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Lavorìo lento latente

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Lavorìo lento latente
Lavorìo lento latente
Aliano, Gallicchio, Guardia Perticara, Missanello, San Chirico Raparo,
San Martino d’Agri nel processo di Unificazione nazionale
(1799 - 1860)
«Lavorìo lento latente»
Aliano, Gallicchio, Guardia Perticara, Missanello,
San Chirico Raparo, San Martino d’Agri
nel processo di Unificazione nazionale
(1799-1860)
1
Unità di ricerca
Maria Antonietta BRUNO, Graziana DONNOLI, Maria DELORENZO,
Mariangela IACOVINO, Antonella MANIERI, Valentina MAROTTA, Annalisa
MORANO
Struttura tecnica di supporto
Tutor: Teresa Lucia CASALETTO
Esperti: Antonio D’ANDRIA, Annamaria DE FINA, Mario SANCHIRICO
Supporto operativo: Margherita CAMILLOTTO
Segreteria: Grazia DE ROSA
Copertina: Francesco CARONE
Responsabile: Domenico LA VECCHIA
Coordinamento: Vincenzo Antonio VIOLA
2
INDICE
INTRODUZIONE
Microstorie locali per l’Unità d'Italia
1
Antonio D’Andria
Aliano
11
Maria De Lorenzo
Gallicchio
29
Valentina Marotta
Guardia Perticara
49
Graziana Donnoli
Missanello
67
Maria Antonietta Bruno
San Chirico Raparo
83
Annalisa Morano
San Martino d’Agri
115
Mariangela Iacovino
POSTFAZIONE
133
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
137
3
4
ABBREVIAZIONI
-
APM = Archivio Parrocchiale di Missanello
ASCA = Archivio Storico Comunale di Aliano
ASCG = Archivio Storico Comunale di Guardia Perticara
ASCM = Archivio Storico Comunale di Missanello
ASCSCR = Archivio Storico Comunale di San Chirico Raparo
ASCSM = Archivio Storico Comunale di San Martino d’Agri
ASP = Archivio di Stato di Potenza
DPL = T. PEDIO, Dizionario dei Patrioti Lucani. Artefici e oppositori (17001870), Trani, Vecchi, 1969-1972 (voll. I-II); Bari, Grafica Bigiemme, 1979 (vol.
III); Bari, Editrice Tipografica, 1990 (voll. IV-V)
5
6
INTRODUZIONE
Microstorie locali per l’Unità d'Italia
1. La passione per la ricerca, per la rilettura e l’analisi delle proprie radici, è un tema che negli ultimi anni la Basilicata sembra aver ripreso
saldamente in mano, anche grazie a meritorie iniziative istituzionali.
Tra esse spicca un progetto promosso dal Dipartimento della Gioventù
- Presidenza del Consiglio dei Ministri e dall'ANCI - Associazione Nazionale Comuni Italiani, nell’ambito delle Politiche Giovanili 2009.
Secondo le indicazioni di tale progetto, un partenariato locale costituito da sette centri delle aree più interne della Basilicata (Aliano, Armento, Gallicchio, Guardia Perticara, Missanello, San Chirico Raparo,
San Martino d’Agri), il Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val
d’Agri Lagonegrese, il Parco Letterario Carlo Levi, la società Sviluppo Basilicata S.p.A., con il patrocinio della Provincia di Potenza, ha,
secondo le direttive progettuali del Dipartimento della Gioventù e
dell’ANCI, invitato i giovani residenti nell’area ad indagare nel passato
costituito dal percorso di Unificazione nazionale nei propri centri, cercando nel contempo di proiettarne connotazioni e valenze nel proprio
futuro per cogliere gli elementi identitari del proprio territorio nel cruciale periodo compreso tra il 1799 e il 1860.
Infatti, nel quadro di tale percorso, la provincia di Basilicata presenta
notevoli connotazioni, come si è voluto iniziare ad evidenziare con
questo primo “esperimento” di ricerca in base a fonti edite ed inedite.
I borsisti sono partiti, in base alle più recenti risultanze storiografiche,
dal fecondo esperimento di progettualità e di pratica istituzionaleamministrativa condotto nel breve, ma significativo, pentamestre rivo-
1
luzionario del 17991. Un momento notevolissimo di “scoperta della
politica”, continuato nel Decennio napoleonico (1806-1815), che, nel
quadro di un rideterminato rapporto tra centro e periferia, concretizzò
riforme appena abbozzate nel corso del 1799, dalla legge eversiva della feudalità al riassetto territoriale alla nuova maglia istituzionaleamministrativa nei territori provinciali. In tale ambito, la provincia di
Basilicata assunse configurazione territoriale di fatto definitiva, caratterizzandosi quale nuovo spazio politico-istituzionale provinciale imperniato sul nuovo anello istituzionale di base, il Comune2, nel quale
fu protagonista sul campo un’intera generazione3.
In tale direzione, la breve stagione rivoluzionaria e costituzionale del
1820-21 diede un notevole apporto, nell’ambito del quale furono impostate le basi per ridiscutere l’assetto economico-sociale provinciale.
Già il 6 luglio del 1820 (due giorni dopo gli avvenimenti di Nola), infatti, fu istituito in Basilicata un Governo Provvisorio diretto dal Senato della Lucania Orientale, che in una dichiarazione programmatica si
impegnava, appunto, a ridurre le imposte sul sale e la tassa fondiaria,
esortando i cittadini alla concordia, ed ordinando ai pubblici ufficiali
di giurare fedeltà al re e alla Costituzione4.
Nonostante la sanguinosa repressione e la successiva “ristagnazione”
politica nel ventennio seguente, tali fermenti di cultura e pratica politica ebbero modo di riprendere nella provincia di Basilicata e in particolar modo nel Lagonegrese, fulcro, nel giugno-luglio 1848, di una
1
Sulla Basilicata nel 1799, cfr. A. LERRA, L’albero e la croce. Istituzioni e ceti dirigenti nella Basilicata del 1799, Napoli, ESI, 2001, rist. 2004, pp. 57-105.
2
ID., Cultura politica e pratica istituzionale-amministrativa nel Mezzogiorno provinciale napoleonico. Dall’Università «alla Comune» a Potenza, «Capitale» della
Basilicata, in «Rivista Italiana di Studi Napoleonici», XXXIX (2006), n. 2; ID., Da
sudditi a cittadini: cultura dei diritti e pratica politica nel Mezzogiorno d’Italia in
Età napoleonica, in AA.VV., Ventennale della difesa civica in Basilicata. Diritti
umani e difesa civica, Atti del Convegno di Matera (7-8 marzo 2007), Potenza, Consiglio Regionale della Basilicata, 2007, pp. 79-87.
3
A. DE FRANCESCO, Rivoluzione e Costituzioni. Saggi sul democratismo politico
nell’Italia napoleonica 1796-1821, Napoli, ESI, 1996, pp. 7-8.
4
Cfr. V. SILEO, Carboneria e governo rivoluzionario, in Interviste sul Risorgimento lucano, a cura dell’Ufficio Stampa del Consiglio Regionale della Basilicata, Potenza, Consiglio Regionale della Basilicata, 2011, pp. 21-24.
2
notevole azione rivoltosa contro il governo borbonico e volta a coinvolgere tutte le Province del Regno. Nel contempo, si ebbe una fitta
serie di rivendicazioni in ogni centro della provincia da parte del proletariato rurale, che richiedeva la spartizione dei terreni demaniali usurpati dagli ex feudatari o dalla ricca borghesia5.
2. L’insurrezione lucana del 18 agosto 1860, da quanto detto, risulta,
dunque, il prodotto di una cultura politica maturata nel corso
dell’intero arco risorgimentale, memore dell’associazionismo politico
che aveva dato i primi frutti nel 1799, per poi radicarsi, in modi e forme sempre più compiute ed organizzate, durante i fondamentali snodi
delle rivoluzioni costituzionali del 1820-21 e del 1849. Già il 21 giugno 1860, infatti, venne istituito, a Corleto Perticara, il Comitato Centrale Insurrezionale Lucano, presidente Carmine Maria Senise6. La
Basilicata venne divisa in 12 «sottocentri»: Rotonda, Castelsaraceno,
Senise, Tramutola, Tricarico, Miglionico, Potenza, Genzano, Avigliano, Ferrandina, Bella. La macchina insurrezionale di Basilicata, dunque, si avviava con regolarità, estendendo sul territorio provinciale
una fitta rete organizzativa. Il 13 agosto si tenne una riunione, a Corleto Perticara, tra Giacinto Albini7, Camillo Boldoni8 e Nicola Mignogna
per stabilire il piano d’azione dell’insurrezione in Basilicata, di concerto con esponenti degli altri centri insurrezionali.
Mentre la rete associazionistica basilicatese iniziava ad avviare la
macchina insurrezionale9, il 15 agosto il nuovo Intendente, Cataldo
Nitti, veniva accolto dal Sindaco del capoluogo provinciale, Potenza,
5
Cfr. R. LABRIOLA, Dalle società segrete alla lotta per la terra, in Interviste sul
Risorgimento lucano, cit., pp. 25-28.
6
Sul quale cfr. T. RUSSO, Pietro Lacava e Carmine Senise. Due lucani patrioti e
uomini di Stato, in Interviste sul Risorgimento lucano, Potenza, Consiglio Regionale
della Basilicata, 2011, pp. 74-75.
7
Sul quale cfr. la scheda di G. MORESE, Giacinto Albini tra moderati e radicali, in
Interviste sul Risorgimento lucano, cit., pp. 69-70.
8
Sul Boldoni, cfr. la scheda di M. LAPENTA, Camillo Boldoni comandante
dell’insurrezione lucana, in Interviste sul Risorgimento lucano, cit., pp. 77-78.
9
Se ne veda la cronologia in A. D’ANDRIA (a cura di), Potenza Città Capoluogo e
del Risorgimento. 1799-1861, Potenza, Amministrazione Comunale, MMX, pp. 1114.
3
Luigi Lavanga e dal Consiglio Comunale con pubblica cerimonia serale. In mancanza della disponibilità della sede istituzionale, si insediava a palazzo Ciccotti, raccomandando al popolo, in un foglio pubblico, di riunirsi per eleggere i rappresentanti ad un’Assemblea Costituente che avrebbe dovuto redigere la Costituzione tardivamente concessa da Francesco II10.
Nel contempo, la rete associativa basilicatese aveva cominciato ad
attuare un vasto progetto di raccolta degli insorgenti. Il 17 agosto 1860
si teneva una Riunione tra i capitani della Guardia Nazionale; Vincenzo Scafarelli ed Angelo Maria Addone, esponenti del Comitato e il
comandante della guarnigione borbonica, il capitano Salvatore Castagna, mentre Nicola Mignogna chiedeva, inutilmente, all’Intendente di
appoggiare l’insurrezione11.
A Corleto, intanto, si radunavano gli armati da Aliano, capitanati da
Giambattista Leo; da Armento, al comando di Domenico Sassone; da
Ferrandina, capeggiata da Carmine Sivilia e Giacomo De Leonardis,
con «due giovanissimi monaci, con la bandiera e il crocifisso in mano
[…] a capofila dei fanti»12; da Miglionico, con a capo Giambattista
Materi; da Missanello, al comando di Rocco De Petrocellis; da Gallicchio, capeggiati da Giambattista Robilotta; da Montemurro, con a capo Nicola Albini; da Spinoso, comandati da Pietro Bonari.
Ovviamente, la città capoluogo della provincia viveva momenti di
notevole tensione. Il 18 agosto una guarnigione borbonica composta
da quattrocento soldati, comandata dal capitano Salvatore Castagna, si
accampò sulla collina di Montereale per presidiare le vie di accesso
dal fronte occidentale alla città di Potenza, bloccandone, altresì, gli
ingressi13. All’avvistamento dei primi drappelli, le truppe rientrarono
in città dall’ingresso meridionale, concentrandosi in piazza del Sedile,
sede del Comune e delle milizie cittadine e unico spazio disponibile
10
In M. LACAVA, Cronistoria documentata della rivoluzione in Basilicata e delle
cospirazioni che la precedettero, Napoli, Morano, 1895, pp. 490-492.
11
R. RIVIELLO, Cronaca Potentina dal 1799 al 1882, Potenza, Stabilimento Tip.
Santanello, 1888, pp. 199-203.
12
G. RACIOPPI, Storia dei moti di Basilicata e delle provincie contermine nel
1860, Napoli, Tipografia di Achille Morelli, 1867, pp. 112-113.
13
R. RIVIELLO, Cronaca Potentina…, cit., p. 203.
4
all’adunanza, dato che la centrale piazza dell’Intendenza era occupata
dalle baracche installate dopo il terremoto del 1857.
Il contrasto con la popolazione, accorsa ad osservare l’entrata della
guarnigione, era inevitabile e, secondo i cronisti, voluto dal capitano
Castagna per soffocare qualsiasi movimento popolare14. Oltre alla carica della Gendarmeria, i saccheggi e l’ovvia reazione popolare avrebbero provocato la morte di quattro cittadini, oltre a molti feriti nelle
operazioni di ritirata della guarnigione, che a sera lasciavano Potenza
in mano agli insorti.
Alle tre del pomeriggio arrivarono a Potenza le prime colonne di insorti, da Avigliano, Genzano e dal Melfese, capitanate dal sacerdote
aviglianese Nicola Mancusi15. A sera arrivarono, capitanate da Boldoni, le colonne da Corleto, per un totale di cinquecento componenti16.
Il 19 agosto 1860, in contemporanea al proclama di Mignogna e Albini sulla costituzione del Governo Prodittatoriale17, l’Intendente Nitti,
che pur aveva cercato di evitare ulteriori feriti dopo gli scontri del 18,
raccomandando al Sindaco del capoluogo ed al Decurionato di mantenere i propri posti, rassegnava le proprie dimissioni al Decurionato potentino che, riunitosi, cedette a sua volta i poteri al Governo.
Dal 23 agosto, il Governo ebbe anche un proprio organo a stampa, il
«Corriere Lucano. Giornale uffiziale dell’insurrezione», diretto dallo
stesso Giacinto Albini18. Venivano, altresì, formati un Comitato di sicurezza pubblica per barricare la città di Potenza contro eventuali attacchi borbonici19, una deputazione per vettovaglie e vetture20, un Comitato di ingegneri preposti all’innalzamento delle barricate21. Venne 14
Ivi, p. 205.
M. LACAVA, Cronistoria…, cit., pp. 750-751.
16
G. RACIOPPI, Storia dei moti…, cit., p. 113.
17
Sul quale cfr. T. RUSSO, Organizzazione e compiti politici del governo prodittatoriale lucano, agosto-settembre 1860, in «Il Risorgimento», LII (2000), n. 2,
pp. 335 ss.
18
Cfr. P. SERGI, Storia del giornalismo in Basilicata, Roma-Bari, Laterza, 2009,
pp. 34-35.
19
ASP, Governo Prodittatoriale Lucano, b. IV, fasc. 41, f. 3. Cfr. A. D’ANDRIA (a
cura di), Potenza Città Capoluogo e del Risorgimento…, cit., p. 63.
20
ASP, Governo Prodittatoriale Lucano, b. IV, fasc. 41, f. 5.
21
Ibidem.
15
5
ro, inoltre, immediatamente promulgate le «Istruzioni pei Commissarii
Civili Distrettuali»: Carmine Ferri, per Matera; Decio Lordi, per Melfi; Giuseppe Mango, per Lagonegro. Con i poteri dei Sottintendenti
borbonici, i Commissari civili avrebbero provveduto a sostituire, nelle
cariche municipali e nei gradi delle Guardie Nazionali, coloro, che
non avessero accettato «il presente ordine di cose». Essi avevano, inoltre, la facoltà di inviare nei comuni del distretto Commissari delegati22.
Giacinto Albini, a livello centrale, cercò di equilibrare il governo
prodittatoriale dividendo i compiti tra l’ala moderata d’ispirazione cavouriana, rappresentata da Camillo Boldoni e, dunque, dalle forze militari al suo comando, e l’ala radicale facente capo a Nicola Mignogna.
Il Proclama del 25 agosto organizzava, in seguito, l’articolazione interna del governo territoriale, creando una Giunta Centrale di Amministrazione, composta da 7 direttori e presieduta da Francesco Antonio
Casale. Direttore della Guerra (I Ufficio) era Francesco Lovito; Direttore delle Finanze, dazi, poste e procacci (II Ufficio): Ercole Ginistrelli; Direttore della Sicurezza e dei lavori pubblici, carceri, statistica (III
Ufficio): Saverio de Bonis; Direttore dell’Amministrazione provinciale e municipale-affari demaniali (IV Ufficio): Giacomo Racioppi; Direttore dell’Istruzione, agricoltura, industria, commercio foreste, salute
pubblica (V ufficio): Nicola Alianelli; Direttore della Giustizia (VI Ufficio): Angelo Spera; Direttore degli Affari Ecclesiastici e Beneficenze (VII Ufficio): l’arciprete Gerardo Lapenna.
La forma di governo del territorio rappresentata dalla Prodittatura, fu
una soluzione al tempo stesso provvisoria e di grande efficacia, con la
quale Giacinto Albini attuò un’organizzazione della Basilicata fondata
sulla garanzia del funzionamento delle amministrazioni comunali e
sulla tenuta delle comunicazioni con il Comitato dell’Ordine. Anche il
rapporto con il clero fu organizzato in modo strategicamente abile, in
quanto nel Governo Prodittatoriale entrarono numerosi ecclesiastici,
quali il sacerdote Gerardo Lapenna, direttore del VII Ufficio del Governo e responsabile del culto e della beneficenza. Tipica dell’Albini,
come detto, fu una soluzione di compromesso tra radicali e moderati,
22
ASP, Governo Prodittatoriale Lucano, b. IV, fasc. 41, f. 84.
6
nonché la ricerca di una formula di governo volta ad evitare pericolose
derive di insorgenze popolari che si erano già verificate il 7 agosto a
Matera23. In tale ambito, i compiti più importanti di coordinamento sul
territorio furono lasciati in mano a due esponenti di spicco della cultura e delle professioni quali lo storico Giacomo Racioppi ed il giurista
Nicola Alianelli. Il primo, a capo del IV Ufficio, si occupò dei demani
e delle amministrazioni comunali, mentre l’Alianelli fu responsabile
del V Ufficio, dedicato ad industria e commercio.
In tal modo, accortamente dirigendo il governo insurrezionale su basi moderate e con l’accordo del clero, Giacinto Albini riuscì, di fatto, a
mantenere la presa sul territorio, escludendo pressoché totalmente gli
esponenti radicali e, dunque, lo stesso Mignogna. Il 6 settembre, cessata l’“emergenza”, Garibaldi avrebbe nominato proprio Giacinto Albini Governatore della Provincia con poteri illimitati24. Si chiudeva,
così, il “governo dell’emergenza”, un fruttuoso progetto di cultura e
pratica politico-istituzionale-amministrativa, nel quale il compromesso
tra radicali e moderati si esplicitò in una rete di centri interconnessi
per il controllo delle aree strategiche della provincia e in
un’insurrezione che, accortamente pianificata e attuata, permise la
successiva tenuta del Governo Prodittatoriale. Si era applicata la messa in atto di una gestione del territorio che, di fatto, poneva in gioco le
speranze anche di ampia parte dei gruppi locali di entrare nella gestione dell’amministrazione locale del futuro Regno d’Italia.
3. Dal lavoro di ricerca - sicuramente embrionale, ancora necessitante
di ulteriore sviluppo - svolto dai giovani borsisti relativamente ai fondamentali snodi risorgimentali delle Municipalità democratiche del
1799, della rivoluzione costituzionale del 1820-21, della “primavera
dei popoli” nel 1848 e, infine, dell’insurrezione lucana dell’agosto del
1860, è emersa una notevole vitalità dell’associazionismo politico in
un’area cruciale della provincia di Basilicata.
23
Cfr. ora i documenti raccolti in V. VERRASTRO (a cura di), La libertà che vien
sui venti. La Basilicata per l’Unità d’Italia: idealità, azione politica, istituzioni
(1799-1861), Lagonegro, Zaccara, 2011, pp. 164-168.
24
ASP, Governo Prodittatoriale Lucano, b. IV, fasc. 41, f. 16. Riprodotto in A.
D’ANDRIA (a cura di), Potenza Città Capoluogo e del Risorgimento…, cit., p. 73.
7
Meritevole, certamente, dopo questo primo “esperimento” di ricerca,
di un approfondimento negli archivi locali, pubblici e privati, che consentirebbero di dare una lettura più compiuta ad un’area connotata,
come gli stessi borsisti mettono in luce nei loro contributi, da una rete
associazionistica estesa e rilevantissima, dopo la battuta d’arresto seguita alla repressione borbonica post-quarantottina, fin dal 1857. Basti
pensare, in tal senso, alla testimonianza del missanellese Pier Luigi De
Petrocellis, che ricordava:
Era il 1857. Mio fratello Luciano con quindici volontarii, ai quali erano aggregati altri quindici venuti da Gallicchio, si avanzò verso Montemurro, ma
dovette indietreggiare per la notizia della sconfitta di Padula25.
Personaggi come i Magaldi, i Leo, i Caporale, i Marotta, i De Petrocellis, appunto, avrebbero svolto un ruolo di rilievo nella progettazione ed attuazione dell’insurrezione, grazie anche ai loro trascorsi politici nell’associazionismo politico basilicatese tra 1848 e 1860, in
un’area nevralgica direttamente esposta a temute ritorsioni borboniche. Un lavoro, dunque, intenso e teso a stendere una rete di contatti
politici e familiari nell’area:
In casa Senise, […] il lavorio lento latente si estendeva: a Roccanova, con
[…] Roberto Marotta, a Castronuovo con Giustiniano Lacava, a Chiaromonte
coi fratelli Domenico e Giuseppe Giura e Francesco Leo, a S. Chirico Raparo
con la famiglia Magaldi, a S. Martino d’Agri con Giuseppe Vitale, a Noepoli
con Antonio Vitelli, a Castel Saraceno coi fratelli Caricati, a Miglionico con
Giambattista Matera, a Guardia con Prospero Caporale, a S. Arcangelo con
Francesco Scardaccione… e con molti altri ancora26.
E dunque, questa raccolta di contributi, presentando i primi risultati
di una ricerca che si auspica continui sfruttando ancora la virtuosa e
fruttuosa collaborazione tra le amministrazioni comunali dell’area, Enti ed Istituti di Ricerca come la Deputazione di Storia Patria per la Lucania, che qui si ringrazia, nella persona del suo Presidente, il prof.
25
P. L. DE PETROCELLIS, Dopo cinquant’anni. Ricordi storici di Basilicata, in «Il
Lucano», XVIII (1910), 23-24 aprile 1910, p. 1.
26
Ibidem.
8
Antonio Lerra, per la disponibilità e la collaborazione, vuole essere
uno stimolo alla ricerca in loco, alla valorizzazione di tante giovani risorse emerse nel corso di questa esperienza.
Il volume viene intitolato, significativamente in linea con le direttrici
scientifiche della parte relativa agli “eventi”, «Il lavorio lento latente»,
riprendendo una definizione riferita, in occasione del cinquantenario
dell’Unità d’Italia, dal missanellese Pier Luigi De Petrocellis in un articolo sul proprio operato e su quello del padre Rocco nel dodicennio
1848-1860. Tale affermazione è unanimemente parsa calzante alla
struttura di progetto per denotare i caratteri principali della rete associativa d’area nel corso del processo risorgimentale e, contestualmente, ad inquadrare gli elementi identitari più forti che sono emersi dalle
ricerche delle borsiste: legami fortissimi tra famiglie, fazioni e territorio e continuità politiche, istituzionali, amministrative dal 1799 al
1865.
Ogni singolo contributo, per scelta, è stato strutturato in modo didatticamente semplice, ancorché ancorato a solidi riferimenti contestuali
rivenienti dalla più aggiornata storiografia. In una sorta di progetto laboratoriale condotto sulle fonti edite, sulla bibliografia e sui documenti reperiti in loco, infatti, ciascuna delle borsiste ha prodotto un contributo nel quale, dopo aver introdotto i dati più importanti riguardanti
territorio, popolazione ed economia, ha inquadrato eventi e personaggi
legati agli snodi della Repubblica napoletana del 1799 ed alle locali
Municipalità, alle Rivoluzioni costituzionali del 1820-21 e del 1841
ed, infine, al 1860, nelle sue connotazioni portanti di cultura politica,
con ampi riferimenti all’organizzazione armata dei drappelli insurrezionali, e di pratica istituzionale-amministrativa. In taluni casi, ove la
documentazione emersa lo consentisse, sono stati aggiunti dati inerenti
figure e contesti socio-economici di rilievo lungo tale processo. Completano i contributi, ove sia stato possibile reperire i dati, delle utili
appendici, desunte dai locali archivi comunali, sui sindaci dal 1809 al
1860 e, in taluni casi, fino alla riforma amministrativa del 1865, spesso con importanti riferimenti agli andamenti demografici.
Per la concretizzazione di questo progetto, è doveroso ringraziare la
supervisione attenta, l’intelligente collaborazione e la disponibilità
all’ascolto di Vincenzo Antonio Viola; l’attivo e costante supporto operativo della segretaria amministrativa di Grazia De Rosa e Marghe9
rita Camillotto; la chiarezza e la competenza della tutor Teresa Lucia
Casaletto. Ultimi, ma non ultimi, i “compagni” di lavoro di chi scrive,
Mario Sanchirico e Annamaria De Fina, con i quali, operando in sinergia, si è cercato di costituire un prodotto che, ancorché “iniziale”,
ci si augura sia un primo mattone per la ricostruzione e la lettura di
contesti e personaggi nell’area considerata, cercando, inoltre, di sfruttare l’ampia documentazione ancora “sepolta” in archivi comunali che,
come si noterà dai contributi, spesso sono ancora in attesa di ordinamento.
Si spera, insomma, che questa raccolta di materiali e note possa costituire un’utile premessa per più approfondite indagini sul territorio
considerato, sfruttando fonti edite ed inedite ampiamente disponibili in
una regione, la Basilicata, ormai definitivamente sottratta allo stereotipo di territorio chiuso e immobile.
Antonio D’Andria
10
Aliano
Maria Delorenzo
1. Territorio, Popolazione, Economia
Aliano è un piccolo centro “arrampicato” su uno sperone argilloso a
498 m sul livello del mare, con numerosi calanchi. Domina la Val
D’Agri e il torrente Sauro, affluente del fiume Agri nella parte centro
occidentale della provincia, al confine con la parte centro-orientale
della provincia di Potenza.
Esso dista 5 chilometri dalla sua frazione, Alianello. I due centri furono sotto la giurisdizione feudale dei Sanseverino, dei Ruffo, dei
Marra, dei Carafa e dei Colonna, principi di Stigliano. Dalla relazione
Gaudioso, disposta da Carlo di Borbone dopo la fugace visita in Basilicata nel 1735 e compilata nell’anno successivo, si evidenzia che:
11
La terra di Alianello discosta dalla sopradetta (Missanello) miglia 4 perché ritrovasi situata dalla parte superiore del fiume Agri. Giornalmente riceve detrimento per il richiamo che fa detto fiume dal territorio, per il di cui effetto tuttavia va cadendo e si rende sempre più disabituabile. È composta di cento e non
più abitanti, tutti dediti alla fatica e coltura dei terreni. Viene ella posseduta
dall’illustre Principe di Stigliano D. Ferdinando Colonna avendovi di rendita
sopra della medesima che ricava dall’affitto del Pantano, taglio di legne ed al
demanio da ducati 200 circa. Sta compresa nella Diocesi del Vescovo di Tricarico essendovi una sola parrocchia con un Sacerdote per la cura delle anime
contribuendoli l’Università tomolo 24 di grano l’anno per raggion di decima,
delle quali tomola sei vanno in beneficio del suddetto Vescovo di Tricarico. Vi
sono due cappelle juspatronati, una senza rendita e l’altra che è sotto il titolo di
S. Antonio di Padova, possiede dieci tummole di territorio del di cui fruttato ne
ricava l’utensili per la medesima Cappella.
[…]
La terra di Aliano è composta di 112 fuochi e li cittadini d’essa vi vivono con
le proprie personali fatiche in coltivare il terreno. Detta terra vien posseduta
dall’illustre Principe di Stigliano che vi tiene di rendita da circa ducati 1000,
ritrovandosi nello spirituale sottoposto alla Diocesi del Vescovo di Tricarico
alla cui messe rende da ducati 30 l’anno essendovi una sola Chiesa Parrocchiale con facente rendita per il mantenimento del clero27.
All’interno della ripartizione territoriale borbonica, Aliano ed Alianello erano compresi nel Ripartimento di Tursi.
L’andamento demografico di Aliano, comunque, dal 1606 al 1805 è
caratterizzato da un incremento della popolazione, passata dai 1.620
abitanti nel 1601 ai 1.464 tra 1794 e 1805. Crescita, questa, tuttavia,
preceduta da un forte calo della popolazione nel corso dei due secoli,
probabilmente a causa di varie epidemie. Ecco una tabella riassuntiva:
ANNO
1601 1622
ABITANTI 1.620 210
1671
1675
1703
1736
1798
1794-1805
560
560
560
560
1.813
1.464
27
T. PEDIO, La Basilicata borbonica,Venosa, Osanna, 1986, p. 56.
12
2000
1800
1600
1400
1200
1000
800
600
400
200
0
1601
1622
1671
1675
1703
1736
1798
1794-1805
Tab. e Grafico 1. Andamento demografico di Aliano nei secoli XVI-XVIII. Nostra elaborazione da S. MAZZELLA, Descrittione del Regno di Napoli, in Napoli, ad istanza di Gio. Battista Cappello, MDCI; E. BACCO, Il Regno di Napoli diuiso in dodici
Prouincie, in Napoli, per Lazaro Scoriggio, MDCXX; O. BELTRANO, Descrittione del
Regno di Napoli diuiso in dodici Prouincie, in Napoli, per Ottauio Beltrano, 1671;
T. ALMAGIORE, Raccolta Di Varie Notitie Historiche, Non Meno Appartenenti All'
Historia Del Svmmonte, Che Cvriose, Napoli, Bulifon, 1675; G. B. PACICHELLI, Il
Regno di Napoli in prospettiva, Napoli, Parrino e Mutio, 1703; G. M. ALFANO, Istorica descrizione del Regno di Napoli, diviso in dodici province, Napoli, presso Vincenzo Manfredi, 1798.
Dalla Statistica del Regno di Napoli28, disposta nel 1811 da Gioacchino Murat, emerge una serie di informazioni sulle condizioni socioeconomiche dei due centri. Per quanto riguarda Aliano:
In Aliano si fa uso di acqua di fonte, né si pratica alcun mezzo per purificarla.
Vien per canali ben costruiti […] Ha tutte le qualità potabili.Il cibo ordinario
è misto, ma prevede soprattutto il consumo di carne e i contadini nell’està utilizzano continuamente il pepe siligroso, volgarmente peparone, che produce
28
D. DE MARCO (a cura di), La Statistica del Regno di Napoli del 1811, Roma,
Accademia dei Licei, 1988, vol. III, pp. 166-169.
