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Jimmy Giuffre: Western Suite di Andrea Moretti
IL NUOVO CHE AVANZA Jimmy Giuffre: Western Suite di Andrea Moretti presentazione di Rodolfo Dini 1 2 Tesina per il corso di Storia del Jazz Jimmy Giuffre - Western Suite di Andrea Moretti Conservatorio “G.B. Pergolesi” prof. Filiberto Palermini 3 4 Sommario Presentazione 7 Introduzione 11 PERIODO STORICO Cool Jazz Le orchestre Tre pianisti West Coast 15 18 20 23 JIMMY GIUFFRE La vita I dischi firmati Giuffre Gli anni Atlantic Lontano dalle scene Periodo elettrico 29 32 36 38 41 I suoi musicisti Bob Brookmeyer Jim Hall 45 48 SUITE Le origini ’500 La Suite ’600 La Suite ’700 La Suite ’900 e le forme estese nel jazz 53 56 59 62 5 WESTERN SUITE Western Suite Pony Express Tema Assoli Canone Tema finale Apaches Tema Canone Special Saturday Night Dance Tema Assoli Canone Big Pow Wow Tema Assoli Topsy e Blue Monk 69 73 74 78 78 80 85 86 89 91 95 96 98 98 101 103 107 108 CONCLUSIONI 109 6 Presentazione di Rodolfo Dini Con questo ciclo abbiamo pensato di introdurre, nel nostro piccolo, una novità che spero prosegua anche se non sarà promossa dall’Audioteca: valorizzare, nelle forme più diverse le competenze che maturano nel Conservatorio a partire, appunto, dalla presentazione della tesi, della sintesi di un percorso di studi, discutendone i contenuti, sia pure in una dimensione molto sintetica e raccolta. In questi giorni ho iniziato a leggere un’ormai celebre intervista a Luciano Gallino sull'impresa responsabile di Adriano Olivetta. Quando gli domandano come aveva fatto l'ingegnere a costruire un’azienda tra le più avanzate del mondo e che produceva benessere, sicurezza e bellezza per chi vi lavorava, Gallino risponde: “Vi era riuscito applicando a vasto raggio il suo solito metodo di ricerca e sollecitazione dei talenti. Selezionando giovani promettenti, mobilitandone le doti cretive con l'offerta della più completa libertà di ricerca e possibilità illimitate di crescita professionale”. Anche per questa ragione ho pensato di lavorare alla pubblicazione di questi lavori a partire dall’eBook così da far circolare sul web questi interessanti testi. Nel caso specifico, l’idea ha preso corpo innanzitutto perché i laureati, nella loro ricerca, hanno trovato materiali vari e informazioni utili nell'antro qui accanto, dove ho messo a disposizione il mio patrimonio documentario. L'occasione si è dimostrata particolarmente stimolante per il fascino dei temi e dei personaggi affrontati: tre grandi della storia 7 Jimmy Giuffre - The Western Suite del jazz, tre figure che nonostante la loro originale creatività, anzi proprio per la loro singolarità vivono ancora in una sorte di cono d'ombra, troppo appartato, troppo lontano dalle mode. E proprio per questo meritano di essere valorizzati, conosciuti, apprezzati. Andrea Moretti – uno dei protagonisti del nuovo che avanza – si è cimentato con la Western Suite di Jimmy Giuffre forse, o senza forse, il suo massimo capolavoro. Un famoso critico francese, Philippe Carles, ha fatto (molti anni fa) uno spiritoso gioco di parole sul nome del nostro polistrumentista, definendolo Jimmy Jone Free, collocandolo in un certo qual modo nella post-modernità del jazz. Eppure Jimmy ha suonato e collaborato più volte, all’inizio della sua carriera come negli anni della maturità con protagonisti di altre epoche storiche, di precedenti generazioni, come ad esempio il clarinettista Pee Wee Russull. In realtà per quarant’anni, alternando periodi di intensa creatività e lunghi isolamenti, il geniale solista, polistrumentista, compositore ha realizzato una colta e raffinata sintesi fra tutte le influenze che ruotano intorno al jazz. Insomma, Giuffre va oltre le categorie, dimostrando da un lato un’ansia insopprimibile di rinnovamento cambiando spesso direzione, collaborazioni, formazioni, prendendo come riferimento anche la musica classica o le tradizioni folkloriche, e al tempo stesso un legame forte, una continuità con il passato. Ed anche nella Western Suite, Giuffre mescola di tutto e di più. Quello che vi colpirà, è l’opera impegnativa che Andrea Moretti ha svolto, a partire dalla ttrascrizione dei passaggi più significativi dell’opera che, tra l’altro, sono serviti per gli arrangiamenti dei brani che il trio (Michele Chirichella, Claudio Marcantoni e Andrea Moretti) ha eseguito nel concerto conclusivo. E poi, dall’analisi di vari aspetti formali e lessicali a partire proprio dal termine Suite, che ci riporta al Cinquecento e che nel jazz acquista significati diversi tipo concept album, opera a tema, etc. Buona lettura. 8 WESTERN SUITE 10 Introduzioone Argomento della tesi e l’analisi del disco Western Suite ad opera di Jimmy Giuffre, Bob Brookmeyer e Jim Hall del 1958 per la casa discografica Atlantic. L'interesse per questo disco risiede nella particolarità della sua forma, nel delicato intreccio che l'autore ha cercato di instaurare tra la scrittura e improvvisazione e nella composizione della band, formata da due fiati e una chitarra; una formazione molto particolare per quegli anni, dove vediamo la totale assenza di sezione ritmica. Obiettivo della tesi sara_ quello di focalizzare storicamente il disco e di andare ad analizzare il risultato compositivo di Jimmy Giuffre. Nel primo capitolo ho cercato di mettere a fuoco il periodo storico, cercando di descrivere la situazione in quell'arco di tempo, chiamato successivamente cool jazz, che si concretizza tra la fine degli anni quaranta e i primi anni cinquanta. Sicuramente limitante cercare di racchiudere tra due date un periodo storico che sicuramente ha avuto un seguito, ma se è stato fatto, il perché è da ricercare solamente per una questione pratica ed evitare lungaggini superflue. Sempre nel primo capitolo sono andato a ritroso negli anni cercando di andare a trovare più o meno le origini, o meglio i precursori di questo movimento, per poi terminare la ricerca sto11 Jimmy Giuffre - The Western Suite rica nel paragrafo dedicato alla costa ovest, luogo da dove nasce la carriera musicale di Jimmy Giuffre e i suoi musicisti. Nel secondo capitolo ho descritto la vita di Jimmy Giuffre attraverso le fasi importanti della vita di un musicista, passando dal momento in cui comincia ad incidere i dischi, importante momento per un musicista e leader, per poi restringere il campo all'etichetta Atlantic, casa discografica che gli produrrà il disco in esame, per finire con la descrizione dell'ultimo periodo dove lo si vede lontano dalle scene per poi riprendere la breve fase elettrica, negli anni ottanta, che sfocerà nel definitivo allontanamento dalle scene. Nel terzo capitolo una breve descrizione della vita dei collaboratori di Jimmy Giuffre. La vita di Bob Brookmeyer e quella di Jim Hall. Nel quarto capitolo ho affrontato la ricerca storica della suite, in quanto forma dominante del disco. Partendo dalle origini nel '500, attraverso il '600 e '700, per concludere la ricerca con la suite nel '900 e le forme estese nel jazz. Nel quinto ed ultimo capitolo ho analizzato il disco, ed uno ad uno i quattro movimenti. Per ognuno, il lavoro iniziale è stato quello del riconoscimento delle parti scritte e di quelle improvvisate. Poi ho cercato di trascrivere (cercato, per il semplice motivo che non essendoci a volte un esplicito tactus, ed il continuo rallentando e accelerando, mi hanno messo in difficoltà nel riconoscimento della battuta) le varie sezioni che compongono il movimento. Ho trascritto per ogni brano le parti di sax (o clarinetto), trombone e chitarra che secondo me risultavano importanti per la comprensione del brano. Ed infine ho analizzato l'aspetto armonico, melodico e l'arrangiamento. 12 PERIODO STORICO Cool Jazz Gli atteggiamenti - non solo musicali - e le dichiarazioni dei bopper, crearono una frattura generazionale con molti dei musicisti che li avevano preceduti (uno dei più noti critici dei bopper fu Louis Armstrong). Molte orchestre, anche le più famose dovettero sciogliersi a causa dei mutamenti che il mercato stava subendo. La frattura si estese al grande pubblico che proprio in questo periodo abbandonò il jazz per rivolgersi ad altri generi: il jazz, dopo aver dominato le classifiche per decenni, divenne quasi di colpo una musica d'arte, che cercava il suo pubblico tra gli artisti e gli intellettuali. Il nuovo stile fu, come sempre nella storia del jazz, una rottura con l'esperienza musicale precedente ma anche un suo proseguimento. All’impeto sovversivo del bebop seguì così una ricerca di razionalità, compostezza, di equilibrio. Il cool jazz, la risposta “bianca” all’arduo stile bebop, generalmente tradotto come jazz fresco calmo rilassato, in senso riduttivo freddo, anche se raramente si tiene conto del fatto che il termine cool può tradursi come figo, giusto, è una corrente del jazz, a cavallo tra il 1948 e il 1955, nata dopo la seconda guerra mondiale a New York City, che non maturò dopo il bebop ma ne fu piuttosto una variante espressiva dallo sviluppo parallelo. Una delle caratteristiche peculiari di questo nuovo stile era l'utilizzo di stilemi ed elementi tratti dalla musica europea “colta” 15 Perido storico (complessi intrecci polifonici, armonia ricercata, sonorità raffinate, strutturazione delle composizioni elaborata) trasposti in concetti jazzistici. I primissimi esempi di cool jazz, li possiamo trovare nell'orchestra di Claude Thornhill, pianista, arrangiatore e direttore d'orchestra che si avvaleva spesso degli arrangiamenti di Gil Evans. L'orchestra aveva un suono nuovo per un gruppo jazz, comprendendo in organico anche strumenti poco usuali, come il flauto, il corno francese, la tuba. E non a caso, la data di nascita convenzionale del movimento viene di solito fissata nel 1949, con la registrazione dell'album “Birth of the Cool” ad opera di un nonetto capeggiato dal trombettista Miles Davis e condotto dal sopra citato, arrangiatore Gil Evans. Il complesso si era formato spontaneamente, per libera scelta dei suoi componenti: coloro che ne facevano parte erano legati da reciproca stima, e da gusti affini. Quest'ultimi si ritrovavano molto spesso a discutere di musica e a ascoltare dischi nell'abitazione di Gil Evans, sulla 55a Strada di New York, dove constatarono di condividere le opinioni dell'arrangiatore canadese, che voleva fare qualcosa di nuovo a livello musicale, riallacciandosi alla esperienza che fece con l'orchestra di Claude Thornhill, per il quale aveva scritto partiture per vari anni e che aveva lasciato da poco, dove poté constatare l'interessante impasto sonoro, caratterizzato dall'uso dei corni francesi (a cui fu aggiunto successivamente un basso tuba) che condizionavano, per la loro limitata estensione, il modo d'impiego degli altri strumenti. Ora a quelle sonorità, ferme, smorzate, ipnotiche, mancavano soltanto di un movimento melodico armonico e ritmico, cosa che musicisti di jazz potevano dare (Arrigo Polillo, Jazz, 1975, 219). Le sedute di registrazione, avvennero, tra la primavera del 1949 e l'inizio del 1950, negli studi della Capitol, furono eseguiti da tre formazioni leggermente differenti, ad opera di un gruppo di 16 Cool Jazz musicisti tra i quali spiccavano anche i trombonisti Jay Jay Johnson e Kai Winding, i sassofonisti che avevano fatto parte dell'orchestra di Claude Thornhill, Lee Konitz (alto) e Gerry Mulligan (baritono), il quale scrisse anche qualche arrangiamento, i solisti di corno francese Junior Collins e Gunther Schuller (compositore, protagonista della scena classica e jazz, e autorevole scrittore di volumi sulla storia del jazz), il solista di tuba John Barber, i pianisti Al Haig e John Lewis (il futuro leader dei Modern Jazz Quartet), e i batteristi Kenny Clarke e Max Roach, il cui apporto al cool si limitò solo a questa occasione. Da questa prima sessione vennero pubblicati subito otto brani su di un 78 giri, mentre gli altri apparvero in una ristampa dell'album, avvenuta nel 1954. Ma solo nel 1957 tutti i brani vennero raccolti in un LP al quale diedero il nome di Birth Of The Cool (Stefano Zenni, Storia del Jazz, 2012, 319). 