Tesi Dottorato Jessica Perugini - Università Politecnica delle Marche
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Tesi Dottorato Jessica Perugini - Università Politecnica delle Marche
UNIVERSITA’ POLITECNICA DELLE MARCHE FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA Dottorato di Ricerca in OBESITA’ E PATOLOGIE CORRELATE X ciclo “INFIAMMAZIONE DELL’ORGANO ADIPOSO IN MODELLI SPERIMENTALI DI OBESITA’” Relatore: Chiar.mo Dottoranda: Prof. Saverio Cinti Dr.ssa Jessica Perugini Anno Accademico 2010-2011 1 Abstract E’ ben noto come i disturbi metabolici si associno all’obesità quasi esclusivamente quando l’obesità è di tipo viscerale. Ovvero quando i depositi adiposi che si espandono sono principalmente quelli viscerali. Il nostro gruppo ha dimostrato che il 90% dei macrofagi nel WAT dei soggetti obesi si dispone in maniera circolare attorno agli adipociti morti a formare strutture denominare CLS (crown-like structures). Inoltre, abbiamo recentemente osservato che, pur essendo valida la correlazione positiva tra dimensione degli adipociti e densità delle CLS (indice dell’ infiammazione) sia nel grasso viscerale che nel grasso sottocutaneo, negli animali geneticamente obesi, il grasso viscerale presenta una maggiore densità di CLS pur avendo adipociti più piccoli. Questa osservazione suggerisce che gli adipociti viscerali e i sottocutanei presentano una diversa predisposizione alla morte. L’infiltrazione macrofagica che caratterizza l’organo adiposo di soggetti obesi determina uno stato di infiammazione cronica di basso grado che genera insulino resistenza e diabete di tipo 2. In questo studio abbiamo valutato l’espressione di fattori associati allo stato d’infiammazione del tessuto adiposo e la presenza di alterazioni ultrastrutturali nelle cellule adipose dei depositi sottocutanei e viscerali di due modelli di obesità genetica (topi ob/ob e db/db). Nei due ceppi di topi, l’analisi immunoistochimica per PJNK e NF-kB (molecole associate ad infiammazione cronica) ha evidenziato l'espressione di entrambe le proteine da parte dei macrofagi che formano le CLS suggerendo che proprio queste strutture porebbero essere la principale fonte di P-JNK e NF-kB. Lo studio degli aspetti ultrastrutturali ha evidenziato una riduzione dello spessore citoplasmatico, dell’area media dei mitocondri e della percentuale di superficie citoplasmatica libera da gocce lipidiche occupata dai 2 mitocondri; queste alterazioni sono significative solo nei depositi viscerali, sito prevalente della morte adipocitaria e della conseguente formazione delle CLS. Questi dati confermano l’esistenza di una correlazione fra accumulo di grasso viscerale e incidenza dei disturbi associati all’obesità e suggeriscono che interventi mirati a ridurre lo stato di infiammazione del tessuto adiposo, impedendo il processo di ipertrofia adipocitaria e la conseguente morte degli adipociti, potrebbero rappresentare un promettente approccio per la prevenzione della Sindrome Metabolica. 3 Indice 1. Abstract 2. Introduzione 2.1. L’Organo Adiposo 2.1.1. White Adipose Tissue (WAT) 2.1.2. Brown Adipose Tissue (BAT) 2.1.3. Plasticità dell’Organo Adiposo 2.2. Obesità e Sindrome Metabolica 2.3. Obesità: una condizione metabolica di infiammazione cronica 2.3.1. Infiammazione e Insulino-resistenza 2.3.2. Risposta infiammatoria allo stress degli organuli citoplasmatici 2.4. Infiltrazione di cellule immunitarie nel tessuto adiposo 2.4.1. Il fenomeno delle “Crown-Like Structure” 2.4.2. Ipotesi dei meccanismi responsabili della formazione delle CLS nei soggetti obesi 2.4.3. Diversa suscettibilità verso la morte cellulare dell’adipocita bianco nei diversi depositi adiposi 3. Scopo della Tesi 4. Materiali e Metodi 4.1. Animali 4.2. Microscopia Ottica e Analisi Morfometrica 4.3. Immunoistochimica 4.4. Microscopia Elettronica a Trasmissione 4.5. Analisi Statistica 4.6. Analisi parametri ematici 5. Risultati 5.1. Parametri ematici 5.2. Morfometria degli adipociti 4 5.3. Immunoistochimica mediante anticorpi anti P-JNK e NF-KB 5.4. Microscopia Elettronica 5.4.1 Morfometria del citoplasma 5.4.2 Morfometria dei mitocondri 6. Discussione 7. Dati supplementari 8. Bibliografia 5 2. Introduzione 2.1. L’Organo Adiposo In tutti i mammiferi, uomo compreso, l’organo adiposo risulta composto da due tessuti: il tessuto adiposo bianco (White Adipose Tissue, WAT) e il tessuto adiposo bruno (Brown Adipose Tissue, BAT). Contrariamente a quanto si credeva, dati emersi prevalentemente dal nostro laboratorio hanno evidenziato, come nel modello murino, l’organo adiposo costituito da tutti i depositi di grasso dissecabili (sia sottocutanei che viscerali) siano misti: non ci sono quindi depositi bianchi “puri” o depositi bruni “puri” anche se, in siti specifici dell’organismo si trovano depositi che contengono quasi la totalità di un singolo citotipo (es. tessuto adiposo bruno interscapolare e tessuto adiposo bianco periepididimale) [1]. I Roditori hanno due principali depositi sottocutanei (Figura 2.1): uno anteriore ed uno posteriore, localizzati alla base degli arti. Il deposito anteriore, il più complesso dal punto di vista anatomico, occupa la regione dorsale fra le scapole (Interscapolare, Sottoscapolare), la regione ascellare (Ascello-toracica), la zona prossimale dell’arto e l’area cervicale. Figura 2.1. Immagine di Microscopia Ottica che mostra il tessuto adiposo bianco (WAT) sottocutaneo di topo adulto (barra= 50 mm) 6 Il deposito interscapolare (IBAT) rappresenta la porzione centrale e più cospicua che si estende lateralmente ed anteriormente intorno ai muscoli dorsali fino alla base del collo, esso è inoltre considerato il classico deposito Bruno (Figura 2.2). Il deposito posteriore è invece costituito anatomicamente da un singolo tessuto che si estende dalla porzione dorso lombare a quella inguinale, fino alla regione del gluteo. Figura 2.2. Immagine di Microscopia Elettronica a trasmissione che mostra il tessuto adipose bruno (BAT) interscapolare di ratto. Gli adipociti bruni mostrano i classici mitocondri ‘brown’ (m) ricchi di creste trasversali. Sono presenti piccole gocciole lipidiche (alcune indicate dalla lettera L). CAP, capillari; N, nuclei.; (barra=2.5 mm. Studi condotti nei nostri laboratori hanno individuato la presenza di depositi sottofasciali negli arti dei roditori ed i due principali depositi sono localizzati alla base dell’arto ed a livello della regione del cavo popliteo, dove è presente anche un linfonodo. I depositi viscerali sono localizzati nella cavità toracica ed in quella addominale. I primi si trovano principalmente fra i tratti prossimali dei fasci nervosi e vascolari intercostali, il cuore e l’aorta. I depositi possono essere definiti retroperitoneali od intraperitoneali. Il deposito retroperitoneale ha una tipica forma conica allungata, si trova tra la colonna vertebrale e la parete 7 addominale posteriore ed è generalmente costituito da tessuto adiposo bianco. Il deposito perirenale è diviso da quello retroperitoneale da un lembo e può essere dissecato separatamente. Il deposito omentale è ridotto nei roditori, ma come nell’uomo esso è connesso alla grande curvatura dello stomaco ed il deposito mesenterico è definito dai due foglietti peritoneali che trattengono l’intestino sulla parete addominale posteriore. Il deposito epididimale è ben circoscritto, avvolto e legato all’epididimo attraverso il peritoneo. Nelle femmine, il perirenale, periovarico, parametriale e perivescicale sono contenuti nello stesso deposito (addomino-pelvico). Il deposito mediastinico è composto da lobuli di tessuto adiposo bruno che si stendono tra i larghi vasi sanguigni mediastinici, il cuore, la trachea, l’esofago e l’aorta discendente. Tutti i depositi sopra descritti sono definiti misti, poiché sono costituiti sia da tessuto adiposo bianco che da tessuto adiposo bruno. Nell’Organo adiposo dei roditori la maggior parte del deposito sottocutaneo anteriore è composto soprattutto da BAT, mentre il sottocutaneo posteriore è principalmente bianco. Dei depositi viscerali il mediastino è principalmente bruno, in particolare nel topo dove invece l’omentale e il mesenterico sono principalmente bianchi. Il deposito addomino-pelvico è ugualmente composto da BAT e WAT, mentre l’epididimale è quasi completamente bianco [2,3]. La proporzione dei due tessuti contenuta in ogni deposito dipende largamente dal background genetico, dall’età, dal sesso e dalle condizioni ambientali (temperatura, tipo di dieta, esercizio fisico). La maggior parte dei depositi si presenta però con una proporzione variabile di adipociti bianchi e di adipociti bruni. Questi due tipi di cellule sono provvisti di due diverse morfologie cui corrisponde, naturalmente due diverse funzioni. 8 2.1.1. White Adipose Tissue (WAT) Il WAT è costituito prevalentemente da cellule uniloculari di notevoli dimensioni (70-80 µm), con un nucleo appiattito e periferico e caratterizzate dalla presenza di un unico grande vacuolo lipidico citoplasmatico che occupa il 90% del volume cellulare, formato da trigliceridi, separato dal resto del citoplasma da una barriera elettron-densa contenente proteine molto importanti dal punto di vista strutturale come la Perilipina [4]. Gli organuli citoplasmatici (Complesso di Golgi, Reticolo liscio e rugoso) risultano poco sviluppati e concentrati nella zona perinucleare. I mitocondri sono in numero variabile, allungati, sottili e con piccole creste variamente orientate. La superficie esterna della cellula è caratterizzata dalla presenza di una distinta membrana basale (o lamina esterna) simile a quella che si riscontra attorno ad alcuni tipi cellulari di origine mesodermica, come ad esempio le cellule muscolari (Figura 2.3). Da un punto di vista fisiologico, gli adipociti bianchi accumulano acidi grassi (FFA, free fatty acids) rifornendo poi l’organismo di questo substrato negli intervalli tra un pasto e l’altro (quando l’intervallo si prolunga per settimane, diventa il tessuto della sopravvivenza). Le cellule del nostro organismo, infatti, hanno un bisogno continuo di energia per la normale sopravvivenza e quindi risulta necessario un sistema che consenta un temporaneo accumulo di energia ed una lenta e continua ridistribuzione della stessa. Quando l’intervallo di tempo tra un pasto e l’altro raggiunge l’ordine delle settimane il tessuto adiposo bianco assume l’importanza di un organo vitale. Per questa ragione nei secoli che hanno preceduto l’attuale abbondanza di cibo si sono selezionati i geni che permettono una rapida capacità di sviluppo del tessuto adiposo bianco. E’ possibile che sia questo uno dei motivi dell’attuale diffusione epidemica dell’obesità. Una caratteristica cruciale di questi adipociti è la loro capacità di espandersi : in situazioni che richiedono l’accumulo di trigliceridi, come nell’ obesità 9 genetica e obesità indotta da dieta ricca di grassi (high-fat diet), gli adipociti possono aumentare il loro volume di circa 6-7 volte. L’Ipertrofia ha importanti conseguenze sull’attività endocrina degli adipociti provocando una riduzione nella secrezione di adiponectina e un incremento nella secrezione di leptina [5]. Inoltre queste cellule segnalano al sistema nervoso, mediante un ormone detto leptina, lo stato di nutrizione dell’ organismo inducendo l’ animale alla ricerca del cibo in caso di carenza di riserve energetiche. Con la scoperta dell’azione secretoria di alcune molecole hormone-like (leptina), il tessuto adiposo bianco ha assunto, agli occhi della comunità scientifica, un ruolo più attivo nella patogenesi dell’obesità avendo la capacità di informare il cervello sul livello di scorte energetiche dell’organismo e di conseguenza, influenzare il comportamento alimentare dell’individuo stesso controllando in questo modo l’omeostasi energetica [6, 7, 8]. Topi con difetto genetico che impedisce la sintesi di questo ormone (ob/ob) o del suo recettore (db/db), diventano massivamente obesi. Verosimilmente l’assenza di questo ormone stimola l’assunzione di cibo e per questo motivo la leptina è anche nota come “ormone della sazietà”. Il meccanismo di controllo della secrezione leptinica appare principalmente legato alla quantità di tessuto adiposo bianco presente nell’organismo, così che nei soggetti obesi la leptinemia è generalmente assai elevata e si ipotizza che in essi si instauri una sorta di leptinoresistenza. 