13
dei malori nella pelle. Il pane che mangiasi comunemente è ben fatto, ben
fermentato, e ben cotto e presso la classe meschina fassi uso di pane di frumento, durante le carestie si usava mischiare le farine di frumento e d’orzo e
mangiare delle polente condite con olio, e sale. Se a volte il frumento fosse
carbonato, lo si fa mangiare al popolo, senza danni visibili. All’anno si consumavano sei tomoli di frumento pro capite.
Rileviamo ancora altre preziose notizie sulla alimentazione,
sull’abbigliamento e sulle condizioni sanitarie all’inizio del XIX secolo. La carne era molto usata dal popolo alianese; i poveri mangiavano
la carne di animali ammalati, o morti naturalmente, ovviamente senza
risentirne incomodi; mentre i ricchi potevano permettersi la carne di
agnello e di castrato che si vendeva a 39 3/5 cent. al rotolo e quella di
caprone che era venduta a cent. 30 4/5.
Il pesce, invece, era meno consumato tra la popolazione di Aliano,
poiché vi giungeva poche volte all’anno ed era consumato da tutte le
classi. Veniva pescato nel mare «della Schinzana», ossia sulla costa
ionica prospiciente Scanzano e nella costa di Policoro e giungeva in
paese dopo 30 ore di tragitto. I pesci detti bianchi, invece, si pescavano
nei fiumi vicini ma erano acquistati ad alto prezzo dalla classe dei ricchi.
I vini del paese erano buoni e se ce n’erano di guasti, li beveva il popolo. Ogni anno venivano consumate circa 400 caraffe di vino a testa,
che si vendeva a cent. 10 3/5 a caraffa, 89 decagrammi 9/10 di grammi. Anche l’olio del paese era già allora di buona qualità e se ne faceva molto uso per condire i cibi. Si vendeva a cent. 57 1/5 al rotolo.
I latticini erano di ottima qualità ma un po’ cari, venduti a cent. 88 al
rotolo; mentre i legumi avevano un prezzo diverso in base alla natura
del terreno dove erano stati seminati, se in terre sabbiate avevano lo
steso prezzo del frumento, altrimenti costavano la metà. Gli ortaggi
non mancavano, benché non ci fossero degli orti ben coltivati, mentre
la frutta, che abbondava in ogni famiglia, era di ogni genere ma non
veniva venduta.
Gli alianesi solevano mettersi a mensa due volte al giorno, a mezzogiorno e a sera. In inverno i contadini consumavano anche una colazione al mattino. In primavera si consumavano quattro pasti al giorno
e in tempo di messe anche cinque.
14
Le abitazioni erano formate da mattoni di argilla, dato che Aliano è
circondato dai calanchi e sorge proprio su di essi. I mattoni erano attaccati l’uno sull’altro con la stessa argilla liquida e per questo le case
erano poco sicure ed esposte all’umidità. Inoltre era tipico dell’epoca
coabitare con polli, asini e maiali e questa era una delle cause della
cattiva igiene. Tipico di quelle abitazioni era il focolare, che era posto
in un angolo con cacciafumo e vi si bruciava legna di quercia e di lentisco e vi si cucinava in caldaie di rame, ed in pignatte di argilla.
L’aria che si respirava era resa insalubre a causa dei «sepolcri mal
custoditi», delle «strade anguste, non lastricate e fangose in cui veniva
gettata ogni immondezza» e dalle stalle presenti nelle abitazioni.
In paese vi erano tre medici, tre speziali, un’ostetrica e due salassatori
con l’obbligo di curare chi conveniva loro con scrittura di una mercede. Essi erano tutti retribuiti, tranne l’ostetrica che operava per «machinale uso». I poveri erano curati gratuitamente e chi si ammalava
nelle campagne era costretto a rientrare in città. Le malattie endemiche
erano le «terzane semplici, e doppie, le quali sogliono essere spesso
dannose, perché accompagnate da dissenterie, dalle affezioni comatose». Le cause delle malattie erano imputabili all’insalubrità dell’aria e
agli impedimenti di traspirazione. Uno dei rimedi più usati per le cure
era la corteccia di olmo. Erano frequenti tra i contadini le «febbri di
mutazione», spesso insorte dopo pernottamenti nelle terre di
S.Arcangelo, causate dall’acqua che lasciavano stagnare nelle irrigazioni.
Non c’erano stabilimenti per curare gli infermi e per ospitare gli orfani, se non incontravano la pietà dei più ricchi, mentre i bastardi erano
cresciuti con cura. Per distinguere le morti reali da quelle apparenti erano usati come precauzioni i vari stimoli. Nel comune di Alianello erano diffusi gli stessi prodotti e le stesse usanze di Aliano tranne qualche differenza che consisteva nei tipi di vini; quelli di Alianello erano
«più soliti a guastarsi» perché erano conservati in celle esposte al sole.
Gli impiegati alla guarigione erano di meno, vi era un solo cerusico,
un’ostetrica ed un salassatore, gli altri accorrevano da Aliano in caso
di bisogno, data la breve distanza da tale centro. Il contesto socioeconomico dei due centri era costituito prevalentemente da artigiani,
contadini, braccianti e da pochi massari; poco numeroso era anche il
15
cosiddetto ceto civile costituito da coloro che esercitavano le professioni.
Galantuomini; 7; 22%
Proprietari; 2; 6%
Altri; 16; 51%
Sacerdoti; 1; 3%
Religiosi; 1; 3%
Medici; 1; 3%
Farmacisti; 1; 3%
Civili; 1; 3%
Mulattieri; 1; 3%
Impiegati; 1; 3%
Grafico 2. Articolazione socio-professionale dei patrioti alianesi tra 1799 e 1865.
Nostra elaborazione da DPL, vol. V, p. 439.
Scarse le attività commerciali e manifatturiere. Solo ad Alianello29 era
in funzione una gualchiera, ove si battevano i panni locali e dei comuni limitrofi. L’agricoltura e la pastorizia erano le attività prevalenti.
Sempre da tale fonte è possibile apprendere:
Il territorio è da tom. 8.000 appartiene alla popolazione di entramb’i
comuni composti d’individui 2.000. La parte coltivabile è quasi la metà;
il rimanente è straripevole ed occupata da torrenti. Della parte coltivabile si coltiva meno della metà per mancanza de’ mezzi, onde animare
l’agricoltura, e delle braccia30.
Vengono, poi, indicati i metodi e le tecniche di conduzione che erano
in prevalenza arcaiche: agricoltura di tipo estensivo con l’impiego dei
buoi e degli asini per il maggese, la semina e la trebbiatura. Si coltivavano grano, biade e legumi. Per la pastorizia si utilizzavano i luoghi
29
30
T. PEDIO, La Basilicata borbonica, cit., p. 151.
D. DE MARCO (a cura di), La Statistica …, cit., pp. 406- 408.
16
incolti in terreni demaniali, nei quali venivano fatti pascolare buoi,
vacche, pecore e capre. In relazione all’agricoltura e alla pastorizia la
Statistica fornisce alcuni dati interessanti:
TERRENI
IMPIEGATI
A’ VARI RAMI
DI RURALE ECONOMIA
IN TOMOLI
CONTADINI
BESTIAMI
IMPIEGATI
IN NUMERO
DIVERSI
CAPITALI
IMPIEGATI
IN DUCATI
Pascolo 6.900
Bestiami 50
Bovi 140
4.200
Grano 400
Coltura 30
Pecore 1.000
1.500
Biada 175
Alla zappa 200
Capre 1.000
1.500
Legumi 25
Vigneti ed oliveti 600
SPESE
ANNUE IN
DUCATI
1.500
1.230
4.000
PRODOTTO ANNUO
PRODOTTO
IN GENERE
ANNUO
IN PREZZO
IN DUCATI
Grano tom. 1.200
Biada » 500
Legumi » 100
Vino cant. 2.000
Olio » 600
Formaggio » 30
Lana » 6
2.400
500
120
5.000
15.000
400
600
CONSUMO
NEL PAESE
8.000
600
100
4.000
50
26
6
ESTRAZIONE
Olio cant. 550
Tabb. 2-3. Comuni di Aliano e Alianello. Mappa statistica. Da D. DEMARCO (a cura
di), La Statistica…, cit., pp. 408-409.
Dall’analisi della tabella emerge che i terreni venivano impiegati in
vari rami dell’economia rurale.
Per i pascoli ne venivano impiegati 6.900 tomoli, nei quali era impiegato il lavoro di 50 contadini per la cura dei bestiami e in cui vi pascolavano 140 Bovi, per un capitale annuo di 4.200 ducati; 4.000 tomoli
di terreno erano coltivati e Grano e vi trovavano impiego 30 contadini
17
per la coltura, vi pascolavano 1000 capi di Pecore, per un capitale annuo di 4.200 ducati; 175 tomoli di terreno coltivati a Biada, dove vi
trovano impiego 200 contadini alla zappa, vi pascolano 1000 Capre,
per un capitale annuo di 1.500 ducati; 25 tomoli di terreno coltivati a
Legumi e 600 tomoli a Vigneti e Oliveti.
Quindi, riassumendo tutti i dati presenti in tabella, per quanto riguarda le spese annue in ducati: con 1.500 ducati si aveva un prodotto annuo di 11 tomoli di Grano, pari a 2.400 ducati, un consumo nel paese
pari a 8.000 ducati e 550 tomoli di olio come estrazione annua; con
una spesa annua di 1.230 ducati, si produceva un prodotto annuo di
1.200 (?), pari a 500 ducati e un consumo nel paese pario a 600 ducati.
Con 4.000 ducati di spese annue, invece, si poteva avere un prodotto
annuo di:
500 tomoli di biada, pari a 120 ducati e un consumo nel paese
di 100 ducati; 100 tomoli di legumi, pari a 500 ducati e un consumo
nel paese di 4.000 ducati;
- 2.000 cantari di vino per un prodotto annuo di 15.000 ducati e un
consumo nel paese di 50 ducati;
- 600 cantari di olio per un prodotto annuo di 400 ducati e un consumo di 26 ducati;
- 30 cantari di formaggio per un prodotto annuale di 600 ducati e un
consumo di 6 ducati 6 tomoli di lana, di cui non sono stati rilevati dati
sulle quantità prodotte e quelle consumate.
2. Dalle Municipalità repubblicane all’insurrezione lucana
Nell’ambito della riorganizzazione in Dipartimenti avviata nel corso
del pentamestre repubblicano del 1799, Aliano faceva parte del cantone di Monte Muro, insieme a Montemurro, Armento, La Farneta San
Biagio, lo Spirito Santo, Guardia Perticara, Corleto, Gorgoglione,
Tursi, Palazzo, San Chirico Raparo, S. Arcangelo, S. Lorenzo, Roccanova, Castronuovo, S. Martino, Spinoso, S. Angelo e Sarconi. La vasta estensione del dipartimento del Bradano a nord-est, fino
all’Adriatico, risultava compensata con la suddivisione interna in dipartimenti più piccoli, assegnando quasi tutto il territorio a sud
18
dell’Agri al Dipartimento del Crati31. In realtà, allo stato non risulta
che la Municipalità alianese, che pure dovette essere costituita, avesse
avuto problemi interni dovuti a conflitti di potere tra i gruppi dirigenti
locali. Unica menzione appare quella del domenicano Pietro Luigi Poerio, unico «reo di Stato» alianese processato nei mesi successivi alla
caduta della Repubblica napoletana32. Il Poerio, in effetti, fu accusato
di aver sposato la causa rivoluzionaria, intraprendendo un’azione di
predicazione alle masse del Catechismo repubblicano.
Se, dunque, Aliano fu scarsamente investita dall’esperienza repubblicana, almeno da quanto risulta allo stato attuale della ricerca, è, tuttavia, evidente, negli anni precedenti la rivoluzione del 1820-21, che ad
Aliano la Carboneria fosse molto attiva: i dignitari della vendita alianese furono molti e presero parte attiva alla rivoluzione, finendo, poi,
schedati negli «Scrutini di Polizia».
Tra le fila della Carboneria si schierò anche Giovanni Poerio, un medico condotto, divenuto, poi, anche capo urbano e sindaco del paese.
Giovanni Poerio, avviato agli studi di medicina ebbe a Napoli contatti
con elementi liberali, dai quali fu iniziato alla Carboneria. «Settario
irriconoscibile coll’attuale Governo», coinvolto nel movimento del
1821 in Basilicata, fu schedato negli «Scrutini di Polizia». Allontanatosi dal movimento liberale, nel 1831 fu nominato «medico condotto»
ad Aliano, dove ricoprì cariche amministrative e fu, per lungo tempo,
capo urbano e sindaco33.
Tra gli altri andrebbero almeno ricordati Giuseppe De Benedictis,
«galantuomo», affiliato alla Carboneria, che ricoprì il grado di assistente nelle vendite34; Giovanni La Greca, «antico ed attivo carbonaro» ed alto dignitario35; Biagio Laurenza36; Giovanni e Matteo Marra37;
Senatro Poerio38; Luigi Santomascia39.
31
Ivi, pp. 43-44.
T. PEDIO, Uomini aspirazioni contrasti nella Basilicata del 1799. I rei di Stato
lucani, Matera, F.lli Montemurro, 1961, p. 109.
33
DPL, vol. IV, p. 179.
34
DPL, vol. II, p. 36.
35
DPL, vol. III, p. 30 .
36
DPL, vol. III, p. 78.
37
DPL, vol. III, p. 250.
38
DPL, vol. IV, p. 179.
32
19
Anche nel 1848, sicuramente per la scarsa popolazione e per la lontananza dalle vie di comunicazione, Aliano non risulta aver costituito
un Circolo Costituzionale, né tantomeno aver partecipato con proprie
forze alla raccolta di armati che convergessero su Potenza per marciare su Napoli. Tuttavia, nell’estate del 1860, nell’ambito
dell’organizzazione cospirativa diretta dal Comitato di Corleto, Aliano
rientrava nel sottocentro insurrezionale di Corleto, presieduto da Carmine Maria Senise. Presidente del Comitato cittadino era Giambattista
De Leo. Probabilmente si dovette al De Leo la “pubblica colletta” con
la quale i cittadini albanesi versarono, nelle casse del Comitato di Corleto, ben 152 ducati. Una cifra, questa, di tutto rispetto, se si pensa che
Guardia e Sant’Arcangelo versarono, secondo le stesse modalità, rispettivamente 151 e 118 ducati40.
39
DPL, vol. V, p. 51.
G. RACIOPPI, Storia dei moti di Basilicata e delle provincie contermine nel
1860, Napoli, nella Tipografia di Achille Morelli, 1867, p. 321.
40
20
21
Figg. 1-2. Atto di nascita di Giambattista De Leo. ASCA, Registro degli atti di nascita, a. 1816, n. d’ordine 13, ff. non numerati.
22
I militi di Aliano costituirono, per convergere, come d’accordo, su
Potenza, un drappello capitanato da Giambattista De Leo41, assistito
dal sergente Giambattista Manzone42 e dal caporale Nunzio Carbone43.
Portabandiera del drappello era Domenico Gesualdi 44. Militi del drappello erano Prospero Manzone, Giuseppe Calacone, Paolo Esposito,
Biagio Poerio, G. De Leo, Nicola Castrovillari, Francesco Curci, Nicola Curci, Giambattista Manzone, Luigi De Fina, Girolamo Pinto,
Luigi De Lorenzo, Marcantonio Giordano, F. De Leo, Giuseppe Colaiacovo45. Il drappello, dunque, era composto da 18 militi.
Dopo la proclamazione del Governo Prodittatoriale, il 19 agosto,
vennero immediatamente predisposti i piani attuativi per la creazione,
in tutti i centri della provincia, di Giunte insurrezionali composte da
tre cittadini delegati da Commissari. I componenti delle Giunte avrebbero dovuto provvedere all’esecuzione delle disposizioni governative,
mantenere l’ordine interno e mobilitare, per la difesa del territorio, un
terzo della Guardia Nazionale. Per l’attuazione di tali Giunte furono
emanate, il 30 agosto, le «Istruzioni pei Commissarii Civili Distrettuali»46.
Il Commissario del distretto di Lagonegro, Giuseppe Mango, inviò,
come suo delegato, nel circondario di Sant’Arcangelo, nel quale rientrava anche Aliano, il missanellese Rocco De Petrocellis.
Ad Aliano la Giunta Insurrezionale venne istituita il 1° settembre
1860 da Rocco De Petrocellis di Missanello, che vi pose come componenti Giovannino Curci, Gerardo Scardaccione (Sindaco di Aliano
nel 186247) e Giovanni De Leo48. Segretario ne fu Nicolino Panevino49.
41
DPL, vol. II, pp. 77-78.
DPL, vol. III, p. 213.
43
DPL, vol. I, p. 272.
44
DPL, vol. II, p. 397.
45
DPL, ad voces.
46
ASP, Governo Prodittatoriale Lucano, b. IV, fasc. 41, f. 84.
47
ASCA, Registro degli atti di nascita.
48
ASCA, Registro degli atti di nascita.
49
ASP, Governo Prodittatoriale Lucano, b. IV, fasc. 36, “Istallazione delle Giunte
Municipali. Verbali”, f. 287. Nel documento è indicato come Canevino, ma dai Registri degli atti di nascita dell’ASCA è indicato correttamente come Nicola Maria
Panevino, sindaco di Aliano nel 1813-14 e in secondo mandato nel 1832-33.
42
23
Fig. 3. Istituzione della Giunta Insurrezionale in Aliano. ASP, Governo Prodittatoriale Lucano, b. IV, fasc. 36, “Istallazione delle Giunte Municipali. Verbali”, f. 287.
24
4. Il brigantaggio
Giambattista De Leo, in qualità di capitano della Guardia Nazionale
di Aliano, partecipò alle operazioni di repressione contro il brigantaggio, come la quasi totalità di coloro che furono prima militi insorti. La
questione sociale, che, a quanto detto, appariva per così dire “inesplosa” nel territorio alianese, fu, infatti, piuttosto spinosa subito dopo
l’Unificazione, con disinvolte ricollocazioni da parte di quegli stessi
militi della Guardia Nazionale che si erano recati a Potenza a combattere nell’esercito insurrezionale. Un esempio di questo cambiamento
di prospettiva lo offre il caso di Luigi Maiorana, che, dapprima, aderì
al movimento liberale e nel 1860 fu, addirittura, capitano della Guardia Nazionale, ma proprio in occasione del Plebiscito assunse un atteggiamento ambiguo e, l’anno successivo, si schierò con Borjés, manifestando apertamente la sua opposizione al potere costituito50.
Molti altri alianesi, invece, fin dall’inizio si diedero “alla macchia”, e
si schierarono, per lo più, con la banda Crocco-Borjés, partecipando
con essi alla battaglia di Acinello, svoltasi proprio nei pressi di Aliano, nel novembre 1861, in seguito alla quale, avendo vinto contro le
Guardie Nazionali locali accorse e l’esercito piemontese, la banda
s’incamminò verso Potenza con lo scopo di conquistarla. Tentativo,
però, fallito.
Altri alianesi si schierarono con altre bande, come Filippo Marazita
che si arruolò nella banda Scovariello, che, però, confluì, in seguito,
come molte altre con la banda Crocco51.
Un caso di un cittadino albanese degno di nota è quello del sacerdote
Giovanni Battista Versica, che, il 9 novembre 1861, accolse Borjés ad
Aliano, alla testa della popolazione, gridando «Viva Francesco II»,
probabilmente per avere risparmiata la vita, sua e dei suoi concittadini
al suo seguito, ma la sera del giorno dopo, accusato probabilmente da
una spia, fu arrestato con 179 suoi concittadini dalle forze regolari,
con l’accusa di voler sovvertire il Governo e, dopo un processo som 50
51
DPL, vol. III, p. 188.
DPL, vol. III, p. 217.
25
mario, fu fucilato nella pubblica piazza di Aliano, l’11 novembre
186152.
Tra gli alianesi che si unirono alle bande di briganti, vanno ricordati
almeno Nicola Cardinale, sarto, che nell’ottobre del 1861 organizzò
gli sbandati del suo paese al cui comando seguì Borjés. Arrestato ad
Anzi, riferì che intento dei ribelli era quello di occupare dopo Vaglio,
Potenza53. O ancora, Tommaso De Benedictis, «Galantuomo», schieratosi apertamente contro il movimento liberale nel novembre del 1861
e che promosse arruolamenti per Borjés54, alla cui banda si unirono
Giuseppe De Leo, nato ad Aliano nel 1842 (ma dall’ASCA risulta esser nato nel 1838), contadino, che cadde in conflitto il 10 novembre
186155.
Uno degli eventi più sanguinosi a tal proposito, in un territorio vicino al centro di Aliano, fu la battaglia dell’Acinello, uno dei conflitti
decisivi per mostrare la dimensione del fenomeno brigantesco, dato
che durante il combattimento perse la vita il capitano dei soldati italiano, Icilio Pellizza. Da questa battaglia l’alleanza Crocco-Borjés ebbe la meglio e subito dopo il loro esercito si mise in marcia verso Potenza nel tentativo di conquistarla. In merito a questo episodio Francesco Pietrafesa scrive:
Il 10 novembre (1861) alla taverna Acinello, sulla piena del fiume Sauro, le
bande brigantesche, fuggite da Aliano all’annuncio dell’arrivo delle truppe regolari, si scontravano con le Guardie Nazionali mobili, guidate dal patriota liberale Emilio Petruccelli, e con tre compagnie del 62° fanteria che avevano loro
tentato di sbarrare la strada. Caddero combattendo il capitano Pellizza e una
quarantina fra soldati e guardie mobili56.
Della battaglia di Acinello scrive anche Michele Saraceno:
52
J. BORJÉS, La mia vita tra i briganti, Manduria, Lacaita, 1964, p. 77.
P. VARUOLO, Il volto del brigante. Avvenimenti briganteschi in Basilicata.
1860/1877, Galatina, Congedo, 1985, p. 163.
54
DPL, vol. II, p. 36.
55
DPL, vol. II, p. 79.
56
F. PIETRAFESA, Il generale Crocco. Cronache brigantesche nella regione del
Vulture, Rionero in Vulture, Litostampa Ottaviano, 1985, p. 49.
53
26
Tra Aliano e Stigliano il 10 novembre (1861) in località Molino dell’Acinello,
una larga pianura attraversata dal fiume Agri, Borjés si scontrava con i soldati
italiani, comandati dal capitano Icilio Pellizza del 62° fanteria, e poco dopo anche a causa della non molta saldezza mostrata dalle Guardie Nazionali agli ordini di Emilio Petruccelli, risulta vincitore. Il capitano Pellizza in tale scontro
perdeva la vita, colpito da una pallottola al capo57.
Anche se non abbiamo dati certi, possiamo supporre che i contadini
alianesi parteciparono attivamente alla battaglia di Acinello e ai conflitti degli anni successivi. Infatti, dai Registri dei morti custoditi
nell’Archivio storico del Comune di Aliano emerge che i morti nel
1861 furono nettamente superiori alla media annuale di circa 40 persone, dato che sono registrati ben 131 alianesi.
Inoltre, sempre dall’Archivio storico del Comune di Aliano sono venuti alla luce tre atti di morte58 di tre uomini di cui coincidono la data e
l’orario del decesso59, possiamo dedurre che essi erano tre briganti alianesi che vennero fucilati insieme ad Aliano il 14 dicembre del 1861
alle ore 15.00. Essi erano Vito Faiano, Giuseppe D’Angelo e Giovanni
Santomassimo60.
57
M. SARACENO, Il brigantaggio post-unitario nella regione del Vulture, Rionero
in Vulture, Litostampa Ottaviano, 1985, p. 52.
58
ASCA, Registro degli Atti di Morte.
59
Cfr. anche P. VARUOLO, Il volto del brigante…, cit., pp. 163-164.
60
ASCA, Registro degli Atti di Morte e Registro degli Atti di Nascita.
27
APPENDICE
Sindaci di Aliano dal 1809 al 186561
ANNO
1809
1812
1813-1814
1815-1818
1820
1824
1825-1826
1828-1831
1831(genn.)-1832(sett.)
1832(ott.)-1833
1835-1839
1840-1846
1846(ott.)-1847
1848-1860
1862
1864
1865
SINDACO
FORNABAIO Giuseppe
DE SANZIY Samuele
PANEVINO Nicola Maria
MARRA Giambattista
FAIANI Vincenzo
MARRA Luigi
MARAZITA Giuseppe Nicola
CORRENTE Francesco Paolo
POERIO Giovanni
PANEVINO Nicola Maria, già secondo Eletto
DI LEO Nicola Maria
POERIO Giovanni
CORRENTE Francesco Paolo
DI LEO Nicola Maria
SCARDACCIONE Gerardo
CORRENTE Vincenzo
MAIORANA Luigi
61
ASCA, Registri delle Nascite, aa. 1809-1865.
28
Gallicchio
Valentina Marotta
1. Territorio, popolazione ed economia
Gallicchio è situato tra la valle del Medio Agri e quella del Sauro; si
trova ad un altezza media di 731 mt/slm; il punto più alto è Tempa del
Barone (m. 867 slm), mentre il punto più basso è il Fiume Agri (m.
304 slm). Il territorio ha una superficie di 23,48 Kmq. Lo stemma raffigura un gallo poggiato su un monte di tre cime verdi e sostenente
con la zampa destra una freccia in atto di lanciarla, donde Galli ictus62.

Con la collaborazione di Mario Sanchirico.
Cfr. G. GATTINI, Delle armi de’ Comuni della Provincia di Basilicata, Matera,
La Scintilla, 1910, p. 27.
62
29
Gallicchio, Missanello e Castiglione ricaddero, in tempi diversi, sotto
la giurisdizione feudale dei Missanello, dei Pappacoda, dei Coppola,
dei Pignatelli e dei Carafa. All’inizio della dominazione borbonica
(1734) i tre feudi erano amministrati dai Lentini, provenienti da Monopoli. La Relazione Gaudioso, compilata nel 1736, su indicazione del
ministro Bernardo Tanucci, da Rodrigo Maria Gaudioso, avvocato fiscale dell’Udienza di Matera, così descriveva Gallicchio:
La Terra di Gallicchio distante miglia sei dalla sopradetta (Alianello) ritrovasi edificata in loco scosceso, avendo la prospettiva verso oriente, venendo
abitata da 850 persone tutte dedite ed applicate alla coltura del territorio che
produce grano, orzo ed altre vettovaglie. L’Università paga alla Regia Corte
per le imposizioni ordinarie ed estraordinarie da ducati 69. Viene posseduta
dall’illustre principessa di Belvedere con la rendita di ducati 300 in circa
[…]. Nello spirituale va compresa col vescovo di Tricarico63.
Dalla suddetta Relazione si rileva che il feudo di Gallicchio nel 1736
era posseduto dalla Principessa di Belvedere, mentre in realtà era stato
acquistato, insieme a quello di Missanello, dalla famiglia Lentini già
nel 173264, come viene documentato da un prezioso documento, Istromento di compravendita delle Terre di Gallicchio e di Missanello
stipulato tra la principessa di Belvedere e D. Cesare Lentini, conservato nell’Archivio parrocchiale di Missanello. La baronia dei Lentini
veniva, altresì, citata nel Dizionario del Sacco:
Gallicchio, Terra della Provincia di Matera, in Diocesi di Tricarico, situato
sopra una collina, d’aria buona […] si appartiene alla Famiglia dei Lentini,
col titolo di Baronia65.
Durante il Decennio napoleonico (186-1815), con legge n. 272 dell’8
dicembre del 1806 il Regno venne diviso in 13 Province e ciascuna di
esse in Distretti, Circondari e Comuni. Ogni Comune veniva amministrato dal Decurionato, costituito dal Sindaco, da due Eletti e dai De 63
T. PEDIO, La Basilicata borbonica, Venosa, Osanna, 1986, p. 56.
Cfr. R. ROBERTELLA, Nuove luci lucane, Avellino, Menna, 1984, p. 132.
65
F. SACCO, Dizionario Geografico Istorico-Fisico del Regno di Napoli, Napoli,
Flauto, 1796, t. II, p. 72.
64
30
curioni. Come primo Sindaco di Gallicchio fu nominato il notaio Vito
Donnadio che rimase in carica, quasi ininterrottamente, dal 1807 al
1816.
Per quanto concerne la popolazione, nel primo trentennio del XVIII secolo contava 114 fuochi, per un totale di 570 abitanti, mentre la Relazione Gaudioso, come detto, attestava che la Terra di Gallicchio era
abitata da 850 persone. Nel 1860, la popolazione contava 1290 abitanti66. Nel corso di poco più di un secolo la popolazione, nonostante il
disastroso terremoto del 1857, in cui si registrarono 16 morti, aumentò, dunque, di ben 440 unità. Questo, comunque, in sintesi,
l’andamento demografico tra il 1736 ed il 1860:
ANNO
1736
1796
1809
1811
1819
1821
1826
1829
1830
1832
1833
1839
1843
1848
1850
1853
1857
1860
ABITANTI
850
1.000
1.037
1.090
1.000
1.109
1.095
1.117
1.147
1.116
1.126
1.224
1.243
1.244
1.245
1. 286
1.331 (Terremoto: morti 16)67
1.290
66
ASCG, Registri degli atti di nascita e di morte dal 1809 al 1860.
G. FERRARI (a cura di), Viaggio nelle aree del terremoto del 16 dicembre 1857.
L’opera di Robert Mallet nel contesto scientifico e ambientale attuale del Vallo di
Diano e della Val d’Agri, Bologna, SGA, 2004, p. 114.
67
31
1.400
1.200
1.000
800
600
400
200
0
1736 1796 1809 1811 1819 1821 1826 1829 1830 1832 1833 1839 1843 1848 1850 1853 1857 1860
Tab. e Grafico 1. Andamento demografico di Gallicchio tra il 1736 e il 1860. Nostra
elaborazione da M. SANCHIRICO, Gallichio. Società e vita politico-amministrativa
dalle origini all’Unità, Potenza, Ermes, 2009, pp. 307-308.
Per quanto riguarda la composizione della popolazione, la maggior
parte degli abitanti era costituita da contadini, pastori e braccianti; pochi erano gli artigiani (sarti, fabbri, muratori, calzolai, falegnami),
mentre pochissimi, per lo più piccoli proprietari terrieri, erano coloro
che possedevano un imponibile superiore a 50 ducati. Il ceto dei civili
era ancora allo stato embrionale e deboli erano i nuclei di borghesia
delle professioni liberali, anche se non mancavano farmacisti, dottori
legali, notai e medici, che, in relazione al numero degli abitanti, erano
anche molti. Inoltre vi erano molti sacerdoti e chierici. Il clero, infatti,
abbastanza numeroso, costituiva un ceto sociale che aveva un peso di
particolare incidenza nelle piccole comunità, soprattutto per la riscossione delle decime. A Gallicchio, poi, tra il clero e la popolazione per
oltre un ventennio, dal 1817 al 1840, sarebbe sorto un duro contrasto68
proprio per la riscossione di tale tributo che «lo rendeva esperto più in
68
M. SANCHIRICO, Gallicchio…, cit., pp. 181- 195
32
faccende relative a censi e decime che in questioni di culto divino»69.