17 Le Orchestre Ma non è raro trovare qualche altro esempio precedente al 1949, grazie anche all'orchestra di Woody Herman. L'orchestra di Herman passò dal suonare i blues e il dixieland all'avvicinarsi poi, negli anni Quaranta, a linguaggi vicini a quello di Duke Ellington. E qui grazie anche all'arrangiatore Joe Bishop, suonatore di flicorno, usufruivano di sonorità inconsuete per l'epoca. Sonorità più morbide, che lo portarono grazie anche all'apporto di solisti di spessore al successo. Così, Igor Stravinskij, scrisse per Herman il suo Ebony Concerto, che fu poi inciso ed eseguito in pubblico alla Carnegie Hall, dove era stata presentata una formazione che, oltre ai tradizionali strumenti jazzistici, usufruiva anche dell'apporto e delle sonorità di corni francesi e arpa, ottenendo così impasti sonori tali da creare particolari dolcezze esecutive sia dell'orchestra sia da i solisti. La musica doveva contrapporsi alla rabbia dei bopper presentandosi accattivante con degli show, cosa che il pubblico pagante di quel periodo cercava. E proprio la registrazione Four Brothers, brano scritto da Jimmy Giuffre ed eseguito da Woody Herman, effettuata nel gennaio del 1948, comparve per la prima volta nelle classifiche. La California, Hollywood, Long Beach, Santa Monica, erano i luoghi dove vi era un particolare momento di privilegio, dove circolavano ingenti masse di denaro. Qui i locali come il Down Beat, il Tiffany, offrivano ospitalità a musicisti jazz, i quali però avevano l'obbligo di offrire al ricco pubblico pagante 18 Le Orchestre non certo musica aggressiva,. Si aspettavano esecuzioni piacevoli, gradevoli, orchestrazioni morbide, aeree. Un insostituibile contributo lo fornirono quattro sassofonisti, tre tenori ed un baritono, militanti nelle formazioni di Herman, creatori di un sound molto particolare che li aveva fatti battezzare Four Brothers. I quattro componenti erano Stan Getz, Zoot Sims, Herbie Steward e Serge Charloff (che sostituì Jimmy Giuffre), elaborarono un linguaggio musicale di chiara collocazione jazzistica, basato però su stilemi estremamente raffinati, tanto da far definire la loro musica non “hot” ma “cool” calma, rilassata, praticamente quasi del tutto scritta, e rifinita nei minimi particolari, facendo molta attenzione all'aspetto tecnico ed estetico. Non solo Herman, e i musicisti militanti nelle sue formazioni, diedero voce al nuovo jazz, ma ci furono anche altre orchestre che in breve tempo ottennero un certo successo di pubblico e di critica. Un altro esempio di grande spicco, è indubbiamente quello del pianista Stan Kenton, nato e vissuto in California. Egli andò sempre alla ricerca, con le tante orchestre da lui guidate sin dal 1941, più della perfezione formale dell'esecuzione che non del contenuto. Nelle orchestre Kentonianane, infatti ebbero sempre un importanza determinante le “sezioni” più che i singoli (anche se Kenton si avvalse di musicisti come il bassista Eddie Safranky, che nel 1950 fece parte dell'orchestra sinfonica diretta da Arturo Toscanini). 19 I tre pianisti Chi contò davvero in quegli anni, furono anche tre pianisti, non solo per la loro indubbia qualità solistica, ma anche e sopratutto concezione musicale. Il primo, fu uno dei grossi cervelli del jazz, Joseph Leonard Tristano, secondo dei quattro figli di immigrati di origine italiana stabilitisi a Chicago, dove Lennie nacque il 19 marzo 1919; poiché sin dall'infanzia affetto da problemi alla vista, che col tempo andarono sempre più aggravandosi sino a portarlo alla cecità, fu affidato ad un istituto specializzato, il quale lo inviò, scoperta la sua propensione alla musica, all' American Conservatory of Music, dove in tre anni ottenne il diploma. Quando Tristano cominciò a far parlare di sé faceva una musica strettamente imparentata con il bebop, ma più cerebrale. Nel suo jazz si sentivano le forti influenze di Bach, i movimenti fugati, il calligrafico contrappunto, il rigore compositivo, le sonorità lievi degli strumenti a fiato, che più avanti furono inseriti nel suo complesso, e che in omaggio alla nuova estetica non facevano uso del vibrato, tutto ciò conferiva alla sua musica un'eleganza settecentesca. Il suo vero manifesto, furono quattro brani registrati, nel 1949 per la Capitol Record, con i due sassofonisti Lee Konitz (alto) e Warne Marsh (tenore), il chitarrista Billy Bauer e il bassista Arnold Fiskin. I quattro brani si intitolano Subconscious Lee, Marionette, Sax of a Kind, Intuition, e furono realizzati su linee atonali, che non scordavano il contrappunto, e l'improvvisazione solistica, ri20 I tre pianisti scoprendo la polifonia spontanea. E Intuition, pose anche le basi per quei concetti musicali, che qualche anno più tardi, sfociarono nel free. Analoghi a quelli di Tristano furono gli esperimenti che, nello stesso periodo, venivano condotti da Dave Warren Brubeck. Di condizioni sociali più borghesi rispetto a quelle di Tristano, nato in California, aveva goduto degli insegnamenti della madre, pianista classica, che lo mise al pianoforte a soli quattro anni, facendolo poi passare a nove allo studio del violoncello; a tredici anni Dave, già suonava in complessini di Dixieland o swing, a venti era già leader di una band di dodici elementi nel College of Pacific. Ma la sua formazione, quella che poi delineò il suo modo di fare musica, avvenne tramite gli insegnamenti di Darius Milhaud al conservatorio di Oakland, e successivamente grazie le preziose indicazioni di Arnold Schoenberg. Il primo complesso costituito da Brubeck, nel 1946, fu un ottetto, che ebbe poco successo a causa delle complicate partiture con cui si cimentava, basate su fughe, contrappunti, e sconfinamenti nei territori della politonalità e dei poliritmi, allora praticamente inesplorati. Così Dave sostituì la formazione con un trio, che invece si fece apprezzare per gli elaborati arrangiamenti. Fra quelle registrazioni spicca sicuramente la politonale Fugue on Bop Theme. Di notevolissimo successo, fu anche, e sicuramente John Aaron Lewis. Nato in una famiglia borghese, iniziò a studiare musica classica e pianoforte all'età di sette anni. Anche se cresciuto con la musica classica poté avvicinarsi alla musica jazz, grazie alla zia che amava ballare questa musica. Laureatosi in Antropologia all'università del Nuovo Messico, studiando contemporaneamente musica fino alla chiamata alle armi Conobbe Dizzy Gillespie, che gli propose di scrivere degli arrangiamenti (da cui nacque l'emblematica Two bass hit) fino 21 Periodo storico a prendere il posto di Thelonious Monk come pianista nella sua orchestra. Assieme a Kenny Clarke e Gillespie girò tutti gli Stati Uniti d'America e mezza Europa, approfondendo contemporaneamente lo studio del pianoforte classico, con i grandi compositori quali Chopin, Bach, Beethoven, l'esperienza di arrangiatore e quella di compositore. Fondatore, insieme al vibrafonista Milt Jackson, il contrabbassista Percy Health e il contrabbassista Connie Kay, dei Modern jazz Quartet, gruppo che seppe ottenere grande rispetto da parte del pubblico grazie ad un comportamento da “concerti classici”. La scrittura della fuga, i richiami alla musica classica, lo smorzato rigore stilistico, la delicatezza del tocco di Milt Jackson, un appropriato contrappunto del contrabbasso, e infine i delicati accompagnamenti ritmici del batterista, consentirono ai quattro di proporre, così come fece Ellington al Cotton Club con il suo Jungle Style, a impresari e pubblico pagante, ciò che volevano. 22 West Coast Un ulteriore contributo allo sviluppo del cool jazz, lo diede quella che venne chiamata la scuola West Coast. In poche parole, il capitolo California è diventato sinonimo di "West Coast Jazz," intendendo con questo termine il jazz moderno suonato nella regione dai gruppi bianchi degli anni cinquanta: i suoi caratteri peculiari privilegiavano la dimensione melodica, la compostezza espressiva, gli impasti timbrici levigati (con abbondare di flauti, oboe, violoncelli, eccetera) e le raffinatezze armoniche. È indispensabile ricordare che la comunità afro-americana in California non era così esigua e dispersa sul territorio come spesso si crede. Dal 1900 la sua crescita demografica si era raddoppiata ogni vent'anni e negli anni quaranta la scena musicale che si svolgeva nei locali della Central Avenue di Los Angeles raggiunse il massimo fulgore. Quell'arteria rappresentava il cuore dello spettacolo afroamericano: dal 1920 oltre il quaranta per cento della popolazione nera viveva nei palazzi circostanti, nel tragitto tra l'undicesima e la quarantaduesima strada. La via era un concentrato di locali notturni, ristoranti, cinema, sale da ballo e teatri. Il jazz coesisteva accanto al blues, al vaudeville e ad altre forme di spettacolo. Alcuni maestri di New Orleans avevano raggiunto Los Angeles e S. Francisco già nel 1908 e molti altri si aggiunsero dopo la chiusura dei locali di Storyville: Freddie Keppard e Bunk Johnson vi 23 Periodo storico avevano fatto tappa mentre Jelly Roll Morton e Kid Ory vi avevano soggiornato per qualche anno. Quest'ultimo incise a Los Angeles nel giugno 1921 uno dei primi dischi realizzati da un jazzista nero di New Orleans (sotto il nome di Spike's Seven Pods of Pepper) e nello stesso anno la Creole Jazz Band di King Oliver compì un lungo tour. Tuttavia, la California non fu solo un posto di passaggio per il jazz delle origini e vanno ricordate le band di artisti ormai residenti come Papa Mutt Carey, Sonny Clay, Curtis Mosby, Les Hite e Paul Howard. I Quality Serenaders guidati da quest'ultimo erano i più famosi e annoveravano i giovani Lawrence Brown, che poco dopo suonò con Ellington, e Lionel Hampton. L'avvento del cinema sonoro nel 1927 e il fiorire di Hollywood, l'esplosione della Swing Craze nel 1935 (che ricordiamo iniziò proprio a Los Angeles. col concerto di Benny Goodman al Palomar Ballroom) ma soprattutto l'attacco giapponese a Pearl Harbour, che nel dicembre 1941 fece della California il retrovia della guerra in Pacifico, accrebbero la generale richiesta di musica, portando prosperità ai locali della Costa Occidentale. Il nucleo dei musicisti afro-americani era intanto cresciuto in termini qualitativi e quantitativi. Nei locali della Central Avenue si esibivano i massimi protagonisti del jazz e nei primi anni quaranta vi si potevano ascoltare abitualmente Art Tatum, Billie Holiday, Benny Carter, Sy Oliver, Don Redman, Duke Ellington, Lester Young, il giovane Nat Cole e altri protagonisti. È ancora importante ricordare che negli anni quaranta Los Angeles era già un florido centro per il blues e il gospel e continuerà ad esserlo nei decenni successivi. Con l'espandersi del mercato discografico e la nascita delle etichette indipendenti la musica profana e quella religiosa trovarono a Los Angeles. un florido terreno commerciale. Furono due musicisti afroamericani, i fratelli Renè, i primi a fondare una casa discografica indipendente, l'Exclusive 24 West Cost Records. A questa se ne aggiunsero altre gestite da ebrei come la Specialty o l'Aladdin (All About Jazz, Black California) In California, si riunivano al Lighthouse il locale di Hermosa Beach, gestito da un ex musicista di Stan Kenton, il bassista Howard Rumsey, che poi venne riutilizzato da un impresario locale, Gene Norman, il più attivo, nel campo jazzistico, nell'area di Los Angeles, per una serie di sedute di incisioni basate fondamentalmente su ex kentoniani, come il trombettista Shorty Rogers, il clarinettista Jimmy Giuffre, il sassofonista Art Pepper. La Capitol prima e la Victor poi, prima che una nuova casa discografica, la Pacific, sorgesse per fissare su vinile il jazz, che la costa ovest sfornava, aprirono le loro sale di registrazione ai musicisti, i quali, pur dimostrando non poco interesse per il cool e per le sue raffinate atmosfere, dimostrarono di non voler distaccarsi da quello che era il passato, e nel caso specifico si rifecero molto al jazz swingante delle orchestre bianche. L'ondata californiana prima di diffondersi in tutti gli Stati Uniti e per il mondo, operò un fortissimo richiamo sui musicisti americani: da New York arrivò ben presto Gerry Mulligan che con il suo non convenzionale sax baritono, trovò un particolare affiatamento con il trombettista Chet Baker, tanto da dar vita ad uno stile che aveva in sé, come tratti distintivi, una forte musicalità, nitide linee melodiche, un puntualissimo gioco di assieme, un delizioso contrappunto, che ancora oggi può essere preso in esame per valutare le caratteristiche del West Coast Jazz. Un jazz che conteneva in sé la forte componente ritmica swingante. A fianco della raffinatezza, questa musica riusciva anche ad essere godibile, e per questo piacque subito al pubblico, e ai musicisti attivi a Los Angeles, che cercarono sin da subito di sfruttare su larga scala, le trovate del sassofonista. Così grazie a Mulligan, ritornò in molti la fiducia del linguaggio jazzistico, che poteva essere utilizzato per dar vita ad una musica “consumabile” e “rispettabile”. In quegli 25 Periodo storico ani spicca anche la figura di un ambizioso Jimmy Giuffre. Egli scriveva impegnative partiture per chiunque le richiedesse e