Comments
Transcript
musica un linguaggio per esprimere se stessi e per
Organismo contro la fame e per lo sviluppo dei popoli Editoriale 2 SPUNTI DI RIFLESSIONE Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 6742 del 28 dicembre 1964 Insegnamento dell’economia e educazione alla cittadinanza Massimiliano Lepratti REDAZIONE PROPOSTE DIDATTICHE 3 Luigi Idili (direttore), Giulio Sensi (dir. responsabile), Angela Comelli, Cristina Coppo, Alberto Corbino, Mariarosa Cutillo, Rosy Iaione, Luca Manes, Filippo Mannucci, Giovanni Mozzi, Erica Pedone, Claudio Ragaini. L’educazione letteraria per temi e problemi Gianluca Bocchinfuso GRUPPO REDAZIONALE PER IL SUPPLEMENTO “STRUMENTI CRES” MUSICA, UN LINGUAGGIO PER ESPRIMERE SE STESSI E PER COMUNICARE CON L’ALTRO 13 L’estetica, l’arte e la musica Enrico Strobino 14 Musica e intrecci interculturali Piera Herrman 18 Portare le canzoni di Fabrizio De Andrè in classe Massimiliano Lepratti 22 L’EDUCAZIONE LETTERARIA PER TEMI E PROBLEMI Fare musica tra Italia e Venezuela Manuela Caltavuturo 25 Gianluca Bocchinfuso Musica, storia e arte dell’incontro Giovanna Stanganello 27 Le canzoni come specchi, testi e fonti Maurizio Gusso 29 I dentità e differenza: un percorso Enrico Strobino 31 Racconti musicali (C. Boccadoro) a cura di Anna Di Sapio 34 Danza e intercultura Rosa Tapia 35 Donatella Calati (Segretaria di redazione) Massimiliano Lepratti (Responsabile di redazione) Gianluca Bocchinfuso (coordinatore) Elisabetta Assorbi, Rita Di Gregorio, Elena La Rocca, Laura Morini. Hanno collaborato a questo numero: Elisabetta Assorbi, Gianluca Bocchinfuso, Manuela Caltavuturo, Michele Crudo, Anna Di Sapio, Maurizio Gusso, Piera Hermann, Elena La Rocca, Massimiliano Lepratti, Laura Morini, Giovanna Stanganello, Enrico Strobino, Rosa Tapia, Gli articoli pubblicati rispecchiano il punto di vista degli autori, non necessariamente quello della Redazione. Quando non specificato, gli autori sono formatori CRES. Realizzazione - Studio Mariano Stampa - Tipolitografia Caravati Direzione, redazione e amministrazione Piazzale Gambara 7/9 - 20146 Milano tel. 02/4075165 - fax 02/4046890 e-mail cres: [email protected] Internet: www.manitese.it 7 “Strumenti Cres” 52 - Allegato al n. 462 di Manitese - Agosto/Settembre 2009 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 2, DCB Cremona” In caso di mancato recapito reinviare all’ufficio di Cremona ferrovia detentore del conto, per la restituzione al mittente che si impegna a corrispondere i diritti postali. RUBRICHE Testi di supporto Questo numero è stato realizzato con il contributo di MAE AID 8754 Identità e violenza (A. Sen) a cura di Elena La Rocca 37 Paura liquida (Z. Baumann) a cura di Michele Crudo 39 Il lontano presente: l’esperienza coloniale italiana (A. Di Sapio, M. Medi) a cura di Gianluca Bocchinfuso 41 MUSICA UN LINGUAGGIO PER ESPRIMERE SE STESSI E PER COMUNICARE CON L’ALTRO Narrativa Miniature persiane Anna Di Sapio Nell’ambito di Mani Tese il CRES, costituito da esperti ed insegnanti, cura le attività di educazione allo sviluppo in campo scolastico. Obiettivo fondamentale della sua iniziativa di ricerca e di innovazione didattica è la diffusione di una nuova cultura dello sviluppo e della mondialità nella scuola. Realizzato in carta riciclata 100% copert2/2009 1 Qui è proibito parlare (B. Pahor) a cura di Elisabetta Assorbi 42 44 Cinema e Teatro Africa tra identità e integrazione (COE) 45 Persepolis: lo sguardo di un’adolescente sulla società iraniana ed europea a cura di Laura Morini 46 Le nostre pubblicazioni 47 Strumenti cre 52 30-07-2009, 23:27 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ editoriale S iamo giunti a giugno, ed è tempo di bilanci. Il D. L. del 1/9/08 fu blandamente criticato all’inizio dello scorso anno scolastico. Poi cominciò la protesta dei genitori e delle maestre, seguita da numerose assemblee sindacali degli insegnanti e dalla mobilitazione degli studenti. I protagonisti di quel movimento di opinione trovarono una sostanziale convergenza di vedute, che portò nelle piazze italiane milioni di persone in occasione dello sciopero del 30 di ottobre. Eravamo in tanti e, dopo anni di lotte sporadiche e parziali, la forza del numero dei partecipanti ci trasmise fiducia ed entusiasmo. Finalmente eravamo usciti dall’isolamento e dall’oblìo: L’Onda degli studenti appariva travolgente e inarrestabile, mentre la trasmissione per via informatica delle esperienze permetteva la comunicazione in tempo reale delle iniziative organizzate dalla fitta trama tessuta da Rete scuole. Per la prima volta dopo una lunga fase di premeditata disinformazione dell’opinione pubblica, il dibattito sul rinnovamento dell’istituzione scolastica era tornato a imporsi all’attenzione di tutti. M olti di noi non si facevano illusioni, ma si confidava nell’istanza di interlocuzione che non poteva più essere elusa, neanche da una ministra scarsamente incline al dialogo. Invece non è andata così. Chi chiedeva il confronto è stato ignorato. Genitori, allievi e docenti sono stati pregiudizialmente etichettati come faziosi e quindi esclusi dall’esprimere il proprio parere sugli interventi di riforma in atto. Si è ripetuto di conseguenza ciò che da tempo avviene regolarmente in Italia: l’emarginazione di un’ampia aggregazione di cittadini, pretestuosamente delegittimati da rappresentanti politici che usano i posti di governo non come luogo di mediazione tra le varie componenti della società, bensì come postazioni da cui esercitare funzioni di comando. L e ripercussioni di un tale atteggiamento non hanno tardato a manifestarsi. In mancanza di un referente istituzionale con cui confrontarsi costruttivamente, la mobilitazione si è lentamente esaurita in una sterile contrapposizione, sancendo la separazione tra l’impermeabile autoreferenzialità della classe politica e una società civile impotente, attraversata da alternanti impeti di indignazione. E’ una frattura che riproduce l’accentuata divaricazione tra una ristretta cerchia di ricchi e un crescente strato di poveri, che a sua volta riflette la rigidità di una struttura gerarchica in cui è molto scarsa la mobilità 2 dalla classe dei disagiati a quella dei benestanti. U na così marcata polarizzazione sociale danneggia il mondo della scuola, dove i tagli di spesa provocheranno un depotenziamento del servizio a scapito degli alunni che non hanno nelle famiglie le risorse economiche e intellettuali per supplire alla dequalificazione. Ne è una prova evidente l’aumento della percentuale delle bocciature su tutto il territorio nazionale. Di questo passo la scuola, da luogo di integrazione e promozione sociale, si trasformerà gradualmente in un’agenzia formativa predisposta ad assimilare gregariamente i modelli culturali dominanti. Il rischio è reale, e i segnali premonitori non mancano. Al rifiuto per “motivi di sicurezza” da parte dell’azienda milanese dei trasporti di assumere un marocchino, fa eco la richiesta del permesso di soggiorno da parte di una preside di Padova ai figli di immigrati in attesa di essere ammessi all’esame di maturità. Del resto, perché meravigliarsi di questi impulsi segregazionisti, se il capitano che a maggio ha salvato 17 nordafricani nel canale di Sicilia viene indagato per “favoreggiamento all’immigrazione clandestina”? E’ una logica cinica e arrogante che, modellando i comportamenti sociali, sta penetrando abusivamente nella scuola, dove, ai dirigenti scolastici che avevano osato sollecitare l’invio dei finanziamenti arretrati prima della chiusura dell’anno scolastico, la Gelmini risponde non solo rimproverandoli di non sapere gestire gli esigui fondi stanziati per il pagamento dei supplenti, ma li invita sprezzantemente a cambiare mestiere. C os’altro aggiungere, se non la reiterazione di un verbo che, dalla lotta al fascismo fino all’appello lanciato dal giudice Borrelli, è l’espressione di una pedagogia civile inequivocabilmente laica nonché il simbolo di una dimensione impegnata della vita, ovvero: resistere, resistere, resistere! Ciascuno come sa e come può: con sensibilità, intelligenza e determinazione. Michele Crudo Se apprezzi la rivista aiutaci a sostenerne i costi. È un investimento educativo! Settembre 2009 StrumentiCres ● ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ TESTI SCOLASTICI SPUNTI DI RIFLESSIONE MATERIALI SUL LAVORO MINORILE Insegnamento dell’economia e educazione alla cittadinanza Massimiliano Lepratti Premessa Questo testo si divide in tre parti. Nella prima parte vengono proposti alcuni principi per la didattica dell’economia in netta controtendenza rispetto a quelli abitualmente seguiti nell’insegnamento della disciplina all’interno delle scuole superiori italiane. Nella seconda parte si prova a rispondere alla domanda: “come l’insegnamento dell’economia può contribuire ad educare alla cittadinanza mondiale?”con risposte che vertono attorno a un presupposto metodologico e uno contenutistico. Da un punto di vista metodologico è infatti necessario che gli insegnanti nell’affrontare l’economia in classe si pongano anche finalità socio affettive, per dimostrare agli studenti e alle studentesse che al dubbio “cosa c’entro io con l’economia?” è possibile contrapporre alcune risposte responsabilizzanti. Da un punto di vista contenutistico la proposta contenuta in questo scritto invita a studiare l’economia secondo alcune direzioni diverse da quelle tradizionali e in particolare: 1) come un fenomeno mondiale e non meramente nazionale o regionale, 2) come un insieme di modalità per produrre e far circolare la ricchezza e non come semplice sistema di circolazione di beni scarsi, 3) come disciplina strettamente connessa alle altre discipline sociali (non esiste un’economia scissa dalla politica e dalla cultura), 4) come disciplina storica, in perenne mutazione nei tempi e nei luoghi e non come insieme di dogmi matematici “scoperti” tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Quest’ultimo approccio in particolare permette da un lato di responsabilizzare le studentesse e gli studenti (“se l’economia cambia con i processi storici e se è legata a scelte umane e non a leggi matematiche allora anch’io posso contribuire a mutarla”); dall’altro permette di superare la forte tendenza etnocentrica occidentale: riconoscere che quello neoclassico occidentale è il pensiero economico dominante, ma non è l’unico aiuta a prendere in considerazione pensieri e fatti economici provenienti da altre storie ed altre culture. E questo non necessariamente per sostituirli ai * il presente testo sarà presente anche nel libro: Educazione alla cittadinanza in azione a cura di Lorenzo Luatti StrumentiCres Settembre 2009 canoni occidentali, ma per integrarli con altre riflessioni ad opera di uomini e donne che vogliono soddisfare i propri bisogni attraverso modalità diverse da quelle dominanti (ad esempio l’economia del dono non è sostitutiva rispetto a quella industriale, ma esiste e arricchisce i nostri sguardi). La terza e ultima parte di questo scritto presenterà suggerimenti per percorsi didattici coerenti con gli assunti esposti finora e ispirati da esperienze realizzate dal Cres e da Mani Tese. di didattica Principi dell’economia I principi che verranno elencati in questa prima parte appartengono alla riflessione didattica generale e possono essere applicati anche in altre discipline. Il loro utilizzo nel campo dell’insegnamento economico è invece il frutto di un’elaborazione specificamente pensata per questo testo. Fatta questa premessa metodologica è possibile entrare nel vivo della materia. Parlare di didattica di una disciplina significa innanzitutto affrontarne l’epistemologia. In questo campo il primo dato che salta all’occhio è l’evidente etnocentrismo dell’insegnamento tradizionale: l’economia è presentata attraverso una selezione non esplicitata di argomenti, atti per lo più a raccontare la realtà del Nord del mondo. La centralità dell’azienda, al di là di qualsiasi giudizio di merito, è un riflesso di sistemi economici occidentali, tutti i lavori che permettono il più o meno faticoso mantenimento degli abitanti delle campagne del Sud del mondo (750 milioni di persone nella sola India) e delle baraccopoli non sono considerati dalla disciplina tradizionale perché non possono essere regolamentati secondo i canoni tradizionali del contratto di dipendente d’azienda (o di dipendente pubblico). Ma al mondo i contratti di lavoro dipendente toccano una piccola percentuale di lavoratori (e ancor meno sono coloro che possiedono una posizione autonoma formalmente riconosciuta); senza voler negare l’importanza dell’azienda è evidente come