Dopo il 1816 si registrò anche un aumento notevole di proprietari e
massari (proprietari con masserie, bestiame e fondi), conseguenza diretta delle leggi eversive sulla feudalità. In seguito, dopo il 1821, si affermò il ceto dei galantuomini, che, godendo di numerosi privilegi, saranno i protagonisti delle vicende amministrative durante il periodo
pre-unitario. I galantuomini costituivano un ceto sociale chiuso: poteva, infatti, capitare a volte che qualcuno di essi potesse sposare la figlia di un massaro, ma non poteva mai accadere che un massaro potesse sposare la figlia di un galantuomo. Dall’analisi dei documenti disponibili nell’Archivio di Stato di Potenza (liste degli eleggibili, Conti
finanziari e spese per la costruzione delle opere pubbliche), emerge,
infine, che la popolazione, durante il periodo esaminato, presentava un
tasso di analfabetismo molto elevato, tra il 97 e il 98%. Dai documenti
contabili, come il «Conto morale» del 181170, si rileva altresì che tra le
spese a carico dell’Amministrazione comunale figuravano quelle relative agli stipendi del maestro di scuola dei bambini e della maestra
delle bambine per un totale di ducati 24 per ciascuno. Sempre dai
Conti morali degli anni successivi, a partire dall’anno 1817 e fino al
1832, si evidenzia anche che, a causa delle scarse rendite previste in
entrata, tali voci vennero soppresse, penalizzando pesantemente la
scuola e, di conseguenza, l’alfabetizzazione della popolazione.
L’istruzione, pertanto, continuò a restare un privilegio di pochi, figli
di proprietari e di galantuomini, che potevano frequentare le scuole
private in loco o nei paesi viciniori o presso istituti religiosi. Anche la
sanità, nonostante le epidemie che ciclicamente colpivano la popolazione, il vaiolo in particolare, venne fortemente penalizzata: nei bilanci comunali, dal 1817 al 1860, non sempre è registrata la spesa per lo
stipendio del «medico condottato». Alla mancata erogazione dei servizi socialmente utili (scuola e sanità), corrispondeva anche
l’inasprimento fiscale con l’aumento delle imposte sui beni di consumo (sulla molitura del grano, sulla neve, sul ghiandaggio, sulla fon 69
A. LERRA, L’Albero e la croce. Istituzioni e ceti dirigenti nella Basilicata del
1799, Napoli, ESI, 2001, rist. 2004, p. 24.
70
ASP, Intendenza, Amministrazioni comunali, cart. 1098, fasc. 42, ff. 152-154.
33
diaria, sugli usi civici e su quasi tutti i generi di prima necessità), che
gravava pesantemente su tutta la popolazione, soprattutto su quella
meno abbiente.
Le notizie relative alle attività produttive offerte sia dalla Relazione
Gaudioso del 1736 che dalla Statistica disposta da Gioacchino Murat
nel 1811, sono scarse. Il primo documento, come è stato detto in precedenza, si limita a segnalare che l’attività prevalente della popolazione era l’agricoltura con la produzione di «grano, orzo ed altre vettovaglie», il secondo aggiungeva che si produceva olio e che abbondava la
produzione dei legumi, degli ortaggi e della frutta che «si vendono pel
concorso dei paesi, che ne mancano a cent. 8 2/5 il rotolo»71. Vengono, poi, elencati gli impiegati alla guarigione: «Vi sono due medici, un
cerusico, uno speziale, un salassatore ed una ostetrice. I primi due mediocremente istruiti, l’ultima lo fa per uso. I medici sono condottati»72.
Si ricorda anche che tra le produzioni tipiche v’era la coltivazione del
lino, seminato come il grano e cresceva allo stesso modo, raggiungendo la stessa altezza. Lo stelo, abbastanza rigido e diritto, all’apice presentava una chioma piatta su cui si infittivano «graziosi fiorellini celesti», che poi si trasformavano in semi utilizzati per la semina successiva. Le piantine di lino, quando erano abbastanza secche, si raccoglievano in fasci e si mettevano a macerare sott’acqua. Successivamente i
fasci venivano fatti asciugare e venivano frantumati con uno strumento di legno chiamato «mangano», di cui ancora oggi si conserva qualche esemplare. L’operazione successiva consisteva nella separazione
della fibra dalla parte legnosa. La fibra, divenuta abbastanza morbida,
veniva poi liberata dallo scarto, la stoppa, e così era pronta per essere
trasformata, con la conocchia, in lino con il paziente lavoro delle filatrici. Il lino veniva così trasformato in fili sottilissimi e resistentissimi
che dalle tessitrici, con l’ausilio del telaio in legno, venivano impiegati
per ottenere tessuti con cui si confezionavano biancheria, coperte e
corredo delle ragazze73. Altre produzioni tipiche erano legate alla pastorizia che poteva contare su larghe estensioni di terreno adibite a pa 71
D. DE MARCO (a cura di), La Statistica del Regno di Napoli nel 1811, Roma
Accademia Nazionale dei Lincei, 1988, t. III, p. 106.
72
Ibidem.
73
R. ROBERTELLA, Nuove Luci Lucane, cit., p. 454.
34
scolo, «frascali a pascolo e sterili tenuti a pascolo», come si rileva dal
Conto morale del 181174.
Gli allevamenti erano prevalentemente quelli di pecore, capre, maiali e di buoi, particolarmente adatti al tipo di territorio. I buoi venivano
impiegati nei lavori dei campi (aratura, semina e trebbiatura, detta
«pisatura», perché i buoi giravano continuamente sull’aia, dove erano
distesi i covoni, tirando una grossa pietra che serviva per frantumare
le spighe). Le capre e le pecore servivano per il commercio del bestiame, per l’industria di pellame e della lana e soprattutto per il
commercio dei prodotti lattiero-caseari. Tipica e pregiata era la produzione del formaggio della sola pecora, il pecorino. Altro prodotto
molto richiesto era la lana, che in parte veniva utilizzata per uso familiare e in parte veniva commercializzata, soprattutto quella più
pregiata la cosiddetta «maggiorina», tosata nel mese di maggio.
L’allevamento dei suini, infine, rappresentava un bene essenziale per
tutte le famiglie. Prodotti tipici erano e sono i vari tipi di salumi.
L’agricoltura era di tipo estensivo e praticata con mezzi arcaici, con
la zappa o con aratri di legno tirati dall’asino o dai buoi. A causa della natura del terreno, prevalentemente montuoso e poco fertile, e per
l’incostanza del clima, la produzione agricola non sempre era sufficiente al fabbisogno della popolazione, specialmente nei periodi di
carestia, come nel 1817, durante i quali i poveri contadini «muoiono
di fame e si cibano di erbe selvatiche»75. Dai Registri degli Atti delle
nascite e delle morti, consultati presso l’Archivio comunale, emerge,
infatti, che la mortalità della popolazione, in particolare di quella infantile, dal 1809 al 1860, era molto elevata sia per le precarie condizioni igienico-sanitarie che per le malattie epidemiche e soprattutto
per la insufficiente alimentazione, maggiormente avvertita durante i
periodi di carestia, che erano abbastanza frequenti. Le attività commerciali erano modestissime. In assenza di strade, infatti, gli scambi
commerciali esterni avvenivano raramente e quasi sempre in occasioni di fiere, e limitatamente con i centri viciniori.
74
75
ASP, Intendenza, cart. 1110, fasc. 41, f. 151.
Cfr. M. SANCHIRICO, Gallicchio…, cit. p. 311.
35
2. Dalle Municipalità repubblicane al 1820
Nella prima metà del febbraio 1799 entusiastiche cerimonie di piantagione degli alberi della libertà con la costituzione delle Municipalità
repubblicane interessarono anche i diciotto centri della Valle
dell’Agri. I primi centri ad insorgere e a proclamare la Repubblica furono Montemurro e Sant’Arcangelo e, sull’esempio di questi, a Gallicchio l’albero della libertà fu piantato in località Il Piazzile, ad opera
di Nicola Conte, dottore in utroque jure, dal fratello Leonardo e dal
medico Leonardo Robilotta. Alla cerimonia della «piantagione»
dell’albero avevano preso parte attiva anche due uomini di chiesa, il
monaco agostiniano Fulgenzio Gaudiosi e il sacerdote Giuseppe Villone. Non era mancata neppure la partecipazione di un popolano, un
certo Vito Santo, che aspirava al possesso della terra.
Nei giorni seguenti a Gallicchio fu inviato il Commissario organizzatore, Antonio Salvadore, per accertare il funzionamento della nuova
amministrazione, per garantire la partecipazione di tutte le classi sociali alla direzione della vita cittadina e soprattutto per assicurare la
spartizione delle terre feudali e demaniali ai contadini. Ben presto però, in seno alle nuove Municipalità, sorsero violenti contrasti tra la
corrente moderata e quella radicale che sfociarono in manifestazioni
popolari che finirono nel sangue, come si verificò a Sant’Arcangelo il
24 febbraio per la mancata spartizione delle locali terre demaniali da
parte degli amministratori repubblicani76.
Così, mentre in molti centri del Potentino e del Materano si andavano
intensificando contrasti e lotte, in vari comuni del Lagonegrese si costituiva una forte organizzazione controrivoluzionaria intorno al
Commissario Regio Filippo Antonio Durante di San Chirico Raparo,
che aveva contatti con Palermo e con il cardinale Ruffo. L’azione del
Durante fu rapida e violenta, abbattendo gli alberi della libertà ed indebolendo gli entusiasmi repubblicani. Anche le fragili e tiepide Municipalità della Val d’Agri furono facilmente travolte dall’opera controrivoluzionaria del Durante. A metà giugno, caduta la Repubblica
napoletana, seguì a Napoli e nelle province una violenta e sanguinosa
76
Cfr. A. LERRA, L’Albero e la croce…, cit., pp. 133-134.
36
reazione borbonica. A Gallicchio per le consuete Diligenze venne inviato l’Assessore Regio Angelo Lo Fruscio. A seguito di tali inchieste
vennero inclusi tra i 1307 «rei di Stato»77 tre gallicchiesi, Nicola Conte, Fulgenzio Gaudiosi e Leonardo Robilotta, che avevano avuto diretta responsabilità di governo della locale Municipalità repubblicana. Il
Conte, «legista», era nato a Gallicchio verso il 1778 e fu incluso nel
Notamento dei rei di Stato con la seguente accusa: «D. Nicola Conte
di Gallicchio alla notizia che il nemico aveva preso Napoli fu impegnato a piantare l’albero. Fu scarcerato»78. A carico del Gaudiosi si evidenziava che
girava li paesi col Commissario D. Antonio Salvadore per organizzare le Municipalità. Si dimostrò di sentimenti eretici negando la Potestà Pontificia e il
Sacramento della Penitenza. Si portò con detto Commissario ad esplorare la
volontà delle monache di Muro se volevano dal monastero uscire. Si deve osservare qual carico abbia in provincia di Salerno, non rilevandosi carcerato dalla visita di Matera79.
A carico di Leonardo Robilotta, medico, si leggeva, invece, che «alla
notizia che il nemico aveva preso Napoli fu impegnato a piantare
l’albero. Fu scarcerato»80.
Il Decennio napoleonico (1806-1815), durante il quale aveva preso il
via il lungo e difficile processo di unificazione nazionale, aveva segnato una profonda frattura tra il vecchio sistema feudale ed un nuovo tipo di Stato, dando inizio ad una nuova fase di riformismo e di modernizzazione. Nell’ambito del riassetto territoriale napoleonico, Gallicchio, all’inizio, fece parte del Distretto di Matera e del Circondario di
Sant’Arcangelo, mentre nel 1811 passò a far parte del Distretto di Potenza e del circondario di Montemurro.
Con la Restaurazione, nel diffuso clima di ritorno allo status quo ante, si diffuse la Carboneria, che nell’alta Val d’Agri era già presente
77
Ivi, p. 116.
T. PEDIO, Uomini aspirazioni e contrasti nella Basilicata del 1799. I rei di Stato
lucani, Matera, Montemurro, 1961, p. 184.
79
Ibidem.
80
Ibidem.
78
37
dal 180781. Una Vendita carbonara era stata costituita anche a Gallicchio dal medico Pier Luigi De Luca, che la rappresentò alla Grande
Assemblea del Senato della Lucania Orientale, tenutasi l’8 luglio
1820, presieduta da Carlo Corbo, che approvò il piano insurrezionale
proposto dalla vendita di Napoli per ottenere la Costituzione. Tra i
carbonari gallicchiesi, che parteciparono alla rivoluzione costituzionale del 1820-21. si evidenziano numerose personalità di spicco.
In primo luogo, Pier Luigi De Luca, nato a Gallicchio nel 1797 da
Michele Arcangelo e da Elisabetta Chiurazzi, medico, fondatore della
Carboneria gallicchiese. Inoltre, il notaio Leonardo Paladino, sul quale
il giudice regio di Montemurro all’Intendente che gli chiedeva informazioni su di lui così scriveva: «nella vicenda del 1820-21 fu uno di
quelli, dei così detti Carbonari, che si distinse per carattere
d’effervescenza, sì anche pel grado designato della Grande Assemblea»82. Ancora dallo stesso giudice si apprende che, in occasione dei rinnovi e dei rimpiazzi delle cariche amministrative del 1829, altri gallicchiesi furono coinvolti nella rivoluzione costituzionale del 1820-21:
«Pietro Vincenzo Di Pierro, Luigi Pandolfo di Giovanni, Michele Di
Stefano, Ferdinando De Luca, e Sigismondo Motta furono settari e
quasi generalmente ardenti in modo che la maggior parte è sotto sorveglianza di polizia»83. Altri settari furono Ferri Giuseppe di Biase,
pastore, nato nel 1775, Pietro Antonio Di Pierro, proprietario, Andrea
Cicchelli, contadino, che rimasero sotto sorveglianza della polizia. Il
solo Pietro Vincenzo Di Pierro venne arrestato e fu scarcerato dopo
cinque anni84.
3. Dalla primavera dei popoli all’Unità
Alla feroce repressione della monarchia seguì l’organizzazione di
quella corrente moderata costituita da coloro che avevano tratto esperienza dalle vicende del 1799, dagli uomini che avevano partecipato
81
V. FALASCA, Grumentum, Saponaria, Grumento Nova. Storia di una comunità
dell'alta val d'Agri,, Potenza, Ermes, 1996, p. 179.
82
Cfr. M. SANCHIRICO, Gallicchio…, cit., p. 101.
83
Ibidem.
84
Ibidem.
38
alla rivoluzione costituzionale del 1820-21, dai molti carbonari che si
erano allontanati dal pensiero mazziniano, avendo «raggiunto la sua
maturità politica con piena coscienza dei vantaggi del regime costituzionale, quale strumento del dominio politico»85.
Anche in Basilicata, dopo gli entusiasmi, nel 1848, per la concessione della Costituzione da parte di Ferdinando II, la notizia dello scioglimento della Camera dei Deputati aveva creato delusione e rabbia. Il
Circolo Costituzionale Lucano dava inizio alla mobilitazione della
Guardia nazionale dei comuni della provincia, inviando, il 18 maggio,
al sindaco e al capo della Guardia nazionale di ciascun comune una
circolare con cui li si invitava a «a tener allestita buona parte della
guardia istessa, la quale marci dietro avviso, in quel punto, in cui venga richiesta, tenendosi la guardia addestrata alle manovre ed evoluzioni militari per quanto sia possibile»86. All’invito del Circolo a partire,
nonostante gli appelli dei radicali, «si mossero solo squadre nazionali
da Albano e Pietragalla, condotte da Rocco De Bonis, da Corleto sotto
la guida di Gennaro Pizzicara, da Gallicchio sotto quella di Giuseppe
Robertella, da Missanello sotto Rocco de Petrocellis»87. Queste poche
milizie, giunte a Potenza, «quando ogni movimento verso Napoli appariva già una chimera»88, vennero licenziate e non si parlò più di partenza.
Anche a Gallicchio, nei primi mesi del 1848, come previsto dalla Costituzione, era stata istituita la Guardia Nazionale comandata dal capitano Giambattista Robilotta89, dal primo tenete Giuseppe Robertella e
dal secondo tenente Pietro Vincenzo Di Pierro. Il Robertella ed il Robilotta, cugini, furono i maggiori esponenti del liberalismo gallicchiese ed accesi antiborbonici; inoltre il Robertella, tra i vari incarichi, ebbe anche quello di curare l’addestramento alle armi delle milizie della
85
A. D’ALESSANDRO, Moderati e Radicali in Basilicata nel 1848 e nel 1860, Matera, Basilicata, 1952, p. 363
86
Cfr. M. LACAVA, Cronistoria documentata della rivoluzione in Basilicata del
1860 e delle cospirazioni che la precedettero, Napoli, Morano, 1895, p. 17.
87
Ibidem.
88
G. MONDAINI, I moti politici del ’48 e la setta dell’«Unità Italiana» in Basilicata, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 1902, p. 121.
89
M. SANCHIRICO, Gallicchio…, cit., p. 214.
39
Guardia Nazionale. Agli inizi del mese di giugno i due cugini partirono per la fiera di San Giorgio, ritornando a Gallicchio in tempi diversi:
il primo dopo cinque o sei giorni, avendo avuto contatti con i liberali
di Chiaromonte, di Noepoli e di Roccanova, il secondo dopo diversi
altri giorni. Il Robertella di ritorno da questo viaggio portava in testa
un cappello alla calabrese con una lunga piuma nera e nastri tricolori.
Dalle testimonianze del processo90 emerge che il Robertella era stato
in Calabria, dove aveva incontrato i capi di quella rivoluzione, Giuseppe Ricciardi e Domenico Mauro. Risulta, altresì, che il Robertella
era stato a Chiaromonte, dove aveva passato in rassegna la guardia nazionale ed aveva distribuito alcuni proclami del governo provvisorio
calabrese. Sempre dalle testimonianze del processo sappiamo che, durante tutto il mese di giugno, il Robilotta, il Robertella e il Di Pierro
avevano inviato corrieri con lettere per tenere rapporti con i capi liberali dei Circoli di altri comuni (Missanello, Armento, Corleto, Roccanova, Chiaromonte, Montemurro, Spinoso, Laurenzana, Moliterno, di
Anzi, di Guardia Perticara, di Castelluccio)91. Intensa, pertanto, era
stata l’attività cospirativa dei patrioti gallicchiesi che si preparavano a
dare piena attuazione alle direttive impartite dal Circolo Costituzionale Lucano. In linea di massima questa era la situazione generale a Gallicchio il 4 luglio, quando venne pubblicato un bando per avvertire la
Guardia Nazionale di tenersi pronta per la partenza fissata per il giorno successivo. La sera dello stesso giorno nella locale Cancelleria comunale si tenne una riunione di molti proprietari ai quali, sull’esempio
di quanto era avvenuto in Chiaromonte, venne imposta una «tassa forzosa», la cui somma sarebbe servita per il mantenimento degli uomini
che avrebbero marciato verso Potenza. La mattina successiva i militi
armati, un’ottantina di uomini attivi ed intraprendenti, animati di coraggio e di speranze, si riunirono nella piazza al comando del capitano
e del primo tenente e si recarono in contrada Vignali, dove aspettarono
una ventina di armati di Missanello al comando del De Petrocellis. Insieme si diressero verso Armento dove vennero accolti benevolmente
90
ASP, Processi di valore storico, “Processo politico a carico di D. Giuseppe Robertella di Gallicchio, D. Rocco De Petrocellis di Missanello, nonché di altri…”,
Cart. 101, fasc. 1.
91
Cfr, M. SANCHIRICO, Gallicchio…, cit., p. 215.
40
dal sindaco Mazziotta e dal capitano della Guardia Nazionale Ambrosiani, ma senza offrire l’appoggio dei cento armati che erano stati
promessi nei giorni precedenti.
Il Robertella, irritato per la promessa non mantenuta, abbandonò
Armento dirigendosi con i suoi uomini verso Montemurro. La mattina
del 6 luglio venne riferito dal Robertella al sindaco, il barone Nitti, ed
ai due capitani della Guardia Nazionale che gli armati di Gallicchio e
Misanello si sarebbero riuniti a quelli di Montemurro per andare a
Laurenzana, passando per Corleto, dove si sarebbero riunite le Guardie Nazionali di tutta la provincia al fine di dirigersi a Potenza con lo
scopo di sostenere il Governo Provvisorio, così come aveva stabilito il
Circolo Costituzionale Lucano. Mentre a Montemurro si decideva di
convocare le Guardie Nazionali per stabilire cosa fare, il Robertella ed
il Robilotta con alcuni uomini si recarono a Spinoso per radunare gli
uomini promessi, ma il capitano di quella Guardia Nazionale, Giuseppe Romano, rispose che «senza l’ordine dei superiori nessuno dei suoi
uomini sarebbe partito e nessuno partì»92.
Anche a Montemurro si decise di non fornire uomini. Verso mezzogiorno del giorno successivo, sette luglio, l’armata dei Gallicchiesi e
dei Missanellesi lasciarono Montemurro, dirigendosi verso Corleto,
mentre alcuni uomini, tra cui il secondo tenente Di Pierro, furono inviati a Laurenzano per preparare alloggi e viveri. Anche a Corleto, nonostante il parere favorevole di alcuni liberali, trovarono il rifiuto intransigente del capitano della Guardia Nazionale, D. Pietro Lacava.
Ricevuta, poi, dagli uomini mandati a Laurenzana, la notizia del fallito
estremo tentativo del Circolo Costituzionale Lucano di installare il
Governo provvisorio nella «tumultuosa seduta» dell’otto luglio, gli
armati ritornarono nei rispettivi centri. Finiva, così, il tentativo di rivoluzione intrapreso dai “patrioti”.
L’otto luglio aveva segnato la fine delle agitazioni lucane. La reazione borbonica, anche questa volta, fu dura: gli incriminati di tutta la
Basilicata furono 1116, con 69 complessivi condannati. Tra gli altri,
notevole il processo politico93 che coinvolse i patrioti di Gallicchio,
92
93
Ivi, p. 216.
ASP, Processo politico…, cit., cart. 101, fasc. 1.
41
Missanello, Armento, Spinoso e Chiaromonte. Il processo iniziò il 13
giugno del 1849, quando il giudice della Gran Corte Criminale, Domenico Juliani, mandato appositamente da Napoli per istruire il processo politico per i fatti avvenuti a Potenza e in Provincia nel 1848,
formulò l’atto di accusa, trasmettendola al giudice regio del Circondario di Montemurro e al procuratore generale della Gran Corte Criminale di Potenza. Il 1° agosto iniziò a Corleto l’istruttoria: in quattordici
giorni furono ascoltati 99 testimoni, 26 di Gallicchio, 18 di Corleto, 18
di Armento, 12 di Missanello, 11 di Spinoso e 14 di Montemurro. Il
processo, terminata la lunga e complessa fase istruttoria, passò presso
la Gran Corte Criminale di Potenza, presieduta dallo Echaniz. Durante
questa seconda fase del processo emerse con chiarezza la stretta azione cospirativa ad opera del Robertella e della Guardia Nazionale di
Chiaromonte, comandata da Giuseppe Giura, in relazione
all’intervento armato in Calabria e alla difesa di Campotenese. Il processo, pertanto, interessandosi degli avvenimenti avvenuti in Chiaromonte, venne unificato e si concluse con dure condanne «per aver
commesso reato di complicità nella provocazione ed eccitamento ai
sudditi del Regno ad armarsi contro l’Autorità Reale». Robilotta e
Robertella ebbero la condanna più dura, a nove anni «di ferri», mentre
il Di Pierro fu condannato a sette anni, dopo aver già scontato cinque
anni di carcere per i fatti del 1820-21: tradotto nel bagno penale di
Procida, vi morì dopo alcuni mesi. La causa della morte ci è sconosciuta ma non è improbabile che sia dovuta alle disumane condizioni
di vita a cui i condannati venivano sottoposti.
La dura repressione operata dalla polizia borbonica aveva notevolmente indebolito le forze liberali in Basilicata. Anche a Gallicchio, incarcerati i protagonisti della sfortunata marcia del 4-8 luglio del 1848,
lo spirito cospirativo era stato fortemente attenuato sicché la partecipazione all’attività liberale nel decennio successivo fu abbastanza modesta.
Solo dal giugno 1860 il movimento cospirativo locale iniziò a relazionarsi stabilmente con il resto della Provincia, rientrando
nell’organizzazione del Comitato Insurrezionale Lucano: «in Chiaromonte Francesco Leo (condannato a sette anni di ferri per i moti del
42
1848) […], in Gallicchio il dott. Giuseppe Robertella e Giambattista
Robilotta, in Misanello Rocco De Petrocellis e suo figlio»94.
Anche i gallicchiesi parteciparono attivamente alla convergenza su
Potenza per il 18 agosto, con un drappello «che di speciale menzione è
degno, per avere presentati, al primo invito di sua breve popolazione
(1290 abitanti), ottantadue uomini, condotti dal ferreo Robilotta; e se,
quali Gallicchio, sempre pronto e parato all’azione, avesse avuto Corleto nella sua sfera d’influenza altri due o tre paesi, avrebbesi potuto
iniziare il moto in quale voleasi tempo»95. Gli 82 armati di Gallicchio
furono aggregati alla I Colonna delle forze insurrezionali lucane al
comando di Giuseppe Domenico Lacava. Di seguito se ne dà elenco
nominativo.
NOME
GRADO MILITARE
ALTAMURA Salvatore
AMOROSI Francesco Antonio
Milite nella Guardia Nazionale
ANDRIUOLI Giuseppe
Milite nella Guardia Nazionale
ATTOLINI Giovanni
Secondo tenente
BALZANO Michele Arcangelo
BAVUSO Giuseppe
Milite nella Guardia Nazionale
BAVUSO Rocco
Milite nella Guardia Nazionale
BERARDO Antonio
BERNARDO Ferdinando
CAMPANELLI Francesco, Paolo, Polito
Cappellano
CATAPANO Pasquale Maria
Milite nella Guardia Nazionale
CONTE Tommaso, Leonardo, Crescenzio
Sergente
CONTE Francesco Maria
CONTE Francesco Paolo
Sergente
CONTE Leonardo
CONTE Nicola
94
95
M. SANCHIRICO, Gallicchio…, cit., p. 273.
M. LACAVA, Cronistoria…, cit., p. 456.
43
CONTE Tommaso
CURTO Rocco
DE LUCA Francesco
DI STEFANO Paolo
DI PIERRO Giambattista
Milite nella Guardia Nazionale
DI PIERRO Pier Luigi
DI PIERRO Rocco
DI PIERRO Vincenzo
DI PIERRO Vito Michele
Milite nella Guardia Nazionale
DI PIERRO Vito Michele
Milite nella Guardia Nazionale
DONNADIO Francesco
FALOTICO Filippo
FERRI Giuseppe Nicola
FIORE Roberto
Sergente della Guardia Nazionale
GESUALDI Antonio Maria
Milite nella Guardia Nazionale
GIORDANO Pietro Vincenzo
Caporale della Guardia Nazionale
LAURENZANA Domenico
LAURIA Antonio
LAURIA Domenico
LAURIA Francesco
Milite nella Guardia Nazionale
LAURIA Gaetano
LAURIA Giacinto
Milite nella Guardia Nazionale
LUISI Antonio
LUISI Francesco
LUISI Vincenzo
MONTELEONE Giuseppe
MONTELEONE Michele
MONTEMURRO Luigi
MONTEMURRO Vito
MONTESANO Domenico Michelangelo
44
MONTESANO Napoleone Giulio Orazio
MONTESANO Pietro Nicola
MONTESANO Prospero
MONTESANO Rocco Luigi
MOTTA Antonio
MOTTA Giuseppe Maria
MOTTA Paolo
MOTTA Prospero Giuseppe
PALADINO Leonardo
PALADINO Titta
PANDOLFO Francesco
PANDOLFO Francesco Maria
PANDOLFO Giovanni
PANDOLFO Giuseppe
PANDOLFO Leonardo
PANDOLFO Michele
PANDOLFO Vito
PRIORE Filippo
Milite nella Guardia Nazionale
RENNA Vito
ROBERTELLA Filippo
ROBERTELLA Giuseppe
ROBERTELLA Leopoldo
ROBILOTTA Antonio
ROBILOTTA Federico
ROBILOTTA Giambattista
Comandante
ROTELLA Nicola Maria
RUGGIERO Francesco
Milite nella Guardia Nazionale
RUGGIERO Rocco
SANTANGELO Luigi
SINISGALLO Francesco
SINISGALLO Giuseppe Antonio
45
SINISGALLO Nicola
SINISGALLO Paolo
SOLDANO Pietro
TARALLO Francesco
Milite nella Guardia Nazionale
TARALLO Giovanni
TORTORELLI Giuseppe
TORTORELLI Pietro
Milite nella Guardia Nazionale
VIVOLI Domenico
VIVOLI Francesco
Milite nella Guardia Nazionale
VIVOLI Giovanni
VOLPE Giambattista
VOLPE Vitale
Milite nella Guardia Nazionale
Tab. 2. Drappello insurrezionale di Gallicchio. Nostra elaborazione da DPL, ad voces.
Anche a Gallicchio, compresa nel Commissariato insurrezionale di
Lagonegro, presieduto da Giuseppe Mango, fu istituita una Giunta Insurrezionale, ad opera di Rocco De Petrocellis, che vi inserì come
componenti il sacerdote Giuseppe Laviano, il barone Giovanni Attolini, assente in quanto impegnato nelle operazioni militari a Potenza e
Francesco Paolo Monteleone. Segretario della Giunta era Francesco
Maria Curti96.
96
ASP, Governo Prodittatoriale Lucano, b. IV, fasc. 36, “Istallazione delle Giunte
Municipali. Verbali”, f. 392.
46
APPENDICE
Sindaci di Gallicchio dal 1807 al 186197
ANNO
SINDACO
1807-dicembre 1809
gennaio 1810-aprile 1811
DONNADIO Vito
SINISGALLO Nicola
maggio 1811-dicembre 1812
gennaio 1813-dicembre 1814
gennaio 1815-dicembre 1817
gennaio 1818-marzo 1823
aprile 1823-febbraio 1831
marzo 1831-settembre 1833
ottobre 1833-maggio 1836
settembre 1836-febbraio 1840
marzo 1840-aprile 1843
maggio 1843-gennaio 1846
febbraio 1846-aprile 1848
CONTE Nicola
CASTIGLIA Michele
DONNADIO Vito
DE LUCA Michele Arcangelo
MONTELEONE Francesco Paolo
DE LUCA Pier Luigi
ROBILOTTA Leonardo
PALADINO Leonardo
DI PIERRO Pietro Vincenzo
PALADINO Leonardo
CURTO Francesco Maria
maggio 1848-marzo 1851
giugno 1851-giugno 1852
luglio 1852-gennaio 1854
febbraio 1854-dicembre 1857
gennaio 1858-ottobre 1860
novembre 1860-febbraio 1861
MASTRANGELO Maurizio
DONNADIO Giambattista
DE LUCA Francesco
DE LUCA Saverio
CONTE Paolo
ROBERTELLA Giuseppe
97
Da M. SANCHIRICO, Gallicchio…, cit., pp. 105-157.
47
QUALIFICA
Notaio
Calzolaio
(analfabeta)
Legista
Medico
Notaio
Medico
Civile
Medico
Medico
Notaio
Civile
Notaio
Maestro
di scuola
Civile
Proprietario
Medico
Sarto
Civile
Medico
48
Guardia Perticara
Graziana Donnoli
1. Territorio, economia, popolazione
Guardia venne edificata in luogo prevalentemente collinare, a 750 m
s.m., alla sinistra riva del torrente Sauro e ai piedi del monte Carraro.