tentava nuove strade anche come strumentista, dedicandosi, in quanto polistrumentista, soprattutto al clarinetto. Giuffre diede una prima dimostrazione di certe rivoluzionarie teorie che andava maturando, quando poté incidere per la Capitol, il disco Tangents in Jazz, dove volle dimostrare che il jazz non aveva bisogno di una pulsazione esplicita, ritenendo al contrario che la pulsazione ritmica scandita da basso e batteria costituisse un maggiore impedimento per la libera improvvisazione e per l'apprezzamento della voce solista. Tanto che qualche mese dopo nell' Lp registrato per la Atlantic, The Jimmy Giuffre Clarinet, il messaggio apparve più chiaro e provocatorio, dove nel brano So Low, Giuffre suona il suo clarinetto tutto solo accompagnandosi soltanto col battito del piede. Prima di lui lo avevano fatto solamente i pianisti e Coleman Hawkins, con l'incisione nel 1939 del suo famoso sax solo, Body and Soul. 26 JIMMY GIUFFRE La vita Nato a Dallas il 26 aprile del 1921 da una famiglia originaria di Termini Imerese, nel palermitano, James Peter Giuffre, inizia lo studio del clarinetto (destinato a rimanere il suo strumento base) a nove anni, affiancandovi a partire dai quattordici anni anche lo studio del sassofono tenore. Più del jazz, cui si è avvicinato gradualmente, grazie ad esperienze di ascolto adolescenziali, fu la musica colta ad attrarlo inizialmente. Diplomatosi a ventuno anni presso il North Texas State College, prosegue gli studi accademici ancora per una decina d'anni sotto la guida di Wesley La Violette (importante figura, di area classica, del west coast jazz negli anni cinquanta, nonché educatore e mentore anche di personaggi quali Shorty Rogers e Bob Carter). Una volta arruolatosi in aviazione, milita fra il 1944 e il 1945 nell'orchestra delle Forze Armate, passando dopo il congedo nella Dallas Symphony. L'interesse per il jazz, in ogni caso, era tutt'altro che sopito. Nel 1946 Giuffre è per qualche tempo al fianco del bandleader Boyd Raeburn, un bianco che, al pari di Claude Thornhill, Stan Kenton e Woody Herman, sia pure su piani diversi, tentava di coniugare la vecchia tradizione orchestrale di matrice swing, da un lato con il linguaggio bebop, dall'altro con la musica eurocolta. Una centralità in precedenza sconosciuta assunse in questi contesti la figura 29 Jimmy Giuffre dell'arrangiatore, che per Giuffre ebbe un particolare significato nella sua attività futura. Così dopo sei mesi passati al fianco di Jimmy Dorsey ottenne nel 1947 il suo primo grande riconoscimento. Entra nell'ottetto del trombettista Tommy De Carlo attivo al club di Pete Pontrelli, nel quartiere spagnolo di Los Angeles. Qui Giuffre è l'autore della maggior parte degli arrangiamenti insieme a Gene Roland, un altro polistrumentista e compositore che fin dall'anno precedente realizzava innovativi esperimenti con quattro sassofoni tenori. Con De Carlo questi strumenti sono suonati da Stan Getz, Zoot Sims, Herbie Steward, e appunto Jimmy Giuffre. E' al Pontrelli dunque che nasce ufficialmente il futuro Four Brothers Sound. Il caso vuole che durante la scrittura al Pontrelli capiti Ralph Burns, ambizioso pianista di Woody Herman. Burns fiutò subito l'occasione, e visto che Herman stava reclutando gli uomini destinati a confluire nel suo “secondo gregge”, gli consigliò l'ingaggio in blocco dei “quattro fratelli”. L'operazione, in realtà, riuscì, per tre quarti: proprio Giuffre preferì, almeno inizialmente, una semplice collaborazione in qualità di arrangiatore (in sezione venne sostituito da sax baritono di Serge Charloff). Per la rinnovata band Hermaniana comunque Jimmy compose attorno al maggio del 1947 quella che resta a tutt'oggi il suo brano più noto e celebrato, Four Brothers, la cui prima versione ufficiale viene fissata su disco il 27 dicembre del 1947, dopo qualcosa come 18 provini. Come era stato per Caldonia, brano del “primo gregge”, il brano diviene il simbolo della nuova formazione. L'inizio del 1948 trova Giuffre sempre più attivo sul versante dell'arrangiamento; milita nella big band di Buddy Riche fa sporadiche apparizioni in altri contesti. All'inizio dell'anno risale anche la sua prima versione su disco di Four Brothers, nel caso specifico orchestrato per un solo sax tenore, sax contralto, tromba e trombone, nell'interpretazione del sestetto del contrabbassista Harry Babasin. Al tenore è ovviamente 30 La vita Jimmy Giuffre stesso, che all'epoca, e ancora per un quinquennio, sembra voler separare nettamente i suoi interessi accademici sul clarinetto da quelli jazzistici, per i quali sceglie il sassofono. Il suo intervento nel brano evidenzia un sonorità opacizzata, diafana, unita ad un fraseggio sciolto e lineare che richiama chiaramente le lezioni di Young e Parker. Nel gennaio del 1949 Giuffre sostituisce nella band hermaniana Zoot Sims che a sua volta prende il posto al fianco di Buddy Rich. L'esperienza non va oltre il novembre successivo quando Herman è costretto a sciogliere nuovamente l'organico. L'orchestra dei Four Brothers si ritaglia comunque un posto tra i protagonisti del particolare clima espressivo, allora dominante. I gruppi di Lennie Tristano, Miles Davis e Gil Evans completano con il “gregge” hermaniano un ideale trittico di proposte nelle quali la composizione assume un nuovo valore e l'improvvisazione si incastona in un tutt'uno perfettamente equilibrato. Il solista è ora sostenuto da contrappunti e commenti dei compagni, non impone più bruschi sbalzi climatici al clima generale ma quasi ci si adagia sopra. I tempi lenti sembrano come sospendersi mentre quelli mossi diventano più ariosi. Gli uni e gli altri perdono la nervosa frammentarietà e il lirismo scomposto tipici del bebop. Le responsabilità di tale mutamento di visioni possono essere attribuite, in maniera preponderante, allo stesso Giuffre. 31 I dischi firmati Giuffre Le esperienze maturate sul finire degli anni quaranta trovarono naturale sbocco nella prima metà del decennio seguente. I due compagni di studio Shorty Rogers e Shelly Manne sono in questi anni gli artisti più vicini a Giuffre che si preparava a spiccare il volo solitario (risalgono al giugno del 1952 le prime due matrici realizzate come leader). E' ancora Los Angeles (dove Jimmy rientra una volta conclusa la parentesi con Herman) il crocevia dei nuovi fermenti. Qui nasce e si afferma il già più volte citato stile “West Coast” destinato, nelle sue forme più commerciabili, a far riguadagnare al jazz nuovi consensi popolari. Il centro delle operazioni era il Lighthouse, un locale sorto ad Hermosa Beach, a sud di Los Angeles, dove nel biennio 1951-52 si riunisce un gruppetto di musicisti che fa capo al contrabbassista Howard Rumsey, un ex kentoniano, che raccoglieva tutta la nuova generazione californiana. Ai tre allievi di La Violette si uniscono fra gli altri il flautista-sassofonista Bud Shank, il cornista John Graas, ed in seguito l'alto sassofonista Art Pepper ed il pianista (nero) Hampton Hawes. Il nuovo ensemble, che riprendeva in qualche misura le architetture della band di Davis e Evans, restò unito fino al 1955 effettuando numerose incisioni che, seppur di livello altalenante, ci tramandano l'immagine di un gruppo aperto e innovativo, composto da artisti destinati a carriere anche molto luminose. 32 I dischi firmati Juffre Fra le singole elaborazioni e abbozzi di percorso fu proprio quella di Giuffre a risultare come la più solida e originale. Tra il febbraio del 1954 e il maggio del 1955 la Capitol gli offre finalmente la chance di incidere materiale per due album a suo nome. Per le prime tre matrici, fissate a Los Angeles il 19 febbraio del 1954, Giuffre raduna attorno a sé Jack Sheldon alla tromba, Russ Freeman al pianoforte e Shelly Manne alla batteria. Altri quattro temi, fra i quali una nuova versione di Four Brothers, vennero incisi il 15 aprile in sestetto con Sheldon, Manne, Shorty Rogers, e Bud Shank, mentre il materiale per il primo dei due dischi registrati per la Capitol, “Jimmy Giuffre” venne poi completato il 31 gennaio del 1955 da altri tre brani in quartetto ancora con Sheldon, Ralph Pena al contrabbasso e Artie Anton (in realtà Shelly Manne camuffatosi perché sotto contratto con un altra casa discografica) alla batteria. Proprio a nome di Manne, il 10 settembre 1954, Giuffre aveva frattanto realizzato la più significativa registrazione di questo periodo, vale a dire i sei brani riuniti sulla prima facciata dell'album “The Three & The Two”, fra i quali vanno menzionati Pas de Trois, l'unico tema di Jimmy (che già nel 1953, per una delle numerose sedute dirette dal batterista con la sua partecipazione, aveva composto Fugue, brano caratterizzato da un deciso affrancamento dei canoni ritmici tradizionali) e, soprattutto, Abstract n°1. Nel maggio del 1955 Giuffre torna in sala d'incisione, col quartetto già guidato in gennaio, per la realizzazione del secondo album firmato Capitol “Tangents in Jazz”, finalmente del tutto rappresentativo dei suoi personalissimi orientamenti. Formalmente il gruppo si presentava come un comune quartetto ma senza pianoforte (si pensi a Mulligan e Baker), ma in realtà la formula era apertissima e gli strumenti interagiscono senza ruoli prestabiliti. L'amalgama non sembra più fondarsi su basi ritmico-armoniche ma su una convergenza melodica di sapore pastorale; l'intersecarsi delle singole voci risalta una chiara matrice di natura folkloristica più che afroamericana, e la 33 Jimmy Giuffre frequente adozione di soluzioni contrappuntistiche, ed il presente lavoro sotto l'aspetto compositivo, facevano pensare più ad un quartetto da camera che ad uno jazz. Questi lavori sembravano raccogliere l'eredità dai lavori già affrontanti nel 1949 da Lennie Tristano nei suoi due brani Intuition e Digression, anche se la loro vicinanza a quello che verrà chiamato “free jazz”, ne fanno due brani molto diversi. Con Tangents in Jazz, Giuffre, illustra per la prima volta in modo esauriente la propria singolare concezione ritmica (già affrontanta in Fugue e Pas De Trois), in cui non vi è più un beat esplicito (quello di basso e batteria), ma vuole, secondo una sua citazione “Attraversare ogni figura e frase musicale in continua progressione dinamica”. Con più precisione tali intendimenti emergeranno dal suo primo album per la Atlantic, “The Jimmy Giuffre Clarinet” datato marzo del 1956. Qui troviamo otto brani dove l'elemento unificatore è il clarinetto mentre il “contorno” muta di volta in volta. In “So Low” il continuo, non regolare, battito del piede supporta il fraseggio del clarinetto, che ruota attorno ad una scala blues. L'atmosfera è opaca e statica. In “Deep Purple” è la celesta di Jimmy Rowles a tentare di smuovere il ritmo, ma sarà solo nei tre brani seguenti, affidati ad organici del tutto atipici a precisare certi intendimenti. “The Sheepherder”, per clarinetto, clarinetto contralto, affidato a Buddy Collette, e clarinetto basso, Harry Klee, nel brano “The Side Piper” per clarinetto, flauto, affidato a Collette, flauto basso a Klee, al flauto in sol Bud Shank, e alla batteria Shelly Manne, e “My Funny Valentine” per clarinetto, oboe Bob Cooper, corno inglese Dave Pell, fagotto Maury Berman e contrabbasso Ralph Pena. Nei primi due brani è ancora preponderante la staticità. Mentre lo standard My Funny Valentine, viene invece rivisto su basi polifoniche. “Clarinet” rimane in ogni caso un'opera fondamentale per molte 34 I dischi firmati Juffre altre ragioni. Il texano ribadisce gli intenti popolari, già affrontati in “Tangents in Jazz”, e la predilezione per una linea espositiva asciutta ma ricca di pathos. Affiora anche una certa vena impressionista derivante da una chiara assimilazione per autori quali Debussy, Ravel, Satie. Una solida base culturale “colta” emerge dall'album. Alcune scelte appaiono vicine anche ad autori più contemporanei, come Stravinskij o Varese. Giuffre sembra riuscire finalmente a convogliare sullo stesso binario la pluralità delle proprie esperienze espressive. Sintomatica, in tal senso, l'adozione del clarinetto, strumento che adoperava per elaborazioni strettamente accademiche. Se già nei primi due album per la Capitol lo affiancava a strumenti come sax tenore e baritono, è solo con “Clarinet” che Giuffre nel esalta l'utilizzo accostandolo al mondo del jazz. 35 Gli anni Atlantic Una volta inseritosi nella scuderia della “Atlantic”, sul finire del 1956 Giuffre capì che era giunto il momento di varare un suo gruppo a carattere stabile. Con Ralph Pena al contrabbasso e Jim Hall, alla chitarra nasce il primo dei suoi trii che incise il primo album, “The Jimmy Giuffre 3”, dove fissa