La strada dell`abbraccio. L`accoglimento delle vittime nelle storie di
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La strada dell`abbraccio. L`accoglimento delle vittime nelle storie di
Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. FORMAZIONE CONTINUA SULLA PERSONALIZZAZIONE DELLE CURE Servizi Sociali e Famiglia La strada dell’abbraccio. L’accoglimento delle vittime nelle storie di violenza A cura di Viviana Olivieri 1 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. FORMAZIONE CONTINUA SULLA PERSONALIZZAZIONE DELLE CURE Servizi Sociali e Famiglia La strada dell’abbraccio. L’accoglimento delle vittime nelle storie di violenza A cura di Viviana Olivieri 2 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Il volume raccoglie le relazioni dell’evento formativo “La strada dell’abbraccio. L’accoglimento delle vittime nelle storie di violenza” Responsabili Scientifici del percorso formativo: Chiara Bovo, Direttore Sanitario, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona; Viviana Olivieri, Formatore e laureata in giornalismo, Servizio per lo Sviluppo della Professionalità e l’Innovazione, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona; Giorgio Ricci, Direttore Pronto Soccorso Borgo Trento, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Corrado Vassanelli, Direttore Cardiologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Verona, maggio 2015 Editor: Gabriele Romano, Viviana Olivieri, Servizio Sviluppo Professionalità Innovazione © Copyright Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona 3 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. 4 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Autori/Relatori Chiara Bovo, Direttore Sanitario, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Enrico Buttitta, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Militare di Verona Sabrina Camera Criminologa, Giudice Onorario presso il Tribunale di Sorveglianza di Venezia Roberto Castello, Direttore Medicina Endocrinologia Sezione Decisione Clinica, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Francesco Cobello, Direttore Generale, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Marco Dalla Valle, Infermiere terapia Intensiva Cardiologica, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Emanuele Finardi, Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva – Università degli Studi di Verona Maria Gabriella Landuzzi, Dipartimento Tesis, Università degli Studi di Verona Monica Lavarini, Direzione Medica Ospedaliera, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona Anna Leso, Assessore ai Servizi Sociali e Famiglia, Comune di Verona Anna Malaguti, Referente AIF Veneto, Associazione Nazionale Formatori Michele Masotto, Psicologo Psicoterapeuta Giuliana Menegatti, UOC Cardiologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Ilenia Mezzocolli, Pronto Soccorso, Azienda Ospedaliera Padova Emmanuele Morandi, Dipartimento Filosofia, Pedagogia e Psicologia, Università degli Studi di Verona Viviana Olivieri, Formatore, Servizio Sviluppo Professionalità Innovazione, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Stefano Quaglia, Provveditore agli Studi di Verona Giorgio Ricci, Direttore Pronto Soccorso Borgo Trento, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Marina Spallino, Presidente Comitato Unico di Garanzia, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Giulio Tamassia, Presidente Club Giulietta 5 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Stefano Tardivo, Professore Associato Dipartimento di Sanità Pubblica e Medicina di Comunità, Università degli Studi Verona Annalisa Tiberio, Referente Ufficio Scolastico Regionale Veneto per la legalità, politiche giovanili e sicurezza Simonetta Tregnago, Presidente Commissione Pari Opportunità, Regione Veneto Corrado Vassanelli, Direttore Cardiologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Francesca Vassanelli, Cardiologia, Università degli Studi di Brescia 6 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. INDICE Premessa (F. Cobello) pag. 9 di violenza e il ruolo dell’AOUI Verona (C. Bovo) pag. 11 La strada dell’abbraccio. Come accogliere le vittime di storie di violenza (V. Olivieri) pag. 13 contrastare la violenza contro le donne (S. Tregnago) pag. 15 Azioni del MIUR (A.L. Tiberio) pag. 19 nelle relazioni di aiuto (A. Malaguti) pag. 27 Presentazione (A. Leso) pag. 29 Paradigmi mitici minori per una diversa percezione del sé (S. Quaglia) pag. 35 Il Comitato Unico di Garanzia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona (M. Spallino) pag. 55 Origine della cultura e violenza sociale (E. Morandi) pag. 59 Il ciclo della violenza: una questione sociale (M. G. Landuzzi) pag. 73 Il ciclo della violenza: le fasi. Aspetti educativi preventivi (V. Olivieri) pag. 81 Si può guarire dagli episodi di violenza? (M. Masotto) pag. 89 Violenza e legalità (E.Buttitta) pag. 93 La strada dell’abbraccio. L’accoglimento delle vittime nelle storie Interventi regionali per prevenire e I bisogni di apprendimento di chi opera 7 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Il monitoraggio della Regione Veneto sugli episodi di violenza (S. Tardivo, M. Lavarini, E. Finardi) pag. 107 Donna, persona, culture (G. Ricci) pag 111 La violenza sulle donne: il percorso specifico nel DEA dell’Azienda Ospedaliera di Padova (I.Mezzocolli) pag. 117 Autori e vittime nelle nuove forme di violenza: tutela nella fase successiva al reato (S.Camera) pag. 119 Il mal d’amore, sindrome di Tako-Tsubo: emozioni e malattie cardiovascolari nella donna (C.Vassanelli,G. Menegatti, F. Vassanelli) pag. 133 La violenza: differenza di genere? (R. Castello) pag. 139 Un libro accanto: cenni di biblioterapia (M. Dalla Valle) pag. 143 Come il club di Giulietta accoglie e risponde alle problematiche sociali… (G. Tamassia, V. Olivieri) pag. 147 Conclusioni (V. Olivieri) pag. 151 8 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Premessa Francesco Cobello Direttore Generale Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Si tratta di un incontro formativo aperto a tutta la cittadinanza e a tutto il mondo dei professionisti sanitari. Il problema della violenza sulla donna coinvolge non solo chi nel sociale se ne occupa ma anche e soprattutto il mondo della sanità. Questo è un primo incontro formativo/informativo a carattere multidisciplinare che desidera affrontare le problematiche della donna che subisce violenza, e non solo. I vari professionisti coinvolti, dalla Regione, al Comune, alla giurisdizione, alla mondo socio sanitario metteranno in evidenza in quale modo è possibile attuare una continua informazione, formazione, prevenzione e interventi socio terapeutici. Il breve percorso formativo potrà essere un’importante occasione per approfondire le tematiche sulla genesi della violenza, il contributo sociologico epidemiologico sulla diffusione e sul ciclo della violenza, le eventuali terapie che permettono non solo la prevenzione ma anche una cura. Inoltre verrà messo in evidenza in quale modo la legislazione è vicina non solo alle donne che subiscono violenza ma anche agli operatori che trattano le donne che hanno subito il danno. Si parlerà poi se esiste una violenza di genere e quali patologie possono insorgere a seguito di emozioni violente. L’obiettivo della giornata formativa è di creare coesione tra i vari professionisti che si occupano di sociale, scuola e sanità, in modo di creare così un team di sicurezza e tutela di alcune delle maggiori fragilità del nostro momento storico attuale: il mondo femminile. Di problema culturale si tratta e per attuare una corretta prevenzione è necessario un continuo e attento monitoraggio da parte di tutte le forze istituzionali, sociali e sanitarie. Questo è un primo incontro, una base sulla quale strutturare una formazione continua e permanente. 9 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. 10 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. La strada dell’abbraccio. L’accoglimento delle vittime nelle storie di violenza e il ruolo dell’AOUI Verona Chiara Bovo Direttore Sanitario Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Attuare una corretta informazione/formazione su prevenzione, accoglimento, cura e monitoraggio della donna che ha subito violenza è una vera e propria emergenza sanitaria che impone agli enti di attuare un corretto protocollo di accogliento della donna che subisce violenza. I relatori coinvolti sono alcuni dei rappresentanti che concorrono ad attuare un corretto percorso di accoglimento delle vittime e di monitoraggio di questo fenomeno che rappresenta uno dei più gravi disagi sociali. La violenza contro le donne (sessuale, fisica e/o psicologica) rappresenta una vera emergenza mondiale e italiana con ricadute gravi e significative sulla salute ed il benessere mentale e fisico della donna. Secondo uno studio ISTAT del 2007, 3 milioni di donne tra i 15 ed i 70 anni sono state vittime di violenza e maltrattamenti, di queste 2.938.000 hanno subito violenze fisiche, psicologiche e/o sessuali da parte di partner o ex partner. A livello nazionale solo il 7,2% sporge denuncia; il 90% delle vittime decide di non denunciare l’accaduto alle Forze dell’Ordine per diverse ragioni alla base delle quali c’è sempre una pressione sociale e psicologica (paura, vergogna, dipendenza). L’ISTAT ha anche evidenziato come la diffusione del fenomeno sia maggiore nel Nord Italia. Un altro dato significativo, sia da un punto di vista sociale che epidemiologico, è che più del 31% delle violenze avviene nell’abitazione della vittima e solo il 10% a casa dell’aggressore, quindi nella maggioranza dei casi la vittima conosce bene il maltrattante. Le ricadute della violenza hanno effetti devastanti sulla salute psichica e fisica della donna che ne è vittima. Questo impone che si attuino interventi specifici su due fronti: la presa in carico e la cura della persona che ha subito violenza e le azioni specifiche per impedire che questo possa riaccadere. 11 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Si sta attuando così in Azienda un progetto che vede il coinvolgimento dei Pronto Soccorso e del Pronto Soccorso di Ostetricia e Ginecologia, che sono i poli di accoglimento delle vittime. Scopo di questo percorso formativo è proprio quello di coinvolgere i diversi enti e professionisti che si occupano di sociale, scuola, sicurezza e sanità al fine di istituire un modello di presa in carico globale delle vittime di violenza. Si desidera poi creare un’azione sinergica e propositiva per garantire un approccio multi professionale e multimodale in grado di creare una rete di prevenzione, accoglimento, tutela e supporto alle donne vittime di violenza. L’obiettivo del corso è di fornire alla cittadinanza e al mondo della scuola strumenti culturali per promuovere una cultura maschile e femminile volta alla mediazione reciproca per educarci a creare nuovi modelli di genere sinergici e solidali nella propria diversità. Il passo successivo sarà di attuare una formazione multidisciplinare, continua e mirata degli operatori sanitari dei PS per garantire una valutazione a 360° della persona per una corretta presa in carico socio assistenziale della vittima. Il corso desidera inoltre monitorare l’attività con il coinvolgimento di tutte le forze politiche, sociali, sanitarie e della sicurezza promuovendo in modo continuativo la formazione e l’informazione. 12 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. La strada dell’abbraccio. Come accogliere le vittime di storie di violenza Viviana Olivieri, Formatore, Servizio Sviluppo Professionalità Innovazione Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona La violenza sulle donne assume sempre più i connotati di una malattia sociale cronica. E’ vero, molti sono stati gli approcci preventivi come le iniziative socio culturali, ma di fatto il problema resta e secondo i dati regionali con una frequenza quotidiana. Si evidenzia sempre di più che la violenza sulle donne riconosce soprattutto una causa di tipo culturale e in tale modo deve essere affrontata. La giornata di oggi desidera con un approccio multidisciplinare mettere in luce sia l’importanza della cultura per attuare una corretta prevenzione e alcune delle istituzioni che con forza e costanza cercano di debellare questo fenomeno sia offrire un sostegno concreto e positivo alle donne che subiscono violenza domestica. 13 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. 14 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Interventi regionali per prevenire e contrastare la violenza contro le donne Simonetta Tregnago Presidente Commissione Pari opportunità Regione Veneto La legge regionale 23 aprile 2013, n. 5 “Interventi regionali per prevenire e contrastare la violenza contro le donne” (pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto n. 37 del 26 aprile 2013 ed entrata in vigore il giorno 11 maggio 2013) promuove interventi di sostegno a favore delle donne vittime di violenza in collaborazione con Enti pubblici e privati che abbiano tra i loro scopi prioritari la lotta e la prevenzione alla violenza contro le donne e i minori. A tal fine la L.R. n. 5/2013 prevede che la Regione del Veneto ponga in essere azioni volte alla tutela e al recupero di condizioni di vita normali delle donne vittime di violenza, nonché attività mirate al contrasto del fenomeno. Gli interventi finalizzati a dare attuazione alla citata legge sono indicati all’articolo 2 e di seguito vengono riassunti: a) realizzazione e miglioramento strutturale di centri antiviolenza, di case rifugio e di case di secondo livello; b) attività di sostegno agli enti locali e alle aziende unità socio-sanitarie (ULSS) per la creazione, implementazione e gestione di strutture e servizi di supporto alle donne vittime di violenza; c) individuazione di strumenti e strategie interistituzionali atti a garantire il coordinamento e le sinergie tra gli enti pubblici e fra questi e gli organismi sociali delle comunità locali (forze dell’ordine, prefetture, sistema sanitario regionale, magistratura); d) formazione delle operatrici e degli operatori che svolgono attività connesse alla prevenzione e al contrasto della violenza contro le donne e al sostegno delle vittime; e) realizzazione di attività di prevenzione, monitoraggio e studio dei fenomeni, individuazione di proposte per mettere in atto misure efficaci di contrasto nonché di specifiche attività di carattere informativo, culturale, educativo e formativo. L’elenco dei centri antiviolenza approvati dalla Giunta regionale è pubblicato e costantemente aggiornato sul sito web istituzionale della Regione del Veneto: 15 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. (link: ttp://www.regione.veneto.it/web/pariopportunita/rilevazione-delle-strutture- regionali ) dove sono anche consultabili i provvedimenti della Giunta regionale. Al momento sono state censite e inserite negli elenchi regionali 15 centri antiviolenza, 9 case rifugio di primo livello e 12 case rifugio di secondo livello. Per quanto riguarda i contributi regionali, lo stanziamento stabilito dal Bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2013 ammontava a € 400.000,00 e riguardava unicamente spese di natura corrente. La Giunta regionale con deliberazione n. 1784 del 3 ottobre 2013 (acquisito precedentemente il previsto parere della V Commissione consiliare: CR 91 del 16.07.2013 – parere del 5 settembre 2013) ha definito i criteri, le priorità e le modalità per la concessione dei finanziamenti ai Comuni del Veneto e alle Aziende ULSS per progetti finalizzati all’implementazione e alla gestione di strutture adibite a centri antiviolenza, case rifugio, case di secondo livello per accogliere donne vittime di violenza, sole o con figli minori, (L.R. n.5/2013, articolo 2, lettera b). Anche nel 2014 è stato disposto un finanziamento regionale per un totale di € 400.000,00 a cui si sono aggiunti i fondi statali per il 2013 e 2104. Alla Regione del Veneto sono stati assegnati complessivamente € 1.440.506,29 secondo la ripartizione di seguito indicata: I. Istituzione di nuovi centri antiviolenza e di nuove case rifugio: 33% dell’importo complessivo stanziato. Il riparto di tali risorse si basa sul numero della popolazione di ciascuna regione, sul numero dei centri antiviolenza e delle case rifugio esistenti per ciascuna regione rapportati alla media ponderale pari a 1,79 stimando un centro antiviolenza per ogni 400.000 abitanti, come indicato nella Tabella 2 allegata al citato DPCM. Per il Veneto l’ammontare dei fondi stanziati è pari a € 692.974,09; II. Finanziamento aggiuntivo degli interventi regionali già operativi volti ad attuare azioni di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli, sulla base della programmazione regionale: 80% della somma rimanente al netto dell’importo di cui alla precedente lettera a). Al Veneto sono stati assegnati € 641.868,16; III. Finanziamento dei centri antiviolenza pubblici e privati già esistenti in ogni regione: 10% della somma rimanente al netto dell’importo di cui alla precedente lettera a), per il Veneto pari a €58.622,81; IV. Finanziamento delle case rifugio pubbliche e private già esistenti in ogni regione: 10% della somma rimanente al netto dell’importo di cui alla precedente lettera a), per il Veneto pari a €47.041,23. 16 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. L’articolo 8 della L.R. n. 5/2013 prevede l’istituzione di un “Tavolo di coordinamento regionale per la prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne”, un organismo con funzioni di supporto, di consultazione e di indirizzo nei confronti della Giunta regionale per l’attuazione della legge citata. Il Tavolo ha anche il compito di curare le relazioni con la Rete nazionale antiviolenza. La legge ha demandato alla Giunta regionale il compito di individuare la composizione del Tavolo, previa acquisizione del parere della competente Commissione del Consiglio regionale. Il Tavolo risulta composto come segue: a) l'Assessore regionale alle Pari Opportunità, o suo delegato, che lo presiede; b) la Presidente della Commissione regionale per la realizzazione delle pari opportunità tra uomo e donna di cui alla legge regionale 30 dicembre 1987, n. 62 "Istituzione della Commissione regionale per la realizzazione delle pari opportunità tra uomo e donna"; c) il Pubblico Tutore dei minori, o suo delegato; d) il Dirigente responsabile della struttura regionale competente in materia di diritti umani e pari opportunità, o suo delegato; e) il Dirigente responsabile della struttura regionale competente in materia di servizi sociali, o suo delegato; f) il Dirigente responsabile della struttura regionale competente in materia di sanità, o suo delegato; g) un componente designato dall’Osservatorio Nazionale sulla Violenza Domestica con sede presso l’Università di Verona; h) quattro componenti nominati dalla Giunta regionale tra soggetti aventi almeno tre anni di esperienza nell’ultimo quinquennio nel ruolo di responsabile, o un suo delegato, della gestione di centri antiviolenza o di case rifugio o di case di secondo livello di cui almeno due in rappresentanza delle organizzazioni non a scopo di lucro (non profit); i) due componenti con esperienza di pronto soccorso e medicina di base nominati dalla Giunta regionale del Veneto; j) un componente designato dall'ANCI del Veneto; k) un componente designato dalle Prefetture del Veneto; l) due componenti designati dalle Forze dell'Ordine operanti nel Veneto rispettivamente dalla Polizia di Stato e dall'Arma dei Carabinieri; m) un componente designato dalla Corte d'Appello di Venezia; 17 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. n) un componente designato dal Centro Diritti Umani dell’Università degli Studi di Padova. 18 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Azioni del MIUR Anna Lisa Tiberio Referente Uff. Scolastico Regione Veneto per legalità, politiche giovanili e sicurezza In attuazione del protocollo di Intesa siglato tra il Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca e il Ministro delegato alle Pari Opportunità il 30 gennaio 2013, è stata promossa dal 24 al 30 novembre del 2014, la Settimana nazionale contro la violenza e la discriminazione. Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e il Dipartimento per le Pari Opportunità, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, così come sottoscritto nel Protocollo (art.2), “si è impegnato a promuovere un piano pluriennale di attività comuni, nel rispetto della propria autonomia e nell’ambito delle rispettive competenze, di sensibilizzazione e formazione, volte a promuovere nei giovani, sulla base delle norme e dei valori della Costituzione italiana, la cultura del rispetto e dell’inclusione, nonché per la prevenzione e il contrasto di ogni tipo di violenza e discriminazione”. Le Istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado sono state invitate, pertanto, ad attivare opportuni e significativi percorsi di sensibilizzazione, di informazione e di prevenzione e di contrasto a tutte le forme di violenza e di razzismo in considerazione del fatto che: È compito delle Istituzioni scolastiche diffondere la massima conoscenza possibile dei diritti della persona e del rispetto verso gli altri, così come declinato anche nelle recentissime Indicazioni Nazionali; La prevenzione ed il contrasto dei fenomeni di violenza e discriminazione, sulla base del genere, della religione, della razza o dell’origine etnica, della disabilità, dell’età, dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere richiedono azioni mirate da parte dei soggetti istituzionali deputati e delle Associazioni; Fenomeni quali la violenza, il bullismo, la discriminazione possono essere prevenuti e contrastati mediante adeguati percorsi formativi a scuola; 19 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Iniziative di studio, di confronto, di apprendimento e di riflessione, con il coinvolgimento di genitori, alunni e docenti, sui temi della legalità e del contrasto ad ogni forma di violenza e discriminazione possono creare un proficuo scambio ed ausilio tra le istituzioni scolastiche e le famiglie. Ciò premesso, si rende altresì necessario, così come sottoscritto nel Protocollo di Intesa, “tematizzare, in particolare, almeno una settimana nel corso dell’anno scolastico alle predette iniziative, prevedendo, nel contempo, percorsi formativi stabili dedicati al tema del contrasto ad ogni forma di violenza e di discriminazione, nonché dell’educazione alla legalità”. Con riferimento allo specifico tema della violenza di genere, il nuovo quadro di riferimento normativo che si connette strettamente con le disposizioni del recente decreto legge, n.93/2013, convertito con modificazioni dalla L. 15 ottobre 2013, n. 119 (in G.U. 15/10/2013, n.242), assegna alle Istituzioni scolastiche un ruolo e una funzione determinante e irrinunciabile per la prevenzione e per il contrasto dei femminicidi e delle violenze sulle donne. Il decreto sottolinea, infatti, la necessità di promuovere, nell’ambito del Piano straordinario contro la violenza “l’educazione alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere nell’ambito dei programmi scolastici nelle scuole di ogni ordine e grado, al fine di sensibilizzare, informare, formare gli studenti e prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere anche attraverso una adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo” e di “garantire la formazione di tutte le professionalità che entrano in contatto con la violenza di genere e lo stalking” (art.5, comma 2, b e d). Alla luce di quanto sopra evidenziato, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e il Dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, hanno lanciato, in occasione della Settimana contro la violenza e la discriminazione, un avviso pubblico nazionale destinato al finanziamento di progetti contro la violenza e la discriminazione, rivolto alle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. 20 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Campagne di sensibilizzazione, concorsi, promozione e diffusione di spettacoli nelle scuole. Sono solo alcune delle azioni del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per il contrasto alla violenza di genere. L’ultima è sul piano della formazione dei docenti, così come previsto dal Decreto. L’istruzione punta all’aumento delle competenze relative all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere per fare in modo che la scuola non sia semplicemente un luogo in cui si celebrano le ricorrenze, ma lo spazio in cui si sedimenta un reale cambiamento culturale. Il Miur quindi è al lavoro per un vero e proprio piano di formazione degli insegnanti contro la violenza di genere, che coinvolga anche i Dirigenti Scolastici e i Direttori degli Uffici Scolastici Regionali, con il sostegno delle Università e delle Associazioni. Quest’anno il Miur ha preparato anche la campagna di sensibilizzazione “Tante diversità uguali diritti”, con diffusione on line di materiali informativi e formativi, un concorso per corti cinematografici ed approfondimenti curricolari sul tema donne e legalità. Come ogni anno l’8 marzo sono stati premiati al Quirinale i migliori progetti delle scuole che partecipano al concorso “Donne per le donne”. E quale modo migliore ed istituzionalmente corretto concludere questo scritto con il discorso del Ministro Giannini in occasione della festività dell’8 marzo. Signor Presidente, Gentili ministri, Autorità, parlamentari, care studentesse e cari studenti oggi è una giornata solenne e importante per il nostro Paese e per la nostra società. E in virtù di questa innegabile rilevanza vorrei aprire il mio intervento con una breve nota storica. La cultura occidentale si è aperta con un capitolo letterario di magistrale tragicità. Eschilo nelle Supplici ci racconta il primo atto di violenza istituzionale contro un 21 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. gruppo di donne: le cinquanta figlie di Danao che scappano in Argolide dall’Egitto per sfuggire al matrimonio loro imposto con i cinquanta cugini. Siamo nel 463 a.C. nel Mediterraneo orientale. Le Danaidi, come ricorderete, subiranno il matrimonio, salvo poi diventare loro stesse assassine dei loro mariti nella prima notte di nozze, con l’eccezione di Ipermestra che disobbedisce al padre e salva il suo sposo Linceo. Una prima, modernissima rappresentazione, quella di Eschilo, della complessità delle relazioni di genere e dell’eterno conflitto fra valori universali e convenzioni politiche contingenti. Sul ruolo delle donne, l’umanità da allora ha poi compiuto avanzamenti e passi indietro segnando notevoli differenze tra vari popoli e culture ma scontando, anche nel nostro Paese, inconcepibili ritardi. Di certo, nel corso degli ultimi decenni la Comunità internazionale ha espresso una crescente sensibilità sul tema del contrasto alla violenza sulle donne : con la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione di genere (1979); con la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne (1993) e da ultimo con la Convenzione di Istanbul (2011). Perché è evidente a tutti, o perlomeno dovrebbe esserlo, che libertà e uguaglianza 22 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. devono procedere di pari passo. Lo sforzo normativo c’è stato, il nostro Paese ha fatto la sua parte. Ma la violenza è rimasta. Nel 2012 sono state 124 le donne uccise in Italia. Un dato di per sé inaccettabile che al contempo rappresenta solo la punta di un iceberg. Dunque, la “questione femminile” va affrontata soprattutto da un punto di vista culturale: con una piena riappropriazione di un ruolo paritario della donna nella società e con un maggior rispetto per l’immagine femminile. Tutti devono fare la loro parte anche se non tutti in realtà lo stanno facendo. Con questo spirito, la Giornata mondiale delle Donne rappresenta un necessario momento di riflessione che tuttavia deve andare oltre le celebrazioni ufficiali o le manifestazioni ad essa dedicate. Nel nostro Paese, la “questione femminile” è ancora una questione irrisolta, direi una questione ‘nazionale’. Risolvere questa questione significa: più donne al lavoro, più donne nei ruoli di vertice, più mamme serene in casa e realizzate fuori, più giovani donne ambiziose, che sappiano e vogliano osare. Insomma per tutte le donne italiane vogliamo i diritti e i doveri della vera uguaglianza. Perché anche in Italia le donne sono più numerose e in media più qualificate degli uomini, ma il mercato del lavoro non se n’è accorto e ne scoraggia l’inserimento e l’avanzamento in carriera. 23 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Per una donna è difficile entrare e ancor più difficile superare gli ostacoli: salari più bassi, maggiore precarietà, difficile conciliazione dei tempi tra casa, figli e lavoro, minore indipendenza economica. E’ quindi nella scuola il luogo elettivo dove si creano le premesse per una vera e propria sensibilità, per una scelta consapevole. Ed è nella funzione educativa della scuola la chiave per arrivare a un vero e pieno accesso alle opportunità di crescita e di lavoro. Il mondo della scuola italiana aderisce convintamene alla “Giornata Internazionale della Donna” con il pieno coinvolgimento delle studentesse e degli studenti oltre che dei loro appassionati insegnanti che qui ringrazio. Grazie ai docenti anche quest’anno le scuole partecipano al concorso “Donne per le Donne”, un’iniziativa sulle pari opportunità, organizzato di concerto tra il nostro Ministero e la Presidenza della Repubblica. Oggi abbiamo consegnato i premi. E gli elaborati dei vincitori sono esposti nella galleria dei busti che mi auguro avrete la possibilità di vedere e apprezzare. Oggi sono qui davanti a voi, nel ruolo di Ministro della Repubblica. Svolgo il mio compito in una “squadra” che per la prima volta nella storia repubblicana è composta da una adeguata rappresentanza femminile. Otto ministri donna sono un segno tangibile di presenza di genere e una scelta politica chiara e lungimirante. 24 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Io credo che il rispetto, l’autonomia e al dignità siano alla base di una società civile che genera sviluppo e crescita umana, culturale ed economica. Ed è questa l’Italia che vogliamo”. Io c’ero ad ascoltare queste parole che ogni giorno nella nostra scuola si trasformano in azioni tese a sensibilizzare i giovani al grande valore del “Rispetto” per una cittadinanza sempre più autentica e responsabile e sempre più proiettata verso l’alleanza educativa e la reciprocità. 25 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. 26 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. I bisogni di apprendimento di chi opera nelle relazioni di aiuto Anna Malaguti Referente AIF Veneto Questa iniziativa dell'Azienda Ospedaliera di Verona affronta un tema assai centrale e scottante: come accogliere, ascoltare e accettare le vittime di violenza che spesso portano con se un tale carico di dolore e orrore da muovere i nostri fantasmi interiori. Per affrontare un tema così vasto e complesso i punti di vista non potevano che essere molti e diversificati. Il percorso progettato ci parla della genesi della violenza, che ha sempre in se anche il dolore e la sofferenza del "carnefice", punto di vista che spesso fa indignare ma da cui non si può prescindere se si vuole mettere in campo delle politiche preventive o di contenimento dei fenomeni violenti verso i più deboli. Le vittime di violenza hanno necessità di essere accolte e sollevate dalla colpa che nasce in loro, dalle domande sul perché proprio a loro e cosa possono aver suscitato nell'altro per essersi attirate la violenza. Il titolo del convegno evoca l'abbraccio come atto di accogliere, atto che mette in contatto i corpi, sottolinea la vicinanza e la relazione di aiuto, porta al centro le capacità di tutti coloro che vengono in contatto con la persona che ha subito violenza. Compito difficile quello di accogliere senza giudizio, che mette in gioco i vissuti degli operatori, siano essi sanitari o con altri diversi compiti, di indagine giudiziaria o di sostegno psicologico. La crescente complessità della società odierna implica sempre maggiore attenzione alla formazione degli operatori che si trovano di fronte a casi diversi per età, sesso, culture, credo religioso, ecc. e vivono la stessa violenza con sentimenti e comportamenti diversi, a volte difficili da interpretare. Spesso chi ha subito violenza prova vergogna, senso di colpa. Può sentire odio, 27 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. repulsione, paura. È stato ferito/a, ha perso la fiducia. Con quali capacità, competenze e sensibilità può essere sostenuto/a? Cosa comunica la vittima di violenza? Cosa apprende l'operatore che la accoglie? Quali competenze deve cercare dentro di sé e costruire nel percorso formativo che dovrà accompagnarlo e sostenerlo a sua volta per tutta la vita lavorativa? Formazione, supervisione, ascolto sono necessari, essenziali per sostenere chi sostiene. Parlare dei casi, mettere in contatto i diversi ruoli che intervengono, creare in questo modo la certezza di operare in squadra, costruire la fiducia nelle istituzioni di chi opera nelle istituzioni. È questo un impegno sfidante che deve essere promosso da tutti coloro che hanno i potere e la capacità di farlo. Il percorso della formazione continua dei diversi soggetti, pensati come individui portatori di esperienze e saperi ed anche come gruppi allargati portatori di cultura comune. Questa occasione di confronto proposta dalla Azienda Ospedaliera di Verona ha in se un grande potenziale di condivisione e collaborazione che sicuramente permetterà agli operatori tutti, coinvolti nella attività di accoglienza e sostegno alle vittime di violenza, di relazionarsi con fiducia tra loro e sentirsi parte di un progetto più grande al servizio della comunità. 