Il territorio può essere diviso in zone rocciose: Petraia, Petrino, o Pietre; rilievi di diversa conformazione: Montagnola, Serra, Tempa; località ricche d’acqua (Lagarelle, Lago), anche sotto forma di rigogliose
sorgenti (Fontana), rivoli (Piscicolo, Piscione), acque stagnanti (Pantano o Pantoni). Vi si trovano anche terreni calcarei, atti per viti e ulivi
49
e «atto alla semina e al pascolo»; Inoltre vi si allevava minuto bestiame «il quale vendesi nei mercati di Potenza»1.
Sul finire del XVIII secolo, Guardia Perticara era una Terra appartenente al Regno di Napoli, compresa nella provincia di Basilicata, Ripartimento di Maratea (uno dei quattro nei quali era divisa la Basilicata, insieme a Melfi, Tursi e Tricarico), sotto la giurisdizione feudale
del principe dello Spinoso, Giuseppe Colonna marchese d’Altavilla2,
che l’avrebbe poi ceduta alla famiglia Spinelli.
L’economia locale ruotava intorno alla gestione di attività a carattere
prevalentemente agricolo-pastorale ma, comunque, con una produzione di sussistenza. La struttura sociale era determinata da tale quadro
economico e, quindi, con una prevalenza di bracciali, contadini, pastori, artigiani, massari e piccoli professionisti, mentre, per le donne, il
mestiere più diffuso era la ‘filatrice’3. Tale professione, in realtà a
conduzione familiare, era determinata dal fatto che a Guardia si produceva lino e canapa, anche se di scarsa qualità e le donne lo acquistavano dai centri dove abbondava ed era di ottima qualità a Tramutola, Marsico e Viggiano. Il cotone era, poi, importato dai centri del distretto di Matera e Lagonegro4.
Tale quadro veniva già descritto nel resoconto socio-economico nella relazione Gaudioso, redatta dall’avvocato fiscale della Regia Udienza di Matera, Rodrigo Maria Gaudioso, che ricevette, il 9 aprile
1735, da Bernardo Tanucci l’incarico di presentare una descrizione
della provincia di Basilicata che comprendesse il «numero
degl’abitanti de’ rispettivi luoghi, i vescovi colle loro entrade e prebende, Badie, Conventi de’ Frati, Parrocchie, Baroni loro entrade regie, tribunali con loro ministri e salari di ciascuno, usanze, leggi, stili
particolari ed inclinazioni de’ popoli»5.
1
G. R. RAMPOLDI, Corografia dell’Italia. Napoli, Milano, per Antonio Fontana,
1833, p. 292.
2
A. CAPANO, Guardia Perticara. Note Storiche, Potenza, il Salice, 1990, p. 27.
3
ASCG, Ufficio Anagrafe, Registri degli Atti delle Nascite ed Adozioni, 18101860.
4
D. DEMARCO (a cura di), La Statistica del Regno di Napoli 1811, Roma, Accademia dei Lincei, 1988, vol. III, p. 514.
5
A. CAPANO, Guardia Perticara…, cit., p. 27.
50
Per quanto riguarda Guardia Perticara, emergeva, appunto, la pratica
di attività agricole, anche se non si citava la presenza di artigiani e
professionisti come risultava dal Catasto Onciario, istituito nel 1741. I
dati relativi all’Università di Guardia Perticara risalgono al 1753, con
una prima e più completa censuazione sulla base dei fuochi, insieme ai
beni relativi6.
Dal censimento emerge un quadro di un centro con circa 1000 abitanti, con attività prevalentemente agricole, tra le quali 172 ‘bracciali’,
69 massari di campo e anche con commercianti e artigiani, fra i quali
intere famiglie che svolgevano lavori artigianali come il ‘fabbricatore’, il ‘legnajuolo’, lo ‘scarparo’; 1 agrimensore, 2 medici, 2 notai, un
professore ‘legale’ ed uno speziale7.
ANNO
ABITANTI
1601
1622
1671
1675
1703
1736
610
910
495
495
495
1000
1798
1654
1794/1805
1160
1806
1824
1694
1735
1829
1700
1847
1858
1885
1861
1707
1957
6
7
Ivi, p. 28.
Ivi, p. 30.
51
Tab. e Grafico 1. Evoluzione demografica di Guardia Perticara nei secoli XVII-XIX.
Nostra elaborazione da S. MAZZELLA, Descrittione del Regno di Napoli, in Napoli,
ad istanza di Gio. Battista Cappello, MDCI; E. BACCO, Il Regno di Napoli diuiso in
dodici Prouincie, in Napoli, per Lazaro Scoriggio, MDCXX; O. BELTRANO, Descrittione del Regno di Napoli diuiso in dodici Prouincie, in Napoli, per Ottauio Beltrano, 1671; T. ALMAGIORE, Raccolta Di Varie Notitie Historiche, Non Meno Appartenenti All' Historia Del Svmmonte, Che Cvriose, Napoli, Bulifon, 1675; G. B. PACICHELLI, Il Regno di Napoli in prospettiva, Napoli, Parrino e Mutio, 1703; G. M. ALFANO, Istorica descrizione del Regno di Napoli, diviso in dodici province, Napoli,
presso Vincenzo Manfredi, 1798.
52
Fig. 1. Esempio illustrativo del frontespizio di uno dei registri relativo all’anno 1810
consultato presso l’ufficio Anagrafe del comune di Guardia Perticara. Da ASCG,
Ufficio Anagrafe, Registri degli Atti delle Nascite ed Adozioni, 1810.
53
2. Dal 1799 al 1848
Il 1799 risulta il primo snodo significativo intorno al processo risorgimentale. Con la proclamazione della Repubblica napoletana, il 21
gennaio del 1799, si innescò una miscela che fece esplodere, in tutto il
Mezzogiorno, i contrasti tra le forze sociali emergenti (la piccola borghesia commerciale ed agricola) e la classe baronale, insieme all’alto
clero.
Il territorio della Repubblica Napoletana fu divisa in undici dipartimenti: il nono quello del Bradano, con capoluogo Matera, comprendeva gran parte della provincia di Basilicata per un insieme di 12 cantoni e ben 200 centri. Guardia Faceva parte del cantone di Montemurro8. Sul territorio, e proprio grazie a questi eventi, furono proclamate
le Municipalità repubblicane, che eressero, fin dalla fine di gennaio,
l’albero della libertà.
Il movimento repubblicano trovò diversi seguaci anche a Guardia,
guidati dal “galantuomo” Giuseppe Maria Agosto. A partire dalla seconda metà di febbraio, tuttavia, cominciarono a susseguirsi situazioni
di ridislocazione e riaggregazione politico-sociale, con progressivo infoltirsi del movimento di derepubblicazione.
Caduta la Repubblica, venne inviato per le indagini sulla condotta
dei repubblicani Giuseppe Spolidoro. A seguito a tali «diligenze»
vennero inclusi tra i 1307 «rei di Stato» della Basilicata 7 guardiesi9:
Pietr’Antonio Guarnacci10, Domenico Gaetano Massaro11, Giuseppe
Maria Agosto, Giulio Cesare Caporale12, Gerardo Maria Guidone13,
8
D. D’ANGELLA, Storia Della Basilicata, Matera, Liantonio, 1983, vol. II, p. 474.
A. CAPANO, Guardia Perticara…, cit., pp. 33-34.
10
ASCG, Ufficio Anagrafe Comunale, Registro Degli Atti di Morte, anno 1827, f.
2, n. d’ordine 3.
11
V. FALASCA, La Rivoluzione Napoletana del 1799 nei comuni della valle
dell’Agri e in Basilicata, Potenza, Ermes, 1999, p. 117.
12
Ibidem; ASCG, Ufficio Anagrafe Comunale, Registro Degli Atti di Morte, anno
1843, f. 6, n. d’ordine 11.
9
54
Giuseppe De Petrocellis14, Carlo Maria Grimaldi, Giuseppe Grimaldi,
Vincenzo Grimaldi, Pasquale Guidone15, Vincenzo Guidone16.
La rivoluzione del 1820-21 coinvolse anche la Basilicata, dove, nella
primavera del 1821, le truppe austriache portarono l’ordine: «Ai carbonari non resta che fuggire o nascondersi; le persecuzioni della polizia li costringono a frazionarsi in numerose sette minori che agiscono
senza il precedente coordinamento»17.
A Guardia Perticara tra gli affiliati alla Carboneria troviamo alcuni
personaggi di spicco.
Giuseppe Antonio Racana nacque in Guardia Perticara nel 178418. Di
professione mastro muratore, trasferitosi a Corleto Perticara, fu definito «Carbonaro graduato e deciso» e schedato negli «Scrutini di Polizia»19; Pietro Nicola Caporale, galantuomo20, «carbonaro graduato, preciso e inemendabile», dopo la repressione dei moti carbonari venne
schedato negli «scrutini di Polizia»21. Vincenzo Giannoccaro22, montalbanese23, accusato di «cospirazione»e di «attentato» fu schedato ne 13
ASCG, Ufficio Anagrafe Comunale, Registro Degli Atti di Morte, anno 1828, f.
12, n. d’ordine 22.
14
ASCG, Ufficio Anagrafe Comunale, Registri degli Atti Delle Nascite ed Adozioni, anno 1810, f. 13, n. d’ordine 25; DPL, vol. IV, p. 65; V. FALASCA, La Rivoluzione…, cit., p. 117.
15
ASCG,Ufficio Anagrafe Comunale, Registro Degli Atti di Morte, anno 1813, f.
8, num.d’ordine 15; V. FALASCA, La Rivoluzione…, cit., p. 117.
16
ASCG, Ufficio Anagrafe Comunale Registro Degli Atti di Morte, anno 1812, f.
38, num. d’ordine 74; V. FALASCA, La Rivoluzione…, cit., p. 117.
17
P. CUCCHI-A. MESSIA, Bottcatasc. Lampi di vita e di storia a Guardia Perticara, Potenza, Ermes, 2004, p. 32.
18
ASCG, Ufficio Anagrafe Comunale, Registri degli Atti Delle Nascite ed Adozioni, anno 1816, f. 54, num. d’ordine 54.
19
DPL, vol. IV, p. 253.
20
ASCG, Ufficio Anagrafe Comunale, Registro Degli Atti di Morte, anno 1841, f.
24, num. d’ordine 47.
21
DPL, vol. I, p. 253.
22
Il Pedio riporta Giannoccari.
23
ASGC,Ufficio Anagrafe Comunale, Registro Degli Atti di Morte, anno 1837, f.
31, num. d’ordine 25.
55
gli scrutini di polizia24; l’avvocato Giuseppe Martinelli, che «andiede a
servire da volontario dell’Armata costituzionale»25.
Carlo Maria Grimaldi, notaio26, che, dopo aver avuto incarichi amministrativi durante il Decennio, fu sottoposto ad un processo «per cospirazione»27. Suo figlio Giuseppe, inoltre, fu arrestato il 19 agosto
1822 per rispondere di «cospirazione contro la sicurezza interna dello
Stato in qualità di settario carbonaro eccitando i sudditi ad armarsi
contro l’Autorità Reale antecedentemente al mese di luglio 1820’ e di
discorsi tenuti in luogo pubblico dopo il 24 marzo 1821 tendenti a
provocare una rivolta»; usufruì della sovrana indulgenza del 13 marzo
1822, fu sottoposto a «sorveglianza del Giudice del luogo del suo domicilio»28. Anche l’altro figlio, Vincenzo29, seguì lo tesso destino del
fratello Giuseppe, sottoposto a «sorveglianza del Giudice del luogo
del suo domicilio»30.
Nel 1848 l’attività insurrezionale trovò il suo maggior fautore in
Vincenzo Di Grazia, farmacista31. Egli, con provvedimento del 25 luglio 1850 venne incluso tra gli «attendibili» politici e sottoposto a
«sorveglianza di polizia» per aver «manifestato la sua simpatia per il
governo costituzionale» nel 1848 e per essersi rifiutato di sottoscrivere
una petizione al sovrano per l’abrogazione della Costituzione32.
24
DPL, vol. II, p. 419.
P. CUCCHI-A. MESSIA, Bottcatasc…, cit., p. 33.
26
ASCG, Ufficio Anagrafe Comunale, Registro Degli Atti di Morte, anno 1832, f.
17, num. d’ordine 33.
27
P. CUCCHI-A. MESSIA, Bottcatasc…, cit., p. 33.
28
Ibidem.
29
ASCG, Ufficio Anagrafe Comunale, Registro Degli Atti di Morte, anno 1870,
num. d’ordine 31.
30
P. CUCCHI-A. MESSIA, Bottcatasc…, cit., p. 33.
31
ASCG, Ufficio Anagrafe Comunale, Registro Degli Atti di Morte, anno 1870,
num. d’ordine 53.
32
DPL, vol. II, pp. 72-73. Il Pedio riporta De Grazia.
25
56
3. L’insurrezione lucana del 1860
Gli eventi principali delineatisi nel corso della Rivoluzione Napoletana (1799), nel decennio francese (1805-1816), nella rivoluzione del
1848 furono passi determinanti per la maturazione di una cultura politica sfociata nella rivoluzione del 1860.
Nell’ambito della divisione in sottocentri insurrezionali, il più importante, sede del Comitato Centrale Lucano, fu Corleto, che comprendeva anche Guardia insieme ad Anzi, Trivigno, Brindisi di Montagna,
Vaglio, Calvello, Laurenzana, Accettura, Stigliano, Cirigliano, Gorgoglione, Aliano, Missanello, Gallicchio, Castelmezzano e Pietrapertosa33.
Una delle prime iniziative cospirative si ebbe già nel 1859 a Guardia
Perticara, durante lo svolgimento della fiera di San Luigi, il 15 e 16
settembre. In questa occasione venne issata nella piazza principale la
bandiera tricolore formata da tre strisce: la prima era di mussolina rossa, la seconda di bianco, la terza di merinos verde, unite con un filo
nero e la loro lunghezza e larghezza e di tre palmi. Sulla striscia bianca era scritto: «VIVA LA COSTITUZIONE-VIVA L’ITALIA» e vi era tracciata anche la penisola italiana con l’inchiostro nero. Legata ad una canna, fu issata su un salice «che trovasi ai bordi del giardino di Vito Imperatrice, tra la strada S. Rocco e la strada Guerra affollata in quei particolari giorni»34. Responsabili dell’innalzamento furono Francesco
Pizzicara, Giuseppe Bruni e Gaetano Mercadante35. Tuttavia, l’intera
manifestazione faceva capo ad un attivo nucleo cospirativo in cui
spiccarono i fratelli Prospero e Giuseppe Caporale. Fu coinvolto, nella
manifestazione anche il sacerdote laurenzanese Donato Fanelli36.
33
R. AMICARELLA, Il Risorgimento…, cit., pp. 39-40.
P. CUCCHI-A. MESSIA, Bottcatasc…, cit., pp. 33,34.
35
A. CAPANO, Guardia Perticara…, cit.,p.50.
36
Cfr. ASP, Intendenza, b. 7, fasc. 78 bis, in V. VERRASTRO (a cura di), La libertà
che vien sui venti. La Basilicata per l’Unità d’Italia: idealità, azione politica, istituzioni (1799-1861), Lagonegro, Zaccara, 2011, pp. 151-153.
34
57
Tra gli insorti armati di Guardia, furono Prospero Caporale, Giuseppe Capopreso, Luigi Ciruzzi, Giuseppe Di Pierro, Giuseppe Giorgio37.
Per quanto riguarda la giunta di Guardia Perticara, essa venne istituita il 28 agosto 1860 da Paolo Pizzicara di Corleto. I componenti della
giunta erano Antonio Sassone, Prospero Massari, Giuseppe Sassone
Massari. Quest’ ultimo certificò con una dichiarazione scritta a Rocco
De Petrocellis di Missanello (il quale giunse a Guardia nello stesso
giorno) che la giunta era già stata insediata dal Pizzicara.
37
M. LACAVA, Cronistoria documentata dalla Rivoluzione in Basilicata del 1860 e
delle cospirazioni che la precedettero, Napoli, Morano, 1895, p. 990.
58
59
Figg. 2-3. Documenti riguardante la Giunta istituita a Guardia Perticara il 28 agosto
1860 da Paolo Pizzicara di Corleto Perticara (fig. 2) e la certificazione, firmata al
Commissario De Petrocellis, da parte di Giuseppe Sassone Massari (fig. 3). Da ASP,
Governo Prodittatoriale Lucano, b. IV, fasc. 36, “Istallazione delle Giunte Municipali. Verbali”, ff. 295, 463.
60
Prospero Caporale nacque a Guardia Perticara. Cassiere comunale
nel 1848, aderì al movimento liberale e l’anno successivo, destituito
dalla carica, venne incluso tra gli «attendibili» politici e sottoposto a
sorveglianza di polizia. Aveva fatto parte del comitato insurrezionale
di Guardia e, in seguito, fu chiamato a far parte dello stato maggiore
delle forze insurrezionali lucane in qualità di ufficiale «fornitore e
provveditore di viveri»38.
Luigi Ciruzzi nacque in Guardia Perticara. Nel 1860 fece parte della
Giunta Insurrezionale costituita da Paolo Pizzicara in qualità di segretario. Con gli insorti di Guardia Perticara accorsi a Corleto Perticara,
seguì la I Colonna delle forze insurrezionali lucane che operò al comando di Giuseppe Domenico Lacava39.
Giuseppe Maria Giorgio nacque in Guardia Perticara il 13 settembre
181040. Contadino, seguì, con gli insorti del suo paese, la I Colonna
delle forze insurrezionali lucane che operò al comando di Giuseppe
Domenico Lacava e morì il 25 agosto 186241.
38
DPL, vol. I, pp. 253-254.
DPL, vol. I, p. 356. Il Pedio riporta Ceruzzi.
40
ASCG, Ufficio Anagrafe Comunale, Registri degli Atti Delle Nascite ed Adozioni, anno 1810, n. d’ordine 60.
41
DPL, vol. II, p. 452; ASCG, Ufficio Anagrafe Comunale, Registro Degli Atti di
Morte, anno 1862, f. 38, num. d’ordine 74. Il Pedio non riporta il secondo nome Maria.
39
61
APPENDICE
Sindaci, nati, morti e mortalità infantile di Guardia dal 1810 al 186542
ANNO
SINDACO
SALDO
MORTALITÀ
NATI MORTI NATI/MORTI INFANTILE
1810 GUIDONE Gerardo Maria
92
60
32
28
1811 GUIDONE Gerardo Maria
72
54
18
29
1812 SASSONE Antonio Maria
71
86
-15
40
1813 SASSONE Antonio Maria
99
83
16
37
1814 SASSONE Antonio Maria
66
40
26
13
1815 FANELLI Nicolò Saverio
71
57
14
26
1816 FANELLI Nicolò Saverio
90
27
63
40
1817 ROSSANO Pierluigi
54
167
-113
85
1818 ROSSANO Pierluigi
88
54
34
22
1819 ROSSANO Pierluigi
63
32
31
15
1820 ROSSANO Pierluigi
82
53
29
23
1821 ROSSANO Pierluigi
99
40
59
25
1822 GUARNACCI Pietr'Antonio
83
62
21
33
42
La mortalità infantile si riferisce alle persone morte con un età compresa fra le
prime ore di vita fino ai 10 anni d’età. I dati sono stati ricavati dai Registri degli Atti
di Nascita e di Morte nell’ufficio Anagrafe del comune di Guardia Perticara.
62
1823 GUARNACCI Pietr’Antonio
72
58
14
24
1824 GUARNACCI Pietr’Antonio
82
51
31
22
1825 GUARNACCI Pietr’Antonio
69
47
22
28
1826 GUARNACCI Pietr’Antonio
94
54
40
27
1827 AUGUSTO Raffaele
73
207
-134
133
1828 AUGUSTO Raffaele
64
98
-34
40
1829 AUGUSTO Raffaele
51
134
-83
44
1830 AUGUSTO Raffaele
39
101
-62
22
1831 AUGUSTO Raffaele
59
57
2
20
1832 AUGUSTO Raffaele
59
57
2
26
1833 FANELLI Giuseppe
62
34
28
18
1834 FANELLI Giuseppe
66
36
30
21
835
SASSONE Michele
55
46
9
28
1836 SASSONE Michele
81
46
35
22
1837 SASSONE Michele
FANELLI Giuseppe-secondo
1838 eletto
66
53
13
19
74
67
7
36
1839 SASSONE Michele
58
66
-8
32
1840 SASSONE Michele
74
74
0
27
1841 SASSONE Guglielmo
63
93
-30
46
1842 SASSONE Gugliemo
63
72
-9
21
63
1843 SASSONE Guglielmo
58
48
10
19
1844 AUGUSTO Raffaele
60
66
-6
21
1845 AUGUSTO Raffaele
40
59
19
28
1846 AUGUSTO Raffaele
66
65
1
26
1847 AUGUSTO Raffaele
57
50
7
17
1848 AUGUSTO Raffaele
53
75
-22
30
1849 AUGUSTO Raffaele
50
57
-7
18
1850 SASSONE MASSARI Giuseppe
54
64
-10
30
1851 SASSONE MASSARI Giuseppe
46
63
-17
21
1852 SASSONE MASSARI Giuseppe
77
62
15
29
1853 GUIDONE Nicola Saverio
55
52
3
23
1854 SASSONE MASSARI Giuseppe
60
48
12
17
1855 SASSONE MASSARI Giuseppe
51
64
-13
27
1856 SASSONE MASSARI Antonio
70
52
18
21
1857 SASSONE MASSARI Antonio
61
119
-58
43
1858 SASSONE MASSARI Antonio
60
41
19
16
1859 SASSONE MASSARI Antonio
73
46
27
22
1860 CAPORALE Prospero
56
42
14
17
1861 FANELLI Nicola Saverio
60
62
-2
21
1862 FANELLI Nicola Saverio
64
112
-48
70
64
1863 FANELLI Nicola Saverio
62
44
18
20
1864 FANELLI Nicola Saverio
72
42
30
27
1865 FANELLI Nicola Saverio
51
54
-3
33
65
66
Missanello
Maria Antonietta Bruno
1. Territorio, popolazione ed economia
Missanello si trova a quota m. 650 s.l.m. Il territorio è prevalentemente collinare, ha una superficie di kmq 22,3, si diparte dal torrente
Sauro a nord, al fiume Agri a mezzogiorno. Confina con Gallicchio a
nord-ovest, Guardia Perticara a nord, Gorgoglione a nord-est e Roccanova a sud.
Per avere un’idea del sistema produttivo di Missanello è bene prendere in considerazione la relazione del 1736, redatta dal cancelliere,
notar Desiderio, che su richiesta di Rodrigo Maria Gaudioso, avvocato
fiscale della regia Udienza di Matera, descrisse in «fede veritiera» lo
67
stato di Missanello. Pur essendo una descrizione sommaria, tale documento ci dà un idea della situazione:
In questa nostra misera terra vi sono circa 50 fuochi che miserabilmente vivono. Le cappelle sono povere e quelle poche entrate non servono a soddisfare il
peso delle Messe: I sacerdoti vivono con poche entrate in modo tale che se non
hanno niente del loro non potrebbero vivere da Sacerdoti. I cittadini vivono alla
giornata con le loro fatiche di zappa e falce. La padrona di queste terre è
l’Eccellentissima Signora Principessa di Belvedere, la quale ricava circa ducati
settecento più o meno. C’è un piccolo convento di Minori Osservanti, cioè
Zoccolanti, i quali si vivono di elemosina col questuare due volte la settimana.
La maggior parte dei cittadini abita in grotte terranee1.
Dalla relazione Gaudioso appaiono con estrema chiarezza le reali
condizioni di miseria in cui versava Missanello all’inizio della dominazione borbonica. Condizioni di povertà aggravate dalla mancanza
assoluta di collegamenti stradali che costringevano i vari centri abitati
dell’intera Basilicata ad un isolamento quasi totale. Queste condizioni
né migliorarono né peggiorarono durante il periodo borbonico e un inizio di cambiamento, da un punto di vista economico, si ebbe solo a
partire dalla prima metà dell’Ottocento.
Una grande ricchezza per il paese fu l’acqua così come si legge nella
Statistica del Regno di Napoli del 1811:
In Missanello si fa uso di acqua, che si attinge da una sorgente naturale, senza
conserva, e vasca, possiede delle quantità potabili. Non è perfettamente limpida; è di sapore sdolcinato. Solo depone arene2.
Questo dà l’idea di come il luogo ben si prestasse alle colture e
all’allevamento: infatti, la maggior parte dei prodotti erano ortaggi,
frutta, olio e latticini, mentre la produzione di vino era molto ridotta.
Non vi si conserva, che per pochi mesi, e si corrompe a cagione d’ essere le vigne in luoghi paludosi, irrigati o perché mancano di pali da poter tenere le viti
elevate3.
1
T. PEDIO, La Basilicata borbonica, Venosa, Osanna, 1986, p. 76.
Cfr. D. DE MARCO (a cura di), La Statistica del Regno di Napoli 1811, Roma,
Accademia dei Lincei, 1988, vol. III, p. 107.
2
68
Ulteriore testimonianza della vocazione agricola di tale territorio è data, negli anni Venti dell’Ottocento, da Giuseppe Maria Alfano:
Missanello. Terra sopra una collina d’aria buona, Dioc. di Tricarico, 24 miglia
da Matera distante. Il suo titolo di Baronia è di Lentini. Produce grani, granidindia, legumi, frutti, vini, ortaggi e gelsi. Fa di pop. 10004.
La Basilicata, con l’avvento di nuove culture, conobbe dalla seconda
metà del XVIII secolo un certo miglioramento dovuto anche ad un incremento dell’attività manifatturiera che doveva provvedere oltre che
alle ordinarie necessità della popolazione anche ai bisogni
dell’agricoltura e alle attività trasformatrici dei relativi prodotti. Nella
stagione invernale, infatti, i contadini non potendo dedicarsi ai campi,
per far fronte ai bisogni più necessari e contrastare la miseria si dedicavano ad altre attività come il lavoro del falegname, del muratore, del
fabbro e del calzolaio5.
Le manifatture più comuni in Basilicata erano quelle «de’ legni e de’
ferri» e, laddove scarseggiasse, come a Missanello, il legname veniva
importato dai paesi esportatori della regione. Oltre gli ordigni casalinghi, si costruivano ovunque strumenti utili per le attività agricole e
l’allevamento come carri da trasporto, aratri, botti e mobili6. Alla fine
del Decennio napoleonico a Missanello veniva prodotto il lino ed il
cotone che insieme alla lana erano le materie più utilizzate nelle manifatture tessili locali. Il costo e la lavorazione del lino variava di paese
in paese; a Missanello «la filatura di una libbra di lino suol costare
grana 4 e si richiede mezzo rotolo di lino grezzo»7. La filatura del lino
veniva affidata alle donne e le filatrice riuscivano a filare a cottimo
circa una libbra di lino al giorno. L’imbiancatura del filo, precedente
alla tessitura, non veniva eseguita in tutti i paesi, anzi, nella maggior
parte dei casi il lino veniva tessuto senza sottoporlo a tale operazione.
3
Ibidem.
G. M. ALFANO, Istorica descrizione del Regno di Napoli, in Napoli, dai Torchi di
Raffaele Miranda, 1823, p. 262.
5
Cfr. T. PEDIO, La Basilicata borbonica, cit., p. 111.
6
Ivi, p. 115.
7
Ivi, p. 123.
4
69
In particolare a Missanello risultava pregiata la produzione di tele e
telette:
Ottime tele vengono confezionate in Missanello. Di queste, qualche volta miste
con canape e cotone, fanno uso per biancheria da letto e persona […] tutte le
classi. Tali tele alcune dalla larghezza di palmi due, altre dalla larghezza di
palmi due e mezzo, vengono immesse sul mercato, le prime a 5 carlini la canna,
le seconde a 7. Non essendo, però, tale produzione sufficiente al consumo locale, se ne immettono da Tramutola e da Montemurro8.
La produzione del cotone era maggiormente diffusa nei centri del
Materano e del Lagonegrese che lo esportavano nelle zone dove scarseggiava. Nei centri del Potentino il clima inadatto e la natura del terreno poco idonea non ne permettevano la produzione, tranne che a
Missanello dove, tuttavia, tale produzione non ebbe molta fortuna,
poiché le tecniche di lavorazione erano molto dispendiose. Infatti le
donne per manifatturare il cotone dovevano prima passarlo con il mattarello per eliminare i noccioli e successivamente batterlo con
l’archetto al fine di prepararlo alla filatura con il fuso. Per battere una
libbra si pagavano 3 grana, per filare dai 12 ai 20 grana ed una donna
poteva filare massimo tre once al giorno. I tessuti di cotone confezionati a Missanello, dove non si conosceva il meccanismo della navetta
volante, erano solo manifatture rozze e non erano sufficienti al consumo9. Anche i tessuti di lana prodotti a Missanello erano, dunque, di
natura grossolana10.
Con lo sviluppo delle manifatture tessili lo stato delle gualchiere e
delle tintorie era insufficiente per far fronte alla produzione locale. A
Missanello esisteva una gualchiera che preparava grossolanamente i
panni e dove giungevano panni da battere dai paesi limitrofi11.
L’andamento demografico di questo piccolo centro, seppur influenzato da diversi eventi sia di natura umana che ambientale, si è mantenuto abbastanza stabile nel corso degli anni nonostante è possibile ri 8
Ivi, p. 125.
Ivi, pp. 131-132.
10
Ivi, p. 145.
11
Ivi, pp. 150-151.
9
70
levare un brusco calo dopo il 1622. Come si nota dal grafico, dopo tale data, a causa della peste del 1630, la popolazione scese bruscamente
passando da 1250 unità a 250. Dopo la peste la popolazione aumentò
anche se di poco e man mano crebbe, , in maniera costante, fino al
1860, con un deciso sviluppo in età napoleonica12.
Vari furono i terremoti che colpirono Missanello in età moderna
(1659, 1694, 1836, 1851, 1857) e che, oltre danni materiali, comportarono anche la perdita di vite umane. Di questi, abbiamo notizie dettagliate del terremoto del 1857. È Nicola Alianelli a parlarcene:
Nella notte che seguì il giorno 16 di Dicembre alle ore 4 e minuti 5 avvenne il
terribile terremoto che cagionò il crollamento non solo della Chiesa Madre e del
Monastero, ma benanche di molte abitazioni del paese e vili tuguri, ed alti palagi, riducendo tutti gli abitanti e nobili e plebei, sacerdoti e religiosi, a vivere
insieme di giorno e di notte per più tempo, in aperta campagna, essendo restati
vittime sotto le rovine i seguenti individui al numero di quattordici13.
12
Cfr. A. DI LEO, Missanello. Note e appunti per una storia, Potenza, STES, 2007,
p. 122.
13
Cfr. T. PEDIO, Nicola Alianelli e il suo cenno storico su Missanello, in «Aspetti
letterari» n. 1 (1960), p. 6.
