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Business disperato
Anno 6 numero 36.
Febbraio 2006.
€ 3,50
valori
Mensile di economia sociale e finanza etica
osservatorio
nuove
povertà
FRANCESCO COCCO / CONTRASTO
Parte da messina il reportage
economico in collaborazione
con Caritas Italiana sui nuovi fenomeni
che rappresentano un’emergenza
per il Paese e l’intera società
Fotoreportage > Harraga
Dossier > Lo scandalo dei Centri di detenzione temporanea dei migranti
Business disperato
Wto > In gioco molto danaro e potere. Ma anche la vita delle persone
Finanza etica > I tanti volti delle assicurazioni etiche in Europa
Economia solidale > La carovana della speranza che libera dalla mafia
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento
| editoriale |
Cpt: il buco nero
della legalità
di Tana de Zulueta
L
POSTE
L’AUTRICE
Tana de Zulueta è nata a Bogotà,
in Colombia, da padre spagnolo
e da madre inglese. Si è laureata
in archeologia e antropologia
a Cambridge, nel Regno Unito,
nel 1972, con una tesi su
“Il sistema delle caste in India”.
Corrispondente a Roma del Sunday
Times per dieci anni, dal 1977
al 1987 (lasciò il giornale quando
lo comprò Murdoch), ha svolto
la medesima funzione
per The Economist dal 1987 al 1996.
Dall’aprile del 1996 è membro
del Senato della Repubblica, eletta
nel primo collegio di Roma. Come
membro della Commissione Antimafia,
è stata relatrice del rapporto
sul traffico di persone approvato
il 5 dicembre 2000. Dal 1996 al 2001,
è stata vice presidente dell’Assemblea
Parlamentare dell’OSCE.
Rieletta nel maggio 2001 nella lista
dell’Ulivo, è stata membro della
commissione Affari Esteri dal 2001
al 2005. Attualmente è iscritta
al gruppo dei Verdi ed è membro
della commissione speciale per i Diritti
Umani e della commissione Difesa.
UOGHI DI NON DIRITTO. VERI E PROPRI BUCHI NERI DELLA LEGALITÀ. Sui quali bisogna chiudere gli occhi.
Dopo la pubblicazione nel 2004 del Libro Bianco sui Cpt da parte di Medici Senza Frontiere,
che denunciava in modo circostanziato le molte manchevolezze dei centri e anche i diritti
negati a molti degli intervistati, è stata disposta una chiusura ermetica dei centri. Non entrano
né i consiglieri regionali, né quelli comunali, né le associazioni che si occupano dei diritti
dei migranti, come l’Arci, e nemmeno le più importanti organizzazioni non governative
che si occupano di diritti umani a livello internazionale, come Medici senza Frontiere,
Human Rights Watch e Amnesty International.
Per tentare di rimediare a questa situazione anomala ma anche preoccupante, un gruppo
di parlamentari dell’opposizione si è costituito in task force per visitare tutti i Cpt d’Italia
e preparare un nostro libro bianco sull’argomento. Lavorando in rete con associazioni
ed anche avvocati, abbiamo messo insieme un sostanzioso dossier che mette a nudo molte
cose, a cominciare dalla sostanziale inefficacia dei Cpt, anche al fine dichiarato di assicurare
le espulsioni delle persone che si trovano illegalmente in Italia. Sono strutture costose
(con enormi ed inspiegabili variazioni di costo), sottratte alle normali procedure di controllo
della spesa della pubblica amministrazione. E sono anche un affare, soprattutto nelle regioni
dove manca il lavoro. Ad Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone, il Cpt ed annessi centri
di accoglienza ed identificazione sono i primi datori di lavoro della zona. La piccola Calabria
ha ben due Cpt: l’altro è a Lamezia Terme, dove il suo amministratore dichiara con orgoglio
che dà lavoro a 20 persone. Per tenerlo pieno, come quello di Crotone, gli ospiti arrivano
in pullman o aereo: gruppi di persone incappate in qualche retata, molte altre sbarcate
in Sicilia, o richiedenti asilo provenienti da altre regioni d’Italia.
Visitando campi e centri su e giù per l’Italia abbiamo constato che Pisanu (come
sicuramente sa) ha torto: l’illegalità sta proprio dentro i Cpt. Come visitatore ne sono
stata ripetutamente testimone.
L’esempio più eclatante è quello di Lampedusa, ormai una leggenda nera in Europa.
Ad ottobre dell’anno scorso sono stata testimone oculare di uno spettacolo avvilente:
più di cento uomini caricati con i polsi legati su un aereo diretto in Libia. Nessuno di loro
sapeva dove andava. Non esistevano decreti di espulsione, non avevano visto un giudice
e tanto meno un avvocato. Nessuno li aveva informati della possibilità di fare ricorso.
Per la nostra polizia erano egiziani, e questo in base alla segnalazione dell’interprete
del campo, che li ha identificati in base all’accento. Dopo la trasmissione in televisione
di immagini da Lampedusa il governo si è difeso dicendo che le fascette di plastica non sono
manette. Rispondo: sono peggio, se vengono tirate tagliano la carne.
Di Lampedusa si è occupato anche il Parlamento Europeo, che ha votato una risoluzione
invitando il nostro governo a non ripetere le espulsioni collettive verso la Libia. Anche la Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo è intervenuta, ingiungendo al nostro governo di non espellere
11 ricorrenti in Libia, dove ritenevano di correre il rischio, palesemente non infondato,
di essere esposti al pericolo di trattamenti degradanti.
Se qualcuno commette un reato anche grave in Italia e viene colto in flagrante
nessuno lo può rinchiudere senza la convalida di un giudice. Ma lo straniero che incappa
nell’arcipelago oscuro dei nostri Cpt può scomparire, anche per mesi.
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ANNO 6 N.36
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FEBBRAIO 2006
| valori | 3 |
| sommario |
febbraio 2006
mensile
www.valori.it
anno 6 numero 36
Registro Stampa del Tribunale di Milano
n. 304 del 15.04.2005
editore
Società Cooperativa Editoriale Etica
Via Copernico, 1 - 20125 Milano
promossa da Banca Etica
soci
Fondazione Culturale Responsabilità Etica,
Arci, TransFair Italia, Mag 2, Editrice Monti,
Fiba Cisl Nazionale, Cooperativa Sermis, Ecor,
Cnca, Fiba Cisl Brianza, Agemi, Publistampa,
Federazione Trentina delle Cooperative,
Rodrigo Vergara, Fondazione Fontana
“Harraga” significa bruciatori:
i clandestini bruciano
i loro documenti per non essere
rispediti nei loro paesi di origine.
Vivono nella speranza
di raggiungere l’Europa.
Tangeri, 2005
bandabassotti
7
fotoreportage. Harraga
8
dossier. Cpt
Un grande business sulla pelle dei migranti
«Arrivano grandi opportunità» [INTERVISTA A MARIA PIA MENDOLA ]
L’industria della detenzione si fa strada anche in Italia
16
18
21
22
Giuseppe Chiacchio (presidente),
Danilo Guberti, Mario Caizzone
lavanderia
27
direttore editoriale
finanzaetica
Assicurazioni, una storia di lotta di classi. Ma questa volta solo di merito
L’assicurazione ha paura dei cambiamenti climatici
28
30
32
bruttiecattivi
36
osservatorionuovepovertà
37
38
40
consiglio di amministrazione
Sabina Siniscalchi, Sergio Slavazza,
Stefano Biondi, Pino Di Francesco
Fabio Silva ([email protected])
collegio dei sindaci
BANCA
ETICA
FRANCESCO COCCO/CONTRASTO
valori
Sabina Siniscalchi ([email protected])
direttore responsabile
Andrea Di Stefano ([email protected])
redazione ([email protected])
Via Copernico, 1 - 20125 Milano
Paola Baiocchi, Francesco Carcano,
Michele Mancino, Sarah Pozzoli,
Cristina Artoni, Elisabetta Tramonto
revisione testi
Silvia Calvi
progetto grafico e impaginazione
Nel cuore debole di Messina. Poveri si nasce ma a volte lo si diventa
In fuga cittadini e e imprese. Turismo e vivai i settori forti
internazionale
La lunga mano delle multinazionali sui sussidi agricoli
Fine primo round. In palio potere, denaro e vite umane [INTERVISTA A ANDREA BARANES ]
50
52
54
stampa
macroscopio
57
Publistampa Arti grafiche
Via Dolomiti 12, Pergine Valsugana (Trento)
economiasolidale
Nel cuore del Senegal le impronte della finanza etica
La carovana per liberare la vita e la mente
58
60
63
utopieconcrete
65
altrevoci
66
stilidivita
72
numeridivalori
77
padridell’economia
82
Francesco Camagna ([email protected])
Simona Corvaia ([email protected])
fotografie
Francesco Cocco, Paolo Pellegrin
(Contrasto/Magnum Photos)
distributore nazionale
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abbonamento
10 numeri 30,00 euro ˜ sostenitore 60,00 euro
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ANNO 6 N.36
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FEBBRAIO 2006
| valori | 5 |
| bandabassotti |
Depuratori sporchi
La grande tangentopoli
della Calabria
di Giovanni Vignali
N
ETICA SGR
BANCA
DI
LEGNANO
ON C’È NESSUN FURBETTO DEL QUARTIERINO, nell’indagine per truffa ambientale denominata Poseidone che ha
portato i magistrati di Catanzaro Luigi De Magistris e Isabella De Angelis a seguire una pista che, dal mare
malato di Calabria, li ha condotti al Nord, verso le stanze della politica che conta, verso Roma e Milano.
Tutto è iniziato con una segnalazione alla Corte dei Conti: 700 depuratori, uno ogni mille metri,
a fronte di spiagge sporche e un litorale in agonia non si possono liquidare come il solito pasticcio
all’italiana. Da otto anni in Calabria vige il regime di “emergenza” ambientale che - dal 1997 al 2004 ha fatto confluire sulla Regione la cifra ragguardevole di 925 milioni di stanziamenti pubblici. Una torta
sostanziosa in una terra nella quale la zona grigia fra politica, affari e malavita è un argomento del quale
solo di recente si inizia a parlare apertamente. Nessun immobiliarista venuto dal nulla o raider
spregiudicato avrebbe potuto infilarsi nelle maglie di questo meccanismo, non in Calabria. 45 chilometri
di costa risultavano quest’estate “permanentemente non balneabili”: una striscia bianca e schiumosa
larga 80 centimetri emergeva ogni giorno a poca distanza dal bagnasciuga. Come sono stati spesi
i 337 milioni di euro che tra il 2001 e il 2005 avrebbero dovuto “ripulire” la Calabria?
Dalle carte di Poseidone emerge che la struttura che doveva sorvegliare sul buon uso delle risorse
pubbliche che arrivavano in Calabria si sarebbe invece trasformata in una sorta di centrale
di distribuzione di denaro e opere pubbliche da “realizzare
Settecento depuratori, uno ogni in deroga alle norme, nazionali e comunitarie, a tutela
mille metri, a fronte di spiagge
della concorrenza e trasparenza”. Impianti usati per distribuire
sporche e un litorale in agonia
tangenti; consulenze gonfiate per strutture rimaste
non si possono liquidare come
solo sulla carta, collaudi mai eseguiti, costi spropositati,
il solito pasticcio all’italiana
progetti incompleti.
costato 925 milioni di euro
Un affare illecito da 200 milioni, secondo la ricostruzione
di un superteste che ha svelato, davanti ai magistrati, il modus operandi attraverso il quale il denaro
che da Bruxelles arrivava a Reggio Calabria si fermava, in percentuali dal 3 al 7 per cento, fra mani piccole
e grandi, calabresi e romane. Con tanto di nomi e cognomi di referenti politici di calibro nazionale,
pure loro oggi indagati. Fabio Schettini, già assistente del vicepresidente della Commissione europea
Franco Frattini; Giovanbattista Papello, consigliere dell’Anas, ex subcommissario per l’emergenza rifiuti
in Calabria e stretto collaboratore del vice-ministro delle infrastrutture Ugo Martinat (An); Roberto
Mercuri, amministratore delegato di Pianimpianti Spa, di cui era vice presidente sino al 29 novembre
scorso Franco Bonferroni. Non un nome qualsiasi, quello di Bonferroni, fra gli uomini politici più potenti
della Prima Repubblica. Negli ordini di perquisizione di abitazioni e uffici gli inquirenti hanno inserito
anche l’ex sottosegretario della destra democristiana pre-Tangentopoli. Bonferroni, attualmente
consigliere di Finmeccanica, non l’ha presa bene. Uno che quando il figlio si sposa in Libano può
permettersi di portare il presidente della Cei Camillo Ruini a Beirut a officiare le nozze, con charter pagato
anche agli amici di famiglia, ha preferito affidare la propria replica all’avvocato. Il 3 dicembre spiegava
di non essere stato raggiunto da alcun avviso di garanzia, e di essersi comunque dimesso tre giorni prima
per evitare “qualsiasi tentativo di speculazione”.
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ANNO 6 N.36
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FEBBRAIO 2006
| valori | 7 |
| fotoreportage |
FRANCESCO COCCO / CONTRASTO
> Harraga
foto di Francesco Cocco / Contrasto
“Harraga” significa “bruciatori”: i clandestini bruciano i loro documenti d’identità
per non essere rispediti nei paesi d’origine. La loro speranza è raggiungere l’Europa,
partendo dalle coste del Marocco. Nelle immagini di Francesco Cocco i loro sguardi
sfuggenti e l’ossessione di un viaggio che si può concludere anche con la morte
i sono parole che cambiano la faccia alle persone, come il sole e il vento. “Harraga”,
letteralmente “bruciatori”, è una di quelle. Per molti ragazzi del Sud del mondo che
tentano il viaggio della vita verso l’Europa, quella parola è un segno di appartenenza
ad un destino di sventura. Gli harraga declinano i pensieri solo al futuro, mentre il loro
passato svanisce in una fiammata. Questi candidati all’espatrio clandestino, infatti,
bruciano i documenti d’identità per non essere rispediti nei paesi d’origine in caso
di arresto. Sono per la maggior parte minorenni e provengono da tutto il Marocco,
un Paese giovane, dove vivono quasi nove milioni di persone che hanno meno di 15 anni,
con un tasso di natalità pari al 20,4% e un incremento naturale della popolazione
del 14,9% . Quando gli harraga arrivano al porto di Tangeri, si riconoscono per il loro
sguardo sfuggente e perennemente in attesa di qualcosa. Hanno i capelli arruffati,
vestiti senza forma, dormono sulla banchina, per strada o in rimesse di fortuna. I loro
pasti sono improvvisati e si affidano ad un’inconsapevole e disperata provvidenza.
Si arrangiano come possono e si confondono con i tantissimi bambini abbandonati
al loro destino per le strade della città, circa 2000, secondo l’ultimo censimento.
La pelle degli harraga ha il colore della polvere che rende il loro aspetto di un’irreale
uniformità. Potrebbero essere tutti fratelli o tutti appartenenti alla stessa tribù, non
importa, in comune hanno il desiderio di aprire la porta del benessere che sta davanti
ai loro occhi. Il profilo della speranza è quello della Spagna che nelle giornate terse,
come per incanto, rende lo stretto di Gibilterra ancora più stretto. Due Stati dirimpettai
divisi da un piccolo lembo di mare, eppure così lontani nelle prospettive di accesso
dei loro abitanti: per gli aspiranti clandestini la Spagna è una finestra da cui si può
guardare il sogno europeo; per gli abitanti del Vecchio Continente il Marocco è la porta
d’ingresso per l’Africa.
Gli harraga quando intravedono quella finestra non cercano rassicurazioni, ma solo
un segnale per partire, non importa con chi e con cosa. Si accoccolano sotto la pancia
di un camion, scompaiono negli anfratti invisibili dei traghetti diretti verso le coste
del Mediterraneo o si imbarcano su bagnarole che non ce la faranno mai. Insomma,
azzardano con il destino una scommessa il cui prezzo può essere anche la morte.
Sono molti, infatti, gli harraga che giacciono in fondo allo stretto di Gibilterra,
circa 200 solo nel 2005. Una cifra arrotondata per difetto, considerato che i tentativi
di passaggio nell’ultimo anno sono stati stimati in almeno 12 mila. Per aggiornare
questa triste contabilità non ci si può nemmeno affidare alle denunce dei parenti,
perché gli harraga sono ragazzi senza nome, senza storia e quindi nessuno ne rivendica
né la scomparsa e tantomeno la sofferenza patita.
C
| 8 | valori |
ANNO 6 N.36
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FEBBRAIO 2006
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L’AUTORE
Francesco Cocco
è nato a Recanati nel 1960, ma vive
e lavora a Carpi. Ha iniziato l’attività
di fotografo nel 1989.
Le immagini di Cocco raccontano
il disagio di persone che vivono
e sopravvivono ai margini della società.
Le sue foto sono state pubblicate
su riviste nazionali e internazionali,
nonché esposte in mostre collettive.
La sua passione per la fotografia
e lo spiccato interesse per l’uomo
nel suo ambiente lo hanno spinto
a compiere numerosi viaggi in molti
luoghi del mondo, soprattutto
nei paesi asiatici. In Bangladesh
ha fotografato le condizioni di vita dei
bambini di strada e il lavoro minorile,
mentre in Vietnam, subito dopo la
riapertura delle frontiere, ha realizzato
un reportage le cui immagini sono
state esposte nell’ambito della mostra
“Vietnam Oggi” (Modena, 1993).
Successivamente, in collaborazione
con l’associazione Emergency,
ha documentato il dramma
delle vittime delle mine antiuomo
in Cambogia, dove, con il supporto
dell’ong “New Humanity”, ha anche
affrontato il tema della prostituzione
minorile. In Brasile ha fotografato
i non vedenti dell’Istituto “Benjamin
Constant” di Rio de Janeiro
e lo sfruttamento dei bambini lavoratori
sull’isola di Marajoa in Amazzonia.
Nel 1999 una selezione di sue foto
sul tema dell’infanzia traumatizzata
dalle guerre è stata esposta a Carpi
nella mostra “Ci sono bambini
a zig-zag”. Francesco Cocco fa parte
dello staff Contrasto dal 2003.
Al porto. Gruppo di giovani, gli harraga,
coloro che sognano e aspettano
la prima occasione per emigrare
in Europa. Sono quasi tutti minorenni
e vivono sulla banchina in attesa
del momento giusto per attraversare
lo stretto di Gibilterra, nascosti
sotto un camion o a bordo di qualche
carretta dei mari. Tangeri, 2005
> Harraga
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ANNO 6 N.36
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FEBBRAIO 2006
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FRANCESCO COCCO / CONTRASTO
| fotoreportage |
La terra di nessuno
nascosta tra gli anfratti
del porto di Tangeri
dove vivono gli “harraga”.
Gli aspiranti clandestini
si confondono con i tanti
bambini abbandonati
per le strade della città.
Tangeri, 2005
> Harraga
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ANNO 6 N.36
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FEBBRAIO 2006
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ANNO 6 N.36
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FRANCESCO COCCO / CONTRASTO
Nell’ultimo anno si stima che almeno
200 “harraga” siano morti
nel tentativo di raggiungere l’Europa.
Sono vite senza nome e senza
storia e quindi nessuno ne rivendica
la scomparsa. Tangeri, 2005
> Harraga
| 12 | valori |
ANNO 6 N.36
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FEBBRAIO 2006
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ANNO 6 N.36
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FEBBRAIO 2006
| valori | 13 |
FRANCESCO COCCO / CONTRASTO
| fotoreportage |
Pescherecci nel porto.
Il cinema Mauritania,
vecchia gloria in abbandono.
Ritratto di un bambino
che vive nel porto con gli altri
“harraga”, coloro che sognano
e aspettano la prima occasione
per emigrare in Europa.
Il piede di un uomo di strada
nella medina di Tangeri.
Tangeri, 2005
> Harraga
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ANNO 6 N.36
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FEBBRAIO 2006
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a cura di Cristina Artoni e Paola Baiocchi
FRANCESCO COCCO / CONTRASTO
Si privatizza. Ma è sicurezza? >18
«Le grandi opportunità dei migranti» >21
L’industria della detenzione si fa strada anche in Italia >22
L’economia delle sbarre >25
dossier
Mohamed, 17 anni, vive nel porto
con gli altri “harraga”, coloro che aspettano
l’occasione per emigrare in Europa.
Con ogni mezzo i migranti cercano
di raggiungere il “paradiso” occidentale
spesso esaltato nelle immagini che giungono
via satellite dai diversi canali televisivi.
Ma la realtà è molto diversa dalle favole,
più o meno crude, della televisioni.
Tangeri, 2005
L’affare Cpt
Sulla pelle
dei migranti
Centoventidue milioni di euro per la gestione dei moderni lager italiani.
Assegnati senza trasparenza nè controlli. Un business da cancellare
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ANNO 6 N.36
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FEBBRAIO 2006
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ANNO 6 N.36
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FEBBRAIO 2006
| valori | 17 |
| dossier | cpt |
| dossier | cpt |
Si privatizza
la sicurezza,
si ghettizza
la disperazione
di Cristina Artoni
entri di accoglienza. Luoghi dove si organizza concretamente l’ospitalità. Etimologicamente l’accoglienza è riferibile al francese “accueillant” (cordiale, ospitale” con la “a” come rafforzativo). Nulla di più distante dalla realtà. Eppure sono stati “venduti” all’opinione pubblica come centri
di accoglienza, “alloggi” collettivi e protetti per gli stranieri migranti. A far aprire gli occhi sulla realtà di questi moderni campi di concentramento è stato il lavoro di tante organizzazioni umanitarie, attivisti new global e giornalisti desiderosi di raccontare la realtà. Introdotti dal centro-sinistra attraverso la legge TurcoNapolitano, i Cpt da centri di trattenimento, misura comunque discutibile si sono trasformati con la Bossi-Fini in vere e proprie strutture di detenzione, dove le
condizioni di vita dei reclusi sono decisamente peggiori di quelle delle “case di
pena circondariali”, come ancora vengono chiamate le carceri in burocratese.
C
FRANCESCO COCCO / CONTRASTO
Luoghi in cui la sospensione dei diritti alla difesa e alla parola è all’ordine del giorno. Ma i Cpt sono diventati anche un business, una
voce consistente di spesa del bilancio dello Stato, un modello di privatizzazione della sicurezza. E, come spesso accade quando si ha a
che fare con delle istituzioni totali (come sono questi centri di detenzione), un sistema assolutamente non trasparente.
Privatizzata la detenzione
Uno dei quartieri della Medina che si affaccia sul porto,
punto di partenza per moltissimi migranti. Tangeri, 2005
| 18 | valori |
ANNO 6 N.36
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FEBBRAIO 2006
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Quello che ruota intorno alla costruzione delle strutture, al rifornimento di materiali, alla pulizia, ai pasti, alla gestione quotidiana è
ormai un business da centinaia di milioni di euro. Un vero e proprio
apparato che specula su persone e strutture: i migranti in via d’espulsione e i centri di detenzione creati per trattenerli.
Secondo i documenti contenuti nel rapporto presentato a febbraio del 2005 dalla Corte dei Conti, Gestione delle risorse previste
in connessione con il fenomeno dell’immigrazione redatto dai consiglieri Valeria Chiarotti e Sonia Martelli, in Italia il costo pro capite
di un ospite in un Cpt varia da 26,70 a 99,29 euro al giorno. Nel 2004
il tempo medio di detenzione nei Cpt è stato di 26 giorni.
SESSANTA GIORNI
DI SOFFERENZA
CON L’INTRODUZIONE DELLA BOSSI-FINI è cambiata anche la durata del
periodo di trattenimento di un migrante nel centro, permanenza che dovrebbe
servire soprattutto per l’identificazione prima dell’espulsione verso i paesi di
provenienza. Con la Turco-Napolitano la detenzione massima era di trenta giorni,
con la Bossi-Fini è raddoppiata a sessanta. Con la legge attuale, inoltre, qualsiasi
straniero presente in maniera irregolare in Italia può finire in un CPT. Chiunque sia
entrato nel nostro paese con un visto turistico e alla scadenza dei tre mesi voglia
rimanere in Italia, rischia di essere portato in un centro di permanenza temporanea.
In passato, invece, lo straniero avrebbe ricevuto il foglio di via, o un’intimazione
a lasciare il paese entro quindici giorni, ma senza finire in un centro. Per capire
l’entità del fenomeno teniamo presente che tra il 2002 e il 2003 sono 17 mila
le persone finite negli 11 centri sia di permanenza sia di accoglienza.
In un libro bianco, redatto nel gennaio del 2004, l’associazione Medici senza
frontiere, premio Nobel per la pace, ha denunciato la situazione fallimentare
della detenzione amministrativa in Italia: un fallimento multilivello e multisistema.
Il 60% circa dei migranti nei CPT – precisa il rapporto - hanno scontato una
condanna in carcere, e a fine pena trascorrono due mesi suppletivi all’interno
del centro per essere riconosciuti dall’Ambasciatore o dal Console del paese
di origine. Dopo i due mesi di trattenimento nei CPT il destino del migrante
è: o essere rimpatriato in maniera coatta su un aereo, oppure ricevere
un’intimazione a lasciare l’Italia entro cinque giorni. Nel rapporto, Medici senza
frontiere (www.msf.it) denuncia che le strutture dei Centri sono per la maggior
parte fatiscenti, costringendo i migranti a vivere in condizioni di grande disagio.
Manca all’interno un adeguata assistenza legale e psicologica, e per contro
si registrano eccessi negli interventi delle forze dell’ordine e l’abuso nella
sommistrazione di psicofarmaci. Dal punto di vista sanitario, Msf ha riscontrato
gravi lacune e una scarsa collaborazione con il servizio sanitario nazionale.
I conti sono presto fatti
«Il Governo ha impostato tutta la politica relativa ai migranti in
un’ottica repressiva – spiega il senatore di Rifondazione Comunista
Francesco Martone - la tabella della Finanziaria che contiene i dati
relativi alla voce immigrazione/rifugiati/profughi prevede che 122
milioni di euro, dei 155 milioni complessivi riferiti a questo capitolo, siano destinati alla gestione e manutenzione dei Cpt. Bisogna poi
aggiungere l’altro capitolo di spesa, che riguarda la costruzione di
nuovi centri, che ammonta a 80 milioni di euro: per questa voce c’è
lo stanziamento ma non il finanziamento. I soldi, in pratica, non ci
sono: il Governo, al momento di approvare la Finanziaria 2006, non
sapeva, quindi, dove trovare le risorse per costruire nuovi centri».
La gestione dei Cpt, per tutto quello che non riguarda la sicurezza, è affidata a enti che stipulano convenzioni con le Prefetture locali. Queste strutture sono sempre associazioni private come le Misericordie, la Croce Rossa Italiana o piccole Onlus costituite ad hoc, come
la cooperativa “Fiamme d’Argento”, formata da carabinieri in pensione o “Malgrado Tutto”, cooperativa che ha partecipato agli interventi in Kosovo nel 1999 e che gestisce il Cpt di Lamezia Terme.
REATI CONTESTATI AI DETENUTI IN ITALIA AL 31/12/2004
IN PERCENTUALE
Ordine pubblico
Contravvenzione
Associazione di stampo mafioso
Contro l’amministrazione della giustizia
Contro la P.A.
Fede pubblica
Contro la persona
Legge droga
Legge armi
Contro il patrimonio
1,5
2,4
2,6
3,0
3,4
4,3
14,7
14,9
16,7
30,6
«L’ente che ottiene la convenzione – sottolinea Martone - viene individuato sempre con una procedura inusuale. Non c’è una gara d’appalto o una licitazione pubblica ma è il Prefetto che rivolge un invito a
presentare offerte rivolte ad una lista di pochi enti, normalmente sempre gli stessi. L’anomalia della procedura è dimostrata in modo palese
dall’episodio relativo al futuro Cpt di Bari dove alla Croce Rossa, che si
è rifiutata di assumere l’incarico, automaticamente è subentrata l’associazione Le Misericordie senza alcuna procedura di gara. Il Prefetto può
decidere di assegnare direttamente l’incarico al gestore. Si tratta di una
pratica poco trasparente rispetto anche ai capitolati di spesa: non sappiamo con quali criteri vengono scelti i fornitori. Probabilmente la selezione viene effettuata in base al prezzo pro capite, ma senza alcuna relazione chiara con i servizi che dovrebbero essere erogati. Al di là delle
valutazioni politiche ci troviamo davanti a due rischi: o il prezzo è troppo basso, e allora l’erogazione dei servizi è pessima nei confronti degli
ospiti, o il prezzo è artificialmente alto e quindi si realizza un grosso guadagno per l’ente perché nessuno, neppure noi parlamentari, è riuscito
a conoscere i servizi che devono essere prestati. Ci troviamo di fronte a
una situazione estremamente preoccupante».
Le polemiche scatenate dalle associazioni e Ong impegnate sui
temi dei migranti, dall’Arci alla Caritas, dovrebbero aver prodotto
un cambiamento.
«Fino al 2003 c’era un sistema molto discrezionale per assegnare la
gestione dei Cpt, e non era prevista una gara. A partire dal 2004 con
una circolare del Prefetto D’Ascenzo sono state introdotte modalità più
trasparenti per individuare i gestori - spiega Mario Nispi Landi, consigliere della Corte dei conti, che in passato ha curato le ricerche nella
struttura di controllo - ora viene attuata una gara d’appalto con contratto standard che permette di assegnare ad un unico gestore una serie di attività. Con la standardizzazione del contratto si è richiesto anche la prestazione di alcuni servizi minimi e questo permette anche di
fare dei confronti fra i diversi enti. Certo, non si tratta di una gara pubblica – continua il consigliere Nispi Landi - è una trattativa privata aperta a più offerte. Le Prefetture dovrebbero effettuare una sorta di preselezione degli enti che vi possono partecipare, basata su alcuni requisiti
come il possesso del nulla osta di sicurezza, dato che si tratta di strutture che appartengono alla categoria di attività di ordine pubblico».
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ANNO 6 N.36
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FEBBRAIO 2006
| valori | 19 |
| dossier | cpt |
| dossier | cpt |
Il nodo rimane quello della struttura di detenzione. Sono, di fatto,
delle carceri e quindi gli enti che possono, e vogliono, gestire un Cpt
sono sempre gli stessi. E le differenze di costo rimangono impressionanti. Confrontiamo ad esempio il Cpt di Modena, affidato alla sezione locale della Confraternita delle Misericordie d’Italia, gestita dal fratello del ministro Giovanardi, con quello di Brindisi, gestito dall’Onlus
Fiamme d’argento. Nel primo caso, il costo di un ospite varia da 69,50
a 99,29 euro, nel secondo è di 26,70 euro. L’assoluta mancanza di trasparenza da parte del Ministero degli Interni non permette di analizzare nel dettaglio le ragioni di queste incredibili differenze. Anche per
i ricercatori della Corte dei Conti non è stato semplice ottenere i documenti sulle gestioni dei Cpt: «L’attività della magistratura contabile
prevede la consegna di tutta la documentazione relativa ad ogni voce
di spesa», spiega Valeria Chiarotti, una delle relatrici della relazione
2004 della Corte, «ma a volte abbiamo incontrato anche noi difficoltà.
Dalla nostra abbiamo una legge che ci consente di farlo, al Ministero
dell’Interno lo sanno molto bene, ma ci fanno comunque penare».
Le convenzioni vengono stipulate di media ogni tre anni e, dal
2004, il Ministero ha inviato ai Prefetti delle linee guida con dei contratti standard in cui si richiede agli enti dei servizi base. I costi però,
secondo i documenti disponibili, non sembrano cambiati. Perché? «Il
Ministero dell’Interno – continua Chiarotti - ha redatto una sorta di
capitolato per tutti i servizi che vengono forniti nei Cpt, in cui si prevedono le prestazioni e i corrispettivi. Il range di prezzo è abbastanza
ampio perchè le realtà locali sono molto diverse una dall’altra. E già
da nord a sud c’è un divario di costi oggettivo, che non vale solo per
i Cpt. È chiaro che quello che si spende a Crotone non è lo stesso di
Milano. La banda di oscillazione per i costi dei servizi è abbastanza
ampia, ma rispetto al passato almeno esiste ed è diventato uno strumento per porre dei limiti, in basso e in alto alla scala dei costi».
Il Ministero dell’Interno ha cercato, quindi, di mettere una toppa allo scandalo del business dei Cpt. Ma il problema resta: «la differenza evidente dei costi è in effetti un elemento che lascia quanto
meno perplessi – aggiunge Nispi Landi - differenze molto accentuate come quelle che sono state riscontare dalla Corte sembrano del
tutto ingiustificabili. Tanto che avevamo sollecitato un’attenta riflessione su queste incongruenze per capire da dove derivavano. È
chiaro che può dipendere anche dalla diversa natura degli enti che
vi partecipano, alcuni con finalità di lucro, altri meno. Oltre un certo limite, le distanze sembrano ingiustificate anche tenendo in considerazione le diverse tipologie di servizio (per esempio la mensa).
Un altro aspetto da tenere presente poi è che a tutti questi costi va
aggiunto l’affitto della struttura quando non è di proprietà statale».
Una conferma indiretta del problema è contenuta nella risposta del
Prefetto D’Ascenzo al comitato parlamentare di controllo dello scorso
novembre: «È chiaro ed evidente che, quando parliamo di un costo di
60-70 euro al giorno per persona, nel corrispettivo non è compreso solo il vitto, l’alloggio e il vestiario che assicuriamo alle persone. A questi
SPESA RELATIVA AL FUNZIONAMENTO
DEI CENTRI DI PERMANENZA NELL’ANNO 2003
CENTRI
(UBICAZIONE
E DENOMINAZIONE)
Agrigento - ASI
Agrigento - Lampedusa
Bari - Palese
Bologna-Caserma Chiarini
Brindisi - Restinco
Caltanissetta - Pian del lago
Catanzaro - Malgrado tutto
Crotone - S.Anna
Foggia - Borgo Tressanti
Gorizia - Gradisca d'Isonzo
Milano - via Corelli
Modena - v.le La Marmora
Otranto - Don Tonino Bello
Ragusa - Somicem
Roma - Ponte Galeria
Lecce-S.Foca - Regina Pacis
Torino - Brunelleschi
Trapani - Serraino Vulpitta
TOTALI
SOMME IMPEGNATE:
GESTIONE
MANUTENZIONE
ORD., STRAORD.
E LAVORI
IN ECONOMIA
1.712.786,38
1.758.428,10
2.666.437,55
1.054.573,70
2.095.028,80
1.467.942,33
0,00
0,00
0,00
3.762.133,35
2.334.055,17
540.295,92
0,00
3.618.625,73
2.771.490,24
2.043.532,00
732.846,80
26.558.176,07
77.463,62
113.712,63
2.788.132,22
277.000,00
321.785,65
723.750,00
0,00
2.576.000,00
3.521.698,70
18.053.458,14
491.709,25
677.581,54
158.780,00
104.330,00
1.051.503,48
87.688,93
338.158,23
131.547,00
31.494.299,39
Fonte: Elaborazione C.d.c. su dati forniti dall'Amministrazione
| 20 | valori |
ANNO 6 N.36
|
FEBBRAIO 2006
|
IMPEGNI TOTALI
SOSTENUTI
DAL CENTRO
1.790.250,00
1.872.140,73
2.788.132,22
2.943.437,55
1.376.359,35
2.818.778,80
1.467.942,33
2.576.000,00
3.521.698,70
18.053.458,14
4.253.842,60
3.011.636,71
699.075,92
104.330,00
4.670.129,21
2.859.179,17
2.381.690,23
864.393,80
58.052.475,46
ACCREDITAMENT
O TOTALE ALLE
PREFETTURE
1.790.250,00
1.872.140,73
2.742.792,00
2.943.437,55
987.336,86
2.553.166,80
1.340.358,43
2.576.000,00
1.500.000,00
0,00
4.253.842,60
2.862.636,71
699.076,92
104.330,00
4.597.129,21
2.859.178,17
1.905.767,29
841.877,80
36.429.321,07
SOMME EFFETTIVAMENTE SPESE DALLE
PREFETTURE PER:
GESTIONE
MANUTENZIONE
ORD., STRAORD.
E LAVORI
IN ECONOMIA
1.667.901,22
1.677.951,25
0,00
2.428.655,36
663.166,20
1.829.259,66
1.273.677,12
0,00
n.d.
0,00
3.621.470,85
2.185.055,17
331.329,94
0,00
3.618.625,73
2.742.769,15
1.661.909,06
707.423,80
24.409.194,51
77.463,62
113.698,81
2.742.792,00
256.439,75
321.785,53
620.966,18
0,00
2.576.000,00
n.d.
0,00
467.711,13
641.234,73
158.781,00
102.358,08
978.467,04
87.687,93
226.078,55
131.547,00
9.503.011,35
SPESE TOTALI
SOMME VERSATE
AL CEEDMI
si aggiungono anche le spese per i mediatori culturali, gli interpreti e i
medici. Ho appreso che, nella prossima finanziaria, si intende presentare un emendamento per uniformare i costi. Se venisse approvato l’effetto sarebbe comunque quello di incrementare la spesa».
Per Nispi Landi la ricerca, di solito basata su dei numeri, ha non
poche lacune, soprattutto dal punto di vista umanitario: «Devo ammettere che il nodo principale è non essere riusciti, forse non rientra nelle competenze della Corte dei Conti, a visitare direttamente i
centri. Per fare un lavoro vero questa sarebbe la cosa più utile. Noi
facciamo un controllo che si basa su documenti scritti, sulle contabilità, ma per vedere quello che effettivamente succede bisogna essere sul posto, verificare come effettivamente queste persone sono
trattate. L’Italia ha avuto dei richiami dalla Comunità Europea: il
trattamento non era in linea con le convezioni sui diritti umani».
I Cpt in Italia hanno costi differenti, ma qualcosa in comune c’é: «A
parte le condizioni fisiche o sanitarie che sono in buona parte simili in
tutti i centri, ossia molto scadenti – precisa Francesco Martone che ne
ha visitati tanti in questi anni - c’è un problema di fondo: i diritti fondamentali e le tutele giurisdizionali non sono assolutamente assicurate.