10 Figura 2.3. Adipocita bianco di tessuto adiposo sottocutaneo di topo. I mitocondri (m) sono piccoli e allungati con creste orientate casualmente. CV, caveole; BM,membrane basale; L, vacuolo lipidico. Microscopia Elettronica a Trasmissione. (barra=1.4 mm) 2.1.2. Brown Adipose Tissue (BAT) Il BAT è costituito da cellule poliedriche (diametro circa 30-40 µm) caratterizzate da un nucleo grande, rotondeggiante e centrale e da un abbondante citoplasma pieno di caratteristici mitocondri e piccoli vacuoli lipidici. La presenza dei vacuoli lipidici è il motivo per cui gli adipociti bruni sono anche definiti cellule multiloculari. I mitocondri sono voluminosi e forniti di lunghe creste trasversali (Figura 2.4). Anche in queste cellule gli altri organuli risultano poco sviluppati ma altamente specializzati allo scopo di utilizzare la lipolisi per produrre calore tramite il meccanismo della non-shivering thermogenesis ma bruciando i grassi. Questa funzione viene raggiunta grazie ai particolari mitocondri provvisti di una proteina, presente nella membrana interna delle creste e unicamente espressa in essi: UCP1 (uncoupling protein 1), che consente al tessuto adiposo bruno di svolgere un’attività termogenetica. La funzione principale degli adipociti bruni, cioè quella di dissipare l’energia degli acidi grassi contenuti nei vacuoli lipidici per produrre calore, è strettamente correlata 11 alla presenza dell’UCP1, espressa unicamente in queste cellule e considerata il marker molecolare del BAT [9]. Nelle cellule eucariotiche, infatti, l’ossidazione degli acidi grassi liberi nei mitocondri genera un gradiente protonico fra la membrana mitocondriale esterna ed interna che trasforma ADP in ATP attraverso l’enzima ATP sintetasi. Negli adipociti bruni, tuttavia, la presenza della proteina UCP-1 permette la perdita del gradiente elettrochimico a favore della produzione di calore con il risultato finale del consumo degli acidi grassi [10]. Quindi l’unico prodotto finale della combustione degli acidi grassi è la dissipazione di calore [11, 12]. Data una grande quantità di substrato, i numerosi mitocondri ricchi di creste sono in grado di utilizzare una considerevole quantità di grasso producendo un’intensa termogenesi. L’esposizione a temperature al di sotto della termoneutralità attiva direttamente il BAT, attraverso le giunzioni neuro-adipose delle fibre adrenergiche che stimolano la termogenesi. La perdita di protoni (proton leak) dovuta all’UCP-1 è controllata dalla noradrenalina rilasciata dal sistema nervoso simpatico. Il segnale di attivazione funzionale arriva alle cellule multiloculari per via nervosa: dall’ipotalamo tramite il sistema ortosimpatico giungono fibre nervose amieliniche noradrenergiche. Le terminazioni dei nervi simpatici rilasciano noradrenalina in prossimità degli adipociti bruni. A questo livello la noradrenalina attiva i recettori ßadrenergici accoppiati alle G protein, dando luogo così ad una cascata di eventi metabolici che portano all’attivazione dell’UCP1 e all’attivazione dell’Hormone sensitive lipasi (HSL) che libera gli acidi grassi liberi (FFA). Gli FFA vengono trasformati in acyl-coA e trasportati nei mitocondri. La ß-ossidazione dell’acyl-coA nei mitocondri genera il gradiente protonico a livello della membrana mitocondriale interna [13]. 12 Anche i ß3 agonisti hanno effetti farmacologici simili all’esposizione al freddo [14]. Le cellule attive termogeneticamente sono caratterizzate da numerosi vacuoli lipidici molto piccoli e abbondanti mitocondri sferici ricchi di creste laminari che esprimono abbondantemente l’UCP-1. Quanto più ci si avvicina alla temperatura di termoneutralità, più larghi e meno numerosi diventano i vacuoli lipidici; allo stesso tempo si riduce sia il numero di mitocondri che il numero di creste con conseguente diminuzione di immunoreattività per l’UCP-1. In assenza di stimolo adrenergico la morfologia dell’adipocita bruno è molto più simile alla morfologia dell’adipocita bianco e soltanto in questa condizione strutturale la cellula bruna è immunoreattiva per la proteina S-100 [15]. Figura 2.4. Tessuto adipose bruno interscapolare che mostra numerosi mitocondri con creste trasversali. L, lipid droplet. Microscopia Elettronica a Trasmissione; (barra= 1 mm). 13 2.1.3. Plasticità dell’Organo Adiposo Un carattere peculiare del tessuto adiposo è la notevole plasticità che gli permette di adattarsi alle diverse esigenze energetiche dell’organismo: i grandi adipociti del tessuto adiposo bianco, che accumulano lipidi svolgendo la loro funzione di riserva energetica per l’organismo, sarebbero in grado, in risposta a stimoli ormonali e/o ambientali, di convertirsi in elementi cellulari più piccoli che “bruciano” le riserve di grasso attivando opportuni meccanismi termogenentici (mitocondriogenensi e lipolisi) come accade negli adipociti de tessuto adiposo bruno. I due citotipi che costituiscono l’Organo Adiposo mostrano quindi una forte plasticità transdifferenziando in maniera fisiologica e reversibile da un citotipo all’altro a seconda dello stato nutrizionale e metabolico dell’organismo e nonché delle modificazioni della temperatura ambientale. Questa caratteristica fondamentale dell’organo pone le basi per il futuro della terapia dell’obesità e delle sue complicanze cliniche. Essa aiuta, inoltre, a spiegare la funzione strategica unitaria dell’organo, cioè la ripartizione dell’energia derivante dai lipidi fra due necessità fondamentali: termogenesi e metabolismo. La presenza sia del BAT che del WAT nei vari depositi dell’organo adiposo suggeriscono che i due tessuti hanno la capacità di trasformarsi l’uno nell’altro, ad esempio in condizioni di esposizione cronica al freddo la quantità di tessuto adiposo bruno nell’organo potrebbe aumentare attraverso una transdifferenziazione del WAT in BAT e viceversa che il BAT potrebbe ritrasformarsi in WAT in caso di esposizione a dieta obesogena per permettere un maggiore accumulo di energia. Infatti è ben documentato che la quantità relativa di BAT aumenta negli animali esposti al freddo ed in quelli trattati con i beta3 agonisti, e che il WAT aumenta negli animali obesi. Questi cambiamenti coinvolgono una riduzione nel WAT e nel BAT rispettivamente [16,17]. Studi quantitativi 14 hanno dimostrato che l’incremento di BAT osservato in animali esposti al freddo corrisponde ad una riduzione del WAT che non è correlata ad apoptosi [18]. La trasformazione diretta è supportata anche da evidenze biochimiche di biogenesi mitocondriale e dalla assenza di marker proliferativi nel 95% degli elementi neoformati. Infatti, negli animali trattati con beta3 agonisti l’80-95% dei nuovi adipociti bruni comparsi nel tessuto adiposo non presentano nessun tipo di marker della proliferazione cellulare, ma presentano tutti gli stadi caratteristici della transizione biancobruna [19,20]. E’ ipotizzabile che una diminuita attività del tessuto adiposo bruno possa essere una delle cause di ridotto consumo energetico e quindi una tendenza allo sviluppo dell’obesità [21]. Questo fenomeno di trasformazione diretta delle cellule adulte potrebbe avere una rilevanza clinica notevole perché mutare il fenotipo dell’ organo adiposo da bianco a bruno potrebbe aiutare a risolvere problemi clinici rilevanti e sulla base di essa si potrebbe affrontare il problema della terapia farmacologica dell’obesità e diabete di tipo 2 [22, 23]. Infatti sin dal lavoro pioneristico di Mike Stock si era ipotizzata una funzione antiobesità del BAT [24] e successivi lavori l’ hanno pienamente confermata [25]. L’obesità induce una transdifferenziazione degli adipociti bruni in bianchi e il loro ripristino (transgenico o farmacologico) cura l’obesità e il diabete correlato [26-27]. In linea con questi dati animali resistenti all’ obesità e al diabete hanno un fenotipo più bruno dell’ organo adiposo [28]. 15 2.2. Obesità e Sindrome Metabolica L’obesità rappresenta, nella società occidentale industrializzata, una problematica di proporzioni sempre maggiori. Il 30% della popolazione adulta ha un eccesso ponderale patologico, ovvero associato ad un aumento significativo della morbilità e della mortalità [29, 30]. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization, WHO), oltre un miliardo di persone è sovrappeso e 300 milioni obeso, inoltre, l’epidemia “obesità” sta anche interessando la popolazione più giovane, infatti, l’obesità infantile è triplicata negli ultimi 30 anni [31] e questi numeri sono destinati in futuro ad aumentare se non si interviene nell’affrontare questa problematica che oggi costituisce uno dei più seri problemi di salute pubblica globale, tanto da indurre L’Organizzazione Mondiale della Sanità a parlare di “globesità”, temine assai efficace che ben rappresenta uno scenario generalizzato caratterizzato dalla crescita epidemica di sovrappeso ed obesità che coinvolge oggi parecchie aree del mondo. Il dato italiano non smentisce affatto questa tendenza, anzi, nel nostro paese la situazione assume toni addirittura critici: 1 italiano su 10 è obeso e 4 su 10 sono soprappeso [32]. Il soprappeso e l’obesità sono definite come condizioni caratterizzate da eccessivo peso corporeo causato da un’eccessiva alimentazione e una ridotta attività fisica quotidiana, dovute a comportamenti ed abitudini alimentari e quindi di “stile di vita” scorretto, anche se non è esclusa l’ipotesi che possano essere il risultato di fattori genetici di rischio. L’accumulo di massa adiposa influisce negativamente sullo stato di salute dell’individuo favorendo l’insorgenza di un ampio numero di malattie come il diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, statosi epatica, neurodegenerazione, malattie dell’apparato respiratorio, malattie biliari e alcuni tipi di cancro [33]. Queste malattie associate all’obesità riducono conseguentemente l’aspettativa della vita e portano a morte prematura. 16 Infatti, la maggior parte della popolazione mondiale oggi vive in paesi dove gli individui hanno più cause di morte correlata al soprappeso piuttosto che il sottopeso [32]. L’obesità può essere definita sia come un’ipertrofia dovuta ad un aumento del numero di adipociti che costituiscono il tessuto adiposo, oppure ad un’iperplasia dello stesso e quindi ad un abnorme aumento del contenuto cellulare degli adipociti (lipidi). L’iperplasia si verifica principalmente nell’età evolutiva, mentre l’ipertrofia è più caratteristica nelle obesità che insorgono in età adulta, ed è anche la forma più comune e maggiormente studiata. Altezza e peso sono considerati i più utili parametri per monitorare le condizioni di sovrappeso ed obesità. La valutazione del peso corporeo è effettuata tramite il Body Mass Index (BMI), calcolato come peso (kg) diviso il quadrato dell’altezza (m), è un semplice indice comunemente usato per classificare le condizioni di sottopeso, sovrappeso ed obesità negli individui adulti. La condizione di sovrappeso o pre-obesità è individuata da un BMI compreso tra 25.0 e 29.9 kg/m², mentre una persona obesa ha un BMI ≥ 30 kg/m². Tuttavia, il BMI fornisce solo una misurazione della massa grassa corporea, poiché non distingue tra il peso associato alla muscolatura e quello associato al grasso. Altri indici, come ad esempio il “Rapporto Vita-Fianchi” o WHR (Waist Hip Ratio), misurano differenti aspetti della composizione corporea e della distribuzione del grasso corporeo e sembrano correlare positivamente con i fattori di rischio delle malattie cardiovascolari e diabete. La circonferenza della vita può essere usata per valutare la quantità di grasso addominale, mentre la misurazione della circonferenza dei fianchi dà informazioni circa la massa muscolare gluteo-femorale e la struttura ossea. Sussiste un rischio per la salute se il valore supera lo 0,85 nelle donne o è maggiore di 1 nell’uomo. Numerosi studi hanno dimostrato che il WHR è un predittore di anormalità metaboliche più importante degli stessi livelli di sovrappeso e 17 dunque del BMI, poiché è confermato che non solo è importante considerare quanta massa grassa si ha, ma anche dove essa è distribuita. Se la massa grassa si trova sui fianchi si può infatti considerare meno pericolosa per la salute rispetto all’accumulo della stessa a livello addominale