28 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Presentazione Anna Leso Assessore ai Servizi Sociali e Famiglia del Comune di Verona Sono lieta di partecipare a questa importante iniziativa a cui, come Comune di Verona, abbiamo aderito con grande interesse in quanto riteniamo che l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata svolga un ruolo fondamentale nell’approccio alla donna vittima di violenza che necessita di cure ed assistenza sanitaria nell’immediato e per il successivo invio ai servizi specialistici. Infatti, dopo l’accesso al Pronto Soccorso e conclusa la fase emergenziale di diagnosi, osservazione e cura, con eventuale ricovero, la donna avrà la possibilità di ricevere tutte le informazioni utili per valutare l’opportunità di un inserimento in una struttura protetta, qualora il rientro a casa non sia possibile, rivolgendosi ai servizi territoriali (Servizi Sociali, Consultori Familiari, Centro Antiviolenza, Forze dell’Ordine, ecc.) per poter intraprendere un percorso per riscattarsi dalla violenza. L’odioso fenomeno della violenza di genere, che tristemente e quasi quotidianamente i mass media portano alla luce, agita da un uomo nei confronti di una donna con cui ha, o ha avuto, una relazione intima ed affettiva, è ritenuta una violazione dei diritti umani. Infatti, la Convenzione del Consiglio d’Europa (11 maggio 2011) sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, documento più noto come Convenzione di Istanbul, riconosce come grave violazione dei diritti umani ed elemento di discriminazione la violenza domestica, la violenza sessuale, lo stupro, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali femminili “costituiscono una grave violazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze e il principale ostacolo al raggiungimento della parità tra i sessi”. Prima di passare ad esporre le azioni di contrasto alla violenza, messe in campo dal Comune di Verona, vorrei fare una riflessione partendo dai concetti racchiusi nel titolo di questo incontro: 29 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. “La strada dell’abbraccio. L’accoglimento delle vittime nelle storie di violenza” Sia chi subisce che chi sta a fianco di una vittima deve tener conto che per uscire dalla violenza, dovrà affrontare un percorso, una strada, più o meno lunga, più o meno tortuosa, piena di ansie e paure, ma anche carica di speranze che porteranno al vero cambiamento legato all’interruzione della relazione violenta. L’altro messaggio, che questo titolo vuol passare, è che sarà un percorso basato sull’accoglimento competente ed empatico di chi con professionalità starà accanto alla donna senza mai sostituirsi a lei. LE AZIONI Il Centro Antiviolenza P.e.t.r.a. A Verona l’Amministrazione Comunale, per il tramite dell’Assessorato che rappresento, è impegnata da tempo sul fronte del contrasto alla violenza sulle donne: nel concreto dal 2004 è stato aperto un Centro denominato P.e.t.r.a. (Pratiche Esperienze Teorie Relazioni Antiviolenza), che si rivolge alle vittime della violenza, in particolare donne, al cui interno opera un’equipe costituita da tecnici che quotidianamente trattano, per professione, il fenomeno del maltrattamento agito all’interno delle relazioni affettive. Ci si può rivolgere al centro P.e.t.r.a., tramite un numero verde gratuito 800392722 con segreteria telefonica h24 o via e.mail [email protected] , per trovare: ascolto telefonico con operatrice: lunedì, mercoledì e venerdì dalle 10.30 alle 13.00; martedì, mercoledì e giovedì dalle 15.00 alle 17.00; accoglienza in sede su appuntamento; consulenza legale; ascolto, sostegno, accompagnamento per la costruzione di un progetto individualizzato per un’uscita consapevole dalla violenza anche con l’ausilio di mediatori culturali; consulenza psicologica e sociale; percorsi di sostegno psicologico e sociale ospitalità temporanea per donne con o senza figli; garanzia di anonimato e riservatezza gratuità 30 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. La Casa Rifugio di P.e.t.r.a. Il 24.11.2007 l’Amministrazione Comunale con la Mozione n. 56 del Consiglio Comunale, decise di potenziare il Progetto P.e.t.r.a. prevedendo l’apertura di una Casa Rifugio che potesse ospitare donne vittime di violenza da sole o assieme ai figli minori. Nel 2008 fu individuato e attrezzato un alloggio comunale (ATER) da adibire a una comune abitazione per ospitare un piccolo numero di donne (massimo 8 – 10) con gli eventuali figli. Nel 2009 la Casa Rifugio, denominata Casa di P.e.t.r.a., venne aperta; la casa è un luogo protetto, ad indirizzo segreto, per donne, sole o con figli, che si trovano in condizioni di incolumità fisica e/o psicologica senza una rete di riferimento (familiare amicale sociale) che intendono interrompere la relazione maltrattante. Il distacco dalla relazione violenta avviene anche attraverso un percorso personale di crescita e cambiamento, effettuato presso il centro P.e.t.r.a., che facilita il recupero delle proprie risorse, della fiducia in sé e dell’autonomia. Nella casa vengono inserite solo situazioni ad alta autonomia sociale cioè donne capaci di autogestire le proprie necessità e quelle dei figli che non necessitano di personale educativo presente nella casa sulle 24 ore. L’inserimento viene valutato dal Centro P.e.t.r.a. in collaborazione con in servizi territoriali coinvolti (Servizio Sociale del comune o dell’ULSS, altri) con cui verrà definito un progetto di presa in carico. Nella casa sono presenti, per alcune ore giornaliere, due educatrici con funzioni educative (accompagnamento ai servizi per la ricerca del lavoro, l’autonomia economica, il reperimento di un alloggio, ecc.), di coordinamento ed organizzazione della vita quotidiana (garantire la pacifica convivenza tra le ospiti e la quotidiana gestione della casa, ecc.). Le educatrici hanno una reperibilità telefonica h24 e fanno riferimento a un referente fornito sempre dalle cooperative sociali in convenzione. La permanenza nella Casa è temporanea (fino a un massimo di 6 mesi) in quanto, generalmente, le donne inserite possiedono capacità di recupero delle risorse personali in tempi brevi. Nella Casa non sono previsti inserimenti di situazioni: di tutela minorile, o di grave invalidità o problematiche psichiatriche o da dipendenza da sostanze certificate, o in 31 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. emergenza abitativa in quanto tali tipologie possono trovare risposte mirate presso i servizi preposti per affrontarle. La Pronta accoglienza Sempre dal giugno 2009 si è stipulata anche una convenzione con l’Associazione Cattolica Internazionale al servizio della giovane, più nota come Casa della giovane, per un servizio di ospitalità in pronta accoglienza per donne con o senza figli minori che sono costrette ad allontanarsi urgentemente dalle proprie abitazioni perché a rischio la loro l’incolumità psico-fisica. L’ospitalità in pronta accoglienza è a carico del Servizio delle Pari Opportunità del Comune di Verona per un massimo di 3 gg sia per donne non residenti che per quelle senza fissa dimora, mentre per le residenti sarà fino a un massimo di 15 gg. Alcuni dati Dal 2009 al 31 dicembre 2014 sono state messe in protezione complessivamente 96 donne e 90 figli minori. Le richieste di aiuto telefonico pervenute al centro P.e.t.r.a. dal 2004 al 31 dicembre 2014, sono state 2.364, i casi seguiti 1.112 e i colloqui effettuati 4.956. Progetti e sperimentazioni Tra il 2009 e il 2011 l’Amministrazione Comunale è stata capofila di un Progetto ministeriale denominato “Verona libera dalla violenza sulle donne” che ha puntato sulla formazione degli operatori e dal 2012 al 2014 è stata ancora capofila di un altro progetto ministeriale denominato “C.L.A.R.A. città-lavoro-accoglienza-retiantivolenza” che ha puntato a “Rafforzare le azioni di Prevenzione e contrasto al fenomeno della Violenza” (partner coinvolti: ULSS 20, AULSS 21, ULSS 22, Università di Verona, Associazione Telefono Rosa di Verona, Studio Guglielma, cooperative sociali Azalea, L’albero e Il Ponte, la Consulta delle Associazioni Femminili di Verona e l’ associazione Eurodonne). Con il progetto C.L.A.R.A. è stata aumentata la copertura dei servizi dedicati alle donne vittime di violenza con l’apertura, dal 2013 al 2014, di 3 nuovi Punti di ascolto provinciali (Villafranca, Porto di Legnago e S. Bonifacio); il progetto ha, inoltre, avviato delle sperimentazioni per il recupero dell’autonomia lavorativa ed abitativa delle donne vittime di violenza e formato un gruppo di famiglie di accoglienza 32 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. che possono ospitare temporaneamente donne vittime di violenza con eventuali figli minori. Occuparsi di violenza all’interno delle relazioni affettive significa non solo occuparsi delle necessità (bisogni e condizioni di salute) delle vittime, donne e bambini che la subiscono in maniera diretta o indiretta, ma anche prendersi cura di chi la agisce. Per contrastare la violenza sulle donne è necessario lavorare con gli uomini che la agiscono. Partendo da questo principio nel giugno 2013, col finanziamento del progetto C.L.A.R.A., è stato aperto Uno Spazio di Ascolto per Uomini che agiscono violenza nelle relazioni affettive e intrafamiliari denominato “Non agire violenza scegli il cambiamento” dove, tramite personale qualificato, si offre, ascolto telefonico e accoglienza in sede per un percorso individuale mirato al cambiamento. Tale servizio, aperto nelle giornate di giovedì e venerdì, presso la sede delle Pari Opportunità del Comune di Verona, prosegue per volontà dell’Amministrazione Comunale che lo sostiene assieme alla Regione del Veneto. 33 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. 34 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Paradigmi mitici minori per una diversa percezione del sé Stefano Quaglia Provveditore agli Studi Verona I miti acquistano la loro massima importanza nelle società fondate sulla tradizione e illetterate G. S. KIRK, La natura dei miti greci, Laterza, Roma-Bari 1977 Nella terra dei miti In un celeberrimo lavoro a quattro mani con Carl G. Jung, Karoly Kerenyi sosteneva: “La mitologia «fonda». Essa non risponde in vero alla domanda «perché?» bensì a questa : «da dove? da qual origine?». In greco si può esprimere questa differenza con la massima precisione. La mitologia non dà mai degli αἴτια «cause». Essa le dà (è «eziologica») soltanto in quando gli αἴτια –come dice Aristorele (Metaf. 2, 1013 a Metaf. D, 2, 1013a) – sono delle ἀρχαί (…) Non mere «cause» dunque, piuttosto materie o condizioni primordiali che non invecchiano, né vengono mai superate”.1 ἀρχαί in greco antico è il plurale di ἀρχή e significa principio. Alla mitologia, quindi i due autori attingono quella serie di fattori fondativi non tanto del comportamento quanto della stessa architettura interiore, per giunta sommersa, che Jung chiamava Archetipi dell’inconscio collettivo. Non voglio arrischiarmi in un terreno accidentato e scosceso, ma certo a chi percorre le strade dell’esperienza classica e si misura ogni giorno con i problemi educativi qualche suggestione e qualche dubbio sorgono inevitabilmente nel momento in cui si guardano i panorami comportamentali che si presentano sotto i nostri occhi. La domanda che sorge è: ma questo inconscio è fermo o si muove e cambia? I Cinesi, i Senegalesi, i Filippini e i Singalesi che coabitano con noi e percorrono le vie del mondo hanno lo stesso inconscio collettivo nostro? Dico questo perché mi domando se queste riflessioni possano andar bene anche per gli allievi che venano di vivace e multicolore presenza le nostre aule. 1 C. C. JUNG E K. KERÉNYI, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Boringhieri, Torino 1972, pp. 20, sg. 35 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Mi domando: ma per questi uomini, questi cuccioli d’uomo che condividono con noi l’esperienza della vita tecnologica, vale l’osservazione che qualche giorno fa ho sentito fare da un illustre Psichiatra, passato nel corso della sua esperienza, prima tra le file degli Psicologi e poi fra quelle più articolate e complesse dei Pedagogisti, o meglio degli Psico-Pedagogisti, ovvero che non esiste più il figlio edipico, ma esistono solo narcisi? In altre parole: al cambiare del sistema sociale cambia anche l’inconscio? E quale area di intersezione esiste fra l’Inconscio Collettivo e l’Immaginario Collettivo? La generazioni che hanno di volta in volta avuto nelle Tigri di Mompracem, in Ombre Rosse, in Jesus Christ Superstar, e nel Gobbo di Nôtre Dame i territori della loro fantasia, e non parleremo di cantanti o di calciatori o di altri idoli, sono assimilabili alle community di Face Book e degli altri Social Network sui quali sembra scaricarsi ogni sorta di catarro ed escrezione dell’anima? Ma esiste ancora, alla maniera di Hillman, un’anima? Tutti questi interrogativi sono inquietanti e turbativi per noi, che con una scafatura di medio peso in materia di psico+(n-suffissi) affrontiamo le aule, sempre più insicuri e sempre meno a noi stessi amici, ancorché protetti dalla confortevole armatura delle nostre discipline e delle nostre competenze educative. È in questo quadro preoccupante che io tenterò di introdurre sommessamente, sottovoce, l’idea che forse dobbiamo comunque tentare di leggere testi diversi, di cercare di andare a scovare altre ἀρχαί giacenti nel fondo della nostra coscienza storico-collettiva, negli archivi di un immaginario non nuovo, ma trascurato, non rinnovato. In altre parole io credo che se i cuccioli d’uomo, sempre e comunque nel pienissimo e indiscutibile rispetto delle famiglie, dei loro valori e dei sani principi di pluralismo e democrazia, vengono posti di fronte ad altri modelli, non dico che tutto cambi, ma certo qualcosa comincia gradualmente a sgretolarsi di una roccia di immagini ormai non più coerenti con l’assetto interiore necessario a fronteggiare l’era della complessità. Aggiungo che bisogna stare molto attenti. Non lo dirò a questo pubblico raffinato, ma in educazione non c’è nulla di meccanico. Il modello è di natura biologica e fluido, se dobbiamo ricorre alla fisica è a quella complessa dei Quanti che dobbiamo pensare, non a quella lineare e gravitazionale di Newton. Orbene, veniamo a noi. Qui proporrò alcune figure della nostra più profonda mitologia non consuete, per certi aspetti possiamo dire lontane, se non persino estranee al nostro immaginario collettivo. Quanto abbiano a che fare con l’inconscio e in quale misura siano di natura archetipica non saprei, di certo però quando si incontrano 36 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. esercitano su di noi un incredibile fascino e sembra che in qualche modo con loro abbiamo avuto già a che fare. Non ci sono indifferenti, anzi hanno una potenza paradigmatica che ci stupisce, considerato anche il fatto che non sono per lo più molto note. Quasi tutti questi personaggi hanno a che fare con la morte. Anzi, la morte li attornia, li insegue, li sfida o persino li fa propri per liberarli da una condizione difficile; in qualche caso si lascia superare da una metamorfosi che li rende persino eterni. Forse è per questo che possono aiutarci a cogliere profili nuovi di un’umanità più autentica. Incontrarsi con loro per certi aspetti è come ritrovare un modo d’essere che ci sembra di avere perduto, uno stile relazionale basato su una lealtà che non pare appartenere all’orizzonte di senso nel quale viviamo. Ecco, direi che i due tratti essenziali di queste storie - non so se archetipiche, ma di certo dotate di incisività emotiva fortemente paradigmatica - sono la lealtà e la dialettica con la morte. La morte, come fatto o come consapevolezza che la fine incombe sull’uomo li rende incredibilmente grandi e capaci di proporsi come riferimento interiore. L’amore filiale fino alla negazione di sé: Kléobis e Bìton (Erodoto, 1.31) Kleobis e Biton, erano due giovani fratelli di grande prestanza fisica e avevano entrambi riportato vittorie nelle gare atletiche. Erano figli di Cidippe, sacerdotessa di Hera. Un giorno si celebrava in Argo una festa dedicata alla dea e i due dovevano assolutamente portare la madre al tempio con un carro, ma i buoi, ai quali doveva essere aggiogato il carro, erano in ritardo nel rientro dai campi. Allora, per consentire alla madre di arrivare in tempo alla celebrazione, i due giovani la fecero salire sul carro, misero i gioghi sulle spalle e la portarono fino al tempio per un tragitto di 45 stadi (8,3 Km). Al loro gesto, ammirato da tutta la popolazione riunita per la festa, seguì una fine nobilissima: con loro il dio volle mostrare quanto, per un uomo, essere morto sia meglio che vivere. tutti ad Argo si complimentavano con la madre per quegli splendidi figli e lei, oltremodo felice dell'impresa e della grande reputazione derivatane, si fermò in piedi di fronte all'immagine della dea e la pregò di concedere a Kleobis e a Biton, la sorte migliore che possa toccare a un essere umano. Dopo questa preghiera i giovani celebrarono i sacrifici e il banchetto e si fermarono a dormire lì nel 37 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. tempio. L'indomani non si svegliarono più: furono colti così dalla morte. Si dimostrò così il valore di due antichissimi proverbi: secondo il primo: muore giovane chi è caro agli dei; il secondo sostiene che la cosa migliore per un uomo è non essere mai nato, la seconda tornare al più presto là da dove si è venuti. Gli Argivi li ritrassero in due statue che consacrarono a Delfi, come si fa con gli uomini più illustri. Polymedes di Argo, VI Sec. a. C., Kleobis e Biton Kleobis e Biton rappresentano quindi l’archetipo della generosità verso la madre. La grande madre mediterranea che riassorbe in sé le creature dopo la morte. In questo caso l’ossequio verso la figura femminile è fondato sulla dipendenza filiale. La lettura può essere duplice, ma il fatto significativo è che l’impresa per cui sono apprezzati non è di guerra, ma di servizio alla madre e si carica di valenza anche religiosa. Non dimentichiamo che Hera è la moglie di Zeus. 38 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. La generosità di Alcinoo (Od. VIII 557 sgg.) Nel sesto libro dell’Odissea, Odisseo, sbattuto dalla tempesta sull’isola dei Feaci, Scheria, al risveglio dal sonno in cui è cauto per la stanchezza, si rivela a Nausicaa, la giovane principessa, venuta alla riva del mare per lavare i panni e giocare con le compagne. La fanciulla lo soccorre e lo invita a salire alla città, dove gli presenterà i genitori e gli altri dignitari di corte. La società dei Feaci ha caratteristiche particolari, che meritano di essere ricordate. Essi sono pacifici e leali, aiutano tutti gli stranieri che approdano alla loro terra a ritornare in patria. Faranno la stessa cosa con Odisseo, anche se sono consapevoli del rischio tremendo che corrono. Chi aiuterà l’eroe di Itaca, infatti, si scontrerà inevitabilmente con l’ira di Poseidone, il cui figlio, Polifemo, Odisseo ha accecato spietatamente nella caverna dove era rimasto prigioniero con i suoi compagni. Per i Feaci si tratta di una sfida: Infatti i Feaci non hanno piloti, le loro navi non hanno i timoni che hanno le altre, ma sanno da sole i pensieri e la mente degli uomini, le città e i grassi campi di tutti conoscono, e traversano celeri l’abisso del mare avvolte nella foschia e in una nube: esse non temono mai di soffrire alcun danno o d’andare in rovina. Ma una volta sentii dire questo a mio Padre Nausitoo: diceva che Posidone era irato con noi , perché senza danno siamo guide di tutti. Diceva che un giorno avrebbe spezzato una nave ben costruita ai Feaci, mentre sul mare fosco da un viaggio di scorta tornava, e avrebbe avvolto la nostra città d’un gran monte. 39 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Claude Lorrain, Ulisse parte dalla terra dei Feaci (1646) Essi, il Popolo del Mare, pur di restare fedeli al loro modo di trattare gli ospiti non temono l’ira del dio più potente del mare. Anzi lo sfidano. E la pagano cara, perché come la nave che ha portato Odisseo ad Itaca arrivò presso il porto nella sua rapida corsa, addosso le fu l’Enosictono, che pietra la fece, la radicò nel profondo, a mano aperta colpendola e poi se ne andò. (Od. XIII, 162 sgg) e da lontano Alcinoo, che riconosce il segno inconfondibile della fine, grida «Ahi! Dunque un’antica profezia ci raggiunge, questo una volta udii predire dal padre, da Nausìtoo: diceva che si adirerebbe Poseidone con noi, ché di tutti siamo i trasportatori impuniti. Un giorno - diceva - una solida nave delle genti feacie rientrante da un accompagno sul mare nebbioso, distruggerà, e poi coprirà la nostra città d'un gran monte. Così diceva il vecchio, e ora tutto si compie, o lascerà incompiuto, come piace al suo cuore». 40 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. (Od. XIII, 171 sgg) I Feaci rappresentano dunque l’inevitabilità del destino e la fedele adesione alla propria identità. Non sono guerrieri, la loro etica non è quella del conflitto e dell’onore in battaglia, ma si fonda sull’ospitale cordialità e sulla lealtà, a costo di attirarsi anche l’ira degli dei. L’Odissea non dice quale sia stato l’esito finale del loro rischio, lascia immaginare che attraverso ecatombi e suppliche abbiano potuto ancora salvarsi, ma il loro destino sembra inevitabilmente segnato. Qui la morte cancella un popolo, un intero popolo colpito dall’ira di un dio non per aver violato una norma o un patto, ma per aver aiutato un proprio simile. I Feaci sono dunque il modello di un eroismo semplice e senza retorica. Un paradigma valido ancor oggi nella società degli astuti navigatori della complessità? Questo è l’interrogativo che vorrei condividere con voi. I Feaci hanno forza archetipica? Io non lo escluderei. Amore, morte: Piramo e Tisbe (Ovidio, Metamorfosi IV 55-166) Coppia prototipica di tutte le situazioni d’amore ostacolato, i due giovani protagonisti di una delle più delicate Metamorfosi di Ovidio, costituiscono anche un caso complesso di interesse filologico. Probabilmente, ma non voglio qui fare anticipazioni, noi veronesi abbiamo qualcosa in comune con questa vicenda. Piramo e Tisbe, l’uno il più bello dei giovani, l’altra la più amata delle fanciulle che l’oriente ebbe, abitavano case vicine dove si dice che Semiramide abbia fatto cingere l’importante città con mura di mattoni cotti. La vicinanza rese possibile la conoscenza e i primi innamoramenti; l’amore crebbe con il tempo; si sarebbero anche uniti secondo un rito nuziale, ma i padri lo vietarono; quello che non poterono vietare fu che entrambi nello stesso modo innamorati ardevano. (…) Una notte decidono di ingannare i custodi e di uscire dalle loro case per darsi un appuntamento in un luogo solitario dove un grande albero stendeva i suoi rami e mostrava i suoi frutti bianchi, un alto gelso, vicino ad una fresca fonte. (…) Tisbe prudente attraversa l’oscurità, esce e, con il volto velato, giunge presso l’albero stabilito; l’amore la rende audace. Ma ecco sopraggiungere una leonessa con 41 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. le fauci imbrattate e schiumanti di sangue per una recente strage di buoi; la belva si avvicina all’acqua della fonte per placare la sete. Tisbe la vede di lontano, alla flebile luce della luna, e con passo incerto fugge verso un antro oscuro; ma mentre fugge lascia cadere dalle spalle il velo. Non appena la leonessa crudele ha placato la sete, si avventa sul velo abbandonato da Tisbe e lo lacera con la bocca insanguinata. Piramo uscito dalla sua casa un po’ più tardi quando arriva all’albero vede nella polvere le impronte della belva e impallidisce. Scorge anche il velo macchiato di sangue e grida: “Una sola notte perderà due amanti dei quali lei fu la più degna di una lunga vita, la mia anima è colpevole; io ti ho tolto la vita, o infelice, io che ti ordinai di venire di notte in un luogo pieno di paura né io per primo sono venuto”. Prende il velo di Tisbe, e lo porta con sé all’ombra dell’albero stabilito, bacia in lacrime il velo, e grida: “Ricevi ora anche il sorso del mio sangue”, conficcando nel ventre la spada di cui si era cinto prima di uscire e, senza indugio, la estrae dalla ferita. Il sangue sprizza in alto e tinge i frutti dell’albero, che assumono un colore bruno; la radice intrisa di sangue tinge i frutti pendenti di un colore rosso. Pierre Claude Gautherot, Piramo e Tisbe 1799 Passata la paura, lei ritorna a cercare il giovane amico, desiderosa di raccontargli quanti pericoli ha incontrato. Riconosce il luogo e l’aspetto nell’albero 42 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. stabilito, tuttavia il colore dei frutti la rende esitante; ella non sa se sia questo: mentre si interroga tremante vede a terra nel sangue un corpo ancora sussultante negli spasimi che precedono la morte. Riconosce il suo amore e strappandosi i capelli e abbracciando il corpo amato, bagna le ferite di lacrime, mescola il pianto al sangue e riscaldando di baci il volto gelido, esclama gridando: “O Piramo, quale sorte ti toglie a me, o Piramo, rispondi! La tua amatissima Tisbe ti chiama! ascoltami e solleva il volto!”. Al nome di Tisbe Piramo volge gli occhi appesantiti dalla morte e vedutala li chiude. La giovane riconosce il suo velo e vede il fodero vuoto della spada a terra; comprende il tragico equivoco e decide di seguire l’amato nella morte: “La tua mano e il tuo amore, ti ha perduto, o infelice! Anche io ho una mano forte per questo, anch’io ho l’amore, questo mi darà le forze per i colpi mortali. Io ti sarò vicina e si dirà che io sono stata l’infelicissima causa e sarò la compagna della tua morte; tu che potevi essere strappato da me solo con la morte, tu non potrai essere allontanato da me con la morte. Conficcatasi la punta della spada sotto la parte estrema del petto giace sulla spada che ancora era calda del sangue di Piramo. Tuttavia le preghiere commossero gli dei, commossero i parenti; infatti il colore del frutto quando è maturo è scuro e quello che resta del rogo riposa in un’unica urna. Penso che i più abbiano riconosciuto in Piramo e Tisbe i tratti di un’altra celeberrima e sventurata coppia, separata in vita dall’ostilità dei parenti e unita in morte dalla violenza del proprio braccio. Anche qui sembra che l’energia maggiore dell’anima si manifesti ai bordi dell’oscuro infinito che inquieta la nostra parte più profonda. Al di là delle innumerevoli rielaborazioni letterarie e del degrado al quale spesso queste storie sono sottoposte nel loro riuso “rosa” e consumistico, non possiamo non interrogarci sulla valenza simbolica della dedizione reciproca. Anche noi oggi assistiamo, nella vita ordinaria, ad un vissuto che sembra rivelare al fondo paradigmi archetipici in certa misura riconducibili a frammenti o aspetti limitati di questo mitologema. La violenza sulla donna, da parte di un uomo che non tollera la separazione da lei, in realtà sembra riconducibile al modello della rabbia d’Agamennone per la restituzione di Criseide e alla ancor più nefasta ira di Achille per la perdita risarcitoria di Briseide. “Muoio io che non posso vivere senza di te muori anche tu, che non vivrai senza di me” sembra essere il sillogismo analogico che soggiace a tante forme di violenza. 43 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Non è raro infatti il caso di femminicidi (plurale di femminicida) che insistano nell’affermare come l’uccisione dell’amata che li ha respinti è stata prodotta da un eccesso d’amore. Con Piramo e Tisbe siamo di fronte invece a un altro paradigma. Ciascuno preferisce la morte propria alla separazione. Quindi la morte diventa il luogo dell’unione perpetua. L’archetipo, qui sembra non tanto la fedeltà, quanto la consapevolezza che la propria identità è incompleta senza l’altro, per cui la vita non mette conto più d’essere vissuta. Non possiamo poi per analogia correre con la mente a Paolo e Francesca, anche se in quel caso la morte viene dall’esterno e non da una scelta degli amanti. In ogni caso però anche per Paolo e Francesca è la morte, per giunta la morte eterna infernale, il luogo in cui l’amore durerà eterno. Il paradigma della semplicità: Filemone e Bauci (Ovidio, Metamorfosi) VIII 618-724 Che cosa sarebbero potuti diventare negli anni Piramo e Tisbe, se il loro amore fosse stato coronato da piena soddisfazione? Forse (dico “forse” perché quando pattiniamo sui miti rischiamo sempre di scivolare malamente) possiamo intravederne le linee di sviluppo in un altro racconto mitico, quello dell’amore delicato e umbratile fra Filemone e Bauci. Ancora Ovidio, dunque. Ma cambia l’età dei protagonisti. Non più giovani amanti alla ricerca di una gioia impossibile, ma anziani coniugi legati da una lunga consuetudine, fatta di cose semplici e di tranquilla, persino, solitaria, vita a due che non li ha esauriti nella reciproca intesa. Si racconta che un tempo, - quando sull’Olimpo vivevano gli dei dell’antica Grecia – Zeus volle discendere sulla terra per rendersi conto di come gli uomini si comportassero. Per questo, preso l’aspetto di un uomo qualunque, egli e il figlio Hermes, il quale per l’occasione si era tolto dai piedi le ali, si diedero a percorrere le vie della Grecia. I due pellegrini, così travestiti, giunsero in Frigia senza farsi riconoscere da nessuno. Qui, desiderosi di trovare un rifugio dove riposarsi, si misero a bussare di porta in porta chiedendo ospitalità. Si presentarono così a innumerevoli palazzi, ma dovunque furono scacciati e trovarono le porte chiuse a catenaccio. Giunsero finalmente ad un povera capanna, ricoperta di canne e di erbe palustri, dove abitavano due vecchietti della medesima età, la pia Bauci e il buon Filemone. In quella 44 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. capanna Filemone e Bauci avevano vissuto insieme fin dalla giovinezza; in quella erano invecchiati senza vergognarsi della loro povertà e sopportandola tranquillamente, tanto da non sentirne neppure il peso. Nell’umile dimora era inutile chiedere quale fosse il servo e quale il padrone: vi erano due sole persone, e tutte e due comandavano e ubbidivano a vicenda. Qui Zeus e Hermes trovarono pronta cordiale accoglienza. (…) I due anziani coniugi non si rendono conto a chi hanno aperto la loro capanna. Poi poco a poco accadono fatti che li stupiscono. Infatti (…) durante il pasto, ogni volta che il vaso del vino rimaneva vuoto, lo vedevano spontaneamente riempirsi, come se il vino sorgesse su dal fondo. Meravigliati per una cosa tanto straordinaria, Filemone e Bauci furono presi da timore, e, levando le mani al cielo, invocarono perdono per i cibi frugali e per la mancanza d’ogni apparato."Noi siamo proprio dei" dissero i due ospiti "e i vostri empi vicini subiranno la punizione che hanno meritato; voi invece rimarrete immuni dal flagello. Abbandonate dunque la vostra casa e seguiteci sulla cima del monte". Nicolaes Lauwers (1600-1652), Filemone e Bauci 45 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. L’ira degli dei si abbatté su tutto il territorio e sugli abitanti ostili e inospitali, che non avevano accolto i due dei pellegrini, alla ricerca di un luogo che li accogliesse. I due vecchi assistettero ad un’inondazione che trasformò quella terra in una tetra palude. Contemporaneamente (…) la vecchia capanna, piccola perfino per due soli padroni, ecco si converte in un tempio: i pali a sostegno del tetto si trasformano in colonne, la paglia della copertura diventa d’oro, il pavimento si copre di marmo, le porte appaiono magnificamente scolpite. Allora Zeus, parlò con benigna voce: "Ditemi ora, o buoni vecchi sposi, degni l’uno dell’altro, che cosa desiderate". Scambiate poche parole con Bauci, Filemone rispose: "Chiediamo di essere sacerdoti e di poter custodire il vostro tempio; e siccome abbiamo trascorso insieme d’amore e d’accordo tutta la vita, desideriamo di morire nel medesimo tempo, cosicché io non debba vedere il sepolcro della mia sposa, né essere da lei sepolto." Giunti al termine della vita, si trovarono per caso sui gradini del tempio a narrarne la storia ai visitatori. A un tratto Bauci vide Filemone mettere fronde, mentre il vecchio Filemone, dal canto suo, vedeva le membra di Bauci irrigidirsi e metter fronde anch’esse. Intanto che la cima degli alberi cresceva, i due sposi si scambiavano parole di saluto, fino a quando fu loro possibile. "Addio, sposo mio" si dissero a un tempo. I quello stesso momento le loro labbra scomparvero sotto la corteccia. Ancora oggi, in quel medesimo luogo, si possono vedere i due tronchi, l’uno accanto all’altro, nati dai due corpi. Filemone fu trasformato in quercia e Bauci in Tiglio, e tutt’oggi perdura il loro abbraccio. Come un albero solo, apparivano quei due tronchi di fronte al tempio. Due nature legate a formare una sola creatura. La morte li supera e non li tocca, li trasforma. Non vedono la sepoltura l’uno dell’altro e l’amore assoluto, nella semplicità del quotidiano, assume il valore di un antidoto non solo alla morte ma persino all’esperienza della morte della persona amata. Mentre Piramo e Tisbe, trovano nella morte la terra della loro unione, Filemone e Bauci sono premiati con la trasformazione della loro terra in un tempio che esce dalla sfera dei vivi ed essi stessi si mutano in una creatura non più umana. Non la morte li libera, ma la natura li libera dalla morte. Il tema è tutt’altro che semplice, perché si pone con esso l’arduo dilemma se la natura umana sia così intessuta di dolore da perdere se stessa nel momento in cui al dolore rinunci. A 46 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. prescindere comunque da questi dubbi, la fedeltà e la semplicità di Filemone e Bauci rappresentano un paradigma di positività non sempre compreso, al di là di certe zuccherose interpretazioni. La disincantata cortesia di Glauco, l’amabile virilità di Bellerofonte (Iliade VI, 144-211) Ed eccoci giunti a quella che considero la “akmè del nostro percorso, forse la chiave stessa di tutte le altre interpretazioni. Abbiamo a che fare con personaggi particolari e di straordinario fascino. Un guerriero un po’ filosofo: orgoglioso, ma cordiale; di nobile stirpe greca, ma schierato dalla parte di Troia per le inquietanti vicende nelle quali furono coinvolti i suoi antenati; ardito sfidante del più forte dei Greci in campo, Diomede, (Achille ancora si rifiuta di partecipare alle ostilità), il quale poi contro ogni previsione si scopre suo antico ospite. Glauco figlio di Ippoloco, discendente da antica stirpe d’eroi, interpreta alla perfezione la fedeltà emulativa ai suoi antenati, fra i quali spicca luminoso il principale protagonista della nostra riflessione: Bellerofonte, l’uccisore della Chimera, eroe spietato e fortissimo, ma anche obbediente e corretto. Eticamente irreprensibile, egli paga le conseguenze del suo irriducibile fascino. Ad un certo punto sul campo di battaglia vengono a fronteggiarsi due guerrieri: Glauco, giovane Licio e Diomede, signore di Argo. Questi si stupisce che qualcuno osi affrontarlo e gli chiede chi sia mai, se si renda conto di chi ha di fronte. A questo punto Glauco risponde: 47 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Magnanimo figlio di Tideo, perché domandi della mia stirpe? Come è la stirpe delle foglie, cosi quella degli uomini. Le foglie il vento le riversa per terra, e altre la selva fiorendo ne genera, quando torna la primavera; così le stirpi degli uomini, l'una nasce e l'altra dilegua. Uomini e foglie. Il paragone che avrà innumerevoli riprese nella letteratura dell’Occidente nasce qui. La fragilità della condizione umana è chiara a Glauco, che alle spalle ha innumerevoli storie di gloria e miseria. Egli ricorda come fra gli antenati ci fosse un suo omonimo, il padre di Bellerofonte, l’eroe perfetto τῷ δὲ θεοὶ κάλλός τε καὶ ἠνορέην ἐρατεινήν /ὤπασαν al quale gli dèi diedero come scorta bellezza e amabile virilità; Per queste sue doti Impazziva per lui la moglie di Proitos, la nobile Anteia, che voleva unirsi segretamente con lui, ma non persuase il saggio Bellerofonte, che aveva onesti pensieri. E allora, mentendo, la donna disse al re Proitos: "O muori, Proitos, o uccidi Bellerofonte, che contro la mia volontà volle unirsi con me". Così disse, e all'udirla la collera prese il sovrano: si trattenne dall'ucciderlo (ne ebbe ritegno nel cuore), ma lo mandò in Licia e gli diede una tavoletta piegata con su scritti segni funesti, parole capaci di dare morte, e gli ordinò di mostrarla al suocero, che lo uccidesse. Ma lui non senza la guida degli dèi andò in Licia, e quando fu giunto in Licia, al fiume Xanto, lo onorò in amicizia il re della vasta terra di Licia, lo ospitò per nove giorni, e ogni giorno uccideva un bue; ma quando per la decima volta sorse l'Aurora dalle dita di rosa, allora lo interrogò e gli richiese di mostrargli il segno che gli portava da parte del genero Proitos. 48 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. E quando ebbe avuto il funesto segno del genero, per prima cosa gli ordinò di uccidere la Chimera indomabile: era di stirpe divina e non umana, davanti era leone, di dietro serpente e in mezzo capra, e spirava la terribile forza del fuoco ardente. Bellerofonte la uccise, fidando nei segni divini. La seconda volta combatté coi gloriosi Solimi, la battaglia più dura, disse, mai sostenuta; la terza volta uccise le Amazzoni, donne virili, e mentre tornava, il re tramò un altro inganno: scegliendo i migliori guerrieri della terra di Licia, gli tese un agguato, ma non tornarono a casa; tutti quanti li uccise l’irreprensibile Bellerofonte. Giambattista Tiepolo, Bellerofonte uccide la Chimera, 1723 Quando il re comprese che era di stirpe divina, lo trattenne presso di sé e gli diede in sposa la figlia e metà di tutto il suo potere regale, e i Lici gli concessero un podere migliore degli altri, piantagioni di alberi e terreni seminativi. 