Nell’ultimo Cpt che ho visitato a Lamezia Terme c’erano dei richiedenti asilo della Costa d’Avorio, arrivati da tempo, che non erano ancora
riusciti a parlare con un avvocato. I documenti che vengono consegnati
agli ospiti in entrata non sono certo le carte sui diritti legali o costituzionali, ma solo un regolamento di permanenza nel centro».
.
LA MAPPA DEI CENTRI
IL GOVERNO BERLUSCONI ha previsto la creazione di tre tipi di centri: di
primo soccorso e accoglienza, di identificazione e di permanenza temporanea.
Gli ultimi dati pubblici disponibili sono del Prefetto Anna Maria D'Ascenzo,
capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero
dell’Interno e responsabile della gestione amministrativa dei centri.
I centri di accoglienza sono tutti
nelle regioni meridionali
Sicilia, Calabria e Puglia:
I centri di permanenza
temporanea, Cpt, sono quindici
(1983 posti complessivi):
CITTÀ
POSTI
CITTÀ
Bari-Palese
Foggia-Ortanova
Crotone-Sant’Anna
Lampedusa
Otranto
600
490
1.322
190
75
Gradisca d’Isonzo
in costruzione
Torino
96
Milano
140
Bologna
95
Modena
60
Roma Ponte Galeria
300
Bari
in costruzione
Foggia
220
Brindisi
180
Otranto
75
Crotone
129
Catanzaro
75
Ragusa
60
Caltanissetta
96
Trapani
54
I centri di identificazione
sono invece sette,
di cui tre funzionanti:
CITTÀ
POSTI
Trapani
Crotone
Foggia
210
300
200
POSTI
«Le grandi opportunità
dei migranti»
Parla M. P. Mendola, ricercatrice presso l’Università di Milano-Bicocca e Visiting Scholar presso la New York University.
1.745.364,84
44.885,16
1.791.650,06
80.490,67
2.742.792,00
0,00
2.685.095,11 258.342,44
984.951,73
2.385,13
2.450.225,84 102.940,96
1.273.677,12
66.681,31
2.576.000,00
0,00
n.d.
n.d.
0,00
0,00
4.089.181,98 164.660,62
2.826.289,90
36.346,81
490.110,94 208.965,98
102.358,08
1.971,92
4.597.092,77
36,44
2.830.457,08
28.721,09
1.887.987,61
17.779,68
838.970,80
2.907,00
33.912.205,86 1.017.115,21
Q
LIBRI
Caritas,
Fondazione Migrantes
Immigrazione.
Dossier Statistico
2005
XV Rapporto,
Caritas, Roma.
World Bank (2006)
Global Economic
Prospects 2006:
Economic Implications
of Migration and
Remittances
Washington DC:
World Bank.
Patrie Galere
Stefano Anastasia
Carocci Editore.
UALI SONO LE CARATTERISTICHE dei flussi migratori che interessano l'Italia e l'Europa?
«È difficile fornire una stima precisa della dimensione
dei flussi migratori perché è difficile (anche per i governi nazionali e gli organismi internazionali) circoscrivere
il fenomeno e distinguere i ‘migranti regolari’ dai lavoratori stagionali per esempio, o dai richiedenti asilo politico, o da quelli ‘irregolari’. Ciò che è evidente tuttavia
- anche solo sulla base di fatti di cronaca o della centralità dell’argomento nel dibattito politico - è che i flussi
migratori sono in aumento, e Italia e Europa sono destinate a diventare la meta di flussi rilevanti di immigrati
da diverse parti del mondo.
Secondo l’ultimo “Dossier Statistico Immigrazione”
della Caritas e Fondazione Migrantes, dal 1970 ad oggi gli
stranieri nel nostro paese sono aumentati di trenta volte.
Solo dal 2001 al 2004, la popolazione straniera soggiornante legalmente in Italia è passata rispettivamente da
1.600.000 a 2.730.000 persone. Inoltre è interessante notare che mentre nel 1970 il 61% degli immigrati in Italia
proveniva da altri paesi europei, l’ 8% dall’Asia e il 3% dall’Africa, nel 2004 gli immigrati arrivati in Italia dall'Europa sono il 47% del totale, mentre il 17% proviene dall’Asia e il 24% dal continente africano.
L’Italia quindi, come gli altri paesi europei, si trova ad
affrontare non solo un elevato flusso migratorio ma anche un cambiamento nella sua composizione, riconducibile alle cause più profonde del fenomeno, quali l’esistenza di forti differenziali di benessere e tendenze
demografiche divergenti fra paesi ricchi e paesi poveri».
Il trend di crescita dei migranti anche in Italia è inevitabile. Ma quali saranno gli impatti nel breve medio termine?
«L’informazione diffusa sulle condizioni di vita nei paesi industrializzati, la distribuzione iniqua della ricchezza
e delle opportunità fra paesi ricchi e poveri e il calo dei
costi di trasporto e di comunicazione, rendono l’immigrazione un fenomeno strutturale delle società dei paesi
‘avanzati’. Oggi in Italia l’incidenza sulla popolazione
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ANNO 6 N.36
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FEBBRAIO 2006
| valori | 21 |
LIBRI
Cristina Artoni
L’amore ai tempi
della Bossi Fini
Bruno Mondadori
Editore
Milano, 2005.
Storie di una
integrazione difficile,
a volte impossibile,
per colpa di una
legge profodamente
discriminatoria
nei confronti
dello “straniero”.
Alessandro Dal Lago
Non-persone
L’esclusione
dei migranti
in una società
globale
Feltrinelli, 2004.
Una ricerca di analisi
fondamentale
per capire la nostra
società in relazione
con il processo
migratorio.
straniera è vicina alla media europea (5%) ma in altri paesi come Austria e Germania è gia al 9%. Si stima che i soggiornanti stranieri nel nostro Paese diventeranno tre milioni entro il 2006 e, ogni anno, i flussi andranno
incrementandosi per nascite e ricongiungimenti familiari, oltre al numero di nuovi lavoratori che annualmente
verranno inseriti nel mercato del lavoro. Sempre secondo il rapporto Caritas, i potenziali flussi in ingresso di lavoratori e familiari ammontano a 300.000 persone l’anno, il che significherebbe un ulteriore raddoppio della
popolazione straniera nel corso dei prossimi dieci anni.
Tuttavia, non sembra che la normativa italiana e
l’impostazione del sistema economico percepiscano le
reali dimensioni del fenomeno e le esigenze sia dei paesi riceventi sia di quelli d’origine degli immigrati».
È possibile individuare settori dell'economia
in cui la popolazione composta da migranti
possa essere un elemento di sviluppo?
«Il ruolo dei migranti nell’economia dei paesi riceventi
è spesso percepito negativamente, in quanto si ritiene
contribuisca ad abbassare il livello dei salari (dei lavora-
tori meno qualificati) o ad aumentare la disoccupazione. Recenti studi economici, tuttavia, mostrano che in
Italia i migranti non si sostituiscono ai lavoratori autoctoni, ma occupano posti di lavoro che, altrimenti, resterebbero vacanti: nella collaborazione familiare, per
esempio, o nell’edilizia, nei servizi di pulizia, in agricoltura, nei servizi infermieristici.
Anche nelle realtà industriali più dinamiche del Paese, caratterizzate spesso da un eccesso di domanda di lavoro (si pensi al Nord-Est per esempio), i migranti svolgono un ruolo essenziale nel contribuire a mantenere
adeguati livelli di efficienza produttiva e a volte persino
a preservare attività economiche destinate altrimenti a
scomparire o a essere ‘delocalizzate’.
Inoltre, esistono quasi 100.000 imprenditori migranti che creano nuovi posti di lavoro, per se stessi e in
misura crescente anche per gli italiani. La funzionalità
dei migranti alle esigenze di mercato è ulteriormente
confermata dalla loro mobilità territoriale che, secondo
l’Istat, è tre volte superiore a quella degli italiani.
Tuttavia, se si parla di sviluppo, ci dovremmo chiedere perché - a differenza di altri paesi europei o degli
I NUMERI DELLA BOSSI-FINI
Stranieri rintracciati in posizione irregolare
allontanati
non rimpatriati
totale
Stranieri effettivamente allontanati:
Respinti alla frontiera
Respinti dai Questori
Ottemperanti all'intimazione
Espulsi con accompagnamento alla frontiera
Espulsi su conforme provvedimento dell' Autorità giudiziaria
Stranieri riammessi nei paesi di provenienza
2002
2003
2004
88.501
62.245
150.746
88.501
37.656
6.139
2.461
24.799
427
17.019
65.153
40.804
105.957
65.153
24.202
3.195
8.126
18.844
885
9.901
45.512
34.860
80.372
45.512
18.725
1.993
5.816
12.673
675
5.630
Fonte: Elaborazione Corte dei Conti su dati forniti dal Ministero dell'Interno - Dipartimento P.S.
L’ITALIA IN PRIGIONE.
SERIE STORICA 1945-2004
Stati Uniti - l’Italia ‘attira’ od offre opportunità di impiego a lavoratori non qualificati o, detto altrimenti,
perché non attrae (o attrae in misura relativamente inferiore) migranti con livelli di istruzione elevati. Questo
non riguarda più i flussi migratori ma è un problema
strutturale dell’economia italiana che penalizza tutti i lavoratori qualificati, anche quelli autoctoni».
Qual’è il rapporto tra povertà e sviluppo? In
particolare nella popolazione migrante?
«Nell’era della globalizzazione (ma non molto diversamente dal secolo scorso per molti paesi europei, fra cui
il nostro) l’emigrazione costituisce una delle principali
fonti di sviluppo e di reddito nei paesi poveri del sud del
mondo, attraverso le rimesse che gli emigrati spediscono a casa e il potenziale ritorno degli emigrati stessi.
Dati recenti della Banca Mondiale mostrano che le
rimesse totali dai migranti ai paesi in via di sviluppo sono ampiamente superiori al livello totale degli aiuti allo
sviluppo, più stabili dei flussi in entrata di capitali internazionali e, a differenza di altri flussi finanziari, arrivano direttamente alle famiglie. Recenti studi, inoltre,
hanno mostrato che avere un migrante all’interno del
nucleo famigliare è una strategia di diversificazione del
reddito e di alleviazione di vincoli finanziari che favorisce piccoli e grandi investimenti all’interno delle famiglie d’origine, con ricadute positive sull’economia di intere comunità rurali ed urbane.
Tuttavia, i flussi migratori sono lontani dall’essere
una panacea per la povertà, a causa delle politiche migratorie restrittive da una parte, e dei costi economici
dell'emigrazione internazionale dall’altra. È importante
sottolineare, infatti, che gli emigranti che arrivano dai
paesi in via di sviluppo non appartengono al settore della popolazione più povera e meno istruita del proprio
paese, ma possiedono delle risorse (materiali e/o professionali) da investire nel processo migratorio. Per questo
gli immigrati sono operatori economici fortemente motivati, che generano importanti cambiamenti in termini di sviluppo ed equità sia per i Paesi riceventi sia per
quelli di origine. Al tempo stesso, però, la migrazione è
solo una componente del processo di sviluppo dei Paesi di origine e la lotta alla povertà necessita di ulteriore
impegno e risorse da parte dei Paesi avanzati».
.
L’ESECUZIONE PENALE
ESTERNA. SERIE STORICA 1991-2004
CENTRI DI PERMANENZA TEMPORANEA RIEPILOGO GENERALE PRESENZE
Trattenuti
ANNO
POPOLAZIONE
DETENUTA
AL 31/12
ANNO
MISURE ALTERNATIVE
O DI SICUREZZA INIZIATE
NEL CORSO DELL’ANNO
1945
1955
1965
1975
1985
1995
2004
73.818
35.572
36.158
30.726
41.536
46.525
56.068
1991
1996
2001
2004
5.665
19.646
25.387
28.966
Fonte: Ministero della giustizia.
Dipart. amministr. penitenziaria.
Giulio Calvisi
e Aly Baba Faye
Libro bianco
sulla Bossi Fini.
Rapporto sulla
politica delle destre
in materia
di immigrazione
Edizioni L’Unità.
Un testo
sulla politica
del centrodestra
sull’immigrazione
vista dai DS.
Federica Sossi
Storie migranti
Viaggio tra
i nuovi confini
Edizioni
Derive Approdi
Roma, 2005.
Ogni tappa, ogni
luogo geografico
di questo viaggio
racchiude uno
dei drammi moderni
dell’immigrazione.
2002
2003
2004
18.625
14.223
11.883
Effettivamente rimpatriati
6.372
6.830
5.688
Dimessi per scadenza dei termini di legge
5.927
4.271
2.919
Dimessi per altre cause
5.003
1.920
3.044
Allontanatisi arbitrariamente
Effettivamente rimpatriati
167
225
232
34,2%
48,0%
48,1%
Dimessi per scadenza dei termini di legge
31,8%
30,0%
24,7%
Dimessi per altre cause
26,9%
13,5%
25,7%
0,9%
1,6%
2,0%
Allontanatisi arbitrariamente
Fonte: Ministero della giustizia.
Dipart. amministr. penitenziaria.
LIBRI
Fonte: Elaborazione Corte dei Conti su dati forniti dal Ministero dell'Interno - Dipartimento P.S.
L’industria della detenzione si fa strada anche in Italia
Il modello è quello californiano che assegna al sistema carcerario 5,7 miliardi di dollari (penalizzando altre spese) per 161 mila detenuti e 485 mila sottoposti a misure alternative.
la gestione dei Centri di permanenza
temporanea (Cpt) affidata a privati, soprattutto del terzo settore, può essere considerata una sorta di sperimentazione in vista della privatizzazione dei
di Paola Baiocchi servizi di custodia in Italia.
Il Correctional Business nel mondo totalizza fatturati da miracolo economico: riguarda approssimativamente
11 milioni di “ristretti” in crescita in tutti i Paesi, con multinazionali
U
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N’AVANGUARDIA:
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che si occupano dei diversi aspetti, dal personale, alla costruzione degli istituti, alle mense. Uno di questi giganti, per esempio, è la francese
Sodexho leader del catering sia quando fornisce i pasti alle prigioni in
Spagna, in Cile, nei Paesi Bassi o ha in appalto la refezione scolastica a
Milano.
Gli Stati Uniti hanno sicuramente il primato nell’aver trasformato
la carcerazione in un’industria dove i privati sono coinvolti - diversamente dall’Italia - in tutte le fasi della detenzione; guardare a loro può
chiarire un percorso iniziato anche da noi, ma sul quale è ancora possibile intervenire.
La California, per esempio, ha istituito il third strike, un sistema che
ha reso l’accesso alla prigione simile ad una porta girevole, per cui si entra e si esce fino al terzo reato (come passare con il rosso o insultare un
poliziotto), poi si fa la somma e si resta dentro. Con il third strike il budget che la California assegna al sistema carcerario è oggi di 5,7 miliardi
di dollari e assorbe la maggior parte degli stanziamenti a discapito di
sanità, case e istruzione, per 161mila detenuti e 485mila cittadini sottoposti a misure alternative alla detenzione. Un anno in carcere costa
al contribuente californiano 52mila dollari, mentre un anno all’Università di Stanford 25mila. Il potente sindacato delle guardie carcerarie
californiane, il Ccpoa, ha 40mila iscritti e riesce a dire la sua sull’elezione di sceriffi e governatori, che poi si esprimono in leggi e comportamenti che alimentano la macchina carceraria.
Il rapporto stretto tra aumento della popolazione reclusa e leggi che
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ne che contiene clausole contraddittorie che conlo determinano è sottolineato da Franco Corleone,
SITI
fliggono in più punti con le competenze spettanti al
garante dei diritti dei detenuti per la città di Firenze,
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
ex deputato Verde sottosegretario alla Giustizia con
www.stranieriinitalia.com
www.arci.it
«Al momento la Dike - riprende Franco Corleoil governo di centrosinistra: «Negli anni Novanta la
www.meltingpot.org
ne - sembra sia inattiva e posso dire che sono stati
legge Iervolino-Vassalli, che puniva con il carcere
www.caritas.it/immigrazione
www.naga.it
sventati tentativi come quello di vendere il carcere
non solo lo spaccio, ma anche l'acquisto e la detenwww.medicisenzafrontiere.it
di San Vittore al Comune di Milano. Ma il rischio è
zione di droga per consumo personale o in casi di recertamente quello di un intervento molto forte del
cidività, ha riempito le carceri, come potrebbe sucprivato, anche nella definizione del progetto di carcere».
cedere ora con la Fini-Giovanardi. La ex Cirielli poi - continua Corleone
La Dike è inattiva, ma esistente. Intanto la finanza creativa si ma- ha una seconda parte destinata ai poveracci, che toglierà le misure alnifesta, per esempio, nella vicenda del carcere di Pordenone a cui era
ternative atte al recupero, determinando l’aumento della popolazione
stato destinato un finanziamento ordinario di 10 milioni di euro, dicarceraria».
ventati, nel 2003, un leasing con stima prevista di 32,5 milioni di euNel 1990 i detenuti erano 45mila, ora sono 60mila e le nostre priro; una spesa molto più onerosa di un mutuo, ma che permette opegioni straripano. Come far fronte ad un ulteriore affollamento?
razioni di lifting nei bilanci.
La risposta potrebbe arrivare dalla Dike Aedifica SpA, società creata
Un altro settore in cui si spinge verso la privatizzazione è quello del
nel luglio del 2003, con azionista unico la Patrimonio SpA del Minirecupero dei tossicodipendenti detenuti: a Castelfranco Emilia, in prostero dell’economia. Perché scomodare Dike, dea greca della giustizia?
vincia di Modena, nel marzo dello scorso anno Castelli e Giovanardi
Il ministro Castelli all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2005 lo ha
hanno inaugurato una ex casa lavoro, trasformata in carcere per tossidichiarato: «Alla Dike saranno attribuite le risorse derivanti dalla vencodipendenti con danaro pubblico (7,5 milioni di euro), ma data in gedita dei penitenziari dismessi, che saranno utilizzate per le ristrutturastione alla Comunità di San Patrignano.
zioni e le acquisizioni da effettuare, in forma privilegiata, attraverso la
Peccato che non avessero avvertito la Regione né del progetto,
locazione finanziaria, con procedure quali il leasing e il project finanné dell’inaugurazione e che il decreto legislativo n. 230/1999, di riorcing, implicanti l’affidamento e la gestione a privati della costruzione
dino della medicina penitenziaria, stabilisca che la gestione e le fundi edifici penitenziari».
zioni di cura e riabilitazione dei detenuti tossicodipendenti passino
dal Ministero della giustizia alle Regioni e che proprio l’Emilia RoMolti interrogativi sulla Dike
magna faccia parte della sperimentazione prevista per questo pasSulla Dike sono state presentate molte interrogazioni parlamentari, ansaggio di competenze.
che per sapere se sono esistiti rapporti tra la Aedifica e Giuseppe MaIn un comunicato durissimo l’Emilia ha preso le distanze dall’inigni, consulente del Ministero della giustizia per l’edilizia carceraria e
ziativa del Ministero della giustizia e ha fortemente criticato l’apertura
iscritto al registro degli indagati per presunte irregolarità e corruzione
«ad una sorta di gestione privata con la Comunità terapeutica, che si
in appalti per l’edificazione o la ristrutturazione di istituti penitenziari.
trova così ad operare all'interno del carcere, anziché orientare il trattaLa Corte dei conti, da parte sua ha espresso perplessità sulla convenmento dei detenuti tossicodipendenti verso sbocchi che portino a mizione stipulata dal Ministero con la Dike, che non risulta formalmensure alternative alla detenzione».
te approvata e neppure pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, convenzioCosì la Regione ha fatto naufragare l’ipotesi di San Patrignano e ha
aperto un tavolo, con gli Enti locali, per stabilire la convenzione; ma la
L’ITALIA IN PRIGIONE.
reazione sarebbe stata la stessa in Lombardia, dove il governatore ForSERIE STORICA 1945-2004
migoni ha già lanciato l’idea di togliere alla polizia penitenziaria il traSTATO
PRESENZE IN CARCERE
TOTALE POPOLAZIONE
sferimento dei detenuti per affidarlo a guardie private?
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
28
Usa
Cina
Federazione Russa
Brasile
India
Ucraina
Messico
Repubblica sudafricana
Thailandia
Iran
Italia
2.085.620
1.548.498
763.054
330.642
313.635
198.386
191.890
186.739
168.264
133.658
57.046
293.655.000
1.306.313.800
143.100.000
186.112.790
1.080.264.400
47.425.336
106.202.900
43.647.658
65.444.371
68.278.826
57.321.070
Fonte: International Centre for Prison Studies, King's College, London.
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Anche le misure alternative
sono un business potenziale
Le misure alternative alla detenzione sono un altro dei nodi dove
si introducono modifiche che ne cambiano la funzione. La legge Meduri del 27/07/05, che doveva disciplinare l’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria, modifica in realtà l’istituto e l’opera dei
servizi sociali nelle carceri. I Centri di servizio sociale per adulti (Cssa),
che attualmente seguono il detenuto dentro e fuori le carceri, diventano “Uffici per l’esecuzione penale esterna e assistenza”, ossia organismi
che rischiano di essere deputati al puro controllo della eventuale libertà
vigilata. «Le misure alternative alla detenzione - spiega Maria Rosaria
Lacatena, assistente sociale presso il Cssa di Pisa - interessano 30mila
persone, circa la metà dei detenuti, e hanno una percentuale altissima
di successo nel reinserimento. Con la Legge Meduri - continua Lacatena - c’è uno snaturamento degli istituti di garanzia. Il nostro servizio cambia e non è più un centro di
servizio sociale, un lavoro di sostegno alla persona e di
controllo sulla sua capacità di inserimento, ma affiancherà
il lavoro della polizia penitenziaria, la quale attua delle forme di controllo, che non sono sicuramente quelle del servizio sociale».
Può richiedere le misure alternative alla detenzione della legge Gozzini chi ha una condanna inferiore ai tre anni oppure chi, tossicodipendente, ha meno di quattro anni da scontare. Nel caso dell’affidamento in prova al servizio sociale può dormire e vivere in famiglia e
continuare a lavorare. Nel caso della semilibertà, dorme in carcere e lavora all’esterno; nel caso della detenzione domiciliare, vive in casa, magari fruendo di alcune ore per lavorare.
Il problema si presenta per chi non ha né casa, né lavoro e qui il
pubblico ha ceduto un altro spazio al privato: gli ostelli che possono
ospitare queste persone o le madri straniere con bimbi al di sotto dei
tre anni, sono solo gestite dal terzo settore.
«Le leggi italiane che ci sono attorno al carcere - dice Fabio Picchi
vice commissario, comandante della Casa circondariale Don Bosco di
Pisa - sono giudicate buone e studiate da altri Paesi; il problema è che
non abbiamo né le strutture, né i soldi, per realizzare quello che è progettato». La Gozzini viene disapplicata per un problema reale di risorse: da sempre c’è carenza di personale sia tra gli educatori che dentro al
carcere seguono il programma trattamentale, sia tra gli assistenti sociali
che lavorano sulle misure alternative, in più c’è una grandissima disparità di competenze all’interno di queste figure professionali. «Si perde così la possibilità di offrire opportunità sociali - conclude Maria Rosaria Lacatena - che sarebbero sufficienti a dare risposte alla
maggioranza dei detenuti italiani e anche a risolvere il problema della
recidiva, che non si affronta con le leggi capestro».
L’offrire opportunità è una bella distanza “culturale” con il sistema statunitense che vede il carcere come luogo d’isolamento e
sfruttamento.
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IL MONDO IN PRIGIONE.
LA TOP TEN DEI TASSI DI DETENZIONE E L'ITALIA
STATO
TASSO DI DETENZIONE
OGNI 100 MILA ABITANTI
1 Usa
714
2 Bermuda (GB)
532
3 Bielorussia
532
4 Federazione Russa
532
5 Isole Palau
523
6 Isole Vergini (USA)
490
7 Turkmenistan
489
8 Cuba
487
9 Suriname
437
10 Isole Cayman (GB)
429
128 Italia
100
Fonte: International Centre for Prison Studies,
King's College, London.
LIBRI
Medici senza Frontiere
Centri di permanenza
temporanea
e assistenza, anatomia
di un fallimento
Edizioni Sinnos
Roma, 2005.
È il rapporto curato
dall’Organizzazione
e rappresenta la prima
fotografia dettagliata
della realtà che si vive
all’interno dei Cpt.
AA. VV.
Stranieri! I centri
di accoglienza
temporanea in Italia
Manni editori, 2004.
Politiche italiane
sull’immigrazione,
l’accoglienza e i lager.
L’INDUSTRIA
DELLE SBARRE
NEGLI STATI UNITI si stima che la spesa carceraria superi
i 20 miliardi di dollari all’anno per due milioni di detenuti, di cui 100.000 sono
in isolamento, 128.000 sono ergastolani, 100.000 sono minorenni in riformatorio,
mentre altri 15.000 minori convivono nelle prigioni per adulti. Il Michigan
da solo ha 300 minorenni condannati all’ergastolo senza possibilità di rilascio
anticipato. 700.000 detenuti si trovano nelle prigioni locali e, di questi, 400.000
sono, più che in attesa di giudizio, in attesa d’avvocato. Aspettano, anche
per anni, che qualcuno si degni di trovargli un difensore d’ufficio.
Le persone in libertà vigilata sono 4.800.000 e a questi occorre aggiungere
5 milioni di ex detenuti che hanno perso il diritto di voto. Dopo aver letto questi
dati è meglio rivedere l’immagine degli Stati Uniti come “nazione più libera
del mondo”. Nel 1993 l’industria della carcerazione era la terza per importanza
nel Paese, con seicentomila addetti.
Ad oggi negli USA ci sono 160 servizi correzionali totalmente privati
che operano in 30 Stati, e rappresentano il 7% del mercato statunitense.
A queste imprese private i detenuti vengono affidati non appena condannati
e sono i privati a gestire tutte la detenzione, con proprio personale penitenziaro.
Le carceri private crescono a un ritmo del 35% l’anno. Tra le cinque società
che gestiscono il business, le due maggiori sono quotate in Borsa e dominano
il mercato. La Correctional Corporation of America (Cca), nata nel 1983 con
gli stessi soldi dei finanziatori della Kentucky fried chicken, gestisce il 51%
circa delle prigioni private, mentre la Wackenhut Corrections Corporation
ne gestisce il 22%. Queste multinazionali della sicurezza operano non solo
negli USA, ma anche in Canada, Australia, Gran Bretagna e si stanno
affacciando sul mercato europeo.
Nel decennio 1991-2000, gran parte dei paesi dell’Unione europea
hanno registrato incrementi significativi, superiori alle 10 unità, del tasso
di detenzione. Si va dal record portoghese, che passa da 82 a 147 detenuti
per 100.000 abitanti nel 1998 (ultimo dato disponibile), agli incrementi
notevoli dell’Olanda (+ 46), dell’Italia (+37), di Inghilterra e Galles (+33),
della Grecia (+27), del Belgio (+25), della Scozia (+24), della Spagna (+22),
della Germania (+18) e dell’Irlanda (+16). Secondo l’Observatoire international
des prisons (Oip) è la Francia ad avere il record dei detenuti in strutture
private, anche se con servizi di custodia statali: sono il 30% sul totale,
mentre in Gran Bretagna sono il 9,3 e in Australia il 17,8%.
Anche in Germania i servizi di custodia non possono essere affidati
a personale privato, ma tutto il resto sì. E si prevede, nel 2006, l’inaugurazione
della prima prigione che verrà gestita con i privati. Il Cile ha siglato un accordo
con un consorzio privato per la costruzione e gestione di dieci nuove prigioni,
per un totale di 16mila posti. Uno dei primi contratti firmati è andato
a una cordata formata un socio locale, poi la francese Sodexho e l’italiana
Torno Engeneering Group; quando Berlusconi ha incontrato il presidente
cileno gli ha espresso i suoi complimenti per il sistema penitenziario.
La Sodexho, multinazionale fondata a Marsiglia nel 1966, si dichiara
sul proprio sito “leader mondiale dei servizi” e non si fatica a crederlo,
con i suoi 300mila addetti in 76 Paesi che operano nel settore delle carceri,
P.B.
“dell’ospitalità” e del catering.
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Puerto Ordaz
Il nuovo porto franco
del Venezuela
di Paolo Fusi
ER QUEST’ANNO, NON CAMBIARE: STESSA SPIAGGIA, STESSO MARE”. Muhammad Nassar El-Din, detto Nasreddin,
“P
BPM VITA
l’ha detto ai suoi soci italiani, canadesi e sauditi all’indomani dell’11 settembre, che quelli s’erano presi paura.
Ma come, dopo il guaio delle Torri Gemelle, ci ritroviamo a Puerto Ordaz come se nulla fosse? Specie ora che
tuo cugino è sulla lista nera delle Nazioni Unite? Muhammad, serafico, alle spalle generazioni di aristocratici
persiani, li ha tranquillizzati: vedrete, non succederà nulla. Ed aveva ragione. Oggi, a Puerto Ordaz,
ci si va di nuovo a prendere il sole e le zanzare, come se nulla fosse mai accaduto. Ah Venezuela, terra di caldi
crocicchi… Da un lato la strada che va a Caracas, dall’altro il Rio Orinoco e le strade che congiungono
ai produttori di coca della Colombia, della Bolivia, ai trafficanti di schiavi e droga brasiliani e delle guyane…
e di fronte il delta dell’Orinoco, oltre 1000 chilometri di deserto e pantano, centinaia di isolette disabitate,
prima di arrivare al mare e vedere di lontano spuntare Aruba, l’isola del Clan Cuntrera, e Curaçao, l’isola
in cui la Citibank da oltre trent’anni sposta i soldi di cui nessuno si deve impicciare.
Laggiù la mafia siciliana lavora da oltre vent’anni insieme alla Fratellanza Musulmana e, adesso,
ai sostenitori di Al-Qaida. Una storia, badate bene, che non interessa a nessuno. Tanto che quando un avvocato
dello Studio Legale che difende Licio Gelli, laggiù litiga con un proprietario terriero e gli manda un sicario,
la polizia svizzera manda sì un poliziotto, ma uno, il cui cugino in Venezuela fa il gestore dei conti del Cartello
di Calì ed ha pagato in contanti il killer. Tutti assolti. Ma tutti sanno.
Il Parlamento argentino ha scritto il tutto in un rapporto di 800 pagine
Un rapporto del parlamento
e l’ha mandato in giro negli Stati Uniti. Niente: tutti zitti. Zittissimi.
argentino descrive con
Perché incontrarsi nella giungla del Venezuela? Tutto comincia
dovizia di particolari l’alleanza
tra Fratellanza Musulmana,
nel 1983: a) il presidente della Colombia comincia a combattere
Al Quaeda e la mafia siciliana. militarmente i cartelli della droga; b) la BCCI (fallita nel 1991) comincia
Ma nessuno se ne occupa
a dare segni d’insolvenza ed i banchieri della Fratellanza Wahabita (Gaith
Pharaon, Khaled Bin Mahfouz, la famiglia Bin Laden, la famiglia Kashoggi
etc. etc. etc.) hanno bisogno di un altro sbocco: si associano una banca ticinese (ex presidente: Bernardino
Nogara), già del Vaticano, una società immobiliare (ex presidente: Michele Sindona), già dell’Opus Dei
e del Vaticano, un rappresentante del Clan di Montreal di Frank Cotroni, un rappresentante dei Santapaola,
un rappresentante dei Cuntrera, il generale Noriega (appena arrivato al potere nell’ex colonia venezuelana
oggi nota come Panama) – ed un Nasreddin… che feste, ragazzi, nonostante le zanzare.
Per farla breve, questi signori decidono di trasformare Puerto Ordaz nell’attracco delle navi che portano
la cocaina nel Nordamerica ed in Europa. Dopo l’11 settembre hanno cambiato poco: ora si scarica in Yemen,
in Somalia, in Marocco, in Albania. Le societä sono amministrate da banchieri svizzeri e “uomini d’affari”
siciliani e bosniaci, ma i capi del traffico si chiamano Nallib, Altaf, Jalloum, Aziz, Ibrahim. Alcuni di loro erano
con Osama in Afghanistan o in Sudan, ed ora si riposano laggiù, dove nessuno li cerca – come avevano fatto,
prima di loro, i gerarchi nazisti. Soldati di ventura di Allah, fanno la guardia alla cocaina, con cui si pagano
i kamikaze in riva al Mediterraneo, contro un nemico che non viene. E li arma Monzer Al-Qassar, siriano,
coinvolto in tutto, negli ultimi trent’anni. Intanto Bush racconta di guerre vinte in Iraq, di guerre da vincere
in Siria e di batoste inflitte ad Al-Qaida. Che risate. È bello e rassicurante sapere che anche la vita dei trafficanti
di droga e di armi può essere così noiosa.
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| inbreve |
| inbreve |
Assicurazioni, quando la classe di merito fa la differenza >30
Caes,recuperare il valore sociale delle assicurazioni >32
“My money. Clear conscience”, non investite in armi >35
finanzaetica
ABN AMRO NEL MIRINO
DEL DIPARTIMENTO PENALE
DELLA GIUSTIZIA
DEGLI STATI UNITI
LA NORVEGIA
BOICOTTA
IL NUCLEARE DI
FINMECCANICA
L’ANTITRUST
METTE
NEL MIRINO
LE BANCHE
COCA-COLA
SPONSOR
INDESIDERATO
ALLE OLIMPIADI
LA TOSCANA HA UNA NUOVA
LEGGE SULLA COOPERAZIONE.
TRA LE NOVITÀ I CENTRI
DI ASSISTENZA TECNICA
CAPITALIA,
NEL 2005 MENO
GUADAGNI
DALLE ARMI
“Come Abn Amro è andata oltre ogni limite nel mondo
della finanza spericolata”. È il titolo di un’inchiesta
del Wall Street Journal, condotta dal giornalista Glenn
R. Simpson, sulle relazioni pericolose del colosso
bancario olandese, finito ora nel mirino del Dipartimento
penale della Giustizia americano. Secondo le ammissioni
della stessa banca, sono stati trasferiti miliardi di dollari
negli Usa senza preoccuparsi di chi facesse queste
operazioni e soprattutto perché le facesse. Inoltre in molte
occasioni è venuta a mancare la necessaria attenzione
nella comunicazione delle transazioni al governo degli
Stati Uniti, come prescrive la legge sui crimini finanziari.
Alcuni responsabili della banca avrebbero anche
falsificato documenti relativi ad operazioni per miliardi
di dollari con l’Iran e la Libia, Paesi che sono soggetti
a sanzione da parte di Washington.
Abn Amro ha sottoscritto una transazione con
il Governo Usa e con le autorità olandesi per 80 milioni
di dollari a fronte di trasferimenti illegali o sospetti
per 70 miliardi da Europa dell’Est, Libia e Iran.
Secondo Simpson, la vicenda prende il via circa
6 anni fa, quando due banche di New York vennero
messe sotto accusa dal Dipartimento di giustizia
per i loro loschi legami con finanziatori russi. Mentre
le altre banche americane cercavano di disfarsi di questi
clienti scomodi, la numero uno d’Olanda era la sola
che coglieva la ghiotta occasione. Contro i dirigenti
di Abn non ci sono ancora capi d’imputazione,
nonostante le ammissioni degli stessi. A favore
del colosso olandese ci sono: la circostanza che
le violazioni sono state scoperte e riferite alle autorità
dagli stessi investigatori ingaggiati dalla banca,
e le prese di posizione ufficiali dei vertici contro le pratiche
e le manovre finanziarie illegali. In questa vicenda, però,
il problema etico rimane, per il fatto stesso che l’Abn
è stata la testa di ponte negli Stati Uniti per le attività
finanziarie dei nuovi raider dell’Est Europa.
Nell’inchiesta del WSJ vengono citati i testi di alcune
e-mail scottanti. In particolare una in cui un dirigente
della filiale newyorkese avrebbe scritto: “Come
possiamo non trarre profitto da questa opportunità?”.
L’indicazione di non investire
più in Finmeccanica è arrivata
dal “Consiglio etico” del Governo
norvegese, in quanto la società
italiana potrebbe essere coinvolta
nella produzione di armi nucleari.
Dopo questo suggerimento, Global,
il fondo previdenziale pubblico
della Norvegia (già denominato
Petroleum Fund), ha così venduto
la propria quota di 290 milioni
di sterline (423 milioni di euro)
- il maggior fondo mondiale in azioni Bae e ad altre sei ditte
produttrici di armi tra cui appunto
l’italiana Finmeccanica. Le società
fanno parte del gruppo Mbda,
azienda leader nella produzione
di missili. La drastica decisione
norvegese è, infatti, arrivata
dopo la rivelazione che la Mbda sta
producendo il missile nucleare
aria-terra ASMP-A , arma
commissionata dalle forze armate
francesi, la cui consegna è prevista
nel 2008.
Le aziende coinvolte nella
esclusione, oltre a Finmeccanica,
sono: Boeing, Honeywell, Northrop
Grumman, United Technologies,
Bae Systems e Safran.
Mbda è una joint venture
tra Eads (37,5%), Bae Systems
(37,5%) e Finmeccanica (25%),
è operativa dal dicembre 2001,
raggruppa la quasi totalità
dell’industria missilistica europea
e si posiziona al secondo posto
nel mercato mondiale
dopo la statunitense Raytheon.
Un’indagine conoscitiva
dell’Antitrust per capire i reali
costi dei servizi bancari è stata
annunciata dal presidente
dell’organismo garante della
concorrenza e del mercato.
L’indagine è stata motivata
dalla grande oscillazione dei dati
rilevati sui costi dei conti correnti.
Si va infatti dai 30 euro, dichiarati
dall’Associazione bancaria italiana
(Abi), fino ai 200 denunciati
da alcuni consumatori.
Dati discordanti anche sui costi
di chiusura conto, che variano
da 100 euro fino a 35, e sulle
spese per il trasferimento titoli.
La polemica sui costi dei conti
correnti e delle spese di gestione
in banca è riesplosa dopo
la pubblicazione di un’indagine
della società di analisi Cap Gemina,
in base alla quale i conti correnti
italiani risulterebbero tra i più cari
del mondo, con costi medi di 250
euro all’anno. Cifre contestate
dall’Abi. L’associazione sostiene che
il prezzo medio annuo che l’utente
italiano deve pagare per avere un
conto, oscilla fra i 65 ed i 113 euro,
in linea con gli altri Paesi europei.