le coordinate dei sui futuri sviluppi. Qui l'artista tende a minimizzare la portata innovativa del trio senza batteria né pianoforte. Il senso dell'operazione è da ricercare nell'intesa, musicale e umana, che lo lega a Pena e Hall e non necessariamente nella scelta degli strumenti che essi suonano. L'album in questione testimonia come il texano si allontana, in qualche modo, dalle esasperazioni concettuali, che aveva sperimentato in “Clarinet”. Qui c'è una pulsazione vivissima, per di più sui tempi mossi, con spunti solistici dei singoli strumenti. La maggiore disponibilità sul piano solistico, ribadita dalla pressoché contemporanea apparizione in veste di solista ospite nell'album “The Modern Jazz Quartet At Music Inn With Jimmy Giuffre”, trova una spiegazione nel fatto che, all'epoca, Giuffre ha finalmente modo di mettere a punto con una regolarità, partiture estremamente ambiziose per i musicisti del suo entourage riuscendo così a districarsi più agevolmente all'interno di questa sorta di dualismo. Per quanto riguarda le opere a suo nome, gli ultimi due casi, dove 36 Gli anni Atlantic prevale come autore più che come esecutore, sono rappresentati da “The Music Man”, del gennaio 1958, che si trattava di una elaborazione strumentale di una commedia musicale di Meredith Wilson per un ensemble di nove elementi, e di “Piece For Clarinet And String Orchestra/Mobile”, del marzo 1960, sette bozzetti di carattere contemporaneo, da lui stesso interpretati, col supporto degli archi della Sudwestfunk Orchestra. A queste esperienze si contrapponeva il lavoro del trio. Il passaggio fra il primo e il secondo è in qualche modo segnato da Traditionalism Revisited, un album inciso a Los Angeles, nell'estate del 1957, e volto alla rilettura di alcuni noti temi di Armstrong, Beiderbecke. Questo album venne realizzato in quintetto, che inglobava per intero sia il primo trio, con Pena e Joe Benjamin, alternativamente al contrabbasso. Al di là del batterista Dave Baley, completava infatti l'organico Bob Brookmeyer, che figurava come leader della seduta, il cui trombone a pistoni era destinato a subentrare di lì a poco al contrabbasso di Pena. Mai come con il nuovo trio un organico si era spinto tanto in là. Senza né basso né batteria Giuffre riaffermava ancora una volta la sua volontà di una pulsazione implicita. Con questo, che resta a tutt'oggi il suo gruppo più emblematico, registrerà tre album per la Atlantic. All'iniziale “Trav'lin Light” gennaio 1958, ottimo biglietto da visita, seguirono due opere a tema: nell'estate incideranno “Four Brothers Sound”, mentre nel dicembre “Western Suite”, definito il capolavoro del secondo trio. Al di là dell'inarrivabile coesione che l'opera evidenzia assistiamo alla massima esaltazione di un elemento caro a Giuffre: il folklore. La matrice è in questo caso eloquentemente westamericana ma sappiamo della grande attenzione sempre rivolta da Giuffre verso la musica popolare, sia essa di matrice bianca, nera ed orientale. Tende a rivalorizzare l'elemento folkloristico scrostandolo di quella patina populistica cercando di portarlo ad un livello “superiore”. Subito dopo l'inci37 Jimmy Giuffre sione del terzo volume per la Atlantic, lo stress accumulato, specie per i continui spostamenti, determina lo scioglimento del secondo trio. Nel corso di un tour in Europa, Giuffre, che comunque aveva diradato la sua attività pubblica per dedicarsi al suo corso di jazz a Lenox, nel Massachusetts, e, come già visto alla composizione, inizia a collaborare con l'etichetta Verve. Dal gennaio 1959 all'agosto 1960 incide per la Verve due album in trio e due in quartetto che nell'agosto del 1960 incide al Five Spot l'album “In Person”, che percorreva strane non molto lontane da quelle che batteva il grande John Coltrane. Nell'organico fanno parte Jim Hall, Billy Osburne batteria, Buell Neidlinger, contrabbassista di Cecil Taylor. Nei tre brani in cui jimmy imbraccia il sax tenore l'atmosfera si fa densa, graffiante, in antitesi sempre più netta con i limpidi, astratti, interventi clarinettistici. Le apparizioni al Five Spot, locale newyorkese, sono emblematiche anche perchè il gruppo di Giuffre si alternava a quello di Ornette Coleman. Al contatto artistico e personale con il padre del free Jimmy non è certo indifferente. Di Coleman dirà che gli insegnò a suonare con l'anima piuttosto che con le dita. Al Five Spot, incontra poi un giovane pianista canadese già collaboratore di Coleman: Paul Bley. Con lui e con Steve Swallow al contrabbasso allestì un nuovo trio che nel 1961, incise ancora per la Verve il disco“Fusion” tra il gennaio e marzo del 1961 e “Thesis” agosto, sempre dello stesso anno. In un successivo tour europeo, il gruppo evidenziò ulteriori passi in avanti per poi spingersi ancora oltre, con lo stupendo Free Fall, cinque episodi per clarinetto solo, due duetti Giuffre-Swallow, e tre trii incisi fra il luglio e il novembre 1962 negli studi della Columbia, non essendo stato rinnovato il contratto con la Verve. 38 Lontano dalle scene Dopo lo scioglimento del trio con Bley e Swallow, Giuffre prese parte a varie iniziative promosse dagli uomini del free jazz, a cominciare da quello dello storico ottobre 1964 durante il quale, nell'ambito di una provocatoria “quattro giorni” allestita dal trombettista Bill Dixon, si trovò a fianco di Steve Lacy, Archie Shepp, e Cecyl Taylor. Fu questa una delle rarissime apparizioni in pubblico in un periodo particolarmente travagliato. Praticamente bandito dalle sale di incisione, dove come leader rimetterà piede solo nel 1972, Giuffre attraversa una fase della sua vita scarsamente documentata. Esaurito il sodalizio con Bley e Swallow, nel 1963 ritenta la formula in compagnia di Don Friedman e Gary Peacok, che fu poi sostituito da Barre Philips, con cui viene in Europa nel 1965. Poi suona con Richard Davis al contrabbasso e Joe Chamber alla batteria per poi formare nel 1967, un quintetto con Friedman, Brookmeyer; Chuck Israel al basso e Steve Schaeffer alla batteria. Ma le esperienze più emblematiche di questi anni, Giuffre le fece in solitudine, come in fondo lo fecero anche Rollins, Lacy, e Coleman. Così Jimmy si rituffa nell'insegnamento e nella composizione. Con Karl Oppermann studia la fabbricazione delle ance, che poi comincerà a costruirsi da solo, adotta il sax soprano e con Jimmy Politis il flauto e il flauto basso. Uno spiraglio di luce arriva nel 1971 quando incontra il bassista giapponese Kiyoshi Tokunaga e soprattutto Randy Kaye (un batterista che vuole veramente ascol39 Jimmy Giuffre tare la musica, lo definirà Jimmy), ex partner di Jimi Hendrix, con i quali formerà un nuovo trio che nel dicembre del 1972 incise due Lp “Music For People, Birds, Butterflies, & Mosquitoes” e nell'aprile del 1975 “River Chants”. Il merito dei due partner pare quello di aderire senza frizioni al nuovo orientamento stilistico di Giuffre. I rimandi etnici, ora richiamano il folklore asiatico e a volte quello del bacino del mediterraneo orientale, mentre l'uso del flauto e del flauto basso, strumento in cui riemergono le sue predilezioni per i registri gravi, arricchiscono ulteriormente la gamma di “colori” che Jimmy riesce a dare al disco. Proprio mentre la neo-avanguardia si dedica a formule da lui sperimentate fin dagli anni cinquanta, Giuffre si guarda indietro e recupera formule del passato che in lui sono ancora vive. Ritrova così Paul Bley, che nel frattempo è il responsabile dell'etichetta discografica Improvising Artist Inc., e in sua compagnia sforna un nuovo capolavoro “Quiet Song”, datato 1975, che oltre ai due artisti vede al loro fianco la chitarra spagnoleggiante di Bill Connors. Momenti in solo, duetti e trii di estremo equilibrio. Giuffre è in una forma superba mettendo in mostra la sua, raggiunta, grande varietà espressiva. Nel 1976 il trio, comincia a collaborare con Lee Konitz e Ran Blake, rendendosi tra l'altro protagonista di due memorabili esibizioni a Como. Due anni dopo la Improvising Artists organizza e fissa su disco il concerto “IAI Festival”, che ne risulterà una delle massime consacrazioni di Giuffre. 40 Il periodo elettrico Dopo una nuova pausa senza incisioni né tournées, Giuffre tornò a far parlare di sé nell'estate del 1982 presentandosi come leader di un quartetto sorprendente destinato a spiazzare letteralmente i suoi fans. Lui che in tempi di fusionmania aveva dichiarato: “Non mi piacciono gli strumenti elettronici; ho l'impressione che affascinino e attraggano senza che però li si possa dominare: sono loro che ti dominano” e ancora: “ I gruppi con basso e piano elettrici hanno tutti lo stesso suono”, si era incredibilmente convertito alla causa elettrica. Le tastiere di Mike Rossi e il basso di Bob Nieske, suoi allievi al Conservatorio di Boston, affiancavano la batteria di Randy Kaye. Le dichiarazioni rilasciate da Giuffre alla stampa specializzata erano frattanto di questo tono: “Ciò che più mi ha colpito in questi ultimi anni è il Weather Report. Quelli hanno trovato il modo di fare della buona musica arrivando ad un vasto pubblico. C'è una tale varietà, una tale potenza. Zawinul, Shorter e Pastorius, sono musicisti estremamente sensibili. Le loro composizioni sono piene di invenzioni. In effetti sono veramente sorpreso che abbiano un tale successo con una musica tanto sottile. Non credo di essere direttamente influenzato da loro, ma quell'approccio, quel suono espansivo e panoramico, oggi mi interessano molto”. Dopo queste dichiarazioni, furono in molti a sperare in una passeggera infatuazione, ma i fatti li avrebbero clamorosamente smentiti. Infatti Giuffre ingaggiò Pete Levin al posto di Rossi e 41 Jimmy Giuffre con il nuovo quartetto incise nel gennaio del 1983, per l'etichetta milanese Soul Note, l'incolore “Dragonfly”, poi nel 1985, con esiti un po' più confortanti “Quasar” e nel 1989 “Liquid Dance”, opere nelle quali va sottolineato il ruolo della moglie di Giuffre, Juanita Odjenar, autrice sia delle illustrazioni di copertina sia di alcuni temi eseguiti. All'uscita del secondo dei tre album elettrici, sembrava quindi che fosse quest'ultima svolta da considerarsi irreversibile. Ma invece ci fu un ulteriore sterzata; nel novembre del 1987 Jimmy partecipò al Festival di Parigi in duo col polistrumentista marsigliese André Jaume. Con l'uscita del disco “Eiffel” registrazione di quella delicata e rigorosamente acustica performance si capì che non si era trattato di un singolo episodio. Sempre in duo con André, Jimmy, partecipò, nel 1989, alla colonna sonora di un lungometraggio di Jean Louis Comolli su Marsiglia, nonché ad un tour in Francia nel maggio del 1990. All'epoca Jimmy aveva in corso un'altra importante collaborazione e cioè il recupero del sodalizio con Paul Bley e Steve Swallow, con i quali si era riunito in uno studio di registrazione newyorkese nel dicembre del 1989 per la registrazione di materiale che poi servì per la creazione di un doppio Cd, sotto l'etichetta francese OWL con il titolo “The Life Of A Trio”. Grazie al ritrovato sodalizio, e al successo ottenuto da disco, fecero un tour europeo nel marzo del 1991. Gli ultimi anni Giuffre soffre di morbo di parckinson, che lo costringerà a stare lontano dalle scene, non potendo sostenere performance. Morirà di polmonite a Pittsfield, Massachusetts, il 24 aprile 2008, due giorni prima del suo 87esimo compleanno. 42 I SUOI MUSICISTI Bob Brookmeyr e Jim Hall Bob Brookmeyer Robert Edward Brookmeyer è nato il 19 dicembre 1929, a Kansas City, Missouri. Suo padre amante della musica, decide di comprandogli, all'età di otto anni, un vecchio clarinetto. Nel 1941 assiste al concerto della Big Band di Count Basie, al Tower Theatre di Kansas City, e ne rimase talmente affascinato che decise di dover fare qualcosa di simile. A causa di un disagio dentale decise di cambiare strumento, così nell'estate 1943 va a lavorare per potersi acquistare una batteria (la tromba era la sua seconda scelta). Suo padre però, che era il direttore della banda dove Bob comincia a muovere i suoi primi passi, aveva bisogno di un trombone. Allora vista la sua seconda scelta era la tromba, decise comunque di intraprendere lo studio del trombone, ma non quello classico con la coulisse, ma quello a pistoni dato la sua somiglianza alla tromba. Così Bob comincia gli studi con un trombonista, compositore di origine tedesca, attivo nella scrittura, soprattutto per le marce. Qui oltre allo studio dello strumento, inizia ad avvicinarsi alla scrittura. A 14 anni è già, se così possiamo definirlo, un arrangiatore copista professionista, scrivendo per orchestre da ballo e bande locali, mentre all'età di 15 anni, sentendo la musica di Debussy e Stravinsky, decide chiaramente che doveva intraprendere anche la strada della composizione. 