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7. Racconti della creazione

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7. Racconti della creazione
7.
Racconti della creazione
Presso tutte le popolazioni si trovano racconti mitici della nascita del mondo e
dell’uomo. Straordinarie sono le somiglianze, come notevoli restano le
differenze, nei racconti di alcuni popoli antichi dell’area mediterranea.
Un’interessante raccolta di tali testi è nel libretto Miti della creazione, a cura di
W. Pedrotti e M. Fischer, edizioni Demetra, Bussolengo 1996.
Riportiamo qui, come esempio, tre testi sull’origine del mondo e due sulla
creazione dell’umanità. Nell’area mesopotamica il poema di Gilgamesh, giunto
a noi in diverse versioni molto antiche, di cui la più importante è la versione
detta classica del XII a.C., mentre racconta le gesta dell’eroe riporta anche
elementi del mito delle origini. Il frammento della creazione di Enkidu, «un
uomo primordiale», è interessante, poi, per le modalità della creazione da parte
del dio Aruru.
Il libro della Genesi, il primo della Bibbia, è il racconto mitico delle origini presso
il popolo ebreo, che era monoteista.
Esiodo è poeta greco del secolo VIII a.C. Visse in Beozia e per noi è il primo
poeta greco di cui abbiamo notizie storiche. Nella Teogonia egli cercò di dare
una sistemazione ai vari racconti mitici riguardanti il mondo religioso, che si
erano venuti stratificando con il passaggio di varie popolazioni nella Grecia
continentale.
«In quei giorni, in quei giorni lontani,
in quelle notti, in quelle notti lontane,
in quegli anni, in quegli anni lontani,
nei tempi antichi, quando ogni cosa venne alla luce,
nei tempi antichi, quando ogni cosa “appropriata” fu procurata;
quando nel tempio del Paese, pane fu gustato;
quando il forno del Paese venne acceso;
quando il cielo fu separato dalla terra;
quando la terra fu separata dal cielo;
quando l’umanità fu creata.»
(Enkidu e gli Inferi, «Introduzione mitologica», vv. 1-10, trad. G. Pettinato)
«Quando Aruru udì queste parole
concepì nel suo cuore l’immagine di Anu.
Aruru lavò le sue mani,
prese un grumo di creta e lo piantò nella steppa.
Essa creò un uomo [primordi]ale, Enkidu, il guerriero,
seme del silenzio, la potenza di Ninurta.
Tutto il suo corpo era [coper]to di peli,
la chioma era fluente come quella di una donna,
i ciuffi dei capelli crescevano lussureggianti come grano.»
(La saga di Gilgamesh, tav. I 82-90, trad. G. Pettinato)
«Dunque, per primo fu Caos, e poi
Gaia dall’ampio petto, sede sicura per sempre di tutti
gli immortali che tengono la vetta nevosa d’Olimpo,
e Tartaro nebbioso nei recessi della terra dalle ampie strade,
poi Eros, il più bello fra gli immortali,
che rompe le membra, e di tutti gli dèi e di tutti gli uomini
doma nel petto il cuore e il saggio consiglio.
Da Caos nacquero Erebo e nera Notte.
Da Notte provennero Etere e Giorno
che lei concepì a Erebo unita in amore.
Gaia per primo generò, simile a sé,
Urano stellato, che l’avvolgesse tutta d’intorno,
che fosse ai beati sede sicura per sempre.»
(Esiodo, Teogonia, vv. 116-128, trad. G. Arrighetti)
«In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era una massa informe e vuota e le
tenebre erano sulla superficie dell’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulla superficie
delle acque.
E Dio disse: “Sia la luce” e la luce fu. Dio vide che la luce era buona e separò la luce
dalle tenebre, e chiamò Giorno la luce e chiamò Notte le tenebre. E fu sera e fu mattino:
il primo giorno.»
(Genesi, I 1-5)
«E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza, e
abbia potere sui pesci del mare e sui volatili del cielo, sugli animali domestici, su tutte
le fiere della terra e sopra tutti i rettili che strisciano sulla terra”.
