Benjamin - Donzelli - Seminario Permanente di Estetica
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Benjamin - Donzelli - Seminario Permanente di Estetica
rivista on-‐line del Seminario Permanente di Estetica comunicazione 1 / 2012 Nuova edizione del saggio di Walter Benjamin L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica a cura di F. Desideri, Donzelli, Roma 2012, pp. 138 Segnaliamo agli amici di Aisthesis che è in libreria per l’editore Donzelli la nuova edizione del saggio di Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, a cura di Fabrizio Desideri. Queste le più importanti novità rispetto alle altre edizioni italiane. 1. La traduzione integrale delle tre più importanti versioni del saggio: per la prima volta in assoluto la traduzione italiana della versione francese uscita, nella traduzione di Pierre Klossowski e con la decisiva collaborazione dello stesso Benjamin, sulle pagine della “Zeitschrift für Sozialforschung” (questa è l’unica versione apparsa mentre Benja-‐ min era in vita); la cosiddetta «Seconda versione» o «Versione del 1936» (ritrovata tra le carte di Horkheimer – inspiegabilmente – soltanto alla fine degli anni ’80); la cosiddetta «Terza versione» o «Versione del 1939», a lungo considerata come definitiva e canonica. La presente edizione Donzelli mina sostanzialmente alla base questa certezza (per i mo-‐ tivi che seguono). 2. Una puntuale ricostruzione filologica in cui si chiarisce, sulla base del commento al-‐ la recente edizione integrale presso Suhrkamp dell’epistolario di Benjamin, che questi non inviò a Gretel Adorno nell’aprile del 1939 la cosiddetta terza versione del saggio, ma una “versione ampliata” della seconda versione (dettata tra la fine del ’35 e primi mesi del 1936), quella alla base della versione francese e Benjamin aveva già inviato nel 1936 ad Adorno (come l’epistolario tra Adorno e Benjamin attesta in maniera inequivocabile). 3. Come poteva Benjamin, del resto, scrivere di aver inviato una “versione ampliata” se la cosiddetta terza versione non è più ampia, ma più breve della seconda? Come do-‐ cumentato nel saggio introduttivo, Benjamin fece l’invio a Gretel, «perché ne facesse una copia dattiloscritta dai margini larghi», così da poterci ulteriormente lavorare, inse-‐ pag. 1 © Aisthesis – pratiche, linguaggi e saperi dell’estetico • 2/2010 • www.aisthesisonline.it Nuova edizione di W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica rendovi le nuove riflessioni scritte in quei mesi (riflessioni sullo stile, ad esempio, nient’affatto presenti nella cosiddetta terza versione). La versione ampliata inviata da Benjamin a Gretel Adorno è andata perduta e non vi è traccia di alcun invio da parte di Gretel di quella trascrizione dagli ampi margini richiestagli da Benjamin. 4. Finora come prova filologica del fatto che l’ultima versione alla quale avrebbe lavo-‐ rato Benjamin fosse la cosiddetta terza versione, si adduceva la presenza tra le carte di Gretel Adorno di un dattiloscritto di quest’ultima con note autografe a margine dello stesso Benjamin. Come hanno chiarito i curatori dell’epistolario di Benjamin e dell’epi-‐ stolario tra Gretel Adorno e Benjamin stesso, vale a dire Christoph Göddel e Henri Lonitz (sia reso loro tutto il merito che gli compete!), la copia dattiloscritta su carta da scrivere americana presente tra le carte di Gretel Adorno non presenta note a margine di Ben-‐ jamin (com’era stato erroneamente ipotizzato dai curatori delle Gesammelte Schriften – nei primi anni ’70 – nel volume I, 3) e fu fatta dopo la morte di Benjamin, assai proba-‐ bilmente in vista della prima postuma dei suoi scritti, che fu poi realizzata nel 1955 a cu-‐ ra di Theodor e Gretel Adorno e di Friedrich Podzus. 