e si tende a valutare l’individuo come meno esposto al rischio di malattie cardiovascolari e di diabete. La spiegazione di questo fenomeno sembra risiedere nel fatto che le cellule del tessuto adiposo addominale scindono rapidamente i lipidi immagazzinati e riversano nel circolo ematico gli acidi grassi prodotti, fatto che può causare un pericoloso incremento dei livelli di trigliceridi e glucosio nel sangue. Già negli anni’40 Jean Vague aveva evidenziato l’associazione tra grasso addominale ed incremento del rischio di patologie cardiovascolari e diabete, tuttavia solo negli anni ’80 questa idea fu approfondita da alcuni studi statunitensi portati avanti dagli endocrinologi del gruppo di Ahmed Kissebah. Questi ultimi mostrarono che le donne con obesità addominale sono meno efficienti nel metabolizzare il glucosio e questo difetto può predisporre allo sviluppo di diabete mellito di II tipo. Secondo gli stessi studi le cellule del tessuto adiposo viscerale sarebbero più predisposte a trasformare i lipidi in acidi grassi rispetto agli adipociti del sottocutaneo. Questo incremento degli acidi grassi ematici potrebbe interferire con il metabolismo del glucosio. Nel corso degli anni molti ricercatori hanno confermato ed esteso questi risultati ed hanno dimostrato che, quando alti livelli ematici di acidi grassi arrivano alle cellule muscolari, queste ultime hanno difficoltà a prelevare glucosio dal circolo e ciò porta all’ aumento dei livelli di glucosio nel sangue ed il conseguente rischio di diabete di tipo II. Inoltre, gli acidi grassi provenienti dagli adipociti addominali hanno accesso diretto, attraverso la vena porta, al fegato, dove interferiscono con il normale processo di metabolizzazione dell’insulina, l’ormone ipoglicemizzante che permette alle cellule di assumere il glucosio. Di conseguenza i livelli 18 ematici di insulina aumentano, rendendo le cellule muscolari, gli adipociti e gli epatociti meno sensibili all’ormone, condizione che incrementa ulteriormente i livelli di glucosio nel sangue. Il sovraccarico di acidi grassi nel sangue incrementa dunque il rischio di diabete e di problematiche a livello cardiovascolare. L’obesità ed il sovrappeso oggi costituiscono uno dei più seri problemi di salute pubblica e sulle basi di quanto appena detto, la massa adiposa accumulata a livello addominale correla positivamente con il livello di rischio cardiovascolare e con la possibilità di manifestazione del diabete di tipo 2. Le conoscenze scientifiche e cliniche acquisite negli ultimi anni, hanno evidenziato come l’obesità possa essere considerata uno dei fattori che contribuiscono allo sviluppo di una patologia molto più complessa e grave che viene individuata comunemente con il termine di “Sindrome Metabolica” derivante da condizioni di metabolismo alterato, come l’incremento dei livelli di colesterolo LDL nel sangue, elevati livelli di trigliceridi, ipertensione e iperglicemia [34]. Questi fattori di rischio metabolico che caratterizzano la patologia, sembrano promuovere in modo diretto lo sviluppo di diabete di tipo II e malattie cardiovascolari e sembra essere associata anche con l’alterazione delle funzioni riproduttive e lo sviluppo di tumori. Concludendo, il principale quadro sintomatologico di Sindrome Metabolica può includere elevata glicemia a digiuno (> di 110 mg/dl) e insulinoresistenza, obesità addominale e circonferenza addominale > di 102 cm per gli uomini e 88cm per le donne), diminuiti livelli di colesterolo HDL(<40 mg/dl negli uomini, <50 mg/dL nelle femmine), alti livelli di trigliceridi (>150 mg/dl) ed elevata pressione arteriosa (> 130/85 mm Hg) e BMI > 25. In una recente definizione dettata dalla International Diabetes Federation, l’obesità addominale è il tratto essenziale nella diagnosi di sindrome 19 metabolica, anche se deve comunque essere accompagnata da almeno due delle altre caratteristiche sopra citate. 2.3. Obesità: una condizione metabolica di infiammazione cronica 2.3.1. Infiammazine e Insulino-resistenza Le più recenti scoperte relative all’obesità evidenziano la costante associazione tra questa patologia, l’insulino resistenza e il diabete di tipo 2 [35]. L’obesità, altera la funzione endocrina e metabolica del tessuto adiposo portando ad un aumento del rilascio di acidi grassi, ormoni e molecole proinfiammatorie (chiamate “adipochine”) che contribuiscono allo svilupparsi di tutte quelle complicanze correlate all’insorgenza della sindrome metabolica. Evidenze cliniche dimostrano che l’obesità, l’insulino resistenza e il diabete di tipo 2 sono strettamente associate ad una anormale risposta infiammatoria [36]. Comparando il tessuto adiposo di un individuo magro con quello di un obeso, quest’ultimo presenta un’elevata quantità di proteine proinfiammatorie come TNF-α, IL-6, iNOS, TGF-β, Creactive protein and Monocyte chemoattractant protein 1 [37, 38]. Inoltre, il sensore immunitario, conosciuto come inflammosoma, e i recettori Tolllike (TLRs) del sistema immunitario innato sono attivati nei tessuti di animali obesi rispetto i magri di controllo [39, 40]. Le molecole proinfiammatorie hanno effetti diretti sul metabolismo cellulare. Per esempio, il TNF-α (Tumor Necrosis Factor-α), direttamente diminuisce la sensibilità insulinica, aumenta la lipolisi negli adipociti ed ostacola l’adipogenesi regolando il PPARγ [41, 42, 43, 44, 45]. La terapia anti-TNF-α migliora la resistenza insulinica nei pazienti con artrite reumatoide [46]. L’IL-6 porta in vivo ad una ipertrigliceridemia attraverso la stimolazione della lipolisi e della secrezione epatica dei trigliceridi [47]. 20 Alte dosi di farmaci anti-infiammatori, come i salicilati, riducono i livelli di glucosio nel sangue e aumentano la tolleranza al glucosio nei soggetti normali e diabetici. Inoltre, i salicilati, migliorano la sensibilità insulinica negli animali obesi probabilmente attraverso l’inibizione della NF-KB kinase beta (IKKbeta), una chinasi coinvolta nel signaling dell’infiammazione [48]. Un altro mediatore chiave della risposta infiammatoria, è la c-Jun N-terminal kinase 1 (JNK1), infatti topi deficitari di JNK1 mostrano un miglioramento della sensibilità insulinica [37, 49, 50]. Diversi gruppi hanno dimostrato che l’attivazione del JNK e/o IKK, in risposta ad un eccesso di nutrienti o di segnali infiammatori, contribuisce allo sviluppo dell’insulino-resistenza attraverso un incremento della fosforilazione della serina del recettore insulinico (IRS-1) impedendo conseguentemente il signaling pathway dell’insulina [51]. Non solo JNK e IKK, ma anche altre chinasi come PKR, PKC, ERK e mTOR possono inibire l’azione dell’insulina attraverso la fosforilazione di IRS-1 [52]. Queste chinasi infiammatorie, in particolare PKR, JNK e IKK, possono indurre una risposta infiammatoria, anche senza agire direttamente sulle molecole del signaling insulinico ma attivando fattori di trascrizione come AP-1, NF-kB e IRF che determinano un aumento dell’ espressione genica di mediatori dell’infiammazione. La chinasi PKR può inoltre andare a regolare negativamente il fattore elf2α (eukaryotic translation initiation factor 2 α) inibendo la translazione generale all’interno della cellula e influenzando negativamente la funzione del reticolo endoplasmatico (Figura 2.5). Quindi, nonostante gli effetti dell’ infiammazione sul tessuto adiposo siano molteplici, sembrano avere un obiettivo in comune: l’annullamento dei normali processi degli adipociti a favore dello stress cellulare. Senza il corretto funzionamento e l’azione endocrina del tessuto adiposo, 21 l’anabolismo dei nutrienti non viene svolto correttamente andando ad influenzare negativamente l’omeostasi del glucosio. Figura 2.5. Effetti dell’infiammazione nella funzione metabolica L’Obesità (o condizione di Hight-Fat Diet) induce nelle cellule metaboliche uno stato infiammatorio. Nutrienti o altri metaboliti potrebbero attivare citochine o recettori Tolllike ed avere accesso a target cellulari direttamentente o attraverso le chaperonine. A valle di questi recettori ci sono tre kinasi in particolare, JNK, IKK e PKR, che giocano un ruolo importante nel bloccare il signaling insulinico mediante fosforilazione del recettore IRS-1. Il PKR inibendo elf2α può anche influenzare negativamente la funzionalità del Reticolo Endoplasmatico (ER). Le chinasi JNK, IKK e PKR possono indurre una risposta infiammatoria anche mediante l’attivazione di fattori di trascrizione (AP-1, NF-kB e IRF) che up-regolano l’espressione genica di mediatori infiammatori. 22 2.3.2. Risposta infiammatoria allo stress degli organuli citoplasmatici La presenza nella cellula metabolica di una condizione di stress, potrebbe contribuire allo scatenarsi di una risposta infiammatoria da cui conseguentemente potrebbe scaturire una disfunzione nel metabolismo cellulare. In risposta ad un eccesso di nutrienti, la cellula è sottoposta ad uno stress funzionale in grado di generare una risposta infiammatoria. E’ stato dimostrato che il fegato e il tessuto adiposo di topi obesi, confrontati con i tessuti magri di controllo, mostrano un alto livello di stress del reticolo endoplasmatico (RE) [53]. Nella cellula, il reticolo endoplasmatico (RE) è la sede principale di “folding”, maturazione, controllo qualità e traffico delle proteine neoformate. Quando il RE è stressato a causa dell’accumulo di proteine “unfolded”, si assiste all’attivazione dell’Unfolded Protein Response (UPR), che a sua volta attiva una cascata di segnali che porta allo stress cellulare con conseguente produzione di ROS e innesco di una risposta infiammatoria. L’UPR è guidata principalmente da tre proteine transmembrana, PERK, IRE-1 e ATF-6 che risiedono nel RE e che attivano 3 diverse cascate di segnali. I tre signalings della UPR si intersecano con i pathways dell’infiammazione tra cui quello dell’NF-kB-IKK e del JNK-AP1, portando ad un aumento dell’espressione di citochine infiammatorie (Figura 2.6). Esaminando attentamente i patways dell’UPR attivati dallo stress del RE, si osservano dei meccanismi comuni a quelli che si riscontrano nelle malattie croniche metaboliche e che oltretutto giocano un ruolo centrale nell’infiammazione indotta da obesità e nelle anormalità metaboliche come l’insulino-resistenza e il diabete di tipo 2 [54]. Per esempio, durante lo stress del reticolo, IRE-1 induce il pathway 23 infiammatorio attraverso l’attivazione di JNK che a sua volta regola diversi geni dell’infiammazione [55]. L’espressione di citochine proinfiammatorie (includendo TNF-α e IL-6 e MCP-1) indotta in condizioni di obesità è invece soppressa in modelli murini deficienti in JNK contribuendo alla protezione verso l’insulino resistenza e diabete di tipo 2 [37,52,53]. Ciò che rimane da capire è se la risposta infiammatoria indotta mediante attivazione di JNK e tutte le conseguenze metaboliche che ne derivano e che caratterizzano l’obesità, possono essere spiegate dallo stress del RE. E’ interessante osservare che sia IRE1 che PERK portano all’attivazione del signaling NF-kB-IKK che gioca un ruolo cruciale nella risposta infiammatoria e sappiamo essere implicato nell’insulinoresistenza [56,57,58]. Figura 2.6. Pathways attivati in seguito a stress del Reticolo Endoplasmatico e che portano ad una risposta infiammatoria. In risposta allo stress del ER, si attivano tre pathways dell’Unfolded Protein Response (UPR). Nel primo, viene attivato il complesso IRE1-TRAF2 che attiva le chinasi infiammatorie JNK e IKK. Queste chinasi infiammatorie a loro volta up-regolano altri mediatori d’ infiammazione a valle mediante l’attivazione dei fattori di trascrizione AP-1 e NF-kB, rispettivamente. IRE-1, 24 una proteina transmembrana che ha sia attività chinasica che endoribonucleasica, interviene nello splicing di XBP1 trasformandolo nella sua forma attiva. XBP1 è anch’esso in grado di indurre una risposta infiammatoria mediante attivazione di citochine infiammatorie. L’attivazione di PERK determina il rilascio di NF-kB dal suo inibitore IκB. NF-kB si sposta verso il nucleo e attiva l'espressione di una varietà di geni coinvolti nei meccanismi infiammatori, come quelli che codificano per le citochine IL1, IL-6, TNF-α e la proteina chemoattractant monociti 1 (MCP-1). Inoltre, l’attivazione di PERK attiva ATF4 che sembrerebbe coinvolto nell’induzione delle citochine infiammatorie, mediante un meccanismo d’azione ancora sconosciuto. Anche PKR è attivato dallo stress del reticolo endoplasmatico e contribuisce all’attivazione di JNK e IKK. Infine, il terzo pathway dell’UPR, l’ATF6 patway, è in grado di aumentare l’attività trascrizionale di NF-kB con conseguente espressione genica di citochine infiammatorie. Inoltre, in animali obesi è stato osservata una maggiore attivazione di UPR rispetto ai controlli magri, lasciando quindi pensare che la UPR indotta da stress del ER potrebbe essere una delle cause della risposta infiammatoria che si osserva nella cellula metabolica in condizioni di obesità. Sulla base di quanto appena detto, alcuni autori ipotizzano che una condizione di stress degli organuli citoplasmatici in risposta ad un eccesso di nutrienti possa provocare una risposta infiammatoria nelle cellule metaboliche con conseguente inibizione del signaling insulinico, insulino resistenza e disfunzione omeostatica (Figura 2.7). Per ora si tratta di un'ipotesi, infatti ancora non esiste uno studio definitivo che sia in grado di collegare l'UPR all’ infiammazione e all’insulino resistenza che caratterizza l'obesità e le sue complicanze. Sebbene l’attivazione di chinasi infiammatorie come JNK e IKKβ sia chiaramente collegata allo stress del RE, sono necessari ulteriori studi che possano definire l’UPR come un meccanismo di infiammazione metabolica. 