E Dio creò l’uomo a sua immagine. A immagine di Dio lo creò. Maschio e femmina li
creò.
E Dio li benedì e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra,
soggiogatela e abbiate potere sui pesci del mare, sui volatili del cielo e su ogni animale
che striscia sulla terra”.
E Dio aggiunse: “Ecco, io vi do ogni erba producente semente che è sulla superficie di
tutta la terra e ogni albero che ha frutto di albero producente seme: vi servirà da cibo.
Ad ogni animale della terra, ad ogni volatile del cielo a tutto quanto striscia sopra la
terra ed ha anima vivente do per cibo il verde dell’erba”. E così fu.
Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono. E fu sera e fu mattino: il
sesto giorno.»
(Genesi, I 26-31)
Infine, riportiamo il racconto della creazione di Metamorfosi I, 5-88
5
Ante mare et terras et, quod tegit omnia, caelum
unus erat toto naturae voltus in orbe,
quem dixere Chaos, rudis indigestaque moles
nec quicquam nisi pondus iners congestaque eodem
non bene iunctarum discordia semina rerum.
10 nullus adhuc mundo praebebat lumina Titan,
nec nova crescendo reparabat cornua Phoebe,
nec circumfuso pendebat in aëre tellus
ponderibus librata suis, nec bracchia longo
margine terrarum porrexerat Amphitrite,
15 utque erat et tellus illic et pontus et aër,
sic erat instabilis tellus, innabilis unda,
lucis egens aër: nulli sua forma manebat,
obstabatque aliis aliud, quia corpore in uno
frigida pugnabant calidis, umentia siccis,
20 mollia cum duris, sine pondere habentia pondus.
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Hanc deus et melior litem natura diremit;
nam caelo terras et terris abscidit undas
et liquidum spisso secrevit ab aëre caelum;
quae postquam evolvit caecoque exemit acervo,
dissociata locis concordi pace ligavit.
ignea convexi vis et sine pondere caeli
emicuit summaque locum sibi fecit in arce;
proximus est aër illi levitate locoque,
densior his tellus elementaque grandia traxit
et pressa est gravitate sua; circumfluus umor
ultima possedit solidumque coercuit orbem.
Sic ubi dispositam, quisquis fuit ille deorum,
congeriem secuit sectamque in membra redegit,
principio terram, ne non aequalis ab omni
parte foret, magni speciem glomeravit in orbis;
tum freta diffudit rapidisque tumescere ventis
iussit et ambitae circumdare litora terrae.
addidit et fontes et stagna inmensa lacusque
fluminaque obliquis cinxit declivia ripis,
quae diversa locis partim sorbentur ab ipsa,
in mare perveniunt partim campoque recepta
liberioris aquae pro ripis litora pulsant.
issuit et extendi campos, subsidere valles,
fronde tegi silvas, lapidosos surgere montes;
utque duae dextra caelum totidemque sinistra
parte secant zonae, quinta est ardentior illis,
sic onus inclusum numero distinxit eodem
cura dei, totidemque plagae tellure premuntur.
quarum quae media est, non est habitabilis aestu;
nix tegit alta duas: totidem inter utrumque locavit
temperiemque dedit mixta cum frigore flamma.
inminet his aër; qui quanto est pondere terrae,
pondere aquae levior, tanto est onerosior igni.
illic et nebulas, illic consistere nubes
iussit et humanas motura tonitrua mentes
et cum fulminibus facientes fulgora ventos.
his quoque non passim mundi fabricator habendum
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aëra permisit; vix nunc obsistitur illis,
cum sua quisque regant diverso flamina tractu,
quin lanient mundum: tanta est discordia fratrum.
Eurus ad Auroram Nabataeaque regna recessit
Persidaque et radiis iuga subdita matutinis;
vesper et occiduo quae litora sole tepescunt
proxima sunt Zephyro; Seythiam Septemque triones
horrifer invasit Boreas; contraria tellus
nubibus adsiduis pluviaque madescuit ab Austro.
haec super inposuit liquidum et gravitate carentem
aethera nec quicquam terrenae faecis habentem.