71
Grafico 1. Andamento demografico di Missanello tra XVII e XIX secolo. Nostra elaborazione da S. MAZZELLA, Descrittione del Regno di Napoli, in Napoli, ad istanza
di Gio. Battista Cappello, MDCI; E. BACCO, Il Regno di Napoli diuiso in dodici
Prouincie, in Napoli, per Lazaro Scoriggio, MDCXX; O. BELTRANO, Descrittione del
Regno di Napoli diuiso in dodici Prouincie, in Napoli, per Ottauio Beltrano, 1671;
T. ALMAGIORE, Raccolta Di Varie Notitie Historiche, Non Meno Appartenenti All'
Historia Del Svmmonte, Che Cvriose, Napoli, Bulifon, 1675; G. B. PACICHELLI, Il
Regno di Napoli in prospettiva, Napoli, Parrino e Mutio, 1703; G. M. ALFANO, Istorica descrizione del Regno di Napoli, diviso in dodici province, Napoli, presso Vincenzo Manfredi, 1798; A. DI LEO, Missanello…, cit., pp. 122-123.
2. Dalla Municipalità del 1799 alla “Primavera” del 1848
Gli anni tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento furono di
grande novità e agitazione popolare. Il risveglio culturale, unito ad un
rinnovamento politico e sociale, interessò anche la Basilicata, nella
quale gruppi di professionisti ed amministratori feudali locali tendevano alla limitazione del potere baronale e la ridistribuzione delle terre
demaniali a cui aspiravano sia il ceto dei civili che i contadini14.
Già a partire dal 1783 a Missanello le idee illuministiche fecero sentire i loro effetti sfociando in varie agitazioni popolari, tant’è che nel
1786 i contadini, guidati dai frati del convento di Santa Maria delle
Grazie, compirono un vero “colpo di mano” occupando sia i terreni
del barone sia degli enti ecclesiastici. Ma la vera rivoluzione politica,
religiosa ed economica si verificò nel 1799. Con la proclamazione della Repubblica Napoletana (21 gennaio 1799) si diffuse la speranza di
un cambiamento sociale basato sulle idee delle avanguardie repubblicane, accompagnata da iniziative spontanee ed autonome scollegate
dalle direttive della capitale15. Per sancire la conquistata “libertà francese” vennero inviati commissari che, in nome dei liberatori, piantassero l’albero della libertà e verificassero l’istituzione delle Municipalità.
14
Cfr. M. SANCHIRICO, Gallicchio. Società e vita politico- amministrativa (dalle
origini all’Unità), Potenza, Ermes, 2009, p. 65.
15
Cfr. A. LERRA, L’ Albero e la croce. Istituzioni e ceti dirigenti nella Basilicata
del 1799, Napoli, ESI, rist. 2004, p. 35.
72
Si determinò, infatti, l’avvio di una repubblicanizzazione attiva ed in
numerosi centri abitati della provincia di Basilicata furono costituiti i
nuovi governi municipali. Il 26 gennaio 1799 il Governo provvisorio
della Repubblica Napoletana diffuse le note Istruzioni generali ai Patrioti, vero e proprio manifesto della Repubblica le cui basi erano Uguaglianza e Libertà16. A partire dal 3 febbraio, sull’esempio di Potenza, in quasi tutti i centri del Potentino si innalzò l’albero della libertà.
Il 10 febbraio toccò a Matera, sede della Regia Udienza Provinciale di
Basilicata, dove, abbattuta la statua equestre di Carlo III, fu costituita
la Municipalità Repubblicana. Da qui seguirono i 18 centri della Val
D’Agri, tra cui Missanello17.
I repubblicani erano presenti massimamente in alcune delle più piccole comunità locali, da Carbone a Castelsaraceno, da Roccanova a
San Martino d’Agri. Fra questi si distinsero le combattive forze di
Missanello che concorsero a respingere, presso Sarconi, i controrivoluzionari operanti a nord-ovest dell’area dopo le occupazioni di Marsiconuovo e Marsicovetere18.
Il governatore di Missanello, Giuseppe Maria Alianelli (padre di Nicola Alianelli), si schierò contro il movimento repubblicano e fu in
contrasto con la Municipalità, capeggiata rappresentato dalla famiglia
Pandolfo19: Michelangelo, che «fu impegnatissimo nella piantagione
dell’albero democratico e insieme al fratello e al padre
l’eseguirono»20; Giuseppe21, Giuseppe Antonio22 e Senatro, il quale ultimo era già stato attivo partecipante alla manifestazione popolare del
«Bosco» della Chiesa per ottenere la quotizzazione ai sensi della
prammatica del 23 febbraio 1792, definita all’Udienza Provinciale di
Basilicata23.
16
Ivi, pp. 36-37.
Cfr. V. FALASCA, La Rivoluzione Napoletana del 1799 nei comuni della valle
dell’Agri e in Basilicata, Potenza, Ermes, 1999, p. 80.
18
Ivi, p. 62.
19
Cfr. A. DI LEO, Missanello…, cit., p. 97.
20
DPL, vol. IV, p. 54.
21
Ibidem.
22
Ibidem.
23
Ibidem.
17
73
Gli entusiasmi repubblicani svanirono velocemente e nonostante la
resistenza incontrata sul territorio, fu chiara la vittoria delle truppe reazionarie e sanfediste che restaurarono la monarchia. La reazione borbonica che ne seguì, seppur spietata anche in Basilicata, non riuscì,
tuttavia, a spegnere quel fermento di libertà e di rivalsa sociale ed economica che animò il movimento rivoluzionario e che fece da detonatore alle rivoluzioni del 1820, 1848 e 1860.
Il malessere che si respirava in alcuni ambienti durante la Rivoluzione francese, con la restaurazione di Ferdinando IV nel 1815 perdurò;
infatti non tutti si adattarono al nuovo stato di cose soprattutto coloro
che appartenevano alla classe borghese e che dal governo precedente
ricevevano benefici. Da questo clima di malcontento sorsero le prime
società segrete come la Carboneria. Tuttavia, nell’ambito della rivoluzione costituzionale del 1820, di matrice carbonara, Missanello ebbe
un ruolo marginale:
Nel 1820 questo comune era preparato a prendere parte alla rivoluzione, ma la
lontananza del centro del movimento co’ lenti mezzi di comunicazione allora in
uso e perché gli avvenimenti corsero rapidissimi, come è noto, fecero che mancasse il tempo e l’opportunità dell’ azione, Ma il paese non fu sordo, né lento
alla chiamata della patria dopo la dichiarazione di guerra del 182124.
Una chiamata che non portò significativi risvolti, ma ugualmente
importante per sottolineare quel sentimento patriottico che mosse alcuni verso un tentativo rivoluzionario che si concretizzò solamente
molti anni dopo. In questa fase fu notevole la figura di Pier Luigi De
Petrocellis, il cui figlio Rocco avrebbe preso in mano le redini del padre e, per così dire, ne avrebbe concluso l’opera:
Il Signor Pier Luigi De Petrocellis, d’onorata ricorrenza, per nomina del Comandante in Capo fatta con brevetto del 6 febbraio 1818 era Primo Tenente delle Milizie Provinciali. All’appello rispose marciando colla sua Compagnia senza dilazione alcuna. Egli lasciava vecchi genitori e due teneri figli privi di madre. Giunto a Capua ebbe il comando con grado di Capitano della forza che cu-
24
Cfr. T. PEDIO, Nicola Alianelli…, cit., p. 6.
74
stodiva la porta di Napoli di quella fortezza. Ritornò addolorato in seno alla
famiglia25.
3. Missanello dal 1848 al 1860. Protagonisti ed eventi
Grandi erano le aspettative di tutto il Mezzogiorno di liberarsi dello
Stato-padrone incarnato nel governo dei Borbone. Tale insofferenza
esplose con la rivoluzione del 1848. Tuttavia a causa forse
dell’ambiguità con cui si mosse il Circolo Lucano, la rivloluzione del
1848 fallì. Il Circolo, infatti, costituito principalmente da intellettuali,
professionisti e proprietari terrieri, auspicando ad una lotta moderata
che mantenesse un certo ordine sociale, non tenne presente del profondo malcontento che albergava in ogni strato della popolazione ma
soprattutto non valutò la necessità che solo con una partecipazione attiva delle masse contadine si sarebbe potuta compiere una rivoluzione
vittoriosa. Tra i personaggi che dominarono questo importante periodo
storico emerge la figura di Nicola Alianelli ma, soprattutto, quella
meno conosciuta, ma ugualmente significativa di Rocco De Petrocellis.
Nicola Alianelli26, nato a Missanello l’ 8 luglio 180927 e morto a Napoli nel 22 settembre 188628, fu una delle personalità più influenti di
Missanello in quanto oltre ad essere nel 1848 un esponente attivo della
carboneria, fu presente, anche se in una maniera più marginale, negli
avvenimenti che investirono la Basilicata nel 1860. Alianelli, dopo essersi laureato a Napoli entrò in magistratura e fu giudice ad Eboli nel
1837, poi a Vallo della Lucania.
Procuratore Regio presso la Corte Criminale di Potenza, dopo il
1840 fu socio della Società Economica di Basilicata e collaborò al
«Giornale Economico-Letterario della Basilicata» con una serie di ar 25
A. DE LEO, Missanello…, cit., p. 13.
DPL, vol. I, p. 36.
27
APM, Libro dei battezzati, data 18 luglio 1809.
28
APM, Stato delle anime, vol. I, data 22 settembre 1886.
26
75
ticoli che trattavano il problema dell’analfabetismo dei contadini lucani.
Affiliato alla Carboneria nel 1848 pur avendo dimostrato un certo attaccamento ai Borbone, aderì al Circolo Costituzionale Lucano e con i
delegati delle province sottoscrisse il Memorandum del 25 giugno del
1848. Alianelli, esponente della destra moderata facente capo a Vincenzo d’Errico, presidente del Circolo Costituzionale Lucano, nel luglio del 1848, in assenza di quest’ultimo, si pose in contrasto con l’ala
radicale, facente capo a Emilio Maffei, e cercò di sventare il tentativo
promosso da quest’ultimo diretto a costituire un governo provvisorio a
Potenza.
Fu, pertanto, costituito un governo provvisorio e fu dichiarata la patria in pericolo attraverso la bandiera nera; tale iniziativa non trovò
adesione nella maggioranza del Circolo e della provincia29 e «così finì
un tentativo di rivoluzione»30.
Importante nella marcia verso Potenza intrapresa dai patrioti gallicchiesi e missanellesi fu l’azione del capitano di Missanello Rocco De
Petrocellis.
Egli, nato a Missanello il 15 ottobre 1815 da Pierluigi de Petrocellis
junior e Cristina Marotta, appartenne a una ricca famiglia gentilizia ed
fu iscritto nei ruoli fondiari per un imponibile di ducati 140,91. Affiliato alla Carboneria, nel 1848 militò nella corrente radicale e favorì i
moti contadini. Capitano della Guardia Nazionale di Missanello, nel
giugno del 1848 si recò a Castronuovo e si mantenne in corrispondenza con i suoi parenti attendibili Vitelli e Lacava. Fu ospite di Lacava e
proprio a casa sua apprese la notizia dell’insurrezione scoppiata in Calabria e principalmente in Cosenza. Avendo preso contatto con gli insorti calabresi tornò a Missanello e organizzò un reparto armato per
sostenere il movimento insurrezionale al fine di costruire un Governo
Provvisorio a Potenza31.
Intensi furono i rapporti tra i patrioti lucani che in contatto con le direttive del Circolo Costituzionale Lucano si preparavano per la chia 29
Cfr. G. D’ANDREA, La Basilicata nel Risorgimento, Potenza, Deputazione di
Storia Patria per la Lucania, 1981, p. 188.
30
Ivi, p. 189.
31
DPL, vol. II, p.133.
76
mata del 10 luglio, come stabilito nel convegno del 25 giugno. Ma vani furono i tentativi e le spinte motivazionali che portarono i missanellesi, di numero venti, capitanati da Rocco de Petrocellis e dal primo
tenente Francesco Paolo Di Pietro a raggiungere i gallicchiesi,
un’ottantina, capitanati da Giambattista Robilotta e Giuseppe Robertella, il più battagliero tra i patrioti, alla volta di Armento, Montemurro, Corleto32. In nessuno dei tre paesi menzionati si riuscì a reclutare
gente per formare quella truppa che avrebbe successivamente marciato
su Potenza. Il tentativo insurrezionale fallì e il giorno 8 luglio tutti ritornarono alle loro case. Nel 1849 Rocco de Petrocellis aderì alla setta
dell’Unità Italiana e, ricercato dalla polizia borbonica, sfuggi alla cattura rendendosi latitante fino alla primavera del 1850, quando fu fermato e rinviato a giudizio della Gran Corte Speciale di Basilicata per
rispondere di «cospirazione e attentato ad oggetto di distruggere e
cambiare la forma del legittimo Governo eccitando i sudditi ed abitanti del Regno ad armarsi contro l’autorità Reale».
Il 13 giugno del 1849, iniziò il processo contro i reati politici commessi nel 1848 da Rocco De Petrocellis insieme a Giuseppe Robertella e altri. Domenico Juliana, giudice della Gran Corte Criminale fu
mandato direttamente da Napoli per giudicare i reati commessi a Potenza e Provincia. Un processo che non fu imparziale. Nella lunga fase
istruttoria raccolte le varie testimonianze degli accusatori del De Petrocellis si arrivò alla decisione d’arresto di cinque gallicchiesi e due
missanellesi. Prima del processo, De Petrocellis usufruì della sovrana
indulgenza del 17 gennaio 1852 e ottenne la libertà provvisoria. La
condanna al carcere fu tramutata con provvedimento del 20 febbraio
di quello stesso anno in arresto domiciliare ma, nonostante fu sottoposto a stretta vigilanza dalla polizia, mantenne sempre rapporti con i liberali lucani33.
Il 16 agosto 1860, De Petrocellis fu a capo degli insorti missanellesi
che accorsero a Potenza per sostenere il Governo prodittatoriale. Tra
gli insorti che accorsero a Corleto Perticara insieme a Rocco De Petrocellis e seguirono la I colonna delle forze insurrezionali lucane che
32
33
Cfr. M. SANCHIRICO, Gallicchio…, cit., p. 216.
Ivi, p. 218.
77
operò al comando di Giuseppe Domenico Lacava bisogna ricordare,
oltre al figlio Pier Luigi, che nel 1910 pubblicò un breve articolo di
Ricordi Storici, almeno l’avvocato Giuseppe Alianelli, figlio di Nicola, che aveva studiato a Potenza34. O ancora, Antonio Labella, nato da
una famiglia distintasi con quell’Antonio ricordato dall’Alianelli come
insigne pittore morto in Missanello. Fu avviato agli studi giuridici e a
Napoli ebbe rapporti con elementi del movimento liberale35.
De Petrocellis fu incaricato, per la zona di Sant’Arcangelo, di svolgere funzioni di «commissario installatore della Giunta insurrezionale». Furono, questi, giorni di grande impegno politico: infatti il 25 agosto 1860 nominò la Giunta a Missanello, e nominò, oltre a se stesso,
altri due componenti, Andrea Alianelli e Costantino Pandolfo. Incaricò come sostituto cancelliere Carlo De Sanctis, già incluso tra gli «attendibili» politici e sottoposto a «sorveglianza di polizia»36.
A seguire istituì la Giunta ad Armento e Gallicchio il 27 agosto, a
Gorgoglione il 28 agosto, mentre a Guardia, quello stesso giorno, trovò la Giunta già organizzata dal commissario Paolo Pizzicara. Il 29
agosto fu a Cirigliano, il 31 a Stigliano, l’1 settembre ad Aliano, il 3
settembre a S. Arcangelo, il 4 settembre a Roccanova e il giorno seguente a Castronuovo37. Prevalentemente il criterio di valutazione nella scelta dei componenti delle Giunte Insurrezionali fu la precedente
partecipazione alla rivoluzione del 1848.
34
DPL, vol. I, p. 35.
DPL, vol. III, p. 8.
36
DPL, vol. II, p. 158.
37
ASP, Governo Prodittatoriale Lucano, b. IV, fasc. 36, “Istallazione delle Giunte
Municipali. Verbali”, f. 347. Cfr. Fig. 1.
35
78
Fig. 1. Epigrafe commemorativa di Nicola Alianelli e Rocco De Petrocellis a Missanello.
Dopo il 1860, Rocco De Petrocellis ricoprì la carica di Primo cittadino e partecipò alla repressione dei moti l i legittimisti scoppiati in Basilicata nell’aprile del 1861, distinguendosi a San Chirico e dando la
caccia ai briganti. Eletto, altresì, Consigliere Provinciale di Basilicata,
mantenne fede agli impegni presi risolvendo molteplici problemi riguardanti il proprio collegio. Aderì, inoltre, al Comitato di Provvedimento a Garibaldi per Roma e Venezia.
Estremamente importante fu l’influsso di Rocco De Petrocellis e della sua famiglia nella diffusione della Massoneria a Missanello. Aggregato già dal 1849 alla setta massonica per l’Unità d’Italia, con il grado
di alto dignitario massonico Rocco De Petrocellis organizzò a Missanello un’energica Loggia, «La Insurrezione Lucana», fondata nel
1871. Proprio a Missanello egli morì il il 12 ottobre 188538.
38
APM, Stato delle anime, vol. I, data 12 ottobre 1885.
79
Fig. 2. Istituzione della Giunta Insurrezionale in Missanello. ASP, Governo Prodittatoriale Lucano, b. IV, fasc. 36, “Istallazione delle Giunte Municipali. Verbali”, f.
347.
80
APPENDICE
Sindaci di Missanello dal 1809 al 186039
ANNO
1809
1810
1811-1812
1813-1814
1815
1816-1818
1819-1822
1823-1824
1825
1827-1829
1831-1834
1835-1838
1839-1850
1851
1852-1860
1861
1862- 1863
1864-1865
SINDACO
FILIPPOLA Giuseppe
LA BELLA Francesco Antonio
PIZZO Luigi
DE CURTIS Gerardo
Non risultano dati
DE PETROCELLIS Rocco Maria40
Non risultano dati
ALIANELLI Paolo41
DE PETROCELLIS Pier Luigi42
PANDOLFI Giuseppe43
ALIANELLI Nicola44
LA BELLA Giuseppe45
Non risultano dati
LA BELLA Antonio46
Non risultano dati
PIZZICARA Francesco47
DE PETROCELLIS Rocco48
PIZZICARA Francesco49
39
Per i Sindaci dal 1809 al 1814, cfr. A. DI LEO, Missanello …, cit., p. 123.
ASP, Intendenza, b. 187, fasc. 1008, “Lista eleggibili del comune di Missanello”, fasc. 1009-1010.
41
ASP, Intendenza, b. 187, fasc. 1011.
42
ASP, Intendenza, b. 187, fasc. 1012.
43
ASP, Intendenza, b. 187, fasc. 1014, “Invio delle terne dei novelli amministratori comunali”; fasc. 1015, “Per la nomina degli amministratori comunali”; fascc.
1018, 1019.
44
ASP, Intendenza, b. 187, fasc. 1019, “Amministratori Comunali”; fasc. 1020,
1021.
45
ASP, Intendenza, b. 187, fasc. 1012, “Amministratori Conti dal 1835, al 1837”.
46
ASP, Intendenza, b. 187, fasc. 1022, “Missanello”.
47
Cfr. A. DI LEO, Missanello …, cit., p. 124.
48
Ibidem.
49
Ibidem.
40
81
82
San Chirico Raparo
Annalisa Morano
1. Territorio, popolazione ed economia
San Chirico Raparo era una Terra di Basilicata che apparteneva alla
diocesi di Anglona e Tursi, situata a 780 metri sul livello del mare.
Nel 1524 Alfonso Sanseverino la vendé ad Antonio Caraffa de Marra principe di Stigliano «per prezzo liquidando a ragione di dui et
mezzo per cento dell’intrate»50. Nel periodo a cavaliere tra Settecento
50
L. GIUSTINIANI, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, Napoli,
Simoniana, 1804, t. VII, p. 136.
83
ed Ottocento era un feudo di casa Pignatelli, principi di Marsiconuovo; a quell’epoca la casata era guidata dal principe Girolamo Pignatelli, Feudatario di Moliterno, nonché Signore di San Chirico, Sarconi e
Picerno51:
La nobile famiglia Pignatelli ha posseduto a titolo di principato la città di Marsiconuovo e Moliterno. Ha posseduto nel tempo istesso a titolo di utile signoria, le
Terre di Picerno, di Sarconi e di S. Chirico Raparo. Tutti codesti Comuni ricordano senza spiacimento essere stati una volta nel feudale dominio di una famiglia
di così illustre cognome52.
Un monastero diretto da monaci basiliani, un ospedale per i poveri
ed una torre figuravano come elementi caratteristici dell’abitato.
Alle falde del monte Raparo, San Chirico aveva «un’aria buona seppur rigida» e il suo territorio confinava con Castronuovo, San Martino
e Carbone. San Chirico Raparo è localizzato su un piano terrazzato
che si diparte dal Monte Raparo, costituito da lave, tufi vulcanici, sedimenti limno-vulcanici permeabili e materiali litoidi di sedimentazione prevalentemente marina, per lo più di età mesozoica e terziaria,
fortemente tettonizzati ed interessati da fenomeni dislocativi. Zone
carbonatiche e silicee, fasciate da sedimenti di flysch di Albidona e
materiali clastici fluvio-lacustri di fondovalle, nonchè gesso massiccio
ed opaco, sono caratteristici del territorio circostante, insieme a varietà
di calcari alle basi del Raparo e alla migliore lignite della Basilicata,
intercalata nelle marne argillose e derivante da accumuli di rami e
tronchi d’albero.
Le falde meridionali della Serra della Croce (969 m), luogo da cui
l’occhio può spaziare abbracciando un panorama vastissimo, sovrastano il piano, mentre lo stesso domina l’altra balza della Costa dei Mulini, ai piedi della quale scorre il fiume Racanello, dal vasto greto, asciutto d’estate per l’eccessiva permeabilità e con subitanee piene
quando si sciolgono le nevi sui monti circostanti.
51
V. FALASCA, La Rivoluzione Napoletana del 1799 nei comuni della valle
dell’Agri e in Basilicata, Potenza, Ermes, 1999, p. 87.
52
D. CASSINI, Allegazioni, a cura del figlio, Napoli, Stab. tip. Prete, 1888, I, p.
135.
84
Aggirato San Chirico, il fondovalle torna ad allargarsi e, prendendo
il nome di Nocito, dopo il ponte, sfocia nel fiume Agri presso le Murge di Sant’Oronzio.
Il territorio circostante è prevalentemente rappresentato da aree collinari sotto i 1000 metri sul livello del mare, caratterizzate da pinnacoli conglomeratici e pareti a strapiombo. Sulle pendici predomina una
vegetazione boschiva ed arbustiva a prevalenza eliofila (roverella, cerro), che risale i fianchi dei rilievi collinari fino a 600-700 metri di quota, mentre il fondovalle è ricoperto da vegetazione ripariale e da una
folta macchia mediterranea, costituita da leccio, orniello, carpino, ginepro e gruppi arbustivi di lentisco, corniolo, biancospino e ginestre,
specie che non superano i 3-4 metri. La bassa vegetazione è composta
da finocchio selvatico, belladonna, convolvolo e capperi, mentre il
sottobosco è costituito da erica, mirto, lentisco, pungitopo, edera e
corbezzolo. Sui pendii disboscati, i terreni si coprono di sparto, ginestra e sulla.
A circa 9 km dall’abitato, l’ampia massa calcarea del monte Raparo
(1761 m), dai fianchi arrotondati e dall’aspetto monolitico, si innalza
alle spalle ed a nord-est della terra di San Chirico; ad ovest si trova la
stupenda mole rocciosa del monte Alpi di Latronico (1906 m), mentre
a sud-ovest si innalza la Montagna di San Chirico (804 m), interamente coperta di boschi, e la Serra del Titolo. In lontananza, alle spalle del
Raparo, in direzione nord-ovest, si erge il Sirino (2007 m) ed a sud si
scorge il Pollino dalle molte vette (2248 m)53.
Nel 1532 la terra di San Chirico fu tassata per fuochi 164, nel 1545
per 215, nel 1561 per 268, nel 1595 per 249, nel 1645 per 299, nel
1699 per 12354. Dalla tassazione focatica del 1732 si evince che la popolazione era composta da 3000 abitanti e 292 fuochi, quella del 1735
da 3000 abitanti, quella del 1806 da 3528 abitanti e quella 1861 da
3173.
CATEGORIA
Dottori in utroque jure
NUMERO DI CITTADINI
4
53
G. DE NILE, San Chirico Raparo nella storia e nelle tradizioni, a cura
dell’Amministrazione Comunale di San Chirico Raparo, 1996, pp. 7-9.
54
L. GIUSTINIANI, Dizionario…, cit., t. VII, p. 136.
85
Galantuomini
Proprietari
Avvocati
Magistrati
Sacerdoti
Notai
Medici
Farmacisti
Insegnanti
Civili
Impiegati
Possidenti
Negozianti
Mugnai
Sarti
Artigiani
Guardiaboschi
Popolani
Qualifica sociale non accertata
17
4
7
2
5
3
4
2
1
4
2
2
1
1
1
3
1
7
15
Tab. 1. Categorie socio-professionali dei “patrioti” di San Chirico Raparo tra fine
XVIII secolo e 1865. Nostra elaborazione da DPL, vol. V, p. 532.
ANNO
ABITANTI
1601
1.340
1622
1.245
1671
640
1675
640
1703
640
1736
300
1794
3.582
1798
3.582
1824
3.317
1858
3.322
86
Tab. 2 e Grafico 1. Andamento demografico di San Chirico Raparo nel periodo
1601-1858. Nostra elaborazione da S. MAZZELLA, Descrittione del Regno di Napoli,
in Napoli, ad istanza di Gio. Battista Cappello, MDCI; E. BACCO, Il Regno di Napoli
diuiso in dodici Prouincie, in Napoli, per Lazaro Scoriggio, MDCXX; O. BELTRANO,
Descrittione del Regno di Napoli diuiso in dodici Prouincie, in Napoli, per Ottauio
Beltrano, 1671; T. ALMAGIORE, Raccolta Di Varie Notitie Historiche, Non Meno
Appartenenti All' Historia Del Svmmonte, Che Cvriose, Napoli, Bulifon, 1675; G. B.
PACICHELLI, Il Regno di Napoli in prospettiva, Napoli, Parrino e Mutio, 1703; G. M.
ALFANO, Istorica descrizione del Regno di Napoli, diviso in dodici province, Napoli,
presso Vincenzo Manfredi, 1798; ASP, Intendenza, Amministrazioni Comunali,
“San Chirico Raparo”.
La popolazione, il cui andamento demografico mostra, come in altri
centri vicini, una netta ripresa a partire dall’Età napoleonica55, si dedicava sia alla pastorizia che, prevalentemente, all’agricoltura, seminando grano, granone e legumi e raccogliendo in gran parte vino, venduto
anche in altri luoghi della provincia. È ricordata una fiera il giorno di
S. Sinforosa (18 luglio) di varie merci ed un’altra il 20 agosto di animali che andava sotto il nome di S. Vito56. A livello di alimentazione,
si trattava di un vitto misto, che comprendeva pane, carne, vini, latticini, legumi, ortaggi e frutta mista.
55
Cfr. Tab. 1.
Per quanto segue, cfr. D. DE MARCO (a cura di), La Statistica del Regno di Napoli del 1811, Roma, Accademia dei Lincei, 1988, vol. III, pp. 203-206; 576-577.
56
87
Il pane comunemente usato era prodotto sia da farine di frumento
che di frumentone, ben fermentato e ben cotto, non «viziato da mugnai» e si vendeva al costo di 6 centesimi al rotolo. Ogni individuo
consumava circa sei tomoli di frumento all’anno. L’uso della polenta
era diffuso e, solitamente veniva condita con grasso di maiale, o con
olio e sale.
Anche la carne era abitualmente consumata. I contadini mangiavano
quella di animali morti naturalmente o malati, «onde van soggetti a
delle febbri putride, forungoli, ed al fiato puzzolente». Veniva conservata in vasi di argilla, piuttosto che di rame, e ciò ne facilitava il mantenimento. Soltanto le carni di maiale venivano conservate previa salatura. La vendita della carne andava a peso da 26 a 44 centesimi.
Il consumo del pesce, invece, era legato alle specie la cui carne poteva essere conservata sotto sale, in quanto la distanza di trenta miglia
dal mare rendeva alquanto difficile il suo trasporto fresco.
Per quanto riguarda i vini, nonostante la qualità delle uve locali fosse
elevata, la qualità del vino risultava scarsa a causa di vendemmie
troppo precoci e metodi di conservazione non adatti. Venduto a caraffa a 13 centesimi, e consumato abitualmente da tutte le classi sociali, il
suo eccesso portava e porta a disfunzioni epatiche e respiratorie, a disordini neurologici, oltre che a «disordini dell’ordine pubblico».
L’olio prodotto in paese era di buona qualità e, venduto a 88 centesimi al rotolo, era comunemente usato come condimento. Si producevano, altresì, caciocavalli e ricotte con latte di mucca, di pecora e di
capra, che avevano un costo di 88 centesimi al rotolo.
L’utilizzo dei legumi era limitato a ceci, a fagioli e fave, di qualità
non buona, mentre gli ortaggi e la frutta venivano consumati abbondantemente dalla popolazione soprattutto durante il periodo estivo.
L’abbigliamento tipico faceva ampio uso di panni di lana, indossati in
tutte le stagioni e prodotti in loco: «in alcune ore di maggior calore le
donne tolgono il giustacore, e gli uomini ritengono la sola biancheria».
Le case costruite in cemento erano abbastanza ventilate; la popolazione abitava ai piani superiori, mentre al piano terra erano custoditi i
polli e gli altri animali domestici. Il focolare era solitamente collocato
in un angolo della casa ed era provvisto di camino, mentre per
l’illuminazione si utilizzavano lampade ad olio.
88
Le condizioni igieniche locali erano pessime, a causa della presenza
di sepolcri mal custoditi in chiese poco ventilate, strade non lastricate
e quindi fangose, letamai nelle abitazioni o nelle immediate vicinanze,
edifici cadenti, presenza di cadaveri di animali abbandonati per strada,
scarsa pulizia nelle case e siti di macerazione della canapa a poca distanza dall’abitato.
Contribuiva alla precaria sussistenza della popolazione anche la pessima purificazione e potabilizzazione dell’acqua. Questa, prelevata da
fonti che sgorgavano da fondi argillosi, veniva convogliata in canali
poco profondi e, non purificata, perveniva in una vasca comune costruita male. Risultava quindi essere torbida e sgradevole al gusto, difficile da utilizzare per gli usi domestici.
Una forma minima di assistenza sanitaria era fornita da tre medici,
due cerusici, un chirurgo e tre ostetriche, presenti in paese, tutti non di
condotta, mal pagati; ne consegue che la popolazione di campagna risultava abbandonata a se stessa. Da ciò si evince che le più comuni
forme di malattia dipendevano dalle cattive condizioni igienicosanitarie, ed erano rappresentate da febbri putride, ascessi e pleuriti,
causati spesso da «l’intemperie, l’eccessivo uso de’ peponi, i cibi guasti, che mangiano allorché si portano i contadini a travagliare lungo lo
Ionio». Queste malattie erano, quindi, più frequenti nei contadini,
mentre i morbi venerei, seppur rari, erano ben curati.