25 Figura 2.7. Signaling insulinico, infiammazione e segnali di stress. In condizioni di obesità, mediatori dell’infiammazione e lipidi inducono una cascata di segnali che portano all’attivazione di chinasi infiammatorie come JNK e IKK così come la proteina chinasi C, S6K, mTOR ed ERK. L'attivazione di JNK e IKK risulta nell’inibizione dell'azione insulinica attraverso la fosforilazione della serina del recettore dell'insulina (IRS). L'eccesso di nutrienti può scatenare lo stress del ER, che è direttamente legato come abbiamo appena visto, all’ attivazione di patways infiammatori che vanno sia a bloccare l'azione dell'insulina che a regolare a livello trascrizionale la produzione di citochine infiammatorie. Inoltre, anche le specie reattive dell'ossigeno (ROS), che vengono prodotte durante lo stress degli organuli citoplasmatici e in presenza di disfunzione mitocondriale, possono contribuire a questo ciclo di risposta infiammatoria allo stress. Le conseguenze sono l’aumento dello stress del RE, l’ aumento dell'infiammazione e l’inibizione dell'azione dell'insulina che si concludono culminando in una disfunzione metabolica sistemica. 2.4. Infiltrazione di cellule immunitarie nel tessuto adiposo Molti autori concordano sul fatto di considerare l’obesità come “metaflammation” ossia uno stato di infiammazione cronica di basso grado determinata dall’eccesso di nutrienti nelle cellule adipose. Il signaling dell’infiammazione che è stato ampliamente descritto nei paragrafi precedenti e che caratterizza la cellula adiposa dei soggetti obesi, potrebbe eventualmente portare all’attivazione di cellule specializzate del sistema immunitario e determinare una risposta infiammatoria irrisolta all’interno del tessuto adiposo. 26 Nel 2003 è stato dimostrato come il tessuto adiposo degli obesi sia infiltrato da macrofagi che determinano uno stato di infiammazione cronica correlata all’insorgenza della resistenza insulinica e conseguentemente del diabete di tipo 2 [59, 60]. Il legame molecolare tra infiltrazione macrofagica e insorgenza prima della insulino resistenza e poi del diabete, sembra essere legato al fatto che i macrofagi sono responsabili della produzione di molecole in grado di interferire con il recettore insulinico. In particolare il TNF alfa prodotto dai macrofagi interferirebbe con la fosforilazione del substrato 1 del recettore insulinico. Questa interferenza sarebbe responsabile determinerebbe della insulino a sua volta la resistenza necessità di condizione una che ipersecrezione compensatoria di insulina da parte delle isole di Langerhans che, ad un certo punto, raggiungerebbero il limite dell’ esaurimento funzionale con conseguente insorgenza del diabete di tipo 2. E’ stato dimostrato inoltre che l’infiltrazione macrofagica correla positivamente con il BMI e con la dimensione degli adipociti ed è un fenomeno reversibile in seguito alla perdita di peso [59]. Dati pubblicati nel 2003 da Xu et al. indicano che l’attività macrofagica avviene nel WAT dopo l’aumento dell’adiposità, ma prima dell’insulino resistenza e l’infiammazione compare inizialmente nel tessuto adiposo espandendosi successivamente anche in altri tessuti (fegato, muscolo). Queste osservazioni suggereriscono che l’infiammazione indotta da obesità è adiposo-specifica ma può, in condizioni di High-fat-Diet, diventare sistemica in seguito ad un aumento dell’adiposità e/o insulino resistenza [60]. Tutti questi dati correlano l’insulino resistenza e il diabete all’attività macrofagica in WAT sia nei modelli murini di obesità che nell’uomo. 27 Questo meccanismo fisiopatologico è il primo che sia stato proposto per spiegare l’ osservazione clinica ed epidemilogica della correlazione esistente tra obesità e diabete, anche se questa ipotesi non spiega alcuni dei fenomeni osservati. Innanzitutto non fornisce una spiegazione all’ infiltrazione dell’ organo adiposo da parte dei macrofagi e non chiarisce perché il diabete di tipo2 è più frequentemente associato all’ obesità viscerale (detta anche a mela, tipica degli uomini e delle donne postmenopausa) che non a quella sottocutanea (detta anche a pera, tipica delle donne premenopausa). 2.4.1. Il fenomeno delle “Crown-Like Structure” Nel 2005, in collaborazione con il laboratorio guidato da A. Greenberg e G. Mitchell abbiamo dimostrato come l’infiltrazione macrofagica presente nel WAT di soggetti umani e murini obesi sia strettamente associata alla morte adipocitaria. La maggior parte (più del 90%) dei macrofagi MAC2 immunoreattivi (cioè macrofagi con attiva fagocitosi) che infiltrano il grasso degli obesi è localizzato a livello di vacuoli lipidici [61, 62]. I macrofagi si dispongono a corona attorno a tali vacuoli lipidici formando strutture caratteristiche denominate “Crown Like Structures” (CLS) (Figura 2.8). 28 Figura 2.8: Il tessuto adiposo bianco di topi obesi db/db mostra il tipico arrangiamento dei macrofagi a formare strutture caratteristiche denominate “Crown Like Structure”. Residui lipidici derivati da adipociti morti sono circondati da macrofagi che formano così le tipiche coroncine (CLS). A = materiale incluso in resina, B-D = materiale incluso in paraffina. L’immunoistochimica (B-D) dimostra che la proteina perilipina circonda solo i vacuoli lipidici contenuti negli adipociti vitali ma non i vacuoli contenuti nelle CLS suggerendo l’assenza in quest’ultime di adipociti vitali (B). I macrofagi delle coroncine sono positivi per le proteine MAC-2 e ADRP che testimoniano la loro attività fagocitica. Barra = 15 µm in A e 25 µm in B e D. Quindi da questi esperimenti risulta che le CLS, presenti sia nel tessuto adiposo bianco di animali obesi che nel tessuto adiposo bianco dei topi magri di controllo, sono 30 volte più numerose nei topi obesi. Il fatto che la quasi totalità di macrofagi infiltranti forma CLS ha fornito una plausibile spiegazione alla causa dell’ infiltrazione. La perilipina è una proteina disposta sulla superficie dei vacuoli lipidici contenuti nel citoplasma delle cellule adipose. Essa risulta fondamentale per il processo lipolitico indotto dalla attivazione della lipasi ormonosensibile [63]. Questa proteina è espressa quasi esclusivamente dagli 29 adipociti e viene considerata come un marker vitale degli adipociti (Figura 2.8-B). L’ analisi immunoistochimica mediante anticorpi anti-perilipina dimostra che le CLS non contengono adipociti vitali. Infatti gli adipociti non circondati dai macrofagi risultano immunoreattivi per la perilipina, mentre il vacuolo lipidico circondato dai macrofagi risulta negativo. Queste osservazioni hanno suggerito che le coroncine si formano intorno agli adipociti morti negativi al marker di vitalità dell’adipocita (perilipina), diversamente dagli adipociti vitali, non circondati dai macrofagi, che invece sono positivi per la perilipina. La microscopia elettronica ha confermato che la grande maggioranza delle cellule circostanti il vacuolo lipidico sono cellule con le caratteristiche ultrastrutturali dei macrofagi. I macrofagi sono ricchi di vacuoli lipidici, prevalentemente disposti nel versante a ridosso del vacuolo lipidico centrale, e si trovano tutti all’ interno di una membrana basale che è presumibilmente la membrana basale dell’ adipocita prima della formazione della coroncina. La cellula adiposa circondata dai macrofagi è priva del citoplasma, mentre residui citoplasmatici sono presenti all’ interno di fagosomi nel citoplasma dei macrofagi. (Figura 2.9). Nel loro insieme tutti questi dati hanno suggerito che i macrofagi sono localizzati intorno ad una cellula adiposa morta, e che essi hanno la funzione di riassorbire i residui. 30 Figura 2.9. Morfologia al Microscopio Elettronico di una CLS nel tessuto adiposo bianco di topi obesi db/db. I Macrofagi (M) sono localizzati all’interno della lamina esterna (frecce) e, insime ai vacuoli lipidici (L) sono le uniche strutture residue dell’adipocita morto. Da notare nell’ingrandimento la presenza di gocciole lipidiche (*) all’interno dei fagosomi dei macrofagi suggerendo la presenza di un riassorbimento attivo del vacuolo lipidico residuo dell’adipocita morto. Ly: lysosomes. Barra=3µm (nell’ingrandimento =9µm) Questo fenomeno osservato nel tessuto adiposo è in linea con la normale attività fisiologica dei macrofagi, il cui ruolo è infatti quello di riassorbire residui di cellule morte nei tessuti. Il vacuolo lipidico della cellula adiposa morta risulta particolarmente voluminoso e fungendo da grosso corpo estraneo richiamerebbe i macrofagi che per la sua rimozione sono indotti a formare cellule giganti e a rimanere per lungo tempo nei tessuti adiposi obesi determinando una infiammazione cronica di basso grado. L’attività di fagocitosi del vacuolo lipidico da parte dei macrofagi è dimostrata da immagini di microscopia elettronica (Figura 2.9) e dalla loro immunoreattività verso antigeni caratteristici dell’attività macrofagica: adipocyte development related protein (ADRP) e galectin 3 (MAC2) (Figura 2.8). 31 2.4.2. Ipotesi dei meccanismi responsabili della formazione delle CLS nei soggetti obesi Fin dai lavori del 2003 [59, 60] era chiaro che tale infiammazione era correlata con la dimensione degli adipociti e il lavoro del 2005 [61] ha dimostrato come solo la dimensione degli adipociti e non la condizione di obesità fosse responsabile della formazione delle CLS. Infatti utilizzando un modello di topi knockout per l’ enzima lipasi ormone-sensibile (HSL) è stato osservato che questi topi magri (HSL-KO, topi non obesi ma con adipociti ipertrofici ) avevano adipociti assai ipertrofici (mancando della lipasi gli adipociti si ipertrofizzano), e il tessuto adiposo risultava avere CLS con densità simile a quella riscontrata nei tessuti adiposi degli animali obesi. Quindi l’infiltrazione dei macrofagi era dovuta all’ ipertrofia degli adipociti e non alla condizione di obesità per sé [61]. Inoltre si è anche dimostrato che gli stessi fenomeni avvengono nel tessuto adiposo di soggetti umani. Da notare che animali o soggetti umani obesi senza ipertrofia adipocitica (cioè con obesità iperplastica) non presentano quantità significative di CLS [61]. Notevole anche il fatto che l’ obesità iperplastica non si associa ad insulino resistenza [64]. Considerando questi dati nel loro insieme, si può quindi pensare che l’ obesità induce, nella grande maggioranza dei casi, una ipertrofia degli adipociti che possono ingrandirsi fino ad una dimensione limite oltre la quale non possono andare e che è stata definita “Critical Death Size” (CDS) [65]. L’ipertrofia dell’adipocita induce la morte dello stesso e i lipidi liberi lasciati nel tessuto come residui degli adipociti morti, richiamano dal sangue i macrofagi che per riassorbirli si arrangiano intorno ai residui adipocitari formando le tipiche strutture a coroncine. Questi residui, essendo particolarmente voluminosi, inducono una sorta di reazione da corpo estraneo (da notare che spesso sono associate alle CLS cellule giganti multinucleate chiamate MGC) che 32 produce una infiammazione cronica di basso grado caratterizzata dalla produzione (soprattutto da parte dei macrofagi) di classiche citochine: specialmente TNFα e IL-6. Queste ultime interferiscono con la fosforilazione del substrato 1 del recettore insulinico promuovendo l’ insulina resistenza che a lungo andare porta al diabete T2 [59, 60]. Un meccanismo alternativo potrebbe essere che la cellula adiposa ipertrofica e fortemente stressata (tramite microscopia elettronica a trasmissione sono stati evidenziati chiari segni di stress cellulare negli adipociti obesi soprattutto a livello di organuli citoplasmatici come il reticolo endoplasmatico e mitocondri) inizi a produrre dei chemoattrattanti (come MCP-1) che richiamano in-situ i macrofagi che provvedono poi alla eliminazione di queste cellule stressate e mal funzionanti (Figura 2.10.) [61]. Figura 2.10. Ipotesi del meccanismo responsabile della formazione delle CLS nel tessuto adiposo dei soggetti obesi. A) L’ipertrofia induce la morte dell’adipocita. I residui dell’adipocita morto attraggono i macrofagi che vanno a formare le CLS; B) L’ipertrofia dell’adipocita induce la secrezione di chemoattrattanti responsabili del reclutamento dei macrofagi in situ e conseguente esecuzione dell’adipocita. 