49 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. La sposa al saggio Bellerofonte diede tre figli: Isandro, Ippoloco, e Laodamia. Con Laodamia si unì il saggio Zeus e generò Sarpedonte, guerriero divino, armato dell'elmo di bronzo. Quando anche Bellerofonte fu in odio a tutti gli dèi allora vagava da solo per la pianura di Alea, rodendosi il cuore ed evitando le orme degli uomini. Suo figlio Isandro lo uccise Ares, il dio insaziabile di guerra, mentre lottava coi gloriosi Solimi; Laodamia la uccise Artemide irata, la dea dalle redini d’oro. Ippoloco mi generò, e io mi dico suo figlio, e mi mandò a Troia, e mi raccomandava moltissimo di distinguermi sempre al di sopra degli altri, e non macchiare l'onore dei padri, che furono grandi sia in Efira e sia nella vasta terra di Licia. Di questa stirpe e sangue mi vanto di essere». Bellerofonte dunque è ἀµύµων “irreprensibile”. L’aggettivo è formulare e spesso perde il suo significato. Probabilmente indica la nobiltà dell’origine; è dotato di bellezza e di amabile virilità; non approfitta della moglie del re, che pure gli si offre senza ritegno; nel paese dove viene mandato rispetta i compiti senza discutere. L’obbedienza è davvero in questo caso una virtù “eroica”; raccoglie, grazie alle sue imprese il frutto della sua capacità di obbedire senza ribellarsi. La ricompensa sarà altissima e degna di un eroe. Ma il cuore del nostro ragionamento sono le due caratterizzazioni fondamentali di bellezza e virilità amabile: κάλλός τε καὶ ἠνορέη ἐρατεινή, indicate da parole che hanno di solito esiti diversi nelle traduzioni. La bellezza, κάλλος, non pone problemi, il termine è chiaro, κάλλος vuol dire bellezza e stop. L’espressione problematica è invece ἠνορέη ἐρατεινή tradotta da alcuni con “ardore invidiabile”, da qualcun altro persino “invidiabile bellezza e coraggio”, collegando l’aggettivo alla bellezza, più che al coraggio. Molto più vicina al testo è l’interpretazione di Monti: “E quel dolce valor che i cuori acquista”, che tuttavia sembra esageratamente più lunga sul piano testuale di 50 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. quanto non sia l’originale. Ebbene queste oscillazioni della traduzione sono emblematiche. La parola greca ἠνορέη è una variante dialettale poetica del più comune ἀνδρεία, che significa “coraggio, valore”. È il valore del maschio adulto, cioè il tratto che caratterizza l’uomo nella sua espressione matura e che abitualmente ha la sua traduzione operativa nelle imprese di guerra. Ecco perché l’ἀνδρεία difficilmente può essere amabile. Per questo qualcuno attribuisce l’aggettivo ἐρατεινή al sostantivo che significa bellezza; altri traducono acrobaticamente con “ardore invidiabile”. Questo perché non si dà alla parola ἠνορέη il suo autentico significato originario, ovvero “virilità”. E dunque dobbiamo recuperare un concetto antico al quale, tuttavia, non siamo abituati: la virilità può essere amabile. Su questa caratterizzazione io credo si gioca una sterzata, se così possiamo dire, dell’immaginario collettivo. In sostanza dobbiamo recuperare l’idea che non vi sia contraddizione fra la dimensione prettamente maschile, intesa come energia, forza e dinamismo fisico, ovvero quel tratto tipicamente maschile che è amato dalle donne, senza che questo aspetto perda nulla della sua seduzione se viene associato all’eleganza, alla finezza interiore e persino alla dolcezza, intesa come sensibilità affettiva e relazionalità gradevole. La parola ἐρατεινή è qui ambivalente. “Amabile” in senso estrinseco vuol dire “ricercata, oggetto di desiderio”. Ma in senso intrinseco significa “dotata di quella amabilità che la rende raffinata e mite”. Ben ne coglie il significato Monti, la cui traduzione è un ossimoro: “dolce valor”. Ma forse la contraddizione è solo apparente, nel senso tutto nuovo, ma in realtà antico, che la virilità non perde nulla del suo valore intrinseco se è amabile. Ovvero se si caratterizza, non per quei tratti fisiognomici che abitualmente la caratterizzano: ardimento, coraggio, orgoglio per il comando, forza fisica, rudezza di modi; ma per altri valori, che non sono meno maschili, come la capacità di affrontare le relazioni complesse, la fedeltà alla parola data, il rispetto per l’altro, l’assunzione delle proprie responsabilità anche in contesti difficili, l’energia che sa guidare i cambiamenti. Soprattutto, anche, la capacità di tollerare le sconfitte. La virilità insomma non è quella riduzione della figura maschile degradata, semplicistica, farsesca ed infantile che in questi anni abbiamo visto esprimersi in un machismo insulso e stupido che ha nella supremazia fisica sulla femmina e nella sicumera economica il cardine della sua identità. Nell’era dell’intelligenza, della comunicazione e delle relazioni, in una parola della Knowledge Society, i modelli di 51 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. forza non funzionano più, se non si riconvertono in energia intellettuale, in potenza creativa, in saldezza psicologica e coerenza etica. Bellerofonte e Glauco ci aprono ad un orizzonte inusitato della dimensione psicologica maschile. Esso implica anche una visione vagamente malinconica e disincantata della vita, come quella che Glauco lascia intuire nella sua risposta a Diomede. Non vorrei spingermi troppo in là. Tuttavia faccio notare come nel discorso che Glauco fa a Diomede sul campo di battaglia, ad un certo punto troviamo questo passaggio: Ippoloco mi generò, e io mi dico suo figlio, e mi mandò a Troia, e mi raccomandava moltissimo di distinguermi sempre al di sopra degli altri, e non macchiare l'onore dei padri, che furono grandi sia in Efira e sia nella vasta terra di Licia. Glauco insomma ha un Padre dietro di sé e dentro di sé; ha nella memoria personale fra gli antenati dei Padri che deve onorare. Figure maschili alle quali è legato da spirito di emulazione. Certo da un guerriero non potremo attenderci qualcosa di totalmente nuovo rispetto all’orizzonte della sua esperienza, però, qui noi che siamo alla ricerca di nuovi paradigmi e di nuovi padri, possiamo riconoscere in Glauco la stessa fedeltà al dovere e agli impegni che abbiamo visto in Bellerofonte. Gli altri protagonisti della saga hanno vissuto vicende tragiche ed esiti inquietanti; lo stesso Bellerofonte venne alla fine “in odio a tutti gli dei” e la sua gloria si scontrò con la loro invidia. Tuttavia queste vicende ci pongo di fronte nuovi lineamenti interiori, frammenti di un modo antico e originale di essere uomini, che forse può essere ripreso e rianimato dalla nostra, talora disorientata, modernità. Epilogo Non mancano anche altri esempi di relazione tali da sovvertire l’archetipo del maschio dominante. Che dire di Alcesti, la generosa consorte di Admeto, pronta ad affrontare la morte in sostituzione dello sposo, che non trova nessuno disposto a morire per lui. Lei sola è tanto generosa da rinunciare per il consorte (strano consorte davvero) 52 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. alla propria vita. Ma Eracle, il forte, rustico generosissimo Eracle, la strapperà a Thanatos, la Morte, e la riporterà alla vita. Tuttavia la sua sarà una vita d’ombra. Possiamo forse riconoscere in Alcesti l’ipostasi della fedeltà coniugale usque in effusionem sanguinis, o forse la dichiarazione di impotenza del coniuge, del rappresentante del cosiddetto sesso forte, che in realtà non sa assumersi le sue responsabilità? E ancora come valutare Orfeo, il Cantore Tracio, incapace di mantenere la promessa di non guardare l’amata, al momento di risalire dagli inferi, fino a quando non fosse tornato fra i vivi? Improvvisa follia lo colse, incauto, lui che amava come nessuno la dolce consorte: perdette lei e se stesso con lei. Fu follia o scelta di una distruzione comune? Queste figure si agitano ancora in noi e il loro influsso è fortissimo. Anche queste sono da annoverarsi fra gli archetipi di cui non abbiamo coscienza piena? Vorrei chiudere questa breve analisi con un pensiero di James Hillman: “…noi prendiamo ispirazione da Jung: «Gli Dei sono diventati malattie». Jung ci sta indicando che la causa formale dei nostri malesseri e delle nostre anormalità sono delle persone mitiche; le nostre malattie psichiche non sono immaginarie, bensì immaginali (Corbin). Sono anzi malattie della fantasia, sofferenze delle fantasie. Di realtà mitiche. L’incarnazione di eventi archetipici”2. Mi auguro che queste riflessioni possano aiutare quanti ricercano un senso nelle cose a non perdere il riferimento alla civiltà classica, la quale con i suoi miti i suoi personaggi, i suoi paradossi ed eventi prodigiosamente naturali, costituisce l’irrinunciabile patrimonio di fantasia e di immaginario, la cui potenza forse non ci è ancora perfettamente nota e chiara, e forse non si è ancora esaurita. 2 JAMES HILLMAN, La vana fuga dagli dei, Adelphi, Milano 1991, pp. 93 sg. 53 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. 54 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Il Comitato Unico di Garanzia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Marina Spallino Direttore Servizio Affari Generali e Presidente del CUG Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Nell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona è stato istituito nel 2011 il Comitato Unico di Garanzia per le Pari Opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora, e contro le discriminazioni, nel quale sono rappresentate tutte le professionalità presenti in Azienda; composto da un numero pari di componenti di nomina sindacale e aziendale. Il Comitato Unico di Garanzia è l’organismo che ha sostituito, unificandoli, i preesistenti Comitato per le Pari Opportunità e Comitati antimobbing, operando in un’ottica di continuità con le progettualità e le iniziative promosse e realizzate dai preesistenti Comitati. Il Comitato Unico di Garanzia attraverso il proprio ruolo propositivo, consultivo e di verifica intende perseguire le finalità di: - Contribuire ad assicurare nell’ambiente di lavoro parità e pari opportunità di genere, impegnandosi al fine di garantire l’assenza di qualunque forma di violenza morale e psicologica e di discriminazione, diretta e indiretta, relativa all’orientamento sessuale, alla razza, alla lingua, all’origine etnica, alla disabilità, alla religione ed alle condizioni personali e sociali; - Favorire la promozione di un ambiente di lavoro improntato al rispetto dei principi di pari opportunità, di benessere organizzativo e di contrasto a qualsiasi forma di discriminazione e di violenza morale e psichica nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici anche attraverso la promozione e la diffusione di una cultura orientata alla formazione e all’informazione in tema di pari opportunità e di rispetto della dignità della persona nel contesto lavorativo; 55 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. - Contribuire a promuovere la conciliazione tra impegni di vita privata e vita lavorativa a favore dei dipendenti dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata-Verona. Con particolare riferimento all’esigenza di contribuire a favorire il contrasto a qualsiasi forma di discriminazione, di mobbing e violenza morale e psichica è stato elaborato dal Comitato Unico di Garanzia il nuovo Codice di Condotta per la tutela della libertà e della dignità della persona, approvato dal Direttore Generale con deliberazione del 24.12.2014 n 872, in sostituzione del precedente Codice approvato nel 2011. L’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona si è dotata del Codice di Condotta con l’intendimento di perseguire la tutela dei diritti delle persone, verso i pazienti, gli operatori e tutti coloro che in Azienda svolgono la propria attività, nonché di garantire un ambiente di lavoro in cui i rapporti professionali e interpersonali siano improntati alla correttezza e reciproco rispetto. Il Codice di Condotta è documento ufficiale dell’Ente, previsto dall’Atto aziendale, e definisce i principi, i valori e le regole fondamentali di gestione dell’organizzazione per contrastare situazioni di disagio lavorativo e promuovere il benessere organizzativo, rappresentando un significativo segnale di attenzione da parte dell’Azienda verso i lavoratori e le lavoratrici con l’intendimento di promuovere un clima favorevole al rispetto delle libertà e della dignità della persona che lavora; il Codice integra, affianca e supporta le regole contenute nei contratti collettivi e nelle leggi. Con l’adozione del codice di condotta l’Azienda si è proposta di offrire uno strumento per contribuire a prevenire e contrastare l’insorgere di comportamenti quali discriminazioni, molestie, molestie sessuali, mobbing, che riguarda ogni forma di violenza morale e psichica ripetuta nel tempo, attuata nell’ambito lavorativo dal datore di lavoro o da altri dipendenti nei confronti di un lavoratore. Il Codice di condotta prevede che la persona che si ritenga oggetto di uno dei comportamenti discriminatori oggetto del Codice possa, fatta salva la tutela in sede 56 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. penale e civile, attivare delle procedure al fine di ottenere l’interruzione del comportamento o comunque di favorire il superamento della situazione. Figura centrale e indispensabile per l’attuazione del Codice di condotta è il Consigliere di fiducia. Il Consigliere di fiducia è uno specialista esterno chiamato ad affrontare il tema delle discriminazioni e in generale i comportamenti quali discriminazioni dirette o indirette, e di genere, molestie morali e sessuali, violenza psicologica e mobbing. Il percorso per l’individuazione del Consigliere di fiducia è stato gestito dal Comitato Unico di Garanzia su mandato della Direzione, e si è concluso con l’affidamento dell’incarico nel novembre 2011 all’avv. Francesca Briani, di recente prorogato fino a tutto il 2016. La Consigliera, dopo un primo periodo dedicato alla conoscenza reciproca dei Servizi, delle strutture e dell’organizzazione dell’Azienda (premessa indispensabile per poter svolgere al meglio il mandato conferito), svolge attività di ascolto, informazione e trattazione dei casi sottoposti alla sua attenzione ai fini della soluzione in conformità e secondo le indicazioni del Codice di condotta dell’AOUI. Nel corso del primo periodo di attività 2012-2014, la Consigliera, che riceve un pomeriggio alla settimana, ha trattato - come risulta dalla relazione presentata di recente- casi che hanno coinvolto 125 persone, tutti dipendenti a tempo indeterminato, la maggior parte dei quali ha avuto più di un colloquio. Sono stati portati alla sua attenzione comportamenti contrari ai valori della condotta etica quali discriminazioni, violenza psicologica, molestie morali e conflittualità nei rapporti interpersonali con superiori o colleghi tali da compromettere il benessere organizzativo; alla Consigliera non sono stati finora segnalati casi di mobbing o molestie sessuali. Oltre la metà dei casi (60%) sono stati risolti, per una parte (20%) è stato sufficiente un intervento di ascolto, il 15% esulava dalla competenza della Consigliera e alcuni sono in corso di trattazione. 57 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Alla Consigliera si sono rivolte in maggior parte donne (72%) in prevalenza a tempo pieno (79%), metà sono dipendenti delle professioni sanitarie, 10% medici, 40% personale tecnico amministrativo. Dell’adozione del Codice di condotta e della presenza della Consigliera di fiducia si è fin dall’inizio data comunicazione e diffusione, sia attraverso apposita sezione sulla intranet aziendale (che viene periodicamente aggiornata), sia attraverso una serie di incontri informativi con il personale e in occasione di convegni e di iniziative formative. La presenza in Azienda della Consigliera di fiducia, anche in considerazione del delicato momento socioeconomico che ha costretto a una importante revisione di spesa in area sanitaria, rappresenta un’opportunità in più non solo per i lavoratori ma anche per l’Azienda, per aiutare a cogliere i segnali che, se intercettati per tempo, possono contribuire ad evitare la dispersione e l’impoverimento delle risorse. 58 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Origine della cultura e violenza sociale Emmanuele Morandi, Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia Università degli Studi Verona 1. Premessa Un aspetto fenomenologico della violenza è il fatto che per la maggior parte dei casi essa non è mirata ad una vittima in quanto tale vittima, ma in quanto la vittima possiede “qualcosa” che il reo desidera: ricchezza, bellezza, potere etc. Tale constatazione puramente fenomenologica, che non ha la pretesa di coprire tutte le forme di violenza, ma sicuramente la maggior parte di quelle che abitano nelle nostre città e megapoli, ci segnala che la violenza pur colpendo la persona e trasformandola in vittima, in realtà è mossa da un desiderio che è determinato da un oggetto e non da una persona. La domanda allora è: chi, o cosa, determina e specifica i desideri? È fin troppo evidente che un desiderio lo si può soddisfare nel rispetto degli altri, oppure violando sia la legge sia la vita o la libertà degli altri. Ciò però non tacita la nostra domanda: chi determina la mia facoltà desiderante a volere questo o quello? Dove apprendiamo a desiderare ricchezza, potere e bellezza e ad aborrire sobrietà, modestia e austerità? Sicuramente, anche se non esclusivamente, apprendiamo a desiderare da modelli culturali la trasmissione dei quali ha, in alcuni casi, una storia molto antica. Il tentativo di porre questa domanda, una domanda che cerca di smarcarsi da uno sguardo che prende in considerazione l’intersoggettività della relazione violenta tra vittima, reo e società, per assumere uno sguardo che tematizza i modelli culturali che possono essere condivisi non solo dal violento e dalla vittima, ma anche da tante persone che si reputano “perbene”, è il vero problema che pone in relazione la cultura con la violenza. Desiderare ricchezza, dominio/potere e piacere, ad esempio, fini che spesso dominano l’agire umano, e desiderarli per se stessi, non fa problema nella misura in cui tali finalità risultano raggiungibili con mezzi legalmente riconosciti. Chi oggi osa 59 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. discutere i modelli culturali che propongono la ricchezza, il potere e il dominio come fini buoni in se stessi? Fini, tra l’altro, che risultano desiderabili proprio perché non sono accessibili a tutti, anzi solo perché non sono accessibili a tutti sono essenzialmente desiderabili. In questo contesto la teoria girardiana ci può offrire una decisiva comprensione sul significato e sulle dinamiche dei modelli culturali, una comprensione, a conoscenza di chi scrive, mai prima raggiunto. Il mimetismo girardiano riesce a farci comprendere come la violenza nasca dalla cultura e non dall’ignoranza, come vuole una vulgata, nonostante la lezione faucoultiana ed illichiana3, che vede nella scolarizzazione di massa uno degli strumenti per arginare il conflitto e la violenza sociale. Se da una parte, e per fortuna, non possiamo più accettare l’onirico sociologismo durkheiminano, cioè quella ingenua antropologia sociale che fa di ogni uomo il “prodotto” della società, rovesciando sui modelli culturali ogni tipo di responsabilità, e quindi implicitamente dichiarare l’assenza del colpevole, non possiamo neppure ingannarci raccontandoci che la cultura, non tutta ma soprattutto quella che si incarna energeticamente nei diversi ruoli sociali, sia estranea rispetto alla violenza sociale4. In altre parole, la cultura, quella che si implementa nei ruoli sociali, quella che si mostra “in carne ed ossa”, nelle “nostre carni ed ossa”, non è estranea alla violenza e questo proprio perché non è estranea alla determinazione di ciò che è desiderabile5. Tali contesti vanno studiati mettendo a tema quelle finalità sociali inscritte nei modelli culturali, modelli che immettono, spesso godendo di una totale immunità, una conflittualità permanente tra gli attori sociali. In questo modo, molto probabilmente, scopriremo che siamo un po’ tutti meno innocenti di quanto non siamo disposti a riconoscere; siamo un po’ tutti meno buoni di quanto non crediamo e, infine, siamo tutti, o quasi, co-responsabili di quelle violenze che si consumano quotidianamente. 3 Cfr.: Foucault M. (2001; 2010); Foucault M. (1998, in partic. L'etica di sé come pratica della libertà); Foucault M., (2001a; 1993); su Illich invece cfr. Illich I. (2005; 2005a; 2009; 2009a; 2009b; 2013). 4 Sul definitivo superamento della sociologia durkheimiana si vd. Archer M.S. (2007); della stessa autrice interessanti Archer M.S. (1997 e 2006) 60 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. 2. L’origine della cultura e la teoria mimetica Uno dei fondamenti della realtà umana che la teoria di René Girard va ad interrogare è la cultura e la sua genesi6. Porre questa domanda, ben prima di una sua risposta, è già un problema. Come tematizzare il fondamento e la genesi di ciò che rende possibile il linguaggio e il metalinguaggio che lo esplica e lo dice? In altre parole, come è possibile parlare dell’origine della cultura, se non utilizzando un determinato linguaggio che rende la cultura storica? L’origine della cultura non è un problema che si possa porre e risolvere con una strumentazione logico-linguistica o metodologica, ma è una questione che può essere affrontata rapportandosi alla storicità in cui queste due dimensioni dell’uomo, la natura e la cultura, entrano in una mutua e continua relazione morfogenetica. Gli uomini per Girard hanno una natura mimetica, per cui il loro intero apprendimento si attiva riproducendo la realtà con cui entrano in relazione, ma tale “riproduzione” non è assolutamente una ripetizione passiva bensì un atto generativo e generatore di cultura7: nell’imitazione è dunque contenuto quel fondamento nascosto e muto, ma anche quel principio generativo, in cui la natura si rende storica diventando cultura. In questo preciso punto, in questa “zona” di confine, si colloca il novum delle scoperte di Girard: «[...] Abbiamo bisogno – scrive l’autore - di una teoria che, come la teoria mimetica del capro espiatorio, sappia far luce sulla nascita della cultura e dell’attività simbolica nell’uomo partendo da un punto di vista strettamente naturalistico 5 Sul rapporto tra riflessione sociologica e morale, tema strettamente connesso alla dimensione del desiderio, vd. Colozzi I. (2004); vd. anche Donati P. (2010). 6 Per un’esposizione sintetica ed introduttiva del pensiero di Girard e della cosiddetta teoria mimetica, che ne costituisce il motore e la chiave di accesso, segnaliamo la prima monografia uscita in lingua italiana di Carrara A. (1985). Molto utile anche il capitolo “L’origine della cultura secondo l’antropologia mimetica” all’interno di un lavoro ben più ampio e ricco di sviluppi autonomi: Fornari G. (2006: 14-51). Per ragioni di spazio è impossibile in questa sede fornire una rassegna minimamente significativa della letteratura critica su Girard, anche limitandosi ai soli lavori in lingua italiana; pertanto consigliamo come primo orientamento: Casini F. (2006: 129-158). Tra le opere di René Girard segnaliamo Grard R. (1981; 1987; 1992; 1983; 1987; 1994; 1998; 2001; 2006; 2008). Da segnalare anche le raccolte di saggi girardiani: Girard R. (1998); Girard R. (1999); Girard R. (2000); Girard R. e Fornari G. (2002). Notevole anche il lavoro di approfondimento e diffusione del pensiero di Girard portato avanti da Giuseppe Fornari e Pierpaolo Antonello nell’ambito della collana “Girardiana” edita da Transeuropa e da loro curata, i quali intendono proporre una serie di testi di René Girard ancora inediti assieme a studi e proposte critiche che hanno al centro della propria discussione la teoria mimetica sviluppata dal pensatore francese: Girard R. (2005; 2006; 2006a; 2009); Barbieri M.S. e Morigi S., a cura di (2010); Ammannati R. (2010). Un ultimo filone che qui vogliamo porre all’attenzione del lettore è quello costituito dai più recenti libri-intervista, in cui l’ultimo Girard ripercorre la genesi delle proprie idee o tratta argomenti ed obiezioni poco affrontati nei suoi scritti anteriori: Girard R. (2005a; 2003; 2004). 7 Vedi a questo proposito il burrascoso rapporto di Girard con lo strutturalismo antropologico di Lévi-Strauss: «[Tutte le questioni antropologiche] convergono su un problema fondamentale: l’origine del pensiero simbolico. Se i sistemi simbolici non sono mai “lo sviluppo spontaneo di uno situazione di fatto”, se c’è rottura tra natura e cultura, la questione dell’origine si pone, e si pone con urgenza. Lévi-Strauss e in genere lo strutturalismo rifiutano di considerare il problema dell’origine se non in modo puramente formale. Il passaggio dalla natura alla cultura si radica nei “dati permanenti della natura umana”; non si ha motivo di interrogarsi su di esso. Sarebbe solo un falso problema da cui la scienza si tiene lontana.» Girard R (1992: 322). 61 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. e tenendo conto di tutti i condizionamenti biologici, etologici, antropologici [...]. Quello che ho sempre tentato di fare a proposito è elaborare una teoria della cultura umana che fosse uno strumento interpretativo di larga portata, e dove una grande varietà di fatti potesse rientrare in una sola cornice esplicativa.» (Girard R. 2003: 70 ss.). 8 Un aspetto decisivo, però, è che l’imitazione altro non è che il modo in cui la capacità desiderante che ogni uomo ha in potenza viene ad attuarsi. Il desiderio dunque si origina dall’uomo, ma la specificazione, cioè la determinazione oggettuale del desiderio si origina dalle nostre relazioni sociali. Tale determinazione, dal punto di vista sociale, la chiamiamo “modello”, dal punto di vista antropologico è imitazione: in altre parole, l’uomo impara a desiderare da un modello. Spesso ci focalizziamo sull’oggetto e non focalizziamo il processo attraverso il quale arriviamo a desiderare quel particolare oggetto. Non sono semplicemente gli oggetti in sé a generare e specificare i nostri desideri, ma i nostri desideri si determinano attraverso la mediazione di altri uomini: «Come dice il termine – sintetizza Fornari (2006: 15-16) – l’antropologia mimetica parte dall’imitazione, affermando che l’intero apprendimento umano si basa su di essa. Quest’imitazione o mimèsi non dev’essere intesa come una ripetizione meramente passiva, bensì come un processo dinamicamente attivo e generatore: la mente umana è una prodigiosa macchina di simulazione che, mediante un ininterrotto processo per tentativi ed errori, riproduce e per così dire rigenera dentro di sé la realtà. Tale riproduzione mimetica della realtà non è un processo astrattamente naturale, bensì concretamente culturale e relazionale: non è possibile imitare senza dei modelli dell’imitazione, a partire dai quali strutturare sistematicamente le conoscenze e i comportamenti»9. Lo scoperta mimetica consiste nel riconoscimento della natura mimetica del desiderio e dello svelamento delle conseguenze conflittuali che genera a livello sociale: «[…] Poiché gli oggetti che desideriamo - scrive Girard (2001: 28) - appartengono sempre al prossimo, è evidente che è quest’ultimo a renderli desiderabili […]. Generalmente si crede che il desiderio sia oggettivo o soggettivo: in realtà, esso si basa 8 Ancor più chiaramente, in un altro testo, scrive Girard: «Non c’è nulla o quasi, nei comportamenti umani, che non sia appreso, e ogni apprendimento si riduce all’imitazione. Se gli uomini, a un tratto, cessassero di imitare, tutte le forme culturali svanirebbero» Girard R. (1983: 22). 9 Così continua il testo di Fornari (2006: 16): «L’uomo costruisce la sua individualità e identità relazionandosi con i suoi simili e prendendoli come modello. [...]. Questi rapporti imitativi, di norma almeno in apparenza tranquilli, nascondono tuttavia degli esplosivi pericoli. L’imitazione, se controllata, è assolutamente indispensabile e positiva, e Girard l’ha ammesso nelle sue ultime opere, senza però riconoscere l’effettiva importanza di tale aspetto né tanto meno spiegarne le precise modalità, così che l’accento quasi esclusivo sugli aspetti distruttivi della mimèsi che è contenuto nelle sue opere principali non viene corretto, e lascia la fondata impressione che ai suoi occhi la mimèsi umana abbia in sé alcunché di violento. [...] Il fatto è che il pensatore francese ha reagito a una millenaria tradizione che vuole che l’imitazione sia qualcosa di neutro e inoffensivo». 62 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. su un altro che dà valore agli oggetti, su un terzo che è chi ci sta più vicino, il prossimo, appunto. […]. Una volta che i loro bisogni naturali sono soddisfatti, gli uomini desiderano intensamente ma senza sapere con esattezza che cosa, dato che nessun istinto li guida. Essi non hanno alcun desiderio proprio. Ciò che è proprio del desiderio è di non avere nulla di proprio. Per desiderare veramente, noi dobbiamo ricorrere agli esseri umani che ci circondano, dobbiamo prendere in prestito i loro desideri».10 Si innesta qui, come evidenzia Fornari, una relazione triangolare che investe soggetto, modello e oggetto: «La definizione del desiderio in un certo senso, la raggiungiamo ripercorrendone e rivivendone il processo, facendolo emergere attraverso la nostra esperienza, e questa esperienza che si fa consapevole ci attesta che il nostro desiderio funziona secondo una tipica configurazione a triangolo: 1) il “soggetto” o per meglio dire l’imitatore, che deve apprendere per imitazione come organizzare e orientare il suo desiderio; 2) il modello, che gli mostra cosa desiderare; 3) l’oggetto da desiderare che, oltre che materiale, può essere simbolico, psicologico, sociale e così via».11 L’oggetto può essere un’altra persona, uno status sociale, un simbolo, un comportamento, una conoscenza, qualsiasi “cosa” insomma. Ha inizio così, quasi banalmente, la mediazione esterna e acquisitiva: «Nella reale situazione triangolare del desiderio – scrive Fornari (2006: 16-17) – è il modello che funge da mediatore fra colui che lo imita e l’oggetto dell’imitazione. Noi desideriamo soltanto ciò che ci viene consapevolmente o inconsapevolmente mostrato come desiderabile, ed essendo l’oggetto desiderato di necessità il medesimo, il mediatore che ce lo rende desiderabile tende facilmente a diventare il rivale, l’ostacolo da superare per impossessarsi dell’oggetto, che più risulterà irraggiungibile più apparirà desiderabile, indipendentemente dal suo valore reale. L’imitazione acquisitiva o per il possesso porta così alla rivalità per il possesso». La dialettica mimetica non si ferma certo qui, essa si intensifica diventando una forza interna di straordinaria potenza; il desiderio, ormai determinato dall’oggetto, tende a spostare l’acquisizione oggettuale sullo sfondo e a concentrare la rivalità proprio sui 10 In un altro testo Girard spiega anche la scelta del termine greco mimesis, scelta che ha una matrice sociologica: «Invece del termine sterile di imitazione, – scrive Girard – adopero dunque il termine greco di mimesis senza adottare per questo una qualche teoria platonica della rivalità mimetica che peraltro non esiste. Il solo interesse del termine greco è che rende concepibile l’aspetto conflittuale dell’imitazione pur non rivelandone mai la causa. Questa causa, ripetiamolo ancora, è la rivalità per l’oggetto, la mimesi d’appropriazione da cui bisogna sempre partire.» Girard R. (1983: 35). 11 Così continua il testo di Fornari : «Al contrario di quanto credono il senso comune e la concezione romantica, che vedono il soggetto come preesistente al suo desiderio e il desiderio come una relazione lineare e binaria fra soggetto e 63 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. soggetti in gioco: imitatore e modello rafforzano intensivamente la loro conflittualità perché entrambi, nel desiderare il medesimo oggetto, confermano il valore del loro desiderio: «Il materializzarsi improvviso di un rivale – scrive Girard (2001: 29) – sembra confermare la fondatezza del desiderio, l’immenso valore dell’oggetto desiderato. L’imitazione s’intensifica più che mai all’interno dell’ostilità, ma i rivali fanno il possibile per nascondere agli altri e a se stessi la causa di tale fenomeno. È vero anche l’inverso. Imitando il suo desiderio io do al mio rivale l’impressione che egli abbia delle buone ragioni per desiderare ciò che desidera, per possedere ciò che possiede, e l’intensità del suo desiderio raddoppia. [...] Dando al mio modello un rivale, io gli restituisco, per così dire, il desiderio che egli mi presta: do un modello al mio proprio modello, e lo spettacolo del mio desiderio rafforza il desiderio dell’altro nel momento esatto in cui questo, opponendosi a me, rafforza il mio».12 La rivalità ha il suo inizio in una competizione per l’oggetto, ma l’oggetto progressivamente perde la sua centralità e l’antagonismo si sposta sempre più inesorabilmente in direzione dei soggetti/cerchie sociali (imitatore e rivale), fino a perdere la sua rilevanza: «Più si esasperano le rivalità, – continua Girard (1983: 43-44) – più i rivali tendono a dimenticare gli oggetti che al principio la causano, e più sono affascinati gli uni dagli altri. La rivalità, insomma, si purifica di qualsiasi esteriore posta in gioco, si fa rivalità pura o di prestigio. Ogni rivale diventa per l’altro il modelloostacolo adorabile e odioso, colui che bisogna insieme abbattere e assorbire. La mimesi è più forte che mai, ma ora non può più esercitarsi al livello dell’oggetto, perché non c’è più oggetto. Ci sono oramai solo degli antagonisti che designiamo come doppi poiché, dal punto di vista dell’antagonismo, non li separa più nulla». Entriamo nella spirale del “doppio vincolo” che nella sua semplicità descrive perfettamente la conflittualità nella sua dialettica sociale: «[...] Girard – scrive Fornari G. (2006: 20) – presenta il doppio vincolo come il paradosso tipico della sua mediazione interna rivalitaria. Il modello del desiderio lancia implicitamente all’imitatore il messaggio: “sii come me!”, ma quando l’imitatore obbedisce a tale comando ciò provoca la rivalità, per cui il modello gli manda il messaggio opposto: “Guai a te se sei come me!”; siccome però nella relazione il modello è portato a sua volta a confermarsi in quanto modello, questo farà sì che, una volta che l’imitatore si oggetto, il concetto di imitazione acquisitiva ci costringe a vedere la struttura ternaria del nostro comportamento e la sua dipendenza sociale dagli altri che ci fanno da modello» Fornari G. (2006: 17). 12 Non va mai dimenticato, per chi è digiuno delle analisi girardiane, che il linguaggio dell’autore molto spesso psicologico è in realtà assai più adeguato e pregnante per l’analisi sociologica, cioè per l’analisi delle dinamiche dei gruppi, o simmelianamente, delle cerchie sociali. 