Inoltre, secondo le associazioni dei
consumatori, dopo il recente rialzo
dei tassi dal 2 al 2,25% deciso
dalla Banca centrale europea,
molti istituti avrebbero effettuato
modifiche generalizzate sui conti
correnti, con voci fantasiose
di costi, spese e commissioni,
limitandosi alla segnalazione
prevista sulla Gazzetta Ufficiale.
Continua il boicottaggio contro
la Coca-Cola, tra i principali sponsor
delle prossime Olimpiadi invernali
di Torino. Negli Usa la Coca-Cola,
infatti, è stata citata in giudizio,
per violazione dei diritti umani,
dai sindacati di alcune imprese
colombiane imbottigliatrici
della bevanda.
La protesta contro la multinazionale
segue il percorso del tedoforo.
Dopo la Toscana, dove
la contestazione ha coinvolto
ben 7 tappe, è approdata a Genova.
Qui, ad attendere la carovana
olimpica, c’erano circa 150
persone. All’arrivo della fiaccola
i manifestanti hanno esposto
le bandiere della pace e una grossa
sagoma di cartone in ricordo
degli otto sindacalisti assassinati.
La manifestazione è stata
accompagnata da un volantinaggio
per informare i cittadini
del capoluogo ligure sui motivi
dell’iniziativa. Gli organizzatori,
quindi, sono stati costretti
ad interrompere il percorso
e a spegnere la fiaccola. La fiamma
è stata trasferita dentro un
contenitore e trasportata da un’auto
della carovana. Il tedoforo è stato
imbarcato su un bus navetta,
che i manifestanti hanno tappezzato
con cartelloni raffiguranti
un teschio con due torce olimpiche
al posto delle tibie e la scritta
“boicotta Coca-Cola sponsor della
torcia olimpica e degli squadroni
della morte colombiani”.
Il consiglio regionale della Toscana, in una delle ultime
sedute del 2005, ha approvato la nuova legge sulla
cooperazione, che regola in maniera innovativa uno
dei settori chiave dell’economia regionale. Questa legge,
che interviene dopo la normativa del 1977, punta
a valorizzare e sostenere oltre 4.000 imprese con circa
70.000 addetti - il 5,6% degli occupati in Toscana che operano in moltissimi settori, dal consumo,
al manifatturiero, dalle costruzioni alle attività
professionali, dai trasporti alle abitazioni, nei servizi
di carattere sociale, sanitario ed educativo.
Tra le novità contenute nel nuovo testo di legge
ci sono i Caic, Centri di assistenza tecnica,
che saranno costituiti dalle organizzazioni cooperative
su autorizzazione della Regione, e che si occuperanno
di informazione, sostegno, consulenza. Previste anche
misure per il sostegno ai disabili e la valorizzazione
dell’occupazione femminile.
Il nuovo testo è stato approvato dal Consiglio
regionale con i voti della maggioranza
di centrosinistra, di Rifondazione, dell’Udc, mentre
si è astenuta Forza Italia.
La legge istituisce, inoltre, la Consulta regionale
della cooperazione, prevede lo svolgimento
della Conferenza regionale del settore da svolgersi
con cadenza triennale, rafforza l’Osservatorio regionale
toscano e disegna gli interventi per lo sviluppo
ed il sostegno del sistema cooperativo.
Per Ambrogio Brenna, assessore alle attività
produttive e alla cooperazione, si tratta di “un testo
importante, che ha l’obiettivo di valorizzare
questo grande tessuto di imprese, che rafforza
l’equilibrio socio-economico della Regione, fondato
sulla coesione sociale”.
Entro 180 giorni, la Giunta regionale dovrà predisporre
il regolamento attuativo, per disciplinare
in dettaglio le attività dei centri di assistenza
e le modalità di funzionamento della Consulta
della cooperazione.
La Campagna di pressione
alle “banche armate”, promossa
da “Missione Oggi”, “Nigrizia”
e “Mosaico di Pace”, ha ottenuto
un risultato concreto immediato.
Capitalia, infatti, nel corso del 2005
ha ridotto del 70% gli importi
delle transazioni legate a operazioni
di export di armamenti.
La strada da percorrere però
è ancora lunga, perché solo nel 2004
era di 1,3 miliardi di euro il valore
delle autorizzazioni all’esportazione
di armi concesse alle banche
dal ministero dell’Economia.
L’annuncio è stato fatto dai
promotori della campagna nel corso
del convegno “Cambiare è possibile,
dalle banche armate alla
responsabilità sociale d’impresa”,
durante il quale è stata sollecitata
anche la creazione di un osservatorio
permanente che coinvolga banche,
sindacati, enti locali e società civile,
per monitorare i finanziamenti
degli istituti di credito all’industria
bellica. L’osservatorio dovrebbe
poi coordinarsi con le associazioni
europee che già svolgono attività
di monitoraggio del settore.
I direttori delle tre riviste promotrici
dell’iniziativa si sono detti
preoccupati per l’atteggiamento
del Governo italiano che, dopo
i cambiamenti già apportati
alla legge 185/90 sull’esportazione
e il commercio di armi,
ha recentemente annunciato
un progetto di riscrittura della legge.
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PAOLO PELLEGRIN / MAGNUM PHOTOS
Lo sapevate che le grandi compagnie di assicurazione sono tra i maggiori sostenitori
del Protocollo di Kyoto? E che alcune banche, su pressione di campagne di protesta
internazionali, hanno scelto di fare marcia indietro sul finanziamento alla produzione ed esportazione
di armamenti? Non preoccupatevi, nel settore finanziario il vizietto del rendimento da perseguire
ad ogni costo continua ad appassionare gli animi. E c’è ancora chi investe con profitto nelle mine
antiuomo, chi truffa i propri promotori finanziari o taccheggia i clienti con commissioni una tantum
nascoste tra le pieghe degli estratti conto. Ma ci sono anche piccoli segnali in controtendenza che
fanno ben sperare: compagnie che cambiano strada o ne hanno scelto sin dall’inizio una diversa.
In questo servizio vi presentiamo alcuni casi nell’uno e nell’altro senso. Per aiutarvi a capire se è già
ora di appendere sul balcone la bandiera bianca o se invece si può ancora sperare che forse, piano
piano, qualcosa possa veramente cominciare a cambiare. Anche nel grigio mondo della finanza.
Una storia
di lotta di classi.
Ma questa volta
solo di merito
di Paola Baiocchi
L
Fa una bella differenza
essere nella
quattordicesima classe
o nella prima: la polizza
sulla stessa macchina
può costare 1.000 euro
l’anno oppure 400
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A LEGGENDA VUOLE CHE BACH ABBIA SCRITTO LE 32 VARIAZIONI GOLDBERg per
alleviare le notti insonni del conte Keyserling. Ci sono delle Variazioni - non musicali - che per altri sono diventate motivo d’insonnia.
Per arrivarci bisogna partire un po’ da lontano, da un piccolo “lessico aziendale” che ci serve per orientarci in questo racconto ambientato nelle assicurazioni delle auto: classe di merito è quel punteggio assegnato in base ad una serie di elementi come l’età e il
numero di incidenti degli ultimi cinque anni ed è certificata dall’attestato di rischio, che deve essere consegnato all’assicurato almeno
tre giorni prima della scadenza contrattuale. Ci sono 18 classi di merito e, se si è virtuosi, cioè non si fanno incidenti, si scalano dalla diciottesima in sù. Fa una bella differenza essere nella quattordicesima
classe o nella prima: la polizza sulla stessa macchina può costare mille euro l’anno oppure 400.
Si tenta di tutto per risparmiare sulle assicurazioni: le polizze telefoniche sono meno care, anche se più impersonali; per chi preferisce il rapporto personale esistono gli agenti, che svolgono un ruolo di
New Orleans.
Un’immagine
del disastro causato
dall’uragano Katrina.
La loro potenza
aumenta di anno in
anno proprio a causa
del riscaldamento
della terra.
Il protocollo di Kyoto,
che gli Stati Uniti
non hanno firmato,
tende proprio
ad arginare questo
tipo di danni.
intermediazione tra compagnie e utenti e - quelli bravi - rendono veramente le cose più facili.
A volte le compagnie complicano un po’ la vita agli agenti: è la storia che hanno vissuto alcuni ex assicuratori della Verona, prima che
questa diventasse, nel dicembre 2003, una divisione della Cattolica.
Alla fine degli anni Novanta la Verona offriva delle polizze dai
prezzi veramente convenienti, attirando parecchi agenti: con circa
cento agenzie su tutto il territorio nazionale, la Verona nata nel 1976,
sembrava rappresentare un buon affare per chi si affiliava.
Peccato però che, dietro la rete di vendita, non ci fosse una struttura amministrativa altrettanto efficiente e si verificassero parecchie
incomprensioni nelle RCA (Responsabilità Civile Auto) soprattutto
sulle classi di merito maturate. Al momento del rinnovo delle polizze di assicurati provenienti da altre compagnie, la Verona dichiarava
di non aver ricevuto l’attestato di rischio con la classe di appartenenza e quindi procedeva a “declassare” automaticamente alla diciottesima, applicando la Variazione 77.
Gli agenti correggevano riportando gli utenti alla loro “meritata” classe, ma le cose non si risolvevano perché per la compagnia restava aperta la posizione e gli agenti risultavano debitori. La Verona
esigeva il credito, prima attraverso gli ispettori, poi immettendo direttamente con un software la correzione sul foglio cassa elettronico, il resoconto degli incassi che giornalmente le filiali spediscono
via modem alla sede.
Il racconto di una delle segretarie ricorda la descrizione delle violazioni degli hacker nei sistemi informatici: la stampante che comincia a lavorare senza che nessuno abbia impartito l’ordine di stampa,
conti in attivo trasformati in debiti. A colpi di Variazione 77 le cifre
dovute, secondo la Verona, diventano presto milioni di lire e i sonni
di molto agenti si fanno agitati. Ma i clienti non si accorgono di niente, perché a fare da filtro ci sono gli agenti.
A questo punto sarebbe stato interessante avere dei chiarimenti
dalla Cattolica, che ha assorbito il portafoglio clienti della Verona, ma
non siamo riusciti ad andare oltre l’addetto stampa – Luigi Giudici –
che prima ha dichiarato di non vedere proprio perché un giornale come il nostro dovesse occuparsi di una storia marginale di agenti plurimandatari, poi ha promesso di metterci in comunicazione con qualcuno che potesse darci spiegazioni. Ma, evidentemente, non ha
trovato nessuno che volesse parlare con noi.
Con l’Isvap (Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni Private e
di interesse collettivo) le cose sono andate un po’ meglio: su invito dell’addetto stampa abbiamo inoltrato le nostre domande scritte, in attesa di essere smistati al servizio competente. Una settimana dopo abbiamo ricevuto le risposte per scritto, senza poter aggiungere nulla;
peccato, perché organismi come l’Isvap dovrebbero proprio servire
per contribuire alla trasparenza nel mondo delle assicurazioni.
Silvia Bartolini, che tratta spesso con istituzioni come l’Isvap in
qualità di presidente della delegazione Toscana dell’Associazione
dei consumatori Codacons, è più disponibile a parlare con noi:
«L’Isvap dovrebbe favorire la dialettica tra il consumatore e le assicurazioni, ma si dimostra più spesso un organismo corporativo a
difesa delle compagnie».
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Con il passaggio dalla lira all’euro, tra il 2000 e il 2001, i rapporti
con la Verona si incrinano definitivamente e sessanta agenzie su cento lasciano l’assicurazione veneta, ma cominciano le trattative sulle cifre: su crediti esigibili di qualche centinaia di milioni di lire, la Compagnia transa a venti, trenta, come nei fallimenti.
Nel dicembre del 2003 la Verona viene assorbita dalla Cattolica, di
cui era sempre stata una costola. Ora restano ancora delle cause, nel
Foro competente di Verona, dove il Gruppo è radicato da oltre cento
anni, stringe alleanze con l’Università per dar vita al Corso di Laurea
sull’Economia delle Assicurazioni e riserva anche venti biglietti agli assicurati veronesi per ogni partita in casa del Chievo, che porta sulla
maglia il logo della Cattolica.
.
sembra
“L’Isvap
più un organismo
corporativo
a difesa delle
compagnie
”
Allianz
fa
il
tifo
per
il
protocollo
di
Kyoto
I cambiamenti climatici hanno un impatto sempre maggiore sui conti delle assicurazioni. Le grandi Compagnie corrono ai ripari e si creano alleanze insolite. Come quella con il
.
Wwf
E LA RICORDATE L’ESTATE DEL 2003? Caldo torrido, aria irrespirabile e, per settimane, neanche l’ombra di una nuvola.
Un’ondata di calore che non si vedeva da mille anni. Solo
in Europa ha provocato almeno 27.000
di Mauro Meggiolaro morti. E ha danneggiato gravemente l’agricoltura, la navigazione interna e la produzione di energia. In Portogallo sono sparite decine di etI disastrosi effetti
tari di foreste: il 5% della superficie totale del Paese. Non è
di alcune
andata meglio nel 2004, un anno record per gli uragani neinondazioni.
gli Stati Uniti e i tifoni in Giappone, mentre il 2005 difficilmente potrà essere dimenticato: le immagini di New Orleans messa in ginocchio dall’uragano Katrina rimarranno
ancora a lungo impresse nella memoria.
Se si cerca di valutare in termini economici l’entità
complessiva dei danni causati dalle catastrofi ambientaNASCE IN UN GARAGE IL PRIMO
li degli ultimi anni ci si trova di fronte a cifre astronoASSICURATORE ETICO TEDESCO
miche. Miliardi di euro di profitti in fumo per le imprese, miliardi spesi dai governi per rispondere alle
emergenze, soccorrere e curare i feriti, ricostruire strade,
VERSIKO (WWW.VERSIKO.DE) NASCE NEL 1975 come “Alfred
scuole, ospedali. E soprattutto miliardi pagati dalle
& Klaus, collettivo di assicurazione” in un garage nei pressi di Düsseldorf, quando
Compagnie di assicurazione ai clienti danneggiati: solo
Alfred Platow e Klaus Odenthal, due assistenti sociali che gestiscono centri giovanili,
per Katrina ne dovranno sborsare più di 50.
decidono di diventare assicuratori e consulenti di organizzazioni ambientaliste.
V
Negli anni Versiko sviluppa prodotti finanziari propri
ed elabora soluzioni assicurative e previdenziali
in collaborazione con le grandi compagnie
di assicurazione, in particolare con Continentale.
Nel 1995 diventa una società per azioni e dal 1999
è quotata alla borsa di Francoforte. Tra i prodotti
assicurativi e previdenziali offerti da Versiko
c’è la pensione privata VersiRente e l’assicurazione
I fondatori di Versiko
sulla vita VersiLife, entrambe legate all’andamento
Alfred Platow
di fondi di investimento socialmente responsabili.
e Klaus Odenthal.
Nel 2005 entra nel capitale sociale - con il 25,1% il gruppo bancario Fortis, con lo scopo di promuovere in tutta Europa i fondi
di investimento etici di Ökoworld Lux SA, società di gestione del risparmio creata
da Versiko. L’assicuratore tedesco ha oggi una ottantina collaboratori, di cui 21
nell’amministrazione centrale e circa 60 agenti a provvigione negli uffici di Düsseldorf,
Berlino, Colonia, Bonn, Amburgo e Stoccarda. Dopo tre anni consecutivi con il segno
meno, nel 2004 il bilancio di Versiko ha chiuso con un utile di 373.000 euro.
(M.M)
I ricavi da provvigioni sono stati pari a 8,25 milioni di euro.
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Di necessità virtù
Non è un caso che tra i maggiori sostenitori del Protocollo di Kyoto - il primo accordo internazionale per contrastare l’aumento di temperatura della terra - ci siano proprio le assicurazioni. La Compagnia tedesca Allianz leader di mercato in Europa - è stata tra le prime a scendere in campo. Nel giugno del 2005, con la collaborazione del WWF, ha pubblicato un rapporto dettagliato (Climate change & the financial sector: An Agenda for
Action) che analizza gli effetti del clima sul settore finanziario e propone azioni concrete per prevenire il collasso
ambientale ed economico del pianeta. “I cambiamenti
climatici costituiscono un rischio serio per l’economia
globale: incidono sulla ricchezza della popolazione, sulla
disponibilità delle risorse, sul prezzo dell’energia e sulla
valutazione delle imprese. È ora di rivoluzionare il modo
in cui usiamo e produciamo l’energia, studiare nuove opzioni per lo sviluppo economico, per il benessere della società. È ora di trasformare i rischi in opportunità”. Lo stu-
dio inizia con questa dichiarazione congiunta del CEO di
Allianz, Joachim Faber, e di Paul Steel, direttore di WWF
International. Lo scopo è chiaro: far capire alla comunità
finanziaria che il business as usual ha i minuti contati.
L’ambiente presenta il conto
Basta sfogliare le prime pagine del rapporto per rendersi
conto della gravità della situazione. L’ambiente ci sta presentando il conto di un modello di sviluppo miope, energivoro, fuori controllo. Un conto salatissimo. «I cambiamenti climatici influiranno negativamente sulle risorse
idriche, faranno diminuire i raccolti nelle zone tropicali,
causeranno un innalzamento del livello dei mari che provocherà lo spostamento in massa di decine di milioni persone». Popolazioni in fuga, che ci abitueremo a chiamare
“climate refugees”, profughi climatici. Gli effetti sulla salute saranno altrettanto gravi. Le inondazioni, l’inquinamento e l’umidità crescente faciliteranno la diffusione
della malaria e di altre epidemie. Secondo l’Organizzazione Mondiale della sanità già oggi muoiono per il clima almeno 160.000 persone per fame, problemi respiratori, annegamento, scarsa qualità dell’acqua. I cambiamenti
climatici non risparmieranno nessuno ma, come succede spesso, si abbatteranno con maggiore violenza sui Paesi poveri, in particolare quelli della fascia tropicale che
dovranno convivere con temperature insopportabili e
non avranno i mezzi sufficienti per prevenire e affrontare i disastri naturali. I segnali di questa tendenza sono
chiari già da adesso: in seguito alle catastrofi degli ultimi
anni la Banca Mondiale è diventata, involontariamente,
la terza Compagnia di riassicurazione mondiale, dopo
Munich Re e Swiss Re, perché è stata costretta a deviare
buona parte dei suoi fondi per lo sviluppo verso i Paesi poveri colpiti da uragani e inondazioni.
Ma il rapporto di Allianz e WWF va oltre e considera le conseguenze di lungo periodo anche sui Paesi ricchi: «anche il nord dovrà fare i conti con costi climatici esorbitanti. La maggior parte delle grandi imprese
europee, statunitensi e giapponesi hanno un numero
crescente di stabilimenti, uffici commerciali e fornitori
nei Paesi in via di sviluppo. I disastri incideranno sulla
catena di produzione».
AXA FINANZIA I PRODUTTORI
DI MINE ANTIUOMO
L’ONG BELGA NETWERK VLAANDEREN ha scoperto che AXA, un Gruppo
bancario e assicurativo internazionale attivo anche in Italia, sta investendo
circa 2,7 miliardi di dollari nei titoli di Textron e ATK, due società statunitensi
che producono mine antiuomo. L’investimento in Textron è particolarmente
significativo. Sommando investimenti diretti e indiretti (tramite fondi offerti
alla clientela), AXA controlla quasi il 29% del capitale azionario della società.
Il fatto che AXA investa nella produzione di armi non convenzionali non è una
novità. Nella primavera del 2004
Netwerk aveva rivelato che
i cinque maggiori Gruppi finanziari
del Belgio (AXA, Dexia, Fortis, ING
e KBC) avevano in portafoglio titoli
di Singapore Technologies
Engineering, un produttore di mine
con sede a Singapore. Questa
scoperta, unita alla pressione
della campagna “My Money. Clear
Conscience?” (“Il mio denaro.
Coscienza pulita?” - vedi l’articolo
“Conto arancio. Conto armato?”
“Chiuso per sminamento”.
sul numero di Valori di Aprile
Due attivisti della Campagna
2005)
convinse Dexia, Fortis, ING
“My Money. Clear Conscience?”
cercano di sminare
e KBC a bloccare i loro investimenti
la sede di AXA a Bruxelles.
nelle mine. Solo AXA si rifiutò
di fare marcia indietro. La sezione belga della società è stata comunque
obbligata ad azzerare gli investimenti in Singapore Technologies Engineering.
Il Belgio, dal giugno 2004, è infatti la prima nazione al mondo ad aver
promulgato una legge che proibisce gli investimenti in società che producono
mine antiuomo. Ora l’attenzione si è spostata su Textron che, secondo
Netwerk, sarebbe ancora presente nei portafogli dei fondi che AXA vende
ai clienti belgi. Il 18 ottobre scorso alcuni attivisti della campagna “My Money.
Clear Conscience?” hanno simbolicamente cercato di sminare la sede
principale di AXA a Bruxelles, muniti di tutta l’attrezzatura necessaria
M.M.
per il riconoscimento e il disinnesco delle mine (vedi foto).
74 mila miliardi di euro
Alla fine della fattura gli zeri da contare potrebbero essere dodici. Uno studio della Commissione Europea
stima i danni complessivi potenziali dei cambiamenti
climatici - se nel frattempo non si prenderanno provvedimenti - in 74 mila miliardi di euro, quasi tre volte
il prodotto mondiale lordo. Una cifra che risulta difficile immaginare. Allianz si sofferma in particolare sui
costi e i rischi per i settori assicurativo e bancario. Le assicurazioni sono tra le società più esposte ai cambiamenti del clima: le imprese che si assicurano contro le
inondazioni e gli uragani busseranno sempre più spesso alle porte delle compagnie per ottenere risarcimenti
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CINQUE DOMANDE
SULLE ASSICURAZIONI
1) COME FUNZIONA UN CONTRATTO DI ASSICURAZIONE? Quando
firmiamo un contratto di assicurazione trasferiamo a chi ci assicura (compagnia di
assicurazione) un rischio al quale siamo esposti. La compagnia si assume il rischio al nostro
posto e, in cambio, noi le paghiamo una somma di denaro, che viene chiamata premio.
Esempio: Mario Bianchi decide di assicurare la sua automobile (che vale 15.000 euro)
contro il rischio che venga rubata, pagando 200 euro a una compagnia di assicurazione.
Se l’auto viene rubata, la compagnia paga a Mario Bianchi 15.000 euro come risarcimento.
Se il furto non si verifica, la compagnia non ha nessun obbligo nei confronti del sig. Bianchi.
2) A COSA SERVE L’ASSICURAZIONE? Il contratto di assicurazione serve ad eliminare
l’incertezza che grava su chi è esposto a un rischio determinato. Mario Bianchi è incerto
perché non sa se la sua auto nuova verrà rubata. Assicurandosi, si libera dall’incertezza
perché sa che, in caso di furto, può contare sull’impegno dell’assicuratore a risarcirlo.
3) COME FUNZIONA UNA COMPAGNIA DI ASSICURAZIONE? La compagnia di assicurazione
è un’impresa che, grazie al numero elevato di rischi che si assume è in grado di determinare
con esattezza la probabilità che si verifichino, ripartendone le conseguenze negative tra una
pluralità di soggetti esposti allo stesso tipo di rischio. Nel nostro esempio la compagnia
si assume il rischio che venga rubata la macchina a Mario Bianchi, ma anche a Luigi Rossi,
Stefania Verdi e a molte altre persone. Ipotizzando che si siano assicurate 100 persone
versando un premio di 200 euro (per un totale di 20.000 euro totali di premi versati)
e che la macchina venga rubata solo a Mario Bianchi, l’assicurazione dovrà risarcire
solo il sig. Bianchi con 15.000 euro. La compagnia ricaverà i 15.000 euro dai premi
degli altri 99 assicurati che non hanno subito il furto. Le conseguenze negative del furto
ai danni di Mario Bianchi sono così ripartite su 99 persone che hanno pagato 200 euro
di premio senza ricevere in cambio niente di più che la liberazione dall’incertezza.
Per comodità, abbiamo assunto che tutte le auto assicurate abbiano un valore
di 15.000 euro e che tutti paghino un uguale premio di 200 euro. Nell’esempio il premio,
che l’assicurazione aveva fissato in anticipo in base al calcolo statistico delle probabilità
di furto (1%), permette di risarcire Mario Bianchi e di remunerare l’attività
dell’assicurazione con 4.800 euro (200 x 99 = 19.800; 19.800 -15.000 = 4.800).
4) DOVE VENGONO INVESTITI I PREMI? Una volta che ha incassato i premi (nel nostro esempio
20.000 euro) la compagnia di assicurazione li investe in titoli di Stato, azioni, fondi, immobili.
Dai premi e dai guadagni che ottiene investendoli, la compagnia trae le risorse necessarie
per far fronte agli impegni assunti nei confronti degli assicurati e risarcire il loro danno.
5) COSA SI INTENDE PER “SOMMA ASSICURATA”? La somma assicurata è l’importo
nei limiti del quale l’assicuratore si impegna a risarcire l’assicurato. Nelle assicurazioni
di cose, la somma assicurata corrisponde di regola al valore dei beni assicurati (valore
assicurabile, nel nostro esempio 15.000 euro, il valore dell’automobile del sig. Bianchi).
Nelle assicurazioni del patrimonio o assicurazioni di spese, è l’importo pattuito che indica
il massimo che l’assicuratore è disposto a risarcire (in questo caso non si parla di valore
assicurabile ma di massimale, vedi l’esempio delle RC auto).
Mauro Meggiolaro in collaborazione con Pietro Negri, direzione Affari Giuridici ANIA
(Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici, www.ania.it)
milionari. Le proiezioni statistiche dell’Associazione
degli Assicuratori Britannici (ABI) parlano chiaro: «entro il 2050 il costo annuale delle richieste di risarcimento per eventi legati al clima raddoppieranno fino a
raggiungere i 3,3 miliardi di euro. Un anno particolarmente negativo (come il 2005) potrebbe costare da solo 20 miliardi». Il problema più serio sembra essere l’adeguamento dei premi, che sono calcolati in base a
proiezioni statistiche di dati storici. L’ABI stima che i rischi climatici potrebbero essere sistematicamente sottovalutati di almeno il 30% a causa dello sfasamento
temporale tra i dati storici utilizzati e il momento futuro in cui le catastrofi potrebbero verificarsi. In pratica il
clima potrebbe cambiare molto più in fretta di quanto
le statistiche possano prevedere. Già oggi per Allianz il
35-40% dei risarcimenti per danni assicurati a livello
globale sono dovuti a catastrofi naturali. Altri effetti sui
profitti delle Compagnie di assicurazione potrebbero
derivare da un volume crescente di richieste di risarcimento riconducibili al clima: cali delle vendite, stress
dei lavoratori o dei clienti causato dal caldo, danni ai
veicoli, ritardi nei viaggi, inquinamento da inondazioni. Secondo il rapporto di Allianz e WWF non potranno dormire sonni tranquilli nemmeno le banche. Il rischio creditizio potrebbe aumentare per le imprese più
“carbon intensive”, quelle cioè che più di altre emettono CO2 nell’atmosfera (ad esempio i produttori di cemento) e che quindi dovranno spendere di più per adeguarsi alle politiche di riduzione delle emissioni.
Dai rischi alle opportunità
Ma Allianz e WWF non si fermano all’analisi impietosa e desolante dei rischi, dei costi e delle catastrofi. Al
contrario, alla fine del Rapporto viene stilata una
“Agenda for Action” per ogni tipo di operatore finanziario, una vera e propria lista di azioni da intraprendere per prevenire il peggio. Con una sola raccomandazione: bisogna fare presto. Ecco in breve i consigli che
vengono dati alle Compagnie di assicurazione: a) raccogliere informazioni sui rischi climatici futuri in modo da prevedere con maggiore precisione i danni associati al clima; b) controllare l’esposizione dei clienti alle
catastrofi naturali e sviluppare modelli di previsione
specifici, come ad esempio il “flood zoning”, la suddivisione delle aree geografiche in base alla probabilità
che si verifichino inondazioni; c) promuovere - in collaborazione con i partner industriali - lo sviluppo di tecnologie che puntano a diminuire le emissioni di CO2:
energie rinnovabili, motori elettrici, ecc. Alcuni hanno
già adottato anche soluzioni concrete scontando il premio a chi assicura auto ibride.
Il 5 gennaio scorso St. Paul Travelers, un assicuratore
americano, ha annunciato sconti del 10% per chi possiede e vuole assicurare automobili ibrid. A basse velocità
funzionano grazie a un motore elettrico, mentre quando
la velocità aumenta ricaricano la batteria elettrica.
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Il Conto Arancio
è un po’
meno armato
Obbiettivo della campagna “My money. Clear Conscience” è fermare ogni investimento delle banche
nell’industria bellica. ING si è dimostrata disponibile al dialogo e ha elaborato una nuova politica per gli investimenti in armi
5 MAGGIORI GRUPPI FINANZIARI PRESENTI IN BELGIo investoDEXIA: Grandi passi avanti. 42,5 milioni di dollari investiti in società
no complessivamente 1,5 miliardi di dollari in 11 imche producono armi come Thales, General Dnamics e BAE Systems.
prese che producono armi”. Sono questi i dati – eviInvestimenti in produttori di armi non convenzionali. Sono questi i
denziati da una ricerca dell’associazione Netwerk
dati evidenziati dai due rapporti di Netwerk. Ma Dexia non si è tiraVlaanderen - da cui è partita la campagna “My money.
ta indietro di fronte alle richieste delle ONG belghe. Ha venduto le
di M.M.
Clear Conscience?”, lanciata da un gruppo di ONG
sue partecipazioni in BAE Systems e EADS, ha eliminato dai suoi fonbelghe alla fine del 2003. La campagna chiedeva alle banche di fermare
di le azioni di STE e, nell’aprile del 2005, ha elaborato linee guida ben
ogni investimento nell’industria degli armamenti e di essere più traspaprecise per regolare l’investimento negli armamenti. Dexia non crerenti nel comunicare le loro strategie di investimento nelle armi. Ne abde che il settore della difesa debba essere necessariamente escluso dabiamo parlato nel numero di Valori di Aprile 2005 (Cfr. l’articolo “Congli investimenti, ma ammette che sia necessario un approccio diverso rispetto alle altre attività della banca.
to arancio. Conto armato?”), esaminando nel dettaglio il volume di
Ecco i tre punti chiave del nuovo approccio: 1) esclusione degli
investimenti dei cinque gruppi analizzati (AXA, Dexia, Fortis, ING e
investimenti diretti e indiretti (tramite fondi comuni) in produttori
KBC) nella produzione di mine antiuomo, bombe a grappolo, uranio
di mine antiuomo, a cui vengono negati anche tutti i servizi bancaimpoverito e munizioni nucleari. Ce ne siamo occupati perché si tratta
ri (conti, crediti, ecc.); 2) vietati i finanziamenti a progetti di ridi banche e assicurazioni che sono sempre più presenti in Italia con
cerca, sviluppo e produzione di armamenti (munizioni, aei loro prodotti, basti pensare al Conto Arancio di ING. A più di
rei, sottomarini, ecc.). Non sono invece vietati i
due anni di distanza dal lancio della campagna, si cominciafinanziamenti per la produzione di radar, satelliti, simulano a raccogliere i primi importanti frutti. Alcune banche hantori, centri di addestramento, veicoli leggeri utilizzati dalno fatto marcia indietro, altre hanno elaborato politiche ben
l’esercito, ecc.; 3) Il gruppo Dexia e le società controllate
precise sull’investimento nei produttori di armi, altre ancora
Il simbolo della
hanno venduto tutte le loro partecipazioni azionarie direthanno chiuso la porta e hanno preferito continuare sulla loro
te in società che producono armi e non intendono assustrada. Ma vediamo, in breve, che cosa è cambiato per AXA, “Mycampagna
money. Clear
Conscience?”
merne di nuove. Grandi passi avanti, ma per i promotori
DEXIA e ING, le società più presenti nel nostro Paese.
della campagna si puo’ fare di più. Per esempio eliminare
AXA: Indifferente. Dal primo report di Netwerk (ottobre 2003) risultava da tutti i fondi comuni di investimento offerti alla clientela (e non
solo da quelli etici) le azioni di imprese coinvolte nella produzione e
che AXIA stava investendo 1 miliardo di dollari in 10 produttori di arnel commercio di armi.
mi, con partecipazioni azionarie importanti in ATK (4,61%), Allied Defense Group (2,6%), Lockheed Martin (1,86%) e BAE Systems (1,18%).
Il secondo rapporto (aprile 2004) ha rivelato investimenti in produttoING: Prime aperture. La banca del conto arancio si è dimostrata dispori di bombe a grappolo, mine antiuomo e altre armi controverse. Il conibile al dialogo anche se resta ancora molto da fare. Nelle sue ricerlosso assicurativo e bancario francese è rimasto indifferente alle solleciche Netwerk aveva scoperto investimenti per 300 milioni di dollari
tazioni della campagna. “AXA non adotterà mai un codice o dei criteri
in 9 produttori internazionali di armamenti e crediti a EADS (seconin relazione all’investimento nei produttori di armi”, ha dichiarato la
do produttore di armi in Europa) per la costruzione di nuovi missili
portavoce Elly Bens. Un’unica nota positiva: la divisione belga di AXA
nucleari M51 destinati alla marina francese. Alla fine del 2004, la diha azzerato gli investimenti dei suo fondi comuni in Singapore Techvisione olandese del gruppo era stata coinvolta anche in un grande
nologies Engineering (STE), produttore di mine antiuomo. Ma si tratta
finanziamento per l’esportazione di armi in Indonesia, Paese conodi un atto dovuto, visto che, grazie anche alle pressioni della campagna
sciuto per le violazioni sistematiche dei diritti umani. In seguito alle
di Netwerk, dal giugno del 2004 gli investimenti in questo tipo di mipressioni delle ONG belghe, ING, nel marzo del 2005, ha elaborato
ne sono proibiti in Belgio. La decisione della divisione belga di AXA inuna nuova politica per l’investimento in armamenti.
teressa appena il 2% delle azioni di STE che AXA possiede in tutto il
“ING ha fatto un passo importante nella giusta direzione”, ha dimondo. Nell’ottobre del 2005 Netwerk ha scoperto investimenti in alchiarato Netwerk. “Le linee guida sono chiare e comunicate in modo
tri due produttori di mine (Textron e ATK, vedi BOX ).
trasparente”. Ma i margini di miglioramento sono ancora ampi.
“I
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Parte dalla città dello Stretto l’inchiesta
sulla nuova emergenza sociale e le sue implicazioni
economiche
Banche italiane
Sanzioni e rinvii.
Ma loro non mollano
di Andrea Di Stefano
ORSE A MOLTI SPIACE DOVERLO CONSTATARE. Ma la notizia, cruda, è ottimamente riassunta dall’agenzia
Reuters: «La Corte di Appello di Bologna ha respinto l’opposizione di Unicredit Banca e di alcuni
esponenti aziendali, tra cui l’amministratore delegato del gruppo Unicredit Alessandro Profumo,
confermando la condanna a pagare sanzioni amministrative e pecuniarie per 437.000 euro per
irregolarità accertate da Consob in seguito a ispezioni condotte tra il 13 ottobre 2003 e il 10 marzo
2004, sull’operatività su titoli emessi o garantiti dalla Repubblica Argentina. Consob ha contestato
una serie di violazioni a esponenti aziendali, all’epoca dei fatti, di Unicredito Italiano e a Unicredit
Banca in qualità di responsabile in solido. Tra queste «il non essersi l’intermediario dotato
di procedure interne idonee ad assicurare l’efficiente, ordinata e corretta prestazione dei servizi
di investimento; l’avere effettuato operazioni nei confronti di clientela retail senza avere fornito
agli investitori informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica
operazione; non essersi l’intermediario astenuto dall’effettuare operazioni non adeguate al profilo
degli investitori... e dall’effettuare operazioni in conflitto di interessi».
Sanzioni simili hanno colpito, sempre per i bond argentini, i vertici delle banche che oggi fanno
parte del Gruppo Banca Intesa (Nuovo Banco Ambrosiano, Comit e Cariplo). Ma nel libro nero
degli istituti che hanno ricevuto multe dalla Consob,
in questo caso per il crack della Cirio, figura un altro
Cosa aspettano i vertici degli
lungo elenco di manager, presidenti, amministratori
istituti così pesantemente
delegati e sindaci di dieci banche: Monte Paschi Siena
chiamati in causa, soprattutto
dall’inchiesta sulla bancarotta
(anche per la controllata Banca Agricola Mantovana),
Cirio, a rassegnare le dimissioni? Banca Intesa, San Paolo Imi, Banca di Roma, Bnl,
Cassa di Risparmio di Torino (gruppo Unicredit),
Antonveneta, Cassa di Risparmio di Firenze, Popolare di Ancona, Credito Emiliano.
Poco prima del Natale è arrivata anche la richiesta di rinvio a giudizio per bancarotta fraudolenta
a carico dei vertici di Capitalia, Popolare di Lodi e SanPaolo-Imi per la vicenda Cirio: una truffa
da 1,125 miliardi di euro che ha coinvolto 13 mila risparmiatori. Oggetto dell’indagine nove bond
emessi tra il 2000 e il 2002 con il sostegno di banche che, in alcuni casi, erano debitrici del gruppo
di Cragnotti e che sarebbero rientrate dall’esposizione attraverso la vendita delle obbligazioni.
I responsabili delle società emittenti - dunque la famiglia Cragnotti - avrebbero costituito, si legge
nel provvedimento della Procura di Roma, «tre società dichiarate insolventi il 19 novembre 2003,
Cirio Holding Luxembourg sa, Del Monte Finance Luxembourg sa e Cirio Finance, vere e proprie
scatole vuote al solo scopo di emettere le obbligazioni in Lussemburgo (pur sapendo fin dall’inizio
che sarebbero state negoziate quasi esclusivamente in Italia)» e, quindi, al fine di aggirare
la valutazione del rischio attraverso società di rating indipendenti. I titoli furono emessi e negoziati
in Lussemburgo corcordando «fittiziamente» che fossero destinati solo agli investitori istituzionali
quando, sostengono i magistrati, sin dall’inizio i bond erano «di fatto destinati al mercato
secondario italiano» e, dunque, ai risparmiatori.