33 Riguardo a quanto appena detto è interessante notare che: 1) una massiva lipolisi dovuta all’azione di agonisti beta3AR induce un’infiltrazione macrofagica acuta in WAT [19]. 2) gli adipociti presenti nelle aree di tessuto adiposo che circondano le CLS (ma senza mostrare alcun contatto con i macrofagi) evidenziano a livello ultrastrutturale aspetti degenerativi necrotici. Questi dati sembrano suggerire che la morte dell’adipocita venga prima dell’infiltrazione macrofagica e che la presenza di gocciole lipidiche libere negli spazi interstiziali potrebbe rappresentare uno degli stimoli chemoattrattanti per i macrofagi. Il meccanismo secondo il quale avviene la morte dell’adipocita ha importanti implicazioni per quanto riguarda lo sviluppo dell’infiammazione associata all’obesità. Osservando al microscopio elettronico il tessuto adiposo di topi obesi, nessuno degli adipociti morti circondati dalle coroncine sembra presentare i classici hallmarks tipici dell’apoptosi (cromatina condensata, rigonfiamento a bolle della membrana plasmatica o zeiosi, corpi apoptotici legati alla membrana contenenti frammenti nucleari) ma sono stati invece riscontrati aspetti ultrastrutturali necrotici come la rottura della membrana plasmatica, reticolo endoplasmatico dilatato, presenza di detriti cellulari negli spazi extracellulari e di piccole gocciole lipidiche citoplasmatiche. Questi dati suggeriscono che la morte dell’adipocita associata all’obesità avviene mediante necrosi. D’altra parte, l’assenza di neutrofili in-situ va contro questa conclusione supportando il meccanismo apoptotico. Infatti, mentre l’apoptosi attiva i macrofagi senza la partecipazione di altre cellule proinfiammatorie (per esempio neutrofili), la risposta infiammatoria necrotica è un processo sequenziale che richiede la iniziale partecipazione dei neutrofili [60]. Recentemente sono stati descritti meccanismi alternativi per spiegare la 34 morte dell’adipocita (“necrosis-like programmed cell death”, “paraptosis”) nei quali potrebbe partecipare il signalling apoptotico, ma la morfologia è chiaramente necrotica [66, 67]. Riassumendo, gli adipociti ipertrofici sono soggetti a stress citotossici (stress del reticolo endoplasmatico, ipossia, incremento di TNF-α, specie reattive dell’ossigeno e acidi grassi liberi) che attivano cascate infiammatorie che vanno a determinare la morte cellulare indotta da stress dell’adipocita, a down-regolare il signaling insulinico e l’espressione genica del PPARγ [51, 68, 69]. Interessante lo studio effettuato su topi deficienti nel gene PPARγ, i cui adipociti mostrano chiaramente i tipici aspetti necrotici appena decritti, nonché infiltrazione di cellule infiammatorie [70]. Così, un compromesso signaling insulinico e/o una down-regolazione del PPARγ nell’adipocita ipertrofico potrebbe contribuire alla morte dell’adipocita associata all’obesità. I meccanismi di stress che inducono alla morte adipocitaria potrebbero essere amplificati dalle citotossine (TNF-α, NO, ROS) rilasciate in-situ dai macrofagi partecipando in tal modo all’“esecuzione” dell’adipocita e contribuendo al generarsi di un meccanismo auto-alimentante di morte dell’adipocita e conseguente reclutamento di nuovi macrofagi [60]. E’ importante evidenziare che CLS, con tutte le caratteristiche morfologiche e immunoistochimiche di quelle trovate nel WAT degli obesi, sono presenti anche nel WAT di topi e soggetti umani magri, ma con una frequenza di 15-30 volte minore rispetto ai soggetti obesi. Tuttavia la presenza di rare CLS negli animali magri suggerisce un turn-over fisiologico delle cellule adipose. Un recente elegante lavoro ha dimostrato che circa il 10% delle cellule adipose dell’ organo adiposo umano muore ogni anno [66, 71]. 35 La percentuale sarebbe identica nei soggetti obesi che avendo molte più cellule adipose hanno più cellule morte e quindi molti più macrofagi che ne riassorbono i residui. Si avrebbe quindi una reazione macrofagica contenuta e “fisiologica” nei magri e una reazione macrofagica diffusa e “patologica” negli obesi in quanto responsabile dell’insulino resistenza che di solito precede il diabete. 2.4.3. Diversa suscettibilità verso la morte cellulare dell’adipocita bianco nei diversi depositi adiposi E’ ben noto come il diabete T2 si associ all’obesità quasi esclusivamente quando l’ obesità è di tipo viscerale. Ovvero quando i depositi adiposi che si espandono sono principalmente quelli viscerali. Il fenomeno della diversa risposta all’ ambiente obesogeno legata al sesso è ben noto da diversi decenni: obesità centrale (aumento dei depositi viscerali) tipico dell’ uomo e della donna post-menopausa e l’ obesità periferica (aumento dei depositi sottocutanei) tipico della donna fertile [35, 72]. Quindi, gli uomini e le donne post-menopausa sono più esposti al rischio di diabete T2 in caso di eccessivo accumulo di grasso. Il motivo per il quale il grasso viscerale è più morbigeno del grasso sottocutaneo è tuttora ignoto anche se alcuni lavori hanno evidenziato come il grasso viscerale è più infiltrato da macrofagi. E’ stato recentemente dimostrato che pur essendo valida la correlazione positiva tra dimensione degli adipociti e densità delle CLS (indice dell’ infiammazione) sia nel grasso viscerale che nel grasso sottocutaneo negli animali geneticamente obesi, il grasso viscerale presenta una maggiore densità di CLS pur avendo adipociti più piccoli [73]. Studi successivi hanno dimostrato che topi sottoposti a dieta grassa (Hight-Fat Diet) subiscono una progressiva infiltrazione del tessuto adiposo da parte dei macrofagi formando le CLS e l’infiltrazione macrofagica del grasso viscerale (epididimale) è più alta rispetto al sottocutaneo e coincide con il 36 manifestarsi dell’insulino resistenza [74]. Inoltre, è stato osservato che nel tessuto adiposo omentale di soggetti umani obesi si verifica un’infiltrazione macrofagica significativamente più alta rispetto a quella riscontrata nel sottocutaneo. [75, 76]. Questi dati suggeriscono dunque che gli adipociti viscerali hanno un valore di dimensione limite che induce la morte (CDS) più basso rispetto agli adipociti del sottocutaneo, e quindi la loro morte di fronte ad un forzato aumento di dimensioni, quale si osserva in ambiente obesogeno, avviene più precocemente [65]. Così, la ridotta dimensione limite potrebbe essere responsabile dell’infiammazione di alto grado che si osserva nel tessuto adiposo viscerale dei soggetti obesi e questo fattore potrebbe essere il link tra obesità viscerale e sindrome metabolica [73]. La minore dimensione degli adipociti viscerali rispetto a quelli del sottocutaneo è nota da tempo ma la ragione di questo così come del loro inferiore CDS è totalmente sconosciuta. Quale sia il motivo della minore espandibilità del viscerale resta ignoto, ma alcuni dati sembrano collegare questo aspetto alla plasticità dell’ organo adiposo. E’ stato ipotizzato che gli adipociti viscerali potrebbero avere un’origine differente dagli adipociti del sottocutaneo, potrebbero quindi derivare, almeno in parte, da una transdifferenziazione degli adipociti bruni in adipociti bianchi (Figura 2.11). 37 Figura 2.11. Schema che mostra l’ipotesi che spiega il perchè degli adipociti viscerali hanno una dimensione limite che induce alla morte più bassa rispetto gli adipociti. WAT, Tessuto Adiposo bianco. Infatti è ben noto che il BAT trasformato in WAT presenta adipociti più piccoli del WAT costituzionale [77]. E’ stato dimostrato dal nostro gruppo (dati ancora non pubblicati) che in condizioni fisiologiche l’esposizione di topi a diverse temperature porta gli adipociti ad assumere dimensioni differenti; essi diventano più piccoli se esposti al freddo e più grandi se esposti al caldo ed inoltre le CLS (e quindi gli adipociti morti) sono più presenti negli animali che sono esposti al caldo e che hanno adipociti più grandi. Sulla base di questi dati, è stato suggerito che gli adipociti bianchi derivati dalla trasformazione di adipociti bruni siano più piccoli e meno espandibili degli adipociti bianchi costituzionali (tipici del sottocutaneo) e raggiungano quindi il CDS prima degli adipociti bianchi costituzionali [65]. 38 Questa ipotesi è supportata dalle seguenti scoperte: 1) il grasso epicardico (viscerale) appartiene al deposito mediastinico che è interamente formato da adipociti bruni nei topi giovani e magri [78]; 2) nei topi obesi e magri ma privi di ATGL (enzima fondamentale per la lipolisi) e quindi con adipociti ipertrofici in ogni sede adiposa, il grasso mediastinico è assai ricco di CLS ( dati non pubblicati); 3) in topi geneticamente obesi il mediastinico è costituito da adipociti bianchi che sono più piccoli degli adipociti del deposito sottocutaneo (dati non pubblicati); 4) la proteina UCP1 e il suo mRNA (markers degli adipociti bruni) [79] sono stati osservati nell’ epicardio umano [80]. Quindi, è stata avanzata l’ipotesi che il tessuto adiposo viscerale sia costituito da adipociti più piccoli perchè derivano dalla transdifferenziazione degli adipociti bruni. Queste cellule avrebbero una CDS minore perché hanno una differente origine rispetto agli adipociti bianchi. 39 3. Scopo della Tesi Evidenze sperimentali e cliniche correlano la condizione di infiammazione del tessuto adiposo del soggetto obeso e la conseguente produzione di citochine infammatorie con il fenomeno della resistenza insulinica che conduce all’ insorgenza del diabete di tipo 2. Il meccanismo che innesca il processo infiammatorio del tessuto adiposo sarebbe l’ipertrofia adipocitica che determina la morte degli adipociti richiamando macrofagi nel tessuto adiposo. Sulla base di questi presupposti l’obiettivo di questa ricerca è lo studio della morfologia e del fenotipo di adipociti di topi geneticamente obesi di due ceppi diversi (ob/ob e db/db) al fine di contribuire alla comprensione di quelli che sono i meccanismi che conducono alla morte gli adipociti obesi. I dati fin’ora raccolti suggeriscono che gli adipociti dei depositi viscerali vanno più facilmente incontro a morte cellulare nonostante le dimensioni raggiunte siano significativamente minori rispetto alle dimensioni degli adipociti presenti nei depositi sottocutanei. Questi ultimi mostrano dunque una maggiore capacità di sopportare stress fisico-chimici dovuti al notevole aumento di dimensioni. La spiegazione dei meccanismi che sono alla base della diversa suscettibilità verso la morte cellulare mostrata dagli adipociti nei diversi depositi adiposi (sottocutaneo e viscerale) potrebbe quindi contribuire allo sviluppo di terapie per la prevenzione o la cura della Sindrome metabolica associata all’obesità. 