64 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. allontana, il modello ritorni a lanciare il messaggio iniziale, con un esasperarsi della mediazione mimetica: più l’imitatore segue il primo comando più il modello gli infliggerà il susseguente divieto, ma più l’imitatore si conforma al divieto più l’altro ribasice il suo ruolo, ritornando all’ingiunzione iniziale».13 I rivali diventano dei doppi, non si differenziano più gli uni dagli altri. L’antagonismo per sua propria logica si accresce smisuratamente e i doppi si scontrano simmetricamente e si assomigliano sempre di più: la mediazione esterna, che si giocava sul piano dell’oggetto acquisitivo, diventa ora mediazione interna. Nella mediazione interna il gioco, mi si perdoni l’espressione, si “fa pesante” perché le identità e le differenze precipitano in un caos primordiale dove l’io e l’altro, prima separati, si rincorrono in un circolo vizioso inarrestabile: «I doppi – scrive Girard (1992: 224) – sono tutti intercambiabili senza che la loro identità sia riconosciuta; le differenze non sono abolite ma confuse e mescolate».14 In questo preciso momento della dialettica rivalitaria, un momento che può anche assumere i tratti di una cieca violenza, si apre il baratro sacrificale. La rivalità rende i due antagonisti, individui o collettività, simmetrici, identici: entrambi compiono gli stessi gesti, adottano le stesse strategie per appropriarsi dell’oggetto che altro non è diventato che la conferma della desiderabilità del loro desiderio: «Le parti in gioco – commenta Fornari G. (2006: 21) - credono di accentuare e confermare sempre più le loro differenze, e invece manifestano sempre più l’identità dei loro desideri. Il momento finale in cui si realizza questa simmetira speculare è la violenza dei doppi, in cui la rivalità non ha più freni di sorta e diventa desiderio di distruggere in modo totale il nemico, situazione che si può sviluppare contagiosamente in un processo a catena suscettibile di coinvolgere un’intera collettività». È evidente che la vita sociale non potrebbe reggere alla contagiosità mimetico/rivalitaria, forse non potrebbe neppure sorgere, se «la violenza di tutti contro tutti […] non si trasformasse spontaneamente, automaticamente, in un tutti contro uno 13 Così continua il testo di Fornari G. (2006: 20): «Comunque vada, il modello conferma sempre più la sua superiorità, mentre l’imitatore sarà da parte sua sempre più disorientato, avvertendo la propria incapacità di soddisfare ai comandi contraddittori dell’altro come una colpa o inferiorità costitutiva». 14 A proposito delle differenze Fornari G. (2006: 19) scrive: «[...] la polarizzazione mimetica accantona l’oggetto, di per sé l’obiettivo “naturale” del desiderio, e si fissa solo sul modello, che viene gradatamente investito di una superiorità irreale, ed è trasformato nel modello-ostacolo che domina il campo cancellando ogni altra cosa. [...] La rivalità fa emergere il paradosso profondo in cui vivono gli esseri umani: essi si invidiamo e odiano non per ciò che hanno di irriducibilmente diverso, come crede una versione di tipo romantico, ma per ciò che hanno di simile, anzi di identico». Sullo stesso tema Girard R. (1992: 77) afferma: «Nella religione primitiva e nella tragedia opera uno stesso principio, sempre implicito ma fondamentale. L’ordine, la pace e la fecondità riposano sulle differenze culturali. Non sono le differenze ma la loro perdita a provocare la rivalità pazza, la lotta a oltranza tra gli uomini di una stessa famiglia o di una stessa società. Il mondo moderno aspira all’uguaglianza tra gli uomini e tende istintivamente a 65 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. che permette al gruppo di ritrovare la propria unità. La vittima di uno stato di frenesia mimetica è selezionata dallo stesso processo mimetico, e sostituisce tutte le altre vittime che la folla avrebbe potuto scegliere qualora le cose fossero andate diversamente» (Girard R. 2001: 46). A un certo punto la crisi mimetica, fonte di una conflittualità sociale diffusa e sempre in procinto di precipitare la comunità nel baratro della violenza totale, si risolve passando da un antagonismo uno contro uno (sia di individui sia di gruppi sociali) all’opposizione di tutti contro uno. La comunità si scarica di ogni responsabilità attribuendo la colpa dei conflitti interni a una vittima (individuo o gruppo) e supera la crisi attraverso la violenza sacrificale di una vittima. La risoluzione improvvisa della crisi e il ritorno della pace sono dati dall’uccisione di una vittima (che può essere, non è inutile ripeterlo, anche un gruppo sociale) sulla quale si concentra la violenza di tutti: «[...] un membro del gruppo, – scrive Fornari G. (2006: 23) – per un motivo qualsiasi, (un difetto fisico o una qualche diversità, ciò che Girard chiama segno vittimario), attira l’attenzione di altri, e questo è già sufficiente a rompere la simmetria. La polarizzazione mimetica si può ora rapidamente concentrare, in forza di un identico processo contagiosamente imitativo, sulla vittima prescelta, che diventa l’unico bersaglio della violenza scatenata di tutti. Di colpo ritorna l’accordo, e questo accordo spontaneo ed unanime può significare soltanto l’uccisione della vittima, su cui si concentra il mimetismo ormai incontrollabile del gruppo».15 La rivalità ha una altissima contagiosità in grado di trasformare una contesto conflittuale interindividuale in malattia collettiva. È in questo preciso istante che la comunità, polarizzando e scaricando le molteplici conflittualità che essa, e solo essa, genera su una vittima, riesce a liberarsi dal proprio disordine interno, disordine che è vedere nelle differenze, anche se queste non hanno nulla a che vedere con la condizione economica o sociale degli individui, altrettanti ostacoli all’armonia tra gli uomini». 15 Girard afferma ancor più radicalmente «Una volta che la povera vittima è completamente isolata e priva di difensori, niente la può salvare dalla folla scatenata. Tutti possono accanirsi concordi contro di lei senza timore della minima rappresaglia. [...] Dato che ormai nessuno nel gruppo ha un nemico diverso dalla vittima designata, una volta che questa è cacciata, espulsa, annientata, la folla si ritrova priva di conflitti, senza più nemici [...]. Perlomeno in via provvisoria, la comunità non prova più né odio né risentimento verso chicchessia, si sente purificata da ogni sua tensione, da ogni sua divisione e frammentazione» Girard R. (2001: 59- 60). Esistono degli aspetti di selezione vittimaria che possono essere culturali, religiosi o fisici: «La gente – continua Girard – mostra di avere quella che si potrebbe chiamare un’antipatia naturale per le eccezioni o per le deformità fisiche, che tende a interpretare come segni di vittimizzazione. [...]. Tali segni preferenziali di vittimizzazione vengono presentati come il motivo per colpevolizzare qualcuno, motivo non valido naturalmente, ma che non ci permette di parlare di puro caso nella designazione della vittima. In generale, le infermità vengono interpretate come segni di colpa» Girard R. (2003: 41). Ancora a proposito della selezione vittimaria, Girard afferma: «I Vangeli suggeriscono che esiste in ogni comunità, e non solo presso gli Ebrei, un processo mimetico di espulsione, di cui i profeti sono le vittime preferenziali, un po’ come tutti gli esseri eccezionali, gli individui che per le più svariate ragioni non sono simili agli altri. Possono diventare vittime di questo processo gli zoppi, gli infermi, le persone svantaggiate o handicappate, gli individui mentalmente ritardati, ma anche le personalità di grande carisma religioso come Gesù e i profeti ebraici, oppure, ai 66 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. violenza, molto spesso pura violenza: «Accade che improvvisamente, – scrive Girard (2003: 36) – nella frenesia della violenza mimetica collettiva, si crei un punto focale nella forma di un colpevole, colui che viene identificato e ucciso con la partecipazione unanime di tutta la comunità. Naturalmente non è più colpevole di chiunque altro, ma l’intera comunità crede che lo sia. Il meccanismo mimetico chiude la crisi con il trasferimento unanime della colpa su una vittima».16 Il meccanismo mimetico, e importante questa considerazione girardiana, ha un carattere inconsapevole. La comunità crede fermamente nella colpevolezza della vittima e si ritiene legittimata ad assegnarle la responsabilità della crisi mimetica. Non riesce invece a scorgerne l’innocenza: «Questo è il ruolo chiave – continua Girard R. (2003: 45) – della méconnaissance (misconoscimento) nel processo mimetico: permette di avere l’illusione di accusare qualcuno che si crede veramente colpevole e che quindi merita di essere punito. Per poter avere un capro espiatorio bisogna che uno non sia in grado di percepire la verità delle cose e di conseguenza non possa rappresentare la vittima come capro espiatorio. La rappresenterà invece come responsabile della crisi mimetica, così come avviene nella mitologia»17. In questo modo si consuma il passaggio dalla violenza al sacrificio, ed è un passaggio decisivo per comprendere la potenza dei modelli culturali nei confronti delle singole esistenze. La violenza, nelle sue molteplici forme, consuma se stessa, in un atto che in sé è tanto distruttivo della vittima quanto autodistruttivo della violenza del carnefice; nel sacrificio, invece, la violenza funge da potenza pacificatrice di una collettività contagiata intimamente da essa; un torsione, quella tra violenza e pace, che è il vero scandalo che suscita la teoria mimetica. Chi può reggere una luce così accecante? Come è possibile pensare un rapporto, quasi una indistinzione, tra violenza e pace? La pace non appare in questo contesto come l’accogliente dimora in cui si occulta la violenza?18: «Se il sacrificio – scrive Girard R. (1983: 41) – conclude i riti, deve apparire alle società religiose come la conclusione della crisi mimetica messa in scena da questi riti. L’intero nostri giorni, i grandi artisti o i grandi pensatori. Tutti i popoli hanno la tendenza a espellere, con un pretesto o con l’altro, chiunque vada al di là della loro nozione di ciò che è normale e accettabile» Girard R. (2003: 47-48). 16 Riguardo il meccanismo mimetico Girard R. (2003: 39) scrive: «Il meccanismo mimetico è meccanico perché si sviluppa a fasi e ogni face produce o favorisce l’apparire della successiva. La rivalità mimetica iniziale coinvolge un numero sempre maggiore di membri della comunità fino a che l’effetto cumulativo la trasforma in crisi mimetica e quindi in risoluzione vittimaria. Questo non significa però che il meccanismo mimetico sia deterministico perché non implica affatto che ogni gruppo sociale che si trovi in una situazione di crisi mimetica giunga necessariamente alla risoluzione del capro espiatorio». 17 In modo lapidario Girard afferma: «Capro espiatorio designa simultaneamente l’innocenza delle vittime, la polarizzazione collettiva contro di esse e la finalità collettiva di questa polarizzazione […]. La polarizzazione esercita una tale costrizione sui polarizzati che per le vittime è impossibile giustificarsi» (Girard R. 1987: 70). 67 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. uditorio è tenuto, in numerosi riti, a prender parte all’immolazione, che somiglia al linciaggio in modo tale che si può scambiare l’una per l’altro. Anche laddove l’immolazione è riservata a un unico sacrificatore, costui di norma agisce in nome di tutti i partecipanti. Nell’atto sacrificale si afferma l’unità di una comunità e questa unità sorge nel parossismo della divisione, nel momento in cui la comunità si ritiene lacerata dalla discordia mimetica, votata alla circolarità interminabile delle rappresaglie vendicatrici. [...] Si capisce facilmente in cosa consiste questa risoluzione sacrificale: la comunità si ritrova completamente solidale, a spese di una vittima non solo incapace di difendersi, ma del tutto impotente a suscitare la vendetta; la sua persecuzione non potrebbe provocare nuovi disordini e ravvivare la crisi poiché unisce tutti contro di essa. Il sacrificio è solo una violenza in più, una violenza che si aggiunge ad altre violenze, ma è la violenza ultima, l’ultima parola della violenza»19. 3. Conclusione Il legame sociale, questa è la scoperta che Girard ci consegna, è intessuto di una rivalità potenzialmente illimitata, rivalità che porta in sé un paradosso gordiano, perché essa esplode non nonostante la vicinanza tra gli individui o i gruppi sociali, ma precisamente a causa di essa; la vita sociale si presenta dunque come luogo in cui gli uomini competono tra di loro - fino alle possibilità dell’annientamento nelle sue varie forme - esattamente per le stesse ragioni per le quali si cercano e vivono insieme. Tali modelli culturali quando ricevono la loro consacrazione nei ruoli sociali e in quelli istituzionali, spesso allargati dall’enorme potere dei media e dei nuovi media, è inevitabile generino un escalation rivalitario-conflittuale senza precedenti nella storia sociale. Quando ricchezza, successo, potere e bio-potere – tematiche assai care ad una stagione della riflessione sociologica e di critica sociale orami tramontata - assumono 18 Su questo tema vd. L’importante: Ceruti M. e Fornari G. (2005). A proposito delle vittime: «Se si osserva la gamma formata dalle vittime, in un panorama generale del sacrificio umano, ci si trova, a quanto pare, di fronte a una lista estremamente eterogenea. Ci sono i prigionieri di guerra, ci sono gli schiavi, ci sono i fanciulli e gli adolescenti non sposati, ci sono gli individui minorati, e i rifiuti della società come il pharmakos greco. In certe società, infine, c’è il re. [...] esseri che non appartengono affatto, o ben poco, alla società, i prigionieri di guerra, gli schiavi, il pharmakos. Nella maggior parte delle società primitive, neppure i fanciulli e gli adolescenti non ancora iniziati appartengono alla comunità; i loro diritti e i loro doveri sono pressoché inesistenti. Per il momento abbiamo a che fare soltanto con categorie esterne o marginali che non possono mai intrecciare con la comunità legami analoghi a quelli che uniscono tra loro i membri di questa. A impedire alle future vittime di integrarsi pienamente nella comunità, può essere ora la loro qualità di stranieri o di nemici, ora l’età, ora la condizione servile.» (Girard R. 1992: 27-28). 19 68 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. connotazioni valoriali che strutturano le tante costellazioni dei tanti ruoli sociali, la inequivocabile interdipendenza sistemica che lega fortissimamente i ruoli sociali tra loro enfatizza in modo incontrollabile il contagio rivalitario-mimetico, rendendola una prassi sociale quotidiana. Proprio i ruoli sociali, sia quelli accessibili a tutti sia quelli più fortemente istituzionalizzati, caricandosi irresponsabilmente di desiderabilità in chiave mimeticorivalitaria e caricandosi di funzioni sempre più connesse al piacere/potere introducono una diffusa e inquietante tensione sociale. I ruoli sociali diventano il medium pragmatico di una indefinita moltiplicazione di modelli mimetico-rivalitari che abbracciano mortalmente l’intera vita sociale. Processi selettivi e di governance introducono tra valutatori e valutati, tra canditati e commissioni, tra eletti ed elettori, tra amministratori e amministrati vincoli di valori desiderabili che si ispirano al successo, al denaro, al piacere e al potere. Ogni critica a quei modelli sembra cadere nel vuoto di un puro moralismo, ma in realtà quei modelli producono non solo trasformazioni ma trasformazioni che generano una Arena sociale probabilmente senza precedenti. La scoperta girardiana ci mostra che la violenza mimetica prima di consumarsi su un capro espiatorio si esaspera in una crisi identitaria che rivela come nel cuore della conflittualità mimetica si nasconde il desiderio di essere l’altro. La struttura della personalità, che oggi va ad occupare uno o più ruoli carichi di relazioni sempre più qualificabili in chiave mimetico-rivalitaria, non può cambiare pressoché nulla facendo affidamento solo sulla forza ed energia individuale o personale; anzi a livello psichico l’aumento indefinito di possibilità, e quindi di contingenza sociale, rende ogni legame sociale fragile e in continua latenza, cosicché il desiderio di essere l’altro appare sempre più spesso una sorta di aspirazione insopprimibile nei confronti della perdita di identità sociale, ancoraggio che assume i volti di una rivalità globalizzata. La piscologizzazione della vita pubblica, che quotidianamente affligge la nostra cultura mass-mediatica, peggiora le cose, e non potrebbe essere diversamente, in quanto spostando l’attenzione pubblica su ciò che non è determinante sul piano sociale - in quanto determinanti sono i contenti culturali implementati nei ruoli - produce una sorta di distorsione collettiva nella lettura dei processi socio-culturali. Assumere fino in fondo la lezione girardiana, significa sollevare invece il “velo di Maya” di quali responsabilità ogni ruolo, ma proprio ogni ruolo, ha nello spingere le relazioni sociali verso la violenza rivalitaria. Certamente la riflessione girardiana non è 69 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. una riflessione che incoraggia un autostima sociale, siamo un po’ tutti meno buoni di quanto non pensassimo di essere, ma evita sicuramente di pensare che la violenza sia una questione che interessa “altri” e non le nostre quotidiane pratiche di vita. Riferimenti bibliografici Ammannati R. (2010). Rivelazione e storia. Ermeneutica dell'Apocalisse. Massa: Transeuropa. Antonello P. e Fornari G., a cura di (2009). Identità e desiderio. La teoria mimetica e la letteratura italiana. Massa: Transeuropa. Archer M.S. (1997). La morfogenesi della società. Milano: franco Angeli. - (2006). La conversazione interiore. Come nasce l’agire sociale. Trento: Erickson. - (2007). Essere umani. Il problema dell’agire. Genova-Milano: Marietti 1820. Barbieri M.S., a cura di (2006). La spirale mimetica. Dodici studi per René Girard. Massa: Transeuropa. Barberi M.S. e Morigi S., a cura di (2010). Religioni, laicità, secolarizzazione. Il cristianesimo come "fine del sacro" in René Girard. Massa: Transeuropa. Bobbio N. e Bovero M. (1984). Società e stato nella filosofia politica moderna. Milano: Il Saggiatore. Carrara A. (1985). Violenza, sacro, rivelazione biblica. Il pensiero di René Girard. Milano: Vita e Pensiero. Casini F. (2006). 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Il ciclo della violenza: una questione sociale M. Gabriella Landuzzi Dipartimento Tesis,Università degli Studi di Verona Premessa La WHO - World Health Organization (1996) definisce il fenomeno violenza come “l’utilizzo intenzionale della forza fisica o del potere, minacciato o reale, contro se stessi, un’altra persona, o contro un gruppo o una comunità, che determini o che abbia un elevato grado di probabilità di determinare lesioni, morte, danno psicologico, cattivo sviluppo o privazione” e lo considera come uno dei problemi di salute pubblica mondiale più grandi e in crescita. L’Assemblea sulla Salute Mondiale ha evidenziato in una delle risoluzioni, le gravi conseguenze della violenza – sia nel breve che nel lungo termine – a livello individuale, familiare, comunitario e sociale relativo ad interi paesi, e ha sottolineato i danni prodotti dagli effetti della violenza sui servizi di salute pubblica (WHO 2002). In particolare, la forma di violenza maggiormente riconosciuta e prevalente è quella agita nei confronti delle donne soprattutto in ambito domestico, un fenomeno trasversale che non si circoscrive all’interno di determinate fasce sociali e che rappresenta il caso più frequente di mancato rispetto dei diritti fondamentali delle donne stesse. Si definisce violenza domestica “ogni forma di violenza fisica, psicologica o sessuale che riguarda tanto soggetti che hanno, hanno avuto o si propongono di avere una relazione intima di coppia, quanto soggetti che all’interno di un nucleo familiare più o meno allargato hanno relazioni di carattere parentale o affettivo” (WHO, 1996), una violenza che è culturalmente influenzata e che risente dei cambiamenti di valori e norme sociali. Uno sguardo ai dati Partendo da un dato generale dell’Unione Europea del 2014, la violenza contro le donne è stata analizzata attraverso una ricerca effettuata su 42 mila donne appartenenti ai 28 Stati Membri dell’UE, attraverso interviste sulla loro esperienza relativamente a 73 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. episodi di violenza fisica, sessuale e psicologica, nonché “violenza domestica” (fra.europa.eu - 2014). I dati emersi evidenziano che il 33% della popolazione femminile in Europa (pari a 62 milioni di donne) ha subito violenza fisica, psicologica o sessuale almeno una volta nella vita e che tra esse, oltre i due terzi non ha denunciato la violenza ricevuta da parte del partner. Smontando ogni stereotipo, i dati sottolineano che in UE la violenza è maggiore nei Paesi ritenuti maggiormente paritari e dove i tassi di occupazione femminile risultano più elevati come ad esempio la Danimarca dove il 70% delle donne lavora ma che è caratterizzata dal 52% di vittime oppure la Finlandia (con il 47% di vittime) , la Svezia (46%) e l’Olanda (45%). 74 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Tali dati impongono riflessioni approfondite ed esprimono la necessità di porre attenzione a variabili diverse e relative all’intero sistema culturale, territoriale, economico: il sistema pensionistico (in Danimarca ad esempio, le donne vanno in pensione almeno a 70 anni e quindi risultano esposte per un tempo particolarmente lungo a episodi di molestia o violenza ad esempio, nei luoghi di lavoro), il consumo di alcol, la consapevolezza delle donne nel definire violenti alcuni comportamenti. Rispetto a questi Paesi, il dato europeo mostra che in Italia le vittime rappresentano il 27% (apparentemente in calo rispetto al 32% evidenziato dall’ultima indagine Istat nel 2006). Osservando i dati Eures nel 2013 in Italia sono state uccise 179 donne (che corrisponde quasi a una vittima ogni due giorni); nel 68,2% dei casi ovvero 7 donne su 10 (pari a 122 in valori assoluti) le donne sono state uccise all'interno del contesto familiare/ affettivo. Il dossier sottolinea che si sta "consolidando un processo di femminilizzazione nella vittimologia dell'omicidio particolarmente accelerato negli ultimi 25 anni, considerando che le donne rappresentavano nel 1990 appena l'11,1% delle vittime totali" (www.eures.it). Come? Le forme della violenza La violenza si manifesta in diversi modi che raramente si presentano singolarmente e che sono così sintetizzabili: violenza fisica o maltrattamento fisico. Rappresentabile sia come attacco diretto, sia come forma d’intimidazione. È caratterizzata da comportamenti come spintonare, costringere nei movimenti, sovrastare fisicamente, rompere oggetti per intimidire l’altro, sputare contro, dare pizzicotti, mordere, tirare i capelli, gettare dalle scale, cazzottare, calciare, picchiare, schiaffeggiare, bruciare con le sigarette, privare di cure mediche, privare del sonno, sequestrare, impedire di uscire o di fuggire, strangolare, pugnalare e nei casi più estremi, uccidere; violenza psicologica. Rappresenta ogni forma di abuso e mancanza di rispetto volto a ledere l'identità della persona. E’ una forma di violenza subdola e la persona che ne è oggetto si sente priva di valore; ciò spesso determina l'accettazione di ulteriori comportamenti violenti. Soprattutto nella coppia, questi sono atteggiamenti che spesso si insinuano gradatamente nella relazione e che finiscono con l'essere accettati dalla donna come 75 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. “normali” al punto da non essere più considerati come dannosi e lesivi per la sua identità, procurando grande sofferenza. Si manifesta con molteplici tipologie e modalità come svalorizzare, trattare la donna come un oggetto a propria disposizione, attribuirle eccessive responsabilità nei fatti anche non conducibili direttamente a lei, indurre senso di privazione, distorcere la realtà oggettiva dei fatti; violenza sessuale. Definisce ogni imposizione di pratiche sessuali non desiderate. Si intende ogni atto sessuale attivo o passivo, imposto alla vittima mediante violenza fisica, minacce o abuso di autorità come coercizione alla sessualità, essere insultata, umiliata o brutalizzata durante un rapporto sessuale, la costrizione ad un rapporto sessuale non desiderato, essere obbligata a ripetere delle scene pornografiche ed essere “prestata” ad un terzo per un rapporto sessuale; violenza economica o maltrattamento economico. È caratterizzato da privazione, controllo o dipendenza economica dalla persona che la esercita e che limita l’accesso all’indipendenza economica dell’altro. Questo tipo di violenza è spesso usata dall’uomo al fine di mantenere saldo il potere, di esercitare il controllo e di assoggettare la donna. Il denaro viene utilizzato, consapevolmente o inconsapevolmente, per tenere la donna ancorata alla relazione, la donna può avere paura di cadere in povertà o di perdere status sociale. Alla donna viene vietato ad esempio di svolgere un lavoro o un percorso formativo, viene sfruttata come forza lavoro, ricoperta di debiti, limitata e privata del denaro o costretta a versare lo stipendio sul conto dell’uomo. Spesso la violenza economica viene accettata dalla società come un delitto “minore” sminuendone il significato e il “peso”; violenza assistita. È quella violenza fisica, psicologica, sessuale, economica compiuta sulle figure di riferimento di un/una minore e/o su altre figure significative, adulte o minori. Di questa violenza il/la minore può farne esperienza diretta vedendo o sentendo e/o indiretta essendone solamente a conoscenza ma percependone comunque gli effetti. Per la/il bambina/o o adolescente vivere in continua situazione di stress, tensione, ansia e assistere regolarmente alla violenza esercitata da uno dei due genitori contro l’altro, produce danni di varia natura. Le vittime in questo caso sono bambini che corrono il rischio di diventare adulti con difficoltà a trovare un proprio equilibrio e a costruire relazioni sane; comportamento persecutorio, “stalking”, "Molestie Assillanti". 76 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. È un insieme di comportamenti intrusivi e reiterati di sorveglianza, controllo, ricerca di contatto e comunicazione, nei confronti di una vittima, che risulta infastidita e/o preoccupata da tali attenzioni e comportamenti non graditi. Questo tipo di comportamento è per lo più messo in atto quando una coppia si separa ed uno dei due non vuole accettarlo, spesso quando la donna cerca di allontanarsi da una relazione anche violenta. Il maltrattatore perseguita l’ex-partner seguendola negli spostamenti, aspettandola sotto casa, al lavoro, telefonandole continuamente a casa, in ufficio, sul telefonino o scrivendo lettere, sms, e-mail. Gli effetti possono essere devastanti: viene minato il senso dell’autonomia e dell’indipendenza della donna facendola sentire “in trappola”; cyberstalking. Un comportamento minaccioso o contatti indesiderati agiti mediante strumenti di comunicazione tecnologicamente avanzati. Il comportamento dei cyberstalker è spesso legato all’anonimato garantito dalla rete e si manifesta con contenuti di controllo (es. “ so dove sei”), ma anche di adescamento (es. nelle chat), denigrazione con la diffusione di false informazioni o diffusione di false immagini e documenti della vittima anche a carattere pornografico. Perché la violenza? I dati mostrano che nel 2013 una donna su tre è stata uccisa a "mani nude", per le percosse, mediante strangolamento o soffocamento e tali modalità vengono messe in relazione ad un "alto grado di violenza e rancore" (www.eures.it). Infatti, la modalità di esecuzione appare correlata con il movente, in particolare da un lato, quello 'passionale o del possesso' è il più frequente (31,7%) e sembra sottolineare “la reazione dell'uomo alla decisione della donna di interrompere/chiudere un legame, più o meno formalizzato, o comunque di non volerlo ricostruire"; dall’altro, il "conflitto quotidiano", la litigiosità a volte banale della gestione della casa (20,8%). Il rapporto Eures mostra quindi che tante donne vengono uccise per aver lasciato il proprio marito/compagno, per avere deciso di uscire da una relazione di coppia; oppure nei casi di un nuovo partner della ex, o in relazione all’affidamento dei figli (www.eures.it). La violenza è un fenomeno/una relazione complessa e non esistono cause genetiche, biologicamente determinate e quindi inevitabili, della violenza umana. La violenza umana “si acquisisce con l’educazione” (Heritiers 1997) e come si evince anche dalla Dichiarazione di Siviglia (1986), la violenza è un prodotto socio-culturale. 77 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. La violenza è socialmente prodotta ed è un fenomeno complesso che ha le sue radici nell’interazione di diversi fattori: biologici, sociali, culturali, economici e politici per la cui comprensione l’OMS (2002) ha utilizzato un modello ecologico caratterizzato da 4 livelli diversi che si intrecciano e si influenzano vicendevolmente come si osserva dalla figura di seguito presentata: società comunità relazioni individuo 1. primo livello – i fattori biologici e della storia personale che influenzano il modo in cui i comportamenti individuali possono portare ad essere vittima o carnefice (es. caratteristiche demografiche - età, educazione, reddito -, disordini psicologici o di personalità, abuso di sostanze, storie pregresse di abusi); 2. secondo livello - le relazioni più vicine e strette come la famiglia, gli amici, il partner. Tali relazioni possono aumentare il rischio di divenire vittime o carnefici (es.nella violenza giovanile, avere amici violenti o che incoraggiano ad avere comportamenti violenti, può aumentare il rischio di divenire vittime o carnefici); 3. terzo livello - il contesto comunitario ovvero relazioni con la scuola, posto di lavoro, vicinato (es. vivere per molto tempo nello stesso luogo; la presenza di alti livelli di disoccupazione; la presenza di un commercio locale di droga rappresentano fattori di rischio); 4. quarto livello - il livello societario crea un clima in cui la violenza è incoraggiata o inibita (es. la disponibilità o la presenza di armi, di norme sociali o culturali, il livello di salute, la presenza di politiche sociali ed educative). All’interno di questa complessità, occorre anche sottolineare che nella relazione violenta sono state osservate delle fasi alterne che si susseguono in modo circolare, il cosiddetto “Ciclo della Violenza”, una sorta di circolo vizioso che può essere interrotto solamente tramite un intervento e un accompagnamento esterno. Un esempio tipico di 78 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. ciclo della violenza è la violenza domestica che si caratterizza per una fase di crescita della tensione, seguita da una fase di maltrattamento, una fase di latenza ed infine una fase dello scarico delle responsabilità che si ripetono nel tempo in una spirale negativa capace di generare, laddove le parti coinvolte non chiedano aiuto, un’escalation di violenza (Walker 1983). Prospettive La violenza è una delle principali cause di morte nel mondo per le persone tra i 15 e i 44 anni (OMS) e benché le stime siano difficili da ottenere, il costo della violenza si traduce oltre che in spese economiche (in termini di giorni di lavoro perduti, questioni legali, ecc.), in costi incalcolabili, legati ai traumi, alla paura derivante da tali comportamenti o azioni. La violenza, influendo negativamente sui risultati scolastici delle donne, sulle loro capacità di successo lavorativo e sulla loro vita pubblica, allontana progressivamente le società dal conseguimento di dell’obiettivo dell’uguaglianza di genere (Bachelet, UN Women ). I dati continuano a sottolineare che la violenza e in particolare quella operata sulle donne, rappresenti un fenomeno in crescita, e mettono in evidenza l’incapacità di costruire una relazione paritaria e rispettosa, priva di idee preconcette relative ai ruoli all’interno della coppia e volta al riconoscimento della donna come soggetto e non un oggetto di proprietà. A fronte di ciò, l’approccio preventivo, dissuasivo e terapeutico non potrà prescindere dalla cura degli aspetti culturali e delle competenze relazionali affinché sia possibile per tutti (uomini e donne) acquisire una nuova e diversa mentalità: «occorrono cambiamenti culturali per smettere di guardare alle donne come “cittadine di seconda classe”. Dobbiamo creare una cultura di rispetto» (Michelle Bachelet, Vice Segretario Generale e Direttore Esecutivo di UN Women - ONU). 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Aspetti educativi preventivi Viviana Olivieri Formatore, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Questo corso di formazione, inserito nel più articolato percorso di umanizzazione comprendente temi impegnativi quali la morte, la verità, la corporeità ecc., affrontando il complesso e attuale tema della violenza vuole dedicare uno spazio di riflessione a questo fenomeno di così grande attualità20. Un corso che per le sue caratteristiche assume carattere interistituzionale, multidisciplinare e multiprofessionale e rappresenta uno dei primi importanti passi fatti dal mondo della formazione per creare sinergie tra le varie forze che concorrono a creare una cultura, una politica, una legislazione e una medicina corretta e consona per creare una identità maschile e femminile che offra una buona qualità di vita. La violenza alle donne solo da pochi anni è diventato tema e dibattito pubblico. Sempre di più è necessario sviluppare politiche in contrasto alla violenza alle donne, ricerche, progetti di sensibilizzazione e di formazione. La violenza contro le donne è violenza basata sul genere, è ritenuta una violazione dei diritti umani. Le ricerche compiute negli ultimi dieci anni dimostrano che la violenza contro le donne è endemica, nei paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo. Le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi sociali o culturali, e a tutti i ceti economici. E’ un fenomeno che esprime un grave disagio sociale e rappresenta una vera emergenza mondiale e italiana con ricadute gravi e significative sulla salute ed il benessere mentale e fisico della donna. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, almeno una donna su cinque ha subito abusi fisici o sessuali da parte di un uomo nel corso della sua vita. E il rischio maggiore sono i familiari, mariti e padri, seguiti dagli amici: vicini di casa, conoscenti stretti e colleghi di lavoro o di studio. Molto spesso, la vittima decide di non denunciare l’accaduto alle Forze dell’Ordine per diverse ragioni alla base delle quali c’è sempre una pressione sociale e psicologica (paura, vergogna, dipendenza). Ciò risulta 20 Morgan G., Images, Ed. Franco Angeli, Milano 2001 81 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. documentato come ad esempio dai dati rilevati dal Centro antiviolenza Petra (Verona): delle 822 donne che si sono rivolte al centro dal 2004 al 2012, ha fatto denuncia il 39% delle stesse che poi sono state seguite con sostegno psicologico e sociale. Un dato significativo, sia da un punto di vista sociale che epidemiologico, è che più del 31% delle violenze avviene nell’abitazione della vittima e solo il 10% a casa dell’aggressore, quindi nella maggioranza dei casi la vittima conosce bene colui che agisce in modo violento. A riprova di ciò altre percentuali affermano che nel 13,4% dei casi la violenza è perpetrata da mariti e fidanzati, nel 46,1% da ex mariti ed ex fidanzati e solamente nel 3,5% dei casi la vittima non conosce il proprio aggressore. L’identikit dell’uomo violento, esiste? Non vi è una tipologia particolare di uomo che attua la violenza, così come non esiste una tipologia femminile di donna, quando si parla di violenza femminile verso l’uomo. È importante per le donne sapere che non si può giungere all' identikit dell’uomo che maltratta né per l’etnia, né per l'età, né per lo status sociale e le condizioni economiche e culturali, né per una specifica condizione psico-patologica. Si tratta di una situazione trasversale che colpisce donne di ogni tipo e viene perpetrata da uomini d' ogni condizione. Molti stereotipi non corretti sono stati formulati per individuare una tipologia di uomo violento; a tal proposito l’ISTAT ha invece evidenziato che il problema è culturale e non di zona geografica, di religione e di stato sociale: la diffusione del fenomeno è maggiore nel Nord Italia, la violenza accade sia nelle case povere che ricche e non vi è differenza tra colti e non colti, anzi l’ago della bilancia propende più per i ricchi e i colti. Da un punto di vista educativo culturale possiamo affermare che negli ultimi anni è cambiato il ruolo dell’uomo nella società. Da un ruolo dominante, inserito in un contesto sociale che vedeva nel maschio una persona che più facilmente poteva affermarsi nel mondo lavorativo ed essere accolto nella famiglia, oggi l’uomo deve fare i conti con la propria fragilità. Non ha più il ruolo dominante di possesso della famiglia e della propria donna e questo può destabilizzare. Come può destabilizzare subire un abbandono. 