essa sia uno degli elementi significativi nel panorama economico mondiale, ma non il solo. Parlare di didattica dell’economia significa in secondo luogo riflettere sulle finalità della disciplina. Le finalità realmente perseguite dalla maggior parte degli insegnanti (in modo più o meno conscio) sono tese a canonizzare l’economia di mercato come modalità centrale della vita nazionale e internazionale, e a presentare le varianti al “mercato” come distorsioni più o meno temporanee del modello puro. Uno 3 degli strumenti attraverso i quali la finalità viene perseguita è l’attribuzione del termine “economia di mercato” a fenomeni economici che hanno altre caratteristiche. L’esempio classico è il capitalismo: la parola viene presentata come un sinonimo di “mercato”, mentre gli storici dell’economia hanno più volte argomentato che quest’ultimo è il regno della domanda e dell’offerta, ossia di soggetti di forza più o meno uguale che contrattano il prezzo di una determinata merce, il capitalismo invece è il regno della distorsione, della possibilità di condizionare il prezzo prima della contrattazione facendo ricorso a posizioni di potere dovute agli appoggi politici, alla costituzione di cartelli, di monopoli, alle disparità informative e di forza tra il capitalista che compra o vende e la sua controparte nella contrattazione. Il terzo principio importante da non perdere d’occhio quando si parla di didattica è quello della competenza economica. Perché voglio diventare competente, ossia a cosa mi serve studiare economia? La risposta più diretta è “studiare economia mi aiuterà a trovare con relativa facilità un lavoro ben retribuito”. Sarebbe sciocco negare totalmente la realtà che sta dietro un’affermazione simile, ma sarebbe molto riduttivo farla propria. La didattica non può accettare che una disciplina venga principalmente finalizzata ad obiettivi diversi dalla conoscenza, e deve ricondurla a strumento per uno sguardo critico sulla totalità dei fenomeni. Nel caso specifico l’economia deve essere uno strumento di conoscenza dei diversi modi di produrre e di far circolare ricchezza all’interno del pianeta, e del rapporto fra questi modi e la vita concreta delle persone e dei gruppi sociali che lo abitano. Il quarto principio è quello dei metodi. Come si dirà più approfonditamente nel paragrafo successivo è importante che l’economia sia proposta con attenzione sia agli aspetti cognitivi, sia agli aspetti socioaffettivi (lo studente/studentessa deve trovare una risposta alla domanda “cosa c’entro io con tutto questo?”). Altrettanto importante è collocare l’economia all’interno di uno studio interdisciplinare e di confine, che la colleghi con l’insieme della programmazione didattica (con storia e geografia in primis, ma anche con altre discipline sociali, nel caso in cui queste siano previste); la storia in particolare offre numerosi ponti di collegamento per la contestualizzazione dei concetti economici e per la presa di coscienza da parte di studenti e studentesse della storicità (che è il contrario di naturalità e immutabilità) delle dottrine economiche, comprese quella dominante1 . Infine da un punto di vista metodologico è fondamentale che lo studio della disciplina venga condotto con una continua alternanza fra lezioni tradizionali e momenti laboratoriali; in pochi casi come nell’economia le possibilità di un lavoro di ricerca per i ragazzi e le ragazze si mostra così a portata di mano (tutto il tema dei consumi giovanili, dall’abbigliamento sportivo all’alimentazione può facilmente diventare terreno di ricerca) ed è così indispensabile per un coinvolgimento nello studio. E il coinvolgimento di studenti e studentesse nello studio di una disciplina è un requisito fondamentale perché questa possa diventare strumento di educazione alla cittadinanza. 4 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ L’insegnamento dell’economia può diventare educazione alla cittadinanza? L’economia è una scienza sociale poco considerata all’interno dei percorsi di educazione formale e non formale; anche negli istituti scolastici dove è inserita all’interno dei curricoli, il taglio d’insegnamento privilegia approcci tecnici e settoriali. Eppure pochi oggetti di studio hanno un peso così rilevante nel definire le nostre vite quanto le azioni economiche degli uomini e delle donne all’interno del pianeta: la trasformazione concreta della natura in base alle esigenze umane e il soddisfacimento dei bisogni materiali su cui basiamo le nostre esistenze sono un campo di azione e di riflessione imprescindibile per il genere umano. Affrontandoli da questo punto di vista molti temi economici possono essere utilizzati per costruire percorsi di educazione alla cittadinanza (mondiale). L’educazione alla cittadinanza può essere infatti considerata come una delle Educazioni trasversali (insieme a quelle allo sviluppo, alla pace, all’intercultura, all’ambiente ecc.) ossia come una delle proposte formative che utilizzando gli strumenti di più discipline, si costruiscono attorno a una problematica giudicata cruciale per la convivenza civile perché indicano rilevanze di temi/problemi, suggeriscono possibili convergenze interdisciplinari, invitano a una didattica progettuale e di ricerca, aprono la scuola al territorio.2 1 La cosiddetta dottrina classica viene abbandonata dopo la crisi del 1929 e rientra in auge dopo la “crisi petrolifera” del 1973-74. È uno dei tanti esempi con cui si può dimostrare il legame fra gli eventi storici mondiali e l’evoluzione del pensiero economico dominante. 2 Per la definizione delle Educazioni trasversali mi sono valso delle elaborazioni di Marina Medi, formatrice del Cres Mani Tese. StrumentiCres Settembre 2009 L’insegnamento dell’economia può divenire uno strumento di educazione alla cittadinanza mondiale se ci si muove coerentemente verso una finalità educativa chiara e se si seguono alcuni presupposti contenutistici e socio affettivi che qui proveremo a sintetizzare in quattro punti: a) la comprensione da parte dello studente/studentessa dei meccanismi fondamentali dell’economia; b) la comprensione della pervasività dell’economia nella vita individuale e collettiva; c) la comprensione della storicità dell’economia (che non è scienza esatta ma sociale); d) la comprensione dell’esistenza e della gravità delle disuguaglianze economiche, delle loro cause e della possibilità di intervenire per modificarle. Questo scritto proverà ad indagare i quattro presupposti, inserendoli in alcune riflessioni generali sulla didattica dell’economia e illustrandoli nell’ultimo paragrafo con esempi di possibili percorsi sul tema. a) La comprensione dei meccanismi economici fondamentali. Lo scopo dell’economia è studiare come gli uomini e le donne agiscono per soddisfare i loro bisogni di beni (dal cibo e dalle case fino al più fatuo modello di cellulare) e di servizi (insegnamento per i figli, cure mediche, riparazione di oggetti…). Il soddisfacimento avviene attraverso due fasi: 1) la produzione dei beni e dei servizi (ad es. la coltivazione di un alimento) e 2) la loro circolazione. Spesso gli economisti si concentrano sulla circolazione trascurando la fase di produzione, il che oltre ad essere un non senso (perché una cosa circoli deve essere prodotta…), rende molto più astratta la trattazione. Il campo della produzione infatti è il luogo delle decisioni strategiche; scegliere cosa produrre (medicine o ciabatte luminose), e come produrlo (attraverso lo schiavismo o attraverso la cooperazione) modifica radicalmente l’impatto sociale dell’economia. Molte volte l’insegnamento tradizionale della disciplina attribuisce agli acquirenti (o “consumatori”) e ai loro bisogni la capacità di instradare le scelte produttive. Questo può essere vero nei sistemi non capitalistici, ma nel capitalismo industriale le cose stanno diversamente: la forza dei produttori è tale da creare un grande numero di bisogni indotti anche grazie all’azione degli strumenti pubblicitari; la richiesta del consumatore sembra autonoma, in realtà è figlia di un processo di cui non controlla i presupposti. Anche il campo della circolazione è più complesso di quanto normalmente non raccontino i manuali di economia tradizionali. In quei testi il mercato viene presentato come l’unica modalità per veicolare i beni prodotti. Ma innanzitutto una parte importante dei beni e dei servizi prodotti non arriva al mercato, per il semplice fatto che non diventa merce, ossia che non viene venduto (si pensi alle persone che fanno l’orto per sé e per i parenti, a tutte le casalinghe e ai rari casalinghi che producono servizi di cucina e pulizia per la famiglia…). E anche quella parte di beni e servizi che circola non è detto che lo faccia sempre e ovunque con il meccanismo della domanda e dell’offerta, esistono i doni, esistono sistemi di distribuzione gestiti dallo stato o da un’autorità centrale (si pensi ai servizi pubblici, oppure all’immagazzinamento e alla ridistribuzione di beni agricoli e artigianali presStrumentiCres Settembre 2009 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ so alcune antiche civiltà…) Un altro meccanismo fondamentale che occorre comprendere per avere uno sguardo realistico sull’economia è l’interazione fra sottosistemi mondiali in un unico macrosistema globale. Le società capitalistiche più evolute non sono autarchiche, ma acquistano lavoro e/o acquistano/vendono merci da produttori di società meno addentro al capitalismo. Il contadino di una zona rurale del Sud del mondo può aver acquistato un paio di ciabatte infradito da un grande produttore industriale, così come un suo simile può essere stato recentemente impiegato da un’azienda addetta allo smaltimento di rifiuti delle società opulente. Comprendere la interrelazione (diseguale) fra microsistemi economici diffusi nel pianeta è una strada obbligata per capire la propria posizione all’interno dell’economia globale e per sviluppare un’idea di responsabilità e di cittadinanza mondiale. b) La comprensione della pervasività dell’economia nella vita individuale e collettiva Alla fatidica domanda dello studente/studentessa “ma cosa c’entro io in tutto ciò” l’economia può dare molte risposte, proponendosi in questo modo come disciplina utile per l’educazione alla cittadinanza. La risposta centrale verte sulle diverse funzioni economiche che ciascuno/a tra noi ricopre fin da età molto giovani; da questo punto di vista nella società capitalistica gli individui sono chiamati a tre funzioni principali: acquirente (o “consumatore” che dir si voglia), risparmiatore e lavoratore; le prime due possono essere proprie anche di persone in età scolare. L’acquirente svolge il compito di permettere all’azienda, piccola o grande, multinazionale o locale, di trasformare in denaro i prodotti del suo lavoro, riavviando un nuovo ciclo: denaro - acquisto di lavoro e di strumenti produttivi – produzione di merce – vendita – denaro. E’ evidente che il consumatore tende ad acquistare principalmente sotto la spinta di un riflesso dettato da attrattive estetiche e/o di prezzo, ma è altrettanto evidente che diversi studenti e studentesse possono essere sensibili a ragionamenti del tipo: “preferisci che il tuo denaro vada a finanziare aziende che magari sfruttano il lavoro minorile e adulto, inquinano l’ambiente, provocano l’esodo di popolazioni indigene, oppure preferisci che il tuo denaro vada a premiare imprese rispettose dei diritti umani come quelle comprese nel circuito del commercio equo e solidale?”