta, segnalando come rispetto a diversi indicatori di rischio ambientale si siano superati i margini di sicurezza (Rockström et al. 2009). Tali segnali, associati alla deforestazione – in forte accelerazione in aree sensibili come l’Amazzonia o l’Indonesia – e alla crescente domanda di risorse naturali (materie prime e servizi degli
ecosistemi), sono emblematici e indicano ancora una volta come il nostro modello di
sviluppo necessiti di una riprogettazione profonda e strutturale.
In risposta alle recenti sfide poste dai governi, dalle agenzie e dalle organizzazioni internazionali, ma anche dalle richieste dei consumatori e delle collettività locali, numerose imprese hanno cominciato a vedere la sostenibilità quale opportunità
competitiva anzichÈ un insieme di vincoli sull’operato aziendale. Alcuni segnali testimoniano questo cambiamento di prospettive. La diffusione delle clean-tech ha re1
WBCSD, 2010, Vision of 2050: The New Agenda for Business.
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gistrato nel 2010 un picco senza precedenti, con investimenti sia pubblici che privati
che hanno raggiunto 211 miliardi di dollari (UNEP Bloomberg New Energy Finance 2011). Al contempo, diverse ricerche internazionali (Kiron, Kruschwitz, Haanaes,
Von Streng 2012; Lacy, Cooper, Hayward, Neuberger 2010) hanno segnalato che un
numero crescente di grandi imprese ha inserito la sostenibilità tra le priorità aziendali, indicando questo tema come un fattore competitivo fondamentale per il prossimo
decennio, alla base dei processi di innovazione e di relazione con i mercati.
Il Centro di Ricerca su Sostenibilità e Valore dell’Università Bocconi (CReSV),
nato raccogliendo l’eredità di diversi Centri di Ricerca, tra cui, in particolare, SPACE, Centro Europeo per gli Studi sulla Protezione Aziendale, è da diversi anni impegnato nello studio di questi temi, con l’obiettivo di esaminare quali percorsi possono
essere adottati per coniugare creazione di valore, protezione dell’ambiente naturale e
sviluppo sociale. In tale quadro, l’attenzione è rivolta all’esame dei mercati delle nuove soluzioni tecnologiche più pulite (energie rinnovabili, efficienza energetica, mobilità sostenibile), all’introduzione di business model più eco-efficienti e responsabili,
all’osservazione delle strategie competitive di grandi imprese e PMI sul tema dell’integrazione della sostenibilità nei diversi ambiti della gestione strategica e operativa
(per esempio, nei processi produttivi, nelle relazioni di filiera, negli strumenti di comunicazione con il mercato), alla finanza etica, allo studio dei nuovi modelli di imprenditoria sociale o social entrepreneurship (Perrini 2006).
In altre parole, le tematiche legate alla responsabilità socio-ambientale e alla sostenibilità possono non soltanto fornire nuovi spazi di mercato, ma stimolare la ricerca di fonti innovative di risorse difficilmente imitabili, quali conoscenze, competenze, reputazione, legittimità, a cui, in modo crescente, è legata la capacità delle
imprese di assicurarsi quel differenziale competitivo tale da consentire loro di sopravvivere nel tempo, generando valore.
Recenti studi mostrano come l’accumulazione di risorse immateriali funga da volano tra l’adozione di strategie di responsabilità sociale e la capacità delle imprese di
beneficiarne, in termini economico-finanziari. In base a tale approccio, le risorse relazionali, intese come l’insieme delle relazioni dell’azienda con il mercato e di cui costituiscono parte integrante i rapporti con i clienti, con le comunità aziendali e con le
altre categorie di stakeholder, le risorse strutturali, ossia la capacità dell’impresa di
innovare, attraverso lo sviluppo e la gestione di conoscenze e competenze tecniche
coerenti con la strategia e la cultura aziendale, e le risorse intellettuali, intese come
l’insieme dei comportamenti, delle competenze e delle attitudini dell’organismo personale, mediano le relazioni che legano le prestazioni socio-ambientali e quelle economico-finanziarie.
Si pensi a come l’implementazione di programmi e strategie volti alla riduzione degli impatti ambientali richiedano lo sviluppo di nuove competenze aziendali
che, migliorando lo stock di capitale intellettuale e strutturale, agiscono sull’efficienza operativa e il miglioramento dei risultati aziendali. A questo si associa il miglioramento delle relazioni con le diverse categorie di stakeholder, che si traduce, per le
imprese, in licenza a operare in determinati contesti e, dunque, l’accesso a nuove opportunità di business.