Cosa aspettano questi manager a rassegnare le dimissioni?
F
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osservatorio
nuove
povertà
a cura di Sarah Pozzoli e Elisabetta Tramonto
messina
Da sinistra a destra:
Una discarica a cielo aperto
davanti alle case popolari
del villaggio Aldisio;
un asilo mai aperto in una
zona periferica della città;
case semidistrutte vicino
al villaggio Camaro;
la carcassa di un’auto
bruciata ai margini
di una baraccopoli;
uno dei vialoni
di ingresso in città.
“La porta della Sicilia”.
Una testimonianza dello splendore normanno, un centro
di commercio e cultura che ha portato alla costituzione
della prima Università degli Studi Siciliani. Una forza distrutta
più volte dalle dominazioni (a cominciare da quella borbonica),
dalla natura (il devastante terremoto con maremoto del 1908
che provocò 70.000 morti) o dalla guerra (bombardata più volte
per la posizione strategica durante la Seconda Guerra Mondiali).
Da allora, la città non si è mai ripresa.
Agli onori della cronaca nazionale Messina è arrivata soprattutto
per il “verminaio” rappresentato dagli scandali che hanno
investito l’Università, il Palazzo di Giustizia e soprattutto la sanità.
Nel frattempo la città ha subito un “terremoto” economico,
sociale e umano. È questo il contesto nel quale Valori ha deciso
di realizzare la prima tappa dell’Osservatorio sulle nuove povertà,
un iniziativa frutto della collaborazione con Caritas Italiana,
una delle poche (se non l’unica) realtà che cerca di mettere
la testa nei fenomeni sociali.
Parlare di poveri non è di moda. Salvo che per qualche servizio
di cronaca un po’ strappalacrime. Noi cercheremo
di farlo raccontando e analizzando le molte realtà del Paese.
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osservatorio
nuove
povertà
Un giro, per niente turistico, per le strade di Messina.
Non quelle dello shopping in centro, quelle strette
delle baraccopoli e dei quartieri periferici.
Dove vecchi e nuovi poveri condividono problemi simili.
Senza ricevere risposte vere
Nel cuore debole
di Messina
Poveri si nasce, ma a volte lo si diventa
di Elisabetta Tramonto
re 11 e 45. Puntuali, come ogni giorno, si aprono le porte della mensa di Cristo Re. Le
O
volontarie, cinque signore sorridenti, servono un pasto gratis a chiunque lo chieda. Gli
“ospiti” entrano e si precipitano al bancone per riempire il vassoio. Si mangia pasta al sugo di pomodoro, gateau di patate e, per finire, mandarini. Aspetto e profumo niente male. Una cinquantina le persone sedute ai tavoli, «ma alcuni giorni possono anche arrivare a ottanta» dice la signora
Maria mentre riempie un piatto. C’è gente di tutte le età, marocchini, egiziani, polacchi, ma anche molti italiani, siciliani per lo più. Come Salvatore, sulla cinquantina, una faccia allegra, tuta,
scarpe da tennis e occhiali da sole sulla testa. È originario di Palermo, ma vive a Messina, in una
baracca, una delle molte in città, costruite dopo il terremoto del 1908 o dopo la guerra. Salvatore
mangia alla mensa di Cristo Re quasi ogni giorno. Fino a pochi anni fa invece pranzava a casa sua,
Alcune case popolari nel quartiere Camaro,
uno dei più poveri della città. Palazzi, ormai
fatiscenti, costruiti nel periodo fascista
si alternano alle baracche del post terremoto.
aveva una famiglia e un lavoro. Faceva il cameriere negli alberghi
nella provincia di Messina. Poi ha perso il lavoro e sua moglie lo ha
lasciato. In quest’ordine o viceversa, poco importa. Di fatto, oggi è
solo e disoccupato. «Chi vuole che dia un lavoro a un cinquantenne?», dice rassegnato. Il confine che separa dalla povertà è sottile, superarlo è più facile di quanto si creda, oggi più di ieri. A Messina in
molti lo hanno già varcato e in molti sono proprio sul bordo del precipizio. Sono i nuovi poveri, che vanno ad aggiungersi ai vecchi.
Nuove e vecchie povertà,
visibili e invisibili
Chi sono dunque questi “nuovi” poveri? Sono diversi dai “vecchi” poveri? «In parte» risponde Guido Signorino, docente di economia regionale all’università di Messina, che ha curato insieme a Sabrina Munaò e Salvatore Rizzo il rapporto della Caritas sulle povertà in Sicilia:
“Fragilità sociale e mancato sviluppo”. Vecchi e nuovi poveri affrontano gli stessi problemi, lo stesso disagio, hanno le stesse esigenze. Soldi,
un lavoro, medicinali, cibo, una casa. Questi i bisogni delle fasce povere della popolazione messinese rilevati dall’indagine condotta nei
centri di ascolto della Caritas. Vecchi e nuovi poveri si differenziano
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nelle cause che li hanno portati alla condizione di disagio. «I vecchi poveri sono nati e cresciuti in famiglie indigenti – spiega Guido Signorino - È una condizione ereditata, difficile da modificare. Di solito passando da padre in figlio il livello di istruzione, di lavoro e di reddito
restano bassi. Anzi, spesso la condizione tende a peggiorare. Abbiamo
condotto una ricerca per due anni consecutivi nelle prime due classi
delle scuole superiori a Messina per individuare la diffusione del lavoro nero e minorile. È emerso che mentre il primo anno, 2001-2002, i
ragazzi che avevano già avuto esperienze di lavoro erano il 21%, uno
studente su 5, l’anno successivo, la percentuale era salita al 35%, uno
studente su 3. Un aumento vertiginoso, sintomo di una crescita della
povertà». Quali, invece, le nuove povertà? «Sono legate in modo crescente all’immigrazione o a improvvise avverse condizioni economiche che possono colpire una famiglia: il fallimento di un’attività commerciale, la perdita del lavoro del capo famiglia – continua Guido
Signorino – Eventi che oggi, con la diffusione del lavoro irregolare e
con la scarsa accoglienza del
mercato messinese, sono difficili da superare e rischiano
di attivare la spirale della povertà». «Le categorie più a rischio sono le famiglie numerose, in particolare quelle che
accolgono in casa un anziano
non autosufficiente – racconta Sabrina Munaò – Poi ci sono le donne sole, separate o
vedove, che si trovano a dover provvedere alla famiglia.
C’è chi ha perso il lavoro in tarda età e non riesce più a inserirsi nel
mondo del lavoro. Ma ci sono anche molti giovani che non trovano
un’occupazione o ne trovano una precaria. La povertà, soprattutto negli ultimi anni, ha assunto forme invisibili, in apparenza, e, per questo,
più subdole. I nuovi poveri sono anche operai, impiegati e commercianti che, soprattutto dopo l’arrivo dell’euro, faticano ad arrivare alla
fine del mese. È la cosiddetta povertà grigia, di chi vive appena sopra
la soglia di sopravvivenza e, alla prima spesa imprevista, precipita».
Ma quanti sono i poveri a Messina? Difficile misurare la povertà.
Si può avere una prima idea della situazione dal numero di richieste
di sussidio economico che arrivano ai servizi sociali. «Sono state circa 1.500 le domande arrivate in Comune nel 2000 e, da allora, la situazione è rimasta più o meno la stessa – spiega Sabrina Munaò 5.000 le persone coinvolte, di cui 1.700 minori. Considerando che gli
abitanti di Messina sono circa 250.000, la percentuale di persone colpite non è così elevata, il 2%. Ma questo dato non comprende tutte
quelle famiglie, di cui accennavo prima, che sono appena al di sopra
della soglia di povertà». «A Messina c’è un’area di povertà molto più
ampia di quanto risulti dai dati – dichiara Mario Centorrino, neo-assessore al bilancio della città - Ho assistito alla distribuzione di pasti
gratuiti in una mensa e mi ha colpito vedere persone che non recavano segnali evidenti di povertà. Se li avessi incontrati per strada non
avrei pensato che fossero così indigenti. Eppure erano in fila con il
vassoio in mano per chiedere un piatto di pasta».
Incontro ravvicinato con la Messina
più povera
Per guardare in faccia la povertà a Messina bisogna recarsi nei quartieri giusti. Santa Lucia sopra contesse, Bordonaro, Aldisio, Mangialupi, Mare grosso, Camaro, Giostra. Sono i vecchi villaggi che sorgevano attorno al nucleo urbano, poi inglobati nella città. La gente abita
in vecchie case popolari o nelle baraccopoli. Agglomerati di piccole case in eternit, lamiera e muratura costruite dopo il terremoto e nel periodo post bellico come abitazioni temporanee. Alcuni di questi quartieri sono in periferia, altri invece appena fuori dal centro. Basta
attraversare la strada per ritrovarsi in un altro mondo: dallo shopping
delle vie del centro, al degrado di baracche fatiscenti, terreno fertile
per la criminalità. Arrivati a Giostra viene subito voglia di tornare indietro. In uno spazio di un chilometro quadrato si ammassano un
centinaio di casette, separate da stradine strette dove non riesce a passare più di una persona alla volta. È questo il volto povero di Messina.
Risposte: solo una tantum
Ma nessuno fa niente per tentare di cambiare la situazione? Viene da
domandarsi. Troppo poco, sembra. «Il problema della povertà a Messi|
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osservatorio
messina
nuove
povertà
Dal 1991 al 2001 hanno chiuso
i battenti il 16,6% degli esercizi
commerciali, il 30,3% delle
unità produttive industriali
(contro una crescita regionale
del 5,3%). In calo (-2%) anche
le unità locali delle istituzioni
na non è mai stato affrontato in modo radicale. Non c’è progettazione,
non c’è sforzo di capire e risolvere i problemi alla base – lamenta Sabrina Munaò – Ci sono solo interventi di emergenza. Dalle istituzioni e dai
servizi sociali arrivano solo contributi economici. Così però il problema
non si risolve. Dopo un mese siamo punto a capo». Diverso il contributo della Caritas attraverso i centri di ascolto e gli osservatori che tentano di approfondire le ragioni del disagio sociale. I centri di ascolto sono cinque a Messina: uno in centro, uno a Giostra, uno nel villaggio di
Ganzirri, uno a Barcellona Pozzo di Gotto e il centro servizi immigrati.
«Forniamo assistenza sanitaria, una collaborazione per le pratiche bu-
rocratiche, cerchiamo di fare incontrare domanda e offerta di lavoro spiega un volontario della Caritas – ma soprattutto diamo ascolto». Raramente la Caritas interviene anche con un aiuto economico, «si paga
qualche bolletta, ma non molto di più» spiega un volontario. A volte
sono gli stessi volontari che attingono al portafogli e raccolgono fondi
per aiutare qualche famiglia. Ma non basta, serve un intervento maggiore, soprattutto da parte delle istituzioni. «Bisogna ridefinire una strategia di lotta alla povertà», conclude Guido Signorino, «creando percorsi di reale inserimento nella dinamica sociale e produttiva della città.
Nel mercato del lavoro e nel circuito della formazione».
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Il sindaco di Messina
Francantonio Genovese.
In fuga cittadini e imprese
Turismo e vivai gli unici settori forti
Il quadro economico che emerge dalle ricerche è univoco: il declino colpisce non solo il settore industriale che ha perso in soli
I
di Sarah Pozzoli
una delle baraccopoli
del villaggio Camaro,
adattamenti
delle case di fortuna
del post Terremoto
del 1908.
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GIOVANI MESSINESI SE NE VANNO ALTROVE A CERCAR FORTUNA
(5mila nel 2003). Nel Nord Italia o nel mondo, poco
importa. Esuli comunque perché la loro città li respinge. Tornate, tornate ma please solo per le vacanze di
Natale o estive – è il messaggio neanche tanto subliminale che sembra mandare la città dello Stretto –. E
non dimenticatevi di sostenere i bei negozi del centro
con un po’ di shopping e le trattorie tipiche con laute
cenette a base di pastaallemelanzane-involtinialpescespada-cannoli. Ecco il conto. Arrivederci e grazie.
Non tutti i giovani messinesi se ne vanno, è chiaro.
Qualche fortunato resta perché magari trova lavoro al
Policlinico (con 2.550 dipendenti è la prima industria della città), all’università o presso un altro ente pubblico.
Anche altri restano e lavorano per le poche, piccole imprese della città. E magari
qualche coraggioso è anche
capace di inventarsi qualche
attività lucrosa. O quantomeno, sufficiente per arrivare a
fine mese. Molti però rimangono solo perché non hanno i mezzi (anche solo culturali) per buttarsi oltre Scilla e Cariddi e vivono ai margini.
Nell’altra città (e sì, perché Messina ha due volti, quello rispettabile del centro e quello degradato dei ‘villaggi’, i
quartieri periferici dove ci sono ancora le baraccopoli costruite dopo il terremoto del 1908) vivacchiano con lavoretti saltuari e in nero, se va bene, diventano manovalanza dei clan di quartiere e disoccupati, se va male.
Tutti quelli che restano hanno una cosa in comune:
fanno pochi figli. Dal secondo rapporto sull’economia
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di Messina (dati 2004), appena pubblicato dal Dipartimento di economia, statistica, matematica e sociologia
dell’Università cittadina, emerge infatti che nel 2004 i
morti hanno superato i neonati (il saldo è di –817). Così come coloro che hanno abbandonato Messina hanno
superato quelli che hanno chiesto la residenza (–322). In
tutto 1.139 cittadini in meno rispetto all’anno scorso.
Cosa significa? Secondo gli studiosi, questo doppio dato negativo è sintomo di poca fiducia nel futuro e di depressione economica.
Perché si è creata questa situazione? Stando ai dati
del rapporto Sicilia 2004 dell’Eurispes (rielaborati per il
rapporto sulle povertà in Italia della Caritas nazionale Fragilità sociale e mancato sviluppo, ed. Gruppo Abele
2005 - da Guido Signorino, Sabrina Munaò e Salvatore
Rizzo), l’economia messinese è in declino e nonostante
qualche spunto (apparentemente) positivo fornito dallo studio dell’università di cui sopra (basato su dati Istat,
Unioncamere e Starnet), per ora non sembrano cogliersi solidi segnali di un risveglio.
L’industria ha perso un terzo
delle unità produttive
Secondo il rapporto Caritas, nel periodo 1991-2001 la
provincia di Messina ha perso unità produttive locali «in
una misura veramente preoccupante». In particolare, ha
chiuso i battenti il 16,6% degli esercizi commerciali
(contro una media regionale del 9,7%) e addirittura il
30,3% delle unità produttive industriali (+5,3% nella regione). In calo (-2%) anche le unità locali delle istituzioni pubbliche (scuole, asl e pubblica amministrazione). Segna invece un andamento in controtendenza il
settore “altri servizi” anche superiore al dato regionale
(+19,4% contro il 17,8%).
Nel 2004, si legge invece nell’indagine annuale dell’università, il tessuto imprenditoriale locale risulta
dieci anni addirittura un terzo delle unità
composto da 64.359 imprese, ma soltanto 46mila sono
quelle attive. «Un numero insufficiente – si legge nello
studio – rispetto alla popolazione di Messina», trattandosi di appena sette imprese ogni 100 abitanti. Però, bisogna evidenziare che, nel 2004, il numero di nuove
aziende ha superato quelle che hanno chiuso (saldo positivo di 824 unità, +1,3), ma se si è trattato soprattutto
di esercizi commerciali. Secondo gli studiosi, perché ci
sia una reale inversione di tendenza bisogna avere un
aumento dell’industria e dell’agricoltura.
Un altro dato apparentemente incoraggiante riguarda l’export: nel 2004 ha registrato un aumento del
53,8% rispetto all’anno precedente. Ma il boom è dovuto soprattutto alla petrolchimica (legata al polo di
Milazzo) e quindi sembra più legato al rialzo mondiale
dei prezzi del petrolio che non all’incremento dei prodotti esportati.
Molte aziende agricole
ma piccole e poco meccanizzate
Secondo il rapporto Caritas, la dimensione media delle
aziende agricole messinesi (prime in Sicilia per numero) è di appena 2,3 ettari, meno della metà della media
nazionale (5,1 ettari) e nel periodo 1990-2000 ha subito una contrazione di quasi il 12%. Il settore è arretrato
anche sul fronte tecnologico: l’indice di meccanizzazione (ossia la presenza di trattrici per azienda) è pari allo 0,04, quattro volte inferiore alla media siciliana
(0,16), sei volte inferiore alla provincia di Ragusa (0,24)
e dieci volte inferiore a quella di Trapani (0,4). La debolezza del settore – osserva il rapporto Caritas – non è
in grado di far sì che «alcuni elementi potenziali di qualità e sviluppo, come i due vini doc, il Faro e la Malvasia delle Lipari e 25 prodotti tipici, possano “esprimere
il potenziale che avrebbero».
Niente da salvare dunque? No, qualcosa c’è.
IL SINDACO GENOVESE:
MESSINA DEVE RICONQUISTARE
LA SUA DIGNITÀ
«MESSINA DEVE RIACQUISTARE LA DIGNITÀ PERSA».
Non poteva che essere una bella dichiarazione d’intenti sul futuro della città
dello Stretto quella di Francantonio Genovese, il giovane avvocato con illustri
parentele politiche (è figlio di Luigi Genovese, sei volte senatore democristiano
e nipote del potentissimo Nino Gullotti, otto volte ministro Dc), che ha appena
preso le redini della città siciliana (l’intervista è stata fatta il 21 dicembre, nove
giorni dopo la vittoria delle elezioni). Con il neo sindaco targato Unione, 37 anni,
due figli, faccia da bravo ragazzo e portatore di un conflitto d’interessi perché
è socio di minoranza del gruppo Franza (traghetti e tante altre attività a Messina)
abbiamo parlato della sua idea di città e delle priorità del suo governo.
Come sogna di trasformare Messina?
«Sarà una prova difficile perché bisogna cambiare la città fin dalle sue fondamenta,
anche nel modo di pensare e nel modo di affrontare la vita quotidiana. Bisogna
dare il via a un progetto di sviluppo che risolva la piaga principale del traffico
cittadino e allontani il traffico gommato per il collegamento con Villa San Giovanni.
E poi bisogna lavorare per garantire un livello di qualità della vita superiore a quello
di oggi, cominciando dalle piccole cose che sono essenziali al vivere quotidiano,
come l’arredo urbano e le aree verdi. Un altro punto importante è recuperare
l’affaccio sul mare. Attraverso interventi ad hoc, come il recupero della zona falcata».
La prima decisione concreta che prenderà?
«Stiamo mettendo mano all’apparato amministrativo per far ripartire la burocrazia
del municipio. Successivamente, ci aspettiamo di inaugurare l’approdo
dei Tremestieri per poi emettere l’ordinanza di trasferimento del traffico pesante
e toglierlo dal centro urbano».
Avete qualche piano per risolvere l’ormai secolare questione
delle baraccopoli e delle altre zone degradate della città?
«Chiaramente bisogna intervenire, ci impegneremo fino all’inverosimile per queste
sacche di popolazione che vivono in condizioni di vera indigenza. Dobbiamo
recuperare questi cittadini da un punto di vista sociale. E lo dobbiamo fare
con interventi mirati, cercando non solo di rivalutare queste aree ma anche
cercando di ridare un tessuto economico e creando occupazione vera».
Mi dica qualcosa di concreto...
«Cercheremo di stimolare fino all’inverosimile l’iniziativa privata, facendo
sì che chiunque voglia investire in questa città lo possa fare senza incontrare
né intoppi né un apparato burocratico che faccia da barriera. Scommetteremo
soprattutto sui piccoli e medi investitori – ma siamo convinti che anche quelli
grandi torneranno, cercando di creare anche incubatori di impresa e di aiutarli
con un fondo di garanzia che vorremmo istituire già dal 2006».
Ultima domanda: come pensa di risolvere il suo conflitto
d’interessi?
«Le mie attività sono alla luce del sole, sotto i riflettori dei cittadini e di
chiunque voglia andare a verificare. Sono assolutamente sereno. Non ho
interessi particolari da curare. Ho l’interesse che questa città cresca». S.P.
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osservatorio
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povertà
Messina è la numero uno in Sicilia per numero di
aziende e fatturato complessivo di florovivai. Inoltre, la
provincia continua a primeggiare nel settore del turismo
diretto all’arcipelago delle Eolie e Taormina.
ENERGIA PULITA
PER FAR CRESCERE MESSINA
Posti di lavoro in calo
DA PIÙ DI VENT’ANNI MESSINA PENSA ALLE FONTI ENERGETICHE ALTERNATIVE. Siamo
al Cnr-Itae, l’Istituto di Tecnologie Avanzate per l’Energia, anello della rete del Consiglio
nazionale delle ricerche. Specialità della casa: l’idrogeno. Qui lo si studia dagli anni Ottanta,
prima che balzasse agli onori della cronaca come la fonte energetica del futuro. Muoversi
in anticipo ha permesso al Cnr-Itae di diventare un punto di riferimento a livello internazionale.
Ogni anno sbarcano a Messina studenti da tutta Italia. Un giro d’affari da circa tre milioni
di euro all’anno (3,6 nel 2005). 65 ricercatori impegnati ogni giorno a tempo pieno e partner
del calibro di Pirelli, Eni, Enel, Ansaldo. Da una collaborazione con il centro di ricerche della
Fiat è nato il prototipo della prima auto italiana a idrogeno con celle a combustibile, la 600
Elettra. Tra i partner internazionali anche la Daimler, per un progetto di celle a combustibile
ad alta temperatura. «Il centro sta facendo molto per lo sviluppo della città – spiega Gaetano
Cacciola, il direttore del Cnr-Itae – Qui sorgeranno stazioni di prova per testare tecnologie
energetiche pronte per la commercializzazione. Permetteranno di attirare investimenti
e industrie a Messina. Sono già stati stanziati 9,8 milioni euro». Coinvolte nelle attività del Cnr
anche due aziende cittadine: l’Atm, l’azienda del trasporto locale, in un progetto, ancora
da approvare, per costruire piccoli veicoli pubblici a celle a combustibile. E la Giano Ambiente
per realizzare quadricicli elettrici a celle a combustibile, da usare nei centri storici o nelle isole.
Nel decennio 1991-2001 – si legge infine nel rapporto
Caritas - Messina ha perso il 15,7% dei posti di lavoro,
il triplo rispetto a Palermo (-5,8%) e 40 volte in più rispetto ad Agrigento (-0,4%), le uniche due province siciliane che nel periodo hanno registrato un calo. Il segno meno riguarda un po’ tutti i comparti (istituzioni:
–8% di addetti; commercio: -16,1%; altri servizi: -4,1%),
ma è senza dubbio il settore industriale quello ha sofferto di più (-39,3%). Dalle rilevazioni dell’università
sembrerebbe esserci un cambio di rotta: il tasso di disoccupazione è infatti passato dal 22,1% del 2003 al
16,1% nel 2004 (circa il doppio della media nazionale).
Ma a un’analisi più approfondita emerge che si tratta di
uno specchietto per le allodole: nel 2004 è infatti calato anche il tasso di attività dal 44,2% al 42,21% (l’agenda di Lisbona ha fissato il 70% di tasso di attività
nella Ue). Insomma, il tasso sulla disoccupazione è sceso ma soprattutto perché meno gente cerca lavoro.
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Un’economia paraplegica
e senza forza
Il docente di economia regionale Guido Signorino analizza una crisi che affonda nel modello di sviluppo del dopoguerra.
M
ESSINA PUÒ ESSERE PARAGONATA A UNA DONNA ANCORA
affascinante. E con la voglia di lavorare, di divertirsi, di fare nuovi incontri. Ma che resta lì, incapace di muoversi. Come se fosse costretta su una sedia a rotelle. È un’immagine
di Sarah Pozzoli
un po’ triste e frustrante quella a cui ricorre Guido Signorino, docente di economia regionale all’università
messinese, per descrivere la città dello Stretto. «Purtroppo è così – dice il professore – ci troviamo di fronte a un’economia paraplegica, è
come se mancasse la capacità di connettere gambe e cervello». Con
Signorino abbiamo cercato di individuare le cause dello scarso sviluppo di Messina e le possibili strade della rinascita.
C’è chi fa risalire la crisi economica di Messina addirittura
al terremoto che devastò la città il 28 dicembre del 1908
(morirono 70mila persone su 170mila abitanti e risultarono distrutti il 90% degli edifici). Non è un po’ esagerato?
È un’ipotesi che ritorna, in effetti il terremoto fu un evento epocale che
sconvolse la città dal punto di vista demografico e anche nella conformazione. Inoltre, interruppe il ruolo che Messina aveva nei traffici commerciali. Diversi studiosi sostengono che allora la città perse la sua memoria storica e le sue radici. Però c’è da dire che dal terremoto in poi la
città ha vissuto fasi alterne. Nel periodo post-bellico (anni ’50-60), le at-
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tività economiche ricominciarono a fiorire e Messina fu ancora il polo
di attrazione di una vasta area che comprendeva la Calabria. Successivamente, dalla metà degli anni ’60 e soprattutto negli anni ’70, la città
tornò in crisi, situazione che si radicalizzò negli anni ’80-’90.
Quali furono le ragioni del declino?
I motivi sono legati al modello di sviluppo della città nel dopoguerra.
Era un modello che mancava di forza, fondato sull’edilizia e su un’economia di rendite legata al denaro pubblico. Se, da un lato, crescevano i
settori del terziario e dei servizi, dall’altro i settori più antichi e più importanti dell’economia messinese, in particolare quello della cantieristica e quello della trasformazione degli agrumi, andavano via via estinguendosi. Bisogna sottolineare che la crisi di questi settori fu provocata,
oltre che dalla scarsa attenzione della città, anche dalla crescente concorrenza nei mercati europei di sbocco, specie in seguito all’entrata della Spagna e all’apertura con Israele. Un altro elemento che influì è che
la città non fu in grado di percepire in tempo la reale portata del declino di queste attività perché prosperava nell’edilizia, grazie soprattutto
al denaro pubblico e nei servizi, come polo d’attrazione della Calabria.
E poi cosa successe?
«Il bilancio pubblico cominciò via via a ridursi e quindi si esaurirono anche i trasferimenti di denaro. Inoltre, la sponda calabrese ini-
UN NAPOLETANO PUNTA
AL RILANCIO DELLA CANTIERISTICA
SARÀ UN NAPOLETANO A RIDARE LUSTRO ALLA CANTIERISTICA DI MESSINA?
Antonio Palumbo, proprietario della Palumbo spa, una delle aziende più
importanti in Campania nel settore delle riparazioni, costruzioni, trasformazioni
e manutenzioni di navi, lo spera. Dopo essersi aggiudicato nel dicembre scorso
la gara bandita dall’Autorità portuale ed ente porto per l’utilizzo del bacino
di carenaggio, conta infatti di ottenere presto l’atto di concessione formale.
«Stiamo preparando la documentazione richiesta dalle autorità – dice Palumbo
nel corso di un’intervista telefonica a fine dicembre – e quindi speriamo a breve
di poter dare il via all’attività».
E così si riparte da zero dopo la disfatta dell’ottobre del 2003, data in cui
la Smeb, la ditta che in precedenza utilizzava il bacino il carenaggio, venne
dichiarata fallita. La Palumbo, che ha presentato un piano di investimento
di 14 milioni di euro, preferisce mantenere uno stretto riserbo sulla ricaduta
occupazionale della nuova attività. «Non voglio sbilanciarmi finché la situazione
non si sarà definita», dice Palumbo. Sulla Gazzetta del Sud si ipotizzano circa
165 assunzioni che comprenderebbero anche i cassintegrati dell’ex Smeb.
Ma perché un imprenditore partenopeo avrebbe deciso di puntare su Messina?
«Napoli, dove già abbiamo due bacini, ci stava stretta – dice Palumbo –
a quel punto, la scelta ci è parsa ovvia». E conclude: «speriamo di parlare
presto di Messina come di un nuovo polo per le grandi riparazioni».
Nino Calarco, direttore
della Gazzetta del Sud,
da quasi quarant’anni
alla guida del quotidiano.
ziò a organizzarsi, sviluppando università, ospedali e attività commerciali. Tutto questo portò il sistema all’implosione. Come contorno, si inserì anche il problema della struttura urbana».
Si spieghi meglio...
«Negli anni ’60-’70 venne avviato il traghettamento privato che
permise al gruppo Franza di prosperare e di diversificare anche in altre attività, ma che, appunto, violentò la struttura della città. Con il
traghettamento privato arrivarono i tir che ancora oggi passano lo
Stretto e attraversano il centro della città (sono circa 4mila al giorno, ndr), tagliandola in due e obbligandola a svilupparsi in lunghezza da nord a sud. Il risultato è una città poco vivibile e che per
la sua conformazione non facilita le relazioni sociali ed economiche
che avrebbero dovuto sorgere spontaneamente».
E quanto ha influito il sistema creditizio sullo scarso sviluppo della città?
«Su questo fronte Messina non si discosta molto dalle altre città del
Sud dove il sistema creditizio ha avuto un ruolo particolarmente negativo e incapace di supportare un sistema di sviluppo. Prima hanno pesato le inefficienze del sistema bancario fatto solo di piccoli
sportelli e poi l’arrivo dei grossi gruppi non ha fatto altro che dare
vita a un serbatoio di risparmio per foraggiare attività al Nord. Lo si
SOLO BRUTTI VOTI IN PAGELLA
PAROLA DI UN PESSIMISTA
INNAMORATO DELLA SUA CITTÀ
UN RAPPORTO CONFLITTUALE LEGA NINO CALARCO
alla sua Messina. «Un pessimista dinamico - si definisce - Sono innamorato di questa
città, per questo mi arrabbio se le cose non funzionano». Nino Calcarco, 74 anni, da
quasi 40 alla guida della Gazzetta del Sud, è il direttore di giornale più longevo d’Italia.
Direttore, come ha visto cambiare la città in questi anni?
Cambiare? Direi solo peggiorare. Dal terremoto del 1908 non si è più ripresa.
Il sisma spazzò via un’intera classe sociale: la borghesia, i commercianti,
i possessori dei mezzi di produzione. Catania e Palermo ne approfittarono.
Dopo ci fu la ricostruzione e di nuovo la distruzione, nel 1943 con le bombe degli
americani. Per ricostruire la città arrivarono carpentieri, operai specializzati, capi
cantiere da tutta Italia. Non ci fu un inurbamento graduale. Messina fu invasa
da gente disperata dalla campagna, soprattutto dalla Calabria. Gente che portava
con sé valori rurali. Ancora oggi i messinesi non hanno la mentalità da città.
Ma perché Messina non è riuscita a decollare?
Dal terremoto in poi abbiamo avuto 4 generazioni di una classe dirigente che
non ha avuto i tempi necessari per formarsi. È una città asfittica, senza spirito
imprenditoriale. Sino al 1943 ha vissuto dell’assegno dello Stato come città
terremotata. Non ha mai sviluppato un’industria solida, c’erano solo gli agrumi.
Messina non ha zone adatte agli insediamenti industriali. È anche un problema
di conformazione geografica: il mare da una parte, le montagne dall’altra.
Gli aliscafi avrebbero potuto essere una grande occasione. Nacquero con la
Rodriguez negli anni ‘60. Quando il signor Rodriguez morì, i figli dissiparono tutto.
E il turismo?
Il terremoto ha distrutto tutto, abbiamo pochissime attrazioni per i turisti. Più
che altro un turismo di passaggio, diretto a Taormina, all’Etna, alle isole Eolie.
E allora oggi di che cosa vive Messina?
La nostra Fiat è il Policlinico, che dà lavoro a circa 2500 dipendenti, poi abbiamo
l’Università, il Comune e La Provincia. Manca il commercio. Un tempo l’economia
di Messina era trainata da un fiorente commercio, tutta la Calabria veniva qui a fare
acquisti e per l’Università. Poi la Calabria è decollata e Messina ne ha risentito.
Che ruolo ha la Massoneria per la città di Messina?
L’ho sempre detto, Messina ha il più alto tasso di Massoneria in Italia.
È un’eredità inglese. Napoleone non oltrepassò lo stretto. Qui rimasero gli inglesi.
Qual è il problema più grave che Messina deve affrontare?
Il traffico. Un piano regolatore assurdo, una linea tranviaria illogica, un progetto
di svincoli autostradali ancora fermo, rendono impossibile muoversi per la città.
Come potrebbe rialzarsi?
Il primo passo è la costruzione del ponte sullo stretto. È l’unico modo per ridare
vita alla città e valorizzare lo sbocco sul mare. La costruzione del ponte darà impulso
a tutta la Sicilia. Il ponte sarà fondamentale soprattutto per il transito dei treni e
il traffico delle merci su rotaia.
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FEBBRAIO 2006
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| osservatorio nuove povertà | messina |
osservatorio
La sua personale ricetta per la rinascita di Messina.
«Servirebbe un complesso di azioni perché le cause della crisi sono
molteplici e profonde. Innanzitutto, bisognerebbe riconsiderare l’assetto urbanistico della città, espellendo l’attività del traghettamento
e dei tir dal centro e spostandola ai margini. Poi, bisognerebbe valorizzare le potenzialità turistiche della città. Pensi che nella provincia
di Messina transitano 6-8 milioni persone all’anno dirette a Taormina e alle isole Eolie, mentre nella città si aggirano un po’ spaesati soltanto 200-300mila turisti. Inoltre, servirebbero investimenti importanti nei centri di ricerca scientifica e tecnologica – in particolare
università e Cnr – per sviluppare attività di servizio molto avanzato.
Infine, bisognerebbe incentivare un’imprenditorialità diffusa, potenziando iniziative come gli incubatori d’impresa».
.
1997
1998
9.745,1
10.312,9
11.213,8
9.531,5
9.857,7
9.401,4
9.818,6
11.216,3
12.968,5
10.412,2
18.927,1
15.989,8
10.055,1
10.755,7
11.645,1
9.516,5
10.482,6
9.409,3
10.200,9
11.558,3
13.438,7
10.777,3
20.055,8
16.615,4
1999
2000
10.506,0 11.236,0
10.973,2 11.717,2
12.023,1 12.746,1
9.788,3
9.704,0
10.431,8 10.488,1
9.557,7 10.405,6
10.733,3 11.556,1
11.966,0 12.860,7
13.355,4 14.025,9
11.079,1 11.728,6
20.438,0 21.431,6
17.094,2 17.982,4
50
Messina
Mezzogiorno
TASSO DI DISOCCUPAZIONE
Sicilia
Italia
18
Sicilia
Italia
15
16,1
50
44
9
40
42,1
40
6
Altre attività
73
68,7
30
8,0
3
IL TESSUTO IMPRENDITORIALE
NELLA PROVINCIA DI MESSINA
64,9
Industria
11.811
20
41,9
Industria
74,4
60
15,0
12
43,9
Una veduta panoramica dello stretto che divide
la Sicilia dal Continente.
17,2
46
42
Agricoltura
80
70
49,4
48
Messina
Mezzogiorno
OCCUPATI PER SETTORE DI ATTIVITÀ
19,8
10
5,9
23,8
19,4
7,6
7,5
Servizi
26.480
30,7
4,4
Agricoltura
7.976
ITALIA
1996
9.500,6
9.867,6
10.857,5
8.905,9
9.282,2
8.480,5
9.455,7
10.546,1
12.394,7
9.949,3
18.398,8
15.420,2
FONTE ISTAT
1995
8.877,2
Palermo
9.233,4
Messina
9.897,9
Agrigento
8.223,1
Caltanissetta 8.752,4
Enna
7.899,5
Catania
9.114,8
Ragusa
9.869,6
Siracusa
11.489,8
Sicilia
9.314,5
Roma
17.358,3
ITALIA
14.463,7
TASSO DI ATTIVITÀ
MEZZOGIORNO
VALORE AGGIUNTO AI PREZZI BASE PER ABITANTE [prezzi correnti, euro dal 1999, eurolire per anni prec,]
Trapani
MESSINA, PORTO DI MARE NEL CUORE DEL MEDITERRANEO,
preda ambita di conquista, più volte distrutta e risorta dalle sue
ceneri. Nacque nel 750 a.C. con il nome di Zancle, falce.
Così la chiamarono i coloni greci calcidesi che la fondarono,
per la forma del braccio di terra che racchiude il suo porto.
Dopo l’invasione dei messeni divenne Messanion, da cui
la versione latina Messina. Preziosa base marittima, fu contesa
da greci e cartaginesi. Nell’843 arrivarono i saraceni, che si
trattennero per due secoli fino all’arrivo dei normanni. Poi toccò
agli angioini, agli aragonesi e agli spagnoli. Durante le crociate
il porto di Zancle fu il punto di partenza delle spedizioni
cristiane in Terrasanta. Fu Messina, con i moti del 1847, a dare
il via al Risorgimento Italiano. Nel Luglio 1860 i Garibaldini
entrarono in città. Terremoti e carestie segnanola storia di
Messina. Come il forte sisma nel 1783 e quello devastante del
1908. Ricostruita, fu nuovamente distrutta dai bombardamenti
anglo-americani della seconda guerra mondiale nel 1943.
SICILIA
Qual è stato invece il ruolo della criminalità organizzata?
«Messina per lungo tempo è stata definita, come Ragusa, la “città babba”, cioè non mafiosa. Questo teorema è stato accreditato fino agli anni ’90. Poi però è emerso in modo sempre più lampante che la città
funge da terreno d’incontro tra mafia palermitana e ‘ndrangheta calabrese. Insomma, si è ammesso che c’è una presenza importante.
Dando per scontato che la criminalità organizzata ha un impatto un
po’ ovunque nel Mezzogiorno a causa delle estorsioni, andrebbe indagato fino a che punto questo ruolo di cerniera tra due grosse organizzazioni possa aver influito sulla gestione degli affari. Al riguardo ci
sono due ipotesi opposte. In base alla prima, Messina sarebbe una sorta di zona franca in cui mafia e ‘ndrangheta definiscono le loro stra-
BREVE STORIA
DELLA CITTÀ
MESSINA
può vedere facilmente dal livello dei tassi d’interesse sui prestiti,
molto più alto rispetto a quello del Settentrione».
tegie ma hanno poca influenza sulle attività economiche. In base alla seconda, invece, le due associazioni, per potersi incontrare senza intromissioni, avrebbero colonizzato l’economia in modo silenzioso e
sotterraneo. Quindi, in modo ancora più pericoloso».