45 I suoi musicisti A 16 anni la famiglia gli compra un pianoforte. Bob comincia lo studio anche di questo secondo strumento capendo l'importanza, e la libertà che può dargli, nei confronti della scrittura, quello strumento. Fu talmente precoce che nel giro di pochi anni riuscì a tenere i suoi primi concerti in pubblico, anche come pianista. Si inscrisse al Kansas City Conservatory, dove frequenta per tre anni, vincendo un premio per una composizione corale, ma lascia prima della laurea a causa dei primi ingaggi. Infatti nel 1946 comincia a suonare con la band di Orrin Tucker, rimanendo per tre mesi a Chicago e tre a San Francisco. Durante questo periodo gli viene offerto di suonare il pianoforte per Wingy Manone e Vido Musso, ma viene chiamato per il servizio militare dovendo rifiutare le proposte lavorative. Dopo un breve periodo nell'esercito entra a far parte della band di Tex Beneke come pianista. La sua prima jazz band ufficiale fu quella di Howard McGhee, con Charlie Rouse e Elmo Hope, un sestetto che fece solamente un paio di concerti ma la sua vera occasione venne con Charles Mingus e Al Levitt. Bob in quest'ultimo gruppo ricopre il ruolo di pianista. Dopo questa esperienza ha occasione di entrare nell'autunno del 1952 nell'orchestra di Claude Thornhill, in veste prima di trombonista poi di pianista. Allo stesso periodo risale la sua esibizione con Charlie Parker (Bird and Strings) e anche quella al Birdland di Manhattan dove suona il pianoforte con il suo eroe, il trombonista Bill Harris. Lasciato Thornhill si unisce Stan Getz prima poi con Woody Herman. Registra il suo primo disco con Getz a New York poi abbandona le incertezze della vita jazzistica per la sicurezza finanziaria di un lavoro a tempo pieno in studio dopo essersi trasferito a Los Angeles. Qui in California ha l'occasione di incontrare Mulligan, dove nel gennaio 1954 formeranno un quartetto. Con questa formazione viaggeranno per circa sei mesi in giro per il mondo, e a Parigi avranno perfino l'opportunità di suonare con Monk. Lasciato il gruppo con Mulligan nel 1958 46 Bob Brookmeyer aderisce al Jimmy Giuffre 3, con Jim Hall con il quale faranno una grande quantità di improvvisazioni libere che non verranno mai immortalate su disco, ma anche tre dischi che lasceranno un segno nella storia. Abbandonata la band con Giuffre, torna e a New York per ricoprire di nuovo il lavoro in studio. Ha suonato in un set alla Town Hall con Coltrane, Pepper Adams, George Duvivier, Art Taylor e il suo idolo Basie. Ha avuto un rapporto di lunga data con Duke Ellington, che gli ha chiesto di entrare nella band nel 1962, ma a questo punto Brookmeyer stava attraversando un divorzio costoso e non poteva permettersi di rinunciare al suo lavoro in studio. Nel gennaio 1960 fece parte del Concert Jazz Band di Mulligan dove Brookmeyer venne descritto come compositore e solista, e con il quale durò fino al dicembre del 1964. Negli anni '60 collabora con la big band di Mel Lewis e Thad Jones, e con diverse altre formazioni, suona in duo con il chitarrista Jim Hall, realizza (al piano) insieme a Bill Evans “The Ivory Hunters” e si occupa prevalentemente di arrangiamenti e composizione. Dal 1981 inizia a lavorare intensamente come compositore e direttore d'orchestra in Europa creando molte opere per le città di Colonia e Stoccolma. Dal 1991 si reca in Olanda, dove inaugura una nuova scuola per l'improvvisazione e la composizione. Tornato negli Stati Uniti, riceve la cattedra di Composizione Jazz nel Conservatorio del New England. Successivamente compone e si esibisce con la sua New Art Orchestra. È morto il 16 dicembre 2011 (www.bobbrookmeyer.com). 47 Jim Hall Jim Hall è nato a Buffalo, New York, il 4 dicembre del 1930, prima di trasferirsi in Ohio. Durante l'infanzia, trascorsa tra New York e Cleveland (Ohio), Jim comincia a respirare l'atmosfera musicale grazie alla madre pianista e al nonno violinista. All'età di dieci anni riceve come regalo di natale una chitarra e da allora decide di dedicarsi con impegno allo studio dello strumento. A soli tredici anni entra nel primo gruppo strumentale: i suoi modelli sono Charlie Christian e Django Reinhardt. Continuando a suonare in piccole formazioni locali, alla fine delle scuole superiori si iscrive al "Cleveland Institute of Music" e si diploma in teoria musicale. Convinto dapprima che nel suo futuro vi fosse spazio solo per l'insegnamento e la musica classica, nel 1955 decide di dare una svolta alla sua vita e si trasferisce a Los Angeles dove entra nella band di Chico Hamilton con Buddy Collette all'organo, Freddie Katz al violoncello e Carson Smith al contrabbasso. Con questa formazione Jim Hall comincia ad attirare l'attenzione nazionale e internazionale. Nel 1956 il clarinettista Jimmy Giuffre gli chiede di formare un trio con il contrabbassista Ralph Pena. Nel 1960 si sposta nuovamente a New York dove si susseguono le collaborazioni con le eminenze grigie del tempo: Ella Fitzgerald, Lee Konitz e dal 1961-62 Sonny Rollins. Nel corso di un tour in America latina con la Fitzgerald Jim rimane "folgorato" dalla musica locale e decide di fermarsi a Rio 48 Jim Hall De Janeiro per altre sei settimane dopo il termine del giro proprio nel periodo in cui si stava affermando la bossa nova. Le influenze brasiliane si faranno sentire negli album incisi successivamente con Sonny Rollins “What's New?” del 1962 e con Paul Desmond “Take Ten” e “Bossa Antigua” del 1963. Anche la collaborazione con Rollins lascerà una traccia nello stile di Jim Hall, in cui spesso gli assoli sono ispirati al fraseggio dei fiati. In un'intervista Hall ha dichiarato: "Sebbene non abbia mai avuto occasione di suonare con Lester Young quello è il suono a cui aspiro". Non è facile individuare nei dischi di Hall un riff ricorrente ma è significativa l'interazione tra elementi melodici, armonici e ritmici che hanno fatto definire il suo come uno stile "compositivo". I critici usano spesso gli aggettivi "caldo", "pieno", "generoso" per definire il suo suono. Ormai rodato, dal 1962 al 1964 guida da leader un quartetto con il trombettista Art Farmer. Nello stesso periodo incide alcuni significativi dischi in duo con il pianista Bill Evans “Undercurrent” e “Intermodulation”. Nel 1965 sposa Jane, psicoanalista e valente autrice di brani musicali. Tuttora abitano nel Greenwich Village. Comincia a registrare album da leader formando un trio, senza smettere di dedicarsi a sperimentazioni, come quella con il bassista Ron Carter “Alone Together”, utilizzando talvolta combinazioni inconsuete, come ad esempio quella tra chitarra e trombone, nuovamente con Bob Brookmeyer, con cui aveva collaborato con Jimmy Giuffre. Nel 1981 suona con Itzhak Perlman e André Previn in “It's a Breeze”. Il chitarrista statunitense è stato più volte chiamato a condurre seminari in tutto il mondo grazie alle sue doti comunicative e al suo desiderio di condividere con altri le sue esperienze artistiche. Per questa sua caratteristica, oltre al lavoro svolto con il suo trio, Jim ha sempre cercato di ospitare, nei dischi e nei concerti dal vivo, musicisti di ogni estrazione: da Joe Lovano a Kenny Barron, da 49 I suoi musicisti The New York Voices a Zoot Sims, da Michel Petrucciani a Wayne Shorter. Talvolta si è trattato di incontri occasionali, durati lo spazio di una session. Spesso, però, queste collaborazioni sono state documentate su disco e talvolta sono sfociate in veri e propri progetti discografici comuni, come ad esempio i Duets con Pat Metheny. Non solo Jim Hall è uno dei più seguiti e apprezzati strumentisti jazz, ma nel 1997 riceve il "New York Jazz Critics Circle Award", riconoscimento come miglior compositore e arrangiatore. Scrive pezzi per archi, ottoni, e complessi vocali. La sua composizione originale, Quartetto Plus Four, un pezzo per quartetto jazz con il quartetto d'archi Zapolski, ha debuttato in Danimarca, dove gli è stato assegnato l'ambito Premio JazzPar. La sua composizione orchestrale più recente è un concerto per chitarra e orchestra, commissionato da Towson University nel Maryland per il primo Guitar World Congress, che ha debuttato nel giugno 2004 con la Baltimore Symphony. Ha ricevuto un premio NEA Jazz Master Fellowship nel gennaio 2004. Hall è stato uno dei primi artisti ad aderire all'etichetta etichetta ArtistShare. Nel novembre 2008 infatti viene rilasciato un doppio album, con il chitarrista e compagno Bill Frisel, con Scott Colley al contrabbasso e Joey Baron alla batteria. Nel 2010, Hall e Joey Baron hanno registrato un album in duo. Nel 2012, all'età di 81 anni, Hall tiene concerti al Blue Note di New York City e ad un certo numero di festival jazz negli Stati così come in Europa (Wikipedia, Jim Hall) 50 SUITE Le origini Il termine indica una forma di composizione strumentale costituita da un seguito di più movimenti: dapprima semplici danze, successivamente, intorno al sec. XVII e XVIII, movimenti di danza stilizzati, e dalla metà dell'Ottocento in poi anche brani di libera invenzione. La prima testimonianza di una pratica strumentale connessa con la musica da danza (originariamente affidata al coro) è una raccolta inglese del XIII o del XIV secolo. Dalle danze che essa contiene, tutte aventi un titolo, Belicha, Isabella, e una ripartizione interna di cinque sezioni, una di esse già prevede esplicitamente un accompagnamento strumentale ad opera di una ghaetta, che probabilmente si trattava di una cornamusa. Nelle quindici danze raccolte nel 1476 da Domenico da Piacenza i casi di canto a suonare, sono assai più numerosi. Come già nella precedente raccolta inglese ciascun ballo è intitolato anch'esso con nomi tipo Jupiter, Belfiore, e suddiviso in sezioni, questa volta sette, e già alternate secondo un criterio razionale: la prima e l'ultima sono basses-dances, la seconda e la sesta, quaternarie in minore, la quarta, che forse era destinata ad una cornamusa, è invece una piva. Nelle suite liutistiche del primo Cinquecento, invece, i movimenti di danza appaiono tramite delle regole espressamente dettate dai compositori, ed è già possibile, in alcuni casi, individuare le peculiarità compositive e formali della Suite classica. Nella raccolta di Joan Ambrosio Dalza (compositore milanese di cui si conosce solo 53 Suite la Intabolatura De Lauto, Libro Quarto, pubblicata a Venezia nel 1508 dall'editore Ottaviano Petrucci), le danze, in quanto variazioni su uno stesso tenor, si aggirano in uno stesso ambito melodico e tonale e sono accompagnate da un certo numero di toccate e ricercari, anticipando così, per un verso, il principio dell'affinità tonale tra i movimenti della Suite e, la tendenza classica a collegare alle danze, composizioni puramente strumentali. Maggior fortuna della Suite a tre tempi (possiamo trovare esempi nel 1546 con Rotta e con i suoi Seguiti di Passamezzo, Gagliarda e Padovana) ebbe, nel secolo XVI il tipo a due tempi, Padovana e Gagliarda o Padovana e Saltarello, le cui danze (spesso ancora riunite sotto un unico titolo, come appare nelle raccolte edite da Attaingnant nli 1529-31 che descrivono tali coppie come la Magdalena, la Rote, ecc.), sono talora legate da molteplici affinità tematiche. Nel Cinquecento, accanto a quello monostrumentale, la Suite assume un aspetto orchestrale, che durerà fino ai nostri giorni: secondo la testimonianza di Thoinot Arbeau (1589) la Suite di basses-dances è affidata, almeno sul finire del secolo, a un complesso di flauti, oboi, violini, e spinette. Sin dalla sua nascita questo tipo di Suite rivela una indipendenza dagli schemi e dai principi elaborati in campo cameristico per il raggruppamento delle danze diverso da quello dell'affinità tonale o tematica. Nelle Suite illustrate dall'Arbeau, il raggruppamento è infatti sostituito dal criterio dell'affinità sul piano coreografico, come accade appunto nella Suite di basses-dances, oppure da quello dell'appartenenza a uno stesso tipo di danza, come nelle Suite della fine del Cinquecento dove i maestri francesi volevano riunire vari tipi di movimenti (in genere non più di quattro) in reciproco contrasto ritmico: come branle double, grave (binario); branle simple, plus vif (binario); branle gal (ternario); branle de Bourgogne (binario). Ciò nonostante, fino a tutto il secolo XVI non è ancora possibile parlare di Suite: troppo evidente appare il carattere funzionale di 54 Le origini ’500 queste musiche e la dipendenza dei compositori dalla pratica delle sale da ballo se non addirittura dalle innovazioni proposte in sede coreografica dai maestri di danza. Il merito di aver sintetizzato, a un superiore livello d'arte, gli elementi formali del cinquecento spetta, nei primi decenni del secolo successivo, a Frescobaldi. 