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1.3 Spingersi oltre visioni semplicistiche
La visione di sostenibilità aziendale alla base dell’impostazione del presente volume
rappresenta il modello d’impresa necessario per affrontare le mutate e sfidanti condizioni di contesto. Il mancato riconoscimento di questo radicale cambiamento di prospettiva ha esposto numerose imprese (tra cui: NestlÈ, General Motors, Levi Strauss
and Co., Gap, Shell, Nike, Reebok, McDonald’s, Monsanto, Danone, Triumph, Del
Monte, Starbucks, Coca-Cola, le Big Pharmas, Microsoft, Mattel, Apple) di paesi e
settori diversi a differenti tipi di rischi e minacce (Klein 2000; Hertz 2001; Bandura,
Caprara e Zsolnai, 2002; Bakan 2004):
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crisi nella filiera di fornitura con pesanti impatti a valle nei mercati di sbocco;
proteste e perdite di consenso nelle comunità in cui operano;
campagne di boicottaggio realizzate dai consumatori finali;
valutazioni negative da parte della comunità finanziaria, con riduzione del valore
di mercato e conseguente perdita di fiducia da parte degli azionisti e della comunità finanziaria;
n costi e inefficienze legate alla scorretta gestione degli impatti ambientali.
I manager di queste imprese hanno così dovuto cambiare le loro scelte strategiche
sotto la pressione di specifici gruppi di stakeholder e l’incapacità di prevedere e identificare le richieste, anche implicite, dei vari portatori d’interessi ha comportato, in
alcuni casi, significative ripercussioni sulla reputazione dell’organizzazione e sulle
sue potenzialità di sviluppo.
La CS non consiste, quindi, in una moda effimera e passeggera, purchÈ non venga
considerata soltanto:
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uno strumento aggiuntivo per raggiungere una migliore posizione competitiva;
l’insieme dei contributi filantropici a favore di cause sociali;
un sistema di gestione che supporta l’impresa nel rispondere, in modo utilitaristico, alle richieste del sistema legislativo o di una particolare categoria di stakeholder.
Se la CS è un innovativo approccio strategico alla gestione d’impresa, questo è,
per definizione, sistemico e taglia trasversalmente tutta l’organizzazione (Golinelli
2000). In altre parole, la CS riguarda le finalità, gli orientamenti e le scelte di fondo di un’organizzazione e questi non possono essere imposti per legge o regolati attraverso ulteriori modelli certificativi. Ridurre la multidimensionalità e la rilevanza
strategica della CS a opportunità per nuovi standard certificabili e nuovi sistemi di
gestione fondati su requisiti minimi, addirittura rivolti alle piccole e medie imprese,
significa non comprendere la valenza e le implicazioni della responsabilità sociale e
le esigenze delle aziende e degli stakeholder.
Al contrario, si può e si deve lavorare sulla diffusione di una cultura della responsabilità sociale, favorendo l’individuazione di best practice, facilitando il dialogo tra
imprese, soggetti pubblici e società civile attraverso strumenti di confronto e interpretativi comuni, valorizzando i comportamenti virtuosi già in essere e alla base di
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tante esperienze condivise soprattutto a livello locale, promuovendo una maggiore
consapevolezza e una cultura orientata al miglioramento continuo.
1.4 Verso una visione sistemica
Nella prospettiva delineata, la CS prefigura un nuovo modello d’impresa per una
nuova realtà sociale, molto più attiva, partecipativa e sfidante. Si tratta, quindi, di
promuovere una cultura d’impresa caratterizzata, secondo un modello per stakeholder, da una logica multi-valore (Perrini e Tencati 2006), diversa rispetto ai modelli
apparentemente vincenti della finanziarizzazione e del capitalismo d’alta quota (Ruffolo 2006). È un modello nuovo, che ha forti legami con la parte migliore della nostra tradizione imprenditoriale: bisogna riscoprire, infatti, i legami consapevoli ed
essenziali col territorio, che tanta parte hanno nello spiegare il successo dei più avanzati pattern di sviluppo locale.