FONTE ISTAT
nuove
povertà
FONTE ISTAT
messina
Soldi e potere fanno male alla sanità
Ospedali sempre più vuoti. Eppure il Policlino è la prima industria della città dello Stretto con 2.550 dipendenti e un giro d’affari di oltre 146 milioni di euro l’anno.
O
di E.T.
MESSINA. Chi ha bisogno di cure mediche si rivolge a una clinica privata o si
mette in viaggio verso un ospedale di qualche altra regione italiana. Se si aggiungono le inchieste della magistratura su una serie di decessi negli ospedali messinesi,
lo zampino della politica e i forti interessi economici in
gioco, ecco servito un quadro della sanità nella città dello Stretto. Pare proprio ci sia qualcosa che non va’.
SPEDALI PUBBLICI SEMPRE PIÙ VUOTI A
Fuga dagli ospedali
I messinesi sembrano non fidarsi più degli ospedali
pubblici della città. Risultato: tutti al Nord. La Sicilia è
tra le regioni con la più alta percentuale di migrazione ospedaliera, superata solo da Lazio e Campania. Secondo i dati dell’assessorato alla Sanità della Regione
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ANNO 6 N.36
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FEBBRAIO 2006
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nel 2003 sono state oltre 67 mila le prestazioni mediche usufruite da siciliani in trasferta. E nel rapporto
2005 sulla qualità della vita del Sole24Ore, Messina è
risultata la città siciliana da cui i pazienti scappano più
facilmente per farsi curare fuori dall’isola. Quelli che
restano in città, invece, optano per le cliniche private.
Secondo il rapporto Sicilia 2004 dell’Eurispes, Messina
è l’unica città della regione dove il tasso medio di utilizzo delle strutture sanitarie private supera quello delle pubbliche, 72,3% a 68,4%. Per rendersene conto basta fare un giro tra le corsie di uno dei tre ospedali della
città: Policlinico, Papardo e Piemonte. In alcuni reparti del Policlinico, ad esempio, si attraversano interi corridoi senza incontrare un’anima, file di stanze
vuote dietro porte chiuse. E dire che, gli ospedali di
Messina non sono in condizioni così disastrose come
si potrebbe pensare. O meglio, non sono molto diversi dalla maggior parte degli ospedali italiani. A Milano, ad esempio, all’ospedale “Fatebenefratelli” o al
“Maggiore”, oppure agli ospedali di Parma o di Pavia,
la situazione è molto simile. Medici efficienti e preparati accanto ad altri per cui assistere un malato è una
gran scocciatura. Reparti con stanze spaziose, muri appena imbiancati, bagni puliti e macchinari in ottime
condizioni, si alternano ad altri che invece cadono a
pezzi. Stanze piccole e sporche, mucchietti di sigarette buttate negli angoli, pezzi di intonaco che cadono
a terra, enormi macchie di muffa sul soffitto. Le scene
di questo tipo negli ospedali di Messina non sono
molto diverse da quelle di altre strutture di cura ita-
liane. Nella città siciliana però il mondo della sanità
ha qualcosa di diverso. A partire dai casi di malasanità,
per arrivare alle interminabili liste d’attesa e agli intrecci con il mondo della politica.
Ombre sulla sanità
al di là dello Stretto
A Messina otto medici su dieci sono indagati per qualche reato o perché denunciati da pazienti. A scriverlo
è il Corriere della Sera, riportando le parole del procuratore Piero Grasso. Cinque bambini sono morti tra
settembre e gennaio scorsi in due ospedali della città,
al Policlinico e a Barcellona Pozzo di Gotto. Due erano stati ricoverati per una semplice appendicite. Senza arrivare ai decessi, i guai della sanità messinese si
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FEBBRAIO 2006
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messina
| osservatorio nuove povertà | messina |
osservatorio
nuove
povertà
I NUMERI
DELLA PROVINCIA
DI MESSINA
Popolazione:
662.450 abitanti
Messina città:
252.026
(censimento 2001)
Territorio: 3.247 kmq
Comuni: 108
FONTE: ISTAT, UNIONCAMERE, STARNET
Imprese attive:
46mila nel 2004
17% agricoltura
e pesca
25,47% industria
e costruzioni
57% terziario
Tasso disoccupazione:
16,1% nel 2004
trovano anche altrove. Basta dare un’occhiata alle liste d’attesa per un esame clinico. In alcuni casi si arriva ad aspettare fino a cinque mesi per una semplice
ecografia. E anche quando i tempi d’attesa sono contenuti, 2 mesi per una risonanza magnetica o un mese per una Tac, in linea con un ospedale milanese, non
è detto che all’ultimo momento si possa ricevere una
telefonata dall’istituto sanitario e scoprire che l’esame
non si può fare: il macchinario è rotto, tutto rinviato
a data da destinarsi. «Succede spesso – spiega un volontario del Tribunale dei diritti del malato di Messina – e per i motivi più svariati. Un signore di 70 anni
con un melanoma aveva fissato un appuntamento per
un’ecografia all’addome per il 6 luglio scorso. Il giorno precedente una telefonata lo avvertì che l’appuntamento era stato rinviato al 9 settembre per “ferie del
personale”. L’8 settembre stessa scena, tutto rinviato,
e non si sa neanche a quale data. E non è l’unico caso», conclude il volontario. Come stupirsi, quindi, se
poi la gente si rivolge alle cliniche private?
Il business sanità fa gola,
anche al mondo politico
Un altro punto rovente della sanità a Messina: le cliniche private accreditate. Sono case di cura, ambula-
tori, laboratori di analisi privati a cui i pazienti possono rivolgersi, pagando solo il ticket come in un qualsiasi ospedale pubblico. Sarà poi la clinica a chiedere
all’Asl il rimborso della prestazione. Una gallina dalle
uova d’oro, insomma, un modo per dirottare fondi
pubblici su strutture private, mentre negli ospedali le
stanze restano vuote. La Sicilia vanta un primato in
Italia: 1.700 cliniche accreditate, 165 solo a Messina.
Per avere un termine di paragone, nella provincia di
Genova, che ospita 875 mila abitanti contro i 622 mila di Messina, ce ne sono solo 58. Risultato: nel 2004
le cliniche messinesi accreditate hanno ricevuto dalla
Regione 107 milioni di euro. E sono solo una parte dei
fondi che ruotano attorno al mondo della sanità: circa 1,3 miliardi di euro all’anno nella provincia di Messina. Basti pensare che il Policlinico è la prima industria della città. 2.550 dipendenti e un giro d’affari di
146 milioni di euro all’anno. Facile quindi immaginare quanto sia ambito questo bottino. Viene quindi da
chiedersi chi tiri le fila di questa partita. Ad esempio
chi decide quali cliniche possono essere accreditate?
L’assessorato alla sanità della Regione, naturalmente.
Ecco il primo punto di contatto con il mondo della politica. «I legami tra sanità e politica sono evidenti – dichiara con tutta tranquillità Lillo Oceano, segretario
generale della Funzione pubblica della Cgil - Basta sfogliare le liste delle ultime elezioni comunali (lo scorso
dicembre n.d.r.). Più di 100 candidati erano medici,
soprattutto primari. Il portabandiera del terzo polo, il
movimento per l’autonomia di Raffaele Lombardo, era
il presidente dell’ordine dei medici Nunzio Romeo».
Le conseguenze? «La prima ricaduta diretta è la lottizzazione dei dirigenti sanitari, che sono ormai emanazione diretta dei partiti», spiega Oceano. Gli fa eco Mario Centorrino, neo assessore al bilancio della città: «la
sanità a Messina è fondata su un sistema assurdo basato sulla gestione politica dei primariati. Non si diventa primario per merito, ma per appartenenza politica». «Il secondo effetto degli intrecci tra sanità e
politica – spiega Oceano - è la duplicazione delle strutture sanitarie. Anziché distribuirle in maniera efficiente sul territorio, se ne fanno due identiche a breve distanza per poi lasciare certe zone prive di servizi
sanitari. Il tutto per soddisfare le esigenze di carriera di
questo o di quello». E non è tutto. Per il segretario generale della Funzione pubblica della Cgil le ricadute
maggiori si manifestano negli approvvigionamenti di
attrezzature e materiale farmaceutico, che ruotano
sempre attorno agli stessi fornitori, e negli intrecci tra
sanità pubblica e privata. «La sanità pubblica non fa fino in fondo il suo mestiere, per salvaguardare gli interessi della sanità privata – dice Oceano - Le attrezzature che non funzionano al meglio negli ospedali
pubblici permettono un enorme giro d’affari per le
strutture private: per esempio quando le macchine per
gli esami sono in funzione per 4 ore anziché 12».
.
LA STORIA INFINITA DEL PONTE
SULLO STRETTO
IL PONTE SULLO STRETTO. MAI UNA GRANDE OPERA PUBBLICA ha suscitato tante
parole, discussioni, dibattiti, studi e controstudi. I primi a prenderlo in considerazione
furono addirittura i Romani ma poi abbandonarono l’idea perché non disponevano
né dei mezzi né della tecnologia necessarie per costruirlo. Quindi se ne riparlò
con una certa serietà all’indomani dell’Unità d’Italia. Ma solo un secolo dopo venne
istituita la Stretto di Messina spa, la società incaricata di studiare un collegamento
permanente con la Penisola. Dopo aver esaminato varie ipotesi, la Stretto di Messina
optò per il ponte stradale e ferroviario a campata unica. Quindi, iniziò la progettazione
e il governo Berlusconi pubblicò il bando di gara per la costruzione e la gestione.
Gara vinta il 12 ottobre scorso da una cordata internazionale di imprese capeggiata
da Impregilo. Partiranno i lavori? Può darsi. Ma intanto la lunga strada del Ponte
continua a essere irta di ostacoli. Ultima la commissione Ue che ha avviato
una procedura d’infrazione su aspetti ambientali, accogliendo i ricorsi presentati
dai Verdi e dal Wwf un paio d’anni fa.
E questo – ce ne scusiamo con i lettori - per ora è tutto sul Ponte di Messina.
La redazione di Valori ha deciso di rinviare l’argomento a uno dei prossimi numeri
perché è troppo vasto e complesso per essere relegato a un solo articolo
S.P.
del dossier.
La Sicilia vanta un primato:
1.700 cliniche accreditate,
165 solo a Messina che nel 2004
hanno ricevuto dalla Regione
rimborsi per 107 milioni di euro
La ditta ‘Estorsione&Usura’ spa continua a prosperare
Il racket fa capo ai clan che controllano i “villaggi”, come si chiamano i quartieri della città, mentre nel giro dei prestiti a strozzo operano anche molti cravattari dall’aspetto pulito e diverse società finanziarie.
L
QUALITÀ DELLA VITA,
MESSINA RISALE IN CLASSIFICA
UNA BUONA NOTIZIA E UNA CATTIVA.
La buona notizia: secondo l’ultima classifica annuale
redatta dal Sole 24ore sulla qualità della vita
nelle province italiane, Messina ha guadagnato
venti posizioni, passando dal 103° posto all’83°.
Il balzo in avanti è avvenuto soprattutto
grazie ai miglioramenti riscontrati nel settore
dell’ordine pubblico. La cattiva notizia: la città
dello Stretto ha registrato pochi cambiamenti
in positivo per quanto riguarda l’ambiente
economico, l’amministrazione della giustizia
S.P.
e la tutela dell’ambiente.
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ANNO 6 N.36
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FEBBRAIO 2006
|
di S.P.
A HOLDING MESSINESE ‘ESTORSIONE&USURA SPA’ non conosce crisi. Con un
fatturato complessivo stimato per difetto in almeno 150 milioni di euro all’anno (100 milioni circa dall’estorsione, secondo i calcoli fatti per
il 2000 da Mario Centorrino, docente di politica economica all’università di Messina nonché neo-assessore allo sviluppo della giunta Genovese, e altri 50 milioni dall’usura, secondo Ferdinando Centorrino,
vicepresidente della Fondazione antiusura), il giro d’affari è paragonabile a quello di floride aziende del ‘made in Italy’, come, tanto per
citare alcuni esempi noti, il produttore di cucine Scavolini (157,3 milioni di euro nel 2004), la maison di moda milanese Etro (152 milioni di euro) e le calze Pompea (156,6 milioni).
Niente male e, naturalmente, tutto esentasse.
Ma chi c’è dietro questi business criminosi? Il discorso è intricato. Il racket delle estorsioni – dicono fonti investigative – fa capo soprattutto ai clan mafiosi che controllano i ‘villaggi’ (così si chiamano i quartieri della città) e da cui prendono il nome (i più forti sono
quelli di Giostra, Mangialupi, Santa Lucia sopra Contesse, Annunziata e Gavitelli), mentre, per quanto riguarda il giro dell’usura, accanto alla criminalità organizzata operano anche una fitta rete di
piccoli “cravattari’ di quartiere, persone che svolgono attività legali
al di sopra di ogni sospetto (professionisti, commercianti, impiegati della p.a.) e anche finanziarie.
«Negli ultimi anni il fenomeno dell’estorsione è risultato in aumento - denuncia Clelia Fiore presidente della locale Associazione
antiracket e neo-assessore alla legalità – anche se rispetto agli anni
’90 le modalità sono profondamente cambiate».
Come? Da poche e importanti richieste di pizzo a cui seguivano
minacce, incendi e intimidazioni per convincere al pagamento, il
racket si è adeguato alla crisi economica e al tessuto messinese, fatto
ormai solo di piccole imprese, e ha cominciato a chiedere poco (anche soltanto 50-100 euro al mese) a molti. Risultato: per evitare noie
si paga e basta. «Si stima che il 60% degli operatori economici paghi
il pizzo – dice Fiore - ma la percentuale si alza nel settore imprenditoriale, in particolare in quello delle costruzioni. Qui vengono imposte
anche forme diverse dal pagamento della somma di denaro, come la
guardiania (l’imposizione di una persona stipendiata come custode
del cantiere, ndr) o il “consiglio” di acquistare le forniture di cemento dalla ditta x».
Analogo discorso vale per l’usura. Anche in questo caso l’attività
ferve. Sia per la crisi economica generale, sia per le difficoltà cre-
scenti di accesso al credito bancario. Ma chi è la vittima tipica dell’usura? «L’usura nella nostra città è un fenomeno trasversale che
colpisce un po’ tutte le categorie socio-economiche – dice Ferdinando Centorrino, vicepresidente della Fondazione antiusura – si va
dai piccoli imprenditori ai commercianti, ma anche i privati che tengono un livello di vita troppo alto rispetto alle loro entrate oppure
che perdono il lavoro o devono pagare le cure per un familiare ammalato. A Messina poi non bisogna sottovalutare la spiccata attitudine al gioco d’azzardo». Le somme richieste in prestito variano da
caso a caso, mentre i tassi d’interesse sono sempre vertiginosi (si arriva anche a punte del 250% all’anno). Spesso, inoltre, si vengono a
creare circuiti perversi per cui se non si riesce a restituire la rata pattuita, si ricorre a un altro prestito usuraio per pagare il primo. Al primo e al secondo se ne può aggiungere un terzo e così via, creando
una sorta di catena di S. Antonio da cui difficilmente si esce indenni. E così chi è “moroso” può arrivare a perdere gli immobili di proprietà oppure l’azienda o il negozio. «Attraverso l’usura la criminalità organizzata si è infiltrata nel tessuto economico della città –
conclude Centorrino – impadronendosi di piccole e medie imprese
e arrecando un grave pregiudizio all’economia della città».
.
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FEBBRAIO 2006
| valori | 47 |
messina
osservatorio
nuove
povertà
La faccia della miseria
è anche molto vecchia
Bisogna analizzare, ascoltare e intervenire per prevenire: sono gli obiettivi dell’azione di Caritas Italiana che insieme a Valori
presenta l’Osservatorio sulle nuove Povertà che durante tutto l’anno accompagnerà i lettori con inchieste sul territorio.
delle famiglie, tante donne si ritrovano a dover badare ai figli da soNA SOCIETÀ CHE METTE AL CENTRO SOLO GLI UOMINI in crale perché l’assegno di mantenimento dell’ex marito non sempre arvatta non è una società civile. Al centro ci devono esriva. E poi le famiglie, quando viene perso il posto di lavoro.
sere anche gli uomini con i jeans stracciati o magari di
qualcun altro. Ma per farlo ci vuole coraggio
e non sempre questo coraggio si ha». Frandi Sarah Pozzoli
Che cosa pensa del problema immigrazione?
cesco Montenegro, presidente di Caritas ItaÈ un fatto legato alla globalizzazione. La gente che arriva ha bisogno
liana e vescovo ausiliare di Messina, parla con fervore, guardandoti
di vivere e vuole vivere. Quindi va considerato come un problema sodritto negli occhi. Parla con partecipazione di gente che fa fatica ad arciale e non soltanto come un problema di polizia. Dobbiamo imparivare a fine mese, che sta male e che non ha i soldi per comprare le
rare ad aprirci all’accoglienza e alla convivenza, anche perché abbiamedicine. Di gente che cade nelle sabbie mobili dell’usura. Di gente
mo bisogno di loro. Noi vediamo gli immigrati soprattutto come forze
che dal Sud emigra al Nord ma poi torna indietro perché non riesce colavoro: adesso ci servite e allora venite. Poi però andatevene. E ancomunque a mantenere la famiglia.
ra: ci preoccupiamo degli sbarchi, ma sono solo il 13%. Tutte le altre
persone come vengono e perché vengono? E’ forse il momento di riÈ il mercoledì prima di Natale. A Messina e il traffico è ancora più
vedere la legge? Se abbiamo bisogno di 10 persone e apriacongestionato del solito per la corsa ai regali. Fatto curioso:
mo la frontiera solo a quattro, gli altri sei sono costretti a
per fare questa intervista di presentazione all’Osservatorio
entrare clandestinamente. Così non va.
sulle nuove povertà che Valori, in collaborazione con la Caritas, inaugura da questo numero, ci troviamo nella splendida cornice della Chiesa Annunziata dei Catalani, poco priQuali strumenti utilizza Caritas per intervenire sul terma che inizi l’incontro natalizio dell’arcivescovo con le
ritorio?
autorità cittadine (sono presenti sindaco, questore, prefetto,
Innanzitutto, i centri d’ascolto. Perché carità non è solassessori, alti magistrati, ecc.), dove “l’uomo in cravatta” e
tanto ti do qualcosa, è anche capacità di ascolto e cercaFrancesco Montenegro,
“consorte in pelliccia di visone selvaggio” regnano sovrani.
re le ragioni di quella richiesta. Poi, ci stiamo preoccupresidente di Caritas
Poveri, disoccupati e reietti sono lontani anni luce. Purtroppando che ci siano gli osservatori delle povertà con la
Italiana e vescovo
ausiliare di Messina
po non è così. Là fuori ci sono le baraccopoli a ricordarcelo.
capacità di analizzare l’evoluzione del fenomeno. Sono
indispensabili perché aiutano nell’opera di prevenzione.
Ci stiamo attivando molto sul fronte delle Caritas parrocchiali perQuali sono stati i cambiamenti più significativi nel panoraché sono dei radar formidabili sul territorio che nessun altra istituma nazionale della povertà nell’ultima decade?
zione può avere in modo così capillare. Sono centri importanti non
Il cambiamento più importante è che stiamo tornando alle vecchie posolo per scoprire le situazioni di difficoltà, ma anche per creare nuovertà e quindi la situazione è preoccupante. Vediamo sempre più perve possibilità di lavoro.
sone che non arrivano a fine mese, che non sono nemmeno in grado
di comprarsi da mangiare o i medicinali. Magari perché hanno perso
il posto di lavoro, cosa che a 40-50 anni significa perdere la speranza.
Quale giudizio dà degli interventi del governo nella lotta
E poi, legate a questa situazioni ci sono tante altre problematiche da
contro la povertà?
considerare. Un esempio è l’usura. Le persone in difficoltà economiche
Si dice che di denaro ne giri poco. Però mi chiedo perché si aprano
cercano denaro in maniera indebita e poi restano dentro queste sabbie
tanti sportelli bancari soprattutto al Sud. In generale, poi, nei promobili e non ne escono più. Quello che ci è chiaro è che la forbice è
getti e nei piani finanziari che si fanno è sempre l’aspetto sociale
sempre più aperta e i poveri sono sempre più poveri.
quello che deve pagare il prezzo per tutto. Sarà disattenzione? Indifferenza? Quello che mi verrebbe da dire è che è più facile togliere al povero quel poco che ha. E che, dall’altro lato, prestare la giuQuali sono le categorie più a rischio povertà?
sta attenzione al povero richiede scelte coraggiose. E questo
I giovani che non trovano lavoro, soprattutto nel Meridione. Una pocoraggio, spesso, non c’è.
vertà emergente è anche quella delle donne. Con lo smembramento
«U
.
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cisl
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La lunga mano delle multinazionali sui sussidi agricoli >53
A Hong Kong i Paesi poveri hanno perso ancora >54
Wto deludente, ma i tavoli rimangono aperti >55
internazionale
CINA, DOPO WIKIPEDIA
E GOOGLE LA CENSURA
DEL GOVERNO
COLPISCE SKYPE
HABRE CONTESO
DA BELGIO
E UNIONE
AFRICANA
IN MALAWI
EMERGENZA HIV
800 MILA AFFETTI
DAL VIRUS
I MERCENARI
CILENI
PREFERITI DAGLI
AMERICANI
AMAZZONIA,
DIMINUISCONO
GLI ALBERI
ABBATTUTI
ACCORDI DI LIBERO SCAMBIO
USA-THAILANDIA,
A RISCHIO L’ACCESSO
AI FARMACI ESSENZIALI
Continuano in Cina le forme di censura e di politica
repressiva per quanto riguarda i diritti di espressione
e la libertà di informazione. Dopo l’oscuramento
del sito Wikipedia (l’enciclopedia compilata
dai navigatori), dei motori di ricerca Google
e Altavista, è stata la volta di Skype, il sistema
per telefonare basato su tecnologia VoIP (Voice
over Interner Protocol).
Skype ha dovuto accettare le richieste del governo
cinese di filtrare alcuni termini sconvenienti,
che verranno sostituiti da silenzi o strani
rumori, comunque non identificabili e quindi
innocui per il potere.
La prima denuncia della censura
cinese fu fatta da “Reporter sans
frontieres”. L’associazione segnalò
come i motori di ricerca in versione
cinese restituissero risultati
“riveduti e corretti” a ricerche
di parole chiave come “Tibet”
o “libertà”. I link ottenuti
con queste ricerche erano infatti
depurati da collegamenti a pagine
con contenuti sgraditi alle autorità,
oppure rimandavano a pagine bianche con la scritta
“il documento non contiene dati”.
Altra forma di censura accertata sarebbe stata
quella di fornire come risposta una serie di link
a siti favorevoli al governo cinese, con informazioni
manipolate, senza critiche e affermazioni scomode.
Eppure, effettuando la controprova, ovvero la stessa
ricerca attraverso motori non filtrati, di documenti
on line scomodi al regime ce ne sarebbero molti.
Ancor più grave il trattamento subito dal blogger
dissidente Shi Tao, imprigionato con una condanna
a dieci anni di reclusione; mentre sarebbe stato
oscurato anche il blog di Zhao Jing, reo di aver
pubblicato alcune notizie riguardanti le mobilitazioni
dei lavoratori di un quotidiano di Pechino.
L’ex presidente del Chad, Hissen
Habre, accusato di crimini contro
l’umanità, sarà giudicato
dall’Unione Africana. Habre,
che ha 63 anni ed è stato arrestato
nel novembre scorso, si trova
in esilio in Senegal da 15 anni.
Il Belgio aveva richiesto a più riprese
la sua estradizione, senza esito.
Habre è accusato di aver
commesso o di essere il mandante
di omicidi politici e torture.
Il periodo incriminato va dal 1982
al 1990.
La commissione del Chad
per la Verità contesta ad Habre
40.000 vittime politiche e l’utilizzo
della tortura di massa.
La vicenda sul giudizio dell’ex
presidente è però piuttosto
controversa: da una parte si ritiene
che a giudicare Habre debbano
essere coloro che sono state
le sue vittime; dall’altra i gruppi
per la difesa dei diritti umani
ritengono invece essenziale
che Habre sia consegnato al Belgio
per avere un processo equo
e giusto. I cittadini del Chad che
vivono in Belgio hanno intanto
sottoposto il caso di Habre
alla “giurisdizione universale”
della legge belga, che ha facoltà
di giudicare i crimini commessi
contro l’umanità in qualsiasi
parte del mondo. La legge è stata
successivamente revocata,
ma il caso di Habre è uno dei tanti
già in corso e, pertanto, potrà
andare avanti.
L’Aids sta devastando il Malawi.
Si contano almeno 800 mila persone,
su 10 milioni di abitanti, affette
dal virus dell’Hiv. La fascia della
popolazione più colpita ha un’età
compresa tra i 15 e i 49 anni.
Mentre un bambino sieropositivo
su quattro muore prima di compiere
cinque anni. Il virus ha ridotto
di molto l’aspettativa di vita
della popolazione in una nazione
in cui il 65% degli abitanti tira avanti
con meno di un dollaro al giorno.
A questa piaga si aggiunge
la disperazione di mezzo milione
di bambini che sono rimasti
senza genitori a causa dll’Aids.
Per far fronte all’emergenza, presto
sarà costruita una clinica che fornirà
cure ai piccoli affetti dal virus.
L’ospedale sorgerà nella capitale
Lilongwe, con i fondi dello statunitense
Baylor College of Medicine. Il progetto
verrà finanziato da un fondo triennale
di 1,5 milioni di dollari dal programma
chiamato “Step Forward”.
La clinica di Lilongwe sarà
realizzata secondo il modello
della prima clinica pediatrica per Aids
della Baylor in Romania, dove risulta
che il programma abbia ridotto
la mortalità infantile per Hiv di oltre
il 90% in quattro anni. Ai bambini
saranno assicurati trattamenti
farmaceutici all’avanguardia, tra
cui terapie antiretrovirali. Studi recenti
hanno dimostrato che, in mancanza
di trattamenti antiretrovirali, il 90%
dei piccoli pazienti nati con il virus muore
entro tre anni. Solo l’1% sopravvive
al terzo compleanno senza ammalarsi.
Le compagnie militari mercenarie
presenti in Iraq sono sempre di più,
tanto da rappresentare il secondo
esercito per numero di effettivi dopo
quello Usa. In media si conta un
mercenario ogni 10 soldati regolari.
Tra i soldati a contratto sono
rappresentate molte nazioni:
Sudafrica, Libano, Bosnia, Francia,
Italia, India, Colombia, Irlanda,
Inghilterra, Australia, Nordamerica
e anche Cile.
Di cileni se ne contano almeno
600. Sono quasi tutti ex militari
o poliziotti dell’era Pinochet
e addestrati dalla Cia. Sono molto
apprezzati per la loro preparazione
e vengono utilizzati in varie
mansioni: bonifica dei terreni
minati, scorta ai convogli
militari o umanitari, riparazione
e custodia di armi.
I mercenari cileni possono
guadagnare fino a 4000 euro
al mese . Per le loro caratteristiche
di affidabilità vengono richiesti
soprattutto dalla Blackwater
Security Consulting Company,
che ha sede nella Carolina del Nord.
Il Cile è l’unico Paese in cui la
società americana abbia cercato
nuovi mercenari per l’Iraq.
Il fenomeno del reclutamento
dei soldati a contratto cileni
è cresciuto talmente tanto dallo
scoppio della guerra in Iraq, che
ha provocato la reazione dell’allora
ministro della Difesa cileno Michelle
Bachelet (oggi neo-eletta presidente
del Cile) che ha aperto un’inchiesta
per violazione della legge sulle armi.
Dall’agosto 2004 al luglio 2005
sono stati distrutti altri
19 chilometri quadrati di foresta
amazzonica, circa cinque campi
di calcio ogni minuto.
Il dato è stato diffuso dall’Inpe
(istituto nazionale di ricerche
spaziali). L’annuncio da un lato
preoccupa, ma conferma dall’altro
che c’è stato un calo del 31
per cento rispetto ai dodici mesi
precedenti. Infatti tra il 2003
e il 2004 l’area devastata è stata
di 27.200 chilometri quadrati.
Un po’ di delusione nelle autorità
federali brasiliane c’è stata, perché
secondo le previsioni dello scorso
agosto, la deforestazione annuale
si sarebbe dovuta assestare sotto
i sedicimila chilometri quadrati,
segnando una diminuzione di quasi
il 50 per cento. Secondo l’analisi
di Greenpeace, la riduzione dei ritmi
di disboscamento è dovuta ad una
maggiore presenza dello Stato nella
regione, conseguenza a sua volta
di due eventi: l’omicidio della
missionaria Dorothy Stang e una
grossa operazione di polizia, grazie
alla quale le forze dell’ordine hanno
smantellato un’organizzazione
criminale che abbatteva
abusivamente alberi e trafficava
legna illegalmente. La fondatezza
delle considerazioni di Greenpeace
sarebbe dimostrata dal fatto
che la più forte riduzione è stata
registrata nel mese di giugno,
cioè proprio in coincidenza
con l’operazione di polizia.
Negli stati poveri non si può proteggere la salute
dei cittadini producendo versioni generiche a basso
costo di farmaci protetti da brevetto.
L’organizzazione di soccorso medico internazionale
“Medici senza frontiere” (Msf) ha lanciato l’allarme
durante l’accordo di libero scambio tra Thailandia
e Stati Uniti. Msf chiede al governo thailandese
di proteggere l’accesso ai farmaci, anche nel caso
di pressioni da parte degli Usa, per limitare l’accesso
ai farmaci essenziali. Una decisione in quella direzione
metterebbe in pericolo il programma nazionale
per la cura dell’Hiv e dell’Aids del Paese asiatico.
È dal 1995 che “Medici senza frontiere”
è presente in Thailandia e fornisce assistenza
per la prevenzione e la cura dell’Aids. Nel 2000
ha iniziato la terapia
antiretrovirale, fornendo
anche un programma
di educazione alle cure,
assistenza psicologica
e servizi di supporto a oltre
16 mila thailandesi. Secondo
l’associazione umanitaria
è già successo in occasione
di altri accordi regionali che gli Usa spingessero per
ottenere misure per prolungare la durata dei brevetti.
La proposta statunitense nell’accordo thailandese
è segreta. “Medici senza frontiere” ha, però, ragione
di credere che sulla base della posizione negoziale
sostenuta in passato, in particolare per l’Area
di libero scambio dell’America Centrale, gli Stati
Uniti cercheranno ancora una volta di ottenere
misure per la protezione della proprietà intellettuale
molto più forti di quelle stabilite dall’Organizzazione
mondiale del commercio (OMC) in occasione
della Dichiarazione di Doha. In quella dichiarazione
si affermava, appunto, la priorità della salute pubblica
rispetto alla protezione della proprietà intellettuale.
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IL WTO
WTO, VINCONO I PAESI RICCHI.
DELUSI QUELLI POVERI
UN ACCORDO MODESTO ha chiuso il vertice dell’organizzazione
mondiale del commercio (World Trade Organization - Wto), tenutosi a
Hong Kong tra il 13 e il 18 dicembre scorsi. Sei giorni di trattative, rinvii,
accuse, rilanci per un negoziato che, partito da Doha nel 2001, doveva
servire ad aprire i mercati dei Paesi industrializzati alle esportazioni dei
Paesi poveri e aiutare così lo sviluppo del Terzo mondo. Il risultato di
Hong Kong accontenta invece Europa e Stati Uniti, premiati dalla lunga
scadenza dell’eliminazione dei sussidi agricoli e dalla liberalizzazione dei
servizi, mentre fa poche concessioni ai Paesi poveri.
Sul tavolo dei negoziati ha tenuto banco soprattutto l’agricoltura,
con le sovvenzioni europee e americane all’export che, abbassando i
prezzi dei prodotti Ue e Usa, fanno una concorrenza sleale ai contadini
del Sud del pianeta. Ma si è parlato anche di industria e servizi.
Questi i punti dell’accordo.
La lunga mano
delle multinazionali
sui sussidi agricoli
di Paola Fiorio
N
all’agricoltura. Da un’inchiesta del quotidiano The Guardian emerge, infatti, che nella lista dei destinatari britannici delle sovvenzioni della politica agricola comunitaria (Pac) compaiono i nomi di numerose multinazionali del settore alimentare come Tate&Lyle, Nestlé, Cadbury e Kraft. E non è tutto. Le multinazionali si mangiano
una fetta importante di questi finanziamenti, non le briciole.
Indagini simili sono state condotte anche in altri Paesi europei con il medesimo risultato. In
Danimarca tra i maggiori beneficiari compaiono Arla (produttore di latte e derivati), Vanisco (zucchero), Danish Crown (carne in scatola) e Novozymes (enzimi per l’industria alimentare). In
Olanda, tra i destinatari ci sono Heineken e Grolsch (birra), Mars e Nestlé (dolciumi), Philip Morris (tabacco) e
persino Shell e Klm. Quest’ultima, rivela il Guardian, ha
ricevuto sussidi per “ristrutturare” la campagna e fare delle nuove piste di atterraggio.
Germania e Francia, i Paesi che più hanno ostacolato
nel 2002 la riforma della Pac, si rifiutano di fornire informazioni sui destinatari dei contributi nei loro Paesi.
La Pac, che costituisce quasi la metà del totale del budget europeo e costa ai contribuenti 43,6 miliardi di euro,
serve a garantire un sostegno finanziario diretto ai contaON SONO SOLO I CONTADINI A BENEFICIARE DEI SUSSIDI EUROPEI
Un’inchiesta del Guardian
ha rivelato che tra
i destinatari delle sovvenzioni
della politica agricola
comunitaria ci sono molte
multinazionali, tra cui: Shell,
Nestlé, Mars e Philip Morris
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Nome: Organizzazione mondiale
del commercio
Sede: Ginevra
Fondazione: 1995
Paesi membri: 149
Direttore generale: Pascal Lamy
Quota di mercato rappresentata:
90% del commercio mondiale
Budget 2005: 169 mln franchi svizzeri
Compiti:
Amministrazione degli accordi
commerciali
Monitoraggio della politica
commerciale dei Paesi
Forum per i negoziati commerciali
Giudizi e sanzioni sulle dispute
commerciali tra Stati
Cooperazione con altri organismi
internazionali
Assistenza tecnica per i Paesi
in via di sviluppo
Sink Wto, ovvero Wto
sparisci. Lo slogan
esibito da questa
giovane chiede
una riduzione
delle aree su cui
il Wto esercita
il suo potere, a partire
dalla proprietà
intellettuale.
I SUSSIDI AGRICOLI
Su uno dei punti più controversi del vertice ha vinto la linea francese. I
sussidi alle esportazioni agricole saranno cancellati solo entro la fine del
2013, data in cui scade anche il bilancio comunitario, e non nel 2010
come India, Brasile e altri 90 Paesi poveri avevano chiesto. Inoltre,
Europa e Stati Uniti potranno mantenere i propri aiuti fino a circa il 2010
ed eliminarli progressivamente nei tre anni successivi. La scadenza del
2013 permetterà all’Unione europea di rimandare la spinosa revisione
della politica agricola comunitaria all’approvazione del budget di spesa
2013-2019.
I DAZI ALL’INDUSTRIA
I membri del Wto si sono accordati sulle scadenze per i tagli delle tariffe
doganali industriali. Alla fine di aprile saranno presentate le modalità ed
entro il 31 luglio prossimo dovranno essere presentate le liste complete
di prodotti. Questo dovrebbe portare a zero le tariffe del 97% delle
merci, anche in categorie merceologiche che non interessano i Paesi in
via di sviluppo, come la produzione di aerei.
LIBERALIZZAZIONE DEI SERVIZI
Via libera per i servizi delle aziende Usa e Ue nei Paesi poveri.
Il documento finale di Hong Kong parla, infatti, della possibilità
di sottoscrivere accordi tra Paesi per estendere la liberalizzazione
aumentando così il livello di partecipazione straniera nei Paesi
in via di sviluppo in settori come quello bancario, delle
telecomunicazioni, della sanità.
dini europei per mantenere il settore pur riducendo il volume della produzione agricola. Secondo il quotidiano britannico la maggior parte dei contributi della Pac, circa 30
miliardi di euro, sono effettivamente destinati ad aiuti alle imprese agricole, anche se soprattutto a quelle di grandi dimensioni. Ben 14 miliardi di euro, però, finiscono nel-
le tasche di grandi industrie del settore alimentare come
sussidi all’esportazione. La Pac, infatti, mantiene i prezzi
artificialmente alti per gli agricoltori europei, attraverso tariffe e quote di produzione. E le multinazionali che esportano alimenti hanno, quindi, diritto a sussidi per la differenza tra i prezzi Ue che devono pagare e quelli più bassi
del mercato mondiale.
Scendendo nel dettaglio, il Guardian rivela che Tate&Lyle e le sue consociate nel 2003-2004 hanno ricevuto
227 milioni di sterline del budget britannico proveniente
dalla Pac, mentre a Nestlé ne sono andati quasi 19,6 milioni. Quest’ultima, però, ha ricevuto sovvenzioni anche
in Belgio e Olanda.
Beffa nella beffa, nella lista dei beneficiari dei contributi agricoli britannici il Guardian ha scoperto delle presenze discutibili, come Premier Foods, la società implicata
nella contaminazione alimentare causata dal colorante Sudan 1, che ha ricevuto oltre 60mila sterline di sussidi. O come Gate Gourmet, che fornisce catering per gli aerei e che
l’anno scorso ha ricevuto 500mila sterline perché, spiega
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il Guardian, fornendo le compagnie aeree di bustine monodose di zucchero e latte esporta nello spazio internazionale i suoi prodotti e acquisisce così il diritto ai sussidi per
l’esportazione. E ancora, industrie farmaceutiche come
GlaxoSmithKline, Boots, Reckitt e Acs Dobfar hanno ricevuto sostanziosi contributi per aver usato zucchero nella
produzione di medicine. Anche Eton, il prestigioso college dove hanno studiato i principi William e Harry, ha ri-
cevuto 2.652 sterline l’anno scorso.