82 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Mentre la donna nella nostra società europea ha dovuto combattere per affermarsi e realizzare i propri obiettivi acquisendo così degli strumenti che le danno forza, competenza e capacità, l’uomo su un piano familiare e affettivo questi strumenti se li deve costruire, diventa così a volte molto più facile schiacciare o addirittura eliminare quello che l’uomo considera sua proprietà e oggetto di potere. Il rapporto basato sulla violenza ha una sua caratteristica ed esula da qualsiasi rapporto normale: anzi determina una sorta di relazione polare tra due soggetti. La polarità tra i ruoli di vittima e carnefice si manifesta nell'ambito delle relazioni di coppia: è questo infatti uno dei luoghi dove questa polarità si manifesta più frequentemente, dando luogo a situazioni potenzialmente devastanti dal punto di vista psicologico e non solo. Una delle più classiche circostanze da cui può avere origine questo tipo di situazione, è quella in cui uno dei due soggetti teme di perdere l'altro per qualche ragione, auto-attribuendosi in questo modo il ruolo di debole (potenziale vittima) e assegnando all'altro quello di forte (potenziale carnefice). Questa situazione si manifesta attraverso comportamenti quali da un lato la gelosia, la volontà di dominio, dall’altro lato con comportamenti di sottomissione, con la paura di essere abbandonati. Questo gioco di potere nella relazione si verifica quando si definisce amore (ovvero ciò che per sua natura è disinteressato e rispettoso) la possessività, ovvero quando voglio possedere una persona e averla in modo esclusivo. Ciò porta ad una situazione dove il polo forte detiene il potere e detta le condizioni, mentre il polo debole si sottomette e obbedisce agli ordini con conseguenze che portate all'estremo risultano distruttivi per entrambi i soggetti coinvolti. Il ciclo della violenza La relazione di coppia trasformata in relazione vittima-carnefice vive fasi alterne che si susseguono in modo circolare, il cosiddetto “Ciclo della Violenza” , una sorta di spirale che si protrae all’infinito passando sempre per gli stessi punti in un circolo vizioso che può essere interrotto solamente accompagnamento esterno. 83 tramite un intervento e un Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Fig. I. Il ciclo della Violenza 2. MALTRATTAMENTO 3. FASE DI LATENZA 1. CRESCITA DELLA TENSIONE 4. SCARICO DELLA RESPONSABILITA’ Il ciclo della violenza elaborato dalla Walker (Landuzzi in Olivieri 2011) è caratterizzato da alcune fasi come si vede da fig. I e di cui un esempio è la violenza domestica: 1. fase di crescita della tensione nella quale il maltrattatore esercita una volontà di sminuire, mortificare e insultare la vittima che cerca a modo suo di prevenire le violenze fisiche. In questa fase la vittima sopprime le proprie paure e i propri bisogni concentrando tutta l’attenzione sul maltrattatore, cerca di evitare situazioni conflittuali e conseguenti maltrattamenti. Anche solo un motivo futile può sfociare in un attacco di violenza, il maltrattamento. 2. Fase di maltrattamento fisico. Le vittime reagiscono in maniera diversa: fuggendo, contrattaccando o sopportando. Se la vittima non riesce a scappare o difendersi è costretta a subire. Si è osservato che con il passare del tempo, i maltrattamenti tendono a diventare più frequenti e più gravi, tendono a verificarsi nella quotidianità come una vera e propria modalità relazionale. Le conseguenze oltre alle lesioni fisiche, sono psichiche. Quando il maltrattatore riprende il controllo di se stesso si rende conto di ciò che ha fatto, prova sensi di colpa e vergogna. 3. Fase di latenza nella quale il maltrattatore fa (false) promesse di cambiare, dà giustificazioni alla vittima rispetto al suo comportamento accompagnati solitamente da regali. Si tratta di una vera e propria “luna di miele” che può essere più o meno lunga, nella quale sembra che veramente tutto sia cambiato. La speranza della donna che questo cambiamento sia definitivo è grande, che sia finalmente tornato l’uomo del quale lei si era innamorata, a suo tempo aveva scelto una relazione d’amore e non di 84 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. violenza. In questa fase alcune donne lasciano i percorsi iniziati di uscita dalla violenza interrompendo le consulenze in corso o rientrando al proprio domicilio dopo essersi rifugiate altrove. I maltrattamenti vengono mentalmente rimossi e le violenze subite sminuite. Spesso in questa fase sono anche i famigliari o gli amici a far pressioni sulla vittima affinché perdoni il partner e gli conceda un’altra chance. Dopo essersi pentito l’uomo và a ricercare la causa che gli ha scatenato l’attacco o gli attacchi di violenza. 4. Fase dello scarico delle responsabilità. Molti uomini credono che la propria azione violenta sia dovuta a una forza maggiore che li ha “travolti”, senza che loro potessero controllarla. Molte vittime si assumono questa colpa volutamente e perdonano il partner pentito accollandosi la responsabilità del suo agire violento e pensando effettivamente di averlo provocato. La vittima sentendosi corresponsabile crede quindi di poter evitare la prossima escalation di violenza e s’illude che la prossima volta potrà influenzare la situazione. A questo punto, se nessuna delle parti coinvolte cerca aiuto, ricomincia lentamente la fase di crescita della tensione. Un fatto qualsiasi conduce allora a un’ulteriore escalation e la spirale della violenza torna a girare. La cosiddetta “luna di miele” diventa sia un periodo di pace apparente che di grande tensione. Per ovviare a questa tensione determinata da un’estenuante attesa, la donna può anche provocare consapevolmente l’escalation della violenza perché sa che poi per un po’ avrà pace nella sua seconda, decima, centesima luna di miele. Cosa fare? Per educare nella società di oggi è necessario percepire nettamente e concretamente a che cosa bisogna aspirare e da che cosa bisogna allontanarsi: “l’educazione presuppone delle decisioni. Chi educa deve sapere cosa vuole, ha bisogno di fini educativi e deve scegliere i mezzi con i quali sia possibile conseguirli” (Portera, 2008, p. 17). Affinché l’educazione diventi possibile è necessario fare un ulteriore passo per garantirne un buon risultato: il dialogo intra- ed inter- generazionale, inteso come la capacità di trasmissione delle conoscenze che sono proprie di una specifica generazione. La realizzazione del dialogo rende necessaria una prospettiva non egocentrica, la costruzione di uno spazio di interazione in cui la diversità dei valori ponga le basi per un arricchimento reciproco e la comprensione scaturisca dalla volontà di confronto su di un piano paritetico (Cugno, 2004). 85 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Subire violenza ha ricadute devastanti sulla salute psichica e fisica della donna che ne è vittima, questo impone che sia a livello di ULSS che a livello di ospedali si attuino interventi specifici su più fronti: è necessario predisporre dei percorsi dedicati per la presa in carico e la cura della persona che ha subito violenza, con professionisti educati e formati ad accogliere le donne che vivono queste situazioni. Questo presuppone una sinergia (questo evento ne è l’esempio) delle Istituzioni e degli interventi mirati di educazione, prevenzione, cura, accoglimento, monitoraggio. Educazione e sostegno - che la donna e l’uomo insieme, possono ottenere dai servizi offerti e attraverso i quali possano educarsi a vivere una vita di coppia che permetta una buona qualità di vita; - che permettano alla donna sola, nel caso non possa condividere con l’uomo, di avere la possibilità di acquisire il coraggio di uscire dalla spirale negativa e pericolosa che un rapporto di violenza crea; - che favoriscano il lavoro di rete per accogliere e aiutare le donne e far emergere la violenza; - che agiscano in termini preventivi attraverso l’eliminazione della discriminazione di genere nei vari ambiti (famiglia, scuola, lavoro, società); - che diano vita a campagne di sensibilizzazione per aumentare la consapevolezza di tutti e la sensibilità sociale al fenomeno; - degli operatori dei servizi sociali e sanitari, delle forze dell’ordine, dei magistrati, degli avvocati e di tutti coloro che sono coinvolti; - che promuovano iniziative politiche e legislative a supporto della donna vittima. 86 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Bibliografia essenziale - A.I.F., Castagna M. ( a cura di), Progettare la formazione, Ed. Franco Angeli, Milano, 1997 - AIF, Professione formazione, Ed. Franco Angeli, Milano 2001 - Alberici A., Imparare sempre nella società della conoscenza, Ed. Bruno Mondadori, Milano, 2002 - Antonelli G., L’italiano nella società della comunicazione, Ed. Il Mulino, Bologna, 2007 - A. Cugno, Il dialogo tra generazioni, Milano, Franco Angeli, 2004 - V. Olivieri (a cura di), I vari volti della violenza…., Verona, Cortina, 2011 87 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. 88 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Si può guarire dagli episodi di violenza? Michele Masotto Psicologo, Psicoterapeuta Cosa significa guarire? Escludiamo alcuni significati del guarire che potrebbero creare illusioni, disagi, rafforzamento di problematiche e patologie psichiche nate dalla violenza subita. Guarire non può corrispondere a dimenticare, e neppure a non essere segnati. La violenza si imprime nella mente, e lascia un segno: guarire potrebbe allora essere l’integrazione del ricordo, per cui la donna può collocare quanto avvenuto all’interno della sua storia senza sentirsene schiacciata e senza avvertire un macigno sul proprio sé, sul senso della propria identità e del proprio valore; potrebbe essere l’abbassamento del dolore emotivo del ricordo; potrebbe essere la capacità di apprendere le modalità collusive alla violenza subita senza entrare in pericolose ed errate autoattribuzioni di colpa ed assumendo una responsabilità costruttiva per il proprio futuro. Ad ogni modo, guarire è un processo probabilmente mai terminato, e le strade, come le possibilità del guarire, dipendono dal tipo di violenza subita, dalle caratteristiche di personalità delle persone coinvolte, dall’età in cui avviene, dai ruoli che le persone violente hanno ricoperto nella vita della vittima. Credo che la violenza è un danno che ha carattere sia privato che sociale, per cui la guarigione passa da entrambi questi canali: ridurre l’idea della guarigione da un vissuto di violenza ad un percorso interiore e comportamentale della vittima corrisponde a mio avviso ad un profonda ingiustizia, e ad una modalità sottile di vittimizzazione secondaria. Il poco tempo a mia disposizione mi chiede di fare una scelta: non indicherò le varie strade sociali di cooperazione con il percorso di guarigione dalla violenza, ma alcune situazioni che sperimento essere spesso dannose, colludenti con la violenza, favorenti una vittimizzazione secondaria, cioè una ulteriore pressione sulla vittima. Per la mia esperienza ci sono due strategie psicosociali e giuridiche che favoriscono il violento: 89 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. - L’utilizzo dello strumento della mediazione familiare quando esiste uno squilibrio importante sul versante del potere all’interno di una coppia - La quasi assoluta sottovalutazione del peso della violenza economica. Per quanto riguarda il primo punto, non è infrequente che coppie dove l’uomo ha assunto atteggiamenti minacciosi e violenti vengano inviate dai giudici per percorsi di sostegno alla genitorialità o di mediazione familiare: va osservato che non esiste in realtà una condizione di dialogo conciliativo, perché la sproporzione del potere delle parti in gioco è troppo alta. Quando mancano i criteri della mediabilità, promuovere e far vivere percorsi conciliativi è una mossa socialmente disastrosa: proviamo ad immaginare ad esempio una donna straniera che ha sposato un uomo italiano, e si ritrova qui senza una rete parentale, con un lavoro che non le permette un’autonomia, con una divergenza economica per cui il suo avvocato non ha né mezzi né capacità adeguate rispetto allo studio legale a cui l’altro si è riferito, con una capacità comunicativa più bassa, con la paura di non essere creduta quando racconta le violenze subite, con il timore di rivedere i gesti minacciosi dell’altro riapparire fuori dallo studio del professionista, …….. che mediazione sta avvenendo in quella stanza? E quanti finti percorsi di mediazione sono stati tenuti all’interno di un contesto relazionale di questo tipo? Proviamo invece a pensare alla valutazione della genitorialità: una donna che ha subito violenza non è valutabile, come non lo è un barbone rispetto alle sue patologie psichiche, come non lo è un alcolista rispetto alla sua personalità. È necessario strappare l’alcolista dall’alcool, il barbone dalla strada, la donna dalla violenza: allora, e solo allora, sapremo con che uomini, padri e madri abbiamo a che fare. Una donna che vive con la paura della violenza, anche solo economica, non può vivere la sua maternità in modo adeguato, e si muove con modalità goffe, a volte trascuranti, che il non esperto cataloga facilmente come incapacità genitoriale….. può essere, ma prima bisogna restituirle la libertà dalla spada di Damocle che il violento le ha appeso sulla testa. Poi, solo poi, valuteremo. Una prima strada di guarigione è quindi psicosociale: introdurre i percorsi corretti, e non utilizzare strumenti non adeguati o addirittura collusivi con il violento, che può così dimostrare che “anche lei era d’accordo” o che non è una buona madre. La seconda questione è quella economica, violenza a mio avviso sottovalutata: non sto parlando di quelle famiglie dove la separazione è semplicemente un impoverimento per tutti, e occorre ritrovare una distribuzione delle risorse familiari intelligente. Ci sono 90 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. purtroppo uomini che trovano il modo di ridurre in grave crisi economica le donne, affondando il loro bisogno di sicurezza, e ponendolo in contrasto con la necessità di essere presenti per i loro figli. I padri separati di frequente lamentano la loro miseria, e forse non a torto, ma spesso alle spalle di queste situazioni esistono valutazioni giudiziare non sempre accorte o semplicemente il dramma che coinvolge sia il padre che la madre; ma le donne spesso sono sotto minaccia proprio sulla questione economica. Non accorgersene è grave: è purtroppo normale che nelle ctu, nei percorsi dei servizi, aleggi l’idea che dei soldi non ci si occupa, che conta lo sguardo sui figli: sì, ma pure io che scrivo e qualunque lettore faticheremmo ad essere genitori adeguati se vivessimo con la sensazione amara di non possedere basi economiche minime. Passiamo ora alla guarigione nel percorso interiore delle donne. L’operatore deve aiutarle a superare i sensi di colpa: è un sentimento arcaico che ci colpisce davanti al male che ci travolge, per cui tendiamo a sentirci in colpa quando soffriamo. Le persone si chiedono cosa hanno fatto di male quando sono colpiti da una malattia, un bambino piccolo si percepisce cattivo se ha male alla pancia, un uomo e una donna si vergognano di una violenza subita, che li umilia e lascia loro la sensazione di essere sbagliate/i. Una donna va aiutata a non sentirsi in colpa: non esiste un motivo che giustifichi la violenza dell’altro, neppure la nostra provocazione. E mentre impara che non ha colpe, può attivare la responsabilità: come ho colluso con un sistema di violenza? Non c’è colpa, ma responsabilità: una donna che si accorge che per anni ha sempre accettato tutto, ha lavorato nell’attività del marito senza stipendio né tanto meno contributi, non ha mai posseduto il bancomat e ha sempre dovuto chiedere per ogni spesa, ha sopportato tradimenti, è stata presa per il collo davanti alle sue proteste, ha accettato di vivere atti sessuali non voluti e lontani dai propri desideri. Anni così, senza alzare una mano per chiedere aiuto, che è successo? Cosa dentro di sé l’ha condotta a pensare che un amore tollera tutto? Una donna che si interroga sui propri schemi di vita si responsabilizza, comincia dalle più normali amicizie a modificare gli atteggiamenti, nasce come persona capace di porsi e darsi dignità e valore. La responsabilità osserva la collusione con il violento, percepita come soggettivamente inevitabile, che comporta ad esempio l’accettazione di comportamenti non voluti, la rinuncia alla denuncia, e che a volte riguarda donne che non riconoscono di avere risorse e non le utilizzano in modo adeguato. 91 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. La responsabilità aiuta a vivere una fase dell’uscita dal legame violento, grazie alla capacità di superare le paure: le ritorsioni, le conseguenze sui figli, la solitudine a cui si va incontro, il giudizio degli altri, la paura di perdere i bambini, la sfiducia nei percorsi di giustizia, la paura di non avere più mezzi per vivere, il timore di essere considerate la causa, di non essere credute, …… La responsabilità permette di riconoscere le dinamiche in cui la violenza ha trovato spazio, e di accorgersi che non esiste mai e in nessun modo una giustificazione alla violenza; permette anche di riconoscere i volti con cui la violenza si esprime: violenza fisica, psicologica, economica, sociale (isolamento e controllo). Responsabilità personale e sociale devono però incontrarsi, pena abbandonare una donna ad uno sforzo eroico, o peggio ad una specie di condanna di Sisifo, il mortale condannato dagli dei a trasportare un macigno sulla cima della montagna, a lasciarlo cadere in basso per poi riportarlo in cima, in una ripetizione infinita: senza l’appoggio sociale, una donna che subisce violenza cede all’idea che il tentativo di liberarsi dal violento abbia la stessa efficacia del portare la pietra in cima alla montagna: solo se e quando si troverà fuori da questa condanna inferta non dagli dei ma da un uomo troppo potente, potrà riorganizzarsi internamente, e prendersi cura delle proprie ferite e delle proprie modalità relazionali disfunzionali. Quando poi il dolore emotivo che nasce dai ricordi è troppo alto entriamo nel mondo dei disturbi post traumatici, dove la terapia si confronta con il peso dei ricordi, la necessità che essi hanno di uscire ed insieme di non distruggere. Il percorso dell’emdr è una strategia utile, che forse andrebbe maggiormente conosciuta: comporta un lavoro sul ricordo basato non sul verbale, sul cognitivo, ma sull’elaborazione che ciascuno dentro di sé è in grado di attivare, ma che spesso rimane bloccata ed inespressa. I percorsi terapeutici di guarigione comportano quindi la scelta dello strumento adeguato, a volte il percorso di responsabilità, a volte l’utilizzo di terapie che permettono di integrare i ricordi. Il passo finale si potrebbe descrivere come la capacità di riprogettarsi: poter pensare ad un nuovo progetto di vita, in cui la violenza, anche se ha segnato, non è più in grado di girare il volante della propria storia. 92 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Violenza e Legalità Enrico Buttitta, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Militare di Verona Fattispecie di reato e conseguenze penali. Dai maltrattamenti in famiglia allo stalking, alla violenza sessuale, passando da percosse e lesioni personali, minaccia, ingiuria ecc. Il fenomeno della violenza maschile contro le donne è un crimine e rappresenta una violazione fondamentale dei diritti umani che attraversa tutte le culture, le classi, le etnie, i livelli di istruzione, di reddito nonché tutte le fasce di età. La violenza sulle donne comprende tutti gli atti di violenza fondati sul genere, ossia diretti contro una donna in quanto tale, che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata (art. 3 della Convenzione di Istanbul). In Italia una donna su tre tra i 16 e i 74 anni ha subito durante la sua vita almeno un episodio di violenza. Ogni anno, solo in Italia, sono oltre 120 le donne uccise per mano di un partner o di un ex partner. Tuttavia, quello della violenza alle donne è un fenomeno sommerso, col 90% dei casi confinati in un disarmante silenzio. Molte violenze non vengono denunciate e spesso la vittima ritorna con il partner anche dopo la denuncia. Può accadere addirittura che la donna si leghi al partner violento quale suo unico punto di riferimento anche “affettivo”. Si tratta, in questi casi, di quella che è stata definita sindrome di Stoccolma, osservata per la prima volta nei lagher nazisti: la vittima diventa sempre più subordinata al proprio aguzzino dal quale fa dipendere la propria esistenza. Quanto più è lunga la durata dei maltrattamenti tanto più viene compromessa e schiacciata la libertà di autodeterminazione della vittima. La situazione si cronicizza, perché il terrore prende il sopravvento e diventa sempre più difficile uscirne. Non esiste una tipologia di donna maltrattata, in quanto il fenomeno è trasversale e colpisce donne italiane, migranti, di qualunque stato sociale, economico e culturale. Allo stesso modo, non esiste una tipologia di uomo maltrattante: si tratta di uomini di tutte le età, provenienze, categorie economiche e culturali; a volte sono uomini 93 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. insospettabili, affidabili agli occhi altrui e che solo di rado soffrono realmente di disturbi mentali. Le forme giuridiche che può assumere la violenza di genere sono varie e sono il frutto di un mutamento culturale piuttosto recente. Infatti, alcune norme del codice penale del 1930, vigenti fino a pochi decenni fa, non solo non offrivano alla donna un’adeguata tutela ma, al contrario, la ponevano su un piano di inferiorità rispetto all’uomo. Basti pensare che il nostro codice penale prevedeva l’omicidio per causa d’onore, tutelava la famiglia più che i suoi componenti e recepiva una morale in cui una dose minima di violenza domestica era tollerata e rientrava nel costume sociale. Pensiamo ai delitti di adulterio e di concubinato: mentre la donna era punita anche solo per un singolo episodio di adulterio, l’uomo restava impunito purché avesse avuto l’accortezza di non tenere la sua concubina nella casa coniugale o notoriamente altrove. O ancora, fino al 1996 lo stupro era considerato un delitto contro la morale pubblica e il buon costume e non già contro la libertà personale. Fortunatamente il diritto è in continua evoluzione ed anzi proprio la norma giuridica può avere una precisa funzione di “produrre la storia”, dando un importante contributo all’evoluzione della cultura e della società. I reati più importanti che si possono individuare nei casi di violenza sulle donne sono: molestia (art.660 c.p.), ingiuria (594 c.p.), minaccia (art. 612 c.p.), violenza privata (art. 610 c.p.), percosse (art. 581 c.p.), lesioni (582 c.p.), violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.), maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), violenza sessuale (art. 609 bis c.p.), atti persecutori (art. 612 bis c.p.), riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), fino ad arrivare all’omicidio (art. 575 c.p.). Gli ultimi dati ISTAT disponibili (relativi al 2011) confermano la forte femminilizzazione relativamente alle vittime di violenza sessuale (90,4 % del totale) e di stalking (77,1%), a fronte di una quota di vittime donne comunque molto significativa per quanto riguarda le ingiurie (53,7%), le percosse (48%), le minacce (45,1%) e le lesioni dolose (40,4%). La composizione per generi degli autori nei vari reati di criminalità violenta evidenzia al contrario un’assoluta prevalenza di uomini (pari al 98% per le violenze sessuali, all’84,4% per lo stalking, all’83,1% per le lesioni dolose, al 75,6% per le percosse, al 78,6% per le minacce e al 65,3% per le ingiurie). Molto significativi risultano i dati sullo stalking: 7.080 vittime donne nel solo 2011, pari a 19,4 in media ogni giorno, con una crescita del 38,6% rispetto alle 5.110 denunce del 2010. Questa dinamica è particolarmente rilevante, in quanto lo stalking costituisce un 94 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. comportamento frequente nella ricostruzione storica dei contesti coniugali e affettivi delle donne vittime di omicidio, ovvero un reato fortemente correlato al femminicidio. Guardando alla situazione italiana degli ultimi venti anni, l’ISTAT ha osservato come ci sia stata una forte riduzione del numero complessivo degli omicidi (dovuta in primo luogo al processo di mascheramento adottato dalle mafie, che stanno progressivamente rinunciando alle azioni sanguinarie in favore di una strategia di mimetizzazione nell’economia legale), mentre il numero dei femminicidi è rimasto pressoché costante, attestandosi a circa 180 casi annui, ovvero a una donna uccisa ogni due giorni, senza soluzione di continuità. Questa regolarità statistica è impressionante, se pensiamo alle composite e articolate dinamiche interpersonali, ambientali e psicologiche che spiegano il femminicidio. Nel solo 2013 le donne uccise in Italia sono state 179, di cui ben 122 per mano di un familiare, di un partner o ex partner. Tutto ciò fa purtroppo pensare che il numero è destinato a non ridursi, almeno nel medio periodo. Proprio per questo, fondamentale è la risposta che la legge può e deve dare per contrastare il fenomeno. Analizziamo innanzitutto il reato di stalking, che, come detto, spesso si ritrova nella storia delle vittime di femminicidio (secondo i dati forniti dal Ministero degli Interni, il 10% degli omicidi dolosi avvenuti in Italia dal 2000 al 2008 sono stati preceduti da atti di stalking). Lo stalking (dal termine di origine anglosassone to stalk, letteralmente “fare la posta”) è stato introdotto nel nostro ordinamento con la legge n. 11 del 23 febbraio 2009, all’art. 612 bis c.p., al fine di riconoscere il disvalore sociale e criminale degli atti persecutori, comportamenti che prima venivano generalmente puniti solo con il reato di molestie di cui all’art. 660 c.p. (reato posto a tutela dell’ordine pubblico), oppure nei casi gravi con il reato di cui all’art. 610 c.p. di violenza privata. L’art. 612 bis c.p. dispone: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. Il bene protetto dal reato è la libertà di autodeterminarsi, da intendersi sia nella sua accezione positiva, come libertà di agire, sia nella sua accezione negativa, come libertà di non esser costretti a subire le condotte altrui. Ulteriore bene giuridico protetto 95 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. è l’incolumità psicofisica della persona. Lo stalking è un fenomeno che riguarda almeno due persone: il molestatore o stalker (soggetto attivo) e il molestato (soggetto passivo, vittima). Affinché si verifichi lo stalking, è necessario che l’aggressore compia delle attività che superino un limite socialmente e personalmente individuabile, quello della privacy o riservatezza. Lo stalker assume cioè in maniera ripetitiva comportamenti invadenti, di intromissione, con pretesa di controllo, minacciando costantemente la vittima con telefonate, messaggi, appostamenti, ossessivi pedinamenti. Questa condotta, per integrare il reato, deve arrecare alla vittima un grave stato di timore per la propria salute o sicurezza o per quella di un altro soggetto a lei vicino, tanto da farle alterare lo stato di vita quotidiano. Si sono sviluppati molti studi sul fenomeno dello stalking, che hanno distinto due categorie di condotte attraverso le quali lo stalking si può attuare: - comunicazioni intrusive e persecutorie, che si attuano con l’ausilio di strumenti come telefono, lettere, sms, e-mail o graffiti e murales; - contatti che possono essere attuati sia attraverso comportamenti di controllo (pedinamento), sia mediante il confronto diretto (visite sotto casa o sul posto di lavoro). In genere queste due tipologie si trovano in forma mista e alla prima segue la seconda. In base ai bisogni che spingono gli stalker a porre in essere atti di questo tipo si possono distinguere poi cinque tipologie di molestatori: - il risentito: colui che è spinto dal desiderio di vendicarsi per un danno o un torto che ritiene di aver subito e, per tale motivo, cerca la vendetta; - il bisognoso d’affetto: è il molestatore motivato dalla ricerca di attenzioni e di una relazione che possa riguardare sia l’amicizia che l’amore ed il cui rifiuto dall’altra parte viene negato e reinterpretato; - il corteggiatore incompetente: tiene un comportamento opprimente ed esplicito e quando non riesce a raggiungere i risultati sperati diventa aggressivo; in genere questa categoria è meno resistente nel tempo e tende a cambiare la persona da molestare; - il respinto: colui che diventa persecutore a seguito di un rifiuto, generalmente un ex che mira a ristabilire la relazione o a vendicarsi per l’abbandono; 96 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. - il predatore: è il molestatore che ambisce ad avere rapporti sessuali con una vittima pedinandola, inseguendola o spaventandola. La paura, infatti, eccita questo tipo di stalker che prova un senso di potere nell’organizzare l’assalto. Ci sono tre elementi che contraddistinguono lo stalking: - lo stalker agisce nei confronti di una persona che è vittima in quanto legata a lui da un rapporto affettivo basato su una relazione che può essere reale, ma anche solamente immaginata; - lo stalking si manifesta in una serie di comportamenti basati sulla comunicazione e/o il contatto e caratterizzati dalla ripetizione, insistenza e intrusività; - la pressione psicologica legata al comportamento dello stalker crea nella vittima uno stato di allerta, emergenza e stress psicologico che possono sfociare in sentimenti di angoscia, preoccupazione e paura per la propria incolumità. Lo stalking può anche essere unito agli strumenti di comunicazione e tecnologia propri dei nostri tempi: e-mail, chat, newsgroup, forum e blog. In tal caso di parla di cyberstalking (o electronic stalking). Ad esempio, le e-mail possono essere spedite in quantità e dimensioni tali da bloccare la casella di posta elettronica della vittima, impedendone un normale uso. Il molestatore può porre in essere un’attività ossessiva di delegittimazione della vittima all’interno del web con attacchi personali o con la diffusione di false informazioni o notizie. Frequenti risultano anche le immissioni in internet di false immagini a carattere pornografico o la pubblicazione di messaggi fasulli con finalità denigratorie. Il cyberstalking può arrivare anche a comprendere forme di sorveglianza nascosta, attraverso ad esempio l’invio, come allegato ad una mail, di un software specifico. La mancanza di contatto visivo e il mancato tempismo delle eventuali risposte potrebbero portare a valutare meno i possibili danni psicologici e la sofferenza inflitta. Tuttavia, gli effetti sociali, psicologici ed economici dello cyberstalking sono del tutto analoghi a quelli dello stalking classico. Analizzando lo stalking dal punto di vista più strettamente giuridico, possiamo dire che si tratta di un reato abituale improprio, in quanto occorre che le condotte siano reiterate nel tempo ma le stesse sono singolarmente idonee ad integrare fattispecie di reato perseguibili in via autonoma. La giurisprudenza è ormai granitica nel ritenere che per la configurazione del reato siano sufficienti anche due sole condotte intervallate tra loro nel tempo. Lo stalking è inoltre un reato di evento, perché per la sua punibilità non è 97 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. sufficiente la reiterazione di condotte di molestia o di minaccia, ma occorre anche che esse determinino nella persona offesa un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero un fondato timore per la propria incolumità o per quella di persone a lei vicine, oppure costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita. Non è sempre facile, dal punto di vista probatorio, valutare la sussistenza di questi eventi, sussistendo dei margini di ampia discrezionalità del giudice soprattutto per quanto concerne la definizione del concetto di alterazione dello stile di vita o della manifestazione di uno stato ansiogeno. Nel caso dell’alterazione dello stile di vita si dovrà tenere conto, ad esempio, di ogni mutamento significativo e protratto per un apprezzabile lasso di tempo della gestione della propria vita quotidiana, come l’utilizzo di percorsi alternativi rispetto a quelli usuali, o il distacco telefonico nelle ore notturne. Più semplice invece l’indagine dal punto di vista dell’elemento soggettivo del reato, in quanto è sufficiente il dolo generico e cioè la consapevolezza da parte dell’autore di porre in essere una serie di contegni, dal carattere aggressivo, in modo duraturo, nei confronti di un altro soggetto. Il legislatore ha poi previsto delle ipotesi aggravate: in particolare, la pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso con strumenti informatici o telematici. Quest’ultima specifica, che mira a reprimere il fenomeno del cyberstalking sopra citato, è stata introdotta con la recente legge n. 119/2013 ed è una novità apprezzabile in quanto, nonostante la crescente diffusione e pericolosità di tale fenomeno, sono pochi gli ordinamenti giudiziari che fanno riferimento alla comunicazione elettronica come atto vietato. Inoltre, la pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità, o con armi o da persona travisata. Per queste ipotesi il legislatore, attesa la maggiore vulnerabilità delle categorie tutelate, ha previsto la procedibilità d’ufficio, diversamente dalle ipotesi ordinarie per le quali la procedibilità è a querela della persona offesa nel termine di sei mesi, analogamente al termine previsto per i reati sessuali. Tuttavia la novella del 2013 ha previsto l’irrevocabilità della querela nei casi di gravi minacce ripetute, ad esempio con armi. In tal modo si è cercato di evitare l’induzione della revoca della querela sotto la pressione altrui. Anche nei casi in cui la querela è revocabile, la stessa può essere fatta solo in sede processuale davanti all’autorità giudiziaria. 