Ciò non solo modifica l’impresa, ma, come in precedenza evidenziato, determina
inevitabili e auspicabili innovazioni di sistema (Perrini e Tencati 2008a), innescando
partnership e alleanze per il cambiamento:
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tra imprese. Si pensi, al proposito, all’esperienza di CONAI – Consorzio Nazionale Imballaggi –, che, nel corso di un decennio, ha consentito di costituire in Italia
un sistema di waste management in grado di garantire risultati di riciclaggio e recupero superiori ai target fissati dalla Direttiva 94/62/CE, un innovativo contributo alla riduzione delle emissioni nazionali di CO2 e bassi costi di funzionamento
rispetto agli altri compliance scheme europei (Pogutz e Tencati 2003);
n tra imprese e quei soggetti della società civile più attenti, pronti a variare le proprie stesse attitudini. Ecco, allora, che anche Wal-Mart, discusso leader mondiale della grande distribuzione (Fishman, 2006), nell’ambito del suo ambizioso
programma per la sostenibilità varato nel 2004, trova importanti opportunità di
collaborazione in funzione delle singole aree di intervento, attraverso la costruzione di mirati sustainable value networks. Per esempio, per quanto riguarda i prodotti ittici, lavora con Marine Stewardship Council, Conservation International e
WWF per migliorare le pratiche manageriali, ricostruire gli stock, ridurre gli impatti ambientali e promuovere più ampi sforzi per la protezione e la gestione degli
ecosistemi marini;
n tra imprese e soggetti pubblici. Rientrano in questa categoria esperienze molto
diffuse nel nostro Paese, come i patti territoriali e gli accordi di programma, volti
a conseguire obiettivi di maggiore sostenibilità;
n tra imprese, soggetti pubblici e società civile. » la condizione del relational state, che si ritrova nell’impostazione dei CSR Laboratories, nell’ambito dell’European Alliance for CSR promossa dalla Commissione Europea, e in tanti interventi
di sviluppo e riqualificazione territoriale, fra cui, per esempio, quello volto all’applicazione di EMAS (Eco-Management and Audit Scheme) nel distretto ceramico
reggiano-modenese.
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Solo attraverso questa logica relazionale e collaborativa ampia sarà possibile assicurare la sostenibilità complessiva (Moon 2007): solo, cioè, se la CS • intesa come
fattore di cambiamento sistemico, che riguarda certo le imprese, ma pure i soggetti pubblici e le organizzazioni del Terzo Settore per rispondere alle richieste diffuse e alle oggettive necessità di cambiamenti radicali, partecipazione, coinvolgimento,
maggiore trasparenza in tutti i processi decisionali e attuativi.
L’evidenza di un cambiamento di rotta negli orientamenti e nelle strategie perseguite dalle imprese è valorizzata se considerata in relazione con le opportunità di accumulazione di fonti di capitale intangibile (qualità percepita, fiducia, reputazione e
clima interno) a cui è inscindibilmente legata la creazione di valore (Perrini e Vurro 2011). Dall’analisi emerge chiaramente come, pur nella limitatezza delle risorse
e competenze, le imprese in grado di intuire il valore della sostenibilità sono anche
quelle in grado di beneficiarne migliorando la propria competitività e, dunque, la sostenibilità dei propri processi a valere nel tempo.
Infine, anche una serie di segnali politici testimoniano tale tendenza ai differenti livelli. Basti pensare al ruolo della CSR nelle politiche dell’Unione Europea: dalla definizione delle priorità strategiche per l’Unione Europea in occasione del Consiglio di Lisbona nel 2000, alla definizione della CSR nella Comunicazione del 2001
«green paper» e nel 2002 la Comunicazione sulla sostenibilità del business il cosiddetto «white paper», fino alle più recenti Comunicazioni. Il numero di governi nazionali coinvolti nella promozione e diffusione della CS è in costante crescita, assieme al rafforzamento del ruolo di istituzioni internazionali come l’ONU, la World
Bank, l’OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) e l’ILO
(International Labour Organization) nella legittimazione delle pratiche e degli strumenti di CS e responsabilità sociale.
Il coinvolgimento attivo di istituzioni pubbliche e non governative si combina con
l’interesse crescente, da parte delle imprese, a integrare la CS nelle diverse aree di
gestione con finalità strategiche e competitive. Nel 1977, meno della metà delle Fortune 500 menzionavano CS e CSR nei propri bilanci annuali. A partire dalla fine degli anni Novanta, oltre il 90 per cento di tali imprese ha integrato la responsabilità
sociale all’interno degli obiettivi organizzativi e strategici, anche attraverso il ricorso alla redazione di documenti specifici quali i bilanci sociali, ambientali e di sostenibilità.
1.5 L’articolazione del testo
Il paradigma della sostenibilità e l’orientamento alla creazione di valore sono alla base dell’articolazione del presente volume.
Il lavoro è diviso in quattro parti.
La prima parte «Management d’impresa e creazione di valore sostenibile: teorie e
modelli», sviluppa i concetti di fondo che ispirano tutto il testo: l’impresa rappresenta il nucleo fondamentale del processo di creazione di valore nel sistema socio-economico. Si parte dall’analisi dell’impresa che, attraverso la creazione di ricchezza,
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funge da motore dello sviluppo. Si introducono, quindi, le leve della creazione di valore e le prospettive sulla distribuzione dello stesso presso le diverse categorie di stakeholder attraverso l’adozione di strategie e modelli di gestione sostenibili. Nel contempo, si distinguono le dimensioni del management: governo, gestione strategica e
gestione operativa.