5. Oltre a smentire il fatto che Benjamin nell’aprile del 1939 considerasse l’ultima versione su cui ancora lavorare quella cosiddetta del “1939”, si avanza anche l’ipotesi che questa versione – presente nell’archivio Benjamin solo in tre copie dattiloscritte – non sia poi del 1939, ma sia stata redatta tra l’estate del 1936 e la prima metà del 1937. L’ipotesi è che siamo di fronte ad una versione filosoficamente meno complessa rispetto a quella del 1936 ai fini della sua pubblicazione sula rivista moscovita «Das Wort» o a quelli della sua traduzione inglese. 6. Quest’ultima ipotesi è fortemente corroborata da una nota che Bertolt Brecht alle-‐ ga ad una lettera che Benjamin da Skovsbostrand (dove era ospite di Brecht) invia a Wil-‐ ly Bredel, che si trovava a Mosca nella sua qualità di Direttore di “Das Wort”: «lieber ge-‐ nosse Bredel, caro compagno Bredel – scrive Bertolt Brecht – a motivo della redazione del saggio “l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” alla quale ho preso parte io stesso, è andato perso un po’ di tempo, così che Benjamin ha bisogno ancora di un paio di giorni. Prego gli tenga libero il posto!». Brecht si riferisce qui al testo «Pariser Brief» che Benjamin doveva inviare a Bredel. Il secondo tentativo di pubblicare a Mosca il saggio (anche in versione ridotta e non ampliata) come sappiamo fallì. Resta però un fatto si cui tutti dovrebbero riflettere (se solo avessero la pazienza di leggere le fonti te-‐ stuali ed epistolari): non è la versione del 1935-‐36 (la seconda) quella dove è avvertibile la presenza brechtiana, bensì la terza, dove Brecht compare strategicamente con tre lunghe citazioni. Non sarà questa un’ulteriore prova della collaborazione brechtiana? pag. 2 © Aisthesis – pratiche, linguaggi e saperi dell’estetico • 2012 • www.aisthesisonline.it Nuova edizione di W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica 7. Un’altra delle conclusioni che si può trarre da questa edizione è che, se si prescin-‐ de da una primissima e parziale versione manoscritta in bella copia (che trapassa quasi intatta nelle versioni ulteriori) scritta assai probabilmente tra l’ottobre e il novembre del 1935, non esiste una vera e propria versione originale del saggio. Il quadro filologico del-‐ la concezione del testo si presenta infatti come una molteplicità di versioni aventi come unica fonte comune la prima stesura manoscritta che si è detto. Per un saggio sulla ri-‐ producibilità tecnica, la cui portata va ben al di là delle questioni legate all’opera d’arte, questo è un paradosso ed una conferma. Un paradosso alimentato dal fatto che Benja-‐ min pare costantemente preoccupato di avere a disposizione una sola copia del testo. 8. Anche sulla base di queste non trascurabili novità filologiche e di un’attenta conte-‐ stualizzazione del saggio nell’opera benjaminiana, l’introduzione del curatore sostiene, infine, che la tonalità del saggio non è affatto melanconica, come spesso proposto da al-‐ tri commentatori, ma «ferocemente allegra»: mossa da un «urbano spirito cannibale-‐ sco», secondo le parole dello stesso Benjamin in una lettera ad Adorno. L’eroe del saggio non è il contemplatore saturnino e disorientato della modernità tecnocratica, ma Cha-‐ plin che, calcando la scena del film, mette tangibilmente e gioiosamente in campo, di fronte alla trasformata percezione delle masse, i nuovi spazi di gioco e di libertà che la tecnica apre nel quadro dei rapporti tra uomo e natura. 9. Last, but not least: la nuova traduzione di Massimo Baldi, che risolve e chiarisce molti punti rimasti finora poco chiari nelle traduzioni correnti. pag. 3 © Aisthesis – pratiche, linguaggi e saperi dell’estetico • 2012 • www.aisthesisonline.it