. Un discorso simile può essere fatto relativamente al risparmio: far notare come alcune scelte premino enti di finanza etica anziché banche armate può essere un tasto capace di sviluppare prese di coscienza e di responsabilità anche nei giovani risparmiatori. Più complesso è invece affrontare presso gli studenti di scuola secondaria, il problema del lavoro; complesso, ma non impossibile e allo scopo nell’ultima parte di questo scritto viene proposta un’esperienza didattica che illustra il tema. c) La comprensione della storicità dell’economia. La disciplina economica viene tradizionalmente presentata sia nella pubblicistica, sia nell’insegnamento come un corpo di formule matematiche intese a sintetizzare leggi ineluttabili del comportamento fra aziende, stati, consumatori ecc. Pagine 5 piene di algebra e di grafici cartesiani da un lato scoraggiano i non specialisti, dall’altro promuovono l’idea che le leggi economiche possiedano una assolutezza e un’immutabilità dogmatica: “esiste un’armonia tra domanda e offerta”, “la preferenza del consumatore orienta il mercato”; “qualunque distorsione alla concorrenza si ripercuote negativamente su tutto il sistema”. Simili affermazioni presentano le tendenze economiche come leggi universali e a-storiche, al pari della legge newtoniana sulla gravitazione. Fortunatamente l’economia non ha la graniticità (relativa) delle leggi fisiche, è una disciplina che descrive azioni decise da uomini e donne secondo linee di tendenza che condizionano la libertà dei singoli, ma non la annullano. Sono sempre le donne e gli uomini a fare l’economia e le sue “leggi”3 e sono sempre le donne e gli uomini a poterle mutare in qualsiasi momento, seppure il mutamento non sia né facile, né privo di resistenze. In questo senso l’economia non sfugge alle “leggi” (qui il termine appare più corretto) della storia: ogni manifestazione sociale è figlia di un tempo e di un luogo; idee e modi di comportarsi che possono apparire assoluti ai protagonisti diventano relativi se immersi nel tempo storico. Così le tendenze che regolavano i latifondi, le encomiendas, i feudi e altre forme di organizzazione agricolo - tributaria sono sicuramente apparse come leggi immutabili a coloro che sono nati e vissuti nella Francia del 1500 o nell’America latina del 1600, ma oggi appaiono quasi ovunque un semplice momento della storia economica. E meno male, perché altrimenti le tantissime ingiustizie che l’economia produce apparirebbero figlie di leggi eterne, rispetto alle quali le riflessioni e le azioni dei cittadini non servirebbero a nulla. L’educazione alla cittadinanza non avrebbe alcuno scopo nell’interessarsi di economia. d) La comprensione delle disuguaglianze economiche e della possibilità di modificarle. In un’ottica di educazione alla cittadinanza mondiale è bene sapere e far sapere agli studenti/studentesse che le ingiustizie economiche sono tantissime, sono crescenti4 , e spesso sono ritenute fatti naturali, sebbene in realtà siano eventi storici che mutano nel tempo e che possono essere indirizzati in direzioni diverse grazie all’azione organizzata delle donne e degli uomini. L’idea che l’economia muti e che anche le sue ingiustizie possano essere modificate è centrale per responsabilizzare le studentesse e gli studenti e stimolarne eventuali atteggiamenti e comportamenti diversi. Da questo punto di vista un approccio disciplinare fondamentale passa per l’analisi del ruolo di consumatore e di risparmiatore di ogni singolo/a studente/studentessa: in quale modo le scelte di consumo e 3 Coerentemente con quanto detto nelle righe precedenti useremo il termine “tendenza”, più corretto, al posto del termine “legge” che presuppone universalità ed assolutezze assenti dalla realtà del campo economico. 4 Nel 1800 la disuguaglianza fra il 20% più ricco della popolazione mondiale e il 20% più povero era in un rapporto di 3 a 1; nel 1997 questo rapporto era salito a 74 a 1! (fonte: UNDP, Rapporto sullo sviluppo 1999) 6 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ di risparmio possono ridurre almeno le ingiustizie più gravi che ho studiato? C’entra qualcosa la scelta di acquistare una scarpa made in Vietnam con lo sfruttamento dei lavoratori in quella parte del mondo? Si può chiedere che i soldi spesi per acquistare un oggetto non vadano a finanziare le multinazionali più inquinanti, le imprese meno rispettose dei diritti dei lavoratori, le imprese che fabbricano armi? Suggerimenti per percorsi di educazione alla cittadinanza Se il tema del consumo e del risparmio può essere utilizzato all’interno di qualsiasi tipo di scuola, più arduo è affrontare il tema del rapporto degli studenti con il lavoro. Da questo punto di vista l’interesse dei ragazzi/e rischia di essere meramente teso ad ottenere con relativa facilità un posto di lavoro, possibilmente gradevole e ben remunerato. Ma l’idea di separare il ruolo del lavoratore dal ruolo del cittadino va in direzione opposta agli obiettivi di questo scritto; per educare alla cittadinanza mondiale attraverso l’economia ci pare necessario partire dalla responsabilità sociale del lavoro, iniziando dal lavoro d’imprenditore che è quello in cui si concentra il maggior potere (e di conseguenza la maggiore responsabilità). All’interno delle attività scolastiche di Mani Tese e del CRES sono stati creati e sperimentati percorsi di simulazione di cooperativa all’interno di istituti superiori lombardi. L’idea che ha accompagnato l’elaborazione e la realizzazione di questi percorsi è stata articolata in alcuni obiettivi: - da un punto di vista contenutistico si è puntato a fornire elementi di conoscenza di una forma di impresa, la cooperativa, che potenzialmente accoglie al suo interno valori di solidarietà e di responsabilità sociale. Lo studio ha seguito sia un taglio economico-giuridico, sia un taglio storico. Sempre da un punto di vista contenutistico si è inquadrato lo studio della forma cooperativa all’interno di un excursus sulle caratteristiche principali dell’economia mondiale attuale: fortissime disuguaglianze nel reddito sia tra paesi, sia tra gruppi sociali, e disuguaglianze ancora maggiori nella concessioni di crediti (i paesi poveri risparmiano più soldi di quanti non ne vengano concessi loro in prestito; in questo modo di fatto finanziano le imprese dei paesi ricchi). Questi momenti sono stati arricchiti dall’utilizzo di filmati, di tabelle ricavate dai rapporti del Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), di ricerche realizzate dai ragazzi/e. - da un punto di vista pedagogico didattico si è scelta quindi la soluzione della simulazione. E’ stato proposto alle ragazze e ai ragazzi di costituire una cooperativa simulata, lasciando loro libertà rispetto all’oggetto dell’attività, ma sorvegliando affinché vi fosse la massima verosimiglianza giuridica possibile nei diversi passaggi costitutivi. Una volta approntata la cooperativa si è discusso con insegnanti e ragazzi su quale potesse essere l’azione verso cui impegnarla, ponendo il vincolo che in ogni caso queStrumentiCres Settembre 2009 sta presupponesse un rapporto reale con il territorio (ad esempio facendo in modo che le ragazze e i ragazzi andassero ad informarsi presso una vera banca di quali sono le condizioni reali affinché un’impresa cooperativa possa ottenere un prestito). Percorsi didattici di questo tipo non sono sempre facili da realizzare, richiedono una progettazione transdisciplinare che coinvolga quanto meno gli insegnanti di storia e di economia, impongono una ridefinizione continua di cosa significhi “simulazione” e di quanto il lavoro della cooperativa possa invece svolgersi in termini reali (un esempio di realtà è tenere un registro delle entrate ed uscite effettive avute dalla cooperativa: costo degli spostamenti avuti sul territorio, numero di ore di lavoro impiegate nell’azione ecc.), ma sebbene costino fatica sono un esempio di didattica per progetti capace di superare modalità meramente tecnico-disciplinari e trasmissive nell’insegnamento dell’economia. Definizione degli obiettivi e loro discussione/ridefinizione continua, PROPOSTE DIDATTICHE ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ interdisciplinarietà, utilizzo di fonti di ricerca che vadano oltre il/i manuali, e pratiche di laboratorio e relazione con il territorio sono tutte scelte che rompono con l’insegnamento tradizionale per muoversi verso una didattica capace di usare coscientemente la disciplina e la pedagogia. E capace di una progettazione rivolta ad educare alla cittadinanza. BIBLIOGRAFIA Lepratti Massimiliano (2008). L’economia è semplice. EMI Bologna. Medi Marina (2003). Sperimentare il microcredito nell’area di progetto. In “Strumenti CRES n° 35, ottobre 2003 (reperibile sul sito www.manitese.it) Morozzi Matteo, Valer Antonella (2003). Economia giocata. EMI Bologna (A cura di) Federcultura Turismo e Sport e Federazione Trentina delle cooperative (Trento 1997). Guida all’educazione cooperativa nella scuola (www.coopscuola.it/Doc/ Guida.pdf) L’educazione letteraria per temi e problemi Gianluca Bocchinfuso Premessa Questo percorso è stato svolto nell’anno scolastico 2008/2009 presso la Scuola Media Sperimentale “Rinascita-Livi” di Milano, dalla classe IIIB, durante le lezioni di Italiano, da ottobre a giugno, per due ore a settimana. Titolo del percorso: “L’educazione letteraria per temi e problemi”. Gli autori e le opere scelte appartengono ai secoli Settecento, Ottocento, Novecento che rappresentano il periodo storico di studio dei ragazzi di terza media. La classe era composta da ventitré studenti, di cui alcuni di origine straniera e due diversamente abili. Fasi e modalità di lavoro Il percorso è iniziato con la definizione di “Cos’è una tematica?” e con la riflessione sulla linea del tempo (‘700-‘800-‘900) attraverso le maggiori correnti StrumentiCres Settembre 2009 letterarie che caratterizzano questi tre secoli. Nell’ordine si è lavorato su: cos’è una tematica letteraria; cos’è un motivo di una tematica letteraria; l’individuazione delle tematiche e dei relativi motivi; le maggiori correnti letterarie del Settecento, Ottocento, Novecento (concetti, parole-chiave, autori); la costruzione della linea del tempo relativa alle correnti letterarie. Ogni tematica - attraverso i testi proposti - è stata affrontata: ragionando sui motivi ricorrenti; individuando concetti/parole-chiave, messaggio e scopo dell’autore; commentando i testi; facendo riflessioni, comparazioni, attualizzazioni e analisi. Ogni autore è stato studiato attraverso la sua biografia essenziale e la contestualizzazione storico-letteraria. Le metodologie usate sono state la lezione frontale, la lezione partecipata, i gruppi cooperativi, il lavoro individuale, le coppie di livello eterogeneo. Gli strumenti: libro di testo, fotocopie, computer, videoproiettore, lettore cd. All’inizio del lavoro, ad ogni studente è stato chiesto di individuare una tematica da trattare spiegando “il perché” della scelta ed elencandone gli obiettivi. In un secondo momento, in cinque gruppi cooperativi, gli studenti si sono confrontati sulle singole tematiche e hanno avuto come compito l’individuazione di una tematica per gruppo - con relativi 7 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ guendo le stesse modalità di lavoro nell’ottica della motivi - indicando anche una seconda scelta. Questa formazione e autoformazione permanente. fase preparatoria si è conclusa con la presentazione delle tematiche individuate, l’esplicitazione della scelta e degli obiettiObiettivi e finalità vi, l’individuaFuturo zione dell’ordine All’interno della programmazione di itadi trattazione. Le liano - che ha mirato a fornire agli allievi Amicizia Ragazzi tematiche scelte una serie di conoscenze di base ritenute sono state nelutili per formare un cittadino consapevole l’ordine: AdoleADOLESCENZA e responsabile, capace di codificare e scenza, Amicizia, decodificare messaggi scritti e orali, di O-dio, Razzismo, comprendere, comunicare e trarre piaceOdio Poesia con i more dalla lettura - tra gli obiettivi di questo tivi sottostanti. percorso troviamo: il rispetto e la collaboAmore Cultura razione; lo sviluppo della capacità di attenL’inizio di ogni Adulto zione, l’interesse, la partecipazione; la capercorso ha avupacità di ascolto; la capacità di raccoglieto un momento Sesso Litigi Scelta re, individuare e selezionare informaziodi motivazione: ni; la capacità di riflettere sull’evoluzione quello sull’Adodella lingua nel tempo e sulle sue struttulescenza con la re; la capacità di esporre in modo chiaro, completo consegna di un elenco di frasi anonime (vere, verosied organico; la capacità di produrre un testo corretmili, false) sull’adolescenza, la scelta individuale, il to, ricco e rispondente allo scopo comunicativo; la confronto in gruppo, il convenzionamento su cinque capacità di riflettere su un tema e sui suoi possibili frasi, la riflessione; quello sull’Amicizia, con la promotivi e significati; la caiezione di ventisette quadri in sepacità di riflettere su un quenza continua e con la richieScelta Amore tema attraverso diversi sta agli studenti di scrivere un teautori nel corso del temsto narrativo su “Cos’è l’amicizia”; Adolescenza po e della storia; la posquello sull’Odio, con la risposta sibilità di riflettere su di alla domanda “Odio perchè?” ; Diversità se stessi confrontandosi quello sul Razzismo, con una dicon la voce degli autori scussione sul pregiudizio; quello AMICIZIA nell’ottica della “costrusulla Poesia, con la risposta alla zione” della propria perdomanda “Cos’è è per me la poesonalità. sia e che ruolo occupa nella mia Falsità vita?”