Vix ita limitibus dissaepserat omnia certis,
cum, quae pressa diu fuerant caligine caeca,
sidera coeperunt toto effervescere caelo;
neu regio foret ulla suis animalibus orba,
astra tenent caeleste solum formaeque deorum,
cesserunt nitidis habitandae piscibus undae,
terra feras cepit, volucres agitabilis aër.
Sanctius his animal mentisque capacius altae
deerat adhuc et quod dominari in cetera posset:
natus homo est, sive hunc divino semine fecit
ille opifex rerum, mundi melioris origo,
sive recens tellus seductaque nuper ab alto
aethere cognati retinebat semina caeli;
quam status Iapeto mixtam pluvialibus undis
finxit in effigiem moderantum cuncta deorum,
pronaque cum spectent animalia cetera terram,
os homini sublime dedit caelumque videre
iussit et erectos ad sidera tollere vultus.
sic, modo quae fuerat rudis et sine imagine, tellus
induit ignotas hominum conversa figuras.
L’ispirazione mi prende e mi induce a cantare le trasformazioni dei corpi in altri del
tutto diversi. O dei, siete voi che ad esse avete presieduto: siate dunque favorevoli alla
mia impresa e accompagnate il mio poema nel suo svolgersi dalla remota origine del
mondo fino al tempo in cui vivo.
Prima che esistessero il mare, la terra e il cielo che tutto ricopre, l’universo aveva un
unico, indistinto aspetto che fu chiamato Caos:1 una massa informe e inarticolata,
nient’altro che un gran peso inerte, un’accozzaglia disordinata di atomi non connessi
tra loro. Non vi era ancora il Titano a dare luce al mondo, non vi era Febe con
l’alternanza delle sue fasi, e la terra non stava sospesa nell’atmosfera che la fascia,
grazie all’equilibrio delle sue masse; Anfitrite2 non aveva ancora esteso il suo
abbraccio ai continenti, per delimitarli tutt’intorno. E benché terra, mare e aria
fossero già lì tutti, la terra non aveva consistenza, il mare non poteva essere navigato,
l’aria era priva di luce: nulla aveva una sua forma definita ma il conflitto era perpetuo,
perché in un unico corpo si affrontavano il caldo e il freddo, l’umido e il secco, il
leggero e il pesante.
Grazie a un intervento divino e al miglioramento della natura, si risolse questo
contrasto: la terra fu separata dall’aria e dalla terra il mare; il cielo puro fu distinto
dall’aria più pesante. Ogni cosa, estratta e liberata dall’ammasso disordinato, ebbe un
suo posto preciso per poter convivere in pace con le altre.
La sostanza ignea e leggera che costituisce la volta del cielo guizzò in alto e si collocò
al vertice; subito al di sotto, appena più greve, si pose l’aria; la terra, più densa,
incorporò i materiali più massicci e proprio dal suo peso fu spinta in basso; gli estremi
spazi li conquistò l’acqua che tutta avvolge e racchiude la mole compatta della terra.
Quando il dio, chiunque egli sia stato, ebbe così disposto la massa degli elementi,
suddividendola e articolandola, per prima cosa plasmò la terra in forma di una grande
sfera, perché fosse da ogni parte uguale; poi assegnò spazi diversi ai mari e ordinò
loro di gonfiarsi sotto le raffiche dei venti e di recingere tutt’intorno le coste dei
continenti; in queste pose fonti, paludi immense e laghi, e incastonò in letti tortuosi le
correnti precipiti dei fiumi; essi poi, a seconda della sede che occupano, talora
vengono riassorbiti dalla terra, talora invece sfociano nel mare e, accolti in quella
distesa d’acqua più libera, ne percuotono i lidi al posto delle loro anguste rive. Il dio
creò le estese pianure e le valli profonde, le cupole frondose dei boschi e i monti erti e
rocciosi.