55 La Suite '600 Il prototipo Frescobaldiano delle danze stilizzate del Seicento è rappresentato dai due Balletti dell'Aggiunta alle toccate e partite del 1614 in cui oltre ad una impostazione formale incentrata, alla maniera dei classici, su una danza lenta a misura ternaria, la passacaglia, realizza quell'unione delle esperienze stilistiche delle Suite cinquecentesche, con tutte le risorse di una conoscenza tecnica, dato lui essere un compositore, che verrà a sottrarre definitivamente la Suite monostrumentale dalla competenza dei musici e dei ballerini del tempo. E proprio Frescobaldi sarà il primo grande indipendentista della musica strumentale, fino ad allora sempre subordinata alla vocalità, alle parole di un testo che la eleva ad arte (Wikipedia, Girolamo Frescobaldi). Alla morte di Frescobaldi (1643) la Suite utilizzata è ormai un genere largamente praticato dai migliori compositori europei. Ma poiché la sua duttilità consente l'esperimento delle più varie tendenze stilistiche, la pratica di tale forma è per ora contrassegnata soprattutto da una grande disparità di intendimenti e di risultati, nonostante si possa già rilevare da più parti quel tacito processo di coordinamento di tali esperienze che condurrà, alla fine del secolo XVII, al prototipo della Suite classica. Già la varia classificazione del tipo seicentesco testimonia la 56 La Suite ’600 particolarità delle concezioni stilistiche e formali in esso realizzate. Mentre, infatti, le Suite sono designate in Germania come Partiten o Partien, in Francia sono definite Ordres e in Inghilterra Lessons o Suites of Lessons. In Italia alla primitiva qualificazione di partita succede invece, dalla metà del seicento, quella piuttosto generica di sonata da camera, sotto cui rientrano anche i primi saggi della sonata strumentale, la cui pratica, distrarrà i compositori italiani da quella della Suite di danze. Tipico è l'esempio di Corelli (che insieme a M. Rossi, G. B. Vitali e G. M. Bononcini dette i migliori esempi di Suite italiana dopo Frescobaldi). Infatti, mentre le sue prime sonate da camera (1683-94) sono normalmente Suite di due o tre danze nella stessa tonalità, precedute da un preludio (secondo l'uso cinquecentesco ripreso agli inizi del secolo XVlI dal Buonamente), quelle delI'op. V (1700) tendono già a sostituire la danza centrale con un adagio o, comunque, a diversificarla tonalmente rispetto alle altre danze. In Francia, dove ancora agli inizi del Seicento prevale nella musica per liuto il tipo di Suite basato su diverse varietà di una stessa danza, l'evoluzione è più lenta poiché i clavicembalisti della prima metà del secolo (Champion de Chambonnières, Louis Couperin) tardano a lungo nella pratica dei moduli liutistici prima di procedere all'elaborazione di uno stile autonomo. Comunque, già in J. B. Lully appaiono esempi vicini del tipo settecentesco, come la Suite in mi minore, divisa in allemandasarabanda-corrente-minuetto-giga, che comprende, sia pure in altro ordine, tutte le danze “fisse” della Suite classica. Più intenso, invece, il processo di sistemazione formale presso i musicisti tedeschi del secolo XVII, impegnati soprattutto a stabilire la formula definitiva della successione dei movimenti. Così, nei primi anni del secolo, Isaac Posch compone Suite a quattro e cinque parti ripartite in gagliarda (o corrente)-danza-proportio, e nelle raccolte del 1611-20 Paul Peurl, rielabora lo stesso tema in 57 Suite quattro tempi (padovana-intrada-danza-gagliarda), mentre nel Banchetto Musicale del 1617 Schein riunisce cinque tempi (padovanagagliarda-corrente-allemanda-tripla) e Neubauer, nel 1649, adotta un tipo a sei movimenti. Verso la metà del secolo, infine, pressoché contemporaneamente agli esempi lulliani, compare nelle Suite di Froberger il tipo definitivo a quattro tempi (allemanda-correntesarabanda-giga) che costituirà il nucleo strutturale delle Suite del secolo seguente. Mentre altrove la Suite a due tempi, in coincidenza con la grande diffusione delle danze francesi e il corrispondente declino di quelle italiane, cade in disuso, in Inghilterra essa incontra ancora, nel secolo XVII, il favore del pubblico (insieme al tipo eccezionale del movimento di danza isolato come composizione per complesso di viole). Assai modesto, comunque, l'apporto inglese, come quello spagnolo, al processo di elaborazione delle forme definitive di Suite. Il merito dell'Inghilterra e della Spagna al riguardo consiste sostanzialmente, nell'aver creato due danze “fisse” del tipo classico: rispettivamente la giga e la sarabanda; la prima, tuttavia, ancora sul finire del Seicento poco praticata nella terra di origine a giudicare dalla sua assenza nella Choice Collection of Lessons di Purcell (1696) che pure riunisce in Suite la maggior parte delle danze dell'epoca (Groove, David Fuller, 671) 58 La Suite ’700 Agli inizi del Settecento il genere è ormai regolato da principi unanimemente accolti, sia sul piano della concezione strutturale che su piano della disposizione delle danze. Cosi, mentre gli antichi tipi italiani appaiono definitivamente abbandonati, si stabilizza, da un lato, il tipo quadripartito di Froberger e si consolida, dall'altro, in luogo di quello dell'affinità tematica, il principio dell'analogia tonale dei movimenti che costituisce la differenza sostanziale tra la Suite settecentesca e la forma parallela della sonata. Se infatti quest'ultima si fonda sul contrasto tonale dei vari tempi e, all'interno di essi, sulla ricchezza dello sviluppo armonico oltre che sulla dialettica di contrastanti elementi tematici, la Suite classica appare costituita da una successione di movimenti tutti nello stesso tono (salvo varianti modali), strutturati internamente secondo una formula tipica (due sezioni simmetriche armonicamente elaborate sui gradi fondamentali della tonalità di base) e basati su spunti melodici e ritmici strettamente affini. La successione dei movimenti, come appare già nelle prime raccolte di Suite del secolo XVIII (quelle di Loeillet e di Mattheson, 1714) conserva invece la stessa alternanza di ritmi e di andamenti delle Suite più antiche: una danza moderata in misura binaria (l'allemanda), una danza veloce e ternaria (la corrente), ancora una danza ternaria, ma lenta ed essenzialmente armonica, a differenza delle due precedenti (la sarabanda) e, infine, una danza binaria in 6/8 o 12/8 (la giga), 59 Suite più rapida ma talvolta anche lenta come quella della Prima Suite Francese e della Partita in mi minore di J. S. Bach. Tra la sarabanda e la giga sono solitamente interposti i cosiddetti intermezzi, composizioni in genere d'origine francese assai più fedeli dei quattro movimenti fissi al carattere delle danze originarie. Tali la gavotta, il minuetto, la bourrée, il passepied e, meno frequenti, la loure, la polonaise, il rigaudon, la cui funzione è la medesima dello scherzo o del minuetto con trio della sonata moderna: restituisce alla forma l'equilibrio spesso alterato dalle notevoli dimensioni del movimento iniziale, che è, nella tradizione dei classici, una introduzione strumentale. Per quanto, il brano introduttivo non sia legato né a una precisa struttura formale, ne a un determinato modus stilistico, i maestri dei Settecento hanno sempre provveduto a differenziarlo dalle danze successive, sia attraverso l'esaltazione del suo carattere puramente strumentale, sia attraverso la particolare complessità della formula strutturale. Così, ad esempio, i preludi delle Suite inglesi di Bach, riflettono assai spesso la stessa concezione formale dei movimenti estremi del Concerto italiano dello stesso Bach: due sezioni distinte e perfettamente concluse, separate da una parte intermedia di sviluppo armonico, in cui vengono spesso inserite nuove figurazioni tematiche. Con il brano introduttivo lo schema della Suite classica, è formato dunque da un'introduzione, un'allemanda, una corrente, una sarabanda, uno o più intermezzi e una giga. Sia tale disposizione che i suesposti princìpi formali hanno, ovviamente, numerose eccezioni. Ad esempio, l'ordine delle danze è alterato in talune delle Suite Bachiane con la sostituzione della giga con un rondò e un capriccio. Meno frequenti, invece, le deroghe al principio dell'unità tonale: in tutte le Suite Bachiane compaiono solamente le due eccezioni del minuetto II della Quarta Suite inglese e della gavotta II della cosiddetta Ouverture Francese. Completamente eccezionali appaiono 60 La Suite ’700 alcuni tipi di Suite praticati dai maestri francesi del secolo XVIII. Tra essi la citata Ouverture Francese (in cui manca l'allemanda, la sarabanda è compresa fra due intermezzi e la giga è seguita da un eco) e il tipo adottato soprattutto da Jaean Ferry Rebel che, in coincidenza con la diffusione in Francia della sonata violinistica italiana (primi decenni del Settecento), sostituisce progressivamente le danze con pezzi di carattere. Nel novero delle eccezioni si pone anche la Suite per orchestra. Alla accennata indipendenza dagli schemi fissi (la prima delle Suite orchestrali di Bach, ad esempio, è costituita da ouverture-corrente-gavotta I e II-furlana-minuetto I e II bourée I e II passepied I e II), si aggiunge ora la dilatazione formale dei movimenti, soprattutto del preludio, che raggiunge spesso, come nella quarta e ultima delle Suite Bachiane, proporzioni assai cospicue. Nella seconda metà del Settecento, col prevalere della sonata, la Suite cade in disuso. Le musiche di danza di Haydn o di Mozart, riunite in gruppi di danze orchestrali dello stesso tipo, si pongono più come assortimenti con destinazione pratica che come Suite d'arte in senso classico, il cui filone si continua e sì esaurisce altrove: nelle cassazioni e nei divertimenti della fine del secolo e nei tempi secondari della sonata preromantica. Verso la metà del secolo XIX, tuttavia, alcuni compositori provvidero alla restaurazione della tradizione classica, consentendone, sia pure con diversi intendimenti e varia fortuna, la prosecuzione fino ai giorni nostri (DEUM, Bruno Boccia, 557). 61 La Suite ’900 e le forme estese del Jazz La successiva fioritura del primo Novecento è spesso favorita da ritorni a concezioni stilistiche del passato. Così la Suite Bergamasque e Pour le Piano di Debussy (1901) o Le Tombeau de Couperin di Ravel (1917) si mostrano come delle reinvenzioni del clavicembalismo francese del Settecento, mentre sotto il segno di un ritorno a Bach sono le Suite di Hindemith (1922), Beck (S. per due violoncelli, 1924). Un tipo assolutamente originale di Suite moderna, è rappresentato dalle Trois Dances, walzer, ragtime, tango, dell'Histoire du Soldat di Stravinskij, 1918. Un altro esempio molto importante sarà quello di Dmitrij Dmitrievi_ _ostakovi_i con la sua Suite per Orchestra Jazz n°1, composta nel 1934 ed eseguita, per la prima volta in pubblico, il 24 marzo dello stesso anno, la composizione dura intorno agli otto minuti ed è divisa in tre movimenti, ognuno dei quali è indicato con il nome di una danza: Valzer, Polka, Foxtrot. Quattro anni più tardi, scrisse la Suite per Orchestra n°2. La Suite nacque nel 1938 per la neonata Orchestra Jazz Nazionale Sovietica, coordinata da Wiktor Knuschewitzki. La prima esecuzione dell'opera ebbe luogo a Mosca, il 28 novembre dello stesso anno. La suite è composta da tre movimenti, come nella n°1 ma questa volta in Scherzo (Allegretto alla marcia), Ninna nanna (Andante), 62 La Suite ’900 e le forme estese nel Jazz Serenata (Allegretto) Comunque nei suoi sviluppi più recenti, dalla metà del secolo XIX in poi il termine Suite indica anche un seguito di brani per strumento solista, complesso cameristico o orchestra, non più solo danza, nè vincolati ad una tonalità comune, ma disposti e strutturati secondo le necessità dei compositori, proprio come avverrà anche nel Jazz. In questo ambito, come definisce Stefano Zenni, è più coerente parlare di forme estese. Nel jazz vi è una maggioranza di forme brevi, ma tutti i grandi compositori, al di fuori di Jelly Roll Morton, hanno comunque prodotto opere con forme più dilatate. Come sostiene sempre Zenni, il problema risiede nel dilettantismo e nella inadeguatezza tecnica, essendo i compositori jazz non aventi la preparazione accademica necessaria ad affrontare la sfida delle forme estese, e per questo costretti a ripiegare sulle strutture a suite formalmente deboli, e prive di reale unità tematica. L'analisi successiva che Zenni affronta