98 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. La legge sullo stalking prevede anche una procedura alla quale la persona offesa può ricorrere prima di presentare querela. Si tratta del ricorso all’ammonimento da parte del Questore, il quale intima al protagonista degli atti persecutori di desistere dal suo proposito criminoso. Nel caso in cui un soggetto già ammonito dal Questore commetta il delitto di stalking, l’ammonimento opera come circostanza aggravante del delitto di cui all’art. 612 bis c.p. Con il decreto del 2013 sul femminicidio si è previsto che il Questore, anche in presenza di percosse o lesioni (considerati “reati sentinella”), possa ammonire il responsabile aggiungendo anche la sospensione della patente da parte del prefetto. Si estende in tal modo alla violenza domestica una misura preventiva già prevista per lo stalking. Non sono ammesse segnalazioni anonime, ma è garantita la segretezza delle generalità del segnalante. L’ammonito deve essere poi informato dal Questore sui centri di recupero e servizi sociali disponibili sul territorio. Dal punto di vista della tutela cautelare, la legge sullo stalking ha introdotto nel nostro ordinamento la nuova figura prevista all’art. 282 ter c.p.p., che prevede il divieto di avvicinamento, con cui il giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a determinati luoghi frequentati abitualmente dalla persona offesa o da persone comunque legate alla stessa da vincoli di parentela o conviventi o legate da qualsiasi relazione affettiva. Lo stesso articolo prevede anche la possibilità di imporre il divieto di comunicare con le persone di cui sopra. Con la novella del 2013 è stato previsto che in caso di flagranza, l’arresto sia obbligatorio anche per i reati di maltrattamenti e stalking. La polizia giudiziaria, se autorizzata dal Pm e se ricorre la flagranza di gravi reati (tra cui lesioni gravi, minaccia aggravata e violenze), può applicare la misura precautelare dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (nuovo art. 384 bis c.p.p.). Chi è allontanato dalla casa familiare può essere controllato attraverso il braccialetto elettronico o altri strumenti elettronici. Nel caso di atti persecutori, inoltre, è possibile ricorrere alle intercettazioni telefoniche. A tutela della persona offesa, scatta poi in sede processuale una serie di obblighi di comunicazione, in linea con la direttiva europea sulla protezione della vittime di reato. E’, ad esempio, garantita la comunicazione al difensore della persona offesa o, in mancanza, alla persona offesa stessa, dell’intervenuta revoca o sostituzione delle misure cautelari o della richiesta di revoca o sostituzione avanzata dall’imputato. Il fenomeno dello stalking può essere configurato anche come un vero e proprio illecito civile e in quanto tale oggetto di pretesa risarcitoria. Nella vittima possono 99 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. ingenerarsi una serie di patologie che, valutate attraverso la consulenza medico-legale, possono dare vita alla sussistenza di un vero e proprio danno biologico. Sotto un profilo risarcitorio, dunque, la vittima di atti persecutori avrà diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, costituendosi parte civile nel processo penale o potendo attivare un autonomo giudizio risarcitorio in sede civile. Una volta analizzato il reato di stalking, vediamo quali sono le principali differenze dello stesso rispetto ai reati di molestie e maltrattamenti in famiglia. Il reato di molestie è disciplinato dall’art. 660 c.p., che prevede che si integri tale contravvenzione tutte le volte in cui, con dolo, chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo. La natura delle molestie ex art 660 c.p. è molto diversa dalle molestie previste dall’art. 612 bis c.p. Queste ultime, infatti, presuppongono uno stadio temporale successivo rispetto a quelle delineate all’art. 660 c.p. Solo le condotte reiterate di molestia che generino un perdurante stato di ansia, un fondato timore per sé o per i prossimi congiunti o una alterazione delle proprie abitudini di vita, assumeranno rilievo ai fini della configurabilità del reato di stalking. Inoltre, differenti sono i beni giuridici tutelati: nel caso dell’art. 612 bis c.p. la libertà morale della vittima e la sua integrità psico-fisica, nella previsione dell’art. 660 c.p. viene invece genericamente tutelato l’ordine pubblico. Il reato di maltrattamenti in famiglia è disciplinato dall’art. 572 c.p., che prevede che chiunque maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni. Una prima distinzione col reato di stalking la si rinviene sotto il profilo degli interessi penalmente tutelati, partendo dalla stessa collocazione dei due reati: i maltrattamenti sono collocati nel capo inerente i “delitti contro l’assistenza familiare”, lo stalking nei “delitti contro la libertà morale”. E’ evidente infatti che, mentre il delitto di cui all’art. 572 c.p. ha natura plurioffensiva, tutelando l’integrità della famiglia nonché il decoro di coloro i quali subiscano maltrattamenti, nella previsione di cui all’art. 612 bis c.p., invece, il legislatore ha inteso tutelare la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nonché la sia salute psicofisica e incolumità. 100 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. I maltrattamenti rilevanti, ai fini del delitto in questione, sono pertanto quelli che finiscono per sottoporre i familiari ad una serie di atti continui di vessazione, in grado di cagionare sofferenze, privazioni, umiliazioni, le quali costituiscono fonti di disagio continuo. Per famiglia, deve intendersi non solo il tradizionale consorzio di persone avvinte da vincoli di parentela naturale o civile, ma anche un’unione di persone, come la famiglia di fatto, tra le quali, per intime relazioni e consuetudine di vita, siano sorti legami di reciproca assistenza, protezione e solidarietà (Cass. N. 24688/10). E’ sufficiente, cioè, che esista una stabile relazione sentimentale, tale da far sorgere rapporti di umana solidarietà e doveri di assistenza morale e materiale. La caratteristica di relazione stabile tipica di alcuni rapporti extraconiugali, ha indotto la giurisprudenza ad estendere la possibilità di applicare il reato di maltrattamenti in famiglia, e la conseguente pena, anche ad una relazione adulterina. Il reato di maltrattamenti è un reato abituale proprio, che consiste nella ripetizione di condotte che possono anche non essere autonomamente punibili, e a forma libera, potendosi perfezionare mediante la realizzazione di comportamenti diversi. Le condotte del reato di maltrattamenti, dunque, acquistano rilevanza penale per la loro reiterazione nel tempo. Anche in questo si rinviene una differenza col reato di stalking, in cui bastano anche due soli episodi persecutori per poter integrare la fattispecie di cui all’art. 612 bis c.p. Nel concetto di maltrattamenti possono rientrare sia le aggressioni fisiche in senso stretto (percosse e lesioni), sia in genere quegli atti di disprezzo, vilipendio e sopruso, tali da incidere in modo significativo sul patrimonio morale del soggetto passivo. La condotta abituale illecita può essere caratterizzata anche da periodi di normalità durante il quale non vi sia lesione del bene protetto. Non è neanche necessaria una relazione simmetrica tra lo stato di sofferenza inflitto alla persona offesa e specifici contegni vessatori attuati nei suoi confronti dal soggetto agente, potendo quello stato derivare anche dal diffuso clima di afflizione, sofferenza e paura indotto nella vittima dall’autore. I plurimi atti che integrano l’elemento materiale del reato devono essere collegati tra loro da un nesso di abitualità e devono essere avvinti da un’unica intenzione criminosa, quella appunto di avvilire ed opprimere la personalità della vittima. I fatti episodici lesivi di diritti fondamentali della persona, derivanti da situazioni contingenti e particolari, che possono verificarsi nei 101 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. rapporti interpersonali di una convivenza familiare, non integrano invece il delitto di maltrattamenti, ma conservano la propria autonomia di reati contro la persona. Il dolo richiesto è il dolo generico, ossia la coscienza e volontà di maltrattare il soggetto passivo, a nulla rilevando le eventuali ulteriori finalità perseguite dall’agente. Questo dolo, unitario e programmatico, funge da elemento unificatore della pluralità dei vari atti vessatori e si concretizza nella inclinazione della volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatoria che, reiterata nel tempo, induce il maltrattatore ad assumere una “consapevolezza di persistere in un’attività illecita, posta in essere già altre volte” (Cass. N. 6541/04). Secondo una vecchia interpretazione giurisprudenziale, se i maltrattamenti si configurano durante la convivenza e poi proseguono dopo la cessazione della stessa, si configura il reato di stalking perché il 572 c.p. richiede la convivenza. In realtà oggi non è più così e la convivenza non rappresenta più un presupposto indifettibile del reato in oggetto, che può sussistere anche in assenza di un rapporto di convivenza, cioè quando questa sia cessata a seguito di separazione legale o di fatto, restando integri anche in tal caso i doveri di rispetto reciproco, di assistenza morale e materiale e di solidarietà che nascono dal rapporto coniugale o dal rapporto di filiazione. Il rapporto tra i due diversi reati è stato bel delineato dall’ordinanza n. 2090/2011 del Tribunale di Termini Imerese, che riconosce la possibilità di un concorso apparente di norme e ritiene che non si configuri il reato di atti persecutori se le condotte sono poste in essere all’interno della famiglia, essendo in questo caso applicabile il reato di maltrattamenti. Lo stalking, quindi, si inquadra in un ambito in cui non vi sono affatto legami di tipo domestico, come in un contesto lavorativo o di semplice conoscenza, oppure riguarda soggetti già legati in precedenza da una relazione sentimentale (ipotesi espressamente prevista come aggravante al comma 2 del 612 bis c.p.). In quest’ultimo caso i comportamenti, sorti in seno alla comunità familiare, non rientrano nei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo o sodalizio familiare e affettivo o comunque della sua attualità e continuità temporale. Questo unicamente in caso di divorzio o di relazione affettiva definitivamente cessata; nel diverso caso di separazione legale e di fatto rientriamo invece nella fattispecie dei maltrattamenti. La linea divisoria tra le due fattispecie viene quindi individuata nella intervenuta sentenza di divorzio o comunque nella definitiva cessazione del rapporto familiare o affettivo. 102 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Non ci sarà invece concorso tra il reato di maltrattamenti e i reati di ingiuria, percosse e minacce in cui si concretano eventualmente i singoli atti di maltrattamento, trattandosi di condotte che offendono tutte lo stesso bene giuridico, ossia l’integrità psico-fisica del soggetto passivo, sicché le percosse, le minacce e le ingiurie restano assorbite nei maltrattamenti. Per quanto riguarda la morte e le lesioni, se queste sono una conseguenza voluta dei maltrattamenti o l’autore abbia accettato il rischio del loro verificarsi, concorreranno con il reato di maltrattamenti. Se, invece, sono una conseguenza non voluta determineranno solo un aumento di pena come previsto dall’art. 572 c. 2 c.p. Le lesioni comuni (lievi o lievissime) volontarie concorrono con il delitto di maltrattamenti, agendo il soggetto non solo con l’intenzione di maltrattare ma anche di ledere la vittima; le lesioni comuni involontarie, invece, sono considerate conseguenza normale dei maltrattamenti e perciò vanno in questo delitto assorbite. Tra le altre novità di rilevo del decreto contro la violenza di genere del 2013, vi è un’agevolazione delle procedure per il rilascio del permesso di soggiorno a vittime straniere e il gratuito patrocinio a prescindere dal reddito per le vittime di stalking e maltrattamenti, oltre che per le vittime di mutilazioni genitali femminili. Alcune considerazioni finali sul reato di volenza sessuale, disciplinato dall’art. 609 bis c.p., che così stabilisce: “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni”. Con riguardo alle modalità di coartazione della volontà della vittima vi è stata un’evoluzione giurisprudenziale, per cui la costrizione non necessariamente consiste in violenza fisica, ritenuta in passato provata solo in caso di sussistenza di lesioni ed escoriazioni o di vestiti strappati, ma ricomprende anche il compimento insidioso e rapido dell’azione criminosa ovvero la violenza che si estrinseca in una minaccia o un’intimidazione idonea a provocare la coazione. La Cassazione ha inoltre affermato che “non è necessario che la violenza sia contestuale al rapporto sessuale, per tutto il tempo del suo svolgimento, ma è sufficiente che il rapporto sessuale non sia voluto dalla parte offesa, che sia stato consumato anche solamente approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui è ridotta la vittima” (Sez. III, sentenza n. 35242/2006). Questo è ciò che accade di norma quando la violenza sessuale è commessa dal convivente o marito maltrattante. In questi casi può accadere che le donne vittime di maltrattamenti da parte del partner riferiscano di aver subito, oltre ad aggressioni fisiche, psicologiche e morali, anche atti sessuali da esse non voluti, ai quali fanno fatica ad opporre esplicita resistenza a causa 103 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. delle minacce o della paura di subire ulteriori ritorsioni. Dunque la giurisprudenza è orientata nel senso di ravvisare la fattispecie di violenza sessuale in una situazione di maltrattamento, anche quando la donna maltrattata non provi di aver opposto esplicita resistenza al singolo atto sessuale, perché deve essere considerato lo stato di soggezione in cui ella è ridotta proprio a causa della situazione di prostrazione vissuta. Il partner risponderà, quindi, del reato di maltrattamenti e, in aggiunta, del reato di violenza sessuale. Molto è stato fatto, alla luce di quanto sopra esposto, a livello normativo per combattere la violenza contro le donne nel nostro Paese. Tuttavia manca ancora una legge organica per la prevenzione e il contrasto del fenomeno a livello nazionale, che si basi su una consapevolezza delle politiche necessarie e una definizione degli standard minimi dei servizi di supporto per le vittime. I lavori avviati della Task Force interministeriale contro la violenza alle donne durante il Governo Letta non sono stati ripresi dal Governo Renzi. Il territorio è caratterizzato così da una forte disomogeneità normativa e di intervento. Se è vero poi che il nostro ordinamento è dotato oggi, grazie all’insieme delle disposizioni introdotte nel tempo, di vari strumenti ed istituti utili per assicurare l’accesso alla giustizia delle donne sopravvissute alla violenza maschile, manca tuttavia una strategia organica e articolata che assicuri l’efficacia degli strumenti introdotti. La stessa legge 119/2013 affronta il fenomeno della violenza in modo frammentario e settoriale, trascurando ad esempio l’aspetto della prevenzione e della formazione. Non ci sono ancora dati ufficiali sulla riuscita di questo intervento, però già ci sono segnalazioni provenienti dalle associazioni che riferiscono come gli arresti in flagranza in caso di maltrattamenti o atti persecutori sono ancora rari, pochi gli ordini di allontanamento dalla casa familiare e anche degli ammonimenti. Anche l’immediata protezione delle donne vittime di violenza non è garantita in maniera continuata ed omogena sul territorio italiano. Dal punto di vista dell’adeguamento al diritto internazionale ed europeo, da un lato è stata ratificata la Convenzione di Istanbul, ma dall’altro non sono state previste misure in adempimento degli obblighi derivanti dall’atto. Negli stessi uffici giudiziari italiani, l’obbligo introdotto per legge di assicurare priorità assoluta nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi per i delitti di maltrattamenti, violenza sessuale e stalking non risulta ancora del tutto attuato. L’accesso al gratuito patrocinio garantito alle vittime non ha visto erogati i fondi destinati alla copertura integrale dell’attività difensiva prestata. 104 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Infine, nonostante le raccomandazioni del Consiglio d’Europa, la violenza assistita (bambini testimoni e vittime di violenza domestica) è ancora sottovalutata. Quanto sopra, per evidenziare quanto ancora sia da compiere per poter finalmente prevenire ed eliminare la violenza nei confronti delle donne. 105 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. 106 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Il monitoraggio della Regione Veneto sugli episodi di violenza Stefano Tardivo*, Monica Lavarini*, Emanuele Finardi** *Direzione Medica Ospedaliera, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona **Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva – Università degli Studi di Verona La violenza domestica è un evento diffuso che comprende diverse forme di abuso fisico, sessuale e psicologico esercitato nei confronti di persone che fanno parte del nucleo familiare. La diffusione è capillare: sono colpiti tutti i paesi e tutte le classi di reddito. Le vittime sono prevalentemente donne bambini ed è problematico quantificare con precisione l’entità del fenomeno poiché molto spesso gli abusi subiti non vengono denunciati per vergogna o timore di ritorsioni. Occorre infatti ricordare che i fatti che raggiungono la cronaca sono solamente la punta dell’iceberg di una realtà per vasti tratti ancora oscura. Le conseguenze della violenza possono protrarsi nel tempo: depressione, diminuzione dell’autostima, ansia, sensi di colpa e disturbo post-traumatico da stress sono solo alcuni esempi di danni a lungo termine che colpiscono le vittime. A livello globale le statistiche non sono incoraggianti: negli USA Il 28% delle donne ha dichiarato di aver subito almeno una volta atti di violenza fisica da parte del partner. Nel Regno Unito il 25% delle donne ha dichiarato di essere stato colpito almeno una volta con pugni o schiaffi da un partner o un ex partner. Queste percentuali raggiungono valori ancora più alti in paesi come il Giappone (59% delle donne ha dichiarato di essere stato oggetto di maltrattamenti fisici da parte del partner) o l’India (secondo un’indagine del 1996 svolta nello Stato dell’Uttar Pradesh il 45% degli uomini coniugati ha ammesso di sottoporre la moglie a maltrattamenti fisici). Neppure l’Unione Europea è immune dal fenomeno: da una ricerca svolta dalla European Union Agency for Fundamental Rights nel 2012 che ha intervistato un campione di donne europee tra i 18 ed i 74 anni di età è risultato che circa un terzo delle donne europee ha subito una qualche forma di violenza (fisica o sessuale) nel il corso della vita. Sempre nell’UE è stato rilevato che circa il 2% delle donne ha subito violenza sessuale nel solo 2012. La violenza domestica purtroppo è molto diffusa anche nel nostro Paese. Nel 2007 107 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. un’indagine condotta dall’ISTAT ha delineato ritratto preoccupante del nostro Paese: oltre 6 milioni di donne hanno subito abusi fisici o sessuali nell’arco della loro vita, 2 milioni di donne hanno subito violenza domestica dal partner o da un ex partner e ben 5 milioni di donne hanno subito violenza fuori dalle mura domestiche. Gli aggressori sono sconosciuti (15,3%) oppure persone vicine alla vittima: amici (3%), colleghi (2,6%), partner (7,2%) o ex partner (17,4%). Sempre secondo l’ISTAT in Italia il 31,9% delle donne ha subito una qualche forma di violenza fisica/sessuale. La Regione del Veneto si posiziona all’ottavo posto (34,3%) tra quelle nazionali. Il rapporto EURES-ANSA del 2013 sul femminicidio evidenzia un aumento del 16,2% degli omicidi in ambito familiare. In ben 7 casi su 10 i femminicidi si sono consumati in famiglia. In Veneto secondo l’indagine condotta dall’ISTAT nel 2007 il 19,6% delle donne ha subito qualche forma di violenza fisica ed il 26% qualche forma di violenza sessuale. Il 15,9% delle donne in Veneto ha subito qualche forma di violenza nella coppia (18,1% è il dato medio italiano). Il 34,3% delle donne in Veneto ha subito qualche forma di violenza al di fuori della coppia (30,2% è il dato medio italiano). LA VIOLENZA IN VENETO LA VIOLENZA SULLE DONNE % VENETO % NAZIONALE VIOLENZA FISICA 19,6 18,8 VIOLENZA SESSUALE 26,0 23,7 % VENETO % NAZIONALE 15,9 18,1 VIOLENZA AL DI FUORI DELLA 34,3 30,2 VIOLENZA NELLA COPPIA COPPIA % VENETO DENUNCIA VIOLENZA SUBITA 6,1 % NAZIONALE 7,3 DA PARTNER DENUNCIA VIOLENZA SUBITA 4,4 DA NON PARTNER 108 4,1 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Fonte: Elaborazione Regione Veneto - Direzione Sistema Statistico Regionale su dati Istat Una ricerca effettuata dall’Osservatorio Nazionale Violenza Domestica (ONVD) sul territorio del Veneto nel triennio 2009-11 ha indagato omicidi in ambito familiare: Venezia, Verona, Treviso e Padova sono le città dove si è verificato il maggior numero di omicidi familiari. Va considerato comunque che la maggioranza degli omicidi o tentati omicidi si è verificata nei centri piccoli e medio-piccoli delle province. Per quanto riguarda la sola Verona, nel 2006 si sono verificati 2380 casi di violenza domestica, con 2301 vittime. Nella maggior parte dei casi autore e vittima erano entrambi italiani (68,9%). Gli aggressori erano spesso maschi italiani tra i 41 e i 45 anni o donne italiane tra i 31 e i 35 anni. Le tipologie di reato comprendono soprattutto percosse e lesioni personali. Il 3% dei casi è rappresentato da violenze sessuali e il 2% da tentato omicidio. È da rilevare come la fase di separazione tra due partner emerga come background preponderante dei reati (25%). Un’altra subdola forma di violenza che merita considerazione è senza dubbio lo stalking: si tratta di un argomento per cui non esiste una definizione largamente condivisa. Per la legge italiana lo stalker è “chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molestia taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. In Italia si stima che circa 2 milioni di donne abbiano subito comportamenti persecutori da parte di un ex partner. Tra le donne che hanno subito violenza fisica o sessuale da parte dell’ex partner la percentuale di stalking arriva al 48,8% ed è più frequente quando l’autore è l’ex-fidanzato (54,1%) rispetto all’ex-marito o ex-convivente (42,7%). Un ulteriore problema che il nostro Paese deve prendere in seria considerazione è rappresentato dalla violenza sugli anziani. Le statistiche demografiche rivelano un’età media in aumento e un numero di nascite in costante calo. L’aumento continuo della frazione più anziana della popolazione determinerà un sempre maggior numero di persone che necessiteranno di cure continue. L’assistenza agli anziani non autosufficienti è spesso a carico dei familiari; vi è infatti una diffusa carenza di servizi di assistenza sul territorio nazionale e ciò si ripercuote inevitabilmente sulle famiglie degli anziani, che continuano a farsi carico delle attività di cura e di aiuto, molte volte 109 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. non possedendo le necessarie capacità. Questo può generare nei familiari condizioni di stress, ansie e paure che possono condurli, in casi estremi, ad usare violenza sull’anziano che hanno in cura. Non bisogna però incorrere nell’errore di ritenere il fenomeno della violenza sugli anziani circoscritto all’ambiente domestico: infatti anche laddove intervengono i servizi assistenziali non sono rari i casi di abusi sugli anziani. Questo accade soprattutto perché i caregivers sono spesso sottoposti a grandi pressioni e talvolta si possono creare dinamiche che inducono ad atteggiamenti aggressivi. In conclusione, ci troviamo di fronte ad un fenomeno, quale quello della violenza, complesso ed in preoccupante crescita nei paesi occidentali che, come indicato dalla Commissione Europea, necessita di un approccio preventivo integrato che veda una cooperazione attiva fra strutture politiche, di protezione (tra le quali le sanitarie e sociali emergono in maniera rilevante), giudiziarie e del terzo settore volte alla individuazione precoce dei fenomeni di violenza, alla tutela delle vittime e alla adeguata sanzione dei colpevoli. BIBILIOGRAFIA National Violence Against Women, Full Report of the Prevalence, Incidence, and Consequences of Violence Against Women, 2000 European Commission, Special Eurobarometer 344 “Domestic Violence against Women Report”, 2010 National Center on Elder Abuse, Reporting of Elder Abuse in Domestic Settings, 2006 ISPESL, primi dati dal monitoraggio sul territorio di Verona nel 2006 Istat, La violenza e i maltrattamenti delle donne dentro e fuori la famiglia, anno 2006 ONVD, Memoria di approfondimento dell’Osservatorio Nazionale sulla Violenza Domestica (anno 2006) ONVD: il fenomeno degli omicidi domestici in Veneto nel triennio 2009-2011 Regione Veneto. Individuare la violenza domestica: manuale per operatori – guardiamo avanti con sicurezza. Verona, 2010 ONVD: Violenza in famiglia: l'altra faccia della realtà - rilevazione trimestrale del 2012 Meloy,R. (1998). The Psychology of Stalking. San Diego : Academic Press 110 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Donna, Persona, Culture Giorgio Ricci, Pronto Soccorso Borgo Trento, Azienda ospedaliera Universitaria Integrata Verona Benché i diversi contesti sociali culturali e politici diano luogo a forme differenti di violenza domestica, essa è ovunque presente, passando sopra frontiere nazionali e identità culturali. Nonostante questa universalità tuttavia una cospirazione di silenzio continua a nascondere l’estensione della violenza Radhika Coomaraswamy Negli ultimi anni, in Italia molta attenzione è stata dedicata al fenomeno della violenza contro le donne in termini mediatici; è necessario però percorrere ancora molta strada, se si vuole prendere una posizione realmente efficace: la violenza contro le donne non è un’anomalia della società in cui viviamo, ma una manifestazione evidente di quanto la struttura sociale sia il risultato di meccanismi in cui la violenza, anche simbolica, è implicita. La complessità del fenomeno della violenza domestica risulta ancora più chiaramente quando si decida di includere - ed è necessario farlo! – il mondo delle donne straniere in Italia: occorre un ripensamento critico delle nozioni di ‘cultura’, ‘identità’ e ‘integrazione” che l’antropologia della migrazione, ha avviato negli ultimi anni. “la violenza contro le donne è uno dei principali meccanismi sociali, tramite i quali le donne sono costrette in una posizione subordinata dagli uomini.” (ONU, Dichiarazione per l’eliminazione della violenza contro le donne) E quindi: la violenza investe sia la sfera pubblica che quella privata! Sappiamo che ne esistono di molti tipi: - Fisica, inclusa la mutilazione dei genitali e il levirato, l’abuso sessuale: costrizione al rapporto sessuale tramite minacce, intimidazione o forza fisica, rapporti sessuali estorti contro volontà, o coercizione ad avere rapporti sessuali con altri. Questo 111 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. tipo di violenza, nella percezione comune, è associata allo stupro da parte di estranei, spesso stranieri, ma in realtà il 96,5% della violenza sessuale risulta agita da un familiare o da un conoscente. Però, l’essere costrette ad avere rapporti sessuali, per alcune donne, ma soprattutto per molti uomini, è solo uno dei tanti doveri coniugali che si devono accettare con il matrimonio; - Psicologica: parole o comportamenti ripetuti nel tempo, capaci d’intaccare la dignità o l’integrità fisica e mentale del partner. Si tratta di umiliazioni, di abuso di potere, di manovre per isolare l’altro, farlo sentire colpevole e inadeguato, fino a fargli perdere ogni stima di sé e, a volte, il gusto della vita; - Economica: la vittima è privata del denaro e viene messa nella condizione di non poterselo procurare: alla vittima, quasi sempre la donna, può essere impedito di studiare, lavorare o avere un conto corrente personale, così come può esserle negata la disponibilità di bancomat o carte di credito Ricordiamolo: per alcune donne è molto difficile riconoscersi come vittime di violenza!!! Le variabili culturali influenzano notevolmente, non solo la capacità della donna di definire ciò che può essere considerata violenza, ma anche la sua capacità di raccontarlo; laddove infatti il gender gap sia minimo e quindi le condizioni di parità di genere migliori, come nei casi dei paesi del Nord Europa, in generale i livelli di consapevolezza sono più alti e la capacità di discutere apertamente la violenza è maggiore. La violenza domestica non attiene soltanto a situazioni di devianza o marginalità, ma è connaturato alla normalità del sistema, riguardando in modo trasversale culture, classi sociali, fasce di età e le categorie professionali; quindi, la violenza sulle donne non interessa solo strati sociali disagiati, famiglie multiproblematiche o individui patologici! È proprio perché la violenza è connessa a un modello di normalità, che le donne fanno fatica a riconoscerla e a verbalizzarla al di fuori della famiglia. Si parla allora di violenza simbolica, meccanismo che perpetua situazioni di oppressione e disuguaglianza sociale, attraverso l’utilizzo di quelle risorse culturali come educazione, famiglia e classificazioni cognitive, come strumenti simbolici per il mantenimento di una condizione di privilegio e di potere. I sistemi simbolici più potenti sono quelli che, mentre sembrano descrivere una realtà sociale (la relazione tra uomini e donne, lo Stato, la famiglia, il corpo della donna ecc.), 112 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. in realtà prescrivono solo uno dei modi di esistenza possibile, che è quello che è stato scelto dal potere, perché meglio di altri permette la conservazione dei meccanismi e delle strutture su cui si costituisce. Nelle società che si rappresentano come ormai modernizzate in senso postpatriarcale, la violenza sulle donne è un’inspiegabile patologia sociale retaggio di tempi passati per ciò che riguarda gli episodi riferiti a uomini e donne ‘occidentali’, e come predicibile barbarie degli estranei-da-noi, per i quali invece la violenza sarebbe addirittura intrinseca alla loro cultura. Per una profonda comprensione delle dinamiche che si sviluppano laddove la vittima di violenza è una donna straniera, occorre tentare di cogliere il significato intimo del processo migratorio. Ogni gruppo culturale ha “leggi personali”: divorzio, matrimonio, custodia dei figli, divisione e controllo delle proprietà di famiglia, eredità. La difesa di queste “pratiche culturali” è quasi del tutto affidata alla donna, le cui energie vanno tradizionalmente spese nel preservare e mantenere il lato ri-produttivo famigliare: Più la cultura di origine richiede la presenza della donna in questo ambito, meno essa potrà acquisire pari opportunità. Tutti i miti fondanti dell’umanità, in tutte le culture e religioni, privilegiano il ruolo dell’uomo rispetto alla donna: Atena, germogliata dalla testa di Zeus, o Romolo e Remo allevati senza madre. Moltissime pratiche culturali (in Africa, Medio Oriente, America Latina, Asia) elaborano modelli di socializzazione, rituali e sistemi volti ad assicurare il controllo dell’uomo sulla donna: mutilazioni genitali, matrimoni combinati, poligamia…. “Quando mia moglie sarà vecchia o malata, se io non ne avessi un’altra, chi si prenderebbe cura di me?” In molti paesi, ad esempio in Perù, La donna violentata è solo un bene danneggiato…… Nell’analisi del fenomeno migratorio non vanno quindi considerati in primo luogo gli aspetti economici e politici, bensì quei vissuti individuali e collettivi che continuamente ridefiniscono lo spazio occupato nella famiglia, nel lavoro e nella società: l’integrazione dell’individuo avviene così attraverso un lavoro di accomodamento e mediazione tra modelli, categorie e disegni che solo in parte appartengono alla storia personale che precedeva la partenza. 113 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. L’emigrante ha l’obbligo del successo che, anche laddove l’esperienza migratoria sia vissuta in piena solitudine, si esprime nei confronti di se stesso e in relazione alle attese della sua famiglia e del suo gruppo sociale, rendendo ancora più difficile da sostenere un possibile fallimento. Un punto di svolta significativo nel processo di migrazione, si verifica nel momento in cui esso cessa di essere prerogativa dell’individuo, per allargarsi e assumere i connotati di un’esperienza familiare. Il ricongiungimento: questo “ritrovarsi” dei coniugi ha simbolicamente un duplice significato: da un lato, confermare l’unione con una persona dello stesso paese rafforza il legame con il paese di origine, dall’altro la scelta di farla emigrare, magari insieme ai figli, consolida il progetto migratorio nel paese ospite e, in termini simbolici, completa una rottura iniziata con la partenza. Ma… il re-incontro dei due coniugi, in un luogo diverso da quello dove si sono costituiti come coppia, rappresenta un momento di frustrazione e di grande difficoltà relazionale tra marito e moglie. Dopo qualche anno di permanenza nel paese ospitante, molte donne si sentono cambiate riguardo al loro ruolo nella società, avvertono mutamenti nei modi di relazionarsi e di comportarsi, sentendosi però straniere ovunque: Le modalità differenti, spesso opposte tra i coniugi, di rapportarsi alla vita quotidiana, al lavoro alla genitorialità, ai rapporti con le istituzioni e con la comunità, possono concorrere a esacerbare una situazione di conflitto all’interno dell’ambito domestico, portando alla violenza. Ma la percezione soggettiva della violenza può risentire fortemente della misura in cui essa viene legittimata nel paese di origine: “Mi ha dato…solo due sberle…solo qualche spinta” Lingua, isolamento, timore per la condanna da parte della comunità locale e dei connazionali, paura di perdere la genitorialità e infine, fino a qualche tempo fa, la dipendenza dal permesso di soggiorno: In tal caso, la risposta personale della donna e la sua richiesta di aiuto dipendono dall’elaborazione che la donna fa del nuovo contesto di vita e da quelle variabili che determinano il percorso soggettivo di integrazione nel paese ospite. Nella pianificazione di un’agenda per i diritti della donna che sia valida, è necessario tener conto di scelte, desideri e le valutazioni di quelle donne provenienti da gruppi culturalmente diversi, anche laddove queste scelte non corrispondano con quelle fatte nei paesi culturalmente egemonici. 