Come il cielo è diviso in due zone a sinistra e due a destra, che ne comprendono una
quinta, più ardente di tutte, così il dio ebbe cura che la massa terrestre, dal cielo cinta,
fosse scandita dallo stesso numero di fasce climatiche, corrispondenti a quelle che la
sovrastano. La zona mediana non è abitabile per l’eccesso di calore; le due estreme
1
Il Caos rappresenta la condizione del mondo prima dell’ordinamento dei suoi elementi costitutivi.
I nomi delle tre divinità – Titano, Febe, Anfitrite – indicano rispettivamente il sole, la luna e il mare. Il Sole è
detto Titano perché è figlio del titano Iperione; Febe è il nome di Diana, la sorella di Febo Apollo, la quale era
venerata sotto il triplice aspetto di dea dei boschi, dea lunare e, infine, dea dell’oltretomba; Anfitrite è una ninfa
marina, figlia di Nereo e Doride.
2
sono ricoperte da un alto strato di neve; le due intermedie invece sono temperate,
grazie all’alternarsi del caldo e del freddo.
Sopra tutte sta l’aria che pesa meno della terra e dell’acqua ma più del fuoco. In essa,
per volere del dio, hanno sede le nebbie e le nubi e i tuoni destinati a turbare l’animo
degli uomini e i venti da cui si sprigionano lampi e fulmini. Ma nemmeno ai venti colui
che creò il mondo concesse il possesso indiscriminato dell’aria: eppure tanto grande è
la discordia che regna tra i fratelli che tuttora c’è rischio che lacerino il mondo, anche
se ciascuno di essi ha un diverso spazio in cui indirizzare le proprie folate.
Euro3 si è ritirato verso Oriente, in direzione del regno dei Nabatei, della Persia e delle
catene montuose che per prime il sole illumina. Il regno di Zefiro invece è l’Occidente,
coi lidi intiepiditi dal sole al tramonto. L’orrido Borea si è preso come sede la Scizia
con le regioni settentrionali. Quelle meridionali sono gravate da nubi assidue e
impregnate di pioggia per opera di Austro.
Sopra tutto questo, il dio pose l’etere limpido, privo di peso e di ogni impurità terrena.
Aveva appena finito di separare ogni elemento, racchiudendolo entro limiti ben
definiti, quando le stelle, che erano rimaste a lungo soffocate in un’oscurità nebbiosa,
cominciarono a risplendere in tutto il cielo. Infine, perché nessuna regione del cosmo
restasse priva di esseri animati che la abitassero, con le stelle gli dei si tennero gli
spazi celesti, le onde divennero sede dei pesci splendenti, la terra accolse le fiere e
l’aria instabile gli uccelli.
Non vi era ancora un essere animato più perfetto di questi e dotato di una mente
superiore tale da poter dominare su tutto il resto: nacque allora l’uomo. Forse il sommo
artefice, volendo dar vita a un mondo migliore, lo creò direttamente da un seme divino;
forse la giovane terra, da poco separata dall’alto etere, conservava in sé il seme del
celeste parente: allora il figlio di Giapeto4 prese un po’ di questa terra, la mescolò
all’acqua piovana e la plasmò a immagine degli dei che tutto governano. Mentre gli altri
animali guardano proni alla terra, l’uomo ebbe in dono un viso rivolto verso l’alto e il
suo sguardo mira al cielo e si leva verso le stelle. Fu così che la terra, fino ad allora
rozza e informe, fu volta ad assumere figure umane mai prima conosciute.
(Trad. G. Faranda Viela)
3
Ovidio indica la disposizione dei quattro venti cardinali: Euro è il vento che spira da est (al v. 61 i Nabatei
sono una popolazione araba), Zefiro da ovest, Borea da nord e Austro da sud.
4
Prometeo. Nella tradizione antica Prometeo è in genere ricordato massimamente non come il creatore degli
uomini (così Ovidio), bensì come il loro benefattore (così Esiodo, Teogonia 535 sgg. e Le opere e i giorni 42
sgg.): egli, infatti, contro il volere di Giove, fece dono agli uomini del fuoco e per questa sua grave
trasgressione fu incatenato sul Caucaso dove un’aquila gli divorava il fegato che continuamente ricresceva.
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