40 4. Materiali e Metodi 4.1. Animali Tutte le procedure sperimentali seguite nel trattamento e sacrificio degli animali sono state condotte in accordo con le linee guida del National Institute of Medical Reserch statunitense e approvate dal comitato etico dell’Università Politecnica delle Marche. Venti topi femmine di 14 settimane, sono stati forniti dalla Harlan (Udine, Italia): 5 topi obesi B6.V-Lepob/OlaHsd, denominati ob/ob, 5 topi magri - utilizzati come controllo (ob/+); 5 topi obesi diabetici BKS.Cg + Leprdb/+Leprdb/OlaHsd denominati db/db e 5 topi magri utilizzati come controllo (db/+). Il loro peso è riportato in Figura 3.1. Gli animali sono stati alloggiati in gabbie di makrolon con illuminazione regolata in modo automatico in cicli di 12 ore di luce (h 7-h 19) e 12 ore di buio (h 19-h 7); la temperatura era mantenuta costante a 21 ± 2 °C. L’accesso all’acqua era libero. Tutti i topi sono stati sacrificati con una overdose di anestetico (Avertin, Fluka Chemie, Switzerland), prelievi di sangue per la determinazione della glicemia e insulinemia sono stati ottenuti dalla coda immediatamente prima del sacrificio. Dopo che i topi sono stati perfusi con 4% paraformaldeide in 0.1 M tampone fosfato, pH 7.4, per 5 min, sono stati prelevati i vari depositi utilizzando il microscopio chirurgico Zeiss OPI1 (Carl Zeiss, Germany). 4.2. Microscopia Ottica e Analisi Morfometrica Dopo la dissezione i campioni di tessuto adiposo sono stati inclusi in paraffina e utilizzati per eseguire valutazioni morfolologiche e di immunoistochimica. 41 I depositi sono stati fissati in paraformaldeide al 4% in tampone fosfato 0.1 M, pH 7.4, overnight a 4°C, disidratati e inclusi in paraffina. Sono stati analizzati 2 depositi viscerali (mesenterico e omentale) e il principale deposito sottocutaneo del topo (inguinale). I campioni inclusi sono stati tagliati al microtomo per ottenere da ogni deposito tre sezioni di 3 µm di spessore da differenti livelli (0,5 mm ognuno) da utilizzare per l’analisi morfometrica. La paraffina è stata rimossa dalle sezioni mediante incubazione con xilene (30 minuti), e le sezioni sono state reidratate e colorate con l’ematossilina e eosina. L’analisi morfometrica dei vari depositi, per la valutazione della dimensione degli adipociti e quantificazione della presenza di CLS, è stata effettuata utilizzando un programma commerciale morfometrico della Nikon, LUCIA IMAGE (version 4.61; Laboratory Imaging, Praha, Czech Republic). Le sezioni di tessuto sono state osservate con un microscopio ottico Nikon Eclipse E800 usando un 20x come obiettivo, e le immagini digitali sono state ottenute con una fotocamera Nikon DXM 1200. La dimensione degli adipociti dei vari depositi è stata calcolata come media dell’area di 300 adipociti presi a random (100 per sezione) in ogni topo. La densità delle CLS, espressa come rapporto tra il numero delle CLS/10.000 adipociti, è stata ottenuta comparando in ogni sezione il numero totale delle coroncine con il numero totale di adipociti. 4.3. Immunoistochimica L’Analisi di immunoistochimica su sezioni di paraffina è stata effettuata utilizzando anticorpi anti-P-JNK e anti-NFKappaB al fine di valutare la presenza di uno stato di infiammazione cronica e di un eventuale stress del reticolo endoplasmatico. Sezioni seriate di 3-µm sono state incubate con 42 anti-JNK (1:50; R&D System) e anti-NFKappaB (1:50; Santa Cruz), seguendo il metodo Avidin Biotin Complex. Le sezioni dopo la disidratazione sono state incubate con perossido di idrogeno al 3% in metanolo per 30 minuti a temperatura ambiente, per inattivare le perossidasi endogene, lavate in PBS (Phosphate-Buffered Saline 0.015M) a pH 7.4 (2 lavaggi di 15 min) ed incubate con Normal Goat Serum (1:75;Vector Laboratories) per ridurre colorazioni aspecifiche. Le sezioni sono state poi incubate con l’anticorpo primario overnight a 4°C, lavate con PBS ed incubate con l’ anticorpo secondario biotilinato diluito 1:200 (goat anti-rabbit IgG per il JNK e goat anti-rabbit per NFKB). La reazione immunoistochimica è stata eseguita utilizzando il kit Vector's Vectastain ABC (Burlingame, CA) e Sigma Fast 3,3'-diaminobenzidine come substrato (Sigma, St. Louis, MO). Le sezioni sono state contrastate con ematossilina. 4.4. Microscopia Elettronica a Trasmissione Frammenti di tessuto di circa 1 mm3 sono stati immersi in un fissativo consistente di 2% glutaraldeide e 2% formaldeide in in tampone fosfato 0,1M, PH 7,4 per 4 ore. Essi sono stati poi lavati con tampone fosfato, postfissati in 1% di tetrossido di osmio per 60 minuti a 4°C, deidratati in acetone e inclusi in una miscela di Epon e Araldite. Sezioni ultrasottili di 2 µm sono state ottenute mediante un MTX ultramicrotomo (RMC, Tucson, AZ, USA), colorate con citrato di piombo, ed esaminate con un microscopio elettronico a trasmissione Philips CM 10 (Philips, Eindhoven, The Netherlands). Oltre alla valutazione dello stato d’infiammazione e dello stress cellulare (tramite l’osservazione di specifici organelli citoplasmatici) sono state 43 effettuate analisi morfometriche per valutare la dimensione del citoplasma, grandezza e numero dei mitocondri. 4.5. Analisi Statistica I risultati sono stati espressi come media ± errore standard (SEM). Le differenze tra i vari depositi sono state analizzate con il metodo one-way ANOVA (InStat, GraphPad; San Diego, CA). Le differenze tra i gruppi sono state considerate significative quando la P era ≤ 0,05. Le correlazioni lineari sono state calcolate con il metodo non parametrico di Spearman utilizzando il programma GraphPad Prism versione 3.00 per Windows. 4.6. Analisi parametri ematici Prima di perfondere gli animali, sono stati eseguiti prelievi ematici per la misurazione della glicemia, insulina ed HOMA. Le determinazioni di tali valori sono state eseguite in collaborazione con la Clinica Medica dell’ Università di Trieste (Dr Barazzoni). La glicemia è stata valutata mediante kit one touch profile Johnson & Johnson Ortho diagnostic system SpA. L’insulinemia è stata rilevata laboratoristicamente dalla Clinica Medica dell’Università di Trieste. 44 5. Risultati 5.1 Parametri Ematici Topi obesi ob/ob e db/db di 14 settimane sono stati confrontati con topi magri di controllo rispettivamente ob/+ e db/+, per valutare le differenze fra i diversi ceppi di alcuni parametri fenotipici e metabolici associati all’obesità: peso corporeo, peso dei singoli depositi adiposi, glicemia, insulinemia e indice HOMA (insulino resistenza). Il peso corporeo dei due ceppi di animali obesi (ob/ob e db/db) non era significativamente differente, ma entrambi i modelli erano significativamente più pesanti (P=0,001) dei rispettivi controlli di 2,3 volte come mostrato in Figura 5.1. Come si può osservare dalla tabella 5.1 l’adiposità in entrambi i ceppi di animali obesi è significativamente maggiore rispetto i controlli magri (P< 0,001). Il peso del tessuto adiposo inguinale dei due ceppi di animali obesi non era significativamente differente mentre il tessuto adiposo omentale e mesenterico di topi db/db era significativamente più pesante rispetto quello dei topi ob/ob: di 1,46 volte per l’omentale e di 1,22 volte per il mesenterico (Tabella 5.1). 60 *** *** body weight (g) 50 40 db/db db+ 30 ob/ob ob+ 20 10 0 Figura 5.1: Peso (g) degli animali al momento del sacrificio. Media ± SEM. *** P< 0,001. 45 Tabella 5.1: Peso dei singoli depositi (omentale, mesenterico e inguinale). Il tessuto adiposo omentale dei topo db/db è significativamente più pesante (P <0,001) di 1,4 volte rispetto l’omentale dei topi ob/ob. Il tessuto adiposo mesenterico dei topi db/db è significativamente più pesante (P <0,001) di 1,22 volte rispetto l’omentale dei topi ob/ob. Il peso del sottocutaneo inguinale dei 2 ceppi non è significativamente differente La glicemia era significativamente aumentata solo nei topi db/db rispetto ai topi db/+ e ob/ob (Figura 5.2-A). L’insulinemia risultava significativamente maggiore nei topi obesi db/db rispetto ai topi db/+ e ob/ob. I livelli di insulina nei topi ob/ob erano lievemente aumentati sebbene le differenze con i controlli ob/+ non risultavano significative (Figura 5.2-B). L’indice HOMA (resistenza insulinica) indicava una chiara resistenza insulinica nei topi db/db statisticamente significativa rispetto ai topi db/+ e ob/ob (Figura 5.2-C). I dati di glicemia, insulinemia e HOMA sono quindi risultati significativamente maggiori nei topi db/db rispetto ai topi ob/ob. Questo è in linea con il fatto che il modello di obesità genetica db/db è associato ad una maggiore tendenza a sviluppare diabete di tipo 2 [73]. 46 *** *** Glucose (mg/dl) 300 250 200 ob/+ ob-ob 150 db/+ db-db 100 50 0 *** * *** 9 Insulin (ng/ml) 8 7 6 ob/+ 5 ob-ob 4 db/+ 3 db-db 2 1 0 *** 7 *** 6 5 HOMA ob/+ 4 ob-ob 3 db/+ Serie4 2 1 0 Figura 5.2: Nei topi db/db era significativamente più elevata la glicemia (A), l’insulina (B) e l’indice HOMA (C) rispetto ai topi db/+ e ai topi ob/ob mentre i topi ob/ob avevano solo l’insulina superiore rispetto ai topi ob/+. Una volta determinati i parametri metabolici associati alla condizione di obesità che insorge in questi modelli di obesità genetica, sono state analizzate le caratteristiche morfologiche del tessuto adiposo di questi topi. A questo scopo campioni dei vari depositi adiposi di questi animali sono stati sottoposti ad un’approfondita analisi morfologica. 47 5.2 Morfometria degli adipociti La microscopia ottica, l’immunoistochimica e l’analisi morfometrica dei depositi studiati (inguinale, mesenterico, omentale) ha evidenziato alcune importanti differenze tra i depositi viscerali e il sottocutaneo. Negli animali magri la dimensione degli adipociti è simile in tutti i depositi esaminati ma gli adipociti dei topi db/+ sono il 40% più grandi (Figura 5.3) degli adipociti dei controlli ob/+ (P<0.0001). Come atteso, in entrambi i ceppi geneticamente obesi ob/ob e db/db, gli adipociti sono più grandi in tutti i depositi rispetto ai loro controlli magri. Nei topi db/db gli adipociti del deposito omentale sono 7,04 volte più grandi rispetto al controllo, quelli del mesenterico sono 6,2 volte più grandi e quelli del sottocutaneo ben 8,1 volte più grandi . Anche gli adipociti dei topi ob/ob sono più grandi di quelli dei topi magri di controllo e precisamente di 6.3 volte più grandi nel deposito omentale, di 7,5 volte nel deposito mesenterico e ben 9,4 volte nel sottocutaneo. Questi dati suggeriscono che la dimensione dell’adipocita è significativamente più grande nel deposito sottocutaneo rispetto al deposito viscerale in entrambe le specie obese ob/ob e db/db. **** **** 16000 14000 16000 12000 14000 10000 12000 ob/+ 10000 8000 ob/ob 6000 4000 2000 0 OM MES Mean adipocyte area (µm2) Mean adipocyte area (µm2) ob db ** ** 16000 16000 14000 14000 12000 12000 10000 10000 db/+ 8000 6000 db/db 4000 2000 0 OM ING MES ING Figura 5.3: In entrambi i ceppi di topi geneticamente obesi gli adipociti bianchi avevano dimensioni superiori rispetto quelle di topi magri. In confronto ai depositi viscerali, la dimensione media degli adipociti nel deposito sottocutaneo era maggiore in entrambi i topi obesi (8,1 volte nei db/db e 9,4 volte negli ob/ob). 48 5.3 Immunoistochimica mediante anticorpi anti P-JNK e NF-kB In un precedente lavoro il nostro gruppo ha dimostrato che macrofagi immunoreattivi per l’anticorpo anti-MAC-2 si dispongono intorno agli adipociti morti formando le CLS [61] e queste risultano più numerose nel tessuto adiposo viscerale che nel sottocutaneo in entrambi i ceppi di topi obesi. Queste osservazioni dimostrano un’accentuata prevalenza di adipociti morti e di infiltrazione macrofagica nei depositi viscerali rispetto al deposito sottocutaneo, pur essendo il tessuto adiposo viscerale costituito da adipociti molto più piccoli rispetto al sottocutaneo e nonostante la correlazione positiva costantemente riscontrata tra la dimensione dell’adipocita e la densità delle CLS sia nei depositi viscerali che sottocutanei [73]. E’ ormai ben noto che l’infiltrazione macrofagica sia responsabile dell’infiammazione cronica di basso grado che caratterizza l’organo adiposo di soggetti obesi e che porta all’insulino resistenza e al diabete di tipo 2. L’attivazione della cascata molecolare dell’infiammazione coinvolge due chinasi, P-JNK e NF-kB, la cui attività è determinante nell’insorgenza della condizione di insulino resistenza che precede il diabete di tipo 2 nelle cellule adipose (Figura 2.1). Abbiamo quindi analizzato, mediante immunoistochimica, l’espressione di P-JNK e NF-kB nel tessuto adiposo infiammato dei topi ob/ob e db/db. L’immunoistochimica mostra l'espressione di entrambe le proteine e sorprendentemente, entrambe le molecole associate a infiammazione cronica sono state localizzate a livello delle CLS, suggerendo che proprio esse possano essere la principale fonte di P-JNK e NF-kB (Figura 5.4). 