114 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. L’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, di concerto con le forze impegnate nella difesa della donna dalla violenza, ha elaborato, come prima risposta a questi bisogni, il cosiddetto “Codice Rosa” per: Individuare precocemente i rischi di violenza attraverso la condivisione tra istituzioni, di schede con gli indicatori di rischio Diminuire le recidive di violenza con la cooperazione di tutte le istituzioni sociosanitarie, le forze dell’ordine e la prefettura Creare una rete informatizzata per la condivisione di dati tra tutte le istituzioni coinvolte, attraverso una mappatura delle risorse e delle informazioni. Si tratta quindi di una vera e propria prevenzione primaria della violenza alla donna tramite l’informazione, già a partire dalle scuole secondarie e di una presa in carico integrata ospedale - servizi territoriali - forze dell’ordine, una registrazione informatizzata dell’evento violento, in rete per tutte le istituzioni coinvolte nel progetto, un percorso di psicoterapia individuale e/o di gruppo alle donne vittime di violenza, senza dimenticare la formazione continua degli operatori socio-sanitari con verifiche annuali di efficacia del progetto. Le figure professionali che si attiveranno nell’ambito del percorso d’aiuto saranno, oltre alle forze di polizia allertate per l’evento violento, il medico del Pronto Soccorso (centrale o ginecologico), un medico legale, uno psicologo-psicoterapeuta, un assistente sociale, infermieri e personale laboratoristico: il tutto avrà il fine di accompagnare la donna, con psicoterapie sia individuali che di gruppo, in un percorso di elaborazione del vissuto e dei sentimenti ad esso correlato, per evitare recidive pericolose. Misurarsi con la violenza contro le donne deve quindi far entrare nel merito di quelle differenze che possono incidere profondamente non solo sulle forme della violenza di genere, ma anche sul loro significato. E questo va fatto tutti assieme, perché, anche se ci affacciamo da finestre diverse, è lo stesso cielo quello che vediamo guardando in alto. 115 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. 116 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. La violenza sulle donne: il percorso specifico nel DEA dell’Azienda Ospedaliera di Padova Ilenia Mezzocolli, U.O.C. Pronto Soccorso Azienda Ospedaliera di Padova Nel nostro DEA almeno 1 donna al giorno accede a causa di una violenza subita, l’analisi della nostra casistica evidenzia che sono circa 400 le donne all’anno che accedono al nostro Servizio dichiarando una violenza, sono per la metà italiane senza una differenza significativa come classe sociale; per più della metà si tratta di violenza domestica. Il codice colore d’ingresso è prevalentemente il bianco (75%) e le lesioni più frequenti sono quelle legati alle parti del corpo legate alla comunicazione (volto, occhi, collo e orecchie) o alla difesa (i polsi). A fronte di un impegno piuttosto limitato nella maggior parte dei casi dal punto di vista strettamente sanitario siamo divenuti maggiormente consapevoli negli ultimi anni di altri bisogni altrettanto emergenti che queste donne ci manifestano: il bisogno di poter intraprendere un percorso di uscita dalla violenza e il bisogno di essere protette. Davanti a queste donne abbiamo capito che dovevamo imparare a vivere in modo nuovo il nostro ruolo di operatori dell’emergenza: il prendersi cura anche del loro rischio per la vita a breve termine connesso al contesto sociale in cui vivono. La nostra specificità diventava un privilegio: la donna che arriva da noi per un evento traumatico ci rivela la sua storia che forse non avrebbe mai osato raccontare e può trovare la forza di reagire. Questo privilegio per noi è si è trasformato in responsabilità di organizzarci al meglio con i mezzi di cui disponiamo per dare a queste donne l’opportunità di uscire dalla violenza. Abbiamo creato all’interno del nostro Pronto Soccorso un percorso specifico di accoglienza: già al triage viene loro assegnato un acronimo specifico, vengono fatte attendere in un’area protetta, viene loro consegnata una brochure informativa, viene data una priorità relativa a parità di codice colore e viene eventualmente attivata la mediazione culturale. 117 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Durante la visita medica viene accertata la violenza, redatto il referto medico, documentate le lesioni ed eventualmente attivato il collega della medicina legale per la documentazione iconografica e raccolta delle prove. Alla paziente viene successivamente proposto il colloquio con i Servizi Sociali Ospedalieri da eseguire prima della dimissione o in tempi brevi previo passaggio presso il nostro Servizio. Viene sempre valutato il rischio di letalità alla dimissione secondo criteri concordati con i nostri Servizi Sociali ed eventualmente trattenuta in O.B. per il tempo necessario. Infine viene attivato il nostro Posto di polizia per informazioni utili sui fatti e alla dimissione per la denuncia. Per le donne con figli, in particolare nei casi di violenza assistita, viene anche consigliato in un secondo momento l’appoggio presso il nostro Centro specializzato in tal senso. Per attivare e consolidare questo percorso abbiamo eseguito per tutto il personale dei corsi di formazione che sono stati importanti momenti di crescita di consapevolezza del fenomeno; occasioni per trovare modalità comuni ed integrate di lavoro tra professionisti diversi. Tutto ciò ha contribuito a rendere effettivamente operativo il percorso stesso come pure a creare una nuova mentalità da parte degli operatori che, in una realtà lavorativa non favorente, si sono rivelati capaci di accogliere, non giudicare, accompagnare, assistere e credere nella possibilità di riuscita. I primi risultati sono promettenti e ci danno fiducia: nel 2011 (prima dei corsi di formazione) 6 donne hanno intrapreso un percorso mentre nel 2014 (dopo i corsi di formazione) più di 100 donne hanno intrapreso un percorso di uscita dalla violenza. Per il futuro vorremmo creare un maggior collegamento intraospedaliero con il Servizio di Ginecologia e con il Servizio di supporto psicologico che riteniamo in molti casi indispensabile, e aprirci alla conoscenza delle rete extraospedaliera: il comune, il territorio, il volontariato e non da ultimo la Procura della Repubblica convinti che il lavoro in rete sia necessario per rendere l’opportunità di uscita dalla violenza una possibilità concreta. 118 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Autori e vittime nelle nuove forme di violenza: tutela nella fase successiva al reato Sabrina Camera Criminologa - Giudice onorario presso il Tribunale di Sorveglianza di Venezia La tematica in esame rientra nella coscienza ormai condivisa che essa si sta espandendo in ogni latitudine e longitudine del nostro pianeta senza distinzione di razza e di religione, divenendo una vera e propria piaga globale. La relazione avrà come precipua caratteristica di analizzare il fenomeno della violenza sulle donne, che, certamente accanto ad altri, mina un nostro fondamentale diritto, quale la sicurezza, dando luogo ad un accezione negativa di essa, l’insicurezza. Quest’ultima si sta espandendo sempre più anche in ordine agli ultimi casi di cronaca. Certamente la problematica della violenza sulle donne è un fenomeno che in quest’ultimi anni, prevalentemente in ordine al luogo in cui si manifesta, quale le mura domestiche e non solo, mette a rischio la sfera della vita quotidiana in cui l’individuo esplica la propria personalità generando una paura senza forma, per indicare uno stato di malessere nel vivere la propria quotidianità. La conoscenza del fenomeno si è avuta grazie alle inchieste di vittimizzazione attraverso le quali è stato possibile individuare quali dinamiche si instaurano al momento della violenza; le motivazioni per le quali viene posta in essere un’azione violenta nei confronti della vittima; chi sono quest’ultime, nella specie potenziali o reali; sul legame relazionale tra autore e vittima. A tal proposito vanno ricordate le parole dello psichiatra statunitense F. Wertham “Non si può comprendere la psicologia dell’omicidio se non si comprende la sociologia della vittima “. Ebbene, a contribuire a tale studio è stata la scienza criminologica, scienza interdisciplinare, che funge da lente d’ingrandimento per comprendere quali siano le variabili della criminogenesi e della criminodinamica del fenomeno delittuoso. Non bisogna dimenticare che il crimine proviene dalla vita ed è biasimevole in quanto portatrice di violenza. Esso è atto dell’uomo contro l’uomo. Nello studio del crimine non vi sono verità assolute e dogmatiche, soprattutto quando si analizza la condotta umana. Sempre più si necessita di avere una piena cognizione dei fenomeni criminogeni, come quello in esame, per comprendere le oscure ragioni che inducono l’uomo a compiere azioni delittuose. Il crimine deve essere studiato in modo interdisciplinare e non bisogna allontanarsi da quella diade tra criminale–vittima: in 119 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. quella relazione che, frequentemente nelle vostre qualità professionali, vi ponete costantemente, come ad esempio per coloro che professionalmente svolgono la loro attività nella struttura del pronto soccorso. In passato la scienza criminologica basava i propri studi sull’autore e il reato senza considerare la vittima. Attualmente godiamo di una vasta gamma di studi sulla figura del criminale, dei suoi tratti bio-antropologici, psicologici e psichiatrici, assenti, invece, per la vittima. Bisognerà attendere l’affermarsi della vittimologia, branca della scienza criminologica, per attendere studi effettuati sulle vittime. L’errore, cui si incorre, è quello di spostare il focus di indagine da una visione centrica del criminale ad una visione centrica della vittima. È necessario, invece, spostare il focus dell’indagine sulla relazione tra individui nel contesto della diade criminale –vittima come fenomeno unico, inscindibile ed interdipendente. La relazione autore-vittima non si limita alla semplice somma algebrica autore più vittima, ma è qualcosa di più complesso: una terza creatura, un insieme inteso come complessità organizzata, in cui l’intero è diverso dalla somma delle sue parti. Soltanto attraverso lo studio, dunque, della relazione criminale è possibile comprendere la motivazione della consumazione di un reato, le sue modalità e il luogo e il tempo in cui esso si realizza. Ogni informazione ricavata dal puntiglioso studio della vittima e la comprensione delle ragioni per cui un criminale decida di scegliere quella determinata vittima costituiscono una preziosa finestra sul panorama delle domande che gli investigatori si pongono circa la personalità degli “offenders” e le ragioni legate all’acting out di un determinato delitto. Ne consegue che tra criminale e vittima esistono una relazione ed un’interazione molto profonde. Nella criminogenesi del delitto, infatti, il comportamento del criminale e quello della vittima si influenzano reciprocamente. Di certo la vittima fornisce durante le indagini, e poi, in sede processuale penale, un contributo non indifferente per la ricostruzione del delitto. Ma cosa accade quando la vittima non è sopravvissuta all’azione delittuosa? Può, comunque, dare un contributo per l’analisi della relazione che l’ha legata al suo carnefice? La risposta non può che essere affermativa; infatti, essa può dare involontariamente un contributo di tipo psicologico alle indagini investigative: ciò può avvenire attraverso la ricostruzione che viene definita tecnicamente autospia psicologica. L’obiettivo di quest’ultima, che altro non è che una perizia post-mortem, è quella di raccogliere i dati riguardanti la vittima al fine di costruire un profilo psicologico della stessa, per ricostruire il suo stato mentale prima del decesso, per 120 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. valutare in che misura queste specifiche condizioni possono aver svolto un ruolo nella genesi dei fatti che ne hanno determinato la morte. Comprendendo, dunque, l’importanza dello studio della relazione criminale sul piano criminologico e non solo, in ordine alla tematica della violenza di genere dobbiamo domandarci chi sono chi sono i protagonisti. Inoltre, perché viene utilizzato, cosi come viene fatto dal titolo della relazione “nuove forme di violenza”; perché il fenomeno della violenza è nuovo? Ebbene, partendo da quest’ultimo quesito il fenomeno della violenza non è nuovo, già nel 1993 durante la Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sui Diritti Umani, in ordine al tema della violenza si riportava che essa è qualcosa già presente al momento della fondazione del mondo, non è altro che una presa di coscienza normativa di una dimensione che a che fare con l’antropologia. La violenza non è un’invenzione moderna. L’aggettivo “nuova” sta ad indicare una presa di coscienza recente nello studiare gli effetti e le cause di questi fenomeni sul singolo e la società. Pertanto, si utilizza nuovo, a parere della scrivente, quando ci riferiamo alla violenza sulle donne, non tanto nella manifestazione della violenza verso il soggetto donna, che è sempre esistito, ma si vuole sottolineare i moderni studi in ambito sociologico e criminologico afferenti a tale tematica. Ebbene, la violenza di genere gode di una sua specificità, basata su chi agisce la violenza, che prevalentemente è un uomo, e chi la subisce, che è generalmente, così come ci riportano le cronache, una donna. Essa può essere considerata una parola contenitore entro la quale vengono ricompresi diversi fenomeni che singolarmente sono veri e propri genus di violenza con delle proprie peculiarità; possiamo ricomprendere la violenza che viene esercitata in ambito familiare o nella cerchia di conoscenti , ma è possibile far rientrare quegli atti violenti posti in essere nei confronti delle donne che devono essere reclutate ai fini dello sfruttamento alla prostituzione o come vittime di tratta, fenomeno che ormai costituisce uno dei mercati più grande per trarne profitti illeciti da parte della criminalità. Possiamo pacificamente aggiungere all’interno del fenomeno le lapidazioni delle donne adultere, le pratiche delle mutilazioni genitali femminili esercitate da alcune culture di appartenenza. Da tale panoramica si evince che è riduttivo avere un approccio al fenomeno della violenza di genere legato a stereotipi ormai obsoleti, volti a considerare quasi esclusivamente le violenze maturate in ambito strettamente familiare nella ristretta cerchia di parenti prossimi e conviventi. Queste forme più tradizionali di violenze di 121 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. genere costituiscono una percentuale nel comune sentire, ma occorre tener presente che, con il cambiamento rapido della società, anche le forme di violenza assumono connotazioni nuove. Alla luce di ciò non appare esagerato ritenere che attualmente si possa parlare di un sistema complesso di violenze di genere al cui interno è possibile operare distinzioni sostanziali ed operative. Dunque, chi sono i protagonisti della violenza in esame? Gli aggressori sono soggetti dall’aspetto lombrosiano? Ebbene, così come ci riportano le statistiche e i casi di cronaca è quasi sempre un uomo ed è legato alla vittima in base ad una relazione amicale o sentimentale. Di certo il maltrattante non corrisponde affatto all’immagine stereotipata che viene proposta, quale un uomo dall’aspetto terribile e violento noto a tutti per la sua condotta biasimevole o appartenente a un contesto sociale di marginalità con eventuale uso di droghe od alcool. La maggior parte degli uomini maltrattanti sono persone insospettabili ed all’esterno della relazione criminale non presentano le stimmate del loro comportamento violento agito in privato. Le caratteristiche degli uomini in esame non sono categorizzati in contesti sociali particolari, ma possono appartenere a scenari diversi in base alla cultura e di setting. Possiamo ritrovare uomini segnati già da biografie di violenze, sia soggetti di ceti alti, che pur avendo una forte immagine professionale positiva, nelle relazioni di coppia, invece, possono essere attori di violenza. É sempre più usuale etichettare l’aggressore malato che è intrinseco di un certo meccanismo mediatico che nel vendere la notizia, vuole esasperarne e spettacolizzarne i contorni, e probabilmente l’autore psicologicamente disturbato rende la notizia più inquietante ed appetibile. Vieppiù, i media assecondano anche l’esigenza della società di identificare colui che delinque come il diverso, l’anomalo, colui che diverge dalla normalità. Tutto ciò, probabilmente rassicura la collettività che vuole stigmatizzare il delinquente come diverso, piuttosto che comprendere che il crimine e la corresponsabilità della società nella sua genesi. Allorquando si parla o si viene in contatto con gli autori che perpetrano tale forma di violenza, emerge un elemento disorientante ed è il fatto che essi stessi si dichiarano di essere contrari alla violenza e di non approvare i comportamenti abusivi nei confronti del genere femminile. Quasi sempre il maltrattante attribuisce la responsabilità dell’accaduto esclusivamente a cause esterne, e generalmente alla partner, e non riconosce di aver avuto un ruolo nella violenza che egli stesso ha posto in essere. Chi agisce violenza frequentemente assume una sorta di naturalizzazione dei comportamenti violenti, un atteggiamento di 122 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. pentimento che lo induce a minimizzare, a razionalizzare ed infine giustificare l’evento. Potremmo affermare, pacificamente, una sorta di bi frontismo maschile, che pur essendo consapevoli di quello che accade nel privato, cercano di ricostruire un’immagine positiva di sé sulla scena pubblica, rappresentandosi come soggetti assicuranti. Chi è l’altra protagonista? Chi è costei? Certamente definire chi è la vittima non è facile. Per vero, vi è incertezza già sull’etimo del termine e due sono le ipotesi avanzate: la prima fa derivare il termine vittima da vincere, cioè legare, avvincere e ne ricollega l’origine alla pratica di legare gli animali che venivano offerti agli dei nei riti sacrificali; la seconda fa riferimento al verbo vincere e, in ossequio ad essa, la vittima sarebbe colui che è sconfitto e disarmato di fronte al vincitore. All’oscurità dell’origine etimologica fa riscontro, come si accennava, la difficoltà di individuare una nozione di vittima. Il vocabolo è, infatti, utilizzato in ambiti differenti e assume contenuti diversi a seconda delle prospettive e dei contesti entro i quali è inserito: antropologico–culturale, sociologico, religioso–spirituale, teologico-sacrificale, psicologico o psicoanalitico ed, infine giuridico. In tale contesto, si privilegia la prospettiva criminologica, nonostante la consapevolezza che, anche all’interno della criminologia, manca una definizione unitaria di vittima. Certo è che la vittima è abbinata al crimine in modo ricorrente, anche se il soggetto passivo, nella dinamica interpretativa del delitto è stato sempre lasciato nell’ombra; per lungo tempo è stata ritenuta mero oggetto passivo della condotta criminosa. Lo stereotipo del crimine dà per scontato che il rapporto tra il criminale e la vittima sia tale per cui quest’ultima ignora l’esistenza e le intenzioni del primo, mentre, in realtà, in molti casi la vittima ha un ruolo importante. Questa considerazione è vera nella stragrande maggioranza dei casi, ma, come hanno dimostrato gli studi empirici e sociali, per comprendere alcuni fenomeni criminosi occorre considerare anche le ipotesi in cui la vittima svolge un ruolo, oppure, ha caratteristiche peculiari di vulnerabilità o particolari predisposizioni nella genesi e nella dinamica del reato. Si è così giunti ad ammettere che la vittima rappresenta il secondo polo della diade criminale. La vittima, infatti, compone, insieme al reo, la realtà umana con cui il diritto penale deve confrontarsi: raramente l’analisi del fatto criminoso può essere compiuta escludendo l’esame del comportamento della persona che lo ha subito. La vittima è, quindi, uno degli attori essenziali della situazione penalmente rilevante; pertanto, l’intera vicenda criminale, deve essere esaminata tenendo conto del ruolo svolto da ciascuno nella dinamica che ha prodotto il verificarsi del reato. 123 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Spesso, in tale contesto ed in particolar modo quando si affronta l’efferatezza della violenza di genere il quesito tipico che ci si pone quando si analizza la condotta della vittima è il seguente come mai la stessa non riesce a reagire; perché non se ne va? La vittima certamente cerca di assumere un comportamento di responsabilizzazione per evitare che il proprio comportamento errato od inadeguato sia la conditio sine qua non per generare la violenza del partner. Le vittime subiscono effetti devastanti, nella violenza da “fiducia”, così come viene denominata da Ventimiglia (2002) in quanto si vuole intendere una forma di violenza esercitata da una persona già conosciuta dalla vittima, e aggravata dal fatto che esiste una relazione (sia essa familiare, di sangue, sentimentale o amicale) precedente l’episodio di maltrattamento. Dal punto di vista giuridico, si può parlare di aggravanti quali abuso di autorità, di relazioni domestiche, di coabitazione, di ospitalità. La stessa vittima riflettendo sul proprio ruolo pensa che oltre ad essere “tradita” nella relazione stessa, sperimenta dei sensi di colpa legati all’eventualità di “averlo meritato”, alla percezione di avere la responsabilità della buona riuscita della relazione, alla sensazione che per essere una “brava moglie” (o altro genere di ruolo femminile) è necessario sopportare la situazione di buon grado, perché ”è sempre stato “così”, oppure perché “cosa penserà la gente”, o ancora “per il bene dei bambini”. Le principali teorie che tentano di sistematizzare le dinamiche dell’abuso nella coppia e a rispondere al quesito perché ci siamo posti poc’anzi, hanno avuto origine proprio da esigenze giuridiche, poiché nel 1991 il governatore degli Stati Uniti, William Weld, apportò delle modifiche alla legislazione vigente, in modo che le donne che avevano subito maltrattamento in famiglia potessero chiedere un risarcimento, qualora vi fossero le prove di una “Sindrome della donna picchiata”. La questione si fece ancora più pressante nel momento in cui alcune donne, accusate dell’omicidio del proprio marito, furono rilasciate per aver riportato prove di abuso subito nella relazione coniugale. Da allora, giudici e avvocati iniziarono a dibattere per definire univocamente la “Sindrome della donna picchiata”. Quest’ultima non si tratta di un vero e proprio disturbo mentale (non è, tra l’altro, compreso nel DSM - IV); piuttosto di un tentativo di spiegare, applicando i principi della teoria dell’impotenza appresa, per quali motivi le donne maltrattate non riescono a lasciare il proprio aggressore. L’originale teoria dell’impotenza appresa (Seligman, 1975) cercava di spiegare il comportamento passivo tenuto da determinati soggetti in condizioni di disagio o dolore. Seligman giunse a formulare la sua teoria, sostenendo che un soggetto collocato in un contesto spiacevole e incontrollabile diventerà passivo e accetterà degli stimoli dolorosi, 124 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. anche quando l’evitamento è possibile ed evidente. Alla fine degli anni ’70, Walker (1980) adottò la teoria di Seligman (1975) per spiegare come mai le donne rimangono con i loro partner violenti. Secondo Walker (1980), infatti, la “Sindrome della donna picchiata” comprende due elementi: il ciclo della violenza e la sindrome dell’impotenza appresa. Ci sono fattori di rischi tale per cui potrebbero indicare l’eventualità del verificarsi di un evento dannoso a seguito di date circostanze non presupponendo, pertanto, una consequenzialità fra queste ultime e, appunto, l’evento dannoso. Definire elementi di rischio significa, quindi, individuare delle condizioni ce renderanno maggiormente probabile il verificarsi di un evento, ma che non lo determinano necessariamente. Questi fattori possono essere rilegati tanto nella sfera individuale, di coppia, comunità e società. Alcuni fattori di rischio fungono come luoghi comuni come ad esempio la violenza è presente in contesti familiari culturalmente ed economicamente poveri; la violenza è causata da occasionali e sporadiche perdite di controllo; è causata dall’assunzione da parte dell’aggressore di sostanze alcooliche e droghe; la violenza non incide sulla salute della vittima; alle donne piace essere picchiate; gli aggressori sono soggetti che hanno subito violenza da piccoli. Qual è la risposta a questa piaga della violenza che genera come abbiamo accennato una forma di insicurezza sociale? Certamente la risposta a tale quesito è senza ombra di dubbio l’utilizzo dello strumento della prevenzione. In particolar modo la prevenzione integrata, che comprende quella situazionale comunitaria (responsabilizzazione dei cittadini alla sorveglianza dei cittadini alla sorveglianza di alcuni campanellini d’allarme di alcuni fenomeni) e quella sociale (che ha come obiettivo di ridurre i fattori criminogenei). Occorre un integrazione integrata in quanto il crimine, ed in particolar modo la violenza alle donne, è il prodotto di più fattori, dunque anche le misure per affrontarlo devono muoversi su livelli diversi ed in base a diverse razionalità. Occorre dare spazio allo strumento della nuova prevenzione caratterizzata da vari soggetti, come istituzioni e cittadini, da un lato, e dall’altro attuare nuove strategie orientate a diminuire la frequenza di certi eventi criminogenei come la violenza alle donne con l’utilizzo di strumenti alternativi da quelli prettamente penali. Ecco, dunque, si inseriscono in tale spazio: - programmi per modificare la cultura effettuando interventi nelle scuole, ritrovi aggregativi per suscitare condotte non violente indicare la strada del dialogo , 125 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. suscitare empatia educare ad atteggiamenti solidali, in chiave prettamente di prevenzione ex ante all’evento di violenza; - elaborare un servizio specifico per il trattamento degli aggressori com’è stato effettuato in passato per le tossicodipendenze e il gioco patologico, come forma di prevenzione ex post all’evento. Com’è stato effettuato in America, in particolar modo negli Stati Uniti, ove il fenomeno è maggiormente sentito, sono state create a livello governativo organizzazioni strutturate di contatto e coordinamento; una tra tutte è la Violence Prevention Alliance che afferisce direttamente all’Organizzazione Mondiale della Sanità. La Violence Prevention Alliance è una rete di Stati membri afferenti all’organizzazione mondiale della sanità che condivide strategie preventive del fenomeno promuove interventi multifattoriali e si riconosce nel World report violence and health stilato dall’organizzazione mondiale della sanità che di fatto è il primo punto su scala mondiale che tratta il fenomeno della violenza. Per quanto concerne il trattamento verso l’aggressore è molto importante per evitare che la violenza si ripresenti. Il trattamento psicologico dell’aggressore unito ad altre misure penali è essenziale. Fornisce una connotazione significativa all’evento attribuisce ad esso un “senso”, non limitando la sua portata nella sfera intima personale né esaurendo la risposta con la sola condanna penale. Trattare un aggressore domestico significa considerarlo per tanto prima di tutto responsabile. Non bisogna sottacere in tale ambito anche il trattamento del reo nel circuito penitenziario, al dopo sentenza di condanna, visto come strumento di prevenzione ex post all’evento violenza. Infatti, il trattamento di tale natura va ricordato che non ha carattere coercitivo e ha alla base una sorta di concertazione e di collaborazione attiva dell’utente soggetto del trattamento. La condivisione di un progetto /programma nasce dal riconoscimento di un bisogno e da una richiesta di aiuto da parte dell’autore. L’art. 27 Reg. es. ord. pen., proprio per assolvere a tale compito , prevede che gli operatori, che svolgono la loro attività all’interno dell’istituto penitenziario, debbano rintracciare tutti quegli elementi, culturali, psicologici e sociali, che sono stati d’impedimento a una corretta condotta penale e che hanno agevolato l’ingresso nella devianza. Spesso, può accadere che gli autori dei reati di maltrattamenti in famiglia o all’interno della coppia non comprendano la decisione sanzionatoria e che di fatto no la accetti, e 126 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. pertanto non si pone nella condizione di chiedere aiuto dato che ritiene di non averne bisogno. Tale per cui il percorso all’interno del circuito penitenziario nel trattare con tali autori diventa difficoltoso in quanto manca il presupposto essenziale quale, la condivisione di un programma /progetto. Il filtro del trattamento intramurario per tali autori di reati è fondamentale, perché spesso accade che tali soggetti una volta inseriti nuovamente nella società intraprendano la relazione con la partner che le ha denunciati, oppure, perché pur essendoci stata una denuncia autore e vittima non abbiamo mai sostanzialmente terminato la loro relazione, cosicché può essere assottigliata la recidiva e la possibilità di portare ad ulteriore stadio la violenza già perpetrata nei confronti della vittima. Mentre, sempre in chiave di prevenzione, ed in particolare in itinere, va ricordata in tale ambito la legge 119/2013 che ha previsto, con l’introduzione e l’amplificazione di alcuni istituti sia a livello sostanziale sia processuale penale, una tutela all’altra protagonista della relazione criminale, la vittima. A tal proposito va citata anche la legge regionale Veneto n. 5 del 2013, che prevede interventi regionali per prevenire e contrastare la violenza contro le donne. Altro strumento da citare in ambito di prevenzione è la redazione di alcuni protocolli d’intervento. Questi protocolli hanno una doppia valenza sia nei confronti delle vittime sia nei confronti degli operatori che intervengono durante il manifestarsi dell’evento criminogeno ed indirettamente nei confronti della società. Infatti, per quanto riguarda la prima funzione è necessario sottolineare l’importanza dell’approccio che gli operatori debbono avere quando si trovano ad effettuare un intervento operativo nelle forme di violenza e specificatamente durante il primo contatto con le vittime. Orbene, è necessario ricordare quanto è già stato illustrato dalle ricerche effettuate dal U.S. Departement of Justice in America, ove è stato evidenziato che la maggior parte delle vittime di un fenomeno criminogeno o di reato si senta non compresa, pur avendo richiesto aiuto, e decida in tal modo di non esporre denuncia per evitare di provocare i loro aguzzini e ritrovarsi in una situazione di maggior pericolo, così facendo alimentano il dark number(numero oscuro) della criminalità. Inoltre, si è rilevato che si sono ottenuti risultati migliori e nel contempo aiuto effettivo alle vittime in quegli stati in cui sono state formate in maniera professionale gli operatori che svolgono attività nell’ambito di tali fenomeni con l’adozione di specifici protocolli d’intervento che permettono una presa in carico più efficace ed articolata, 127 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. evitando la vittimizzazione secondaria connessa ad atteggiamenti di minimizzazione dei problemi o di colpevolizzazione della persona offesa. Inoltre, in tal guisa per quanto riguarda la seconda funzione, vale a dire, come forma di protezione per gli operatori, forze di polizia, sanitari operatori del servizio sociale, attraverso l’adozione di protocolli operativi possono consapevolmente adottare tutte le misure idonee per effettuare un intervento efficace, da un lato ed agire in sicurezza in qualità di lavoratori, dall’altro. Proprio per questo occorre redigere un protocollo d’intervento specifico per ogni categoria di operatori che intervengono nell’ambito del fenomeno della violenza di genere. I protocolli devono avere come obiettivo la protezione della vittima e per realizzare ciò devono essere previste due parti: la prima che prevede regole per il contatto con la vittima; mentre, la seconda parte riguarda regole specifiche afferenti al campo lavorativo, per adempiere ad obblighi previsti dalla legge per l’operatore che interviene nel fenomeno della violenza sulle donne.Infatti, un conto è redigere protocolli operativi per le Forze dell’ordine che hanno specifici obblighi di legge diversi dagli operatori sanitari.Ebbene, il protocollo pilota dovrebbe prevedere due parti, la prima, comune a tutte le categorie professionali, avere ad oggetto le Regole OVC (Office for Victims of crime) che riguardano la necessità della vittime. Queste regole sono state pubblicate nell’aprile del 2008 con un lavoro dal titolo “First response to victims of crime” dall’U.S. Department of Justice in America. Nel testo sono riportate considerazioni in merito al primo contatto con vittime dalle caratteristiche personali differenti e per le diverse forme di reato (aggressioni sessuali, violenza domestica, catastrofi naturali). Il manuale ha una valenza ampia a partire dalle considerazioni di base, fruibili da ogni professionista che opera con le vittime di reato. Le modalità con cui una vittima affronta ed elabora il trauma dell’evento non dipendono solamente dalle risorse personali, ma pure dal comportamento di chi l’affianca nei momenti immediatamente successivi. A questi spetta il compito di aiutare la vittima a riguadagnare al più presto un senso di sicurezza e di controllo sulla propria vita, qualcosa che il trauma ha messo in crisi. 