Alternativo all’uso della china come medicinale, il basso popolo ricorreva ai rimedi naturali, costituiti da impacchi e decotti a base di
cortecce di amarene, di aranci, e della «galluzza», aventi un effetto antipiretico.
La vaccinazione era poco sviluppata e quasi del tutto inesistente per i
poveri. Contribuiva all’alto tasso di mortalità infantile, oltre alle precarie condizioni igienico-sanitarie, la scarsa attenzione che le balie
mettevano nella cura dei neonati e dei bambini: «le nutrici hanno poca
cura dè bastardi, e di dieci ne sogliono arrivare da quattro agli anni
sette».
L’attenzione e la dedizione della popolazione alle manifatture locali
era scarsa. «I naturali hanno poca buona disposizione per le manifatture. Non mancano d’ingegno, né sono pigre le donne addette anche a’
travagli agricoli».
89
La manifattura di lana e di lino era affidata alle donne, le quali si dedicavano anche ai lavori agricoli. La quantità di lino naturalmente presente in paese era scarsa, sebbene di buona qualità; per questo motivo,
insieme alla canapa veniva prevalentemente importato dalle terre di
Tramutola, Moliterno, Sarconi, e Viggiano, ed aveva un costo che andava da 5 a 8 grana per libbra per la canapa e da 10 a 13 grana per libbra per il lino. La cardatura di una libbra costava 1 grana circa, mentre
la filatura 4 grana. Solitamente una donna era capace di filarne 8 once
al giorno. Le tele venivano imbiancate utilizzando il lescivio di cenere
per ripetute volte.
Per ottenere una libbra di filato erano necessarie 16 once di lino o di
canapa grezza, mentre 2 libbre di filato occorrevano per una tela larga
due palmi e mezzo.
Il prezzo della tela di lino era di 90 grana per ogni canna, mentre le
tele di canapa costavano da 60 a 80 grana. Le tele più pregiate erano
solitamente utilizzate per confezionare la biancheria dei proprietari; le
tele grossolane di canapa o di ginestra erano di uso comune tra gli operai di campagna e di città.
Anche la lana prodotta in paese era minima, per cui veniva acquistata nelle terre vicine, in particolar modo da Latronico e Castelsaraceno,
ad un costo di 10-15 grana per rotolo per la cosìddetta lana «maggiorina», che proveniva dalla tosatura delle pecore durante il mese di
maggio, e di 45 grana per la cosiddetta lana «agostina».
A San Chirico Raparo, ad Armento, a Spinoso ed in altri pochi centri
abitati della provincia, la cardatura della lana veniva eseguita da «lavoranti maschili, che girano pe’ paesi facendo tale opera», al costo di
2 grana per libbra. Generalmente per cardare una libbra di lana in maniera fine erano necessarie 3 grana, nel modo medio 2 grana e nel modo più grossolano 1 grana. Questo lavoro, nelle altre terre, veniva prevalentemente svolto dalle donne, le quali percepivano un salario di 1-3
grana per libbra di lana cardata.
La filatura, eseguita esclusivamente dalle donne nei ritagli di tempo
tra i lavori agricoli e quelli domestici, si eseguiva ovunque con il fuso
semplice; richiedeva la spesa di 4 grana per libbra ed una donna era
capace di filarne solo una libbra al giorno. Alcune donne lavoravano a
90
giornata e, a tali filatrici veniva corrisposto un salario giornaliero che
si aggirava intorno alle 5-8 grana57.
Una volta ottenuto il filo di lana, questo era destinato alla manifattura dei panni e delle telette miste di seta e di lana. Due rotoli di filo di
lana erano necessari per ottenere una canna di pannetto, o di teletta, la
cui tessitura richiedeva un costo di 12 grana.
A San Chirico Raparo erano presenti delle gualchiere che preparavano grossolanamente i panni e a cui pervenivano anche le manifatture
di lana di Colobraro e di Sant’Arcangelo. La mancanza di tintorie obbligava la tintura in casa, ottenuta mediante l’uso di robia o di indaco,
colori modificabili in presenza di lescivio di cenere o acqua e allume
di potassio, sebbene da tali manifatture non venisse rimosso del tutto
l’olio.
I pannetti così ottenuti erano utilizzati per produrre abbigliamento
per tutte le classi sociali, per un costo di 12 carlini per canna in caso di
panni non colorati e da 16 a 18 carlini per quelli colorati.
Per ciò che riguarda la manifattura della seta, invece, quella che non
si estraeva, si trattava in paese e veniva venduta al costo di 2-2,5 carlini per libbra grezza; veniva usata, insieme alla lana, per la produzione delle telette e, insieme al cotone, per la manifattura dei «regati misti». Si tingeva attraverso l’utilizzo di particolari legni.
Le manifatture del legno prevedevano l’utilizzo della quercia e del
cerro per costruire le travi degli edifici, del castagno per gli usci e le
imposte e quest’ultimo, insieme al noce, al faggio ed al cerro era anche utilizzato per fabbricare gli utensili casalinghi. Le botti ed i vasi
venivano prodotti dal legno di castagno, quercia e ciliegio, alberi naturalmente presenti nel territorio.
Il ferro arrivava in paese dalle coste del Mar Tirreno ed aveva un costo da 17 a 20 grana al rotolo, mentre l’acciaio da 24 a 27; servivano
entrambi per fabbricare in paese utensili per la campagna e per
l’agricoltura.
Mancando ogni sorta di macchinario, le manifatture erano per lo più
manuali ed erano eseguite allo stesso modo sia da uomini che da donne.
57
T. PEDIO, La Basilicata borbonica, Venosa, Osanna, 1986, pp. 140-141.
91
La mancanza di macchinari, di istruzione, di assistenza e di commercio rendeva le manifatture locali imperfette e poco adatte alla vendita6.
2. Dalle Municipalità del 1799 alla rivoluzione costituzionale del
1848
Il Governo Provvisorio della Repubblica napoletana, attraverso i
provvedimenti legislativi del 9 febbraio 1799, aveva delineato un sistema istituzionale-amministrativo periferico «strettamente dipendente, attraverso la rete dei suoi commissari, dal potere centrale e,
dall’autorità militare francese», con l’intento di «assicurare le due
funzioni fondamentali della riscossione delle imposte e del mantenimento dell’ordine pubblico»58.
Degli undici Dipartimenti in cui allora fu diviso «il territorio continentale della Repubblica Napoletana», il nono, quello del Bradano,
avente come capoluogo Matera, comprendeva gran parte della provincia di Basilicata, per un insieme di 12 cantoni e ben 200 centri abitati.
San Chirico Raparo faceva parte del cantone di Monte Muro, insieme a Montemurro, Armento, La Farneta San Biagio, lo Spirito Santo,
Guardia Perticara, Corleto, Gorgoglione, Tursi, Aliano, Alianello, Palazzo, S. Arcangelo, S. Lorenzo, Roccanova, Castronuovo, S. Martino,
Spinoso, S. Angelo e Sarconi. La vasta estensione del dipartimento del
Bradano verso nord-est, fino al mar Adriatico, risultava compensata
con la suddivisione interna in dipartimenti più piccoli, assegnando
quasi tutto il territorio a sud del fiume Agri al Dipartimento del Crati,
il cantone di Melfi al Dipartimento dell’Ofanto e il cantone di Muro al
Dipartimento del Sele59.
San Chirico Raparo fu uno dei centri del comprensorio Val d’AgriLagonegrese ove maggiormente si fece sentire sia la spinta rivoluzionaria del 1799 che lo spirito della reazione borbonica.
Anima della rivoluzione fu Giuseppe Maria Magaldi, agente del
Principe Girolamo Pignatelli, dottore in utroque jure, nato in San Chi 58
A. LERRA, L’albero e la croce. Istituzioni e ceti dirigenti nella Basilicata del
1799, Napoli, ESI, 2001, rist. 2004, pp. 36-37.
59
Ivi, pp. 43-44.
92
rico Raparo verso il 1780 da Prospero e da Leonarda Pizzo. Appartenente ad una ricca famiglia gentilizia, fu avviato agli studi di giuridici
che completò a Napoli60. Nel 1799 aderì al movimento repubblicano e,
assumendo a modello l’atteggiamento del suo feudatario, il Principe
Girolamo Pignatelli, con il quale manteneva una stretta corrispondenza, fu nominato commissario del nuovo governo nei paesi del Lagonegrese; da qui estese la sua azione rivoluzionaria anche a 36 centri
del circondario, diventando capo indiscusso e bandiera dei repubblicani locali. Eletto presidente della Municipalità di San Chirico, fu subito affiancato da suo cognato, il notaio Prospero D’Aloise, con carica
di segretario.
I più stretti collaboratori del Magaldi alla nuova Municipalità erano
Prospero Magaldi, notaio, repubblicano che, «per Commissione avuta
da Napoli» democratizzò «da circa 36 luoghi collo stabilimento in
ogn’uno d’essi della Municipalità repubblicana»61, Francesco Paolo
Borneo e Giacinto Pirro, «li più fieri inimici del Durante».
Il Magaldi fece numerosi proseliti della causa repubblicana in San
Chirico, come Francesco Paolo Mobilio, Mastrodatti dell’Università,
Gaetano De Marco, il Magnifico Battista Durante e suo figlio Francesco Paolo, il Magnifico Francesco Paolo Belladonna e Francesco Rizzo, anche approfittando dell’atteggiamento distaccato del Governatore
locale, Nicola Vito di Pierro.
Giuseppe Maria Magaldi tenne anche stretti contatti con gli altri rivoluzionari della zona e il 3 marzo 1799 partecipò alla repressione del
moto sanfedista che faceva capo a Filippo Antonio Durante, tenace realista ed assertore dei diritti della Corona, nonchè acerrimo nemico del
Magaldi.
Si opposero al Durante anche Domenico Bianco, nato a San Chirico
Raparo che, schieratosi con il movimento repubblicano, partecipò attivamente alla resistenza contro le forze sanfediste e Francesco Antonio
Vanni; insieme, il 9 marzo promossero una manifestazione repubblicana diretta a ricostituire la Municipalità di San Chirico sciolta da Filippo Antonio Durante. Francesco Antonio Vanni morirà in uno scon 60
61
DPL, vol. III, p. 177.
DPL, vol. III, p. 179.
93
tro con i soldati del Barone Brancalasso ad Episcopia nell’aprile del
179962.
In paese venne anche creato, seguendo l’esempio di altri centri, un
Corpo di Guardia Urbana Rivoluzionaria, alla cui direzione fu posto il
Magnifico Vito Paolo La Gualana, cugino del Magaldi63.
Anima della fazione filoborbonica fu Filippo Antonio Durante, dottore in utroque jure, nato in San Chirico Raparo nel 1763 dal dottore
in utroque jure Gabriele, che fu governatore di Rivello nel 1798-99, e
da una sorella del notaio Nicola Durante. Borghese benestante, ammogliato con figli, apparteneva ad una famiglia di tradizioni monarchiche consolidate. Capomassa sanfedista dei comuni del Circondario
Val d’Agri-Lagonegrese, incarico ottenuto mediante il Real Dispaccio
del 15 dicembre 1798 dal Vescovo di Policastro Ludovico Ludovici,
braccio destro del Cardinale Ruffo nella Basilicata sud-occidentale, ed
unico capo controrivoluzionario, fin dal 3 marzo 1799 concorse ad organizzare le forze sanfediste nel Lagonegrese, con l’intento di abbattere gli alberi della libertà e sostituirvi «il glorioso albero della Santa
Croce». Inoltre fissò in San Chirico Raparo il quartiere degli insorgenti realisti della zona, dopo aver sciolto la Municipalità repubblicana
che faceva capo a Giuseppe Maria Magaldi ed al padre Prospero Antonio64.
Sempre a San Chirico Raparo, ad opera dello stesso Durante, il 3 marzo 1799 fu respinto un attacco della Guardia Civica di Roccanova,
guidata da Vincenzo Bentivenga, Notaio e cugino di Giuseppe Maria
Magaldi, nato a San Chirico Raparo, di cui era stato governatore dal
1781 al 1804, che nel 1799 aveva aderito al movimento repubblicano65.
Un altro sanchirichese, il galantuomo Vincenzo Magaldi, nel 1799
aderì al movimento repubblicano e guidò gli armati sanchirichesi nella
62
DPL, vol. I, p. 135.
V. FALASCA, La Rivoluzione Napoletana del 1799 nei comuni della Valle
dell’Agri e in Basilicata, Potenza, Ermes, 1999, pp. 88-95.
64
DPL, vol. II, p. 230.
65
DPL, vol. I, p. 130.
63
94
spedizione del 24 marzo contro la limitrofa San Martino d’Agri dove
fu massacrato il “realista” Nicola Lasala66.
Il Durante continuò ad avere stretti rapporti epistolari sia con il cardinale Ruffo che, direttamente, con il Francesco di Borbone, il quale
riconobbe l’importanza del suo operato e gli promise una lauta ricompensa per la causa sanfedista che difendeva strenuamente.
Durante il mese di marzo, dopo aver ridotto all’obbedienza tutti i
centri della valle dell’Agri, ad Altamura il Durante unì le sue truppe a
quelle del cardinale Ruffo che, intanto, entrato in Basilicata, aveva
raggiunto Policoro e Matera. Dopo la capitolazione di Altamura, avvenuta il 10 maggio, il Durante seguì il cardinale fino ad Ascoli di Puglia, per poi rimpatriare a San Chirico a fine maggio per problemi di
salute. Ritornato a San Chirico fece subito arrestare Giuseppe Maria
Magaldi10 e, con lui, il Cantore di Roccanova Vito Nicola Tornese e
Giuseppe Villone di Gallicchio.
Caduta la Repubblica Napoletana, il Durante si offrì di lavorare per
il marchese della Valva, Visitatore Generale inviato in Basilicata dalla
casa reale. L’opera di discredito operata dai suoi nemici valse al Durante non solo il rifiuto della collaborazione ma anche l’ordine di svestirsi delle insegne di capitano comandante, in quanto la sua carica
non proveniva direttamente da un decreto reale, ma solo dal cardinale
Ruffo.
I repubblicani di San Chirico, guidati sempre da Giuseppe Maria
Magaldi che, nel frattempo, dopo l’arresto nel giugno del 1799, era
stato «liberato in forma» ed incluso nel «Notamento dei rei di Stato»10, con l’appoggio dell’Assessore Regio Francesco Antonio Carvelli, decisero di farla pagare cara al Durante e riuscirono a farlo sottoporre a processo dalle stesse autorità regie che avrebbero dovuto ricompensarlo, dando inizio ad una sistematica persecuzione nei suoi
confronti.
Il Durante riparò a Napoli in cerca di credenziali da presentare al colonnello Antonio De Settis, allora Direttore delle Milizie Provinciali,
al fine di reclutare volontari e veterani e le ottenne ma, ritornato a San
Chirico, il Luogotenente Prospero Viggiano, che era Governatore di
66
DPL, vol. III, p. 180.
95
Rotondella durante il semestre rivoluzionario, inviò una relazione negativa al Preside di Matera, con il risultato di far arrestare il Durante.
Fu successivamente aperto un processo nei suoi riguardi, con una serie
di imputazioni che, sostanzialmente, consistevano in perpetuati abusi
di potere13. Non si conosce l’esito del processo: dal Pedio si evince
che Filippo Antonio Durante, arrestato nel 1807, rimase «cinque anni
carcerato e cinque altri esiliato»14.
Di certo si sa che l’agente feudale Giuseppe Magaldi continuava a
coltivare importanti conoscenze tra i più alti funzionari della Regia
Udienza di Matera e, sebbene condannato come reo, in realtà non fu
mai incluso tra i 1307 rei di Stato della Basilicata.
Conclusasi la parentesi repubblicana, fu inviato a San Chirico
l’avvocato fiscale Pietro De Salvo che ordinò il sequestro del feudo
del principe Girolamo Pignatelli. Fu poi disposta la rielezione degli
amministratori e la chiesa locale si adoperò, nella persona
dell’arciprete Paolino Durante, già repubblicano, perché fosse ristabilito l’ordine in paese e la situazione ritornasse alla normalità13.
Va, in quest’ambito, sottolineata anche la figura di un altro illustre
sanchirichese di nascita che, sebbene non abbia avuto un ruolo come
diretto protagonista dei fatti di San Chirico, partecipò attivamente ai
fatti del 1799. Si tratta di Giuseppe D’Errico, nato in San Chirico Raparo nel 1757 da Agostino e da Francesca De Gregorio. Avviato agli
studi giuridici, divenne dottore in utroque jure nel 1775 in Napoli.
Governatore nel 1785 di Palazzo San Gervasio, dove sposò Maria Rachele Conversano e poi in Miglionico. Fu deposto dalla carica nel
1794 perché compromesso nei processi politici che si celebrarono in
Napoli in quell’anno, e si ritirò in Palazzo S. Gervasio. Legato da vincoli di profonda amicizia con Mario Pagano, Domenico Cirillo, Ignazio Falconieri e Giuseppe Poerio, che aveva conosciuti in Napoli, nel
1799 aderì al movimento repubblicano e nel febbraio venne eletto presidente della Municipalità di Palazzo S. Gervasio. Arrestato dopo la
caduta della Repubblica Napoletana con Michele Conversano, venne
tradotto nel castello di Melfi e fu scarcerato soltanto nel marzo del
1801. Venne assassinato in Palazzo S. Gervasio da soldati borbonici il
7 gennaio 1802. La sua morte provocò una insurrezione armata che,
promossa da Teodoro Ciccotti, si concluse con l’eccidio degli autori
96
dell’assassinio del d’Errico. I figli si distinsero poi nei moti liberali del
184867.
Intanto Giuseppe Maria Magaldi, divenuto Governatore di San Chirico Raparo nel 1806, mentre Casimiro Ginnari di Maratea era luogotenente, si distinse in quegli anni nella repressione dei moti antifrancesi10.
Anche un altro sanchirichese, Giovan Battista Appella, popolano, prese parte ai moti antifrancesi scoppiati in Basilicata nel luglio del 1806.
Datosi successivamente alla guerriglia, venne catturato nel 1807 e fucilato in San Chirico Raparo68.
Saverio Durante, figlio di Filippo Antonio, e dottore, come il padre,
in utroque jure, nel 1806 si schierò contro i francesi e partecipò attivamente ai fatti svoltisi in quell’anno nei paesi del lagonegrese. Tra i
difensori di Lauria, dopo la caduta di quella cittadina si ritirò in Sicilia69.
Altri sanchirichesi invece, si distinsero durante il Decennio napoleonico per aver partecipato alla repressione del brigantaggio. Tra questi,
Andrea De Marco, artigiano che a San Chirico aveva una bottega di
armiere, il quale partecipò attivamente alla repressione del brigantaggio distinguendosi, nel 1809, nella difesa di Chiaromonte e di Francavilla sul Sinni contro la banda Calone e, nel 1810, contro quella del
Cicchelli in difesa di San Chirico70. Al contrario, un altro sanchirichese di nascita, Prospero Aloise, galantuomo, nonostante avesse ricoperto cariche amministrative come comandante della Guardia Civica di
San Chirico durante il Decennio, fu accusato di aver protetto la banda
Cicchelli71.
Gli anni del Decennio napoleonico segnarono di fatto, nell’area del
Lagonegrese, una significativa svolta filomonarchica, con conseguente
sviluppo di ulteriori, peculiari forme di insorgenza popolare, mentre
67
DPL, vol. II, p. 149.
DPL, vol. I, p. 67.
69
DPL, vol. II, p. 231.
70
DPL, vol. II, p. 111.
71
DPL, vol. I, p. 42.
68
97
significativi nuclei di forze repubblicane si andavano riformando ed
erano ormai presenti prevalentemente in alcune delle più piccole comunità locali, da Carbone a Castelsaraceno, a Roccanova, a S. Martino d’Agri e a Missanello72.
Le antiche forze repubblicane sanchirichesi si riorganizzarono intorno alla figura di Giuseppe Maria Magaldi, il quale intanto, durante il
Decennio, aveva ricoperto la carica di giudice di pace a Latronico e di
consigliere provinciale nel 1816, 1817 e 1818. Dopo la restaurazione
si ritirò in San Chirico ed esercitò l’attività di avvocato, non allontanandosi dal suo primitivo ideale repubblicano. Egli fu tra i maggiori
esponenti della Carboneria in Basilicata: fondò la Vendita Carbonara
di San Chirico Raparo, di cui era gran maestro e partecipò ai fatti svoltisi nel Lagonegrese nel 1820-2110.
Altri illustri sanchirichesi divennero componenti, con vario grado,
della Vendita Carbonara di San Chirico e presero parte alla rivoluzione del 1820-21. Tra questi, il dottore in utroque jure Luigi Raffaele
Lopinto, nato in San Chirico Raparo il 31 gennaio 1778 da Prospero e
da Maria Rosa Martinese. Era membro della loggia Massonica di San
Chirico come Alto Dignitario; della stessa facevano parte il padre, in
qualità di Gran Maestro e la moglie con il grado di “giardiniere”73.
Tra gli altri membri della vendita vi erano, sempre come alti Dignitari, Giovanni Arcangelo Raffaele Magaldi, Cancelliere comunale, nato
in San Chirico Raparo il 22 ottobre 1811 da Francesco Paolo e da
Barbara Pesce74, e Giuseppe Nicola Vitale, proprietario, nato a San
Chirico Raparo il 18 agosto 1795 da Francesco Saverio e da Anna Maria de Simone75. Anche Raffaele Vaccaro, sarto, nato a San Chirico
Raparo il 15 dicembre 1794 da Bonifacio e da Olimpia Adobbati, era
un «antico settario», molto legato ai Magaldi76, così come Francesco
Paolo Viggiani77.
72
A. LERRA, L’albero e la croce…, cit., p. 62.
DPL, vol. III, p. 148.
74
DPL, vol. III, p. 176.
75
DPL, vol. V, p. 364.
76
DPL, vol. V, p. 302.
77
DPL, vol. V, p. 337.
73
98
La rivoluzione del 1848 vide ancora schierati in prima linea i numerosi membri della famiglia Magaldi, uniti fortemente nel sostegno
dell’attività cospirativa contro il movimento borbonico, tanto da poter
affermare il ruolo di primo piano da essi occupato nel panorama del
Risorgimento.
Giuseppe Maria Magaldi, di profonde origini aristocratiche, aveva
sposato Maria Maddalena Fortunato, proveniente, anche lei, da una
ricca famiglia gentilizia di Senise; insieme ebbero otto figli: Prospero
Antonio, Medico, nato in San Chirico Raparo l’11 febbraio 181378,
Francesco Paolo Filippo, Avvocato, nato in San Chirico Raparo il 23
Gennaio 181979, Gaetano Maria Ludovico, Sacerdote residente a Napoli, nato in San Chirico Raparo l’11 ottobre 182080, Nicola Maria,
avvocato in Potenza, nato in San Chirico Raparo il 5 Maggio 182281,
Biagio Antonio, medico e Capitano della Guardia Nazionale, nato in
San Chirico Raparo il 30 gennaio 182682, Vincenzo Maria, nato in San
Chirico Raparo il 22 maggio 182783, Giuseppe Luigi Emilio, alfiere
della Guardia Nazionale, nato in San Chirico Raparo il 3 ottobre
182884 e Giovanni Maria, detto Giovannino, Capitano della Guardia
Nazionale, nato in San Chirico Raparo nel 183585.
Già negli anni precedenti al 1848, in realtà, Giuseppe Maria Magaldi
aveva iniziato a raccogliere le antiche forze carbonare del suo paese in
una “associazione con vincolo di segreto” di ispirazione giobertiana
che, con la denominazione di “Giovane Italia”, da non confondere con
quella omonima mazziniana, ebbe vita in San Chirico Raparo, e ne assunse il comando con il titolo di “Gonfaloniere”. Nella sua opera di
78
DPL, vol. III, p. 179.
DPL, vol. III, p. 175.
80
DPL, vol. III, p. 176.
81
DPL, vol. III, p. 178.
82
DPL, vol. III, p. 174.
83
DPL, vol. III, p. 180.
84
DPL, vol. III, p. 177.
85
Ibidem.
79
99
riorganizzazione fu aiutato da Giuseppe Nicola Vitale, che assunse il
ruolo di “Sommo sacerdote”.
Uno dei suoi figli maggiori, Francesco Paolo Filippo, avviato agli
studi giuridici che completò a Napoli, divenne avvocato a Potenza e,
tramite i suoi contatti con i liberali di questa cittadina che, prima del
1848, facevano capo a Vincenzo d’Errico, ebbe la carica di Alto dignitario della Vendita Carbonara “La Giovane Italia”, costituita a Potenza
sin dal 1832. Anche Prospero Antonio, Nicola Maria e Biagio Antonio
presero parte ai movimenti liberali di quegli anni.
Affiliati alla Giovane Italia di San Chirico erano anche: Giuseppe Filippo Magaldi, avvocato, nato in San Chirico Raparo il 28 agosto 1817
da Michele, ricco proprietario terriero, e da Nicoletta de Stefano86; Vito Belladonna, farmacista, nato in San Chirico Raparo verso il 1801 da
Antonio87; Francesco Antonio Gennaro Danza, Galantuomo, nato in
San Chirico Raparo il 20 settembre 1808 da Achille e da Ippolita De
Simone88; Vincenzo Antonio Melfi, mugnaio, nato in San Chirico Raparo il 4 dicembre 1807 da Baldassarre e da Deodata Dattoli89; Antonio Maria Natale che, nel 1848 ricopriva la carica di primo eletto in
San Chirico Raparo, qui nato il 27 febbraio 1821 da Crescenzio, proprietario, e da Sinforosa Notargiovanni90; Vincenzo Antonio Panza,
Popolano, nato in San Chirico Raparo il 25 settembre 1822 da Pasquale e Maria Russo91; Giuseppe e Pietro Sarlo, entrambi possidenti nati a
San Chirico Raparo92; Giuseppe Siniscalchi, artigiano, nato in San
Chirico Raparo il 15 aprile 1824 da Vito e da Maria Luigia Martorano93; Raffaele Vaccaro94; Bonifacio Vaccaro, scrivano, nato a San Chirico Raparo il 29 aprile 1828 da Raffaele e da Maria Melfi, che aveva
86
DPL, vol. III, p. 177.
DPL, vol. I, p. 21.
88
DPL, vol. II, p. 23.
89
DPL, vol. III, p. 324.
90
DPL, vol. III, p. 425.
91
DPL, vol. IV, pp. 59-61.
92
DPL, vol. V, p. 78.
93
DPL, vol. V, p. 150.
94
DPL, vol. V, pp. 301-302.
87
100
interessi anche a San Martino d’Agri, anch’egli molto legato ai Magaldi95.
Le forze della Giovane Italia convogliarono nel Circolo Costituzionale Lucano, fondato a Potenza il 29 aprile 1848, il cui presidente era
Vincenzo D’Errico17; vi potevano aderire solo professori, avvocati,
proprietari, galantuomini, impiegati ed ecclesiastici, sebbene i membri
avessero fatto della libertà e della democrazia i loro vessilli.
Il sanchirichese Francesco Paolo Filippo Magaldi, meglio conosciuto
come Paolo, fu tra i promotori del Circolo Costituzionale Lucano insieme a Nicola Sole e a Pietro Rosano; strettamente legato al d’Errico,
di cui condivideva il programma politico, ne difese l’operato contro la
corrente radicale e, nella Dieta del 25 luglio 1848 sottoscrisse il Memorandum. Successivamente aderì alla setta dell’Unità Italiana cercando di sanare i contrasti esistenti tra le diverse correnti liberali che
avevano operato in Basilicata nel 184896.
Anche San Chirico, già a partire dal 15 maggio ebbe il suo Circolo
Costituzionale, il cui presidente divenne immediatamente Giuseppe
Maria Magaldi, il quale, sebbene avesse accettato il programma moderato, promosse la costituzione di un reparto armato destinato a Campotenese97, insieme ai compagni Luigi Raffaele Lopinto e Francesco
Paolo Viggiani98.
Parteciparono alla rivoluzione del 1848 anche i sanchirichesi Francesco Campagnoli, Cancelliere comunale e cassiere di beneficenza, Vincenzo Antonio Cortesano e suo figlio Giuseppe, Luigi Lopinto, avvocato e primo sergente della Guardia Nazionale, nato in San Chirico
Raparo il 12 maggio 1825 da Gerardo e da Teresina Labollita e Federico Viggiani. Quest’ultimo, usciere presso il Giudicato Regio di San
Chirico Raparo, nato in San Chirico Raparo il 26 febbraio 1818 dal
notaio Francesco Paolo e da Maria Benedetta Bianculli, trovandosi a
Napoli nel 1848, dove seguiva i corsi di Giurisprudenza per «licenziarsi in Legge», partecipò alle manifestazioni del 15 maggio e, una
95
DPL, vol. V, pp. 299-300.
DPL, vol. III, pp. 175-176.
97
DPL, vol. III, p. 178.
98
Ibidem.
96
101
volta rientrato nel suo paese, sostenne l’intervento armato in Calabria
al fianco di Giuseppe Maria Magaldi99.
3. L’insurrezione lucana del 1860
La repressione contro i partecipanti alle vicende culminò in una serie
di processi che coinvolsero anche i patrioti sanchirichesi.
Giuseppe Maria Magaldi fu accusato, insieme ai figli Biagio Antonio, Gaetano Maria, Luigi, Prospero Antonio, Nicola Maria e Vincenzo Maria, di «attentati contro la sicurezza interna dello stato mercè
corrispondenza cogli insorti calabresi ed associazione illecita». Giuseppe Maria morì durante l’istruttoria del processo a suo carico il 18
settembre del 1850100.
Prospero Antonio, Biagio Antonio, Vincenzo Maria, Nicola Maria e
Giuseppe Luigi Emilio videro il processo a loro carico concludersi,
dopo la promulgazione della sovrana indulgenza del 19 maggio 1851,
con l’archiviazione degli atti disposta il 5 gennaio 1852 e, inclusi tra
gli «attendibili” politici, furono sottoposti a «sorveglianza di polizia».
Stessa sorte toccò al fratello sacerdote Gaetano Maria Ludovico, residente a Napoli, dove era stato già arrestato nel 1849 per aver manifestato sentimenti liberali durante il 1848 e, scarcerato nel 1850, era stato relegato a San Chirico Raparo dove era stato autorizzato a tenere
scuola privata; a processo concluso, divenne un “attendibile” politico
e fu sottoposto a «sorveglianza di polizia».
Francesco Paolo Filippo invece, nonostante le accuse, sfuggì alla cattura rendendosi latitante e soltanto nel 1855 usufruì di indulgenza sovrana e fu disposta l’archiviazione degli atti a suo carico. Sebbene fosse stato incluso tra gli “attendibili” politici e sottoposto a «sorveglianza di polizia», ottenne di poter riprendere la sua attività forense.
Le sorti degli altri cugini Magaldi furono simili. Giovanni Arcangelo
Raffaele Magaldi, coinvolto nei fatti svoltisi nel 1848, venne destituito
dalla carica di cancelliere comunale ed incluso tra gli “attendibili” politici; identica sorte toccò anche a Francesco Campagnoli101.