49 NF-KappaB P-JNK Figura 5.4: L’immunoistochimica per PJNK e NF-kB mostra l'espressione di entrambe le proteine da parte dei macrofagi che formano le CLS. 5.4 Microscopia Elettronica 5.4.1 Morfometria del citoplasma Per studiare le alterazioni strutturali dell’adipocita in condizioni di obesità/diabete, abbiamo usato la microscopia elettronica allo scopo di indagare il citoplasma della cellula e l’ultrastruttura degli organuli citoplasmatici coinvolti nello stress cellulare (mitocondri e reticolo endoplasmatico). Lo spessore del citoplasma (calcolato come area del citoplasma/10microns di rima citoplasmatico) ha raggiunto valori molto piccoli nei depositi viscerali, (principalmente nel mesenterico, p <0,01) di animali obesi di entrambi i ceppi (Figura 5.5 e Figura 5.6). Poiché questa riduzione di citoplasma corrisponde all’aumento della densità di CLS sia nel sottocutaneo (r =- 0,47, p = 0,03) che nel tessuto adiposo viscerale (r =0,58, p<0,0001) (Figura 5.7), abbiamo studiato gli organuli citoplasmatici degli adipociti obesi. 50 CYTOPLASMIC THICKNESS * 35 30 25 µm ob/+ 20 ob-ob 15 db/+ db-db 10 5 0 SUBCUTANEOUS ADIPOSE TISSUE CYTOPLASMIC THICKNESS ** ** 35 30 25 µm ob/+ 20 ob-ob 15 db/+ db-db 10 5 0 MESENTERIC ADIPOSE TISSUE 35 CYTOPLASMIC THICKNESS 30 25 µm ob/+ 20 ob-ob 15 db/+ Serie4 10 5 0 OMENTAL ADIPOSE TISSUE Figura 5.5: Spessore del citoplasma (calcolato come area del citoplasma/10microns di rima citoplasmatico) nei depositi omentale, mesenterico ed inguinale di entrambi i modelli di obesità ob/ob e db/db, e dei rispettivi controlli magri (ob/+ e db/+). 51 A. db/+ B. db/db 1µm 1µm Figura 5.6: L’immagine di Microscopia Elettronica mostra una chiara riduzione dello spessore citoplasmatico nel tessuto adiposo mesenterico dei topi db/db (B) rispetto i controlli magri db/+ (A). (Barra= 1 µm). CYTOPLASMIC THICKNESS CYTOPLASMIC THICKNESS 2.5 2.5 R=-0.81 r =- P<0.0001 0,58 r =- 0,47 p = 0,03 2.0 2.0 1.5 1.5 1.0 1.0 0.5 0.5 p <0,0001 0.0 0.0 0 100 200 300 400 CLS density 500 0 250 500 750 1000 1250 CLS density A. Tessuto adiposo sottocutaneo B. Tessuto adiposo viscerale Figura 5.7: Correlazione statistica tra lo spessore del citoplasma e la densità di CLS nei depositi sottocutaneo (A) e viscerale (B). La correlazione lineare è stata calcolata mediante correlazione non parametrica (Spearman). (r= coefficient di Spearman; P= probabilità). 52 5.4.2 Morfometria dei mitocondri La presenza nella cellula adiposa di organuli citoplasmatici disfunzionanti contribuisce in modo determinante al deterioramento metabolico e alla risposta infiammatoria. I dati di microscopia elettronica hanno evidenziato che un adipocita su 400 mostrava reticolo endoplasmatico dilatato, mentre sono state osservate alterazioni evidenti dei mitocondri negli adipociti degli animali obesi, che risultavano di piccole dimensioni con creste rarefatte e presentavano qualche segnale di degenerazione. L'analisi morfometrica a livello ultrastrutturale ha infatti mostrato che l'area media dei mitocondri diminuisce in tutti i depositi adiposi, ma questa diminuzione è significativa solo nel mesenterico e nel tessuto adiposo omentale di entrambi i ceppi obesi (Figura 5.8). Non vi è stata diminuzione significativa della densità dei mitocondri (non mostrato), calcolata come numero di mitocondri presenti nel citoplasma libero da gocce lipidiche, ma nel tessuto adiposo mesenterico e omentale è stata osservata una diminuzione significativa della percentuale di superficie citoplasmatica libera da gocce lipidiche occupata dai mitocondri (Figura 5.8). 53 mean mitochondria area 2 1,8 1,6 1,4 1,2 1 0,8 0,6 0,4 0,2 0 mean % of cytoplasmic area occupied by mitochondria 40 35 30 % µm2 25 20 15 10 5 0 SUBCUTANEOUS ADIPOSE TISSUE SUBCUTANEOUS ADIPOSE TISSUE mean mitochondria area mean % of cytoplasmic area occupied by mitochondria *** *** 2 1,8 1,6 1,4 1,2 1 0,8 0,6 0,4 0,2 0 35 25 ob-ob 20 15 db/+ 10 5 0 MESENTERIC ADIPOSE TISSUE mean mitochondria area ** ** db-db mean % of cytoplasmic area occupied by mitochondria * ** 40 35 30 25 % µm2 ob/+ 30 MESENTERIC ADIPOSE TISSUE 2 1,8 1,6 1,4 1,2 1 0,8 0,6 0,4 0,2 0 *** 40 % µm2 *** 20 15 10 5 0 OMENTAL ADIPOSE TISSUE OMENTAL ADIPOSE TISSUE Figura 5.8: Media dell’area dei mitocondri (nei grafici di sinistra) e % di superficie citoplasmatica occupata dai mitocondri (nei grafici di destra) nei depositi sottocutaneo, mesenterico e omentale. Per quanto riguarda l’area media dei mitocondri abbiamo trovato che questa correla, sia nel viscerale che nel sottocutaneo, con la glicemia, insulinemia e HOMA (Figura 5.9). Invece, la percentuale di superficie citoplasmatica libera da gocce lipidiche occupata dai mitocondri correla con l’insulinemia in entrambi i depositi, e con la glicemia ed HOMA solo nel viscerale (Figura 5.10). 54 2.0 glycaemia 1.75 1.5 1.0 r=-0,60 1.50 p=0,006 1.25 r=-0.73 p=0.0004 1.00 0.75 0.5 0.50 0.25 0.0 0 100 200 300 400 0.00 0 mean mitochondria area 100 200 300 400 mean mitochondria area 2.0 1.75 insulin 1.5 r=-0,49 1.50 p=0,003 1.25 r=-0,87 1.00 1.0 p<0,0001 0.75 0.5 0.50 0.25 0.0 0.0 2.5 5.0 7.5 10.0 0.00 0.0 12.5 mean mitochondria area HOMA 5.0 7.5 10.0 12.5 mean mitochondria area 10.0 10.0 7.5 2.5 r=-0.56 7.5 p=0.01 r=-0.81 p<0.0001 5.0 5.0 2.5 2.5 0.0 0.00 0.25 0.50 0.75 1.00 1.25 1.50 1.75 0.0 0.00 0.25 0.50 0.75 1.00 1.25 1.50 1.75 mean mitochondria area mean mitochondria area A. Tessuto Adiposo Sottocutaneo B. Tessuto Adiposo Viscerale Figura 5.9: Correlazione statistica tra l’area media dei mitocondri e la glicemia, insulina e HOMA nei depositi sottocutaneo (A) e viscerali (B). La correlazione lineare è stata calcolata mediante correlazione non parametrica (Spearman). (r= coefficient di Spearman; P= probabilità). 55 400 300 300 glycaemia glycaemia 400 200 100 r=-0.54 p=0.01 200 100 0 0 0 10 20 30 40 50 0 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 -1 r=-0.59 p=0.007 0 10 20 30 10 20 30 40 mean % of cytoplasmic area insulin insulin mean % of cytoplasmic area 40 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 r=-0.67 p=0.001 0 50 10 20 30 40 mean % of cytoplasmic area mean % of cytoplasmic area 10.0 10.0 r=-0.68 7.5 HOMA HOMA 7.5 5.0 p=0.001 5.0 2.5 2.5 0.0 0.0 0 10 20 30 40 50 mean % of cytoplasmic area A. Tessuto Adiposo Sottocutaneo 0 10 20 30 40 mean % of cytoplasmic area B. Tessuto Adiposo Viscerale Figura 5.10: Correlazione statistica tra la percentuale di superficie citoplasmatica libera da gocce lipidiche occupata dai mitocondri e la glicemia, insulina e HOMA nei depositi sottocutaneo (A) e viscerali (B). La correlazione lineare è stata calcolata mediante correlazione non parametrica (Spearman). (r= coefficient di Spearman; P= probabilità) 56 6. Discussione Le più recenti scoperte relative alla condizione di obesità evidenziano la sua costante associazione con l’insulino resistenza e il diabete di tipo 2 [61]. Si calcola che circa l’ 85% dei soggetti con diabete T2 siano anche obesi o in sovrappeso [88, 89]. La causa di tale associazione non è completamente nota. Recentemente è stata enfatizzata l’ ipotesi che alla base dell’insorgenza dell’insulino resistenza e del diabete di tipo 2 ci sia uno stato di lieve infiammazione cronica dovuto all’infiltrazione dell’organo adiposo da parte di macrofagi che si dispongono in maniera circolare attorno agli adipociti morti formando strutture denominate CLS (crown-like structures) [90]. Questa infiltrazione di macrofagi sarebbe causata dalla morte degli adipociti dovuta all’eccessiva ipertrofia delle cellule adipose obese [61, 73]. I residui delle cellule morte sarebbero riassorbiti lentamente dai macrofagi, peraltro attirati nell’ organo anche da chemoattrattanti prodotti dalle cellule adipose stressate. Un esempio di tali chemochine è rappresentato dall’ MCP1. Topi knockout per tale proteina sono protetti dall’ infiltrazione macrofagica dopo dieta obesogena, mostrano una riduzione dell’espressione dei geni infiammatori e un miglioramento della sensibilità insulinica rispetto agli animali di controllo, suggerendo il contributo dei macrofagi nell’insulino resistenza indotta da obesità [91]. L’eccessiva ipertrofia e lo stress cellulare che ne consegue, alterano la funzione endocrina e metabolica della cellula adiposa portando ad un aumento del rilascio di acidi grassi, ormoni e molecole proinfiammatorie (chiamate “adipochine” ) come TNF-α e IL-6, che contribuiscono allo svilupparsi di tutte quelle complicanze correlate all’insorgenza della Sindrome metabolica. Anche i macrofagi infiltranti sarebbero responsabili della produzione di citochine infiammatorie in grado di interferire con il recettore insulinico e 57 quindi responsabili dell’insulino resistenza negli adipociti [59]. Tali citochine sono rappresentate soprattutto dal fattore alfa di necrosi tumorale (TNFα) e dall’interleukina 6 (IL6) [59, 60]. Esse agiscono sul substrato 1 del recettore insulinico (IRS-1), impedendone la sua fosforilazione e inibendo il signaling insulinico. Altre due importanti molecole associate all’ infiammazione cronica, che contribuiscono direttamente allo sviluppo dell’insulino resistenza inibendo l’azione dell’insulina attraverso la fosforilazione di IRS-1, sono P-JNK e NF-kB [45, 46]. L’analisi di immunoistochimica che abbiamo eseguito per visualizzare l’espressione di P-JNK e NF-kB nel tessuto adiposo dei topi obesi, mostra in entrambi i ceppi la presenza delle due chinasi sorprendentemente localizzate a livello delle CLS (Figura 5.4). La positività riscontrata a livello delle CLS potrebbe essere attribuita alla presenza di residui citoplasmatici adipocitari all’ interno dei fagosomi nel citoplasma dei macrofagi infiltranti il tessuto adiposo dei topi obesi. Un’altra ipotesi potrebbe essere che la stessa CLS, piuttosto che l’adipocita maturo, sia la principale fonte di P-JNK e NF-kB. Questo sottolinea l’importanza della formazione delle CLS come conseguenza della morte dell’adipocita nello sviluppo di patologie metaboliche associate all’obesità. Alcune delle citochine coinvolte nella patogenesi dell’insulino resistenza (TNF-α, IL-6 e iNOS) sembrano essere più abbondantemente espresse nei macrofagi contenuti nella frazione stroma-vascolare del tessuto adiposo rispetto alla frazione contenente adipociti maturi, suggerendo che i macrofagi e non gli adipociti, sono i principali produttori di citochine responsabili dell’insorgenza di insulino resistenza [59, 60]. Recenti esperimenti hanno confermato che il TNF-α e IL-6 sono confinati nelle aree di topi obesi del tessuto adiposo che contengono macrofagi [74]. 