Da parte loro le multinazionali affermano di aver distribuito i contributi ricevuti agli agricoltori, sotto forma di
prezzi più alti alla produzione. Oxfam, un’organizzazione
non governativa impegnata nell’assistenza al Terzo mondo interpellata dal Guardian, sostiene invece che questa politica di sussidi ha creato un mercato garantito a un pugno
di multinazionali, prezzi fissi ed eccessi di produzione.
.
Fine primo
round.
In
palio
potere,
denaro
e
vite
umane
osservatore internazionale di Tradewatch e presente a Hong Kong, boccia l’accordo raggiunto: i Paesi poveri ancora una volta hanno perso, Usa e Ue la fanno da padrone, Italia inesistente. Nessun passo avanti sulla strada dello sviluppo.
Andrea Baranes,
commerciale e non solo, ha potuto prendersi la fetta più
grande della torta. I Paesi poveri sono rimasti a guardare. L’Italia anche, assente o schiacciata dall’Unione europea».
di E.T.
Un giudizio severo quello di Andrea Baranes,
dell’osservatorio sul commercio internazionale Tradewatch. Dal
13 al 18 dicembre era a Hong Kong.
«U
N GIOCO AL MASSACRO DOVE CHI AVEVA PIÙ POTERE,
Un giudizio secco sull’accordo raggiunto a Hong Kong:
promosso o bocciato?
«Bocciato sicuramente, non si è fatto nessun passo avanti sulla strada dello sviluppo. Il tutto infarcito di belle intenzioni di aiuto ai Paesi poveri che alla fine, ancora una volta, hanno perso e sono tornati a casa a bocca asciutta».
…e chi ha vinto invece?
«Hanno vinto Stati Uniti e Unione Europea, che hanno ottenuto
esattamente quello che volevano. In parte hanno vinto India e Brasile, che hanno conquistato un posto al tavolo dei grandi, ma al
prezzo di essere manovrati sulle questioni importanti. La Cina era
totalmente assente a Hong Kong. Il risultato dei negoziati rispecchia
fedelmente la scala dei poteri commerciali».
La stessa alleanza tra Paesi poveri che finora sembrava reggere, a Hong Kong si è spezzata…
«Sì, è emerso un gruppo di neo potenti: Cina, Brasile, India e in parte il Sudafrica. Cioè si è creata una spaccatura tra i Paesi che hanno
qualcosa da offrire in questo grande circo del Wto e quelli che invece non hanno merce di scambio».
Le reazioni dopo Hong Kong in Italia non sono state univoche. Anche a sinistra c’è chi sostiene che sia stato un parziale successo. Perché?
«Perché, in apparenza, qualche minimo passo avanti è stato fatto.
Ufficialmente sono stati messi nell’agenda internazionali priorità
come lo sviluppo e la lotta alla povertà. Ma, nella sostanza, non si è
ottenuto niente di buono».
E in questa partita giocata a Hong Kong l’Italia che ruolo
ha avuto?
«Praticamente nessuno. La delegazione italiana è stata assente».
Quindi non c’è proprio niente da salvare in questo accordo?
«Molto poco. Solo la fine dei sussidi alle esportazioni agricole, ma se
ne parla tra 8 anni. E non è stato neanche affrontata la questione dei
falsi aiuti alimentari che permettono agli Stati Uniti di
finanziare i loro agricoltori con lo stesso effetto degli incriminati sussidi all’export europei».
E l’Unione Europea?
«Non poteva sperare di meglio. Mandelson è tornato a casa a testa
alta. È riuscito a mantenere i sussidi all’agricoltura per altri 8 anni e
sui servizi ha tenuto aperta la porta per una politica di liberalizzazione aggressiva».
E per quanto riguarda gli altri accordi in discussione?
«Non sono stati fatti grandi passi avanti né per i Nama
(l’accordo sulle tariffe dei prodotti industriali), né per il
Gats (sulla liberalizzazione dei servizi). Usa e Ue hanno
rimandato ogni discussione a Ginevra, dove l’attenzione dei media
sarà inferiore a quella che c’era a Hong Kong. Tra marzo e aprile è
stato fissato un “Hong Kong 2” nella sede del Wto dove si tornerà a
negoziare in burocratese stretto tra i tecnici del Wto e sarà molto più
difficile per i Paesi del Sud arginare l’aggressione di Usa e Ue».
Ma è corretto ridurre tutto a uno scontro tra ricchi e poveri o sono in gioco dinamiche più complesse?
«Certamente le dinamiche sono più articolate. Più che tra Nord e
Sud del mondo, lo scontro in atto è tra due modi diversi di intendere il commercio e le relazioni internazionali. Tutto sembra diventato commerciabile, tutto fa parte del Wto. In nome del
libero commercio si stanno facendo danni enormi. E a
perdere siamo tutti, Paesi poveri e non solo».
Andrea Baranes
Alla luce di questi difficili negoziati in corso da più di
quattro anni, quale futuro ha il Wto?
«Il problema è stabilire se cibo e acqua possono essere considerati una merce, se la salute umana possa essere in mano a un’organizzazione che si occupa di commercio».
.
Aperture e spunti
ma i tavoli restano aperti
Secondo Fabrizio Onida il Wto di Hong Kong non è stato deludente anche se non si è giunti a cifre conclusive.
anzi ha fatto registrare
aperture significative verso i paesi emergenti sia da parte degli Stati Uniti sia da parte dell’Europa»: è il giudizio di Fabrizio Onida, professore ordinario di Economia interdi Francesca Paola Rampinelli
nazionale presso l’Università
Bocconi, ex presidente dell’I.C.E., Istituto nazionale per
il Commercio Estero, e sottosegretario del governo D’Alema, sulla sesta Conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto) che si è svolta
ad Hong Kong nel dicembre scorso.
«Rispetto al rischio che l’incontro finisse con un
collasso come era accaduto a Cancun nel 2003, non si
tratta certo di un fallimento; va tenuto presente, infatti, che si è stabilito di tenere aperti i negoziati per tutto il 2006, anche perché ad aprile del 2007 scade il fast truck, cioè il mandato attribuito a Bush dal congres-
«N
ON È STATO CERTO UN FALLIMENTO
so per negoziare in sede di Wto senza dover ottenere
mandato per ogni singola questione e non è detto che
tale delega sia rinnovata al presidente». Lo precisa il
professore aggiungendo che «certo, il fatto di non trovarsi davanti a cifre conclusive da spazio ai pessimisti.
Ma, in realtà, a Ginevra i tavoli delle concertazioni continueranno a lavorare seguendo le linee tracciate a
Hong Kong».
Dall’appuntamento asiatico è emersa l’approvazione di un documento finale che prevede l'eliminazione
di ogni forma di sussidio all’agricoltura per l’export entro il 2013 inoltre è stato approvato all’unanimità un
compromesso che apre la strada all'adozione, entro il
prossimo anno, di un accordo generale per la riduzione
dei dazi doganali a favore dei paesi del terzo mondo.
Infine è stata adottata una dichiarazione conclusiva
che intende rilanciare i negoziati per la liberalizzazione
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Due giovani manifestanti contro il Wto ad Hong Kong.
I Paesi più poveri stanno iniziando ad avere una loro voce
nelle negoziazioni, grazie al sostegno di chi è sceso
in piazza a protestare,
degli scambi commerciali mondiali, due anni dopo la
Conferenza di Cancun.
«Risultati positivi - sottolinea Onida - erano già stati
raggiunti fin dal vertice di Goa in cui erano state risolte le
questioni evidenziate a Singapore e quindi superate alcune fondamentali controversie di fondo. In questo round
inoltre i 149 paesi membri del Wto avevano di fronte un
numero più limitato di argomenti da affrontare».
«Siamo davanti ad un momento in cui si cerca di introdurre un processo di graduale apertura senza cedere
alla tentazione di concludere accordi solo bilaterali che
rischiano sì di liberalizzare una parte dei flussi com-
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merciali ma rendono sempre più complessi i meccanismi organizzativi dei singoli stati generando una selva
di regole foriera anche di arbitrio da parte delle organizzazioni doganali».
«Tra l’altro - aggiunge ancora il professore - è emerso ancora una volta che i paesi in via di sviluppo tassano maggiormente le importazioni provenienti da altri
paesi in via di sviluppo rispetto a quelle che provengono dagli stati ricchi per una questione di omogeneità di
produzione. Per quanto riguarda i temi relativi all’agricoltura», conclude Onida affrontando i singoli temi all’ordine del giorno «non sono state prese decisioni definitive ma sono state messe sul tavolo proposte interessanti oltre ad aver fissato l’azzeramento dei sussidi all’export per l’agricoltura entro il 2013. È anche vero che
resistono i cosiddetti sussidi domestici circa i quali però
hanno avanzato, sia Europa che Stati Uniti, offerte coraggiose che sono da valutare nel corso dei prossimi lavori. Non ci sono state nuove concessioni per quanto attiene al campo dei servizi rispetto a quelle già fatte in
precedenza, ma se non ci sono stati progressi non si sono neanche registrati regressi. Mentre, in conclusione,
per quanto riguarda la questione della produzione dei
farmaci nei paesi meno sviluppati, il passo più significativo era già stato compiuto con la dichiarazione di Goa
in forza della quale i paesi colpiti da malattie endemiche
hanno imposto la produzione in loco dei medicinali anche se i brevetti detenuti dalle case farmaceutiche non
sono ancora scaduti; in questa sede è stato solamente inserito un emendamento nell'accordo Trips».
.
Energia
Fare chiarezza
su dati e conti
di Walter Ganapini
AVVICINARSI DEL “PICCO DI HUBBERT” (punto oltre il quale la produzione di idrocarburi comincerà a decrescere),
oggi stimato come probabile al 2025, non è accompagnato, men che meno in Italia, da una informazione seria
circa problemi e prospettive del comparto energetico.
Gli “animal spirits” del mercato deregolato non spiegano come si sia pervenuti , da noi, all’insana
transizione dalla “monodipendenza petrolio” a quella “gas naturale”.
È dall’inizio degli anni ’80 che molti, anche in campo ambientalista, spiegavano come fosse
termodinamicamente irrazionale bruciare un nobile intermedio per l’industria chimica come il metano
per scaldare l’acqua nelle case fino a circa 60°C (risultato abbondantemente conseguibile con il ricorso
al sole o ai cascami energetici dei processi industriali) o tramite combustione diretta o, più perversamente,
generando elettricità con cui poi alimentare i “boilers” domestici.
Dalla fine degli anni ’80 si riflette sulla tendenziale vulnerabilità, da instabilità strategica, di almeno
due delle tre aree da cui ci approvvigioniamo di gas naturale: Russia (a partire dalla guerra cecena, non poco
in relazione con il passaggio di pipelines in quella neo-nazione) ed Algeria (in virtù della crescita del
fondamentalismo). È poi facile profezia spiegare che il dibattito sui ri-gassificatori, strutture utili a consentire
l’approvvigionamento da altre aree (es. Libia e Nigeria) tramite navi metaniere difficilmente terrà conto
di analisi strategiche elaborate dall’Enel già durante la presidenza
Viezzoli, da cui si evinceva l’enorme fabbisogno finanziario per attrezzare
Nel 2005 l’Italia
ha incredibilmente esportato le nuove flotte oltre alla vulnerabilità di queste “bombe galleggianti”.
Stupisce che, quando dovrebbero essere evidenti fallimento
energia. Perché i prezzi
erano inferiori a quelli
economico e crisi ambientale associabili all’approccio reaganiano
delle corrispondenti
della “supplì-side economy”, quasi nessuna voce si alzi a richiedere
borse tedesca e inglese
una drastica e ben pianificabile svolta a favore del “demand-side
energy management”, e quindi dell’innovazione di sistema tutta
incentrata sulla nozione di efficienza (“to do more with less”).
Altra pecca decisiva in termini di trasparenza dei percorsi decisionali, unico fattore in grado di frenare
l’atomica irruenza scajolesca, è la distruzione, complice anche il centro-sinistra, della nozione di pianificazione
in campo energetico. Si straparla di altissimi prezzi dell’energia come vincolo centrale allo sviluppo, inteso
il più delle volte come crescita quantitativa (ma crescita di che, del già enorme numero di veicoli circolanti,
dei cellulari, della cementificazione del suolo che tutte le Relazioni sullo Stato dell’Ambiente indicano ormai
come insostenibile?). Si dice «ci vuole il nucleare come in Francia , perché importiamo da lì energia a basso
costo»: abbiamo già evidenziato in una precedente rubrica la scorrettezza teoretica di tale assunto. Oggi, però,
la smentita si arricchisce di una informazione che solo “Il Sole-24 Ore” ha dato, costringendola nella rubrica
“Paradossi” del 28 Dicembre 2005: il titolo recitava “Parigi e Londra comprano energia italiana”. Il fenomeno
ha avuto inizio nel marzo 2005, si è rafforzato nel giugno e ancor più da novembre, per raggiungere l’apice
attorno a Natale, quando il 10% dei 4,5 MWh acquistati nella nostra Borsa ha preso la via dell’estero.
Nel 2005, in sostanza, i prezzi di base e di picco della nostra energia elettrica sono stati superati del 30%
da quelli espressi dalle Borse tedesca e francese, mentre in quella inglese si raggiungeva un + 50%, addirittura!
Giudizio, quindi, giudizio... e trasparenza!
L’
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Nel cuore del Senegal l’impronta della finanza etica >60
Liberi dalle mafie, undicesima carovana per la legalità >63
Banca Etica, un prestito con un forte valore sociale >64
economiasolidale
COCA SEK,
LA RISPOSTA
DEGLI INDIGENI
ALLA COCA COLA
È A ROMA
IL PRIMO DISTRETTO
DI ECONOMIA
SOLIDALE
ECONOMIA
A NERVI TESI
ANCHE
AL NORD
ALLE IMPRESE
ITALIANE
PIACE
IL FOTOVOLTAICO
LA RACCOLTA DIFFERENZIATA
DEL LEGNO
È REDDITIZIA E CREA
NUOVI POSTI DI LAVORO
DUE GIORNI
A TREVISO
PER LA PACE
E L’ALTRUISMO
L’hanno chiamata Coca sek, che
significa Coca del sole. È la risposta
degli indigeni colombiani alla Coca
Cola. Si tratta di una bevanda molto
dissetante che assomiglia come
colore ad una cedrata e come gusto
ad un tè speziato. Il suo componente
base è la foglia di coca, del tipo
più pregiato. La produzione
per il momento è minima e punta
a soddisfare a malapena il fabbisogno
interno, ma i produttori
non escludono anche l’esportazione
all’estero, nonostante le leggi
restrittive sull’esportazione di prodotti
a base questa pianta. Il progetto degli
indigeni punta a rivalutare una cultura
tradizionale. La Coca Sek viene
prodotta, infatti, nella valle del Cauca,
dove c’è una riserva indigena. Prima
di essere immessa sul mercato è stata
testata da molti assaggiatori. Arrivare
alla formula definitiva non è stato
facile, ci sono voluti anni di prove,
durante i quali gli ideatori si sono
impegnati a testare i gusti di più
gruppi etnici, essendo loro abituati
al gusto forte della bevanda. La Coca
sek non contiene zucchero raffinato,
ma solo prodotti naturali provenienti
dalla coltivazione della terra
e dalle foreste. Il concetto di biologico
e naturale fa parte della filosofia
che gli indigeni hanno applicato
anche ad altri prodotti. Basti pensare
ad alcuni progetti bio legati alla
produzione del Caffè sugli altopiani
del Messico (Uciri) e distribuiti
in Europa attraverso i canali
del commercio equo e solidale.
Dieci milioni di euro di fatturato e 335 occupati
a tempo pieno. Sono queste le cifre dell’altra economia
di Roma e provincia, così come emergono dall’indagine
che l’Ufficio autopromozione sociale della Capitale
ha svolto per verificare la fattibilità di un distretto
di economia solidale. Nove i settori dell’altra economia
oggetto d’indagine: i più significativi sul territorio
per fatturato, persone coinvolte e diffusione culturale.
Si va, infatti, dal commercio equo e solidale ai gruppi
di acquisto solidale, dall’agricoltura biologica alla
trasformazione del bio e dell’equo, dal riuso e riciclo
alla promozione delle energie rinnovabili, dal turismo
responsabile alla finanza etica e al software libero.
Circa il 60% degli operatori oggetto dell’indagine,
si colloca su una dimensione
medio-piccola, con
un fatturato compreso
tra i 30.000 ed i 120.000
euro. Il 15,9% degli operatori
ha una dimensione molto
piccola (fino a 30.000 euro
all’anno), mentre gli operatori
di più ampie dimensioni (con
un fatturato superiore ai 120.00 euro) rappresentano
il restante 22,7%. Inoltre, i risultati mostrano che più
della metà degli addetti sono volontari (53,5%), mentre
i retribuiti rappresentano il 43,8% dei lavoratori,
ci si avvale in modo marginale del servizio civile (2,6%).
Alla domanda sui possibili vantaggi derivanti dalla
costruzione di un distretto, la maggioranza (88%)
ha indicato una maggiore visibilità, seguita dal
possibile incremento delle vendite (71%), mentre poco
più della metà (55%) vede il DES come un’opportunità
di qualificazione della filiera. Notevole l’aspettativa
di crescita per il futuro da parte degli operatori:
il 93% degli intervistati pensa di aumentare la quantità
di servizi/prodotti venduti nei prossimi tre anni.
Convinzione che rischia, però, di scontrarsi con alcuni
limiti strutturali dell’altra economia: il ciclo corto,
il controllo della filiera, il rapporto diretto con il cliente,
il rifiuto di marketing massificanti.
Anche il ricco Nord Italia
ha dei punti deboli. Piccole aree
isolate, spesso in montagna,
la cui economia fatica a decollare.
Zone sempre meno popolate,
con molti anziani, pochi servizi
e un reddito pro capite in calo.
Come si può intervenire
per risollevare queste aree?
È la domanda alla base
del convegno, organizzato
da Banca Etica e dalla Fondazione
Culturale Responsabilità Etica onlus
dal titolo “Un’economia leggera
per aree fragili - come favorire
la sostenibilità nelle aree
periferiche del nord Italia”.
Si terrà a Rovigo, presso la sede
della Provincia, il 25 febbraio
a partire dalle 9,30.
Grazie agli interventi di docenti
delle università di Parma,
Modena e Trieste, ma anche
ascoltando esperienze concrete di
chi un modo per crescere lo ha
trovato, si cercheranno le soluzioni
migliori. Ad esempio attività
economiche leggere che rispettino
l’ambiente e che sappiano
sviluppare risorse preziose come
la conoscenza e il capitale umano.
Per ulteriori informazioni
e per conoscere i nomi dei relatori
si può visitare il sito internet
http://www.lscmt.units.it/osti
/EconomiaLeggera.htm.
Oltre 13 milioni di euro per passare
al “piccolo” fotovoltaico, ovvero
impianti fino a 20 Kw. È questa
la cifra stanziata per le piccole
e medie imprese campane, operanti
nell’ambito dei Progetti integrati
territoriali (Pit) di alcuni settori tra
cui l’edilizia, i servizi e il commercio.
Il bando mira a sostenere
il miglioramento dell’efficienza
energetica delle pmi. Il costo
massimo ammissibile a contributo
è di 6.500 euro per Kwp; il contributo
copre fino al 75% del costo
dell’investimento e, in ogni caso,
non supera i 100mila euro.
Le imprese che beneficeranno
del contributo non potranno vendere
o dismettere l’impianto prima
che siano trascorsi dodici anni.
In Italia, per il primo trimestre
del 2006, agli incentivi
alla produzione di energia elettrica
da impianti fotovoltaici sono state
ammesse 2.872 domande, pari
al 78% delle 3.668 richieste
pervenute al gestore del sistema.
Delle domande ammesse
all’incentivazione, 47 riguardano
impianti di potenza superiore ai 50
Kw e 2.825 quelli fino a 50 Kw.
Le regioni caratterizzate da una
potenza più elevata ammessa
all’incentivazione sono: la Puglia,
la Sicilia e la Campania.
Per il secondo trimestre, infine,
sono pervenute al gestore della rete
elettrica nazionale circa 7.500
domande, più del doppio di quelle
del primo trimestre, per una potenza
complessiva di circa 190 Mw.
Negli ultimi sei anni la raccolta differenziata del legno
in Italia ha fruttato 434 milioni di euro, grazie
alla raccolta e al riciclo di oltre 7 milioni di tonnellate
di rifiuti da imballaggi di legno. Una quantità pari
ad un anno intero di importazioni italiane di legname
grezzo e di semilavorati. Un’attività che ha creato
quasi 3 mila nuovi posti di lavoro.
Il legno recuperato, dopo essere stato trattato
e lavorato, diventa materia prima. Viene utilizzata
soprattutto nella produzione di pannello truciolare
ecologico, un semilavorato utilizzato nell’industria
italiana del mobile e, in misura minore, nella produzione
di pasta cellulosica e di blocchi di legno-cemento
per l’edilizia. I costi sostenuti corrispondono
a 300 milioni di euro, dovuti
alla raccolta degli imballaggi,
alla lavorazione presso le piattaforme
(nelle quali il legno viene stoccato
e ridotto di volume), all’impatto
economico e ambientale dei trasporti,
alla mancata produzione di energia.
I benefici invece sono risultati
pari a 734 milioni di euro e derivano
dal valore della materia prodotta,
dagli imballaggi riutilizzati,
dall’impatto economico e ambientale
connesso con l’evitato smaltimento in discarica,
dalle emissioni evitate da riciclo e riutilizzo,
dall’occupazione generata, stimata in 2.854 lavoratori
in più nel settore della raccolta e trattamento di rifiuti
da imballaggi in legno.
Il saldo, inoltre, non tiene conto di alcuni fattori
positivi difficilmente quantificabili come: gli effetti
sulla popolazione delle campagne di sensibilizzazione
ed educazione ambientale, la minor dipendenza
dall’estero per l’approvvigionamento di materie prime.
Educare l'uomo a comportamenti
“prosociali”. Stimolarlo a migliorare
il benessere di altre persone
o a ridurne lo stato di sofferenza
senza che sia prevista una
ricompensa. È questo lo scopo
della prosocialità, un nuovo modo
di fare psicologia al servizio
della comunità. Se ne parlerà
giovedì 23 e venerdì 24 febbraio
all’Auditorium del Collegio Pio X
di Treviso in occasione del convegno
“Alterità e cultura di pace”.
Con un relatore d’eccezione:
Robert Roche, professore
all’Università di Barcellona,
massimo esperto di questo
ramo della psicologia cognitiva
e relazionale. Nella prima giornata
Roche parlerà di formazione
prosociale per una cultura di pace
mentre venerdì 24 è prevista una
tavola rotonda in cui si affronterà
il tema della prosocialità in campo
educativo, economico e artistico.
Il convegno è gratuito. Rientra
nella “Rete progetto Pace”
sponsorizzato da Banca Etica.
Per partecipare basta inviare
la scheda d’iscrizione all’Istituto
Fabio Besta, Borgo Cavour, 33,
Treviso (via fax al n. 0422/548205,
o via e-mail a [email protected]).
Maggiori informazioni sul sito
http://82.188.101.140
/rete_progetto_pace/Docenti.htm
o al numero 0422/410164.
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Dakar |
Nel cuore
del Senegal
le impronte
della finanza etica
Una conferenza internazionale sull’economia solidale a Dakar. Uno sguardo su un popolo a cui l’iniziativa e la voglia
di fare non mancano. Un esperienza di microfinanza in un villaggio sperduto all’ombra dei Baobab.
Da due anni è stata creata una cassa di credito e risparmo. Un sistema autogestito dagli abitanti del villaggio.
ASE DI PAGLIA E TERRA IN MEZZO A UNA DISTESA DI NULLA. Sterpaglie secche, qualche albero qua e là. Ci saranno 35 gradi.
Un sole accecante. Silenzio. Siamo a Tabby (si legge Tabbì, alla francese), un villaggio di 500 anime a metà strada
tra Dakar e il deserto della Mauritania. Qui la gente parla solo Wolof, una delle lingue più diffuse in Senegal, e passa giornate intere seduta all’aperto. A discutere, osservare, riflettere. È l’immagine che mi ha colpito di più. Succede anche in città,
a Dakar, ma qui è incredibilmente evidente. Nessuno sembra avere fretta. Quell’urgenza, quella voglia di fare tutto e subito, tipica di noi abitanti del Nord del mondo, è lontana anni luce. Guardando queste persone negli occhi si ha l’impressione che l’intricato mondo della finanza con tutti i suoi termini complessi non faccia neanche parte del vocabolario Wolof. E invece non è
così. Siamo qui per scoprirlo. Siamo in sei: tre italiani, una belga e un boliviano, giunti in Senegal per la conferenza internazionale sull’economia sociale e solidale che si è tenuta lo scorso dicembre a Dakar. Ci accolgono con un misto di curiosità e di desiderio di farsi conoscere. Ci sediamo in uno scorcio d’ombra in cerchio insieme a una cinquantina di senegalesi. C’è il capo villaggio, giovani, anziani. Molte le donne, di ogni età, determinate, grintose, sembrano avere le idee molto chiare. Avvolte nei loro abiti tradizionali, parlano di tassi di interesse, di rischio, di durata
del credito. Ecco a Tabby gli albori della finanza. Una finanza, fatta
di Elisabetta Tramonto
di piccoli (piccolissimi) numeri, ma utile, concreta, inventata per realizzare progetti e per aiutare chi ne ha bisogno.
C
FOTO: ELISABETTA TRAMONTO
La banca di Tabby. Solo due scatole
una per il risparmio, l’altra per i finanziamenti
è un sistema
“Questo
utile dal punto di vista
educativo. Permette
di introdurre il concetto
di risparmio
”
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Rossa e verde. Due scatole
per costruire il futuro del villaggio
Mettere i propri risparmi in banca e ottenere un interesse. Ma anche
chiedere un prestito o ricevere un aiuto economico in caso di bisogno. Succede anche a Tabby. Ma, invece di una banca come la immaginiamo noi, con una vetrata all’ingresso, gli sportelli e i cassieri,
ci sono solo due scatole di metallo, una rossa e una verde. Da due
anni nel villaggio è stata creata una Cassa di credito e risparmio, un
sistema di raccolta dei risparmi e di finanziamento totalmente autogestito dagli abitanti del villaggio. Le due scatole ne sono il segno
tangibile. Quella verde è la “cassa di risparmio”. Una volta al mese
ogni famiglia versa 150 franchi Cfa, la moneta senegalese, circa 20
centesimi di euro. La cassa, funziona come una vera a propria banca, con tanto di tassi di interesse attivi e passivi. Per i risparmi messi nella scatola infatti le famiglie ricevono un interesse del 9% semestrale. Ma il vero scopo della cassa verde è erogare finanziamenti. Le famiglie che vogliano sostenere una spesa superiore alle loro
possibilità o effettuare un investimento, acquistando ad esempio
una mucca, un cavallo o delle sementi, possono chiedere un presti-
to. Fino a un massimo di 10 mila franchi Cfa (circa 15 euro), da rimborsare entro 6 mesi a un tasso di interesse del 9% (situazione per
noi anomala, tassi attivi e passivi coincidono). Un comitato di credito, formato sempre da membri del villaggio, dovrà quindi valutare la richiesta e decidere se approvare il finanziamento. «Ogni volta
valutiamo attentamente l’attività per cui viene richiesto il prestito –
ci spiega uno dei membri del comitato di credito, una donna – All’ultima riunione abbiamo approvato solo 4 richieste di finanziamento su 53». La scatola rossa invece è la “cassa di solidarietà”. Ogni
famiglia versa 25 franchi Cfa al mese (solo 4 centesimi di euro). Serve per le situazioni di emergenza, per aiutare una tantum una famiglia in difficoltà, per una malattia improvvisa, la perdita di un raccolto, la morte di un animale. La responsabilità della gestione delle
due casse è affidata a quattro persone del villaggio, con un meccanismo di controllo incrociato. Due tengono le scatole, altre due le
rispettive chiavi. Ce lo spiega il detentore delle chiavi della cassa verde, mostrandocele con orgoglio. E se qualcuno non dovesse restituire il prestito? La domanda sembra scandalizzarli un po’, come se
non avessero mai preso in considerazione quest’eventualità. «Innanzitutto dovremmo capire i motivi per cui il prestito non viene
rimborsato e, se ci fossero dei problemi, cercheremmo di aiutare la
persona - spiega uno dei membri del comitato di credito, lasciandomi a bocca aperta – comunque è una situazione rara, considerando
anche che si tratta di piccole somme».
Microfinanza,
per educare alla solidarietà
Certo, sono piccole somme ma per le famiglie di Tabby possono significare molto. «I soldi dei prestiti sono importanti per noi – spiega una donna – Se non ci fossero stati lo scorso mese non avremmo potuto acquistare una gallina e quindi vendere le uova». «Al di
là della somma prestata, questo sistema è molto utile da un punto
di vista educativo – commenta Fabio Salviato, presidente di Banca
etica, parte anch’egli della delegazione a Tabby – Permette di introdurre il concetto di risparmio, ma, ancora più importante, insegna al villaggio ad affrontare e risolvere insieme i problemi». Questo modo di condividere, discutere e decidere insieme non è una
novità per il Senegal, anche nel campo della gestione del denaro.
In tutto il continente africano sono diffuse le tontine, gruppi di persone, spesso donne, che gestiscono una sorta di cassa comune. Ciascuno versa periodicamente una piccola somma di denaro e, a turno, un membro della tontine riceve l’intero capitale raccolto. La
cassa di credito e risparmio di Tabby è un’evoluzione delle tontine.
È gestita autonomamente dal villaggio ma è inserita in un progetto più ampio, coordinato dall’Ugpm (Union des Groupements Paysans de Méckhé), che raggruppa gli abitanti della zona rurale di
Méckhé. Sono più di 80 i villaggi coinvolti, dove sono state organizzate delle casse di risparmio e di credito. Gli organizzatori sono
un gruppo di giovani senegalesi che hanno studiato a Dakar o in
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FONTE: DATI ICE, MAGGIO 2004, ELABORATI NEL RAPPORTO ETIMOS-REGIONE TOSCANA
| economiasolidale |
| Liberi dalla mafia | economiasolidale |
La carovana
per liberare
la vita
e la mente
SENEGAL
Superficie
Popolazione totale
Popolazione principali città:
Dakar
Touba-Macké
Thies
Popolazione di età inferiore a 15 anni
Speranza di vita alla nascita
Scolarizzazione
elementare 58%,
Tasso di alfabetismo donne 73,3%,
Tasso di cambio
Pil
6,3 mld franchiCfa
Tasso di crescita del Pil nel 2003
Debito estero
30 mld franchiCfa
Inflazione nel 2004
1,70%
196.722 km2
10,3 milioni di abitanti
2,15 milioni di abitanti
1 milione di abitanti
500 mila
45%
54 anni
medie 11%
uomini 53,6%
655,957 euro/francoCfa
(9,6 milioni di euro circa)
6,30%
(45 milioni di euro circa)
Alcuni manifestanti a Dakar durante
la conferenza internazionale sull’economia solidale.
Europa o in Canada ma hanno deciso di tornare nella loro terra natia e aiutare gli abitanti dei villaggi, raramente istruiti, spesso analfabeti, insegnando loro a gestire la cassa di credito e risparmio, per
esempio, ma anche educandoli a preservare l’ambiente, a tentare di
difendersi dall’avanzare del deserto, per impedire che sempre più
famiglie lascino le campagne per trasferirsi in città. Un team di 15
“animateur”, una sorta di agenti del microcredito, sono il contatto
diretto con gli abitanti del villaggio. Forniscono loro assistenza e insegnano rudimenti di finanza. Oltre al sistema di risparmio e di credito organizzato nei villaggi, che rende possibili piccolissimi finanziamenti, le casse dell’Ugpm sono alimentate anche da finanziamenti internazionali, fondi che arrivano da società di investimento solidale o da donatori e che permettono di prestare somme maggiori e a più beneficiari.
Boom della microfinanza
in Senegal
La microfinanza non è certo una novità in Senegal. Lo dimostra il
numero di mutuelles, cooperative di risparmio e credito, presenti
nel Paese. Ben 724. Nell’ultimo decennio si è assistito a una vera
esplosione del credito cooperativo, erano solo 18 nel 1993. Un sistema così attivo ha attirato l’attenzione del consorzio di microcredito Etimos, che all’inizio dell’anno scorso ha inviato una delegazione a Dakar per effettuare uno studio, sostenuto dalla Regione Toscana, sulla microfinanza locale. Risultato: da un punto
di vista macroeconomico, il Senegal è uno dei Paesi più affidabili
in Africa, uno dei pochi a beneficiare di un rating internazionale.
Negli ultimi due anni l’agenzia Standard and Poor’s gli ha attribuito una valutazione B+. Per quanto riguarda il mondo del credito, c’è una netta separazione tra la finanza e la microfinanza. Il
mercato finanziario senegalese, si legge nel rapporto di Etimos, è
dominato dalle banche commerciali, che controllano circa l’85%
delle risorse finanziarie e non hanno praticamente rapporti con le
istituzioni di microfinanza. Il settore del microcredito è invece
esploso solo negli anni Novanta e ha portato, appunto, alla nasci| 62 | valori |
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La cronaca dell’undicesima carovana per la legalità che è diventata internazionale e vede sempre
più impegni concreti a sostegno della libertà e contro la mafia. La prima edizione partì da Capaci luogo simbolo
della lotta alla criminalità mafiosa.
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ta di 724 cooperative di risparmio e credito. Anche se ben strutturato e ormai attivo da tempo, il mondo della microfinanza in Senegal ha bisogno di aiuto. Questa la conclusione raggiunta dall’analisi di Etimos. Un aiuto che si traduca in un appoggio finanziario e in assistenza tecnica.
Microcredito,
non mette tutti d’accordo
Di microcredito si è a lungo parlato alla conferenza di Dakar sull’economia solidale, come strumento per una finanza etica. Non si può
però dire che abbia ricevuto un’approvazione unanime. Erano molti i giovani africani, senegalesi ma non solo, presenti alla conferenza, più di 700 sui 1200 partecipanti da tutto il mondo. Ciascuno con
la propria esperienza di economia solidale: piccole imprese agricole
o artigianali con alcuni problemi e bisogni comuni. Più finanziamenti, innanzitutto, ma anche formazione per poter camminare
con le proprie gambe. Non sempre e non per tutti il microcredito risulta essere la soluzione migliore. «Troppo difficile ottenere un finanziamento», è l’obiezione più ricorrente. «Dobbiamo trovare il
nostro modo di fare economia e finanza, non importare quello del
Nord del mondo». È il succo del discorso di Rabia Abdelkrim-Chikh,
coordinatrice dell’Ong senegalese Enda Cyberpop per lo sviluppo
del terzo mondo. Determinazione e grinta da vendere. «Il problema
non è tanto e solo il microcredito – spiega Rabia – ma tutti quegli
strumenti che la finanza etica sta proponendo al Sud del mondo.
Strumenti importati dal vecchio modello economico con cui si pensa di risolvere i problemi dell’Africa. Bisogna invece introdurre elementi nuovi e creativi. L’economia solidale deve servire a costruire
qualcosa di diverso, altrimenti si fa rientrare la logica della finanza
solidale in quella della finanza tradizionale. Gli attori dell’Africa devono essere partecipanti attivi alla creazione della loro economia».
A molti attori africani presenti alla conferenza invece il microcredito piace eccome. C’è chi ne ha già usufruito e chi sfrutta l’occasione
della presenza a Dakar di numerosi operatori internazionali attivi
anche nella microfinanza per chiedere un finanziamento.
.
reni che erano di Riina, da una gioventù bella che ha voglia di riscattarsi.
pochi ragazzi, poche tappe - solo nove giorni - ma la voQuest’anno, l’undicesima edizione della Carovana è
lontà forte di reagire, di affermare che è possibile vivere sendiventata internazionale, ha viaggiato dal 20 settembre al
za la mafia. La Carovana partiva da Capaci, dove solo due
di Paola Baiocchi anni prima era stato ucciso il giudice Falcone e poi passava 17 dicembre e a Libera, all’Arci e ad Avviso pubblico - le tre
Associazioni che ne sono il motore - si sono aggiunte una
per Licata, Palermo, Marineo, Corleone, Bivona, Racalmugalassia di realtà che vogliono stabilire un ponte di solidato, Siculiana, Canicattì, Gela.
rietà tra zone a più alta concentrazione mafiosa e territori
“Poveri pazzi” devono aver pensato nei feudi mafiosi,
dove l’infiltrazione criminale si
ma poi anno dopo anno c’è stata
manifesta. Così tra le tappe c’è
sempre meno gente a guardare e
stata l’Albania, il Marocco, ma
sempre più gente a partecipare: la
anche Villa Wanda in provincia
legge Rognoni-La Torre del ‘96
di Arezzo, dove risiede ancora il
comincia ad assegnare alle Assocapo della P2 Licio Gelli.
ciazioni i terreni confiscati alla
mafia e nel 1997, assieme alla Carovana, parte Pole Position, un
La tappa Toscana
programma per il recupero e il
Proprio in Toscana, se la Carovareinserimento sociale e lavoratina avesse potuto fermarsi in ogni
SALVIAMO I TERRENI
LIBERI DALLA MAFIA
vo dei ragazzi a rischio. L’anno
Comune che ne aveva fatto risuccessivo, i “pazzi” che parlano
chiesta, non sarebbe ancora riendi educazione alla legalità passatrata a casa; ma nel frattempo dalLa legge Rognoni - La Torre, che consente
no lo Stretto e arrivano in Calala Toscana sono “germinate” altre
da oltre vent’anni di aggredire le ricchezze
bria. Nel 1999 la Carovana deciiniziative messe in moto dal pasaccumulate dalle mafie nel nostro Paese,
de di partire dall’Aula di Giustizia
saggio della Carovana. «Parteciè in pericolo. Rischia di essere approvato
di Palermo, dove si stanno svolpiamo già da anni alla Carovana,
dal Parlamento, infatti, un disegno di legge
gendo i maxiprocessi.
anzi quest’anno le tappe toscane
che tra i molti aspetti discutibili prevede
È un contagio che non si fersono partite da San Giuliano Terla possibilità di revisione, senza limiti
ma: nel 2002 la Carovana divenme, che è uno dei Comuni più
di tempo e su richiesta di chiunque
ta nazionale, tocca dieci Regioni,
sensibili alle tematiche dell’educasia titolare di un “interesse giuridicamente
arriva in Lombardia, coinvolge
zione alla legalità e alle azioni poriconosciuto”, dei provvedimenti definitivi
centinaia di Associazioni, scuole,
Capaci, luogo
sitive», spiega Fabrizio Tognoni
di confisca. È in corso una raccolta di firme
azionamento
Enti
locali
che
discutono,
prodell’Associazione Chiodofisso,
per
salvare
la
legge.
telecomando.
muovono progetti, conoscono i
A destra:
che aderisce a Libera, «a settembre
Per aderire all’appello: [email protected]
Gioia Tauro,
profumi
della
la
Sicilia,
manavevamo consegnato un pulmino
tel.