. Tutti questi lavori sono Scommessa Litigi stati seguiti da una lettura in clasVerifiche se condivisa. Ogni gruppo, “titoOdio Impegno lare” della tematica scelta, alla Alla fine di ogni perfine del percorso ha presentato corso tematico è stato asdei testi (letti a casa) all’intera segnato un tema argoclasse, precedentemente assegnamentativo da svolgere a casa, utilizzando come fonti ti dall’insegnante e valutati come produzione orale. gli autori scelti. In classe, la verifica finale di due ore L’assegnazione dei testi da presentare avveniva alè stata strutturata in tre momenti: comprensione l’inizio del lavoro sulla tematica, con una brevissima scritta di un testo non studiato con consegne coeillustrazione da parte dell’insegnante per aiutare gli renti con quelle date durante il lavoro sugli altri testi studenti ad entrare da subito nella lettura. del percorso; conoscenza dei Per tutta la durata delcontenuti con domande ragional’anno, in classe sono state sui testi studiati; metacoti affissi tre cartelloni con Distruzione Arte gnizione per verificare la consala linea del tempo, le corpevolezza del percorso fatto e la Lotta renti letterarie e gli autocapacità di ricostruzione delle ri con le opere che, man fasi di lavoro. Costruzione mano, venivano utilizzati. Ogni tematica aveva Esiti formativi un colore diverso che la ODIO differenziava dalle altre. Per l’intero secondo Il percorso di Letteratura Musica Superiorità Quadrimestre, il lavoro è strutturato per temi e problemi stato svolto in copresenza - oltre ad avere registrato risulBullismo con la seconda insegnantati globalmente alti, sia per te di Italiano del Corso, quanto riguarda le competenze Poesia Maria Matera, nell’ambiche le conoscenze degli studenti to delle ore di L1-L2, se- ha stimolato la loro capacità di 8 StrumentiCres Settembre 2009 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ riflettere sul presente lo, la lingua, i collegamenti, la utilizzando gli scrittori, rielaborazione, l’argomentazione, che non sono mai rimale discussioni - ma, nello stesso Odio Scelta sti confinati in un ambitempo, è molto stimolante e perto di studio prettamente mette di fare entrare la LetteratuDiversità scolastico. ra a testa alta in classe. L’aspetto più interesUno degli aspetti che mi ha colRAZZISMO sante è stata la capacità pito è stato il vivo interesse degli da parte della classe di studenti per i testi che leggevano, mettere in relazione i diPregiudizio capivano, presentavano, con una versi punti di vista degli padronanza e sicurezza che, sicuCultura Ignoranza autori - di epoche diverramente, nel futuro, farà vedere se - confrontandoli con i loro i libri con propri, in modo tale da occhi diversi. creare relazioni, riflesHo potuto veImmaginazione sioni, paragoni, circoladere ragazzi e rità. Questo fatto ha perragazze che, lenLibertà Realtà messo loro di leggere la realtà che vivono con tamente, si sono occhi diversi e con una maggiore consape“innamorati” di volezza e senso di autocritica. quello che legPOESIA gevano, hanno Conclusioni messo in diSfogo Bellezza scussione le loro scelte e si soUn percorso del genere è sicuramente faStile no lasciati anticoso sia per l’insegnante - la ricerca dei Passione dare al confrontesti giusti, la presentazione, la motivazione to e alla discusall’inizio di ogni percorso, ecc. - che per gli Esercizio Inconscio sione condivistudenti - lo sforzo di confrontarsi con autosa. ri aldilà della comprensione del testo singo- Tematiche letterarie: autori e opere ADOLESCENZA Goethe, Faust Leopardi, L’infinito Verga, Rosso Malpelo Mann, Tonio Kroger Morante, L’isola di Arturo Ginsburg, Le piccole virtù De Beauvoir, Memorie di una ragazza perbene Fenoglio, L’addio Langtry, Adolescenza Twain, Le avventure di Huckleburry Finn Frank, Il diario Salinger, Il giovane Holden Calvino, Il barone rampante Fenoglio, Il partigiano Johnny AMICIZIA Leopardi, A Silvia D’Annunzio, La pioggia nel pineto Cardarelli, Amicizia Christiana De Caldas Brito, Chi Montale, Prima del viaggio Hesse, Narciso e Boccadoro Uhlmann, L’amico ritrovato Pavese, La luna e i falò StrumentiCres Settembre 2009 Ungaretti, Allegria di naufragi Ungaretti, Lontano Moravia, Quant’è caro Levi, Cristo si è fermato ad Eboli Orwell, La fattoria degli animali ODIO POESIA Verga, Libertà Saba, Sonetto n. 3 da Autobiografia Hajdari, Per voi uomini dell’Europa che vi arrangiate ogni giorno Beccaria, Dei delitti e delle pene Pasolini, Una vita violenta Pasolini, Ragazzi di vita Levi, Se questo è un uomo Khouma, Io, venditore di elefanti Ben Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia Ledda, Padre Padrone RAZZISMO Ungaretti, San Martino del Carso Ngana, Prigione Pirandello, La patente Methnani, Immigrato Ali Farah, Madre piccola De Caldas Brito, Qui e là Neruda, La poesia Ungaretti, Il porto sepolto Ungaretti, Commiato Palazzeschi, Il valore della poesia Foscolo, Alla Musa Caproni, Concessione Caproni, Sospiro Corazzino, Desolazione del povero poeta sentimentale Byron, La profezia di Dante Byron, Don Juan Holderlin, Da Sofocle Holderiln, Coraggio del poeta Wordsworth, Epitaffio di un poeta Yeats, La maledizione di Adamo Yeats, A chi gli chiede una poesia di guerra Trilussa, La poesia Merini, I poeti lavorano di notte 9 La parola agli studenti A […] ttraverso la comprensione dei testi siamo riusciti a riflettere sulle varie sfaccettature che caratterizzano ogni tematica. […] Abbiamo imparato a riconoscere con meno difficoltà il messaggio comunicativo e il fondo morale del ragionamento dell’autore. Inoltre, siamo riusciti ad articolare le nostre opinioni attraverso i temi argomentativi e a cercare sempre una risposta anche in un testo apparentemente “oscuro”, scoprendo che nel suo profondo nasconde un immenso magazzino di domande e risposte. Oltre ad un’ampia panoramica letteraria, questi cinque percorsi - abbastanza difficili e articolati da affrontare ma anche molto piacevoli ed interessanti - hanno dato a me e ai miei compagni nuove prospettive e punti di vista. Infatti, spesso ho potuto paragonare l’autore a me o le circostanze e le situazioni descritte all’ambiente che mi circonda, cambiando anche il mio punto di vista rispetto alle cose e mettendo in discussione le mie opinioni. Sono spesso entrata nel personaggio principale dei brani letti e sono riuscita a capire che non sempre la vita è come quella delle fiabe o dei film a lieto fine, ma può essere molto più complicata, perché caratterizzata da strade diverse che una persona è costretta a percorrere per trovare quello spiraglio di felicità che ha sempre cercato. In particolare, la tematica dell’Adolescenza - che io, insieme ad altri compagni, ho scelto - mi è stata di molto aiuto. Questo perché, dopo la lettura di alcuni brani, mi sono riconosciuta e rispecchiata nelle emozioni che provavano alcuni degli scrittori: sentimenti che non ho mai liberato pienamente perché ho sempre avuto paura ad essere giudicata dalle persone che mi circondavano e, addirittura, dalle mie stesse amiche. Grazie a questo percorso, però, sono riuscita ad affrontare queste paure, liberandomene in gran parte e ottenendo molta più sicurezza di quella che avevo in precedenza. (S. S.) Q uest’anno siamo riusciti a studiare ed imparare vari autori e testi complessi inserendoli in specifici contesti di riflessione. […] Il lavoro è stato ampio, in gruppo e a classe intera. […] Questo percorso è servito a tutti, anche a chi si è impegnato di meno, perché è risaputo che leggendo anche solo degli stralci di testo si impara qualcosa di importante. Sono molte le persone della classe che prima di affrontare la tematica sul Razzismo erano in parte favorevoli a questo atteggiamento, ma dopo aver letto interamente i libri di alcuni scrittori migranti hanno completamente cambiato idea, perché per la prima volta si sono messi nei panni di questi ultimi. Anche la tematica sull’Amicizia […] è riuscita ad aprirci gli occhi e a farci riflettere se le persone che sono al nostro fianco sono dei veri amici o meno: infatti, dopo aver trattato questa tematica, quando ci sono stati scontri, siamo riusciti, prima di tutto, a metterci in gioco come amici. Da non tralasciare il percorso sulla Poesia, che ci ha spinto a vedere le azioni quotidiane e tutto ciò che consideriamo monotono con un occhio diverso dal solito […] permettendoci di scavare dentro ogni cosa e traendo dei significati profondi che hanno reso questa tematica la migliore a livello di apprendimento. Anche le verifiche finali del percorso sono risultate interessanti e articolate, divise in varie parti: […] nella terza, la mia preferita, dovevamo ragionare sul percorso svolto in classe, analizzando autori e testi letti in chiave metacognitiva. […] Questo percorso è riuscito a cambiarci, a cambiare in nostri pensieri e, per molti, a stabilire un nuovo punto d’arrivo. (D. C.) A […] bbiamo fatto, in Letteratura, davvero un bel lavoro! È stato come un viaggio nel tempo. […] Si è aper- 10 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ta a noi una vasta e interessante panoramica letteraria che tutti abbiamo apprezzato. […] L’Adolescenza è stata molto intensa ma anche curiosa e piacevole. A me è piaciuta molto la dedica di inizio del Faust di Goethe. Parla della gioventù, della nostra formazione e della potenza delle nostre emozioni e sentimenti. Di Leopardi, mi rimangono i versi de L’Infinito, con quell’andar del tempo, quelle “morte stagioni” che mi hanno spinto a riflettere tanto. Di Italo Calvino abbiamo affrontato Il Barone rampante che descrive perfettamente l’animo e le tensioni di molti giovani in questo periodo, seppur esasperando l’animo ribelle e l’ambito borghese. Molte situazioni familiari si presentano simili anche al giorno d’oggi. Nel percorso sull’Amicizia, mi hanno colpito Narciso e Boccadoro di Hesse, Prima del Viaggio di Montale e La pioggia nel pineto di D’Annunzio. Il senso, a volte implicito a volte esplicito, è che ogni amicizia è un piccolo viaggio dove l’aprirsi e il comunicare stanno alla base della sincerità, della fiducia e di un rapporto limpido. Mi ha colpito la serietà e profondità con cui il sentimento di amicizia è trattato nei testi. Ognuno vive l’amicizia diversamente e le emozioni variano da persona a persona. Per la tematica dell’Odio, i testi di Hajdari, Saba e Pasolini ci hanno permesso di andare in profondità e di anticipare anche alcuni motivi legati al razzismo. […] L’odio può essere scatenato da più ragioni, come la costante assenza del padre, l’emarginazione, la sottomissione. […] abbiamo concluso che si può fare di questo sentimento sia un uso costruttivo che distruttivo. Le parole “odio costruttivo” suonano strane, è vero, ma il senso è di usare l’odio come risorsa. Hajdari, per esempio, ci spinge a riflettere sul fatto che l’uso dell’odio come disprezzo può diventare costruzione di qualcosa di nuovo e di solidale, usando la conoscenza e il confronto con l’altro. È un concetto difficile da capire e soprattutto da praticare, però, io e i miei compagni lo abbiamo appreso solo grazie alla presenza di questa poesia e di questo “viaggio” letterario. Nella tematica sul Razzismo, alcuni scrittori migranti StrumentiCres Settembre 2009 hanno vissuto sulla loro pelle il razzismo in prima persona. I loro testi comunicavano, infatti, il sentirsi inadeguati, non rispettati e senza diritti. Nel testo di Levi, invece, emerge il discorso legato allo sterminio degli ebrei e ai traumi psico-fisici persistiti nei “salvati”. […] Abbiamo concluso che un pregiudizio razzista nasce dalla paura verso colui che non si conosce, in molti casi lo straniero. Alcuni pensano che il razzista sia una persona debole: io non lo penso, ma condivido il fatto che razzisti non si nasce ma si diventa. Il disprezzo riguarda anche i diversi modi di pensare e gli stili di vita. Infine, abbiamo affrontato la Poesia: penso che chiunque apprezzi il mondo poetico avrebbe potuto trovare molto interessante questa tematica. Abbiamo parlato e discusso sul come i poeti vivono la poesia. […] Di Neruda abbiamo letto un testo in cui descrive il suo primo incontro con la poesia: la confusione e la meraviglia di trovarsi davanti a tanta bellezza. Scrive che la poesia l’aveva cercato […] in fondo quando uno ha l’ispirazione sono più le parole che trovano lui che il contrario. La cosa “difficile” è riuscire ad esprimere esattamente ciò che si vuole […] e la poesia giunge più profondamente se ben compresa. Alla fine di questi percorsi a me è rimasto molto, da poter riutilizzare in futuro e da “tenere stretto” come arricchimento personale. Penso che ognuno possa ritenersi soddisfatto dopo aver trovato qualcosa in cui lo studio non è un peso. Tutti i ragionamenti sui testi non erano studio vero e