128 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Una volta gestita l’emergenza della segnalazione, che per i sanitari potrebbe essere apportare le cure del caso, mentre per la polizia evacuare la zona e mettere in sicurezza la stessa, l’attenzione va rivolta alla vittima. Ricordando che qualunque commento fuori luogo, anche se espresso inavvertitamente, come pure un atteggiamento intrusivo ed anempatico, potrebbe indurre nella vittima la convinzione d’essere in qualche misura responsabile dell’accaduto, e perciò causandole una seconda vittimizzazione. Le necessità delle vittime sono tre: - sentirsi al sicuro; - poter manifestare le proprie emozioni; - e domandarsi cosa accadrà da quel momento specifico. Mentre, la seconda parte del protocollo dovrà riguardare l’ambito specifico dell’operatore. Ebbene, se ad intervenire è la polizia, certamente, si dovrà verificare se il contatto con la vittima avviene presso il comando, in abitazione o telefonicamente. Ciò in quanto gli stessi operatori nei contesti poc’anzi accennati dovranno seguire delle regole specifiche lavorative previste per legge ad esempio: raccogliere la denuncia; effettuare l’informativa ai sensi di cui all’art. 347 c.p.p; raccogliere sommarie informazioni ai sensi di cui agli artt. 350 351 c.p.p.; procedere ad identificazione 349 c.p.p.; applicare in ordine ai presupposti di legge arresto e fermo artt. 380 e 381 c.p.p.. Ma i protocolli hanno anche un ulteriore funzione quale quella di tutelare gli stessi operatori che intervengono in qualità di lavoratori per evitare di subire un danno derivante dai loro interventi con le vittime e gli aggressori. Ebbene, può essere adottato a tal proposito uno strumento specifico, questo per gli operatori di polizia, quale la compilazione di una scheda EVA (Esame delle violenze agite). Quest’ultima si tratta di un modello di intervento utile per raccogliere informazioni da parte di coloro che effettuano un primo intervento in assenza di una querela, di un arresto in flagranza o di una procedibilità di ufficio per eventuali procedimenti futuri. Chi interviene presso un abitazione, per strada, in un luogo aperto o chiuso per segnalata “lite in famiglia” si può trovare di fronte ad innumerevoli scenari. Si può effettivamente trattare di una situazione di semplice lite, senza alcun rischio o pericolo 129 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. per le persone coinvolte ne per gli operatori, ma si possono verificare situazioni ancor più gravi per l’incolumità delle persone. Solo chi effettua il primo intervento può osservare lo scenario ove è avvenuta l’aggressione. Sempre per quanto concerne la II parte del Protocollo operativo, certamente, se ad intervenire è personale sanitario, interponendosi anch’esso in quella relazione criminale, le regole dovranno essere ben diverse. Infatti, i sanitari a differenza di quanto abbiamo visto per il personale di polizia, effettuano la loro attività prevalentemente nella struttura sanitaria, tranne, certamente, per coloro che effettuano servizio d’intervento, ove la vittima potrebbe recarsi spontaneamente, o viene accompagnata dallo stesso aggressore, o dalle forze dell’ordine od infine indirizzata dai centri antiviolenza.La necessità anche in tale ambito di redigere alcune linee guida è importante in quanto dovrebbero essere finalizzate a garantire a chi ha subito violenza , maltrattamenti ed abusi il diritto di trovare immediato soccorso in un luogo dove operatori e operatrici sanitari competenti sappiano affrontare non solo la visita e la raccolta degli indizi, che poi diverranno prove nella fase dibattimentale a livello processuale, ma garantire capacità di ascolto , accoglienza e comprensione, fornire riferimenti chiari ed univoci a tutti gli attori del percorso in ambito di obblighi normativi e legislativi, tempi e modalità , tipologie di eventuali prelievi. Inoltre, la parte specifica per i sanitari dovrà , a parere della scrivente, prevedere regole e strumenti chiari affinché il sanitario possa in alcuni casi, ad esempio quando non sia necessaria la redazione del referto in quanto si è in presenza di una lesione guaribile entro 20 giorni procedibile a querela e la vittima non vuole denunciare il suo aggressore , avere la possibilità di una rintracciabilità delle lesioni subite dalla vittima nei cui confronti non si è certi che sia stata commessa violenza o maltrattamenti. Cosicché quando ella si ripresenti presso il presidio ospedaliero per le cure e per ulteriori lesioni subite il sanitario può valutare, con maggior obiettività se coinvolgere operatrici dell’area psico-sociale. Non bisogna dimenticare che le lesioni, molto spesso, sono eventi prodromici alla violenza ed abusi. Quali sono gli strumenti a tutela del sanitario in qualità di lavoratore e per tutelare la vittima che non vuole denunciare la violenza che silenziosamente subisce? Per quanto concerne la prima tutela di soggetti , e dunque , i sanitari in qualità di lavoratori, si potrebbe utilizzare lo strumento della scheda EVA cosi come viene fatto per gli operatori di polizia; mentre, per la tutela alle vittime che si rivolgono al presidio 130 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. ospedaliero , in particolare al pronto soccorso , e quando esse non presentano querela e ove non ci sono i presupposti di legge per la redazione di referto da parte del sanitario , si potrebbe adottare lo strumento dettato dal modello ISA. La sua funzione è quello di aiutare la donna a fare una corretta autovalutazione del rischio che la stessa ha di essere nuovamente oggetto di violenze. Tale strumento potrebbe essere fornito dal personale sanitario alle presunte vittime che dovranno poi compilarlo. Le numerose ricerche fatte sulla valutazione del rischio hanno evidenziato come da una parte sia la stessa vittima che fornisce un buon indice di valutazione del rischio di recidiva della condizione in cui si trova, dall’altra, chi subisce violenza tende a sottovalutare la condizione di rischio in cui si trova e spesso sottostima il rischio in cui versa, soprattutto nei casi in cui vive ancora con il maltrattante. Per questo motivo è stato messo a punto lo strumento ISA, da somministrare alle donne che subiscono violenza all’interno di una relazione per aiutarle a stimare da sole il rischio sulla base di una serie di domande a cui devono fornire le risposte, calcolare un punteggio che ottengono e valutare il livello in cui corrono. Il principio teorico su cui si basa ISA è che una donna, che riflette e comprende quello che è successo, aumenta il livello di consapevolezza del rischio e quindi agisce attuando strategie più efficaci per la sua tutela (Baldry, Winkel, 2008). ISA è uno strumento messo a punto grazie a un progetto internazionale, commissionato dall’Unione Europea all’interno del progetto Dafne vi è stato il coinvolgimento di altri Paesi europei come Portogallo, Regno Unito e Paesi Bassi. Si tratta di un questionario auto compilato, costituito da una serie di domande che riguardano sia la storia personale della donna con il reo, sia la sua condizione psicologica. Una volta risposto a tutte le domande, viene calcolato il punteggio a cui corrisponde una percentuale di rischio di recidiva che poi viene confrontato con l’autovalutazione fornita dalla stessa donna per vedere se la stessa tende a sottostimare quello che le accade e le è accaduto. Chissà potrebbe essere d’ausilio per far sì che la stessa donna vittima trovi il coraggio a denunciare o parlarne con il sanitario. Questo protocollo specifico potrà essere inserito nel progetto denominato “codice rosa” previsto e realizzato dalla Prefettura, Procura, Comune, Questura, Comando Provinciale dei Carabinieri, Guardia di finanza e USSL 20 21 22 L’azione di contrasto alla violenza si scontra certamente con altri fattori endogeni, che limitano la possibilità di agire efficacemente: il carattere privato della violenza; le 131 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. culture educative, gli usi e i costumi, che, a seconda dei casi, favoriscano i comportamenti violenti; le condizioni di carenza di protezione delle vittime le quali non si sentono tutelate e per questo non denunciano. Per tutte queste ragioni si evidenzia, come una necessità assolutamente imperiosa, la definizione e l’applicazione di protocolli operativi condivisi che prevedano le forme di lavoro e di intervento dei professionisti di ogni disciplina e definiscano criteri unitari per l’ottimizzazione delle risorse. Tenendo conto dell’eterogeneità e della complessità del fenomeno, si può pensare alla costruzione di un protocollo di attuazione sufficientemente flessibile che risponda a distinte necessità ed obiettivi. Certamente non vi possono essere tipi di violenze sulle donne più importanti di altri. Occorre conoscere le diversità criminali per calibrare rispetto ai casi concreti le risposte di assistenza alle vittime e di contrasto ai colpevoli guardare al “dopo”, e da questo partire per ampliare la tutela, dapprima nei confronti delle vittime reali, e poi a quelle potenziali. 132 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Il mal d’amore, sindrome di Tako-Tsubo: emozioni e malattie cardiovascolari nella donna. Vassanelli Corrado1, Menegatti Giuliana1, Vassanelli Francesca2. 1 UOC di Cardiologia AOUI di Verona, 2Cardiologia, Università degli Studi di Brescia Uno choc emotivo, di gioia o di tragedia, può indebolire il cuore al punto da far credere ad un infarto. La prima immagine che viene alla mente in tema di morte per amore è probabilmente quella di Romeo e Giulietta, ma forse la scartiamo subito perché ci pare inverosimile. Tuttavia, la coppia che non è realmente esistita, ha ispirato molte storie d’amore impossibili e ancor oggi, a Verona, la casa di Romeo e Giulietta rappresenta un bastione dell’amore al quale approdano persone di tutto il mondo soprattutto il 14 febbraio, giorno di San Valentino. Nel pieno rispetto della licenza letteraria dell’opera di Shakespeare la morte per amore è più frequente di quello che si possa immaginare. Analizzando le esperienze di ottanta adulti che avevano sofferto della perdita di un essere amato recentemente, alcuni autori hanno osservato che questi erano più suscettibili a disturbi cardiaci di coloro avevano tenuto una certa stabilità emotiva durante lo stesso periodo di tempo. Le alterazioni di tipo emotivo influiscono seriamente sull’organismo delle persone producendo variazioni significative di parametri vitali quali l’incremento della pressione arteriosa, l’alterazione del ritmo cardiaco e la diminuzione della resistenza del sistema immunitario. Questo stato di sofferenza quale conseguenza della perdita dell’essere amato, caratterizzato da depressione, ansietà e ira, termina approssimativamente entro sei mesi: entro questo periodo una parte dei vedovi muore o sviluppa una malattia cardiaca. Studi recenti hanno sottolineato l’influenza di prove emotive e stress, sulla funzione del cuore. Già da più di 20 anni sapevamo che lo stress mentale ed emotivo sono in grado di provocare ischemia in più del 50% dei pazienti con malattia coronarica cronica stabile. Questa ischemia indotta dallo stress mentale spesso si realizza in assenza di sintomi ed ha cause diverse da quella tradizionale. 133 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. In quel tristemente famoso 11 settembre morirono improvvisamente molti pompieri americani che non avevano avuto alcuna precedente manifestazione di malattia coronarica: è stato sollevato il sospetto che, al di là delle cause fisiche (inalazioni, polluzione, monossido di carbonio, altre tossine cardiache, ecc), lo stress fisico e psicologico possano aver giocato un ruolo rilevante. La “sindrome del cuore infranto”, come è stata chiamata volgarmente questa reazione alla perdita del partner, genera sintomi simili a quelli che si manifestano prima di soffrire di un attacco cardiaco. In gergo tecnico il nome scientifico è “Sindrome di Tako-Tsubo” e si tratta sostanzialmente di una cardiomiopatia di etiologia molto più ampia e caratterizzata da una disfunzione sistolica del ventricolo sinistro di carattere transitorio, a volte grave, spesso associata a dolore toracico e dispnea. Normalmente viene preceduta da un violento stress psichico o fisico ed è più comune nel sesso femminile. Affrontare una situazione di stress utilizzando strategie inadeguate (caratterizzate da ira e irritabilità) aumenta le probabilità dell’insorgere di malattie cardiovascolari e cerebrovascolari. Questo manifesta la crescente necessità di sviluppare una certa elasticità e cambiare la nostra forma di intendere il mondo e quindi di utilizzare un approccio che comprenda il cambiamento come parte essenziale della vita. Nel 1969 Massimo Ranieri cantava (Rose Rosse) “D’amore non si muore, ma non mi so spiegare, perché muoio per te”, e forse una verità la diceva. Tutti ci siamo sentiti il cuore spezzato e malessere fisico. I geni coinvolti nel dolore fisico sono strettamente legati alle esperienze mentalmente dolorose, come, ad esempio, quella di una delusione d’amore. È infatti stato scoperto un collegamento genetico tra il dolore fisico ed il rifiuto sociale. Il gene OPRM1 (mu-opioid receptor gene - recettore ‘mu’ per gli oppioidi), regola i più potenti antidolorifici del nostro corpo e viene coinvolto nelle esperienze sociali molto dolorose. La variazione dell’OPRM1 (associata spesso al dolore fisico) è legata alla quantità di “dolore sociale” che una persona sente quando viene rifiutata. Ma questo non accade in tutti. Esistono dei soggetti che presentano una rara forma di questo gene che li rende più sensibili del normale al rifiuto e, quindi, al dolore sociale. Alcuni volontari hanno risposto ad una serie di domande per misurare la propria sensibilità al rifiuto e ad esprimere il proprio accordo o disaccordo ad affermazioni del tipo “Io sono molto sensibile a tutti i segnali di una persona che non vuole parlare con 134 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. me”. Successivamente i ricercatori hanno analizzati i campioni di saliva di 122 volontari per identificare le varianti di gene OPRM1 presenti in queste persone, se quella più sensibile o meno. Infine, come ultima fase dello studio, i ricercatori hanno testato le emozioni di solo 31 volontari quando sono stati volutamente esclusi da un gioco al computer che prevedeva un scambio di una palla virtuale tra i partecipanti. Le persone con la forma rara del gene del dolore, che hanno mostrato in precedenti lavori di essere più sensibili al dolore fisico, hanno anche segnalato i più elevati livelli di sensibilità al rifiuto e hanno dimostrato una maggiore attività nella regione del cervello associata al dolore sociale quando sono stati esclusi. Sarebbe interessante sapere se siano più le donne o gli uomini a possedere la variante rara, ma lo studio non ne fa menzione. Forse, al di là del genere, la fortuna è non possederla. La spiccata sensibilità non è caratteristica di tutti, permette un contatto sensoriale con il mondo più elevato, provoca turbinii e vortici di emozioni, fa vivere la vita a carne viva, tutte le meraviglie che vogliamo, ma di sicuro non ci protegge dalla sofferenza e l’amarezza. Mente e cuore sono da sempre stati raccontati come due eterni rivali. Al contrario mente e cuore sono parti inscindibili dell’essere umano, della sua vita: senza il loro contributo complementare e sinergico risulterebbe impossibile pensare al futuro, identificare e superare gli ostacoli che ogni giorno la vita ci fa incontrare. Il cuore è anche stato paragonato ad un faro che indica la strada da percorre per raggiungere la realizzazione dei nostri obiettivi. La mente non condizionata deve cooperare al fine. Si deve rifuggire da questo dualismo (che ricorda il dualismo psicofisico mente-corpo) che, come abbiamo visto, può solo produrre malattia. La mente non deve prevaricare generando ansia, senso di disagio, depressione che alla fine danneggiano proprio il cuore. Fabio Volo nel libro "È una vita che ti aspetto" scrive: “Cambiare posto al cuore con il cervello. Impara a pensare con il cuore e ad amare con la testa. Pensare con il cuore ti costringe ad agire con amore. E ogni cosa da amare facendola con la testa, ti costringe ad amare nel modo giusto.” 135 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Mente e cuore, devono camminare all’unisono in un percorso che ci è stato dato di fare, noi con gli Altri, noi per gli Altri. Bibliografia 1. Svab S, Pasotti E, Moccetti T and Pedrazzini GB. Tako-tsubo cardiomyopathy, acute coronary syndrome, or both? Eur Heart J. 2015. 2. Smeijers L, Szabo BM, van Dammen L, Wonnink W, Jakobs BS, Bosch JA and Kop WJ. Emotional, Neurohormonal, and Hemodynamic Responses to Mental Stress in Tako-Tsubo Cardiomyopathy. The American journal of cardiology. 2015. 3. Sharkey SW, McAllister N, Dassenko D, Lin D, Han K and Maron BJ. Evidence That High Catecholamine Levels Produced by Pheochromocytoma May be Responsible for Tako-Tsubo Cardiomyopathy. The American journal of cardiology. 2015. 4. Otten AM, Ottervanger JP, Symersky T, Suryapranata H, de Boer MJ and Maas AH. Tako-tsubo cardiomyopathy is age-dependent in men, but not in women. Int J Cardiol. 2015;188:65-66. 5. Hefner J, Csef H, Frantz S, Glatter N and Warrings B. Recurrent Tako-Tsubo cardiomyopathy (TTC) in a pre-menopausal woman: late sequelae of a traumatic event? BMC cardiovascular disorders. 2015;15:3. 6. Harb BM, Wonisch M, Fruhwald F and Fazekas C. Tako-tsubo cardiomyopathy and post-traumatic stress disorder after a skiing accident: a case report. Wiener klinische Wochenschrift. 2015;127:222-224. 7. Fibbi V, Ballo P, Nannini M, Consoli L, Chechi T, Bribani A, Fiorentino F, Chiodi L and Zuppiroli A. Nightmare-induced atypical midventricular tako-tsubo cardiomyopathy. Case reports in medicine. 2015;2015:292658. 8. Costantini M, Previtali M and Costantini L. Sindrome X, Tako-Tsubo cardiomyopathy and variant angina in mother and daughter. A striking coincidence? Minerva cardioangiologica. 2015;63:165-7. 9. Caretta G, Robba D, Vizzardi E, Bonadei I, Raddino R and Metra M. 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Roberto Castello, Direttore Medicina Generale e Sezione Decisione clinica, AOUI, Verona La Medicina di Genere non è la medicina che studia le malattie che colpiscono prevalentemente le donne rispetto agli uomini, ma la disciplina che studia l’influenza del sesso (accezione biologica) e del genere (accezione sociale) sulla fisiologia, fisiopatologia e clinica di tutte le malattie per giungere a decisioni terapeutiche basate sull’evidenza sia nell’uomo che nella donna. Esistono differenze di genere nella violenza? Il comportamento violento presenta un ampio spettro di manifestazioni che vanno dall’aggressività alla violenza fisica vera e propria. Si tratta di un elemento naturale e fisiologico che qualifica e determina il mondo animale. Esso è espressione dell’istinto di sopravvivenza e di preservazione della specie attraverso la riproduzione. Tale istinto persiste nell’essere umano, attenuato dai vincoli sociali e familiari. Valutiamo innanzitutto quale può essere l’influenza del genere nella sua accezione sociale sulla genesi degli episodi di violenza. Si parla di “violenza di genere” riferendosi a “qualunque atto di violenza sessista che produca o possa produrre danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata” (Nazioni Unite, 1993). Il fenomeno attiene più alla “normalità” che alla patologia, riguarda uomini e donne di tutti gli strati sociali e culturali, esiste in tutti i paesi, attraversa tutte le culture, le classi sociali, le etnie, i livelli di istruzione e di reddito e tutte le fasce di età. Per “genere” si intende la diversità di ruoli, diritti e doveri che la cultura e la società attribuiscono agli individui a seconda del loro sesso. La violenza basata sul genere coinvolge sia uomini che donne. Di solito la donna è la vittima. Ciò deriva dalla disparità nell’attribuzione del potere tra uomini e donne. 139 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Può declinarsi in violenza fisica, sessuale, economica, spirituale, psicologica e, più spesso, in una combinazione delle diverse forme. Le donne sono più a rischio di violenza nelle proprie case piuttosto che per strada. Quasi sempre i comportamenti violenti sono commessi da una persona di sesso maschile legata alla donna da un rapporto stretto (non solo partner, marito o ex convivente, ma anche figlio). Anche il sesso, inteso nella sua accezione biologica, è determinante nel qualificare gli episodi di violenza. Le emozioni nascono nelle strutture subcorticali (amigdala e ipotalamo) e vengono poi elaborate dai centri cognitivi prefrontali per essere controllate ed espresse. Diversi studi hanno dimostrato che soggetti più aggressivi presentano livelli più alti di testosterone, l’ormone maschile per eccellenza. Ad esempio, la quota di testosterone totale aumenta notevolmente negli atleti maschi nel corso di competizioni sportive. Il sesso risulta il miglior fattore predittivo per la criminalità. La Teoria dell’evoluzione neuroandrogenetica sostiene che il testosterone stimola la competitività e l’aggressività volte all’accumulo di risorse. Ciò rende il maschio più interessante agli occhi della femmina e gli garantisce maggiori chance di accoppiamento. L’esposizione neurologica agli androgeni si ha nel periodo perinatale e post puberale. Se l’esposizione è alta, il cervello sarà mascolinizzato, se bassa rimarrà femminile. L’azione del testosterone nel cervello inizia già nella fase embrionale. Studi di imaging neuroradiologico hanno dimostrato che, nei maschi adulti, il testosterone attiva l’amigdala intensificando le emozioni e la sua resistenza al controllo dei centri cognitivi prefrontali I ragazzi più aggressivi presentano maggiori livelli di testosterone. I livelli di testosterone e altri androgeni correlavano con la severità degli incidenti. 140 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Studi condotti su cavie dimostrano che i maschi castrati perdono l’aggressività mentre la terapia con testosterone li rende nuovamente violenti. Nella femmina l’influenza ormonale sull’aggressività è più articolata. Le femmine ovariectomizzate diventano aggressive nei confronti delle altre femmine. Dopo la somministrazione di terapia estro-progestinica sostitutiva, tornano docili e propense all’accoppiamento. Se le femmine ovariectomizzate sono trattate con testosterone, diventano aggressive nei confronti dei maschi. Il testosterone risulta correlare con maggior violenza e aggressività anche nelle donne carcerate. Con l’avanzare dell’età e il fisiologico calo di testosterone che ne consegue, le detenute perdono la spinta all’aggressività e alla violenza. Ricordiamo che nelle donne nel delicato periodo del post partum, le alterazioni ormonali possono portare ad aggressività e a violenza anche nei confronti del neonato. Uno studio condotto in Tennesse ha rilevato che il 16% dei soggetti arrestati per violenza nei confronti del partner erano donne (Feder and Hemmny, 2005). Un secondo studio condotto in Hampshire ha rilevato un a frequenza del 35%. Si trattava principalmente di donne arruolate nell’esercito. Dagli studi emergono alcuni dati interessanti: • L a maggior parte delle donne violente reagisce alla violenza del partner. • Gli effetti psicologici della violenza sono più marcati nelle donne. • Le donne in genere attaccano il maschio per difendersi, per paura, per difendere i figli o per vendicarsi della sofferenza emotiva inflitta dal compagno. • Gli uomini esercitano la violenza per mantenere il controllo. • Le donne tendono a manifestare violenza verbale e raramente fisica, mentre gli uomini esplicano la violenza con aggressioni fisiche e sessuali. Esistono chiaramente delle notevoli differenze di genere nella violenza, sia dal punto di vista sociale che biologico. 141 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. 142 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Un libro accanto: cenni di biblioterapia Marco dalla Valle, infermiere Terapia Intensiva Cardiologica Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Dopo aver parlato di violenza, quella vera, quella patita sulla carne, quella che segna l'anima, ha senso discutere di quella scritta sui libri? Lo sappiamo tutti, la letteratura ha una tradizione antichissima per quanto riguarda la violenza sulle donne: nei miti antichi, nelle favole, ma anche nei libri sacri, inclusa la Bibbia. Ma quello di cui voglio parlarvi è l'utilità che i libri possono avere nell'aiutare le donne attraverso la biblioterapia. Si tratta di capire non come e perché esistono tradizioni letterarie misogine o meno, ma i modi di servirsi di testi letterari di diverso genere per fornire consapevolezza e come mezzo educativo e comunicativo. Alla biblioterapia sono state associate diverse definizioni. Una di queste recita: la biblioterapia è l'utilizzo creativo e ragionato della letteratura per favorire il benessere della persona. Per realizzare la creatività e la ragionevolezza della biblioterapia sono possibili diverse vie. Serve, innanzitutto, essere consapevoli delle potenzialità̀ della letteratura. Esistono biografie, ma anche romanzi eccellenti che sanno offrire un panorama psicologico incredibilmente realistico. Questi sono testi che potrebbero essere utili a alle persone che stanno accanto alle donne in difficoltà: genitori, figli, partner o amici che hanno bisogno di capire come stargli accanto. Ma anche agli operatori del settore possono ottenere molti benefici. Nelle professioni d'aiuto la lettura, in autonomia o in un laboratorio formativo, può essere un mezzo per appropriarsi delle competenze emotive ed empatiche necessarie. Certo, la lettura necessita di tempo e ritmo, e l'interiorizzazione del testo ha vie di realizzazioni a volte molto diverse da soggetto a soggetto, ma le sfumature emotive, la comprensione profonda, le infinite varianti delle reazioni alla violenza, così come i possibili modi per lenire la sofferenza, sono conosciuti maggiormente con le lettere e in alcuni caso con le arti figurative. Pensate al teatro: chi può̀ dimenticare il monologo autobiografico di Franca Rame intitolato Lo stupro? E' uno degli esempi migliori di arte declinata al sociale e nessuno può uscire immodificato da una rappresentazione simile. Può̀ accadere che alle vittime manchi la forza o la consapevolezza per chiedere aiuto. 143 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Un manuale reperibile facilmente, penso ad esempio a Donne che amano troppo di Norwood, bestseller presente in ogni libreria, potrebbe aiutare a identificarsi e quindi a capire che è necessario consultare uno specialista o rivolgersi a un'associazione o iniziare un percorso verso la salvezza sporgendo una denuncia alle autorità competenti. In questo caso non siamo ancora in presenza di una biblioterapia strutturata. Ma favorire la lettura, cosa oggi, soprattutto in Italia, non semplice, significa indicare una porta. Il libro permette di aprirla, trovando dietro quella porta i professionisti in grado di fornire l'assistenza necessaria. Quando sentite parlare di lettura, a cui potrebbe accedere ogni classe sociale, e che invece sempre più langue, potete capire quale incredibile opportunità rischia di essere sottratta a causa dell'imperante cultura dei media veloci, rinunciando così a un mezzo di enorme utilità che permette di pensare e assimilare con i ritmi consoni a ognuno. I libri non possono sostituire le terapie necessarie, lo voglio sottolineare, ma sanno senz'altro essere compagni di viaggio importanti.ad esempio: una donna è bloccata e, pur avendo accettato di essere sostenuta, rifiuta un percorso psicoterapeutico? La biblioterapia, utilizzata all'interno di un gruppo di sostegno, potrebbe essere utile proprio a questo: a far risuonare consapevolezze tenute sopite per sopportare la sofferenza e comprendere l'impossibilità di farcela da sola. Ma quali sono i libri adatti? La scelta va calibrata secondo l'obiettivo che si vuole raggiungere e le capacità emotive e intellettuali della persona che fruirà del testo. I racconti inventati, come alcuni contenuti in Dieci donne di Marcela Serrano, possono risultare utili. In questo caso l'autrice riesce a toccare efficacemente quei tasti dell'anima che possono maggiormente scuotere, proprio grazie alla sua peculiare capacità narrativa. Le biografie, anch'esse utili per maturare un processo di consapevolezza, sono efficaci nel creare un senso di condivisione. La solitudine delle vittime di violenza è spesso indotta dal proprio aguzzino e difficilmente se ne libera. Nello stesso modo il senso di autostima è intimamente leso. Una biografia adatta al caso può̀ tentare di diminuire quella solitudine, di scardinare le profonde ferite inferte dal senso di colpa. Alle biografie si possono aggiungere le autobiografie. Quest'ultime potrebbero innescare il desiderio di queste donne di scrivere. E anche la scrittura può ̀ essere uno strumento estremamente utile per raggiungere uno stato di benessere. Non è possibile in 144 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. questa sede approfondire l'argomento, ma esiste ad Anghiari (AR) la Libera università̀ dell'autobiografia di cui potete trovare informazioni in rete e che è diventato uno dei punti di riferimento su questo argomento in Italia. I libri utilizzati attraverso la biblioterapia affiancano quindi i processi di guarigione, determinano maggiore consapevolezza, permettono una condizione di condivisione, riducendo in questo modo il senso di solitudine. Ma la letteratura può molto altro. È in grado di indicare punti di vista diversi, offrendo prospettive impensate, e perciò̀ soluzioni mai ipotizzate. Diventa più chiara la condizione vissuta, e l'esempio di altre vie d'uscita permette una riflessione profondamente differente. Il testo che mi appresto a leggere è tratto da Dieci donne di Marcela Serrano. Questo libro parla di nove donne in cura da una psicologa, che si incontrano per raccontare ognuna la propria storia. Per ultima, anche le vicende della psicologa stessa verranno raccontate. Quello che leggerò è l'epilogo, poche riflessioni della terapeuta che dimostra un senso di amore professionale mai sfociante in un insano eccesso di coinvolgimento, ma fornendo calore alle tecniche necessarie. In questo breve intervento non mi è stato possibile, ovviamente, dare strumenti specifici per usare i libri nei contesti di cura. Ma se posso dare un consiglio, c'è senz'altro quello di utilizzare la letteratura come palestra professionale. Le competenze relazionali ed emotive già in vostro possesso ne usciranno certamente rafforzate. Perché dove non riesce ad arrivare l'acquisizione delle tecniche, potrebbe giungere un buon libro. Schiena dritta, testa eretta, Natasha solleva la tenda della finestra e fissa lo sguardo sul gruppetto di donne che una per una salgono sul pulmino che è venuto a prenderle. Il parco al tramonto, malinconico eppure maestoso, è deserto, i giardinieri sono andati a riposare e gli enormi alberi incorniciano le nove figure femminili che si stagliano contro al Corgigliera. Fra poco non ci saranno più̀ . Le ha salutate, una per una. Le ha abbracciate e sussurrando qualcosa le ha lasciate andare. 145 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Si ricorda di quando era piccola a Buenos Aires, e la cagna di Rudy aveva partorito. Lei passava ore e ore inginocchiata sul pavimento a osservare i cuccioli, e si stupiva di quanto avessero bisogno gli uni degli altri per sopravvivere. Forse cercavano il calore: tutti ammucchiati, si raggomitolavano vicini. Un giorno li prese uno per uno per portarli nella sala dove c'era il caminetto acceso e li sistemò vicino al fuoco. Non lasciarti prendere dall'entusiasmo, le disse Rudy quando la trovò sdraiata sul pavimento con tutti i cagnolini addosso, il valore degli esseri umani sta nella loro capacità di separarsi dagli altri, di essere indipendenti, di appartenere a se stessi e non al branco. Natasha lascia ricadere la tenda. Sono partite. Se le immagina mentre camminano lontano da lei con un passo più lieve, sotto le stelle: non quelle che conoscono, ma quelle che stanno nascendo, originate dalla morte delle altre. Alla fine, dice fra sé allontanandosi dalla finestra, alla fine tutte noi, in un modo o nell'altro, abbiamo la stessa storia da raccontare. 146 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Come il club di Giulietta accoglie e risponde alle problematiche sociali… Giulio Tamassia, Presidente Club Giulietta Viviana Olivieri, Club di Giulietta La straordinaria forza e attualità del mito di Romeo e Giulietta si rispecchia nelle lettere che il Club di Giulietta riceve da tutto il mondo e nelle quali si leggono storie di vita e d’amore che fanno parte della società odierna. Amori contrastati per differenze sociali o religiose, relazioni a distanza nella società globalizzata, grandi sentimenti ma anche storie di abbandono e di violenza. Attraverso la rivista trimestrale “Il Giornale di Giulietta” i nostri giornalisti, storici e professionisti trattano temi di cultura, filosofia e di attualità sociale. D’altronde sia la letteratura che la filosofia sono da sempre specchio della società e della realtà, così come le più grandi opere del passato conservano una straordinaria attualità. L’attività preponderante del Club di Giulietta è svolta dalle segretarie di Giulietta che accolgono attraverso le lettere e le numerose e-mail tutti i problemi e i desideri che le persone (sia giovani che adulti) inviano a Giulietta per avere un consiglio. Le lettere sono indirizzate a Giulietta, alcune anche a Romeo, e pongono quesiti che quotidianamente, sia per amore che per altre problematiche di salute, lavoro ed emozioni, tutti noi viviamo. Per quanto riguarda il tema della violenza di seguito sono riportate due lettere che il club ha ricevuto in questi ultimi mesi. Sono testi molto intimi e toccanti che raccontano di ferite e paure ma anche di amore e salvezza. (Nomi e luoghi sono stati cambiati per rispetto della privacy). Cara Giulietta, caro Romeo, Mi chiamo Elisa, ho 22 anni e mi sono appena separata dal mio fidanzato, dal mio grande amore. Ho dovuto, anche se io l’ho amato infinitamente. Una parte di me lo ama ancora e lo amerà per sempre. Però io amo anche me stessa, la mia famiglia e i miei amici. E la vita, che a voi non fu consentito di vivere e che Dio ci ha regalato con tutto quello che la rende degna di essere vissuta. 147 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Forse non eravamo fatti l’uno per l’altra. L’ho reso furioso, con i miei gesti, i miei sguardi, le parole. Fino a che lui è scoppiato … Non voleva, lo so, ha lottato contro se stesso, ma non è riuscito a fermarsi. Lui ha un’anima pura, ma la sua zona d’ombra fu più forte. Ha detto che io l’ho torturato, con il mio comportamento l’ho ferito, come ha fatto lui quando … quando mi ha colpito. E’ così incredibilmente difficile scrivere questo, dire la verità con le parole, e tuttavia mi aiuta, essere onesta per una volta. Mi sono liberata di lui, della paura di tornare a casa, dall’umiliazione, dal dolore… ma anche dal nostro amore. Tutte le volte che guardo la luna sono costretta a pensare a lui, ai bei momenti, che poi erano diventati sempre meno; e poi viene l’ombra, che portava con sé l’odio in lui e che ancora si posa pesante sul mio cuore. Io vi prego, datemi un consiglio, nascondete la ferita con il vostro amore, fate che si cicatrizzi. Io lo volevo sposare, volevo dei figli, ma ora è tutto finito. Volevo riuscirci ma non ho avuto la forza di superare questa prova. Non sono riuscita a trattenere il suo odio ed ora lui non mi lascia andare, perché dice che senza di me non può vivere. Forse potete scrivergli qualche parola di consolazione e convincerlo a lasciarmi libera. Nessuna minaccia, solo un po’ di conforto … Con la ragione l’amore non si lascia comprendere, questo voi lo sapete più di ogni altro e voi siete gli unici di cui io ho fiducia. Grazie per il vostro tempo e aspetto una risposta. Con amore, Elisa Cara Giulietta, care Segretarie di Giulietta, è da tempo che vi volevo scrivere, la mia è una lunga storia. Mi chiamo Sara, ho 34 anni e vivo in Belgio. Fra pochi giorni mi sposerò con Stefan. Lui è talmente meraviglioso che non posso nemmeno credere alla fortuna di averlo al mio fianco. A Stefan devo la vita. Se non lo avessi incontrato alcuni anni fa io forse non sarei 148 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. più qui oggi. Prima di incontrarlo vivevo con il mio ex fidanzato, a causa del quale la mia vita consisteva in paura e violenza. Non avevo più nessun contatto con il mondo di fuori, nemmeno con la mia famiglia perché lui mi aveva isolata e mi manipolava completamente. Quando conobbi Stefan lui si rese conto subito di quello che stavo vivendo e mi aiutò a separarmi dal mio ex. Ho iniziato così una nuova vita, in una città tutta nuova. Qui ho imparato a rimettermi in piedi e ad essere di nuovo indipendente. Anche se quello che ho passato è successo tanti anni fa, ci penso ancora spesso e non lo potrò mai dimenticare. Ogni giorno, ogni minuto che passo con Stefan, mi accorgo di quanto fosse terribile la mia vita di prima e mi accorgo di quanto sono fortunata ad avere incontrato il mio salvatore. Nonostante tutto questo amore, io però ho sempre paura, paura di non essere capace di far durare questa relazione, paura di svegliarmi un giorno e di rendermi conto che la storia con Stefan è solo un sogno. Vorrei solo poter scacciare tutti i fantasmi del passato. Stefan ti amo. 149 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. 150 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Conclusione Viviana Olivieri, Formatore Servizio Sviluppo Professionalità Innovazione, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Lascio a Diskinson le ultime frasi di questo volume, con questa breve poesia. Penso che uno spirito appassito debba essere il tesoro più tremendo da possedere, così come uno spirito sempre in boccio debba essere il più dolce Emily Diskinson 151 Formazione continua sulla personalizzazione delle cure al paziente. Verona, maggio 2015 Editor: Gabriele Romano, Viviana Olivieri, Servizio Sviluppo Professionalità Innovazione © Copyright Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona 152