Tale Parte è ispirata anche ai capitoli di Pivato (Pivato et al. 2004, capp. 1-4) sulla visione dell’impresa come creatrice di ricchezza, ai quali fa ampio riferimento assieme ai capitoli 7 e 8 di Ordanini (Pivato et al. 2004), ampliati e aggiornati sulla base delle recenti ricerche in materia di sostenibilità, creazione di valore e stakeholder
management.
La Parte seconda, «Il governo dell’impresa», a cura di Nicola Misani, è dedicata
alla corporate governance, intesa come la gestione e il coordinamento degli interessi di tutti gli stakeholder. Trovano spazio, in questa Parte, gli strumenti di controllo
esterno e interno per la gestione dei rischi connessi alla discrezionalità manageriale.
La Parte terza si concentra invece sulla «Gestione strategica dell’impresa», nella
prospettiva di processo. La gestione d’impresa, infatti, viene analizzata come sequenza di decisioni strategiche, attività operative e controlli delle performance che, seppure caratterizzate da contenuti differenti, convergono sulla comune finalità di creazione di valore sostenibile. Dopo aver definito la direzione, l’organizzazione e la
strategia d’impresa, si approfondisce la gestione strategica in contesti dinamici, nei
processi di sviluppo e d’innovazione tecnologica dell’impresa. Si analizzano, contestualmente, le dinamiche di internazionalizzazione e i modelli cooperativi e partenariali.
La Parte quarta, infine, si concentra sulla «Gestione ìoperativa” dell’impresa»,
sempre nella prospettiva strategica di processo, ed è suddivisa in gestione commerciale (marketing, comunicazione e vendite), delle operations (produzione, logistica e
approvvigionamenti), finanziaria (finanza, amministrazione e controllo) e della protezione delle risorse. In conclusione, alla misurazione delle performance aziendali
(economiche, competitive e di sostenibilità) è dedicato l’ultimo capitolo.
Ringraziamenti
Per la riuscita di qualsiasi lavoro si è debitori verso diverse persone coinvolte direttamente o indirettamente e, in questo caso, senza dubbio più di quante ricorderò qui.
Tutti coloro con i quali ho lavorato, che hanno seguito le mie lezioni o che ho accompagnato nel loro lavoro di laureandi, manager e imprenditori mi hanno insegnato
qualcosa e meriterebbero quindi un ringraziamento.
Sicuramente devo esprimere una profonda gratitudine verso coloro che si sono assunti l’onere di leggere, commentare e integrare interi capitoli, aiutandomi, non poco, con i loro suggerimenti, e che hanno, per certe parti, collaborato direttamente alla stesura del testo presso il CReSV (Centro di Ricerche su Sostenibilità e Valore)
che mi onoro di dirigere, del Dipartimento di Management e Tecnologia e del Dipartimento di Finanza, nonchÈ del Corso di Laurea in Economia Aziendale e Manage-
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ment (CLEAM), di cui ho la fortuna di essere direttore, presso l’Università Commerciale «Luigi Bocconi».
Innanzitutto, per la stesura di questo volume sono debitore al professor Sergio Pivato, maestro di «economia e gestione delle imprese» – il libro infatti è nato proprio
nell’ambito di un’attività di aggiornamento del testo Pivato, Misani, Ordanini, Perrini
(2004) – e al professor Luigi Guatri, primo ispiratore di tale filone di studi e fondatore dell’insegnamento in Bocconi con il Trattato di Economia delle Aziende Industriali (1988) prima, poi diventato Economia delle aziende industriali e commerciali (1992), tutti editi da EGEA.
Un libro vede la luce grazie al lavoro di chi i libri li produce e li segue con grande passione e competenza: in particolare, in tal caso sono stato aiutato dall’entusiasmo e dalla grande capacità professionale di Clodia Vurro nella ricerca bibliografica
e nell’aggiornamento delle varie parti del lavoro dando un contributo fondamentale
insieme poi ad Angeloantonio Russo, Antonio Tencati e Filippo Giordano del Dipartimento di Management dell’Università Bocconi, che ringrazio per aver reso possibile
la realizzazione del presente progetto. Infine, un grazie anche ai colleghi Nicola Misani e Andrea Ordanini.
Da ultimo, mi scuso con le persone che mi hanno aiutato e che non ho menzionato
in questa sede, in primis i colleghi del corso di Economia Aziendale e Gestione delle
Imprese e gli studenti, e naturalmente mi faccio carico della responsabilità di eventuali errori o inesattezze, nella speranza di aver fornito spunti di riflessione innovativi ed esaustivi sulla materia del management sempre in divenire.
Università Bocconi, maggio 2013
Francesco Perrini
Direttore Centro Ricerca su Sostenibilità
e Valore (CReSV) e del Corso di Laurea
in Economia Aziendale e Management (CLEAM)
Università Commerciale «Luigi Bocconi»
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