proprio ma più che altro un mettere in gioco i propri pensieri e le proprie idee. Penso che, dopo un lavoro simile, chiunque di noi abbia nutrito, almeno per un momento, una vaga curiosità e interesse nei confronti della Letteratura. Dirò di più, io altri miei compagni abbiamo deciso di fare la tesina d’esame su una tematica letteraria, ampliando e articolando i motivi e gli argomenti studiati. (A.D.F.) L […] e tematiche che abbiamo scelto ci sono sembrate perfette. Il professore ci ha fatto scrivere una riflessione su cosa ci aspettassimo da questo percorso e molti prevedevano che saremmo cresciuti sia dal punto di vista lessicale che culturale. […] Durante il percorso sull’amicizia, abbiamo ragionato da soli su una poesia che parlava di un viaggio (Prima del Viaggio di Montale) sul quale si erano fatti progetti e preparazioni, ma alla fine di esso non è rimasto niente. Tutti l’abbiamo interpretato come un paragone con l’amico: se ci si svela totalmente, si agisce per forza, poi si rischia di perderlo. […] L’ultima tematica, quella sulla Poesia, è iniziata con due domande che ci hanno colto alla sprovvista, infatti le risposte sono state molto convincenti ma anche un po’ improvvisate. […] Questo percorso mi ha aiutato a crescere, a riflettere su come mi relaziono con certe tematiche e problemi anche durante una discussione. È stato molto divertente, perché la maggior parte delle volte il percorso era diverso e quindi sono felice di aver conosciuto nuovi autori con le loro magnifiche opere e il loro modo di leggere la realtà. (C.D.) A […] ll’inizio, mi è sembrato un lavoro abbastanza noioso e lungo. Ma soprattutto molto complicato. Il professore ci ha chiesto di proporre singolarmente una tematica scrivendo l’obiettivo e la finalità della nostra scelta. Forse, per me, è stata una delle parti più difficile del lavoro. Era molto importante individuare una tematica da affrontare con cura che potesse interessare alla classe e che sarebbe veramente stato utile affrontare. […] Dopo questa piccola, ma importante fase, ecco le cinque tematiche scelte dal gruppo-classe con le relative StrumentiCres Settembre 2009 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ motivazioni. […] Per ognuna di essa sono stati individuati altre sottotematiche o per meglio dire motivi da trattare più approfonditamente. […] Ad ogni tematica le richieste aumentavano sempre di più e diventavano più difficili e lunghi. […] Questo lungo lavoro, man mano che siamo andati avanti, mi ha fatto capire che mi sbagliavo. Non è stato un lavoro noioso o inutile. Anzi, mi ha aiutato veramente molto. Io non amavo per niente la letteratura prima di fare questo percorso. Non mi piaceva leggere libri, poesie e tutto quello che riguarda la letteratura. Potrei dire che ero ignara di questo “mondo” e di tutto quello che può indagare, problematizzare e sviluppare. Grazie a questo percorso ho arricchito il mio bagaglio culturale. Ho appreso e conosciuto autori, romanzi, racconti, poesie. Mentre prima mi limitavo solo a sentire quei nomi e quei titoli che non capivo, ora posso finalmente dare un mio parere quando li sento citare. Sono molto felice di questo risultato. Per non parlare dei contenuti: ho potuto trattare e approfondire meglio le tematiche studiate con diversi aspetti e punti di vista; è stato molto utile anche perché mi ha fatto capire di più che cosa significassero. Non dico che ora so perfettamente che cosa racchiudano, ma ho appreso di più, ho molte idee in merito e molte che avevo prima sono cambiate oppure rinforzate. Queste cose mi aiuteranno nella mia vita. Ho superato, inoltre, un mio punto debole: l’esposizione orale. Essendo abbastanza timida e avendo alcune difficoltà (non essendo l’italiano la mia lingua madre) faccio molta fatica a parlare in pubblico. È vero che in gioco ci sono anche le emozioni che non si possono controllare come vorremmo. La cosa che mi ha aiutato di più è sicuramente quella di “aprirmi verso gli altri”. Anche il professore ha notato quanto sia cambiata. Non solo grazie a questo percorso, ma anche a quelli precedenti. Mentre prima mi limitavo solo a “fare il compitino”, come lo chiama il prof. Bocchinfuso, ora entro più profondamente nelle consegne date con consapevolezza e voglia di capire e di approfondire. Prima non lo facevo. Non avevo quella voglia neanche di stare un attimo concentrata per cercare di scavare dentro me stessa e far uscire qualcosa di diverso, di più personale. Ora, invece, faccio il contrario. Mi piace pensare, riflettere, immedesimarmi e rendere più personale le cose che scrivo. Questo mi ha stimolato a scrivere volentieri temi, racconti, riassunti, commenti. I miei interessi si sono ribaltati. Mentre prima non mi piaceva scrivere, ora adoro farlo. Mentre prima non aprivo per niente un libro, ora mi piace sfogliarlo, trovare pezzi che catturino la mia attenzione e che mi aiutino a riflettere su me stessa e gli altri. Mentre prima non mi piaceva la letteratura, ora mi piace veramente! Questo è dovuto anche all’insegnamento, a mio parere molto alto, del professore Bocchinfuso, grazie alle modalità con cui ci ha fatto apprendere le cose, uscendo fuori dal piano scolastico e entrando in quello personale e sociale. Consiglio a tutti di amare e difendere la letteratura perché apre più punti di vista sulla vita, sulle situazioni, sugli eventi. (C.S.) D urante i percorsi […] ho notato uno sviluppo dei tratti della mia personalità: sono cresciuta nel modo di pensare, confrontandomi e prendendo spunto dai messaggi e dai contenuti morali degli autori. Il livello di comprensione dei testi era molto alto: era richiesta una gran voglia di partecipazione e di interessamento per i testi, per le riflessioni dei compagni, per le analisi comparate. I gruppi di lavoro erano un buon modo per far emergere la parte timida di alcuni di noi che con pochi coetanei 11 (a differenza della classe intera) riuscivano a dare un contributo personale ed emotivo che ha permesso la formulazione di ipotesi e di ragionamenti. Credo che questo lavoro abbia fatto crescere, in modo diverso, tutti i miei compagni. Il professore non si è limitato a spiegarci opere, autori, momenti letterari ma ha cercato di trasmetterci messaggi che ricorderemo per la vita. […] poi ci siamo immersi nel mondo della letteratura con la possibilità di fare dialogare e metterli a confronto autori dell’Illuminismo con autori contemporanei. La verifica finale di ogni percorso ha fatto in modo che noi potessimo anche capire dove e cosa ci eravamo persi durante il percorso per poi andare a riguardare in futuro. Le tematiche sono state da stimolo nel nostro vivere quotidiano, anche quando siamo chiamati a piccole scelte che però possono caratterizzare il nostro futuro. In questo momento adolescenziale, in cui stiamo formando il nostro “Io”, comprendere e assimilare gli insegnamenti degli autori è importante per l’ampliamento del nostro bagaglio culturale che ci permetterà di andare avanti servendoci dei valori, delle posizioni dei letterati e delle nostre riflessioni. In questi momenti la Letteratura ci fornisce idee e valori che conserveremo per la vita. (S. C.) M […] i ha colpita l’attualità di queste tematiche e la voglia di confronto che la classe ha dimostrato di avere. Il lavoro si svolgeva con un clima più intimo e consapevole: ci sentivamo immersi totalmente nei testi. Durante le presentazioni dei libri da parte dei singoli studenti, la classe sembrava avvolta dallo splendore dei testi esposti. Questo percorso ci ha dato davvero tanto, sia dal punto di vista didattico che personale. Ci ha fatto comprendere che, per capire una semplice poesia, non bisogna impararla per forza a memoria, ma bisogna immedesimarsi nel messaggio dell’autore, nell’autore stesso e capire i sentimenti e le emozioni che ha provato mentre ha scritto quei versi. Mi è rimasta impressa la poesia di Trilussa, che consiglio di leggere a tutti, perché mi ha fatto vedere il lato semplice della cosa che a me sembrava più complessa: la poesia. Spero di avere modo di ripetere questa fantastica esperienza anche alle scuole superiori perché mi ha dato davvero tanto! Per me, questo è stato un vero e proprio approfondimento, vissuto in prima persona, insieme a compagni e professori. L’unione di idee e opinioni è stato fondamentale per avere anche una visione dei testi trattati, dai più lontani a quelli più vicini in ordine di tempo. (R.T.) A bbiamo affrontato argomenti che ci hanno ca[…] ratterizzato sia da un punto di vista culturale che personale. […] Abbiamo iniziato con l’Adolescenza e l’Amicizia che ci coinvolgono pienamente. […] Sono venuti fuori degli aspetti sull’amicizia che magari non ci avevano sfiorati. Ci hanno aiutato a capire chi è un vero amico […] spesso avrei tanto voluto non sapere per non stare male. […] Non è stato piacevole sapere quanto odio c’è nel mondo ma certamente, la prossima volta, prima di odiare una persona so cosa vuol dire: se odio veramente o se è solo un’arrabbiatura. Il Razzismo […] l’avevo scelto io, perché anche con le nuove leggi ho capito che il razzismo è esistito, esiste e purtroppo esisterà. […] Ho compreso che deriva dall’ignoranza e dalla paura di chi non si conosce e che è diverso. […] Solo con la cultura si può combattere il razzismo. Come nella poesia “Prigione”: bisogna provare a uscire da queste mura che ci siamo costruiti da soli, perché la vera vita è fuori! […] A me sono sempre piaciute le poesie perché puoi entrare in un mondo tuo, senza però scordarti della realtà circostante. Non credo che servano solo belle parole per 12 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ fare una poesia: credo ci sia bisogno di una ricerca personale. […] Posso dire che è stato molto bello chiudere il triennio d’Italiano così. Perché alle scuole superiori non so se ci sarà qualcuno che mi darà delle “dritte” così e voglio farne tesoro. Ringrazio il professor Bocchinfuso per avermi aperto gli occhi e per avermi aiutato a entrare nella vita adulta. (G. M.) A […] bbiamo affrontato diverse e interessanti tematiche paragonate anche ai cambiamenti che noi adolescenti stiamo affrontando in questo difficile periodo. Come punto di partenza, abbiamo individuato, in diversi gruppi di lavoro, delle tematiche, motivando sempre le nostre libere scelte e dando inizio al nostro percorso. […] Il secondo percorso è stato sull’Amicizia. Ci ha permesso di riflettere veramente sulle persone attorno a noi: sono veri e propri amici? Questo spunto di riflessione mi ha fatto capire i pensieri e i punti di vista di tutte le persone della classe e ho capito che alcune a cui tenevo molto non mi considerano una vera amica. […] […] l’odio è la cosa opposta dell’amore, ma non deve essere intesa solo come sensazione negativa: è un sentimento molto profondo, come l’amore, che è difficile e raro da provare a quest’età. Anche in questa tematica abbiamo analizzato testi che trattavano situazioni delicate e personali degli autori, come, per esempio, una poesia di Umberto Saba che parlava della difficile situazione che c’era stata tra lui e il padre. Questa poesia mi ha fatto ripensare a quello che “vivo” quotidianamente con mio padre e mi ha riportato a una sensazione di grande dolore. La quarta tematica è stata il Razzismo: abbiamo utilizzato molti testi riguardanti storie vere con autori che sulla loro pelle avevano subito situazioni traumatiche. Infine, come quinta e ultima tematica, abbiamo affrontato la Poesia, utilizzando solo ed esclusivamente poesie che parlano di poesie. Nelle esposizioni orali […] non abbiamo presentato tanto la trama, ma i contenuti e le parti più significative di quello che avevamo letto e capito in relazione alla tematica e ai motivi trattati. […] Vorrei ringraziare i professori Bocchinfuso e Matera perché hanno aiutato me e tutta la mia favolosa e strana classe a lavorare insieme riuscendo a mettere idee e pensieri diversi per uno scopo comune. (T. C.) C on l’Adolescenza abbiamo affrontato un argo[…] mento particolare che ci riguarda molto da vicino, perché ci troviamo in una fase dove ogni nostra scelta potrà determinare e cambiare il nostro destino. Il nostro metodo di lavoro è stato costante e produttivo, con la lettura dei testi, la comprensione, il commento, la condivisione e il confronto. Con l’Amicizia, ho capito che non è solo un sentimento ma anche un concetto che viviamo e pratichiamo in ogni momento e contesto. L’Odio e il Razzismo si sono intrecciati tra loro - sia attraverso gli autori che attraverso le nostre discussioni - e ci hanno spinto verso un pensiero diverso, più aperto e meno centrato su noi stessi. L’ultima