è però che un tipo di pensiero come quello sopra esposto ha il limite fondato su un pregiudizio eurocentrico che considera valide solo le forme ispirate al modello compositivo classico e ignora la filosofia formale di altre culture (I Segreti del Jazz, Stefano Zenni, 2007, 269). Allora conviene stabilire un punto di partenza che lo si può ritrovare nella Rhapsody in Blue di George Gershwin (1924). Essa è un esempio tipico di composizione americana, degli anni venti, concepita in una forma rapsodica narrativa in cui gli episodi si susseguono con logica non già di coerente sviluppo sinfonico, bensì di incalzante montaggio cinematografico (Musica Jazz, Piras, 2001, 134). A questo modello compositivo si ispira la Creole Rhapsody di Duke Ellington (1931). Concepita esclusivamente per la discografia occupava due facciate di un disco da 78 giri. In Ellington possiamo ritrovare colui che espanse le forme estese: prima con Reminiscing in Tempo, quindi con la Black, Brown, and Beige, 63 Suite una suite in tre movimenti, che durava quasi cinquanta minuti. Ellington indubbiamente è stato il maggior utilizzatore e scrittore di suite per il jazz, che potremmo suddividere in base ai movimenti che esse contengono. Ha scritto suite ad un movimento, come ad esempio la Creole Raphody, con due movimenti, Controversial Suite, tre come la sopra citata Black, Brownand Beige, in quattro Perfume Suite, e in più movimenti, Liberian Suite, che a loro volta possono essere suddivise o meno su relazioni e sviluppi motivici. Dalle analisi delle suite a quattro movimenti ne risulta che molto spesso seguono un andamento simile a quello delle forme classiche, con un movimento a tempo medio, uno rapido, un episodio lento, ed un finale swingante per il solista. Altre opere si basano sul modello compositivo esteso ad uno o più movimenti. Le forme ad un movimento più famose oltre a quelle citate possiamo trovare Meditations on Integration, di Charles Mingus, Ascension di John Coltrane, Spanish Key, di Miles Davis, Afro-Cuban Dru Suite, Dizzy Gillespie, Shodow World, Sun Ra. Mentre quelle in più movimenti troviamo Summer Sequence di Woody Hermann, A Love Supreme di John Coltrane, Freedom Suite di Sonny Rollins, Epitaph di Charles Mingus, ed infine la Western Suite di Jimmy Giuffre che di seguito andrò ad analizzare. Un aspetto molto importante è quello di analizzare il rapporto che c'è tra la scrittura e l'improvvisazione. Infatti in nel jazz questo duplice aspetto è strettamente legato. A differenza della musica di derivazione eurocolta il compositore jazz non definisce il testo in ogni minimo dettaglio ma ne delinea gli aspetti essenziali che vengono pienamente realizzati solo all'atto dell'esecuzione. Anche volendo intraprendere una scrittura molto dettagliata si incapperebbe nel problema che il compositore concepisce spesso la sua musica in funzione dei suoi musicisti, come faceva Ellington, abbozzando delle partiture che poi completava in fase di esecuzione con l'orchestra. Quindi questo è un altro aspetto fondamentale da tenere 64 La Suite ’900 e le forme estese nel Jazz in considerazione se si vogliono classificare le forme estese nel jazz e un motivo in più per separarle dal confronto con la musica eurocolta. 65 WESTERN SUITE analisi del disco 68 WESTERN SUITE Jimmy Giuffre è stato uno dei più incessanti esploratori del jazz senza mai soffermarsi a lungo su di una delle varie formazioni da lui create. Ha sempre guardato in avanti cercando di approfondire tutte le forme di espressioni possibili. In questo disco la Western Suite, che fu registrata con la casa discografica Atlantic il 3 dicembre del 1958, Giuffre cerca di dimostrare cosa può essere fatto senza l'ausilio di una sezione ritmica. Il punto di partenza della sua ricerca lo trova ascoltando Gerry Mulligan, che in quel periodo suonava con una band alla quale mancava il pianoforte e che riusciva a far percepire gli accordi attraverso un gioco polifonico a tre parti, tra il sax la tromba ed il contrabbasso. Così per prima cosa nell'album Tangents In Jazz, Giuffre sviluppa l'idea di Mulligan anche al ritmo levando completamente ogni esplicita scansione ritmica, che verrà fatta percepire in modo indiretto dagli interventi a rotazione dei quattro strumenti. Quindi il passo successivo che spetta a Giuffre, è quello dell'eliminazione definitiva della batteria. Così dapprima forma un trio, formato solamente da sax, contrabbasso e chitarra, con un repertorio fatto di semplici melodie blues e country, e da un continuo gioco di cambi di ritmo. L'ulteriore passo che Giuffre compie è l'eliminazione del contrabbasso, andando così a formare un nuovo trio senza più la traccia di una sezione ritmica, formato da Bob Brookmeyer al trombone a pistoni e da Jim Hall alla chitarra. (Marcello Piras, Musica Jazz, 1987, 54) 69 Western Suite - Analisi del disco «Bobby, Jim e io,» spiega, «avevamo fatto quella che era probabilmente la nostra migliore prestazione pubblica a Newport, nel luglio del 1958, e così decidemmo di incidere un disco prima che il trio si sciogliesse definitivamente. Nel mese di dicembre di quell'anno, davanti a un pubblico di invitati, per ricreare l'atmosfera del concerto dal vivo, e quindi senza curarci delle sbavature, facemmo la registrazione. In quello che stavamo facendo non c'era la sezione ritmica quindi era essenziale per ogni musicista essere costantemente a conoscenza delle proprie capacità e del risultato che si voleva ottenere. Ognuno di noi doveva essere qualcosa di simile a un giocoliere. Siamo stati in grado di lasciarsi andare completamente come faremmo in un club.» Sempre Giuffre afferma che era particolarmente grato per il modo in cui Brookmeyer e Hall interpretarono le parti scritte del disco. «Non si può pretendere di ottenere tutto quello che si ha in mente attraverso la scrittura, bisogna comunque affidarsi al caso ed alla creatività dei musicisti. Questi non potranno seguire ciecamente la vostra musica, ma dovranno renderla parte di se. Ci sono solo pochi musicisti in grado di prendere la musica scritta e rapidamente farne un prolungamento di se stessi. Un esempio è il modo in cui Bobby ha eseguito il solo del secondo movimento». «Dopo un anno» dice Giuffre, «abbiamo avuto meno problemi con il tempo di qualsiasi altro gruppo con cui ho lavorato, compresi quelli con una sezione ritmica. Per ovvi motivi, un batterista o bassista sono concentrati mentalmente nei confronti del tempo, e comunque il problema più grande per il jazz è trovare musicisti che riescano a lasciarsi andare. A mio avviso, una volta che si intraprende una direzione, fuori da una pulsazione ben definita, basta solo cavalcare quel flusso, andandogli dietro» (Western Suite, libretto interno CD) L'impianto formale dell'opera non è una Suite ma piuttosto una sonata, con i quattro tempi Allegro-Adagio-Scherzo-Allegro, 70 Western Suite a testimonianza che spesso nel mondo del jazz, viene impropriamente usato il nome Suite. Originariamente registrato su supporto in vinile, il disco presenta sul LATO A i quattro movimenti. Nel primo, "Pony Express," il tenore di Giuffre, già di per sé piuttosto atipico, risulta quanto mai "baritonale" specie nell'articolazione delle note. La chitarra rimane comunque lo strumento-guida, così come nel successivo movimento "Apaches" lo è il trombone, con Giuffre stavolta al baritono. Ancora il trombone si divide il comando delle operazioni col clarinetto, dalla tipica pronuncia impastata e cogitabonda, nel terzo movimento, "Saturday Night Dance". Il conclusivo "Big Pow Wow," con Giuffre stavolta tenorista, riprende per finire il tema di "Pony Express," richiudendo su di sé questo capolavoro di originalità concettuale. Il LATO B presenta due brani non di Giuffre. Il primo “Topsy” di Edgar Battle / Eddie Durham, mentre l'altro è “Blue Monk” di Thelonious Monk. Scelta insolita per quegli anni fare la cover di Blue Monk, perché un brano ancora “giovane”. Infatti Thelonious lo aveva scritto solamente qualche anno prima e precisamente nel 1954, a differenza di “Topsy” che vide la sua prima registrazione nel 1937 grazie all'orchestra di Count Basie. Giuffre dirà a riguardo che la scelta di “Blue Monk” deriva dalla convinzione con cui Thelonious suonava e scriveva era uno che non si tirava indietro. Ritrovava in lui la stessa autorità che vedeva in John Coltrane, Miles Davis, Steve Lacy e Ornette Coleman. In pratica ne fa una sorta di omaggio. "Topsy" si presenta in una versione molto riuscita, col leader al clarinetto e Brookmeyer "imbavagliato" dalla sordina sopra l'accompagnamento frusciante, con basso incorporato, di Hall. "Blue Monk," con identico assortimento strumentale, sordina compresa. Due episodi importanti, per il fatto che ci mostrano un Giuffre clarinettista ormai proiettato verso quell'esplorazione integrale dello strumento. Western Suite chiude il ciclo Atlantic. 71 Western Suite - Analisi del disco Il caso più ecclatante, del lascito Western Suite, lo troviamo nel 1988 con l'album “News for Lulu”. Non tanto per l'impianto formale ma soprattutto per l'insolita formazione. Qui troviamo, infatti, come band leader il saxofonista polistrumentista, compositore John Zorn, il chitarrista Bill Frisell (il diretto erede di Jim Hall) ed il trombonista George Lewis. 72 PONY ESPRESS Fig. 1 Schema generale dell’arrangiamento La forma complessiva del primo movimento Pony Express (Fig. 1) è formata da nove sezioni. Un tema iniziale di 28 battute, due interludi che precedono i soli di trombone e sax, tre soli in sequenza di trombone, sax tenore e chitarra, sviluppato sul chorus del tema iniziale. Subito dopo il solo di chitarra troviamo una sezione di 15 battute a canone completamente scritta prima della ripresa del tema finale che è sostanzialmente una variazione per aumentazione del tema iniziale, per concludere sulla coda. 73 Western Suite - Analisi del disco Tema Il tema è in Mi bemolle maggiore. Si basa su armonie semplici: Mi bemolle maggiore per A e La bemolle maggiore e poi Si bemolle settima per B, rispettivamente il primo quarto e quinto grado della scala. In pratica armonie che ricordano un blues. Comunque gli accordi, come già Giuffre aveva appreso da Mulligan, sono assorbiti nella polifonia. Melodicamente si basa su una scala pentatonica maggiore come in quasi tutta la suite, sicuramente una ricerca stilistica voluta per ottenere il carattere popolare come suggerisce il titolo e la copertina dell'album. La prima A formata da sei battute con attacco anacrusico, viene ripetuta due volte. Lo sviluppo tematico, come si può vedere dalla trascrizione è affidato al sax tenore (Giuffre) e al trombone (Brookmeyer) all'unisono per la prima A mentre per la seconda A il trombone armonizza (Fig. 2, battuta 8) eseguendo la terza, con il supporto della chitarra di Jim Hall che regge l'armonia suonando la tonica e la quinta dell'accordo. Da notare l'uso del mi bemolle basso usato dalla chitarra, tecnicamente possibile tramite scordatura di mezzo-tono della sesta corda mi. La parte B si sviluppa invece in otto battute, sax trombone e chitarra si muovono all'unisono, tranne nelle battute nove, undici, tredici, quindici dove la chitarra si muove per moto contrario. L'ultima A' è la ripetizione della prima A con l'aggiunta di due battute, quasi come fosse una coda, affidate al trombone alla chitarra, dove ripropongono le note delle battute 24 e 25. 74 Pony Express 75 Western Suite - Analisi del disco 76 Pony Express 77 Western Suite - Analisi del disco Assoli All'esposizione del tema, segue un interludio, con una serie di trilli e di battute più lunghe e più corte. Il primo assolo è di Brookmeyer dove l'armonia viene retta in A con un riff eseguito da sax e chitarra in sequenza, e in B da bicordi ribattuti, con accenti spostati. L'assolo, che a tratti si avventura su armonie lontane, termina con un rallentando. C'è di nuovo un interludio affidato al sax tenore, che ripropone con libertà la melodia di A, e poi un duetto scritto trombone-chitarra, basato su una figura che ricorda il tema. Ora troviamo l'assolo di sax tenore, sorretto da una continuo gioco chitarra trombone, fino ad arrivare all'assolo di chitarra. Questo occupa un chorus, dilatato a piacere, ma riconoscibile. In A, Jim Hall alterna le frasi ai rintocchi di un mi bemolle grave. In B, i fiati intonano sullo sfondo una frase scritta. Canone Giocando ancora ancora sul contrasto tra stasi e moto, troviamo una ripresa ritmica con un episodio scritto (Fig. 3). Sax e trombone eseguono una melodia di cinque note fino a battuta dieci, esposta in canone all'unisono, per poi concludere con contrappunto e l'aggiunta della chitarra a sostenere con la ribattuta della nota si bemolle. La musica si infittisce, per sfociare infine nella ripresa del tema. 78 Pony Express 79 Western Suite - Analisi del disco Tema finale Questa in pratica è una variazione scritta, salvo l'ultimo A, che è identica al tema iniziale. Le sezioni AAB sono variate per aumentazione, cioè le note sono stirate in valori più lunghi (Fig. 4). Nel primo A il sax fa la melodia e il trombone risponde; nel secondo viceversa. In B, troviamo tutti e tre gli strumenti ad eseguire la stessa frase. La coda, polifonica, conclude con un rallentando. 