99
DPL, vol. V, pp. 336-337.
DPL, vol. V, p. 178.
101
DPL, vol. V, p. 176; vol. I, pp. 233-234.
100
102
Giuseppe Filippo Magaldi fu arrestato nell’ottobre del 1849 e venne
rinviato a giudizio della Gran Corte Criminale di Basilicata per rispondere di «attentati contro la sicurezza interna dello Stato per oggetto di cambiare l’attuale legittimo Governo mercè organizzazione di
setta denominata la Giovane Italia». Il processo iniziato il 9 giugno del
1851 si concluse il 30 dello stesso mese con una sentenza di condanna
a due anni di prigionia, poi condonatagli con provvedimento dell’1
marzo 1852. Fu relegato in San Martino d’Agri, incluso tra gli “attendibili” politici e sottoposto a «sorveglianza di polizia»102.
Giuseppe Nicola Vitale fu arrestato nel 1850 per la medesima imputazione; il processo a suo carico, iniziato il 3 giugno del 1851, si concluse il 30 di quel mese con la condanna a due anni di prigionia e, dopo il condono nella pena, si prospettò per lui un destino di attendibile103. Simile condanna ebbero Raffaele Vaccaro, che usufruì della sovrana indulgenza del 10 aprile 1850 ed archiviazione degli atti con
provvedimento del 4 agosto 1850104 e Francesco Antonio Gennaro
Danza, fautore dell’intervento armato in Calabria che, nell’ottobre del
1849 venne deferito alla Gran Corte Criminale di Basilicata e, arrestato nel 1850, venne rinviato a giudizio della Gran Corte Speciale di Basilicata che, con sentenza del 30 giugno 1851, applicò nei suoi confronti la sovrana indulgenza del 10 aprile 1850; scarcerato, venne rimpatriato in San Chirico Raparo105. Entrambi furono sorvegliati come
attendibili. Vincenzo Antonio Melfi subì lo stesso capo d’imputazione
e, ricercato dalla polizia borbonica, si costituì dopo la promulgazione
dell’editto Nunziante, usufruendo della sovrana indulgenza del 19
maggio 1851; disposta l’archiviazione degli atti a suo carico, con
provvedimento del 5 gennaio del 1852, fu incluso tra gli “attendibili”
politici e sottoposto a «sorveglianza di polizia»106. Simile sorte toccò
anche ad Antonio Maria Natale107, a Vincenzo Antonio Panza, il quale
fu arrestato nell’ottobre del 1849 e fu scarcerato dopo la promulgazio 102
DPL, vol. V, p. 177.
DPL, vol. V, p. 365.
104
DPL, vol. V, pp. 302-303.
105
DPL, vol. II, p. 23.
106
DPL, vol. III, p. 324.
107
DPL, vol. III, p. 425.
103
103
ne della sovrana indulgenza del 19 maggio 1851108, e anche a Bonifacio Vaccaro, arrestato nel 1850, il cui processo si concluse il 30 maggio 1851 con l’archiviazione degli atti a suo carico e, dopo la scarcerazione, inclusione tra gli “attendibili” politici45.
Un altro Magaldi, Francesco Paolo, avvocato, nato in San Chirico
Raparo da Giovanni, prima del 1860 fu incluso tra gli “attendibili” politici e sottoposto a “sorveglianza di polizia”. Successivamente tenne
studio a Potenza dove morì il 14 gennaio del 1902109.
Anche gli altri patrioti sanchirichesi ebbero destini analoghi. Vito
Belladonna, resosi latitante, si costituì dopo la promulgazione
dell’editto Nunziante ed usufruì della sovrana indulgenza del 10 aprile
1850110. Anche Vincenzo Antonio Cortesano si costituì dopo la promulgazione dell’editto Nunziante ed usufruì dell’indulgenza del 10
aprile, dopo essere stato ricercato dalla polizia borbonica per la sua
partecipazione ai fatti svoltisi in San Chirico nel 1848, periodo in cui
era Decurione con l’incarico di cassiere47; simile sorte ebbe anche suo
figlio Giuseppe, che sfuggì alla cattura rendendosi latitante48.
Giuseppe Siniscalchi venne arrestato nel gennaio del 1850; in seguito usufruì della sovrana indulgenza del 10 aprile 1850 e, disposta
l’archiviazione degli atti a suo carico con provvedimento del 24 agosto 1850, fu rimpatriato in San Chirico e sorvegliato come attendibile44.
Luigi Raffaele Lopinto fu deferito per la sua partecipazione ai fatti
del 1848; usufruì di sovrana indulgenza e, disposta l’archiviazione degli atti a suo carico con provvedimento del 4 agosto 1853, fu sorvegliato dalla polizia come attendibile111.
Luigi Lopinto, primo sergente della Guardia Nazionale di San Chirico Raparo, in occasione del giuramento, pronunziò un discorso in cui
illustrava i vantaggi derivanti dalla Costituzione; a causa di esso nel
1854 fu sottoposto a procedimento penale. Accusato di «attentato contro la sicurezza interna dello Stato», usufruì di sovrana indulgenza e,
con provvedimento del 4 agosto 1855, fu disposta l’archiviazione de 108
DPL, vol. IV, p. 60.
DPL, vol. III, p. 175.
110
DPL, vol. I, p. 121.
111
DPL, vol. III, pp. 148-149.
109
104
gli atti a suo carico; fu poi incluso tra gli “attendibili” politici e sottoposto a misure di polizia112.
Giuseppe e Pietro Sarlo usufruirono della sovrana indulgenza del 19
maggio 1851 e, con provvedimento del 24 ottobre 1851, gli atti a loro
carico vennero archiviati per «non luogo a procedere»113.
Francesco Paolo Viggiani, accusato di avere avuto rapporti con Petruccelli della Gattina dopo il 15 maggio, subì soprusi e persecuzioni
da parte della polizia borbonica. Soltanto nel giugno del 1853 si procedette nei suoi confronti per «complicità in associazione illecita ed
eccitamento ai sudditi ed abitanti del Regno ad armarsi contro
l’Autorità Reale nel 1848». Usufruì della sovrana indulgenza del 10
aprile 1850 e gli atti a suo carico vennero archiviati con provvedimento del 27 agosto 1854114. Federico Viggiani, accusato nel 1853 per la
medesima imputazione, ebbe un destino analogo di attendibile sorvegliato dalla polizia115.
Tuttavia, nonostante questa vera e propria epurazione, l’attività cospirativa sanchirichese rimaneva attiva, ancora una volta legata
all’operato dei Magaldi.
Già a partire dal mese di aprile del 1860 i cospiratori, la maggior
parte dei quali aveva subito i processi a partire dal 1850, si riorganizzarono, preparandosi ad insorgere. Tutti i patrioti del 1848 e del 1857
si ridestarono, sostenuti dall’idea di volere a tutti i costi un’Italia unita, libera ed indipendente. Con molto realismo, abbandonarono l’idea
repubblicana, optando per la causa nazionale sotto la monarchia sabauda.
Sulla scia dell’impegno politico del padre Giuseppe Maria, anche i
figli accettarono il programma del Comitato dell’Ordine ed arrivarono
ad occupare posizioni rilevanti nell’organizzazione e nella gestione
delle Forze Insurrezionali lucane prima e dopo il 1860.
Prospero Antonio Magaldi, trasferitosi intanto a Potenza, nel 1860
entrò nel locale Decurionato e nell’agosto fece parte della Commis 112
DPL, vol. III, p. 148.
DPL, vol. V, p. 78.
114
DPL, vol. V, p. 337.
115
DPL, vol. V, p. 337.
113
105
sione di Vigilanza per l’Annona istituita dal Governo Prodittatoriale
Lucano116.
Francesco Paolo Filippo Magaldi fu nominato dal Governo Prodittatoriale Lucano giudice presso la Corte Criminale di Basilicata. Come
magistrato, raggiunse il grado di Procuratore Generale presso la Corte
di Appello di Catanzaro. Fu anche autore, tra l’altro, di una Storia della Legislazione e del diritto Romano edita in Napoli nel 1840117.
Nicola Maria Magaldi fu incaricato dal comitato di Corleto Perticara
di costituire in San Chirico Raparo un comitato insurrezionale di cui
fu componente e capo. Segretario del Governo Prodittatoriale Lucano,
fece parte della delegazione lucana ricevuta a Napoli da Vittorio Emanuele II l’11 novembre del 1860. Venne successivamente chiamato a
svolgere le mansioni di Segretario nel Consiglio Elettorale per la scelta dei Deputati al primo Parlamento Italiano e fu Segretario della
Commissione di scrutinio per l’elezione dei Consiglieri provinciali e
municipali. Morì precocemente per una polmonite a Potenza il 13 giugno del 1861118.
Anche il fratello sacerdote Gaetano Maria Ludovico, tra i promotori
della costituzione del Comitato Insurrezionale di San Chirico, il 22
agosto 1860 fu nominato maggiore cappellano delle forze insurrezionali lucane e seguì Garibaldi sul Volturno. Divenuto Consigliere Provinciale dopo il 1860, si interessò ai problemi della provincia e si prodigò per l’istituzione di asili infantili in Basilicata119.
Biagio Antonio, capitano della Guardia Nazionale di San Chirico
Raparo, si distinse durante l’insurrezione dell’agosto 1860 e nella lotta
contro il brigantaggio120.
Il più giovane dei figli di Giuseppe Maria, Giovanni Maria, detto
Giovannino, nell’agosto del 1860 partecipò alla rivoluzione per
l’Unità. Nominato giudice istruttore a Rossano Calabro, a Monteleone
116
DPL, vol. III, p. 179.
DPL, vol. III, p. 176.
118
DPL, vol. III, p. 179; A. D’ANDRIA (a cura di), Potenza Città Capoluogo e del
Risorgimento. 1799-1861, Potenza, Amministrazione Comunale, 2010, pp. 14, 57.
119
DPL, vol. III, p. 176.
120
DPL, vol. III, p. 175.
117
106
e poi giudice presso il Tribunale di Lagonegro, morì il 2 febbraio del
1914121.
Anche gli altri cugini Magaldi accettarono il programma del Comitato dell’Ordine ed ebbero ruoli diversi, ma al contempo rilevanti per i
fatti del 1860.
Giovanni Arcangelo Raffaele Magaldi, dopo aver accettato nel 1860
il programma del Comitato dell’Ordine, fece parte del Comitato Insurrezionale costituito in San Chirico ad opera di Nicola Maria Magaldi
e, con decreto del 29 agosto del 1860, fu assegnato al Corpo delle
Guardie d’Onore122.
Luigi Magaldi, Luogotenente della Guardia Nazionale, nell’agosto fu
membro della Giunta Insurrezionale sanchirichese. Successivamente
partecipò attivamente alla lotta contro il brigantaggio e, come studioso
di storia patria, raccolse i canti popolari di San Chirico, che vennero
pubblicati nel 1885 in «Lucania Letteraria»123.
Pasquale Magaldi, avvocato, fu Decurione a Potenza e partecipò alla
seduta del 19 agosto nel corso della quale il decurionato potentino riconobbe il Governo Insurrezionale. Nel gennaio del 1861 fu eletto deputato al Parlamento per il Collegio di Muro Lucano e da tale carica si
dimise nel dicembre del 1863. Consigliere provinciale per il mandamento di San Chirico Raparo, fu presidente del Consiglio Provinciale
di Basilicata. Morì a Potenza nel 1876124.
Oltre ai Magaldi, anche altri illustri sanchirichesi, già menzionati,
accettarono il programma del Comitato dell’Ordine. Tra questi, Luigi
Lopinto mantenne i contatti con i liberali lucani e nel 1860 ricoprì il
grado di primo tenente delle forze insurrezionali125, mentre Bonifacio
Vaccaro partecipò ai moti insurrezionali e si distinse nella repressione
delle manifestazioni svoltesi nei paesi del Lagonegrese nell’ottobre
del 1860 per impedire le operazioni del plebiscito. Successivamente fu
121
DPL, vol. III, p. 177.
DPL, vol. III, p. 176.
123
DPL, vol. III, p. 178.
124
DPL, vol. III, p. 179.
125
DPL, vol. III, p. 148.
122
107
nominato delegato di Pubblica Sicurezza. Morì a San Martino d’Agri
nel settembre del 1897126.
Ma facciamo un passo indietro. L’organizzazione delle Forze Insurrezionali lucane fu assegnata a Giacinto Albini. Come leader indiscusso dei patrioti lucani, provvide ad organizzare la provincia in vista
dell’imminente azione insurrezionale, suddividendola in centri secondari, comprendenti ognuno un certo numero di paesi, aventi come capofila il comune di Corleto Perticara. San Chirico Raparo faceva parte
del sub-centro di Castelsaraceno, con a capo Vito Cascini, insieme a
Castelsaraceno, Latronico, Carbone, Episcopia, Calvera e S. Martino
d’Agri.
Il Comitato Centrale Lucano, presieduto da Carmine Senise, aveva
sede a Corleto, mentre il sottocentro di Potenza manteneva una sua autonomia, continuando a comunicare direttamente con il Comitato Centrale di Napoli. Vennero anche istituiti i Comitati Municipali, che dovevano prepararsi a sostituire le autorità borboniche nell’esercizio del
potere a livello locale.
Nicola Maria Magaldi127 fu incaricato dal Comitato di Corleto Perticara di costituire a San Chirico Raparo un Comitato Insurrezionale; fu
aiutato dai fratelli Gaetano Maria e Giovanni Maria, da Giovanni Arcangelo Raffaele Magaldi, da Luigi Magaldi e da Giuseppe Cortesani,
i quali aderirono con entusiasmo all’idea dell’Italia unita.
Intanto si andavano raccogliendo in paese gli insorti che avrebbero
partecipato ai moti del 1860. Questi furono organizzati da Antonio
Simonetti, proprietario, nato in San Chirico Raparo. Dopo aver accettato il programma del Comitato dell’Ordine, nell’agosto del 1860 organizzò gli insorti che furono aggregati alla XI colonna delle forze insurrezionali lucane al comando di Luigi Chiurazzi. Dopo il 1860 si distinse nella repressione del brigantaggio e ricoprì cariche amministrative in San Chirico, dove morì nel 1895128.
Gli insorti sanchirichesi che aderirono al movimento liberale e si unirono alla XI colonna delle forze insurrezionali lucane furono:
126
DPL, vol. V, p. 300.
DPL, vol. V, pp. 178-179.
128
DPL, vol. V, p. 148.
127
108
QUALIFICA
NOME
BELLADONNA Raffaele
CASTELLUCCI Vincenzo
CHICCHELLI Giovanni
CORTESANO Domenico129
CORTESANO Filippo
DE SARLO Nicola
DI BIASE Giuseppe
LAURENZANA Vincenzo
MAGALDI Giuseppe Filippo
MAGALDI Stefano
MARTINESE Nicola
MONTEMURRO Antonio
MUNNO Antonio
PALADINO Filippo
PRESTERA Michele
SOLLITTO Vito Antonio
SPINOLA Nicola Maria
STIGLIANO Tommaso
TURNO Giuseppe
VIGGIANI Giuseppe
Galantuomo
Galantuomo
Galantuomo
Civile
Popolano
Popolano
Guardia Nazionale
Popolano
Milite della Guardia Nazionale
Milite della Guardia Nazionale
Milite della Guardia Nazionale
Milite della Guardia Nazionale
Milite della Guardia Nazionale
Tab. 2. Drappello insurrezionale di San Chirico. Nostra elaborazione da DPL, ad
voces.
Gli insorti di San Chirico si unirono a quelli di Castelsaraceno guidati da Vito Cascini. Il giorno 14 e 15 agosto, da Corleto Perticara furono inviate lettere a tutti i sottocomitati, dichiarando decaduto il Governo borbonico. Il comandante supremo delle forze insurrezionali era
il Colonnello Boldoni. Il 16 agosto, il Comitato Lucano, il Pro Dittatore Giacinto Albini ed il Colonnello Boldoni proclamarono il Governo
Nazionale a Corleto Perticara. Successivamente, il 18 agosto ci sarebbe stato il conflitto a Potenza con i gendarmi che si arresero subito ad
Ulisse Caldani, capo degli insorti di Tito.
La colonna di Senise e quella di Castelsaraceno giunsero a Potenza
alcuni giorni dopo, intorno al 25 agosto, portandosi in zona Agro San
129
DPL, vol. I, p. 437. Nel 1862 cadde nella lotta contro il brigantaggio.
109
Michele di Potenza, e spostandosi poi il 5 settembre a Vietri. Venne
poi organizzata la Brigata Basilicata e Castelsaraceno, con Corleto e
Rotonda formarono il distretto di Lagonegro, forte di 554 armati al
comando di Giuseppe Antonio La Cava. Il 18 settembre la Brigata si
portò a Napoli, prese alloggio ai Granili e quindi si sciolse. I più ritornarono a casa, mentre i più giovani entrarono al comando di Garibaldi,
formando la Brigata Basilicata, che si distinse sotto le mura di Capua
il 1 ottobre4.
Tra questi, Francesco Borneo, nato in San Chirico Raparo da Domenico, che seguì Garibaldi sul Volturno130 e un altro Magaldi, il giovanissimo Vito Maria, avvocato, nato in San Chirico Raparo nel 1847 da
Giovanni Battista. Sebbene dodicenne, nell’agosto del 1860 dopo essersi unito alle forze insurrezionali lucane a Napoli, seguì la brigata
Basilicata sul Volturno. Nel 1866 si arruolò nelle file garibaldine e,
con il grado di ufficiale, seguì Garibaldi a Bezzecca. Come avvocato
rinunziò presto alla libera professione e fu segretario della Amministrazione Provinciale di Potenza. Fu anche poeta e letterato e pubblicò
nel 1881 una raccolta di versi dal titolo Fiori Lucani. Morì a San Chirico Raparo nel maggio del 1913131.
130
131
DPL, vol. I, p. 164.
DPL, vol. III, p. 180.
110
Fig. 1. Rapporto di istituzione, da parte del Commissario Stanislao Armento, della
Giunta Insurrezionale in San Chirico Raparo, firmato da Biagio Antonio Magaldi.
ASP, Governo Prodittatoriale Lucano, b. IV, fasc. 36, “Istallazione delle Giunte
Municipali. Verbali”, f. 359.
111
Non tutti i sanchirichesi però accettarono di buon grado la nuova idea unitaria e si attivarono per il sostegno dei moti legittimisti.
Tra questi Giuseppe Antonio Aloise, sacerdote, nato in San Chirico
Raparo il 19 agosto 1832 da Michele e da Susanna Rinaldi, che, di
sentimenti antiliberali, nel settembre del 1860 con l’arciprete Bentivenga e con il farmacista Onofrio Plati promosse la costituzione di
una associazione borbonica nel Lagonegrese. Il 21 ottobre 1860 fu a
Carbone dove organizzò il moto legittimista. Arrestato per rispondere
di «cospirazione ed attentato per distruggere il Governo con eccitamento alla guerra civile», usufruì del provvedimento di clemenza del
17 febbraio 1861 e fu scarcerato in seguito al provvedimento di archiviazione degli atti a suo carico del 16 settembre 1861132.
L’arciprete Pasquale Maria Bentivenga, nato in San Chirico Raparo
nel 1782, teneva scuola di matematica e letteratura in San Chirico Raparo. Studioso di storia locale, fu socio della Società Economica di
Basilicata e pubblicò, tra l’altro, negli atti di quella società, una relazione sul terremoto del 1857. Fondò nel 1817 un orfanotrofio femminile in San Chirico e, nel 1825, un convitto per «istruire ed educare le
civili donzelle». Nel 1844 si prodigò per la costituzione di una serie di
ospizi ed orfanotrofi da affidare alle suore dell’ordine di San Vincenzo
de’ Paoli ed il suo progetto venne pubblicato nel 1846 con una presentazione di Vincenzo d’Errico. Sebbene estraneo ai fatti svoltisi in Basilicata sino al 1860, successivamente, fautore del potere temporale,
venne schedato tra le “persone sospette in linea politica”. Morì in San
Chirico Raparo il 23 settembre 1866133.
Un altro sanchirichese, Antonio Maria Lattanzio, sarto, nato in San
Chirico Raparo il 31 marzo 1841 da Raffaele e da Cesarea Albino, si
trasferì ben presto in Castronuovo Sant’Andrea, dove aprì bottega di
sarto. Nel 1860 si schierò contro il movimento liberale ed aderì al
Comitato borbonico costituitosi in Castronuovo ad iniziativa di Giacomo Greco e di Vincenzo Pesce134.
Altri sanchirichesi furono schedati come «persone sospette in linea
politica», per essersi più o meno schierati a favore, aver partecipato ai
132
DPL, vol. I, p. 42.
DPL, vol. I, p. 130.
134
DPL, vol. III, p. 75.
133
112
moti legittimisti scoppiati in paese o nel lagonegrese o per aver assunto un atteggiamento ambiguo. Tra questi: Vito Belladonna37; il sacerdote Domenico De Nile, nato in San Chirico Raparo verso il 1826 da
Francesco135; Giovanni Arcangelo Raffaele Magaldi, nonostante fosse
stato un «antico settario» insieme a Giuseppe Maria24; Francesco Paolo Magaldi, guardiaboschi136; Francesco Lauria, nato in San Chirico
Raparo verso il 1825 da Francesco, che ricoprì cariche amministrative
e si schierò apertamente contro il movimento liberale137; Vito Andrea
Lopinto, Medico, nato in San Chirico Raparo da Gennaro, anche lui
con incarichi amministrativi138; Angelo Natale, Galantuomo e Guardia
d’onore borbonica, nato in San Chirico Raparo verso il 1815 da Nunzio. Avviato agli studi giuridici che completò a Napoli, ricoprì cariche
amministrative in San Chirico Raparo; fu accusato nel 1861 di «attentato e cospirazione ad oggetto di cambiare la forma del Governo» e
dal 1864 incluso tra le “persone sospette”139, insieme ai figli Giuseppe,
Galantuomo, nato in San Chirico Raparo verso il 1838140, e Gennaro,
Maestro di scuola, nato in San Chirico Raparo verso il 1843141.
135
DPL, vol. II, p. 127.
DPL, vol. III, p. 175.
137
DPL, vol. III, p. 80.
138
DPL, vol. III, p. 149.
139
DPL, vol. III, p. 425.
140
DPL, vol. III, p. 426.
141
Ibidem.
136
113
APPENDICE
Sindaci di San Chirico Raparo dal 1809 al 1869142
ANNO
1809
1810
1811-14
1815
1816-17
1817
1818-22
1822-23
1824
1825-28
1828-31
1831-33
1834-37
1837-39
1840-44
1844-45
1846-52
1852-54
1855-60
1860-62
1862-64
1865-69
NOME
VIGGIANI Prospero
MAGALDI Giuseppe Maria
VIGGIANI Prospero
MAGALDI Michele
SARLO Nicola Maria
(sindaco aggiunto: GAGLIARDI Francesco Paolo)
TORTORELLI Giuseppe Antonio
SIMONETTI Nicola Maria
MAGALDI Michele
DURANTE Filippo Antonio
CAMPAGNOLI Nicola Maria
TORTORELLI Giuseppe Antonio
MAGALDI Giustiniano
TORTORELLI Giuseppe Antonio
CAMPAGNOLI Nicola Maria
MAGALDI Giambattista
DE SARLO Giuseppe
MAGALDI Giambattista
CAMPAGNOLI Nicola
NATALE Antonio
PETROCELLI Vincenzo
MAGALDI Luigi
142
ASCSCR, Registri delle nascite e delle morti, aa. 1809-1869.
114
San Martino d’Agri
Mariangela Iacovino
1. Territorio e popolazione
San Martino1 si trova a ridosso dell’Appennino Lucano, nel settore
sud-occidentale della Basilicata. Il territorio è essenzialmente di carattere collinare e si estende sul versante nord-est del massiccio del Raparo. Il centro abitato è situato a 666 metri sul livello del mare.
Il territorio confina con Armento, Spinoso e San Chirico Raparo e,
sul versante settentrionale, è bagnato dal fiume Agri.
1
Nel 1863, il 4 gennaio, il comune di San Martino assunse la denominazione
“d’Agri” con Regio Decreto che si allega in Fig. 1.
115
Durante la prima età moderna San Martino ricadeva sotto la giurisdizione feudale dei Sanseverino di Bisignano, che nel 1565, a causa dei
forti debiti contratti, furono costretti a cedere il feudo. Così, San Martino fu acquistato dai baroni Sifola, del patriziato di Trani, che ne
mantennero il possesso fino all’eversione della feudalità nel 1806.
La baronia dei Sifola è citata, infatti, nella Relazione Gaudioso sulla
Basilicata, compitata nel 1736 su disposizione di Carlo di Borbone,
dopo che il sovrano aveva fatto nel gennaio dell’anno precedente una
rapida visita, durante la quale aveva potuto constatare di persona le infelici condizioni socio-economiche di questa provincia. San Martino
così viene presentato dall’estensore della Relazione:
La Terra di San Martino distante dalla già detta (Terra di Guardia Perticara)
miglia otto sta situata nelle falde del Monte di Raparo circondata da due torrenti, avendo due facciate una a Settentrione e l’altra a mezzogiorno. Viene
abitata da 1500 cittadini fra quali pochissimi sono civili che vivono con qualche poco d’industria da campo e d’armenti poiché l’altri, tutti si sostengono
colle di loro fatiche personali nella custodia de’ bestiami e nella coltura del
territorio, che produce grano, legumi, vino e oglio. Detta terra vien posseduta
dal barone D. Nicola Sifola quale tra il feudale e il burgensatico tiene di rendita da ducati 900 incirca. Non vi sono usanze particolari o stili particolari e
la Giustizia vie distribuita dal governatore che vi deputa detto Barone. Nello
spirituale ritrovasi sottoposta alla Diocesi d’Anglona essendovi una sola parrocchia sotto il titolo di S. Lorenzo servita da 22 preti le di cui rendite ascendono a ducati 300 incirca. Vi è altresì un Convento di Minori osservanti di S.
Francesco che si sostiene coll’elemosina2
2
T. PEDIO, La Basilicata borbonica, Venosa, Osanna, 1986, p. 61.
116
Fig. 1. Decreto di nuova denominazione di San Martino in San Martino d’Agri.
ASCSM.
117
Grafico 1. Andamento demografico di San Martino dal 1622 al 1858. Nostra elaborazione da S. MAZZELLA, Descrittione del Regno di Napoli, in Napoli, ad istanza di
Gio. Battista Cappello, MDCI; E. BACCO, Il Regno di Napoli diuiso in dodici Prouincie, in Napoli, per Lazaro Scoriggio, MDCXX; O. BELTRANO, Descrittione del Regno
di Napoli diuiso in dodici Prouincie, in Napoli, per Ottauio Beltrano, 1671; T. ALMAGIORE, Raccolta Di Varie Notitie Historiche, Non Meno Appartenenti All' Historia Del Svmmonte, Che Cvriose, Napoli, Bulifon, 1675; G. B. PACICHELLI, Il Regno
di Napoli in prospettiva, Napoli, Parrino e Mutio, 1703; G. M. ALFANO, Istorica descrizione del Regno di Napoli, diviso in dodici province, Napoli, presso Vincenzo
Manfredi, 1798; L. GIUSTINIANI, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, Napoli, Simoniana, 1804; A. LOTIERZO, San Martino d’Agri. Storia ed immagini, Napoli, Istituto Grafico Editoriale italiano, 1987.
I dati sopra riportati evidenziano un andamento demografico piuttosto costante. Unica eccezione è rappresentata dal brusco calo collocabile alla fine del Seicento. È possibile ipotizzare che alla base dello
spopolamento di quegli anni vi fu l’ondata di peste che colpì il Mezzogiorno d’Italia nel 1656. L’epidemia, infatti, oltre a decimare la popolazione, provocò una grave carestia che peggiorò notevolmente le
condizioni di vita della popolazione, provocando la morte di decine di
persone e un conseguente esodo verso posti più vivibili.
118
Progressivamente la situazione andò migliorando: nel 1736, proprio
all’inizio della monarchia borbonica, San Martino contava 1500 abitanti,alla fine del Settecento, precisamente nel 17943, il centro abitato
toccò il suo picco massimo di popolazione, con 1927 abitanti. Nei decenni a seguire il paese andò incontro ad una lenta ed inesorabile decrescita, anche a causa dei diversi eventi storici e naturali che lo colpirono. Tra questi ricordiamo il terremoto del 16 dicembre 1857 che
causò la morte di «6 cittadini, 54 animali e danni per 80.000 ducati»4 e
varie frane che già dal XVIII secolo hanno reso necessari lavori di consolidamento.
L’economia di San Martino nel Settecento era essenzialmente analoga a quella degli altri centri della valle. Il territorio era prevalentemente caratterizzato dalla presenza di querce, castagni e boschi di vario
genere da cui ricavare il legname necessario alla sussistenza. La popolazione viveva prevalentemente di agricoltura e pastorizia: le terre migliori erano nelle mani dei feudatari, mentre la stragrande maggioranza della popolazione era costituita prevalentemente da contadini, braccianti, artigiani ed esigui nuclei di piccoli borghesi.
I dati del Catasto Onciario5 riferiscono che alla metà del XVIII secolo
il territorio di San Martino (circa 3500 ettari) era suddiviso in 400 particelle, 55 delle quali appartenevano ai baroni Sifola, per un totale di
552 tomoli di terreni di natura diversa, colte ed incolte. I baroni possedevano inoltre un mulino e la gualchiera per i panni di lana, che
rappresentavano una notevole fonte di guadagno economico per il
feudatario. La chiesa possedeva circa 260 particelle, molte delle quali
estremamente piccole o non coltivabili, che venivano messe a disposizione della popolazione. Le restanti particelle erano in mano a poche
3
V. FALASCA, La Rivoluzione Napoletana nel 1799 nei Comuni della Valle
dell’Agri e in Basilicata, Potenza, Ermes, 1999, p.75.
4
A. LOTIERZO, San Martino d’Agri. Storia ed immagini, Napoli, Istituto Grafico
Editoriale italiano, 1987, p. 47
5
Il Catasto Onciario, ordinato da Carlo di Borbone nel 1731, costituì la prima riforma globale intrapresa dalla monarchia e mirava all’accertamento dei beni dei cittadini al fine di poter uniformemente imporre i tributi e migliorare l’amministrazione
ed il sistema finanziario. Sul Catasto, cfr. P. VILLANI, Mezzogiorno tra riforme e rivoluzione, Bari, Laterza, 1973, pp. 105-153.