tematica, la Poesia, mi ha aiutato particolarmente ad evadere dalla realtà e dalla società che soffocano spesso i miei sogni e i miei diritti. La poesia l’ho vissuta come strumento di liberazione valido per affrontare la vita, per immedesimarmi con le altre persone, gli altri esseri, come ha scritto Trilussa. Questo percorso mi ha aperto gli occhi sulla realtà che spesso nega all’uomo le sue aspirazioni e ha fatto scoprire una parte di me non sapevo di conoscere. (N. D. C.) StrumentiCres Settembre 2009 MUSICA Un linguaggio per esprimere se stessi e per comunicare con l’altro a cura di Donatella Calati, Anna Di Sapio, Laura Morini StrumentiCres Settembre 2009 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier 13 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier L’estetica, l’arte, la musica Enrico Strobino* desiderio Ildell’altrove Penso sia importante pensare alla musica come linguaggio a partire da una visione ampia, polifonica, che la inserisca all’interno del paesaggio globale delle arti e dell’estetica, soprattutto se guardiamo alla musica dal punto di vista educativo.1 Partiamo quindi da una domanda: perché l’uomo scrive, rappresenta, compone, inventa; perché guarda e ascolta ciò che altri hanno scritto o composto, perché immagina? Naturalmente le risposte possono essere molte: ne scelgo e inseguo una soltanto. Potremmo affermare che spesso si scrive, si rappresenta, si guarda e si ascolta, per dar forma a mondi diversi rispetto a quello che abitualmente viviamo, per andarci ad abitare, almeno per un po’ di tempo. L’immaginazione ci porta ad un livello altro di realtà, partendo da un’assenza, da un desiderio che trova la sua origine nel peso del vivere. È il desiderio dell’altrove: l’immaginazione come repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di ciò che non è ma che potrebbe essere; il pensiero visionario che esplora territori ignoti, percorsi inediti, mondi possibili, scenari fantastici. Tutto questo dà forma a quel piacere del bello che non serve certamente a nulla se non ad aiutare gli uomini a vincere il disagio esistenziale. L’arte ci conduce in mondi possibili, che guardano al reale attraverso la lente dell’immaginazione; il pensiero poetico trasfigura il reale, rompe il * Musicista, insegnante, ricercatore di didattica della musica 1 Il presente articolo riprende alcune parti pubblicate in: Maurizio Spaccazocchi, Enrico Strobino, Piacere Musica, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro, 2006. 14 banale, lo sposta, lo provoca attraverso uno sguardo spaesante, ricerca isole, anfratti, angoli stra-ordinari. Sono passaggi, luoghi segreti, attraverso i quali avventurarsi, nascondersi, o che semplicemente c’invitano ad un’attenzione particolare, a guardare più da vicino, come con una lente d’ingrandimento che ci regala di una cosa familiare un’immagine mai vista, una visione inattesa. L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se c’è n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.2 L’inferno di Calvino può essere sostituito da un’idea più leggera: la banalità, il consumo superficiale, la ripetitività che non accende la nostra vita, che la rende ovattata, priva di scosse, noiosa. Allora cerchiamo di creare occasioni in cui questo vivere banale sia trasfigurato e si accenda, cerchiamo scintille per accendere piccoli fuochi, e cerchiamo di farli durare per un po’ di tempo. Si tratta di inseguire l’esperienza della bellezza e, quindi, significa cer- care un certo tipo di piacere. Quando parliamo di Bellezza ci riferiamo infatti a qualcosa che ci dà piacere e che quindi godiamo per quello che è, al di là – o al di qua – di qualsiasi utilità e bontà: sono belle le cose che ci procurano piacere nel guardarle, nell’ascoltarle, nel toccarle, nell’annusarle, che ci attraggono, che appagano i nostri sensi e la nostra mente. Possono essere parole, musiche o immagini, o anche un luogo, un oggetto, un profumo: si tratta di rubarli ad uno sguardo distratto, o puramente scolastico, accademico, restituendo e recuperando invece l’esperienza dell’emozione, dello stupore, della meraviglia. Qui sta il cuore di ogni esperienza culturale: è un capire che si fonda su un sentire che riguarda il corpo e la mente, inscindibilmente, turbamenti del cuore e della pelle, modifiche del senso dello spazio e del tempo, spaesamenti, perdite, mancamenti, e gioie nel ritrovare ciò che ci è noto e familiare. Musica e gioco «Un pensiero che non abbia a che fare con il gioco sarà di certo un pensiero mancato».3 Il gioco ha in comune con l’arte la funzione di interrompere il quotidiano; entrambi hanno a che fare con un cambiamento di scena, uno scollamento dalla realtà, che corrisponde ad un’alterazione fisica globale, che coinvolge corpo e mente. Entrambe si pongono come esperienze di presa di distanza, mostrano la via per mettere tra virgolette la realtà. Sia nell’arte che nel gioco il legame con il quotidiano si allenta, si alleggerisce. Nel gioco è necessario che questo scarto, questa interruzione sia anche piacevole. L’arte ci propone un piacere particolare, legato alla bellezza delle forme, dei linguaggi. Se il gioco è un’arte, l’arte è un tipo particolare di gioco, un gioco di forme. E la musica? La musica è un gioco 2 Italo Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Torino, 1972, p. 170. 3 Alessandro Dal Lago, Pier Aldo Rovatti, Per gioco. Piccolo manuale dell’esperienza ludica, Raffaello Cortina, Milano, 1993, p. 23. StrumentiCres 2009 StrumentiCres●Settembre Settembre2009 Estetica: una pratica della sensibilità Ogni esperienza legata alle dimensioni dell’immaginario, del fantastico, del poetico, del gioco e dell’estetico è quindi un cambiamento di mondo, che ci trascina oltre il quotidiano, verso un qualche tipo di trascendenza. Questo tipo di esperienza, pensata all’interno del rapporto fruitore-opera, precede la decifrazione, lo sguardo analitico e filologico. Non risponde in prima istanza alla domanda «che cosa significa questo», ma è animata dall’accorgersi che «c’è qualcosa che ci appassiona», che «c’è la possibilità di fare un viaggio insieme», capace di regalarci il piacere dell’interpretazione. Il coraggio di girovagare intorno ai propri luoghi di verità, qualunque siano, simboli enigmatici o spezzoni della propria storia, canzonette insensate o cantilene senza significato, ma accese di qualcosa di decisivo di sé. […] Mettersi in ascolto, significa abbandonarsi al canto delle cose, ritrovarci l’eco di qualcosa di irripetibile di sé e di importante per qualcun altro, ma che non è sicuro che si riesca a dire. […] Non spegnere le cose nei loro nomi o nei loro significati, ma lasciarle cantare, maturare un orecchio per ascoltarne il canto e criteri irripetibili per goderne la felicità. Somiglia più alla passione del dilettante che al metodo dell’università.6 Qui intravediamo, tra l’altro, una possibile distinzione tra oggetti di con Settembre 2009 StrumentiCres ● Settembre2009 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ da bambini ci ha insegnato Delalande:4 il suo scopo è infatti generare piacere a partire dal suono, intrecciando il gioco sensoriale e motorio, il gioco simbolico e il gioco di regole. È davvero difficile trovare una pratica musicale che non possa essere ricollegata a condotte che i bambini di tutto il mondo attivano sulla base delle loro variegate pratiche ludiche; non si può dimenticare, d’altra parte, che in molte lingue le pratiche del ludico e del musicale vengono condensate in un unico termine. Se lo stupore 5 è uno stato d’animo tipico del bambino, che permette di assumere la “postura” della meraviglia, della sorpresa, dell’ammirata piacevolezza nei confronti delle cose del mondo, la musica come atto di piacere può non pensare di accendere una percezione dei suoni anche come sostanza stupefacente? dossier sumo e oggetti d’arte, e, per quanto più ci compete, tra musiche colte e di consumo: non si tratterebbe tanto di repertori o di generi, quanto di atteggiamenti e approcci, di esperienze appunto. La disponibilità di un’opera e di un ascoltatore a dialogare, a moltiplicare e reinventare sensi e significati, ad ascoltare molte più cose di quelle effettivamente dette, conduce oltre lo status di semplice prodotto di consumo, verso un tipo di rapporto che forse non è giusto definire colto, quanto creativo, o in altra direzione, critico.7 Inseguire esperienze di bellezza significa tenere desta e se possibile aumentare la nostra sensibilità; risvegliare le nostre risposte emozionali al bello e al brutto. Significa cercare oggetti che ci consentono di farlo. Questo succede quando incontriamo nelle cose qualcosa che ci assomiglia, spesso all’interno di un pensiero analogico, evocativo, allusivo. Accade – o non accade – in tutti i generi musicali. Questo ci sembra un buon motivo per non classificarli in base ad una gerarchia d’importanza.8 Una stessa musica può favorire uno sguardo ‘contemplativo’, interessato (esclusivamente o anche) alle sue forme, e allo stesso tempo può, fruita da un altro ascoltatore - o anche dallo stesso in una diversa occasione - rispondere a richieste di utilità, per essere utilizzata con scopi esterni ad essa (socializzare, ricordare, incontrare, ecc…). In questa direzione molti autori propongono di recuperare il significato etimologico del termine “estetica” (aesthesis), come un modo di conoscere attraverso i sensi: non tanto quindi un sapere storico-artistico quanto una teoria e una pratica della sensibilità, così come - ci fa osservare Galimberti - «noi oggi chiamiamo ‘anestetico’ non un farmaco poco bello, ma un farmaco che riduce la sensibilità».9 L’esperienza estetica Muoversi in questa prospettiva significa preferire un pensiero che non si ferma al logico e al razionale ma che tenta di connettere queste dimensioni con l’immaginazione: un pensiero che unisce, che si basa quindi sull’et…et, piuttosto che sull’out…out, secondo «una logica che negozia sia con la ragione dei sentimenti che con i sentimenti della ragione».10 Conoscere attraverso il corpo-mente, i sensi, annusare il mondo, ascoltare il corporeo dei nostri pensieri, i pensieri e i piaceri del cuore, le pas- sioni. Imparare a meravigliarci, ad emozionarci, a stupirci, a ritrovare l’anima delle cose. Inseguire un rapporto con l’arte (con la musica e… con il mondo) caratterizzato da una partecipazione attiva alla costruzione di sensi e significati. Al contrario ci sembra che spesso all’interno del pensiero scolastico – ma non solo – ci si riferisca per lo più ad un’idea di bellezza come ad un valore oggettivo, assoluto, in base al quale è bello qualcosa che è fatto in un certo modo, che appartiene ad un certo corpus, per le qualità che ha di per sé, spesso definite indiscutibili, e non perché capace di instaurare un dialogo con noi e tra di noi, con e tra le nostre emozioni. Più che sul concetto di giudizio estetico poniamo qui l’accento sull’idea di esperienza estetica. Mentre il primo comporta normalmente un’azione di confronto tra un oggetto artistico e un modello dato di bellezza, parlare di esperienza estetica significa invece guardare al vissuto, al rapporto dialettico che viene a crearsi tra un soggetto e un’opera, ai processi di costruzione attiva e di confronto di sensi e significati, in un gioco continuo tra quiete ed irrequietezza del senso.11 Se l’esperienza estetica è quindi esperienza dell’anima, mi piace utilizzare il termine animazione riferendomi a una pratica della sensibilità, che mira alla luce improvvisa che accende 4 François Delalande, La musica è un gioco da bambini, Franco Angeli, Milano, 2001. 5 Cfr.: Maurizio Spaccazocchi, “La didattica della musica fra passione, stupore e desiderio”, in: Musica Umana Esperienza, Quattroventi, Urbino, 2002, pp. 49-57. 6 Denis Gaita, Il pensiero del cuore, Bompiani, Milano, 1991, pp. 6-10. 7 Cfr.: Alessandro Baricco, L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin, Garzanti, Milano, 1992, p. 31. 8 Su questo argomento si veda: Franco Fabbri, “Per una critica del fallacismo musicologico” , in: L’ascolto tabù, I l Saggiatore, Milano, 2005, pp. 48-60. 9 Umberto Galimberti, Orme del sacro, Feltrinelli, Milano, 2000, p. 144. 10 Loredano Matteo Lorenzetti, Persona Amore Bellezza, Franco Angeli, Milano, 2001, p. 15. 