80 Pony Express 81 Western Suite - Analisi del disco 82 Pony Express 83 APACHES Fig. 5 Schema generale dell’arrangiamento La forma complessiva del secondo movimento Apaches (Fig. 5) è formata quattro sezioni. Il brano è completamente scritto con una forma tritematica ABC, più variazione finale su A'. Un tema iniziale in 4/4 di X battute (Fig. 6). Dalla trascrizione se ne possono contare 33, dato i frequenti rallentando e i non a tempo. La parte B è un canone con cambio di tempo in 7/4. La parte C lo special, troviamo un nuovo cambio di tempo in 5/4 per le prime 10 battute (Fig. 8, battuta 10) per poi svilupparsi con diversi cambi di metro. La parte A' finale è la variazione del tema iniziale A. 84 Apaches Tema Il secondo movimento, in 4/4, Apaches, in Si bemolle dorico, è l'Adagio della composizione. Secondo le note di Nat Hentoff esso «evoca per Giuffre un indiano che sta in cima a una montagna. Man mano che l'episodio si dipana, compiono gruppi di indiani, alternati all'indiano solitario. Segue quella che Giuffre definisce "la tipica atmosfera indiana da luna pallida", e poi un canto di guerra, culminante in una serie di rapidi cambi di tempo, a volte a ogni battuta. C'è infine un ritorno al tema iniziale». Nella prima melodia A (Fig. 6) si può notare una libertà ritmica, difficile anche da trascrivere, dove troviamo la chitarra che esegue un pedale continuo, giocato sulle note fa e fa diesis, e il trombone che espone il tema. Qui Giuffre utilizza il sax baritono, che nel caso dell'esposizione di A lo troviamo in sporadici momenti in contrappunto con il trombone (Fig. 6, battuta 16). 85 Western Suite - Analisi del disco Fig. 6 Trascrizione del tema (suoni reali) 86 Apaches 87 Western Suite - Analisi del disco Canone La sezione B (Fig. 7) ha un carattere del tutto diverso. È un canone trombone chitarra una quinta sotto, in 7/4, dove dalla battuta numero tre il sax di Giuffre sovrappone poi un'altra melodia (Fig. 7, battuta 7). 88 Apaches Fig. 7 Trascrizione del canone (suoni reali) 89 Western Suite - Analisi del disco 90 Apaches Special La sezione C (Fig. 8) nelle prime dieci battute in 5/4 troviamo un gioco di domanda e risposta dove il perno centrale è il trombone che si muove all'unisono prima con la chitarra per poi rispondere, sempre all'unisono, con il sax baritono, sostenuti dal si bemolle della chitarra. Da notare quest'ultima esegue frasi che si estendono sino alla nota si bemolle in chiave di basso. Tecnicamente impossibile, ma anche in questo brano Jim Hall adotta la scordatura della sesta corda sino al si bemolle (Fig. 8, battuta 1). Le seconde dieci battute sono caratterizzate da un continuo cambio di metro (Fig. 8, battuta 11). Le frasi vengono e seguite all'unisono da trombone e sax, mentre la chitarra scandisce il battere di ogni nuova battuta. Infine per terminare sulla ripresa di A' variata. 91 Western Suite - Analisi del disco 92 Apaches 93 Western Suite - Analisi del disco 94 SATURDAY NIGHT DANCE Fig. 9 Schema generale dell’arrangiamento La forma complessiva del terzo movimento Saturday Night Dance (Fig. 9) è formata da dodici sezioni. Troviamo un tema di otto battute ritornellate, a seguire i soli in ordine di chitarra trombone e clarinetto. Subito dopo il solo di clarinetto troviamo il solito canone sviluppato su 17 battute, seguito dalla ripresa del tema e dalla coda finale. Ogni episodio tranne tra il solo del clarinetto e il canone e preceduto da un interludio. Tema Il terzo movimento, in 6/8, Saturday Night Dance, è lo scherzo della suite. Qui siamo Si maggiore. Si tratta più o meno di un brano su un accordo solo. C'è un semplice tema di otto battute ritornellate (Fig. 10), sostanzialmente otto più otto diversificate dall'orchestrazione. Nelle prime otto battute vi è l'unisono della chitarra con il trombone, poi si passa a due voci separate con il tema affidato al clarinetto (Fig. 10, battuta 9) e il background di contrappunto al trombone sulle fondamentali armoniche. 95 Western Suite - Analisi del disco Fig. 10 Trascrizione del tema (suoni reali) 96 Saturday Night Dance 97 Western Suite - Analisi del disco Assoli Dopo l'esposizione del tema troviamo in sequenza i soli di chitarra, trombone e clarinetto, anticipati da un interludio. I tre solisti improvvisano su pedali di si. Ciascun assolo termina con una breve cadenza. Canone Di nuovo Giuffre ricorre al prediletto canone, stavolta all'ottava, e con entrate strette di mezza battuta (Figura 11, battuta 1). Il canone è suddiviso da tre parti molto simili tra loro. Come sempre l'autore gioca sull'orchestrazione, dapprima facendo entrare in sequenza chitarra, trombone e clarinetto, per le prime sei battute di canone che conclude con un la corona. Per le seconde sette battute (Fig. 11, battuta 7), le entrate sono trombone, clarinetto e chitarra con corona conclusiva. Mentre nelle ultime quattro battute (Fig. 11, battuta 14), clarinetto, chitarra e trombone è la sequenza di entrata, che è maggiormente serrata, un ottavo tra i primi due strumenti. Anche in questo movimento Jim Hall ricorre alla scordatura della sesta corda sino al si (Fig. 11, battuta 1). Dopo il canone vi è la riproposizione del tema, preceduto e seguito dallo stesso interludio che annunciava i soli, per poi concludere definitivamente il movimento con una coda. 98 Saturday Night Dance Fig. 11 Trascrizione del canone (suoni reali) 99 Western Suite - Analisi del disco 100 BIG POW WOW Fig. 12 Schema generale dell'arrangiamento La forma complessiva del quarto movimento Big Pow Pow (Fig. 12) è formata da otto sezioni. Troviamo un tema di 48 battute, a seguire i soli in ordine di sax tenore, trombone e un duo sax trombone, una variazione scritta della sezione A del tema, il solo della chitarra. In fine prima della coda vi è una riproposizione dei dei temi dei tre movimenti precedenti. Tema Il quarto ed ultimo movimento, Big Pow Wow «powwow o anche pow-wow o pow wow o wau Pau, è un raduno di nativi del Nord America. La parola deriva da powwaw, che nella lingua della tribù dei Narragansett significa "leader spirituale". Un pow wow moderno è un tipo specifico di evento in cui la gente si incontra per danzare, cantare, socializzare e onorare la cultura degli indiani d'America. A volte c'è anche una gara di ballo con premi in denaro. I powwow possono durare da un minimo di un giorno e cinque ore ad un massimo di tre giorni. I powwow più lunghi di tre giorni durano in genere una settimana intera e servono a celebrare un'occasione speciale. 101 Western Suite - Analisi del disco Il termine inoltre è stato usato per descrivere ogni raduno di nativi americani di ogni tribù perciò non è difficile sentire questo termine anche nei film western» (Wikipedia, Pow Wow). La struttura è ABA' di sedici battute ognuna, e la tonalità è Mi bemolle. Giuffre torna al sax tenore. Il tema per le prime sedici battute è sostanzialmente un contrappunto a tre voci. (Fig. 13, da battuta 1). La parte B, quindi le successive 16 battute sono anche in questo caso giocate sulla distribuzione dei ruoli. Il tema è affidato al trombone, con le risposte della chitarra nelle prime otto battute (Fig. 13, da battuta 17) e del sax nelle seconde otto con Jim Hall che tiene un pedale di Si bemolle (Fig. 13, battuta 25). La sezione A' è ancora una volta un gioco di scambio di ruoli rispetto alla sezione A iniziale. 102 Big Pow Wow Fig. 13 Trascrizione del tema (suoni reali) 103 Western Suite - Analisi del disco 104 Big Pow Wow 105 Western Suite - Analisi del disco 106 Big Pow Wow Assoli Si susseguono in fila il solo di sax di trombone, una sezione in cui i due solisti si sovrappongono improvvisando; una variazione scritta di A e una parte dove Giuffre fa sentire tutti e tre i temi dei movimenti precedenti. 107 TOPSY e BLUE MONK Queste due cover sono chiaramente un riempitivo del lato B dell'album in quanto non hanno nessun legame con il lato A. In Topsy di Edgar Battle / Eddie Durham troviamo un Giuffre al clarinetto. E' la chitarra di Jim Hall che attacca con l'accompagnamento, detto "pump", caratteristica pennata miscelata ad una stoppata di corde che dà nome al tipico accompagnamento manouche; si tratta di una tecnica complessa che permette ad una o più chitarre di sostituire la sezione ritmica. Al clarinetto è affidato il tema supportato dal trombone con sordina che lo sostiene a volte con unisoni e a volte con linee melodiche che si allontanano per poi tornare al tema. Il primo solo è di Giuffre supportato dall'accompagnamento di Hall che a volte si trasforma in walking bass, e da sporadici interventi in background del trombone. Subito dopo il solito scambio di ruoli. Ora il solo è affidato al trombone. Ed infine il solo di chitarra, con clarinetto e trombone che aiutano la chitarra eseguendo poche note dell'armonia. Degli scambi finali tra clarinetto e trombone riportano al tema fino conclusione. Comunque per essere un brano eseguito in tre trovo importante far notare i dodici minuti complessivi. In Blue Monk di Thelonious Monk troviamo lo stesso tipo di arrangiamento trovato in Topsy. Chitarra con accompagnamento “pump”, tema al clarinetto di Giuffre, e trombone sordinato. Pri108 Topsy e Blue Monk mo solo al clarinetto, poi trombone, chitarra, questa volta niente scambi quindi ripresa del tema. Anche questo brano molto lungo con otto minuti. 109 CONCLUSIONI La Western Suite è una «grande opera» proprio nel senso strutturale, dell'ampiezza del progetto. Non vi è alcuna lungaggine: non un solo episodio arriva a quaranta battute, e poche sono le ripetizioni testuali. Essa però trabocca di piccole idee, interconnesse e saldate dalla grande forma. Si tratta di un esercizio di scrittura teso al limite delle possibilità: con tre soli strumenti, e un tematismo così semplice, era improbabile che chiunque potesse andare oltre i diciotto minuti (Marcello Piras, Musica Jazz, 1987, 54). Sicuramente un grande lavoro di arrangiamento, nell'utilizzo dei tre strumenti. I quattro movimento non sono certo una ricerca esasperata delle armonie, anzi forse la loro estrema semplicità fa pensare proprio alla volontà di portarle ad un livello così basico per concentrarsi maggiormente sugli arrangiamenti. Giuffre ha lavorato sicuramente sulle linee melodiche, che comunque sono per la stragrande maggioranza pentafoniche, sull'utilizzo degli strumenti e sulle tecniche compositive. Infatti come si può notare il canone è utilizzato largamente in tutte e quattro i movimenti. Quest'ultimo non molto utilizzato, e anzi quasi accennato forse per una mancata padronanza di questa tecnica. L'aumentazione è un altra aspetto compositivo che Giuffre utilizza, come nel primo movimento quando ripropone il tema dilatato nel finale. Nel secondo movimento si può notare anche l'utilizzo del cambio di metro. 110 Conclusioni L'arrangiamento è sicuramente, grazie anche al suo passato proprio in questa veste, l'aspetto dove Giuffre dimostra di essere preparato, giocando con i continui cambi di ruoli, la scrittura di background, sempre molto equilibrati. Un apporto all'arrangiamento sicuramente viene anche da Jim Hall dato il suo uso continuo della scordatura della chitarra. Sicuramente un aspetto che Giuffre non può conoscere a fondo quanto il chitarrista, dato che non tutte le chitarre riescono a reggere una scordatura fino al Si bemolle basso. La Western Suite ha avuto una strana fortuna critica che non ci aiuta a capire lo spessore dell'opera. In apparenza tutti gli studiosi ne parlano bene; ma in realtà i più la liquidano con una pacca sulle spalle. Essa si è situata lontano dalle grandi correnti evolutive del jazz, che nel 1958 passavano per Mingus, Rollins, Coltrane, Davis, Coleman. E però all'epoca Giuffre era considerato sul loro stesso piano, e non a torto l'ambiguità polimodale della Western Suite, ottenuta con l'uso di armonie semplici, collocava Giuffre su posizioni però più avanzate di quelle di John Coltrane, che all'uso sistematico dei pedali sarebbe arrivato più tardi (Marcello Piras, Musica Jazz, 1987, 57). 111 Audioteca Provinciale Giugno 2015