06/69770301,
fax
06/6783559
gruppo
giando i prodotti coltivati sui ternell’oliveto.
da nove posti, donato dalla Mise-
N
EL 1994 SI È MOSSA PER LA PRIMA VOLTA sulle strade della Sicilia:
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UN PRESTITO CON UN FORTE
VALORE SOCIALE
RESTITUIRE ALLA LEGALITÀ
i terreni guadagnati con attività illecite. È il lavoro
di Libera Terra, l’associazione di don Ciotti.
Ma i campi confiscati alla mafia sono spesso in stato
di abbandono e tornare a coltivarli costa fatica e denaro.
Il Consorzio Sviluppo e Legalità ha quindi istituito
un fondo di garanzia di 100mila euro presso Banca Etica
che si è impegnata ad erogare prestiti fino a un totale
di 300mila euro. E a fine dicembre il primo
finanziamento è stato assegnato ai dodici soci
della cooperativa Placido Rizzotto, che con questi
soldi reimpianteranno vitigni autoctoni di qualità
su 18 ettari di terreno nel comune di Monreale,
confiscati al clan Riina.
«Per noi questo prestito ha un valore sociale elevato»,
spiega Alberto Fantuzzo di Banca Etica.
«È la dimostrazione che con i soldi si possono
fare cose egregie con un’ottima ricaduta». Perché
questi progetti vadano avanti però, sottolinea Fantuzzo,
è necessario che la legge sui terreni confiscati alla mafia
non sia modificata, altrimenti «non ci sarebbero
più garanzie di stabilità per chi prende
P.F.
in mano questi terreni e nessuno lo farebbe più».
Corleone, ex casa
di Riina. I beni
confiscati ai mafiosi
vengono utilizzati
in progetti sociali.
PER SAPERNE
DI PIÙ
www.libera.it
www.carovanaantimafia.it
www.avvisopubblico.it
www.liberaterra.it
www.arci.it
ricordia di Cascina, alla cooperativa Placido Rizzotto che
coltiva le terre dei Brusca a Portella della Ginestra e ha un
agriturismo. Poi avevamo chiesto a Don Ciotti, il promotore di Libera - continua Fabrizio Tognoni - chi poteva aver
più bisogno. Si è pensato alla Valle del Marro, l’ultima nata
tra le cooperative, che coltiva terreni in Calabria confiscati
alla ‘ndrangheta. Così, in un paio di mesi, con le Amministrazioni di San Giuliano Terme e del Lungomonte pisano,
con la nostra Associazione, con la parrocchia di Perignano
e con altre Associazioni, abbiamo raccolto circa 13mila euro e una serie di attrezzature da
consegnare a questa cooperativa
della piana di Gioia Tauro, nata
nel febbraio del 2005».
E così a quei “pazzi” che giravano la Sicilia undici anni fa, lo
scorso 26 dicembre si sono aggiunti sulle strade deserte e ghiacciate d’Italia due camion dei Vigili del fuoco di Pisa e di Lari, due
pulmini di un paio di Associazioni pisane e uno messo a disposizione dal Comune di Cascina, con a bordo altri venti
pazzi: sindaci, un prete (don Armando Zappolini), rappresentanti delle Associazioni, di Libera da Livorno e da Pisa,
che hanno trasportato in Calabria un camion Mercedes
furgonato, una fresa, un frangizolle. una macchina spargiconcime, una Panda e una ruspa.
Tutto macchinario usato, recuperato, messo a posto in
due mesi e trasportato in Calabria da chi crede nella forza
delle idee e della solidarietà.
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Libera terra
In Sicilia i frutti
del riscatto
di Alessia Vinci
N CONSORZIO, UN SOGNO. «Quando siamo nati, un giornale palermitano intitolò così. Tanto sembrava azzardato
il progetto di riunire in consorzio alcuni comuni del corleonese, affidando loro la gestione dei patrimoni
confiscati alla mafia grazie alla legge 190 per trasformarli in opportunità imprenditoriali con una fortissima
connotazione sociale». Ricorda così Lucio Guarino, direttore del Consorzio Sviluppo & Legalità, il clima
di speranza ma anche di sfida impossibile che ha circondato la nascita dell’iniziativa nel 2000. Oggi
il consorzio si è consolidato e comprende 8 comuni: a Corleone, Monreale, Piana degli Albanesi, San Cipirello
e San Giuseppe Jato si sono aggiunti Altofonte, Camporeale e Roccamena, tutti nella zona occidentale della
provincia di Palermo. In questi cinque anni ha dato vita a quattro cooperative sociali e gestisce 600 ettari
di terreni dove sorgono anche due centri agrituristici, un centro ippico, una cantina e un centro
di confezionamento (questi ultimi saranno completati a giugno), oltre ad una serie di infrastrutture minori.
Il disegno iniziale, che prevedeva il ripristino della legalità in un’area dove il potere di infiltrazione e di
intimidazione della mafia è tuttora enorme, si è completato in un progetto imprenditoriale vero e proprio,
capace di dare lavoro pulito e far fruttare terreni incolti, facendone il simbolo di un riscatto simbolico
e insieme concreto. «Stiamo parlando di attività agricole, di aziende agrituristiche, di vigneti, uliveti, campi
coltivati a grano, di zootecnia, di cantine e centri di
trasformazione – precisa Guarino - Qui lavorano più
Firmata una convenzione tra Banca
Etica e Consorzio Sviluppo & Legalità. di 80 persone, se teniamo conto anche dei lavoratori
stagionali, l’uso di metodi di coltivazione biologici è
Un fondo di garanzia di 100.000 euro
permetterà di finanziare le cooperative un obbligo e il recupero di tecniche di trasformazione
che lavorano i terreni confiscati
tradizionali, ad esempio nella lavorazione della pasta,
alla mafia nel corleonese.
è la garanzia di una qualità eccellente dei prodotti,
oltre al valore sociale, di per sé enorme».
In questo momento, l’accesso al credito è un elemento fondamentale per dare ulteriore impulso
e autonomia alla dimensione imprenditoriale del progetto, che richiede continui investimenti. «I beni
e i terreni che noi gestiamo vengono dati in comodato d’uso gratuito alle cooperative sociali selezionate
– spiega Guarino – che, dunque, non dispongono di alcuna garanzia patrimoniale, fondamentale quando
si entra in banca per chiedere un prestito». Per questo, il Consorzio sviluppo e legalità ha costituito un fondo
di garanzia presso Banca Etica, mettendolo a disposizione delle cooperative già avviate e di quelle che
nasceranno. Contestualmente è stata firmata una convenzione che prevede l’erogazione da parte di Banca
Etica di finanziamenti in un rapporto di 3 a 1 rispetto alle garanzie disponibili. La collaborazione tra Ente
pubblico (in questo caso il Consorzio) e la Banca diventa un elemento fondamentale. Che non si risolve
in un intervento assistenziale o diretto, ma punta a fornire sostegno e risorse necessari per permettere
un salto di qualità imprenditoriale a questi ragazzi. «Quella di Banca Etica – sottolinea Guarino – è stata
una scelta fortemente voluta e mirata. Siamo un consorzio con finalità sociali e vogliamo partner con
una connotazione sociale altrettanto marcata». Per Banca Etica l’impegno nel corleonese non è una novità
dell’ultima ora. Ben prima della costituzione del fondo di garanzia, era partito un finanziamento a sostegno
della cooperativa “Lavoro e non solo”. Ora l’accordo con il Consorzio Sviluppo & Legalità potrà liberare
risorse per intervenire con maggiore continuità e importi più sostanziosi.
U
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economiaefinanza
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altrevoci
UNA STRANA COPPIA
RACCONTA LE
TRASFORMAZIONI DEL
CAPITALISMO ITALIANO
CONFLITTI
DIMENTICATI,
IL RAPPORTO
CARITAS
NON CI PUÒ
ESSERE
MERCATO
SENZA ETICA
IL LAVORO
NEL MONDO
CHE
CAMBIA
LUNAR PARK,
AFFRESCO
DI UN’AMERICA
MALATA
RACCONTI
COME IN UNA
CANZONE DI
BRASSENS
Che cosa possono avere in comune
un sindacalista duro, puro e appartenente all’ala
radicale della Fiom e un docente di economia,
riformista, consulente della Margherita
che dialogano sulle condizioni dei lavoratori
e il futuro delle imprese? Molto più di quello
che si possa immaginare. È sufficiente leggere
“Il diavolo e l’acquasanta”, scritto
da Francesco Boccia e Maurizio Zipponi,
per rendersene conto. Il primo è un giovane
professore universitario, emigrato nel mondo
accademico anglosassone agli inizi degli anni
Novanta. Formatosi alla London School
of Economics, tornato in Italia nel 1998
per insegnare all’Università Cattaneo,
dopo pochi mesi nella bolgia romana
come consigliere economico del ministro
Enrico Letta. Il secondo è un sindacalista
che inizia a Brescia la sua attività in fabbrica
da operaio metalmeccanico; oggi dopo oltre
vent’anni di battaglie sindacali è segretario
generale della Fiom di Milano. La sua radicalità
alimenta da anni un forte processo riformatore
nel sindacato.
I due si incontrano per la prima volta nel
1999 in una delle tante trattative ministeriali
durante il Governo D’Alema. Per due anni sono
su fronti opposti in molte vertenze industriali
complesse e dolorose. Vengono da due mondi
distanti tra loro, usano strumenti diversi,
ma spesso arrivano alla stessa conclusione.
In questo libro discutono apertamente
dei temi che li appassionano: la trasformazione
del capitalismo italiano, le responsabilità delle
classi dirigenti e le condizioni dei lavoratori».
“Guerre alla finestra” è il
rapporto di ricerca della Caritas
italiana sui conflitti dimenticati,
le guerre infinite e il terrorismo
internazionale. I curatori,
in oltre 450 pagine, hanno
analizzato come vengono
percepiti i nuovi conflitti
e attraverso quali canali
sono presi in esame nella
nostra società. Per farlo, hanno
raccolto una grande quantità
di dati e condotto un sondaggio
telefonico.
Nel quarto capitolo
il libro analizza la dimensione
economica dei conflitti con dati
e analisi approfondite. Gli Usa
spendono per la guerra in Iraq
151,1 miliardi di dollari, pari
alla metà del Pil dell’Argentina.
Il prezzo del petrolio nel 2005,
a causa della guerra,
ha raggiunto il prezzo record
di 60 dollari al barile. Di contro,
in Iraq la disoccupazione
è salita al 60 per cento,
raddoppiata rispetto agli anni
prima della guerra ed è quasi
dimezzata la produzione
di petrolio, passata da 2 milioni
di barili - sotto il regime
di Food for Oil gestito dalle
Un - a 1,33 milioni del 2003,
anno di inizio del conflitto
Scandali Parmalat, Cirio, Bond
Argentina, Enron, Popolare
di Lodi. Cosa c'entra tutto
questo con i normali e corretti
meccanismi di mercato?
La risposta è: nulla, non c’entra
nulla. Questi scandali sono
il frutto delle indicazioni dei
guru della nuova economia
che puntano tutto sulla crescita
dei dividendi degli azionisti
senza pensare allo sviluppo
delle aziende, che è tale solo se
non danneggia i dipendenti e il
mondo che ruota intorno a loro.
Il giornalista Francesco
Maggio nel libro “Economia
inceppata. Può funzionare
il capitalismo senza l’etica?”
va dritto al nocciolo della
questione: senza il ritorno
all’etica, non c’è modo
di correggere i “difetti”
dell’economia di mercato.
Nessuna morale e nessuna
predica. Oltre al continuo
monitoraggio della
responsabilità sociale,
gli imprenditori saranno
chiamati a far circolare sul
mercato, insieme alle azioni,
anche un certificato
di credibilità capace
di garantire i portatori
d’interesse o stakeholder
da eventuali sgradite sorprese.
Quanto il capitalismo
globalizzato sta trasformando
i caratteri del lavoro? Questa
è la domanda da cui parte
Ronald Dore nel libro “Il lavoro
nel mondo che cambia”.
La convinzione che
l’Occidente soffra la
concorrenza dei paesi asiatici
perché questi hanno costi
di produzione più bassi
e una massiccia mobilitazione
produttiva, secondo Dore,
non spiegherebbe totalmente
il fenomeno, anche alla luce
di quanto è avvenuto in passato
in Giappone. L’ascesa del Paese
del Sol Levante nell’economia
mondiale non era stata
determinata dalla
disarticolazione selvaggia
del lavoro. Le armi vincenti
di quel modello erano state:
stabilità dell’occupazione, alta
remunerazione, attenzione alla
qualità e all’organizzazione.
Eppure anche il Giappone
di oggi è investito dal
cambiamento e risente
di quell’“individualismo
di mercato” che mette
in discussione il vecchio
regime del lavoro, smantella
il welfare e il sistema
delle tutele collettive.
Nel suo quinto romanzo
“Lunar Park”, tradotto dal bravo
Giuseppe Culicchia, Bret Easton
Ellis ha sorpreso tutti,
mettendosi a nudo. Lo scrittore
e l’uomo, infatti, si confondono
in una storia che è fortemente
autobiografica.
Se è vero, dunque, che
la scrittura è quasi sempre
la vampirizzazione della propria
esperienza, Ellis non risparmia
al lettore nemmeno una goccia
di sangue della sua esistenza
“americana”, compresa quella
dei suoi miti letterari. Un libro
che sembra perfetto per un film
di Robert Altman, un affresco
impietoso dell’“American way of
life”. In “Lunar Park” c'è proprio
tutto il dietro le quinte
di una società, che vive succube
delle sue stesse ossessioni
e incapace di dare risposte
ai problemi della gente, sempre
più dipendente da psicofarmaci
e falsi nemici.
Chi era abituato al cinismo
e alla satira feroce di Ellis,
questa volta dovrà fare i conti
anche con il suo lato più tenero
e accettare le lacrime di un
padre che racconta il difficile
rapporto con i figli. Ora rimane
solo un dubbio al lettore: come
ci sorprenderà ancora Bret
Easton Ellis?
“In questa vita” di Anne Ruchat
è un libro malinconico, a volte
così malinconico da sfiorare la
crudeltà; come in una ballata di
Georges Brassens, l’autrice non
risparmia nulla sul dolore della
vita. Sono quattro storie sul
destino, spesso beffardo con
l’esistenza umana, capace di
assecondare e illudere per poi
riprendersi la gioia che ha
regalato. La storia di Marta (“Un
lutto bianco”) che, poco prima
del parto, viene a sapere che
il suo bambino forse non ce
la farà. Disperazione e speranza
si alternano in un dialogo
tra presente e futuro. La storia
dei “Soldati senz’armi”,
un racconto di destini
accomunati dal presagio
della morte, racconta di uomini
che si congedano dal mondo
lasciando in custodia la loro
memoria e le loro tracce.
“In questa vita”, che dà il titolo
al libro, è la vicenda di un
amore condiviso da due donne
all’insaputa l’una dell’altra.
La morte di chi custodiva
quel segreto sentimento
avvicinerà i loro destini.
“In spettri” la vita di alcune
figure femminili, legate tra loro,
si fermerà in un mattino
nebbioso di fine ottobre.
.
SOGNI E FALLIMENTI
DEL NORDEST
NEL RACCONTO
DI CARLOTTO
ANNE RUCHAT
IN QUESTA VITA
di se stesso, ovvero verso la Cina.
Casagrande, 2005
MASSIMO CARLOTTO - MARCO VIDETTA
NORDEST
«
FRANCESCO BOCCIA - MAURIZIO ZIPPONI
IL DIAVOLO E L'ACQUASANTA
FRANCESCO STRAZZARI,
WALTER NANNI
E PAOLO BECCEGATO
GUERRE ALLA FINESTRA
Palomar, 2004
Caritas, 2005
FRANCESCO MAGGIO
ECONOMIA INCEPPATA.
RONALD DORE
IL LAVORO NEL MONDO
CHE CAMBIA
Donzelli, 2005
ll Mulino, 2005
BRET EASTON ELLIS
LUNAR PARK
Einaudi, 2005
narrativa
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ERODOTO,
REPORTER
DELLA
STORIA
Nel suo peregrinare
per il mondo Ryszard Kapuscinski,
uno dei più grandi giornalisti
esistenti, porta con sé le Storie
di Erodoto. Lo storico greco,
La sua stessa vita è un romanzo noir, così piena considerato dall’autore il primo
di fughe, rinascite e colpi di scena. Oggi
reporter, diventa così di volta
Massimo Carlotto fa lo scrittore ed è
in volta compagno di viaggio,
considerato uno dei più grandi autori europei del faro e bussola, riferimento
genere. I suoi libri, oltre che nelle librerie,
per orientarsi dall’Asia all’Europa,
finiscono anche nelle sale cinematografiche
insostituibile dizionario
(Arrivederci amore ciao).
per tradurre e comprendere
Con Nordest è riuscito a realizzare
le culture che incontra sul suo
un piccolo capolavoro che va oltre il giallo,
cammino. Grazie ad Erodoto,
senza rinunciare alla durezza e al ritmo
Kapuscinski scopre la storia
che contraddistinguono i suoi romanzi.
dei popoli e i sentimenti
Scritto a quattro mani con Marco Videtta,
che li animano nella grandezza
autore e sceneggiatore, questo libro racconta
e nell’errore. Varcare la frontiera
la storia di una famiglia che attraversa l’intera
è sempre stato “un prepotente
parabola, dall’ascesa fino al declino,
bisogno psicologico”
del miracolo economico nel nordest italiano.
di Kapuscinski, fin da quando
Un mondo industriale composto da famiglie
era un giovane e inesperto
abituate a comandare da sempre e che
giornalista. La vita lo porterà
tramandano il loro potere di padre in figlio.
in giro per i cinque continenti
Accanto al lavoro e all’etica della fatica
alla scoperta di se stesso,
c'è un lato meno bello che si fa largo tra le
sempre attento a non sacrificare
nuove generazioni di industriali, fatto di illegalità il microcosmo della passione
e brama di ricchezza, che se ne infischia
umana sull’altare della grande
della salute della gente, della bellezza
storia che le fa da sfondo.
del territorio, della tutela della comunità.
Fin dai tempi di Erodoto
Un modello economico e sociale che per anni
la curiosità del mondo è quella
è stato considerato vincente, che ha portato
che anima il viaggiatore
ricchezza materiale e alimentato una cultura
e Kapuscinski non smette
industriale fatta di emulazione e sacrificio,
mai di farsi domande, perché
ma oggi in profonda crisi in un contesto europeo il viaggio “comincia molto
profondamente cambiato, tanto da spingere
prima e non finisce mai”,
“il mitico nordest” oltre l'estrema periferia
nemmeno quando ci si ferma.
RYSZARD KAPUSCINSKI
IN VIAGGIO CON ERODOTO
Feltrinelli, 2005
Edizioni e/o, 2005
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fotografia
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I VOLTI
IN FUGA
DI MARCO
DELOGU
contrasto
PASOLINI,
UNA
BIOGRAFIA
PER IMMAGINI
LA CAMERA
OSCURA
DELLA
MEMORIA
È difficile racchiudere in un libro
di fotografie una vita intensa
come è stata quella di Pier Paolo
Pasolini. Questo libro riesce a
farlo con grande garbo, persino
nel momento della sua morte.
I curatori Fabio Pierangeli
e Patrizio Barbaro hanno fatto
un grande lavoro di scelta tra
le tante fotografie che ritraevano
il poeta, senza tralasciare
nessun periodo storico: dalla
spensierata fanciullezza friulana a
Casarsa della Delizia alla maturità
romana, fino alle foto del suo
corpo martoriato, ritrovato
la mattina del 2 novembre 1975
all’Idroscalo di Ostia.
Sono scatti che ci
restituiscono un’esistenza
coraggiosa e coerente,
di un intellettuale che rifiutava
l’omologazione e la cultura
consumistica. Pasolini era la
coscienza scomoda di un Paese
che si avviava alla ricostruzione
materiale e al contempo
alla distruzione morale.
Straordinarie le immagini
del poeta nella borgata romana
del “Mandrione”, mentre parla
con la povera gente abbandonata
a se stessa tra i calcinacci
e la sporcizia delle baracche
addossate ai ruderi
dell’acquedotto romano
e con le strade piene di fango.
“Non si può essere cosmopoliti
senza avere un campanile
nella memoria”. È una frase
dell’etnologo napoletano
Ernesto De Martino, riferita
a “Quelli di Bagheria”
di Ferdinando Scianna. Sarebbe
troppo semplice liquidare
questo libro come un omaggio
alla Sicilia (d’altronde l’aveva
già fatto, in passato, “Feste
religiose in Sicilia”, pubblicato
nel 1965 con la prefazione
di Leonardo Sciascia).
La particolarità di queste foto
è che sono state scattate da
Scianna prima che diventasse
un fotografo affermato e con gli
occhi dell’antropologo (materia
che ha studiato all’università).
Sarà l’amicizia con Sciascia
a svincolarlo dalla pretesa
scientificità della sua azione.
Scianna ha uno spirito narrativo
che rivela sia la sua grandezza
di fotografo sia il suo senso
di identità in un mondo che
subisce trasformazioni violente
e nel costume e nella realtà
dei luoghi. Attraverso le sue
fotografie che ritraggono piazze,
volti, gente per raccontare
le storie di Bagheria, Scianna
scava nella “camera oscura”
della memoria. Un’operazione,
per sua stessa ammissione,
difficilissima ma riuscita.
“Delogu ha inseguito un tempo
facce ferme, ritraendo statue.
Poi ha cercato facce di vecchi
contadini, fattezze di una vecchia
resistenza. Ora ferma facce in
fuga. Hanno solo quelle i detenuti
per scappare, non hanno i piedi
per correre, né mani per scavare
gallerie. Hanno solo facce.
Cambiano, sarà la clausura,
sarà la voglia di strofinarsi
il tempo sulla faccia, di usarlo
come pasta abrasiva per togliersi
a sera, prima del sonno, il grasso
d’officina della pena. Però le
facce dei detenuti cambiano più
svelte delle altre. Delogu ferma
facce in fuga”. Così scrive Erri De
Luca nell’introduzione al libro
“Cattività”. Marco Delogu
è famoso per il suo modo
di ritrarre le persone, non
importa se un fantino del palio
o un compositore. Ogni sua foto
è capace di carpire il tempo
che è passato, ma anche quello
che verrà. Accade in “Cattività”,
dove i volti di cui ha fatto scorta
in carcere sono invecchiati
e vivono già oltre il presente,
con il tempo della pena da
trascorrere che si è trasfigurato
nelle sue foto, incurante delle
leggi naturali. Ritratti di detenuti
che sono delle vere profezie
umane, perché “sembrano già
ciò che sicuramente saranno”.
«
“SOGNI E FAGOTTI”,
IMMAGINI
DELL’EMIGRANTE
ITALIANO
MARCO DELOGU
CATTTIVITÀ
MARIA ROSARIA OSTUNI E GIAN ANTONIO STELLA
SOGNI E FAGOTTI
F. PIERANGELI - P.BARBARO
PIER PAOLO PASOLINI
FERDINANDO SCIANNA
QUELLI DI BAGHERIA
Stampa alternativa, 1999
Fondazione Paolo Cresci, 2005
Gribaudo, 2000
Ed. Galleria Gottardo, 2002
In poco più di un secolo, circa 27 milioni
di italiani hanno lasciato il loro Paese in cerca
di miglior fortuna. Inseguivano tutti il sogno
di una vita migliore e di un lavoro dignitoso.
Basta andare ad Ellis Island, di fronte
a Manhattan e a pochi metri dalla Statua della
Libertà, per capire quanti sogni erano racchiusi
in quelle povere esistenze e nelle cataste
di valigie parcheggiate in attesa di un sì.
E appunto “Sogni e fagotti” è il titolo
del libro pubblicato dalla “Fondazione Paolo
Cresci per la storia dell'emigrazione italiana”
di Lucca. Un libro che racconta la scelta
di emigrare, la partenza, il viaggio, l’arrivo
e il difficile inserimento nei paesi di approdo.
E ancora, il lavoro, i momenti salienti
della vita sociale e familiare.
Il volume si avvale delle lettere e delle
fotografie conservate presso la fondazione,
documenti eccezionali e straordinari
che consentono di guardare al fenomeno
quasi dall’interno e di cogliere attimi
ed emozioni di un’esperienza che ha segnato
la vita di tantissime persone.
Gli autori dei testi sono Maria Rosaria
Ostuni, studiosa dell’emigrazione italiana
e responsabile scientifica della Fondazione
Cresci, e Gian Antonio Stella, giornalista
del “Corriere della Sera”. Un cd, con un’ampia
scelta di canti d’emigrazione eseguiti
da Gualtiero Bertelli con la “Compagnia
delle acque”, completa “Sogni e fagotti”.
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multimedia
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RIAPRE
CON UN CD
LA SCUOLA
DI BARBIANA
GLI ORIGINALI
MAPPAMONDI
DI INGO
GÜNTHER
Nel giorno dell’inaugurazione
del percorso didattico della
scuola di Barbiana (Firenze),
voluto dalla fondazione
“don Lorenzo Milani”, c’erano
quasi tutti: gli ex allievi Michele
Gesualdi e Gosto Burberi, quelli
di Calenzano e quelli di Vicchio,
venuti a rendere omaggio
al loro maestro. Per loro stessa
volontà, però, la scuola
di Barbiana non diventerà
un museo e nemmeno un luogo
di culto del priore. L’esperienza
di questo grande pedagogista,
grazie all’aiuto delle nuove
tecnologie, continuerà ad
essere sinonimo di democrazia
della conoscenza. È stato
infatti realizzato un cd-rom
multimediale, un modello
virtuale in 3 dimensioni della
scuola e dei luoghi che hanno
ispirato “Lettera ad una
professoressa”, distribuito dalla
fondazione stessa e scaricabile
anche dal sito internet.
Il cd è stato interamente
progettato con software
open-source, cioè programmi
gratuiti, a disposizione
di chiunque li voglia utilizzare.
Conoscere per condividere con
gli altri e non come privilegio
per pochi. Una scelta su cui
don Lorenzo Milani sarebbe
stato sicuramente d’accordo
Si chiama Ingo Günther ed è un artista
tedesco che da molti anni costruisce e usa
i mappamondi in maniera originale. Li gira
e li rigira non per vedere montagne, laghi,
regioni, mari e confini, ma per avere
informazioni che indicano qualcosa di diverso
rispetto agli equilibri geopolitici.
Günther, infatti, nei suoi mappamondi
rappresenta dati diversi, ma di estremo
interesse per la vita delle persone.
Ad esempio, si possono trovare le montagne
di debito, le cui dimensioni stanno ad indicare
la presenza più o meno massiccia di debiti
internazionali. E ancora, è possibile vedere
gli stati con il maggior consumo di petrolio,
quelli che hanno aderito al protocollo di Kyoto,
la quantità di prigionieri politici, l’aspettativa
di vita nei vari continenti, l'inquinamento,
i dati riguardanti la pena di morte,
le correnti oceaniche e i fondali marini,
le zone maggiormente colpite da meteoriti,
i budget militari di ogni nazione, la posizione
dei sottomarini nucleari, la quantità di energia
consumata in base alla popolazione.
Informazioni che di solito non si trovano
nei cari e vecchi mappamondi.
Insomma ce n’è per tutti i gusti, 306
per l’esattezza. Oltre che curiosi sono belli
da vedere, di grande impatto visivo e costruiti
con vari materiali. Pare che un editore orientale
abbia contattato Ingo Gunter per pubblicare
un libro sui suoi originali mappamondi.
Nel frattempo, per vederli, potete visitare
il sito dove è ospitato il suo catalogo.
WWW.DONLORENZOMILANI.IT
WWW.WORLDPROCESSOR.COM/CATALOG/WORLD
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ANNO 6 N.36
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FEBBRAIO 2006
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PORRAJMOS,
STORIA DI UN
GENOCIDIO
DIMENTICATO
LE SEI
INCHIESTE
SCOTTANTI
DI REPORT
Il Porrajmos per gli zingari
è come la Shoah per gli ebrei.
Significa divoramento,
sterminio, distruzione. Durante
il nazismo, i rom vennero
assimilati agli ebrei nella teoria
razziale e di conseguenza
anche al trattamento, con
deportazione e soluzione finale.
Gli storici parlano di almeno
500 mila zingari uccisi
nei campi di sterminio.
Nei vari processi ai nazisti
per crimini contro l’umanità
non si è quasi mai parlato
di questo genocidio. Solo
nel 1980 la Germania riconosce
agli zingari la dignità di vittime
della persecuzione razziale
e, solo nel 1995, si discute
ufficialmente per la prima volta,
in un convegno internazionale,
del genocidio degli zingari.
Il libro “Il Porrajmos
dimenticato. La persecuzione
di Sinti e Rom in Europa”,
curato da Giorgio Bezzecchi,
Maurizio Pagani, Erika Rossi,
Francesco Scarpelli, Tommaso
Vitale, in collaborazione
con Michele Sasso, è un lavoro
puntuale che riporta il lettore
in quella storia dimenticata.
Un dvd multimediale
interattivo, con documenti
storici, approfondimenti
e fotografie, completa l’opera.
È una trasmissione di culto
per chi ama il giornalismo
d'inchiesta, ed è anche
la prova provata che in Italia
si può fare. Le inchieste
di “Report”, trasmesse da Rai3,
sono state raccolte in un dvd
di 180 minuti e in un libro
che completa e aggiorna
quanto raccolto nel video.
Milena Gabanelli, ideatrice
e volto di questa trasmissione,
ne firma l’introduzione.
Nel cofanetto sono contenute
le sei più importanti inchieste
realizzate da Report:
“Operazione Ponte” di Stefania
Rimini, sul faraonico progetto
del ponte di Messina; “Puntuale
come un treno” di Giovanna
Corsetti, sul disastroso stato
delle ferrovie italiane; “L’altro
terrorismo” di Paolo Barnard,
un viaggio nei Paesi che solo
a parole dicono di combatterlo;
“Armi di distruzione di massa”
di Giorgio Forconi,
sull'impossibile distruzione
dell'immenso arsenale chimico
e batteriologico; “Uno stipendio
onorevole” di Bernardo Iovene,
l’analisi della busta paga
dei parlamentari; “Nient’altro
che la verità” di Sabrina
Giannini, un’inchiesta su dieci
anni di indagini giudiziarie
dell’omicidio di Ilaria Alpi.
AUTORI VARI
IL PORRAJMOS DIMENTICATO
MILENA GABANELLI
REPORT
Opera Nomadi, 2005
Bur, 2005
novamont
stilidivita
BIOLOGICO
ANCHE CON
UN PIZZICO
DI OGM
SPEGNI LA TV
E RISPARMI 55 MILIONI
DI EURO E 306 MILIONI
DI KILOWATTORA
GUIDARE
COME
IN UN
VIDEOGIOCO
BRAILLENET,
LA RETE
PER I NON
VEDENTI
100 KM A
PIEDI NELLA
SAVANA PER
PARTORIRE
Per i consumatori europei, d’ora
in poi, sarà più facile identificare
il prodotto biologico grazie
ad un logo o a una etichetta
che ne garantisce il contenuto.
Questo è l’effetto del nuovo
regolamento emanato
dalla Commissione Europea.
Gli ambientalisti, però,
hanno protestato perché
il regolamento contiene una
postilla discutibile: l’etichetta
biologica potrà essere apposta
anche sulle confezioni di quei
prodotti nei quali siano finiti,
anche accidentalmente, fino
allo 0,9% di ingredienti ogm.
Questo punto rappresenterà
uno degli elementi di maggior
contrasto nei futuri negoziati
tra i ministri che sostengono
che l’agricoltura biologica
non può che essere sinonimo
di ogm-free e quelli che
sono disposti ad accettare
questa piccola variante.
I produttori saranno liberi
di scegliere se utilizzare o meno
il logo biologico. Comunque
per poter essere etichettato
come tale, il prodotto finito
dovrà essere biologico almeno
al 95%. Anche i prodotti
biologici importati per essere
ammessi sul mercato
comunitario dovranno adeguarsi
alle norme europee o essere
provvisti di garanzie equivalenti.
Tecnicamente si chiamano led e sono quelle
spie luminose che indicano se un dispositivo
(televisore, monitor pc, videoregistratori etc...)
è acceso. In genere, finito di guardare la tv,
si pigia il tasto del telecomando, ma quella
lucina rimane accesa in posizione di stan-bay.
Lo stesso discorso vale per il pc, la radio,
l’impianto stereofonico. Non ci si fa caso perché
la gente lo ritiene un consumo insignificante.
L’Associazione per i diritti degli utenti
e dei consumatori non la pensa, però, allo
stesso modo. E ha calcolato quanto consuma
e quanto costa, in un anno, quel piccolo occhio
rosso che fissa inutilmente il vuoto per ore.
Un led, infatti, assorbe mediamente 2 watt
all’ora, che moltiplicato per 20 (le ore della
giornata durante la quale il televisore dovrebbe
essere spento) e per 365 giorni all’anno porta
ad una cifra di 14600 wattora, vale a dire 14,6
kilowattora. Se moltiplichiamo quest’ultimo
dato per 21 milioni di famiglie,
che presumibilmente hanno nel salotto un
televisore, si raggiunge la cifra di 306 milioni
di kilowattora, che moltiplicati a loro volta per
il costo medio del kilowattora pari a 0,18 euro,
comprensivo del supplemento quota fissa,
dell’imposta erariale, dell’addizionale
per gli enti locali, dell’iva, porta ad una cifra
di 55 milioni di euro risparmiati e ottenuti
solo spegnendo completamente il televisore.
Il calcolo può essere esteso a tutti i punti
luminosi, dall’hi-fi al computer.
Con un semplice gesto, dunque, le famiglie
italiane potrebbero risparmiare fino
a 55 milioni di euro e 306 milioni
di kilowattora prodotti dalle centrali elettriche.
Più soldi e meno inquinamento.
Guidare come in un videogioco.
È quanto si potrà fare
con la Urge: una concept-car
progettata da Microsoft
e Nissan che monta, oltre
al motore e a quattro ruote,
anche una console da gioco.
Infatti nella plancia,
piuttosto spartana, è stata
inserita una versione
appositamente modificata
di Xbox 360, che permette
di controllare i giochi utilizzando
gli stessi comandi dell’auto:
sterzo, pedale del gas e pedale
del freno. Ovviamente il sistema
risulta particolarmente adatto
ai giochi di guida, e non a caso
Microsoft fornirà di serie Project
Gotham Racing 3. ty.
Secondo il gigante
del software, un guidatore
può ad esempio parcheggiare
la propria auto, accendere
la console e tuffarsi
virtualmente nelle stesse strade
che ha appena percorso.
Per il video i giocatori
dovranno accontentarsi di uno
schermo a 7 pollici che,
quando non si utilizza
per il gioco, può essere
utilizzato anche come
specchietto retrovisore, visto
che i progettisti dei due colossi
non hanno ancora elaborato
la modifica del parabrezza
in un mega-display lcd.
I non vedenti potranno leggere
il web. In Italia, infatti, è stato
creato BrailleNet, un sistema
basato interamente
sul linguaggio “html”, in grado
non solo di ricreare una sintesi
vocale e tattile delle pagine
internet, ma anche di ricreare
il layout sulla barra Braille,
cioè di disporre il testo tenendo
conto degli accorgimenti grafici
della sua disposizione
sullo schermo. Un passaggio
importante considerato che,
secondo le ultime ricerche,
sarebbero almeno 500mila
i disabili italiani che scelgono
la Rete come fonte
di informazione.
Al di là delle comodità
e dei limiti delle barre Braille,
è stato presentato
recentemente da un gruppo
di ricerca dell'Università
di Tokyo un altro dispositivo
interessante, costituito da
un display flessibile per lettura
sensoriale, basato sull'impiego
di minuscoli transistor organici.
Il piccolo schermo ha
dimensioni di 4x4 cm,
uno spessore di solo 1mm
e può riprodurre gruppi
di 24 lettere Braille per volta.
La realizzazione di questa
scoperta sarebbe molto utile
per la creazione di libri
elettronici praticamente identici
a quelli cartacei, ma meno
ingombranti e voluminosi.
È accaduto nella Repubblica
Democratica del Congo.
Una giovane donna ha percorso
quasi cento chilometri a piedi
nella savana, nel cuore
dell’Africa sud-sahariana,
per andare a partorire.
È arrivata stremata all’ospedale
di Kimbau, dopo un giorno
e una notte di cammino.
La ragazza aveva avuto
una gravidanza difficile
e quando si è accorta che,
per salvare sé e il proprio
bambino, avrebbe avuto
bisogno di un taglio cesareo
si è messa in viaggio verso
l’unico ospedale del Paese.
Ad accoglierla ha trovato
un medico italiano, l’unico
in un territorio che deve servire
oltre centomila persone.
Si chiama Chiara Castellani,
ha 49 anni, molti dei quali
passati in Nicaragua, a curare
corpi martoriati dalla guerra
e altri 15 nella Repubblica
Democratica del Congo,
ex Zaire, in prima linea a lottare
contro malattie dimenticate,
fame e povertà.