11 Su questo tema vedi: Piero Bertolini, Marco Dallari, “ A proposito di giudizio estetico e mass media”, in: Anna Rita Adessi, Roberto Agostini (a cura di), op.cit.. 15 una cosa, un oggetto, un paesaggio, una musica; dell’anima, che inseguono la sensualità delle cose, la loro disponibilità a trasformarsi in oggetti dell’interpretazione, a cui si accompagna certo – e probabilmente segue anche un piacere più riflessivo, più analitico, più mediato. Come non esiste un oggetto bello ‘di per sé’, allo stesso modo non esistono oggetti, persone, eventi, opere, noiosi o desiderabili ‘in sé’ «ma esiste un oggetto (una persona, un evento) noioso [o desiderabile] per me, per te, per lui, per noi, per loro».12 Queste considerazioni non possono non orientare le nostre pratiche educative, spingendoci a ritenere che non ci siano musiche più giuste di altre, che non ci siano modi di ascoltare migliori di altri. Ogni musica e ogni ascolto mettono in scena motivazioni e desideri diversi, rendendo produttore e ascoltatore attori di un gioco infedele: l’ascolto regala un’esperienza di piacere che risponde ad eco all’esperienza del produttore, che a sua volta ha vissuto un’esperienza di piacere, ma probabilmente – e qui sta l’infedeltà – non per le stesse ragioni.13 Su questo tipo di consapevolezza dovrebbero poggiare quindi anche le nostre proposte didattiche, che non sposano l’idea di un relativismo assoluto – ossimoro di per sé insostenibile – quanto invece l’idea del dialogo e del confronto continui, all’interno di una polifonia di valori, di contrattazione continua sulla loro convenienza e desiderabilità: ed esistono musiche, pratiche, didattiche e pedagogie che sono più capaci di altre di inaugurare dialoghi, superando relazioni autoritarie, o percezioni ingenue, senza mediazioni. Il tendere verso una scena dialogica, in cui sensi e significati siano continuamente contrattati, interpretati, non semplicemente accettati o dati per scontati, va contro una tendenza che mi sembra oggi essere dominante, che vede nella scuola – come più in generale nella società - una zona franca in cui le questioni importanti sono quelle produttive, di efficienza e competitività; che vede l’educazione come un itinerario unidirezionale, un percorso in cui conoscenze e abilità sono già programmate in partenza e che tutti devono acquisire secondo ritmi e forme prestabiliti. Sul valore estetico Emergono a questo punto due concetti, concatenati fra loro, con cui fare i conti. Da una parte il rischio di teorizzare un concetto di bellezza del tutto soggettivo: «Non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace», che por- QUALCOSA IN PIÙ - Daniel Goleman Intelligenza emotiva Rizzoli1996 Milano - Emile Jacques-Dalcroze Il Ritmo la Musica e l’Educazioni EDT/SIEM, 2008 (ristampa di un classico) - Silvano Sansuini Pedagogia della musica Feltrinelli tascabile, Milano 1991 - J. Tafuri, G. Stefani, M. Spaccazocchi Educazione musicale di base Ed. la Scuola Brescia 1979 - Francois Delande La musica è un gioco da bambini Franco Angeli Milano 2001 - R. Murray Schafer Il Paesaggio Sonoro LIM, 1998 (ristampa) - Mario Baroni Suoni e significati, Musica e attività espressive nella scuola EDT, Firenze 1997(1° ed. 1978) - E. Maule Storia della musica: come insegnarla a scuola, ETS, 2007 - M. Disoteo Didattica interculturale della musica Quaderni dell'interculturalità, EMI, 1998 - M.T. Rabitti – M.Gusso (a c. di), Storia e musica in laboratorio, “I Quaderni di Clio ‘92”, 2007, n.8 [n. monografico] 16 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier - V. Guanci – C. Santini (a c. di), Far sentire la storia. Musica, suoni, discorsi per fare, insegnare e apprendere la storia, Polaris, 2005 - S. Rabuiti – C.Santini – L.Santopaolo (a c. di), Intrecci di storie. Patrimonio, storia, musica, ivi, 2006, pp.187-300 - M. Gusso - L. Rossi (a cura) Bibliografia generale in progress, scaricabile dalle pagine 'gruppi di ricerca' di www.storieinrete.org - H. Failoni L’altra faccia della musica (libro con DVD) Il Saggiatore, 2006 Gli autori hanno accompagnato Claudio Abbado in Venezuela per conoscere e dirigere l'orchestra giovanile Simón Bolívar, punta di diamante del progetto educativo voluto da José Antonio Abreu che organizza e sostiene la formazione musicale di migliaia di ragazzi salvati dalla miseria e dallo sfruttamento. Nel DVD il documentario girato in Venezuela da F. Merini. www.musicheria.net la bottega dell'educazione musicale dimostra una attenzione particolare ai terebbe a relativizzare completamente l’idea di valore, identificandolo con il gusto personale, in balìa quindi di confronti unicamente basati su motivazioni conflittuali, senza alcuna possibilità di indicare una via più conveniente di altre. Una posizione che, saltando a piè pari il nodo della valutazione, potremmo definire appunto soggettivistica, riferendoci alla nota posizione di Hume che ovviamente non ci pare essere pedagogicamente e politicamente condivisibile. La bellezza non è una qualità delle cose stesse: essa esiste soltanto nella mente che le contempla e ogni mente percepisce una diversa Bellezza. Può anche esserci qualcuno che percepisce una Bruttezza dove un altro prova un senso di Bellezza; e ognuno dovrebbe appagarsi del suo sentimento senza pretendere di regolare quello degli altri. Cercare la reale Bellezza o la Bruttezza reale è una ricerca infruttuosa quanto pretendere di stabilire quel che è realmente dolce o amaro; ed è ben giusto il proverbio che ha riconosciuto l’inutilità della disputa intorno ai gu- 12 Piero Bertolini, “Desiderio e noia”, in: Pedagogia fenomenologia, La Nuova Italia, Firenze, 2001, p. 207. 13 Cfr.: François Delalande, Le condotte musicali, Clueb, Bologna, 1993, p. 176 temi dell'intercultura pubblicando materiali, esperienze, proposte. www.knowledge-is-the-beginning. com dedicato al film di Paul Smaczny che documenta il lavoro dell'Orchestra “The West-Eastern Divan Orchestra” voluta da Daniel Barenboim e Edward Said; presenta in modo coinvolgente giovani musicisti arabi e israeliani impegnati studiare e suonare insieme, cercando di superare i reciproci pregiudizi e le violenze esterne. La stessa esperienza è descritta dai protagonisti in due libri: Daniel Barenboim, La musica sveglia il tempo, Feltrinelli, 2007; Elena Cheah, Insieme. Voci della WED Orchestra, Feltrinelli, 2009 www.orchestradipiazzavittorio.it la prima e più famosa orchestra multietnica italiana; tanti musicisti differenti tra loro per origini, strumenti, esperienze reinventano la musica del mondo. La storia di questa avventura è diventata un film diretto da Agostino Ferrente e distribuito in dvd da Lucky red StrumentiCres StrumentiCres●Settembre Settembre2009 2009 Settembre 2009 StrumentiCres ● Settembre2009 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ sti. È del tutto naturale e perfino necessario estendere questo assioma al gusto mentale oltre che al gusto corporeo; e così il senso comune, che così spesso si discosta dalla filosofia, e specialmente dalla filosofia scettica, si accorda, almeno in un caso, con essa nel pronunciare lo stesso verdetto.14 In verità non esiste vissuto di bellezza che non nasca dall’influenza di qualcuno o di qualcosa, e che non si porta dietro il desiderio impellente di essere condiviso, scambiato, confrontato. Parlare allora di valore estetico - e di valore tout court - in rapporto al concetto di esperienza prima descritto, significa fare riferimento alla capacità di aumentare, affinare, rendere più intensa questa stessa esperienza. Potremmo dire, come ci indicano Bertolini e Dallari, che un oggetto è tanto più valido esteticamente quanto più è capace di promuovere: Percorsi verso la novità, l’originalità, l’apertura dei pensieri, contro la ripetitività, la routine, la banalità. L’appropriazione attiva da parte dei fruitori, sia pratica sia teorica, contro una comunicazione che stimola una ricezione passiva. Emozioni e stupore capaci di costituire punti di partenza verso nuovi equilibri del pensiero, individuali e di gruppo, contro un uso banale e superficiale di semplici meccanismi di seduzione.15 O, rileggendo e interpretando Middleton,16 incontrando un oggetto e/o un’esperienza musicale ci si potrebbe porre una serie di domande di questo tipo: Quante posizioni, punti di vista, letture, interpretazioni favorisce una certa musica, una pratica, un’esperienza musicale? O, in altre parole, quanto dà da parlare? È capace di provocare shock, stupore, meraviglia, o invece tende a lasciarci in uno stato di quiete emozionale? Richiede in qualche modo la nostra partecipazione? Favorisce un’appropriazione creativa? Quanto è capace di connettersi ad altri universi di discorso, ad altre pratiche, ad altre esperienze, pensieri, contesti? Quali e quanti desideri è capace di attivare e di soddisfare? Middleton ci suggerisce che «si debba attribuire un valore maggiore alla musica con il risultato globale maggiore», definibile quindi soltanto in un dossier contesto specifico, in situazione, in riferimento ad un’effettiva e reale relazione tra un soggetto (o un gruppo di soggetti) e un oggetto/pratica musicale; quindi all’interno di un’esperienza localmente determinata.17 Pedagogia e politica della bellezza L’idea di bellezza non riguarda solo l’universo dell’arte; è necessario che sconfini, che vada a contaminare altri discorsi, altri modi di parlare del mondo. Pensiamo nel nostro caso alla pedagogia: il sentimento della bellezza è ciò di cui la pedagogia e l’estetica, insieme, non devono perdere l’occasione e il senso. Perché quando la presentazione e la trasmissione del sapere diventano esperienza significativa, dal racconto di una fiaba alla scoperta di un paradigma scientifico, dalla presentazione di un brandello di storia alla rivelazione di un’epifania di pensiero filosofico, il successo dell’evento educativo è indicato e contrassegnato dall’emozione, dallo stupore. Che è, per l’appunto, stupore estetico. […] Quando ciò non avviene, e quando la dimensione massmediologica è la sola ad essere capace di suscitare emozioni e diventare luogo di educazione sentimentale, occorre non tanto insorgere in anacronistiche e nostalgiche lamentazioni, ma piuttosto chiedersi se la responsabilità di tutto questo non sia da ascrivere soprattutto a quegli educatori […] che hanno rinunciato […] a caricare l’evento educativo della necessaria componente estetica.18 Questo sguardo meravigliato sul mondo, la sensibilizzazione ai particolari, diviene, nella prospettiva di James Hillman, progetto terapeutico e politico nei confronti dell’anima mundi:19 Continuiamo a restringere la psicopatologia alla persona umana, e dunque a sostenere che la psiche riguarda ontologicamente soltanto il soggetto umano. La psicoterapia analitica continua a sostenere che se la natura o la cultura appaiono malate, ciò dipende dalle azioni dell’uomo: la causa siamo noi. Dunque curiamo prima l’uomo: tutti in analisi - architetti, politici, insegnanti, uomini d’affari - e allora il mondo andrà meglio. Questo non ha funzionato, non può funzionare, perché il modello è sbagliato. Lascia l’anima fuori del mondo - le cose sono prove di anima e l’uo- mo deve sobbarcarsi tutto il peso dell’anima, rianimando con il suo soffio proiettivo ciò che la teoria dichiara, per definizione, morto.20 Attivare la nostra sensibilità, la nostra immaginazione, le nostre emozioni, ampliare la sfera del piacere, significa al tempo stesso essere in sintonia con l’anima del mondo, prendersene cura. Questo è il compito sia delle educazioni sia delle terapie con l’arte. Al contrario, una diffusa insensibilità estetica anestetizza non soltanto nei confronti della banalità dilagante ma anche rispetto al senso dell’ingiustizia, dell’insulto, riducendo sempre più la nostra capacità di indignazione. Tutto ciò che è grande, enorme, globale e veloce, conduce verso un’an-estesia della nostra sensibilità nei confronti del mondo. Al contrario, un mondo di eventi particolari, «che si fanno notare per la loro ciascunità»,21 non può che essere un mondo che procede più lentamente, che passeggia invece che correre, che sa perdere tempo. «La risposta estetica è azione politica».22 Da questa prospettiva non possono che trarne vantaggio anche le arti stesse: inseguire esperienze di bellezza significa anche restituire alle arti i gesti giusti del fare anima, come sono quelli di un bravo artigiano che ama profondamente quello che fa. E se è vero che la risposta estetica è azione politica, solo con la continua ricerca di bellezza sarà possibile superare quel terribile amore per la guerra di cui lo stesso Hillman ci parla,23 invitandoci a comprendere e a non dimenticare il legame fortissimo che lega bellezza e violenza. 14 David Hume, Saggi morali, politici e letterari, XXIII, 1745 ca, cit. in: Umberto Eco, op. cit., p. 247. 15 Ibid., p. 105. 16 Richard Middleton, Studiare la popular music, Feltrinelli, Milano, 1994. 17 Ibid., p. 345. 18 P. Bertolini, M. Dallari, op.cit., pp. 114-115. 