58 In linea con questi dati vi è la coincidenza tra l’infiltrazione macrofagica e la conseguente comparsa di insulino resistenza sia nei topi con obesità indotta da dieta che con obesità genetica, dove l’infiltrazione macrofagica si verifica dopo l’incremento dell’adiposità, ma prima della comparsa dell’insulino resistenza [60]. Per rispondere alla domanda riguardante l’effetto “macrofago-specifico” sul signaling-insulinico, diversi studi pubblicati recentemente hanno utilizzato sistemi di delezione di specifici caratteri macrofagici per studiare il loro contributo nello sviluppo del fenotipo infiammatorio che caratterizza l’obesità. Per esempio, compromettendo la funzionalità dei macrofagi attraverso la delezione di alcune proteine che svolgono funzioni specifiche (come Cbl-associated protein, recettore chemoattrattante CCR2, FABP4 e TLR4) si osserva una riduzione dell’infiammazione e dell’insulino resistenza [94, 95-97]. Studi fatti su modelli di topi obesi depletati delle cellule immunitarie CD11c+ (che includono macrofagi e neutrofili) mostrano un miglioramento della sensibilità insulinica [98]. Questi dati sembrano mettere in evidenza come il sistema immunitario con la sua azione infiammatoria sia in grado di dare un notevole contributo alla distruzione della funzione metabolica della cellula adiposa tanto che, quando i mediatori infiammatori vengono rimossi, si osserva un miglioramento del signaling insulinico. In definitiva, l’inibizione del signaling insulinico che compromette la funzione metabolica dell’adipocita è determinata da complesse interazioni tra adipociti ed effettori immunitari (macrofagi) che generano uno stato di infiammazione cronica nel tessuto adiposo di topi obesi. Comunque, ulteriori studi sono necessari per definire quale sia l’intervento dei macrofagi nel signaling insulinico. L’ipotesi secondo cui l’infiammazione causa l’insorgenza della resistenza insulinica non contrasta con i dati da noi riportati, infatti nulla vieta che i 59 fenomeni iniziali che inducono la resistenza insulinica siano proprio dovuti allo stato infiammatorio dell’ organo adiposo. D’altra parte, sarebbe ben difficile spiegare in via alternativa la coincidenza dell’insorgenza dell’infiltrazione infiammatoria con la comparsa della resistenza insulinica [33, 34, 46] e il maggior contributo del grasso viscerale coincidente con maggior stato infiammatorio di questo [46, 63, 64]. La ben nota associazione tra accumulo di grasso viscerale e incidenza dei disturbi associati all’obesità come il diabete, ipertensione e malattie cardiovascolari è confermata dai nostri dati. Infatti, in entrambi i ceppi di topi obesi l’aumento di peso corporeo è significativamente maggiore rispetto ai controlli (Figura 5.1), ma solo nei topi db/db è associato ad un aumento significativo di glicemia, insulinemia e resistenza insulinica (Figura 5.2). Questo dato è spiegato dalla maggiore adiposità viscerale dei topi db/db rispetto gli ob/ob. Infatti, mentre il peso del deposito inguinale è molto simile in entrambi i ceppi, i depositi viscerali sono significativamente maggiori nei topi db/db (Tabella 5.1), dove i parametri metabolici di obesità sono più elevati. Anche lo stato infiammatorio (misurato come densita’ di CLS) dei depositi viscerali dei db/db è risultato maggiore che negli ob/ob (di 3,4 volte) [73] in linea con la maggiore propensione dei db/db a sviluppare disordini metabolici come insulino resistenza e diabete di tipo 2 [93]. I nostri dati quindi confermano una situazione di metabolismo glucidico peggiore nei db/db, che infatti risultano diabetici, evidenziando un maggior stato infiammatorio del grasso viscerale. La microscopia ottica e l’analisi morfometrica dei depositi studiati (inguinale, mesenterico, omentale) ha mostrato alcune importanti differenze tra i depositi viscerali e il sottocutaneo dei due ceppi di animali geneticamente obesi. 60 Come atteso, sia nei topi ob/ob che nei db/db, gli adipociti sono più grandi in tutti i depositi rispetto ai loro controlli magri ob/+ e db/+ e in particolare, la dimensione dell’adipocita è significativamente più grande nel deposito sottocutaneo rispetto al deposito viscerale in entrambi i modelli di obesità (Figura 5.3). La scoperta che nel grasso viscerale la dimensione degli adipociti è più piccola e gli adipociti morti (misurati come densità di CLS) sono significativamente più numerosi [73] che nel deposito sottocutaneo, suggerisce che gli adipociti viscerali e i sottocutanei presentano una diversa predisposizione alla morte. Le cellule adipose viscerali sembrano avere una dimensione critica che induce alla morte (CDS) inferiore a quella degli adipociti del sottocutaneo e quindi la loro morte di fronte ad un forzato aumento di dimensioni, quale si osserva in ambiente obesogeno, avviene più precocemente [65]. In altre parole gli adipociti viscerali non avrebbero le stesse capacità espansive degli adipociti sottocutanei e questo li condurrebbe più precocemente alla morte da ipertrofia. Al fine di mettere in evidenza quelli che sono i meccanismi che conducono gli adipociti obesi alla morte e che possono quindi spiegare la loro diversa suscettibilità verso la morte cellulare nei diversi depositi adiposi, abbiamo indagato mediante microscopia elettronica l’ultrastruttura dell’adipocita in entrambi i modelli di obesità. Sia nei topi db/db che negli obesi ob/ob, lo spessore del citoplasma raggiunge valori molto piccoli nei depositi viscerali e principalmente nel mesenterico (Figura 5.5). Poiché questa riduzione di citoplasma corrisponde sia nel sottocutaneo che nel tessuto adiposo viscerale all’aumento della densità di CLS (Figura 5.7), abbiamo studiato gli organuli citoplasmatici degli adipociti obesi. La presenza di organuli citoplasmatici disfunzionanti nella cellula adiposa contribuisce in modo determinante al deterioramento metabolico e alla 61 risposta infiammatoria. E’ noto che l'eccesso di nutrienti può scatenare lo stress del RE, che è direttamente legato all’attivazione di pathways infiammatori che bloccano l'azione dell'insulina e regolano a livello trascrizionale la produzione di citochine infiammatorie. Inoltre, anche le specie reattive dell'ossigeno (ROS), che vengono prodotte durante lo stress degli organuli citoplasmatici e in presenza di disfunzione mitocondriale, possono contribuire a questo ciclo di risposta infiammatoria allo stress. Sulla base di queste informazioni, abbiamo indagato l’ultrastruttura del reticolo endoplasmatico e sorprendentemente, i dati di microscopia elettronica hanno evidenziato che solo un adipocita su 400 mostrava reticolo endoplasmatico dilatato. Sono state invece osservate evidenti alterazioni dei mitocondri che sono risultati di piccole dimensioni con creste rarefatte e caratterizzati da qualche segnale di degenerazione. L'analisi morfometrica a livello ultrastrutturale ha inoltre mostrato che l'area media dei mitocondri diminuisce in tutti i depositi adiposi, ma in modo significativo solo nel mesenterico e nel tessuto adiposo omentale di entrambi i ceppi obesi (Figura 5.8). Negli stessi depositi, mentre la densità dei mitocondri non si riduce in modo significativo, la percentuale di superficie citoplasmatica libera da gocce lipidiche e occupata da mitocondri è significativamente minore (Figura 5.8). Le alterazioni sopra descritte sono probabilmente in relazione alla riduzione della quantità di citoplasma, infatti dalle nostre osservazioni risulta che la quantità di citoplasma correla con la dimensione dei mitocondri e con la percentuale di superficie citoplasmatica libera da gocce lipidiche da essi occupata, sia nel tessuto adiposo sottocutaneo che viscerale (Dati supplementari - Figura 7.1). E' interessante notare che queste alterazioni mitocondriali sono state trovate nei depositi viscerali, sito prevalente della morte degli adipociti e dell’infiltrazione macrofagica. 62 Per quanto riguarda la correlazione tra queste alterazioni ultrastrutturali e i parametri metabolici di obesità, abbiamo osservato che: 1) la riduzione dell’area media dei mitocondri correla con la glicemia, l’insulinemia e l’HOMA sia nel viscerale che nel sottocutaneo (Figura 5.9); 2) lo spessore citoplasmatico correla con glicemia, insulinemia e HOMA solo nei depositi viscerali (Dati supplementari - Figura 7.2); 3) la percentuale di superficie citoplasmatica libera da gocce lipidiche occupata dai mitocondri correla con l’insulinemia in entrambi i depositi, e con glicemia ed HOMA solo nel viscerale (Figura 5.10). Questi dati suggeriscono che il forzato aumento della dimensione degli adipociti obesi determina una riduzione dello spessore citoplasmatico che a sua volta causerebbe alterazioni mitocondriali che probabilmente portano alla morte l’adipocita obeso. Tutte queste alterazioni correlano con la densità delle CLS (Dati supplementari - Figura 7.3) che è significativamente più elevata nei depositi viscerali che nel deposito sottocutaneo. Inoltre, i nostri dati evidenziano che questo fenomeno è più marcato nel tessuto adiposo viscerale, anche se la dimensione raggiunta dagli adipociti obesi viscerali è minore rispetto alla dimensione degli adipociti obesi sottocutanei. La ridotta dimensione critica che induce alla morte (CDS) l’adipocita viscerale e che spiega la maggiore predisposizione del tessuto adiposo viscerale all’infiltrazione macrofagica, potrebbe essere responsabile dell’infiammazione di alto grado che si osserva in questo deposito nei soggetti obesi. Questo fattore potrebbe essere il link tra obesità viscerale e sindrome metabolica. La minore dimensione degli adipociti viscerali rispetto a quelli del sottocutaneo è nota da tempo ma non se ne conosce ancora la ragione così come non è stato ancora spiegato il loro inferiore CDS. Quale sia il motivo 63 della minore espandibilità del viscerale resta ignoto, ma alcuni dati riportano alla plasticità dell’ organo adiposo. E’ stato ipotizzato che gli adipociti viscerali potrebbero avere un’origine differente dagli adipociti del sottocutaneo, potrebbero quindi derivare, almeno in parte, da una transdifferenziazione degli adipociti bruni in adipociti bianchi (Figura 2.7). Infatti è ben noto che il BAT trasformato in WAT presenta adipociti più piccoli del WAT classico [77]. Il nostro gruppo ha dimostrato (dati ancora non pubblicati) che in condizioni fisiologiche l’esposizione di topi a diverse temperature porta gli adipociti ad assumere dimensioni differenti; essi diventano più piccoli se esposti al freddo e più grandi se esposti al caldo ed inoltre le CLS (e quindi gli adipociti morti) sono più presenti negli animali che sono esposti al caldo e che hanno adipociti più grandi. Sulla base di questi dati, è stato suggerito che gli adipociti bianchi derivati dalla trasformazione di adipociti bruni sono più piccoli e meno espandibili degli adipociti bianchi classici (tipici del sottocutaneo) e quindi raggiungono prima la dimensione critica che induce alla morte [65]. E’ stata quindi avanzata l’ipotesi che il tessuto adiposo viscerale sia costituito da adipociti più piccoli perchè derivati dalla transdifferenziazione degli adipociti bruni. Queste cellule avrebbero una CDS minore perché hanno una differente origine rispetto agli adipociti bianchi. Riassumendo, pur non essendo ancora chiaro il meccanismo alla base della morte degli adipociti, sembrerebbe strettamente correlato all’ipertrofia adipocitaria che determina una condizione di stress cellulare che porta la cellula adiposa alla morte, fenomeno che è il primum movens dell’infiammazione, causa di insulino resistenza e diabete di tipo 2. Sulla base di questi presupposti, intendiamo approfondire lo studio dell’origine degli adipociti viscerali e della possibilità che essi derivino da adipociti bruni secondo il fenomeno della transdifferenziazione bianco64 bruno. Questi studi potrebbero aprire nuovi orizzonti per lo sviluppo di trattamenti farmacologici mirati ad attenuare l’ipertrofia degli adipociti prevenendo l’innesco del processo infiammatorio del tessuto adiposo e la conseguente insorgenza della condizione di resistenza insulinica e diabete. Quindi, modulare i fenomeni di transdifferenziazione bianco-bruno potrebbe essere efficace non solo per combattere l’ obesità ma anche per trattare le patologie metaboliche ad essa correlate inducendo la riduzione delle dimensioni degli adipociti e ridimensionando di conseguenza il processo infiammatorio. 65 7. Dati supplementari A. SUBCUTANEOUS TISSUE ADIPOSE B. VISCERAL ADIPOSE TISSUE Figura 7.1: Correlazione tra spessore citoplasmatico e area media dei mitocondri e percentuale di superficie citoplasmatica libera da gocce lipidiche occupata dai mitocondri nel Tessuto adiposo sottocutaneo (A) e viscerale (B). 66 A. SUBCUTANEOUS TISSUE ADIPOSE B. VISCERAL ADIPOSE TISSUE Figura 7.2: Correlazione tra spessore citoplasmatico e Glicemia, Insulinemia e HOMA nel Tessuto adiposo sottocutaneo (A) e viscerale (B). 1.75 R=-0.56 P=0.01 1.5 1.0 0.5 0.0 0 100 200 300 400 500 R=-0.86 P<0.0001 1.50 mean mitochondria area mean mitochondria area 2.0 1.25 1.00 0.75 0.50 0.25 0.00 0 250 500 750 1000 CLS density CLS density A. SUBCUTANEOUS TISSUE ADIPOSE B. VISCERAL ADIPOSE TISSUE Figura 7.3: Correlazione tra area mitocondriale media e densità di CLS nel Tessuto adiposo sottocutaneo (A) e viscerale (B). 67 1250 8. Bibliografia 1 Cinti S. (1999). The Adipose Organ. Ed. Kurtis, Milano. 2 Murano I. (2009). Noradrenergic parenchymal nerve fiber branching after cold acclimatisation correlates with brown adipocyte density in mouse adipose organ. J Anat. 214(1):171-8. 3 Murano I. (2005). The Adipose Organ of Sv129 mice contains a prevalence of brown adipocytes and shows plasticity after cold exposure. Adipocytes 1(2):121-30. 4 Greenberg AS. (1991). 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