L’intervento dell’equipe
medica salva la giovane madre,
ma non il bambino. Sul posto
è presente il fotografo Angelo
Orlando che, con le sue foto,
documenta le varie fasi di
questa storia. La giovane
donna senza nome è stata
eletta da PeaceLink
personaggio dell’anno.
| 72 | valori |
ANNO 6 N.36
|
FEBBRAIO 2006
|
LA CARTA IGIENICA
MINACCIA L’ESISTENZA
DELLE
GRANDI FORESTE
Ogni giorno 270 mila alberi finiscono nei wc
di mezzo mondo. Lo rivela una ricerca del Wwf
internazionale, che denuncia lo scarso impegno
delle big companies nell’utilizzare carta riciclata
per confezionare i miliardi di rotoli di carta igienica
prodotti ogni giorno. Si tratta di alberi che
provengono da foreste naturali o da piantagioni
sparse in tutto il mondo: America Latina, Canada,
Stati Uniti, Sud Africa, Russia, Asia ed Europa.
La ricerca è stata condotta sui cinque maggiori
produttori mondiali: da Procter & Gamble, a SCA,
da Kimberly Clark, a Metsa Tissue fino a Georgia
Pacific, colossi che da soli coprono il 70%
del mercato europeo, pari a un quarto di quello
mondiale, e i cui prodotti, nella maggior parte
dei casi, contengono “livelli preoccupantemente
bassi” di fibre riciclate. Le aziende spiegano
lo scarso utilizzo di materiale riciclato, sostenendo
che questa è la richiesta dei venditori al dettaglio,
perché così vogliono i consumatori. Pronta
la replica dell’associazione del Panda, secondo
cui i consumatori non avrebbero idea che, ogni
volta che vanno in bagno, minacciano le foreste
del mondo. Il fatto poi che i prodotti contenenti
carta riciclata non siano di alta qualità è un altro
mito da sfatare. Il volume d’affari annuo del
mercato europeo è pari 8,5 miliardi di euro. Ogni
anno, nel Vecchio Continente, vengono consumati
22 miliardi di rotoli di carta igienica, pari
a 5,5 milioni di tonnellate. Non è comunque solo
la carta igienica a destare preoccupazione. Il Wwf,
infatti, nella sua ricerca documenta come siano
molti i prodotti per i quali vengono utilizzate
le fibre vergini di alta qualità al posto di materiale
riciclato: si va dagli asciugamani ai tovaglioli,
fino ai comuni fazzoletti di carta.
CACCIA
ALLE BALENE,
SARÀ UN
MASSACRO
E-VOTE,
AL SEGGIO
ARRIVA
IL COMPUTER
Nel 2006 saranno uccise più
di duemila balene. Si tratta
del numero più alto negli ultimi
venti anni, cioè da quando
è entrata in vigore la moratoria
internazionale per la caccia
ai cetacei. Tra gli autori
principali di questa “strage”
ci sono tre Paesi: la Norvegia,
il Giappone e l’Islanda. Il primo
ha annunciato che la quota
concessa ai propri pescatori
salirà a 1052 esemplari, tutti
di balenottera minore.
Il secondo invece consentirà
la cattura “per fini scientifici”,
in quanto aderisce alla
moratoria internazionale, di ben
935 balenottere minori e 10
balenottere comuni, queste
ultime a rischio di estinzione.
Nei prossimi due anni
i pescatori del Giappone
cattureranno anche altri
40 esemplari di balenottere
comuni e 50 di megattere.
Il terzo Paese, che ha ripreso
la caccia da tre anni, punta
nel 2006 a catturare 39
esemplari di balenottera
comune. Greenpeace
si mobiliterà con azioni
di boicottaggio. Canotti
di gomma saranno usati
per bloccare le linee di mira
degli arpioni delle baleniere.
Già a dicembre l’associazione
ambientalista è entrata
in azione contro la flotta
giapponese nelle acque
dell’Oceano Meridionale.
Concluse le sperimentazioni
nelle passate elezioni,
il Governo spera con le prossime
politiche di sancire il passaggio
ad un sistema di scrutinio
elettronico: in quella occasione,
infatti, da 9 a 10 milioni di schede
elettorali saranno elaborate
con strumenti informatici ad hoc.
Il ministro all’Innovazione
Lucio Stanca ha spiegato
che l’automazione riguarderà
la rilevazione sia dei risultati
attribuiti, scheda per scheda,
dalla presidenza di seggio,
sia delle fasi di conteggio
dei risultati complessivi,
sia infine della trasmissione
telematica ad un apposito
Centro nazionale operativo
per la raccolta e l’aggregazione
dei risultati.
Con questa automazione
digitale delle procedure,
saranno immediatamente
disponibili informazioni e dati
analitici per ciascun seggio
al termine delle relative
operazioni di scrutinio.
Dati che saranno resi disponibili
per la consultazione, presso
apposite postazioni
di collegamento allestite
al ministero dell’Interno
e nelle strutture periferiche,
come le prefetture
e i commissari di Governo.
Nei seggi elettorali farà,
dunque, la sua comparsa
una nuova figura: l’operatore
informatico.
|
ANNO 6 N.36
|
FEBBRAIO 2006
| valori | 73 |
|
informazionedisinformazione
ARTERIGERE
E IL VIZIO
DELLA
MEMORIA
MODIFICARE
LA CONSOLLE
PLAYSTATION
NON È REATO
Per Arterigere- Essezeta,
una piccola casa editrice
di Varese, la missione è non
disperdere la memoria collettiva.
Pubblica principalmente
libri di storia, di solito quella
storia che gli altri non vogliono
raccontare, perché scomoda
o poco di tendenza. Negli ultimi
anni i suoi libri hanno fatto
discutere molto anche a livello
nazionale. È il caso del libro
“Gianna e Neri” i due partigiani
uccisi perché avevano cercato
di fare chiarezza sulla fine
dell’oro di Dongo o “Calogero
Marrone. Un eroe dimenticato”,
la storia di un funzionario
dell’anagrafe comunale che,
pagando con la sua vita, salvò
moltissimi ebrei dalla
deportazione fornendo loro
i documenti falsi per l’espatrio.
Varese, in quanto provincia
di confine, assumeva il ruolo
di luogo di passaggio
privilegiato, per chi era alla
disperata ricerca della salvezza
oltre il confine elvetico.
Di recente pubblicazione
è “Maledetti figli di giuda
vi prenderemo. La caccia
nazifascista agli ebrei in una
terra di confine”, “del giovane
storico Francesco Scomazzon,
un’opera destinata a lasciare
un segno nel dibattito
su un periodo oscuro
della nostra storia.
La decisione presa dal tribunale
di Bolzano il 20 dicembre scorso
farà discutere a lungo. Il giudice,
infatti, ha assolto il titolare di una
ditta di distribuzione di consolle
e pc, dopo che era stato accusato
di aver venduto chip che forzavano
i sistemi di sicurezza installati
dalla Sony sulla playstation.
Il tribunale di Bolzano
ha riaffermato la tutela del diritto
d'autore, ma allo stesso tempo
ha detto no ai blocchi dei grandi
produttori che impediscono lo
sviluppo tecnologico dei prodotti.
Il caso risale al 2002, anno in cui
la guardia di finanza, nell’ambito
dell’operazione “Christmas Card”
e su segnalazione della Sony,
aveva sequestrato in tutta Italia
migliaia di software
che consentivano di rimuovere
le protezioni che impediscono
alla consolle di leggere giochi
non originali. La società
di distribuzione vendeva
i “Modchip”, avvertendo però
i clienti sulla limitazione del loro
utilizzo. Da una parte, dunque,
la tutela del diritto d’autore,
dall’altra il diritto sacrosanto
dell’acquirente di utilizzare
come meglio crede la consolle,
sfruttandone tutte le potenzialità,
compresa quella di utilizzarlo
come un vero e proprio pc.
| 74 | valori |
ANNO 6 N.36
|
FEBBRAIO 2006
|
|
PAKISTAN,
TERREMOTO
CASO
POLITICO
L’OCCHIO DI
UN GRANDE FRATELLO
SORVEGLIERÀ
LE STRADE INGLESI
ANPR IITS, acronimo di Automated
Numberplate Recognition Information,
Intelligence and Technology Strategy,
è il nome del sistema informatizzato che terrà
sotto controllo 39 milioni di autovetture
inglesi. Il grande occhio è costituito da 3mila
telecamere ad alta definizione posizionate
su tutto il territorio nazionale ed equipaggiate
con un elaboratore in grado di registrare
e riconoscere immediatamente qualsiasi
numero di targa, grazie ad un chip applicato
sulle stesse. Ciascuna telecamera potrà
elaborare ed identificare mediamente circa
3600 numeri di targa all’ora, circa 10 miliardi
di registrazioni all’anno, dati che verranno
conservati per un biennio.
Collegato ad un enorme database,
il sistema lancia un segnale d’allarme
alle forze dell'ordine non appena individua
il passaggio della vettura di un ricercato,
un pregiudicato sospetto e persino
di un automobilista che non ha pagato
l’assicurazione obbligatoria. Ad ogni
passaggio, il sistema elabora otto milioni
di schede al secondo, su un archivio digitale
composto da 32 milioni di fascicoli.
Il budget di partenza è pari ad oltre due
miliardi e mezzo di sterline. È stato definito
dai giornali «un sistema per lo spionaggio
interno», visto che nel progetto sarebbero
coinvolti i servizi segreti inglesi
e anche perché l’ANPR è un sistema nato
come dispositivo antiterrorismo.
Nel frattempo alcune associazioni hanno
protestato per questa invasione della privacy
individuale.
Oltre alle guerre ci sono
anche i terremoti dimenticati.
Quattro mesi fa una scossa
di magnitudo 7,6 ha sconvolto
la regione del Kashmir
in Pakistan. Non ci sono ancora
cifre ufficiali, ma i quotidiani
pakistani parlano di oltre 70
mila vittime. Le Nazioni unite
e le organizzazioni internazionali
stanno operando in 37 campi
in cui sono rifugiate circa
57 mila persone. Nei campi,
sorti in prossimità dei villaggi
distrutti, hanno trovato rifugio
126 mila persone.
Per le operazioni di soccorso
l’Onu aveva chiesto aiuti
per 550 milioni di dollari,
di questi ne avrebbero ricevuti
solo il 40% circa.
I donatori internazionali,
tra cui l’Italia, hanno stanziato
la somma di 5,9 miliardi di dollari
da destinare alla ricostruzione
del Paese. Una cifra sufficiente
a soddisfare la richiesta
di Islamabad per i prossimi
cinque anni: 3,5 miliardi di dollari
per ricostruire le 400mila case
distrutte e 1,7 miliardi per offrire
sostegno ai sopravvissuti.
A farsi carico, però, della
popolazione nei villaggi più
remoti e poveri, dove lo Stato
non arriva, sono i volontari
e i sanitari delle organizzazioni
musulmane legate
all’opposizione politica interna.
diario
FONTE: MONITOR DEI DISTRETTI BANCA INTESA
* Incrementi %: + [0-2]; ++ [2-4] +++ [oltre 4]; – [tra 0 e 2]; –– [tra 2 e 4]; ––– [oltre 4]
I DISTRETTI ITALIANI
NORD-EST
NORD OVEST
SETTORE
EXPORT
2004
VARIAZ. ATTESE
% *2006
CENTRO-NORD
SETTORE
EXPORT
2004
F.BAGNACAVALLO [RA] 32
VARIAZ. ATTESE
% *2006
SETTORE
EXPORT
2004
VARIAZ. ATTESE
% *2006
LEGNO/CASA CASALASCO VIANDESE [CR]
4
-75,9
–
CALZATURE
-30,5
+
CALZATURE
LUCCA
340
-14,5
+
FRIGORIFERI CASALE MONFERRATO [AL]
127
-32,4
–
MAGLIERIA ESTERNA CARPI [MO]
199
-16,4
–
CALZATURE
FERMO [MC]
577
-13,5
+
MAGLIERIA ESTERNA TREVISO
408
-12,9
–
PELLE
EMPOLI [FI]
CICLOMOTORI
BOLOGNA
370
-12,7
–
MARMO
CARRARA
355
-11,1
++
74
-10,7
+
CASALINGHI OMEGNA [VB]
66
-20,5
–
ARDESIA
VALFONTANABUONA [GE]
11
-13,2
+++
CALZATURE
BASSA BRESCIANA
145
-12,3
+
MACCHINE AGRICOLE MODENA
MAGLIERIA
GALLARATESE [VA]
81
-11,8
–
GRAFICA
74
-12,8
++
275
-10,3
–––
STRUMENTI MUSICALI CASTELFIDARDO [MC] 26
-10,2
––
-9,2
+
numeri
VERONA
CALZATURE
LAMPORECCHIO [PT] 148
123
L’Italia dei distretti
continua ad essere in crisi
A CRISI CONTINUA A MORDERE L’ITALIA DEI DISTRETTI. Nel NordEst è il polo della calzatura di Fusignano-Bagnacavallo
ad avere sofferto maggiormente nel periodo giugno
2005-luglio 2004 rispetto all'analogo periodo giugno 2004-luglio
2003. Il calo dell'export è stato del 30%. Meno pesanti le conseguenze - contenute tra un -5,3% e un -6,7% - dei poli calzaturieri di
Verona e del Brenta, il cui valore nominale dell'export 2004 ha toccato complessivamente cifre ragguardevoli: 891 milioni. Nel NordEst, comunque, il settore tessile è in sofferenza acuta: il calo di Carpi, il cui fatturato estero 2004 è stato di 199 milioni, nel periodo
preso in considerazione è stato del 16,4% e le attese sono negative
anche per il 2006. Analogo discorso
L’IMPENNATA DEI PREZZI
per Treviso, il cui polo tessile - per il
quale i cui ricavi oltrefrontiera sono
7
stati di 408 milioni - è crollato del
6
12,9%. Nel Centro-Nord arriva la
conferma che sono ancora tessile e
5
calzature i settori che soffrono. LucLIBERI
4
ca, Fermo, Lamporecchio, Empoli:
CONTROLLATI
quattro poli accomunati dal successo
3
prima e dalla crisi poi. Il distretto del2
la calzatura di Lucca - 340 milioni di
L
fatturato all'estero nel 2004 - ha perso il 14,5 del valore in un anno.
Lamporecchio (Pistoia) scende del 9,2%. Fermo - il cui distretto, in
attesa della nuova Provincia, si divide tra Macerata e Ascoli Piceno scende del 13,5 a Macerata e del 3,2% ad Ascoli. Il polo della pelle
di Empoli perde il 12,8% in un anno, ma è quello che ha le maggiori
prospettive di ripresa nel 2006 secondo le elaborazioni di Banca Intesa. Male anche Prato, che da anni sconta l'invasione asiatica.
Nel Nord-Ovest la crisi morde ancora i settori tradizionali del
tessile - Biella, il settore serico di Como, le calzature della bassa bresciana, la maglieria del Gallaratese - ma ai primi posti del monitor
di Banca Intesa i distretti in difficoltà sono oggi altri. A partire da
quello del legno concentrato nella
zona Casalasco-Viadanese a cavallo
tra le province di Mantova e Cremona che ha registrato un calo fino al
75%. Male anche il polo dei casalinghi di Omegna, dove il calo delle
esportazioni è stato del 20,5% e male anche il polo genovese dell'ardesia, i cui ricavi all'estero sono di 11
milioni ma il cui crollo è stato del
13,2% in un anno.
FONTE: MINISTERO DEL TESORO
pubblicità
.
1
2000
2001
2002
2003
2004
2005
[ottobre]
|
ANNO 6 N.36
|
FEBBRAIO 2006
| valori | 77 |
| numeridell’economia |
Anche la crescita cinese
presenta grandi squilibri
stica. Per il 2004 è risultata una crescita del
10,1%, invece che lo stimato 9,5%. Ma i
dati locali sull'economia sono sempre stati criticati come poco accurati e differenti
dal risultato nazionale. Anche per il 2004,
la somma dei Pil forniti dalle autorità locali portava a una crescita maggiore del
dopo
la recente rivalutazione dell'economia di quasi il 17%, ha
mostrato che la crescita in 12 province è
inferiore ai dati precedenti e che quindi lo
sviluppo è "disarmonico", come recita la
nota ufficiale dell’Ufficio centrale di stati-
L
A REVISIONE DEL PIL CINESE,
A CHI VENDE LA CINA
230
TRATTORI
150
3,9% rispetto al 9,5% nazionale. All'esito
della revisione e con applicazione dei differenti criteri risultanti (ad esempio, con
un maggior valore attribuito ai servizi),
per 12 delle 31 amministrazioni locali la
crescita per il 2004 è risultata inferiore,
anche in valori assoluti.
30%
LE ESPORTAZIONI IN MILIARDI DI DOLLARI
20%
38
52
85
2000 2005
2000 2005
UNIONE
EUROPEA
USA
OROLOGI
328
75
COSA VENDE LA CINA
Parte della Cina
nella produzione mondiale
.
44%
FONTE: OMS, DOGANA CINESE
| numeridell’economia |
GIOCHI
132
70
PENICILLINA
2000 2005
LE NAZIONI EMERGENTI
Cina
India
Indonesia
Malesia
Filippine
Singapore
Corea del Sud
Taiwan
Tailandia
Argentina
Brasile
Cile
Colombia
Messico
Perù
Venezuela
Egitto
Israele
Sud Africa
Turchia
Repubblica Ceca
Ungheria
Polonia
Russia
+9,4
+8,0
+5,3
+5,3
+4,1
+7,7
+4,5
+4,4
+5,3
+9,2
+1,0
+5,2
+5,8
+3,3
+7,2
+9,8
+5,2
+5,7
+4,9
+7,0
+4,9
+4,5
+3,7
+7,0
III
III
III
III
III
IV
III
III
III
III
III
III
III
III
III
I
III
III
III
III
III
III
III
PRODUZIONE INDUSTRIALE
Trimestre
Trimestre
Trimestre
Trimestre
Trimestre
Trimestre
Trimestre
Trimestre
Trimestre
Trimestre
Trimestre
Trimestre
Trimestre
Trimestre
Ottobre
Trimestre
Trimestre
Trimestre
Trimestre
Trimestre
Trimestre
Trimestre
Trimestre
Trimestre
+16,6
+6,9
-5,9
+6,7
+4,6
+22,4
+12,2
+9,0
+5,0
+7,5
+0,4
+6,2
+0,5
+3,0
+4,1
+10,8
+4,0
-15,2
+0,3
+10,7
+7,2
+7,3
+8,5
+10,7
Nov.
Nov.
Ott.
Nov.
Ott.
Nov.
Nov.
Nov.
Nov.
Nov.
Ott.
Nov.
Ott.
Nov.
Ott.
Ott.
2005
Ott.
Ott.
Nov.
Nov.
Nov.
Nov.
Nov.
PREZZI AL CONSUMO
+1,3 Nov.
+5,3 Nov.
+17,1 Dic.
+3,5 Nov.
+7,9 Nov.
+6,6 Dic.
+1,0 Nov.
+2,2 Dic.
+5,8 Dic.
+12,3 Dic.
+6,2 Nov.
+3,7 Dic.
+4,9 Dic.
+3,3 Dic.
+1,5 Dic.
+14,4 Dic.
+3,4 Nov.
+2,7 Nov.
+3,4 Nov.
+7,7 Dic.
+2,2 Dic.
+3,3 Nov.
+1,0 Nov.
+10,9 Dic.
BILANCIA COMMERCIALE
+102,1 Dicembre
-37,3 Novembre
+26,2 Novembre
+25,6 Novembre
-8,9 Novembre
+17,3 Novembre
+23,5 Dicembre
+7,8 Dicembre
-8,0 Novembre
+11,1 Novembre
+44,4 Dicembre
+9,2 Dicembre
+1,5 Ottobre
-8,6 Novembre
+4,6 Novembre
+28,2 III Trimestre
-11,3 III Trimestre
-7,9 Dicembre
-3,4 Novembre
-43,2 Novembre
+1,5 Novembre
- 3,5 Ottobre
-3,0 Ottobre
+117,6 Novembre
TASSI INTERESSE
| 78 | valori |
AZIENDA
PAESE
POSTI DI LAVORO
ANNO
Deutsche Telecom
General Motors
Daimler Chrysler
Ibm
Hewlett Packard
Volkswagen
Sanyo
Opel
Telestra
Eastman Kodak
Germania
Usa
Germania
Usa
Usa
Germania
Giappone
Germania
Austria
Usa
32.000
30.000
16.000
14.500
14.500
14.000
14.000
12.000
12.000
10.000
2008
2008
2006
2005
2006
2008
2005
2010
2010
2005
ANNO 6 N.36
|
FEBBRAIO 2006
|
44
LAVATRICI
TELEVISORI
CONDIZIONATORI
PC PORTATILI
VITAMINA C
25
RESTO
DEL MONDO
29
30
50
60
55
2000 2005
2,18
5,93
14,31
8,76
6,75
3,28
4,17
1,65
4,50
8,88
17,95
5,16
6,23
7,92
3,60
10,37
8,57
4,91
7,10
14,81
2,17
6,17
4,49
12,00
LICENZIAMENTI ANNUNCIATI
27
101,88mld $
MACCHINE
FOTOGRAFICHE
50
0 1994
2005
BILANCIA COMMERCIALE
LE PREVISIONI SUI PAESI RICCHI
PAESE
PIL
Australia
Austria
Belgio
Gran Bretagna
Canada
Danimarca
Francia
Germania
Italia
Giappone
Olanda
Spagna
Svezia
Svizzera
Stati Uniti
Area Euro
MIN/MAX 2005
MIN/MAX 2006
2,4/3,8
1,3/2,0
1,2/1,5
1,6/1,8
2,8/3,0
1,9/3,5
1,4/1,7
0,9/1,2
0,1/0,2
1,8/2,4
0,5/1,0
3,3/3,4
2,3/2,7
1,1/2,0
3,5/3,7
1,2/1,5
2,8/3,9
1,8/2,4
1,6/2,3
1,7/2,4
2,7/3,6
2,3/3,3
1,6/2,2
1,5/2,0
1,0/1,7
1,3/2,5
1,5/2,4
2,8/3,4
2,8/3,5
1,6/2,7
2,7/3,8
1,7/2,3
INFLAZIONE
MEDIA 2005
MEDIA 2006
2,7
1,8
1,4
1,8
2,9
3,0
1,5
1,1
0,2
2,3
0,8
3,4
2,6
1,8
3,6
1,4
3,2
2,0
1,9
2,1
3,1
2,8
1,9
1,7
1,3
2,0
1,9
3,0
3,1
2,1
3,3
1,9
CLASSIFICA DELLE ECONOMIE MONDIALI
IL PIL DELLA CINA DAL 1980
Volume del Pil 2004 in miliardi di dollari
In miliardi di dollari
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
Stati Uniti
Giappone
Germania
Gran Bretagna
Francia
Cina
Italia
Spagna
Canada
India
11.668
4.624
2.715
2.141
2.003
1.971
1.673
992
980
692
1980
2005
2,8
2,3
2,5
2,1
2,3
1,8
1,9
2,0
2,0
-0,1
1,5
3,4
0,5
1,2
3,4
2,2
2006
BILANCIO STATALE (IN % DEL PIL)
2005
2006
2,9
1,9
2,1
2,0
2,3
1,9
1,7
1,7
1,7
0,3
na
3,1
1,5
1,1
2,9
2,0
-5,9
-------+2,2
-2,1
1,8
2,9
-1,2
3,9
-1,5
3,6
4,1
-6,5
7,0
13,3
-6,5
0,1
LE RICCHEZZE NEL MONDO
-5,3
-0,1
2,2
-2,2
1,6
2,8
-1,0
3,8
-1,4
3,6
4,2
-6,8
6,7
12,7
-6,6
0,1
[RIPARTIZIONE 2000]
CAPITALE NATURALE
266
5%
CAPITALE PRODUZIONE
1985
306
1990
388
1995
706
2000
1.072
2004
1.971
18%
CAPITALE INTANGIBILE
77%
|
ANNO 6 N.36
|
FEBBRAIO 2006
| valori | 79 |
FONTE: BANCA MONDIALE 2006
PIL
FONTE: FRANKFURTER ALLGEMEINE ZEITUNG
PAESE
ASIA
6%
|
indiceetico
| numeridivalori |
| numeridivalori |
NORDISKT HÅLLBARHET INDEX
|
IL PORTAFOGLIO DI VALORI
NOME TITOLO
ATTIVITÀ
BORSA
Electrolux
H&M
Trelleborg
Orkla
Kesko
Statoil
Svenska Handelsbanken
Storebrand
Gambro
Coloplast
Novozymes
Metso
Skanska
Tomra
Tietoenator
Nokia
Holmen
UPM-Kymmene
Telenor
Volvo
elettrodomestici
abbigliamento
componenti meccaniche
alimentari/media
distribuzione
petrolio
servizi bancari
assicurazioni
tecnologia medica
tecnologia medica
farmaceutici
macchine industriali
edilizia
macchine industriali
software
telefoni
carta
carta
telecomunicazioni
automobili
Stoccolma, Svezia
Stoccolma, Svezia
Stoccolma, Svezia
Oslo, Norvegia
Helsinki, Finlandia
Oslo, Norvegia
Stoccolma, Svezia
Oslo, Norvegia
Stoccolma, Svezia
Copenaghen, Danimarca
Copenaghen, Danimarca
Helsinki, Finlandia
Stoccolma, Svezia
Oslo, Norvegia
Helsinki, Finlandia
Helsinki, Finlandia
Stoccolma, Svezia
Helsinki, Finlandia
Oslo, Norvegia
Stoccolma, Svezia
Rendimento del portafoglio dal 31.12.2004 al 30.12.2005
*Il rendimento di Volvo è calcolato dall’entrata del titolo nell’indice (2 settembre 2005)
CORSO DELL’AZIONE
AL 30.12.2005
RENDIMENTO
DAL 31.12.2004 AL 30.12.2005
206,50 SEK
270,00 SEK
158,50 SEK
279,50 NOK
23,950 €
155,00 NOK
197,00 SEK
58,25 NOK
86,75 SEK
391,00 DKK
345,00 DKK
23,12 €
121,00 SEK
48,30 NOK
30,85 €
15,45 €
262,50 SEK
16,56 €
66,25 NOK
374,50 SEK
30,32%
11,88%
34,55%
58,46%
33,43%
68,49%
9,23%
2,83%
-12,17%
29,72%
24,09%
98,28%
45,54%
49,78%
31,84%
32,96%
9,48%
1,22%
24,39%
10,56%
29,30%
BORSA
Sabaf
Heidelberger Druck.
CSX
Body Shop International
Henkel
Aviva
Svenska Handelsbanken
Novo Nordisk
Merck Kgaa
3M Company
FLS Industries
Mayr – Melnhof Karton
Verizon
Cisco Systems
Canon
Stmicroelectronics
BG Group
Severn Trent
Vestas Wind Systems
Boiron
pezzi per forni a gas
macchine per la stampa
trasporti
cosmetici
detergenti, cosmetici
assicurazioni
servizi bancari
farmaceutici
farmaceutici/chimica
grafica, edilizia
edilizia
cartone
telecomunicazioni
tecnologia Informatica
tecnologia digitale
semiconduttori
gas
ciclo acqua
pale eoliche
medicina omeopatica
Milano, Italia
Francoforte, Germania
New York, USA
Londra, Gran Bretagna
Francoforte, Germania
Londra, Gran Bretagna
Stoccolma, Svezia
Copenaghen, Danimarca
Darmstadt, Germania
New York, USA
Copenaghen, Danimarca
Vienna, Austria
New York, USA
New York, USA
Tokyo, Giappone
Milano, Italia
Londra, Gran Bretagna
Londra, Gran Bretagna
Copenaghen, Danimarca
Parigi, Francia
CORSO DELL’AZIONE
AL 30.12.2005
RENDIMENTO
DAL 31.12.2004 AL 30.12.2005
17,89 €
32,32 €
50,77 USD
259,95£
85,00 €
701,88 £
197,00 SEK
354,50 DKK
70,05 €
77,50 USD
186,00 DKK
118,00 €
30,12 USD
17,12 USD
6.900,00 JPY
15,16 €
571,71£
1.080,86 £
103,50 DKK
21,70 €
-5,95%
29,28%
46,39%
66,68%
32,81%
15,03%
9,23%
18,20%
39,26%
9,13%
80,03%
-5,83%
-14,07%
2,41%
26,07%
6,69%
63,27%
15,02%
51,74%
-11,43%
+ 24,31%
€ = euro, £ = sterline inglesi, USD = dollari USA, SEK = corone svedesi, DKK = corone danesi, JPY = yen giapponesi
Fuori Cisco Systems.
Entra Intel
pagine a cura di Mauro Meggiolaro
UN’IMPRESA AL MESE
to con le azioni di alcune tra le imprese più sostenibili del mondo. Quelle che riducono le emissioni di inRendimenti dal 31.12.2004 al 30.12.2005
Nordiskt Index [in Euro]
29,30%
quinanti, stracciano i contratti con i fornitori che non rispettano i
diritti dei lavoratori, producono tecnologie che aiutano a risparmiaEurostoxx 50 price Index [in Euro]
21,27%
re energia o a generarne di nuova con il sole, il vento, l’acqua. Con
40 azioni abbiamo creato due indici etici: il Nordiskt Hållbarhet, che include solo titoli scandinavi, e il Portafoglio di Valori, che mette insieTietoenator
Sede Espoo (Finlanda) Borsa HSX - Helsinki
Rendimento 31.12.2004 – 30.12.2005 +31,84%
me imprese socialmente responsabili quotate
nelle borse internazionali. Ogni mese li abbiaAttività
Tietoenator produce software e tecnologie informatiche per banche e assicurazioni,
media e telecomunicazioni, strutture sanitarie, logistica, gestione delle risorse umane.
mo confrontati con l’andamento generale dei
Ha circa 11.700 dipendenti, di cui il 50% in Finlandia e il 28% in Svezia.
mercati in Europa e nel mondo. Dopo un anno
abbiamo capito una cosa: investire eticamente
Responsabilità sociale
fa bene anche alle nostre tasche. Il Portafoglio di
Giudizio complessivo
Buone la gestione delle risorse umane e dei rischi ambientali. Linee guida sul rispetto
Valori ha reso il 24,31% mentre il Nordiskt ha
dei diritti umani applicate ai fornitori.
chiuso il 2005 a +29,30%, ben otto punti in più
Politica sociale interna Piani di carriera individuali e colloqui di valutazione per l’80% dei dipendenti.
del DJ Eurostoxx, l’indice azionario europeo con
Il 60% dei lavoratori è sindacalizzato.
cui lo confrontiamo. La medaglia d’oro dei renPolitica ambientale
Formazione dei dipendenti sugli obiettivi del sistema di gestione ambientale.
dimenti va a un’impresa del Nordiskt. Si chiama
Attenzione agli impatti ambientali dei rifiuti e del trasporto.
Metso, ha sede ad Helsinki e produce macchine
Politica sociale esterna Esclusi i fornitori che fanno uso di lavoro minorile. Nessun coinvolgimento dell’impresa
per la lavorazione della carta. Nel 2005 i suoi tiin attività lesive della dignità umana o degli animali.
toli sono cresciuti del 98,28%.
UN’IMPRESA AL MESE
ATTIVITÀ
Rendimento del portafoglio dal 31.12.2004 al 30.12.2005
PASSATO UN ANNO. Dodici mesi nei quali abbiamo gioca-
.
NOME TITOLO
€ = euro, SEK = corone svedesi, DKK = corone danesi, NOK = corone norvegesi
Un anno di gioco.
Scandinavia da record
È
portafoglioetico
I titoli di Cisco Systems, leader mondiale nel networking per internet, non possono più
rimanere nel Portafoglio di Valori. Secondo la soRendimenti dal 31.12.2004 al 30.12.2005
Portafoglio di Valori [in Euro]
24,31%
cietà di analisi Ethibel, Cisco non è più tra le imprese migliori del
suo settore nel rispetto dell’ambiente e dei diritti, perché è risultaMSCI DM World price Index [in Euro]
24,22%
ta poco trasparente nella gestione delle risorse umane ed è stata duramente criticata per la fornitura di tecnologie
informatiche al governo cinese. Vendendo le
azioni di Cisco guadagniamo 1024,10 euro,
Svenska Handelsbanken
Sede Stoccolma (Svezia) Borsa XSSE - Stoccolma
Rendimento 31.12.2004 – 30.12.2005 +9,23%
portando a casa un magro +2,41% rispetto alAttività
Svenska Handelsbanken (SHB) è una banca scandinava che offre tutti i tipi di servizi bancari.
l’investimento iniziale. Con questi soldi (virIl 90% dei ricavi proviene da attività nei Paesi nordici, dove SHB ha circa 540 sportelli.
tuali) compriamo 48 azioni di Intel, colosso
americano dell’informatica. E’ una delle poResponsabilità sociale
che imprese tecnologiche che non esternalizGiudizio complessivo
Eccellente la gestione delle risorse umane. Impiego stabile e notevoli opportunità
za quasi nessuna delle sue attività, ha il tasso
di formazione per i dipendenti. Nessuna presenza in paradisi fiscali.
di infortuni sul lavoro più basso del settore e
Politica sociale interna Il 95% dei dipendenti lavora in Scandinavia. Ottime le politiche di pari opportunità.
SHB riduce al minimo l’outsourcing: quasi tutti i servizi sono gestiti da dipendenti della banca,
un sistema di gestione ambientale all’avancompresi i servizi informatici.
guardia: tutti gli stabilimenti sono certificati
Politica ambientale
Il 35% dell’energia viene prodotto da fonti rinnovabili. Nel 2002 le emissioni di CO2
ISO14001. Dal prossimo numero di Valori posono state ridotte del 35%. SHB prende in considerazione criteri ambientali in tutte le scelte
tremo cominciare a seguire i rendimenti dei tidi investimento e di vendita.
toli Intel in borsa. Sperando che, ancora una
Politica sociale esterna SHB non ha sedi nei paradisi fiscali e ha scelto di essere presente con i suoi sportelli
volta, la performance finanziaria sia all’altezza
anche nelle aree rurali del nord della Scandinavia, dove è spesso l’unica banca disponibile.
di quella sociale e ambientale.
N
IENTE DA FARE.
.
in collaborazione con www.eticasgr.it
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| padridell’economia |
Lionel Robbins
L’economia
ha un metodo
di Francesca Paola Rampinelli
OLO UN PROBLEMA DI UTILIZZAZIONE RAZIONALE DELLE SCARSE RISORSE DISPONIBILI di fronte alla scelta tra una
molteplicità di desideri. La definizione del professore inglese, nato nel 1898 e morto nel 1984, è una
di quelle che sono rimaste impresse a marcare la storia del pensiero economico, anche perché il contributo
più celebrato di Robbins è di natura metodologica e riguarda il concetto stesso di scienza economica.
Infatti l’opera di Robbins Essay on the Nature and Significance of Economic Science, del 1932, è stata considerata
per molti anni una pietra miliare per quanto riguarda la metodologia della teoria economica. In questo testo,
tra l’altro, l’economista afferma che è superflua, da un punto di vista teorico, l’ipotesi dell’utilità marginale
cardinale (cioè misurabile e confrontabile), ma sottolinea che, dal punto di vista della politica economica
prescindere da questa ipotesi è "moralmente inaccettabile".
Lionel Robbins ha goduto di grande prestigio professionale fin da giovane quando, professore
di economia all’età di soli 31 anni, alla London School of Economics, chiama subito a fame parte
von Hayek, favorendo la crescita di una nuova scuola di economisti tra cui si annoverano Hicks e Kaldor.
Robbins resta a capo del dipartimento di economia fino al 1960, quando deve dimettersi perché è stato
nominato presidente del Financial Times. Nonostante il suo impegno primario sia quello dell’insegnamento,
Robbins partecipa attivamente anche alla vita istituzionale ricoprendo cariche pubbliche: dal 1941 al 1945
è a capo della sezione economica del Consiglio di guerra
e ha una intensa frequentazione con Keynes, che li porta
Secondo l’economista
alla creazione dell’accordo di Bretton Woods.
un problema economico
Prende parte attivamente anche al dibattito sulla
è riconducibile all’utilizzazione
razionale delle scarse risorse
possibilità di creare un’Europa unita contribuendo alla
disponibili, di fronte alla scelta
fondazione di una vera e propria scuola federalista londinese
tra una molteplicità di desideri
che, tra gli altri, annovera nelle sue file, Philip Henry Kerr,
Sir Walter Layton e Patrick Ransome. Il gruppo di Federal
Union pubblicherà anche numerosi scritti volti a diffondere l’idea dell’unità del continente su basi federali.
Nel dopoguerra Robbins è nominato presidente di una commissione sui problemi dell’istruzione
superiore che si conclude con una serie di raccomandazioni che apriranno la strada a un ampliamento
dell’accesso all’Università per i giovani più meritevoli. A questo proposito in almeno un paio di passaggi
delle 33 lezioni di storia del pensiero economico che l’ultraottantenne Robbins tiene alla London School
of Economics fra il 1979 e il 1981, (pubblicate con il titolo La misura del mondo. Breve storia del pensiero
economico), riporta il giudizio severo di Smith sui professori di Oxford che fanno solo finta d’insegnare,
mentre sottolinea il valore positivo della prassi inglese, ma anche tedesca, secondo cui i professori venivano
pagati direttamente dagli studenti per le loro lezioni. La commissione Robbins mirava a ristabilire parte di
quel prestigio di cui avevano goduto un secolo prima i professori universitari, ma, nello stesso tempo puntava
a democratizzare l’applicazione del principio di merito. Per quanto riguarda la pratica dell’insegnamento
l’economista inglese sostiene che per sapere la verità è sempre necessario risalire ai testi originali anche
se questa regola ammette qualche eccezione, come per il "Corso" di Pareto, che dichiara di non aver
nemmeno aperto, date le critiche negative. Questa contraddizione in realtà è perfettamente coerente
con la teoria secondo cui è fondamentale rendere espliciti ì giudizi dì valore dei quali si è consapevoli.
S
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valori
lo leggi solo se ti abboni
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