119
famiglie borghesi6. Dall’analisi del Catasto Onciario, inoltre, è possibile trarre altre preziose informazioni circa le attività svolte prevalentemente dagli abitanti nel 1700. La maggior parte della popolazione,
come detto sopra, era dedita all’agricoltura, tuttavia erano presenti un
buon numero di artigiani, tra cui barbieri, calzolai, falegnami e mugnai. C’erano inoltre tra gli abitanti dottori in legge e studenti.7
Bracciali: 197
Custodi di bovi: 23
Custodi di neri: 11
Servitori della corte: 1
Servitori d’altri: 34
Custodi di pecore: 17
Mastri barbieri: 3
Mastri calzolai: 8
Mastro falegname: 5
Mastri barillai: 6
Mastro ferraro: 1
Mastri fabbricatori: 4
Mastri d’ascia:2
Mastri pettinaroli: 6
Molinari: 5
Massari:74
Negozianti: 2
Giudici a contratto: 1
Medico (dott. Fisico):1
Notai: 3
Studenti: 12
Speziale in medicina : 1
Mulattiere. 1
Vergini: 2
Sacerdoti secolari: 31
Sacerdoti regolari: 3
Stroppi: 2
Dottori in legge:3
Vedove: 21
Malsani: 2
Ciechi: 3
Decrepiti : 2
Inabili alla fatica: 2
Tab. 1. Articolazione professionale a San Martino cosi come riportato nel Catasto
Onciario. Da A. LOTIERZO, San Martino d’Agri…, cit., pp. 30 ss.
Sfogliando il Catasto Onciario, inoltre, emerge che il patrimonio abitativo del comune era costituito da 219 case di una o più stanze, con
sottani o, più raramente, con orti. A parte vengono considerate le chiese e il palazzo baronale. La maggior parte delle abitazioni erano di
6
7
A. LOTIERZO, San Martino d’Agri…, cit., p. 30.
Ivi, p. 37.
120
proprietà, il che indica che la casa avesse già a quell’epoca un valore
sociale prioritario e per molti era l’unico bene posseduto8.
Le condizioni della popolazione, quindi, all’alba del nuovo secolo
erano estremamente precarie. I beni e la rendita feudale del barone Sifola erano cospicui, ma non tanto da assicurare benessere al paese. San
Martino era essenzialmente un paese povero, dalla bassa resa unitaria.
La popolazione si nutriva prevalentemente di carne, ortaggi e frutta e
di ogni altro prodotto presente in natura. Scarseggiava, invece, il pesce, vista la notevole distanza dal mare. Facilmente reperibili erano
inoltre il pane e l’olio, oltre ovviamente ai prodotti dell’attività contadina, come i latticini (caciocavalli e ricotte) e i legumi. Buona era la
riserva di acqua potabile, vista la grande quantità di sorgenti presenti
sul territorio. Le case, in genere fabbricate con cemento, erano solitamente condivise con animali di vario genere, dai maiali alle galline
che erano collocate a pian terreno. L’aria era poco salubre, a causa
della presenza di letamai e macelli nel centro abitato. Frequenti erano
le epidemie e le morti premature che ostacolavano la crescita della popolazione9.
Dalla Statistica disposta da Gioacchino Murat nel 1811 apprendiamo
preziose informazioni sulle attività manifatturiere presenti in San Martino, dove per la lavorazione del lino «si adopera la spola la quale
supponesi essere la navetta volante»10, che in altri centri della Basilicata era ignorata. Sempre dalla Statistica leggiamo:
Vi è solo una gualchiera, che prepara bene i panni. Non vi sono tintorie, ma si
tinge ad uso familiare a bleu coll’indaco, in pignolo con le radici di rubbia, a
nero con vitriolo, cortecce di frassino, e radici di noci; si purgano bene
dall’olio tali manifatture col lescivo di cenere. Il merito che hanno è di non
logorarsi volentieri; sogliono costare da carlini 12 a 14 per canna, quelli così
detti a manifattura di lino adoperansi da’ proprietari; quelli a manifattura di
8
Ibidem.
T. PEDIO, La Statistica murattiana del Regno di Napoli. Condizioni economiche,
artigianato e manifatture in Basilicata all’inizio del sec. XIX, Potenza, La Nuova Libreria di Vito Riviello, 1964, pp. 203-206.
10
D. DE MARCO (a cura di), La Statistica del Regno di Napoli nel 1811, Roma,
Accademia Nazionale dei Lincei, 1988, vol. III, p. 580.
9
121
lana, dalle altre classi. Sogliono essere della larghezza di palmi tre meno un
quarto. Sono tali manifatture appena sufficienti al consumo11.
Si produceva anche la cosiddetta «lana maggiorina, che tosasi in maggio» e che era tra le più pregiate, il cui prezzo era di 20 grana per libbra, mentre l’altra «che si tosa in agosto» costava grana 12.
Per la lavorazione della lana si impiegavano gli uomini per la cardatura e le donne per i rimanenti lavori. Per la filatura si adoperava il fuso semplice. Per tali lavori, cardatura e filatura, eseguiti nel modo migliore si spendeva grana 7 per libbra, se, invece, fatti nei modi grossolani, grana 5.
Tra le attività artigianali vanno ricordate le manifatture di argilla, tegole e mattoni, per la cui produzione in estate si impiegavano una
trentina di individui: per la manifatture in ferro, tutti gli ordigni necessari all’agricoltura si lavoravano nel paese: il ferro si acquistava al
prezzo di grana 20 al rotolo, l’acciaio a grana 30.
2. Dalle Municipalità del 1799 all’Unità
La situazione socio economica della Basilicata sul finire del XVIII secolo era estremamente precaria: la popolazione era oppressa dal sistema feudale e viveva in condizioni disagiate. Le terre migliori e più
produttive erano nelle mani dei feudatari che governavano i loro feudi
da lontano. Sul finire del secolo in diversi comuni scoppiarono focolai
di rivolta e di tensione sociale: sempre più frequenti erano le manifestazioni di popolo contro il potere e i soprusi feudali, per
l’occupazione delle terre e la diminuzione dei pesi fiscali. Inoltre, ormai da tempo, si stava progressivamente affermando un potere intermedio rappresentato dai massari ricchi e dai negozianti che, forti della
loro agiata condizione economica, incominciarono a contrastare il potere baronale, rivendicando il diritto di amministrare i centri abitati. Si
creò, quindi, in questo modo un nuovo fronte sociale borghese che iniziò ovunque a competere con il feudatario.
11
Ibidem.
122
Anche a San Martino la situazione era analoga, come dimostrano i
dati del Catasto Onciario sopra riportati.
Nel 1796, nell’ambito di frequenti agitazioni popolari antifeudali nel
resto della provincia di Basilicata, anche a San Martino «esponenti
della nuova borghesia affrontarono direttamente il feudatario allo scopo di impedire il perdurare di inveterati soprusi»12.
Nel 1799 anche in questo piccolo centro venne piantato l’Albero della Libertà. Protagonista della piantagione fu Francesco Paolo Manzone13, dottore in utroque Iure, che ricopriva la carica di Governatore nel
comune di Castelsaraceno ma che, ai primi di febbraio, si recò in San
Martino ove costituì la nuova Municipalità Repubblicana di cui assunse la Presidenza. Acceso giacobino, il Manzone fu aspramente avversato da La Sala Nicola14, galantuomo che non aderì al movimento repubblicano. Lo scontro fu aspro: il 24 marzo scoppiò un violento tumulto durante il quale il La Sala ebbe la peggio: fu preso, seviziato e
ucciso a colpi di schioppo dagli insorti repubblicani di San Martino e
San Chirico Raparo. In seguito a questo atto di estrema ferocia, il
Manzone venne estromesso dalla Presidenza della Municipalità dalla
corrente moderata dei Repubblicani che faceva capo a Vincenzo Antonio Di Pierro, il quale, dopo la caduta di Rotondella, passò alla causa monarchica.
Il Manzone, invece, rimasto fedele agli ideali repubblicani nel mese
di aprile accorse alla difesa di Castelsaraceno minacciata dalle forze
reazionarie guidate da Filippo Antonio Durante.
Dopo la caduta della Repubblica Napoletana ed iniziate le Diligenze,
il Manzone, insieme a 103 suoi concittadini, non inclusi nel Notamento dei rei di Stato, venne deferito al Tribunale militare di Basilicata
per aver promosso in San Martino, il 24 marzo 1799, un tumulto a
mano armata davanti alla Matrice Chiesa15. Fu condannato a sette anni
di esilio per i seguenti motivi:
12
T. PEDIO, Uomini, aspirazioni e contrasti nella Basilicata del 1799. I rei di Stato
lucani, Matera, F.lli Montemurro, 1961, p. 51.
13
DPL, vol. III, p. 213.
14
DPL, vol. III, p. 69.
15
T. PEDIO, Uomini, aspirazioni e contrasti…, cit., p. 296.
123
a. Per aver assunto la presidenza della Municipalità e per averne abusato;
b. Per aver provocato il tumulto del 24 marzo 1799;
c. Per la resistenza armata in Castelsaraceno.
A nulla gli valse un attestato reso davanti al notaio di Castronuovo,
col quale veniva dichiarato che, «quando venne democratizzata Castelsaraceno, era stato costretto a fuggire per non essere ucciso dai repubblicani»16.
Anche la rivoluzione del 1848 vide come protagonisti alcuni abitanti
di San Martino. Tra questi vanno ricordati almeno alcuni.
Giuseppe Siniscalchi17, nato a San Martino nel 1824 da Vito e Martorano Maria Luigia, si schierò con la corrente radicale fautrice
dell’intervento armato in Calabria. Fu accusato di cospirazione contro
la sicurezza interna dello Stato: si costituì dopo l’editto Nunziante ed
ottenne la libertà provvisoria. Disposta l’archiviazione degli atti a suo
carico con il provvedimento del 24 agosto 1850, fu incluso tra gli attendibili politici e sottoposto a sorveglianza di polizia.
Vito Maria Sivolella18, nato nel 1822, soldato dell’esercito napoletano, fece parte del contingente destinato in Lombardia. Dopo il richiamo delle truppe a Napoli, seguì Guglielmo Pepe a Venezia e riparò
successivamente in Piemonte. Rientrò a Napoli nel 1854, fu rimpatriato nel suo paese e fu incluso tra gli attendibili politici e sottoposto a
sorveglianza di polizia.
Giuseppe Antonio Vitale19, proprietario, fu arrestato per associazione
illecita senza permissione della pubblica autorità di cui era capo e direttore nel 1848. Il 3 giugno 1851 fu condannato a due anni di prigionia. Il 1 marzo 1852 ebbe condonata la pena residuale.
16
V. FALASCA, La Rivoluzione..., cit., p. 129.
DPL, vol. III, p. 299. In Pedio Maniscalchi. Il cognome Siniscalchi è stato tratto
dall’analisi degli archivi comunali di San Martino d’Agri, a tutt’oggi ancora non inventariati ed ordinati e che, dunque, nel corso di questo saggio sono citati senza numeri d’ordine.
18
DPL, vol. V, p. 158.
19
DPL, vol. V, p. 364.
17
124
Pietro Antonio Martorano20, civile, aderì al movimento liberale e
prese parte successivamente agli eventi del 1860 con il figlio Biagio.
Luigi Manzone21, nato nel 1791 da Francesco Paolo e Maria Bruno,
galantuomo, fu amministratore di beneficienza del suo paese e nel
1848 manifestò sentimenti liberali. Per tale motivo fu destituito dalla
sua carica e incluso tra gli attendibili politici e sottoposto a sorveglianza di polizia.
Il Lacava22 riferisce, inoltre, la presenza di altri uomini che in vario
modo contribuirono agli eventi epocali di quegli anni. Tra questi ricordiamo: Giuseppe Antonio Bianculli; Giuseppe Bianculli; Michele
Bonelli; Vincenzo Busso; Vincenzo Cappuccio; Pasquale Filippo Di
Trino; Giovanni Grutta; Salvatore Giovanni Mangano; Pasquale Martorano; Carlo Natale; Pietro Sassone; Donato Tempone. Tra i perseguitati politici nel 1848 ricordati, altresì, dal Lacava, vanno menzionati Giuseppe Magaldi, Francesco Adobbati, Francesco Cappuccio, Raffaele Di Pierro, Giuseppe Vitale, Bonifacio Vaccaro, Giuseppe Magaldi, Giuseppe Scalea23.
Biagio Saverio Vincenzo Romano24 (04-02-183625) nato da Nicola
Maria e Vincenza Sarli26, apparteneva ad una famiglia di proprietari
terrieri. Farmacista27 e Capitano della Guardia Nazionale, partecipò attivamente alla repressione del brigantaggio28.
Francesco Antonio Cappuccio29, nato a San Chirico Raparo il 13-61816, negoziante e proprietario di un mulino, nel 1848 aveva fatto
parte della società segreta “Giovine Italia”. Arrestato in seguito al fallimento della rivoluzione, venne scarcerato e incluso tra gli attendibili
politici.
20
DPL, vol. III, p. 264.
DPL, vol. III, p. 213.
22
M. LACAVA, Cronistoria documentata della rivoluzione in Basilicata del 1860,
Napoli, Morano, 1895, p. 1029.
23
Ibidem.
24
DPL, vol. IV, p. 277.
25
ASCSM, Registri degli Atti di Nascita e dei Morti.
26
Ibidem.
27
Ibidem.
28
Ibidem.
29
DPL, vol. I, pp. 257-258.
21
125
Giuseppe Filippo Magaldi30, nato a San Chirico Raparo il 28 agosto
1817 da Michele, ricco proprietario terriero iscritto nel ruolo dei contribuenti per un imponibile di ducati 330,20, e da Nicoletta De Stefano, avvocato, residente a San Martino aderì anch’egli alla “Giovine
Italia”. Arrestato nel 1849, venne inviato a giudizio della Gran Corte
speciale di Basilicata per rispondere «di attentati contro la sicurezza
interna dello stato per oggetto di cambiare l’attuale legittimo governo
mercè organizzazione di setta denominata la Giovine Italia». Il processo, iniziatosi il 9 giugno 1851, si concluse il 30 dello stesso mese
con una sentenza di condanna a due anni di prigionia. Condonatagli la
pena con provvedimento del 1 marzo 1852 fu relegato in San Martino,
incluso tra gli attendibili politici e sottoposto a sorveglianza di polizia.
Nel 1860 con il figlio Stefano31 fu aggregato all’XI colonna delle forze
insurrezionali lucane che operava al comando di Luigi Chiurazzi.
Giuseppe Vitale32 nel 1848 aveva riorganizzato i vecchi carbonari
che avevano accettato il programma giobertiano, con la denominazione di “Giovane Italia” della quale fu primo assistente. Arrestato nel
1850 con l’accusa «di attentati contro la sicurezza interna dello stato
per oggetto di cambiare l’attuale legittimo governo mercè organizzazione di setta denominata la Giovine Italia» usufruì della sovrana indulgenza del 19 maggio 1851. Scarcerato con provvedimento del 20
giugno 1851 fu incluso tra gli attendibili politici e sottoposto a sorveglianza di polizia. Trasferitosi a San Martino, dove aveva interessi,
mantenne contatti con i liberali presenti nel comune.
Raffaele Di Pierro33, avvocato, nel 1848 aveva fatto parte del Circolo
Costituzionale Lucano e nel giugno era stato inviato a Melfi dal Comitato di guerra di quel circolo allo scopo di indurre i liberali di quella
cittadina ad accettare il programma radicale. Arrestato nel 1850 per
rispondere di «associazione illecita senza permissione della pubblica
autorità» fu scarcerato con provvedimento del 20 ottobre 1851 e, incluso tra gli attendibili politici, fu sottoposto a sorveglianza di polizia.
30
DPL, vol. III, p. 177.
DPL, vol. III, p. 180.
32
DPL, vol. V, p. 364.
33
DPL, vol. II, p. 204.
31
126
Sin dalla prima metà degli anni Cinquanta, dopo la stasi successiva
ai processi post quarantottini, aveva ripreso ad operare sul territorio
una rete insurrezionale ben organizzata con nuclei operativi in ogni
centro. A partire dall’agosto del 1860, nella riorganizzazione dei sottocentri insurrezionali, anche San Martino ebbe un proprio Comitato
Comunale34, costituito da Biagio Romano, Francesco Cappuccio (in
Lacava Cappucci), Pietrantonio Martorano e Giuseppe Vitale.
Il comune di San Martino faceva, infatti, parte del Subcentro di Castelsaraceno, il cui comandante era Vito Cascini35. I militi insorti a San
Martino e negli altri paesi del subcentro furono aggregati all’XI colonna delle forse insurrezionali lucane, in numero di soli sei36.
Il 23 agosto, il Governo Prodittatoriale incominciò ad organizzare
l’amministrazione della provincia di Basilicata, affidata a sette uffici
operanti sul territorio. Il IV ufficio, degli affari comunali e demaniali,
presieduto da Giacomo Racioppi, fu tra i più attivi e impose la costituzione dei commissari civili distrettuali.
Nella zona del Lagonegrese fu scelto l’avvocato Giuseppe Mango, a
cui fu affidato l’incarico di inviare nei comuni dell’area dei commissari organizzatori. Questi avevano l’importante compito di chiedere agli
amministratori dei comuni un giuramento di fedeltà al nuovo ordine e
soprattutto dovevano provvedere all’istituzione di una giunta insurrezionale che amministrasse il paese in attesa dell’entrata di Garibaldi a
Napoli. A San Martino fu inviato Stanislao Armento, di Castelsaraceno, «commissario pei circondari di Lagonegro, Lauria e San Chirico
Raparo». Il 9 settembre 1860, Armento istituì a San Martino la giunta
insurrezionale, i cui componenti erano Pietro Antonio Martorano,
Biagio Romano e Giuseppe Vitale. In precedenza, Armento aveva istituito altre due giunte insurrezionali: il 28 agosto a San Chirico Raparo
e il 5 settembre a Calvera37.
34
M. LACAVA, Cronistoria…, cit., p. 349.
Ivi, p. 346.
36
Ivi, p. 1029.
37
ASP, Governo Prodittatoriale Lucano, b. IV, fasc. 36, “Istallazione delle Giunte
Municipali. Verbali”.
35
127
4. San Martino dopo l’Unità d’Italia: tra movimenti legittimisti e
briganti
Con la nascita del Regno d'Italia, nel 1861, iniziarono a sorgere insurrezioni popolari contro il nuovo governo, che interessarono le ex
province del Regno delle Due Sicilie. Le condizioni economiche della
popolazione erano peggiorate a causa dell’aumento delle tasse e del
prezzo dei beni di prima necessità. La nuova classe dirigente appariva
incapace di gestire la vita politica e di garantire al popolo i servizi necessari alla sopravvivenza. In questo complicato quadro politico incominciò a serpeggiare tra la popolazione un forte senso di malessere
e di sfiducia nei confronti del nascente stato che, in alcuni casi, assunse la forma di una vera e propria ribellione.
A San Martino, come del resto in molti dei centri del Mezzogiorno, si
registrarono movimenti legittimisti, che si manifestarono come forma
di reazione contro il nuovo assetto sociale. Si intensificarono pertanto
le tensioni politiche e sociali che aggravarono le già precarie condizioni di vita dei sammartinesi. Fu in questo clima che, in maniera diversa, alcuni abitanti di San Martino decisero di opporsi apertamente
al nuovo stato.
Giacomo Racioppi38 riferisce che si ebbero reazioni legittimistiche in
occasione del plebiscito del 21 ottobre 1860. Tra gli uomini che manifestarono apertamente il loro dissenso ricordiamo Domenico Raffaele
Vitale39 (15 ottobre 1818), che già nel 1845 aveva guidato una manifestazione popolare diretta all’occupazione delle terre demaniali e che
nel novembre del 1861 promosse arruolamenti per Borjes. Inoltre, Nicola Maria Gargia40 (12 giugno 1817), proprietario e medicochirurgo41, che il 26 novembre 1861 fu arrestato con Domenico Vitale
per l’atteggiamento da lui assunto nei confronti del movimento legittimista42.
38
G. RACIOPPI, Storia dei moti della Basilicata e delle provincie contermine nel
1860, Napoli, nella Tipografia di Achille Morelli, 1867, p. 240.
39
DPL, vol. V, p. 363.
40
DPL, vol. II, p. 380.
41
ASCSM, Registri degli Atti di Nascita e dei Morti, a. 1817.
42
Ibidem.
128
A San Martino, inoltre, si registra la presenza di alcuni briganti, come Giovanni D’Aquaro43(1820) contadino, soprannominato Mastrorazio o Tiracannale, che nel 1861, seguì Borjes e, datosi al brigantaggio,
fece parte della banda Canosa e poi di quella Cappuccino; Nicola Infantino; Francesco Golisciano44, ucciso a 27 anni dalla Guardia Nazionale, il 14 settembre 1862.
43
44
DPL, vol. II, p. 25.
ASCSM, Registri degli Atti di Nascita e dei Morti, a. 1862.
129
APPENDICE
Sindaci di San Martino dal 1810 al 186145
ANNO
SINDACO
SEGRETARIO
1810
1811-12
DI PIERRO Vincenzo Antonio
ADOBBATI Francesco
1813-14
1815-17
1818-21
1822
GARGIA Giuseppe Maria
ROMANO Raffaele
DI PIERRO Vincenzo Antonio
Dal 1 gennaio al 7 febbraio
DI PIERRO Vincenzo Antonio
Dal 8 marzo al 31 dicembre
GARGIA Giuseppe Maria
GARGIA Giuseppe Maria
Dal 1 al 11 gennaio
GARGIA Giuseppe Maria
Dal 12 gennaio al 31 dicembre
DI PIERRO Vincenzo Antonio
1823-27
1828
1829- 30
1831
1832-33
1834
1835-36
1837-39
1840-46
1847
1848-49
DI PIERRO Vincenzo Antonio
Dal 1 gennaio al 17 marzo
DI PIERRO Vincenzo Antonio
Dal 24 marzo al 31 dicembre
GARGIA Nicola Maria
GARGIA Nicola Maria
DI PIERRO Vincenzo Antonio
DI PIERRO Francesco
ROMANO Raffaele
ADOBBATI Francesco
Da gennaio a maggio
ADOBBATI Francesco
Da giugno a dicembre
VITALE Domenico
VITALE Domenico
GARGIA Giuseppe Maria
1811: GARGIA Giuseppe Maria
1812: MANZONE Luigi
MANZONE Luigi
MANZONE Luigi
MANZONE Luigi
1824: MANZONE Luigi
MANZONE Luigi
MANZONE Luigi
1837: MANZONE Luigi
1839: MANZONE Luigi
MANZONE Luigi
MANZONE Luigi
MANZONE Luigi
45
ASCSM, Registri degli Atti di Nascita e dei Morti, aa. 1810-1860.
130
1850-51
1852-54
1855-58
1859
1860
1861
MARTORANO Pietrantonio
VITALE Domenico
GARGIA Nicola
MANZONE Luigi
MANZONE Luigi
MANZONE Luigi
MANZONE Luigi
MANZONE Luigi
MANZONE Luigi
ROMANO Raffaele
MAGALDI Stefano
131
132
POSTFAZIONE
Gennaio 2010. Così lontano, così vicino. Noi Sindaci, per la precisione sette, sette sognatori di piccoli Comuni, tutti inferiori a duemila
abitanti, molto più vicini a mille, unitamente ad un rappresentante del
Parco Nazionale della Val d’Agri-Lagonegrese, del Parco letterario C.
Levi e di Sviluppo Basilicata S. p. A., decidiamo di partecipare all’avviso pubblico della Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento della Gioventù e dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI). Con grande senso di responsabilità e animati da grande
entusiasmo, nella ex Chiesa Madonna delle Grazie-S. Francesco in
Missanello, con la benedizione della Madonna, padrona di casa, intorno ad un tavolo, mezzi infreddoliti, era gennaio, elaboriamo, insieme
al nostro consulente, poi diventato coordinatore del progetto, la proposta da candidare, dal titolo Il Passato Futuro.
Le esperienze del passato, quasi sempre negative, creavano in noi
momenti di perplessità. La viva intelligenza dei colleghi Sindaci e degli altri rappresentanti, convinti dell’opportunità che si presentava, ma
nello stesso momento di raccogliere la sfida per la realizzazione di un
progetto comune, tale da mettere in relazione i giovani dell’area (se ne
contano venti, tra assegnatari di borse di studio e tecnici a vario titolo
impegnati), è stata l’arma vincente e l’incipit di questa esaltante avventura.
Ci abbiamo creduto ed abbiamo vinto. L’aspetto più seducente è che
non ci sono vinti, ma solo vincitori. Abbiamo dato buona prova, tutti
(borsisti, tutor, esperti, collaboratori) che è possibile elaborare e cantierizzare con successo progetti innovativi e di qualità. I prodotti finali sono veri contenitori di fatti e notizie, sviluppati con gusto grafico e
culturalmente soddisfacente.
Il risultato viene racchiuso in due pubblicazioni dal titolo Lavorìo
lento latente e Dai mestieri del passato una opportunità per il futuro.
Due volumi che, appena se ne viene a contatto, emanano un fascino
irripetibile ed una serie di emozioni uniche. La mano sulla copertina
133
dei mestieri, sicuramente di un giovane, forse un artigiano, rivela la
forza fisica: brutale ed elegante; il soffio dell’anima sembra uscire dal
corpo per librarsi verso l’infinito, trascinandosi dietro i sogni che solo
la gioventù può regalare. Lo scalpello pronto a intagliare il legno, senza ferirlo, simile ad un uomo che posa la mano sul grembo materno.
Un ossimoro: durezza e morbidezza, insieme, ad affermare la grandezza del pensiero umano.
Di contro, sulla copertina del volume storico, le mani di una persona
anziana: sofferente, ma non vinta. Dove al posto dell’entusiasmo e
dell’impulsività prevalgono la saggezza e l’esperienza. La riflessione
prende il posto dell’irruenza. E quello sguardo spento, seppure non visibile, dove i sogni sono, forse, solo un timido ricordo. Le rughe scavate nel viso simile alle ferite impresse dall’aratro nella nuda terra. La
testa canuta incute timore e rispetto reverenziale per una vita vissuta
all’ombra di sacrifici e di stenti. Vite consumate per costruire un futuro migliore per i propri figli: noi!
Il contenuto di questi due volumetti rappresenta la storia di questi
paesi. Scritta e interpretata dai nostri giovani, veri talenti nascosti, a
cui questo progetto ha cercato di dare un minimo di credito e di visibiltà. Non so se ci siamo riusciti. Loro senz’altro sì.
Una cosa è certa: gli avvenimenti narrati sono il frutto di attente ricerche condotte negli archivi comunali, parrocchiali e in altre agenzie
dove sono custoditi i documenti originali. Gli eventi narrati e le storie
descritte non sono inquinate da stupidi ideologismi che portano il lettore a conclusioni errate; ma vengono esposti con la chiarezza che solo
una mente pulita e sgombra da pregiudizi può evidenziare.
L’esposizione è sobria ed avvolgente. Il lettore ne resta subito affascinato ed incuriosito.
Grazie a tutti i giovani per l’impegno profuso e per la fedeltà degli
avvenimenti illustrati.
I mestieri, un tempo molto diffusi nei nostri paesi, sono ormai un timido ricordo del passato. I giovani non sanno proprio della loro esistenza. Qualcuno ne ha sentito parlare dalle persone più avanti negli
anni, ma senza la traccia del rigore artistico-scientifico. Con questo
studio si fa chiarezza e viene marcata una traccia rigorosa, con ricchezza di dettagli, di come si lavoravano e si creavano vere opere
d’arte con i materiali a disposizione. Senza volere essere demagogici,
134
il volume è da leggere e conservare nelle biblioteche scolastiche, comunali, provinciali e in ogni casa, poiché rappresenta una parte importante della storia dell’uomo. Provate a passeggiare in un qualsiasi centro storico dei nostri paesi. Si respira quella magica atmosfera inzuppata di sapori, suoni, colori, rumori, profumi e, con uno sforzo di immaginazione, si vedono i maestri del legno o del ferro all’opera, circondati da un numero imprecisato di ragazzini vogliosi di rubare i segreti del “mestiere”. Tra qualche lustro questa ricerca sarà materiale di
consultazione per gli storici.
Un vivo ringraziamento va anche alla struttura di segreteria del Comune di Missanello, che ha saputo mantenere in comunicazione costante i vari protagonisti relazionandosi con gusto nell’accoglienza e
con professionalità durante il percorso di questa esaltante avventura.
Grazie a tutti.
Senatro VIVOLI, Sindaco di Missanello - Comune capofila
Franco CURTO, Sindaco di Armento
Luigi DI LORENZO, Sindaco di Aliano
Pasquale SINISGALLI, Sindaco di Gallicchio
Massimo CAPOREALE, Sindaco di Guardia Perticara
Claudio BORNEO, Sindaco di S. Chirico Raparo
Michele LAMMOGLIA, Sindaco di S. Martino d’Agri
Domenico TOTARO, Commissario Parco Nazionale Appennino lucano Val
d’Agri Lagonegrese
Raffaele RICCIUTI, Amministratore Unico di Sviluppo Basilicata S.p.A.
135
136
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139
140
Quando i piccoli comuni si spopolano sempre di più, due condizioni emergono sulle altre: l’invecchiamento
della popolazione e la scarsa presenza di giovani.
Allorché si verificano queste condizioni, il rischio di “chiusura” di tanti piccoli, ma indispensabili, presidi sui
territori, diventa altissimo e, con esso, viene pregiudicata la prosecuzione stessa della vita, intesa soprattutto
nella sua più ampia accezione sociale, economica, storica e culturale.
E’ fondamentale, pertanto, investire nei pochi giovani rimasti, uniche risorse in grado di assicurare un futuro
alle piccole comunità, senza mai dimenticare le radici storiche, culturali, sociali ed economiche che hanno
contraddistinto secoli di vita.
Consapevoli del ruolo da protagonista che va riconosciuto alle nuove e poco rappresentative generazioni,
stimolati dalla sfida, i sindaci di sette piccoli comuni lucani (Aliano, Armento, Gallicchio, Guardia Perticara,
Missanello, San Chirico Raparo e San Martino d’Agri), hanno ritenuto opportuno riunirsi e discutere per
scegliere un tema di progetto coerente con le specificità di tutti i comuni. Da qui è nata l’iniziativa “Il Passato
Futuro”, realizzato nell'ambito del progetto “Giovani Energie in Comune”, promosso dal Dipartimento della
Gioventù - Presidenza del Consiglio dei Ministri e dall'ANCI - Associazione Nazionale Comuni Italiani, che ha
avuto come scopo il recupero della memoria, con il duplice intento di riportare alla luce gli episodi storici più
significativi e gli antichi mestieri che hanno caratterizzato l’economia di un tempo. Il tutto per consegnare alle
giovani generazioni dell’area la piena consapevolezza del patrimonio storico-culturale e socio-economico, nella
migliore delle ipotesi non sufficientemente noto, ma suscettibile di interessanti sviluppi, anche nella prospettiva
di offrire concrete opportunità di crescita ai giovani, sia in termini culturali che socio-economici.
Attorno a questo progetto sono stati coinvolti altri quattro partner, uno dei quali (il Parco Nazionale
dell’Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese), al pari dei sette comuni, anche in qualità di cofinanziatore,
due solo in qualità di partner di progetto (Sviluppo Basilicata S.p.A. ed il Parco Letterario Carlo Levi), l’ultimo
(la Provincia di Potenza), in qualità di patrocinante.
La presente pubblicazione restituisce la parte del progetto dedicata agli eventi storico-cuturali, ed è frutto del
lavoro di sette giovani donne residenti nei sopra elencati comuni, beneficiarie di altrettante borse di studio,
costantemente ed adeguatamente supportate dalla struttura di progetto appositamente costituita.
Valentina Porfidio Editore
ISBN 978-88-904477-1-6
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