19 James Hillman, Politica della bellezza, Moretti & Vitali, Bergamo, 1999. 20 Ibid. p. 31. 21 James Hillman, L’anima del mondo e il pensiero del cuore, Adelphi, Milano, 2002, p. 149. 22 Ibid., p. 13. 23 James Hillman, Un terribile amore per la guerra, Adelphi, Milano, 2005. 17 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Musica e intrecci interculturali Meticciato tra musiche etniche, jazz e musica colta occidentale1 Piera Hermann Come fare a parlare qui di musiche senza poterle sentire e parlare di corpo senza poterlo vedere? L’unica cosa è affidarsi alla capacità di chi legge di intuire e immaginare e cercare di mettere in luce qualche idea che sta alla base di questo percorso di lavoro. Lo scopo quindi è solo di dare uno spunto, una suggestione, sperando che possa essere di qualche stimolo per la fantasia e la voglia di fare di qualcuno. Le idee di partenza Poche cose sono compiutamente, felicemente ed esplicitamente meticcie come la musica colta contemporanea. Ma questa musica è di fatto lontana anni luce da ciò di cui i ragazzi in genere hanno consapevolezza. La cultura (in chiave positiva o deteriore, la cosa non cambia) agisce in noi a due livelli: forma, plasma il nostro modo di essere per immersione, per contatto, perché ci siamo dentro (e purché ci siamo dentro…). Ma questo nostro modo di essere, le nostre pulsioni, il nostro agire, specie quello sociale, le nostre stesse idee, non sono orientate direttamente dalla realtà delle cose, ma dall’idea che noi ne abbiamo e dal nostro immaginario su di essa. Ragion per cui il ‘contatto’ non sempre basta. Le conseguenze - la musica colta contemporanea è una risorsa per l’educazione interculturale cui non si può rinuncia- i ragazzi devono avere il modo di entrare in contatto con questa musica - questo contatto deve poter essere ‘metabolizzato’ - perché questo contatto diventi ‘educazione’ deve tradursi in consapevolezza, cioè in linguaggio e quindi, 1 Questo “percorso di lavoro” per una terza media viene ripreso da Strumenti 34, giugno 2003 18 nel mio caso di insegnante di lettere, anche in concetti e parole. ‘Scuola’ infatti non è solo esperire, vivere qualcosa (come invece sembra pensare una diffusa e secondo me ambigua idea sottesa a volonterosi atteggiamenti pedagogico-didattici), ma è approdare al possesso consapevole di codici, idee ecc. I problemi e le risorse (apparentemente contraddittorie e in realtà convergenti allo scopo) Trovare le musiche giuste (!). Farle accettare dai ragazzi (!) Per trovare le musiche: ho avuto la possibilità di avvalermi della affettuosa collaborazione di un musicista che è anche straordinario musicologo, il maestro Carlo Boccadoro. Mi ha ascoltata e mi ha ‘confezionato’ un percorso di musiche su misura per la mia idea. Ha pensato ad un cammino dalla musica etnica alla musica colta occidentale passando attraverso il jazz. Per farle accettare ai ragazzi: sono personalmente profana in merito e quindi ho potuto sperimentare su me stessa tutto quanto hanno vissuto gli allievi, parte prima di loro e parte insieme a loro. Per farmi capire: ad un primo (e anche secondo!) ascolto le musiche mi sembravano così ostiche che non mi sono mai potuta sognare di presumere che i ragazzi potessero semplicemente ascoltarle, gustarle (!), capirle….Noi insegnanti tendiamo sempre a crearci delle aspettative di apprezzamento da parte degli allievi quando proponiamo loro qualcosa che possediamo e amiamo profondamente. Tendiamo cioè a dimenticare che ogni espressione linguistica (quale che sia il linguaggio) presuppone la conoscenza e il possesso adeguato del codice (“che barbari, come fanno a non apprezzare una cosa così meravigliosa!”). In questo caso invece a me era chiarissimo che l’apprezzamento di quelle musiche non poteva che essere (forse!) un punto di arrivo. Quindi mi sono data da fare. La strategia L’idea, suggeritami dalle parole di Carlo Boccadoro, è stata quella di passare per il corpo (inteso come membra) per arrivare alla mente e solo infine alla parola. Ci siamo dati tempo, tanto tempo, come è necessario perché le cose accadano veramente: due ore alla settimana, per metà anno. In un’aula nuda e vuota, con uno specchio preso da un’anta di armadio, dei tappetini per terra, un registratore e il prezioso nastro registrato in più copie (per poterlo dare a casa quando era necessario che qualche ragazzo ci lavorasse su). Due ore che, nate come educazione interculturale, sono state anche spazio per concentrarsi, per ridere, per sfrenarsi, per stare nel silenzio, per controllare il proprio corpo, per mettersi in sintonia, per convergere, per esprimere originalità, per guardarsi, per sudare, per contemplare, per armonizzarsi, per inventare, ecc. ecc. ecc. Volevo che il loro corpo, attraverso un agire prima individuale, libero e creativo, poi deciso tra tutti, concordato, “sinfonico”, complesso, introiettasse le musiche e le traducesse in movimenti. Grande impaccio e imbarazzo all’inizio, rigidi burattini che tutt’al più tiravano fuori incongrue movenze da discoteca…. Quindi prima di tutto destrutturare, liberare, sciogliere e poi (o insieme) suggerire, stimolare; tutto attraverso l’ascolto col corpo. Una nota: una buona intuizione è stata quella, in una prima fase, di far lavorare tutti i ragazzi bendati (non mi StrumentiCres 2009 StrumentiCres●Settembre Settembre2009 StrumentiCres ● Settembre Settembre2009 2009 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ vergogno degli altri e non rido degli altri). Poi non era più un problema. Qualche consegna data alla classe: state totalmente immobili (durante l’ascolto di ritmi travolgenti o osésessivi…); fate muovere solo una parte del corpo (“la schiena è a terra, si muovono solo le gambe”, “tutto il corpo è marmo, meno le mani….meno la testa….meno il sedere…” Si scopre allora, nella classe multietnica, che alcuni muovono alcune parti del corpo molto, ma molto meglio di altri); guardatevi, scegliete il movimento migliore e fatelo tutti uguale; decidete a cosa ‘dare corpo’: al ritmo delle percussioni, alla parte cantata, al tale strumento…; adesso immaginate… ecc. ecc. ecc. Tante idee, prima tutte mie, poi di molti ragazzi, che hanno capito il senso di quello che facevamo. Difficile da raccontare, è stato bellissimo da vivere. Non un minuto inutile, non un minuto noioso. Nessuna gara, tanta scoperta su sé, sugli altri e sull’ “insieme”. Abbiamo costruito, se così si può dire, un’idea fisica di sinfonia! Perché interculturale? Certo anche per il vissuto esperienziale e relazionale dell’attività, ma soprattutto perché intanto il percorso tracciato dalla scelta delle musiche si radicava dentro di noi. Abbiamo progressivamente ed impercettibilmente introiettato sonorità, ritmi, costruzioni linguistiche musicali che, di brano in brano, ci aprivano porte, inanellando rapporti con quelli precedenti e introducendoci a quelli successivi. La nostra capacità di percezione musicale, la nostra sensibilità, prima così limitata a moduli stereotipati e banalmente uniformi della nostra (modesta) cultura di massa si è aperta, di fatto, ad una straordinaria possibilità interculturale! Non siamo diventati, ovviamente, degli esperti di musica. Ma tutto il nostro modo di ascoltare, almeno come potenzialità, è stato sicuramente cambiato Tutte le riflessioni linguistico-disciplinari e metacognitive, le informazioni, le conoscenze hanno avuto luogo in parallelo, in classe, in momenti cioè separati da quelli descritti e hanno avuto una scansione suggerita, in un rapporto flessibile, dallo svolgersi delle varie attività nelle ore di musica o italiano, ma anche di storia e geografia. Hanno riguardato il concetto di linguaggio e di codice, il confronto tra codice verbale e codice musicale, qualche informazione di storia della musica contemporanea e semplici informazioni, anche solo di collocazione geo- dossier grafica, sugli autori dei nostri brani musicali. Per una migliore possibilità di capire questa parte del lavoro pubblichiamo anche il felice ‘testo-stimolo’ di Jovanotti che ha introdotto il tutto e una delle tante schede riassuntive prodotte con la classe per fissare alcune riflessioni linguistiche oltre, natural- mente, la presentazione dei brani musicali. Credo che anche senza sentire le musiche, la loro presentazione, fatta per noi da Carlo Boccadoro (che anco1 ra ringrazio per la generosa disponibilità che sempre lo caratterizza in tutta la sua vita professionale e artistica) sia la cosa migliore per capire! Presentazione dei brani a cura del Maestro musicali Carlo Boccadoro I brani presenti sulla cassetta sono divisi in tre blocchi: RITMO E VOCI NELLA CULTURA NON CLASSICA JAZZ MUSICA CONTEMPORANEA tre aree musicali poco frequentate e, a mio parere, di fondamentale importanza. RITMO E VOCI NELLA CULTURA NON CLASSICA I primi brani sono incentrati essenzialmente su due parametri: ritmo e voce Nel primo pezzo, Yaa Yaa Kolè, eseguito dalla Pan African Orchestra della città di Accra, nello stato del Ghana, si hanno numerosissime figure musicali intarsiate tra loro in un complesso gioco poliritmico. Strumenti come la marimba, il berimbau, e un gran numero di percussioni in legno e pelle accompagnano una figura continuamente reiterata da un gruppo di flauti. L’effetto finale è molto coinvolgente e, pur nella sua complessità d’impianto, totalmente fisico e trascinante. Può essere un buon esempio di come la divisione tra “intelletto” e “istinto” non esista nella musica di molte culture diverse dalla nostra. La naturalezza con cui questi musicisti eseguono questi difficilissimi ritmi ne è la prova. Nel secondo brano, oltre alla complessità ritmica, viene aggiunto anche l’elemento melodico. Si tratta di una canzone del Madagascar, Ny Marina, eseguita da un trio locale, il Justin Vali Trio. Oltre a ritmi di tipica derivazione africana, il brano contiene una melodia molto orecchiabile che si presta anche a cori di vario carattere espressivo. Lo strumento solista, il cui suono somiglia un po’ al mandolino, si chiama Valiha, ed è un’arpa le cui cor- de sono poste intorno a un tubo di bambù. Il solista le pizzica con dei ditali di metallo. L’uso di voci sole è tipico di moltissime culture mediterranee. Ho scelto come esempio principe della purezza di questo stile i Tenores di Bitti, gruppo sardo specializzato nel cosiddetto canto a tenores. La voce solista intona la melodia principale e il testo (spesso di carattere satirico o amoroso) mentre gli altri tre cantori realizzano figure ritmiche basate su sillabe prive di senso compiuto. In Sardegna vi sono vari tipologie di canto a tenores. A Bitti è stata conservata la tradizione più antica, che viene eseguita esattamente come più di mille e cinquecento anni fa. Questa sezione termina con un brano che unisce l’elemento vocale (in questo caso un rap) con quello ritmico in una fusione unica. A realizzarla è un gruppo neozelandese; i Bad Boys Batucada,che si esibisce unicamente con cori e strumenti a percussione di ogni tipo. Ispirati sia dai ritmi del Nordest brasiliano (in cui l’influenza africana è preponderante) che dalla cultura di colore americana (da qui l’uso del rap, in cui testo viene scandito in modo ritmico sulla musica) questo gruppo restituisce a voce e ritmo il loro carattere primitivo, senza elaborazioni intellettuali, trasformando la musica in puro impatto fisico. JAZZ Nella seconda sezione ho scelto tra alcuni differenti tipi di jazz. Si incomincia con lo stile spigoloso e moderno di Theloniòus Monk, uno del padri fondatori del movimento bebop, che negli anni cinquanta rivoluzionò tutto il mondo della cultura jazz afroamericana. Questa musica si segnala per i suoi ritmi angolosi, le 19 melodie poco orecchiabili, l’estrema stringatezza negli assolo, spesso incentrati su intervalli spesso bizzarri e stridenti. Lo stile di Monk è particolarissimo e unico, e solo dopo molti anni è stato riconosciuto per il suo reale valore. Il pezzo inciso, Trinkle Tinkle, è uno dei suoi più rappresentativi. Per contrasto, il brano seguente, Christopher Columbus, eseguito dall’orchestra di Duke Ellington , rappresenta alla perfezione lo stile il jazz più classico. Il suono dell’orchestra di Ellington è stato il modello principale per tutte le big bands degli anni’ 30 e’ 40, in cui, a differenza del bebop, il compito principale del jazz era essenzialmente quello di musica da ballo e intrattenimento, che comunque il genio di Ellington riesce a sollevare ai vertici di arte assoluta. La musica vocale jazz è rappresentata da un duetto tra Louis Armstrong e Ella Fitzgerald: Let’s call the whole thing off, inciso nel 1959.. E’ una canzone tratta da un musical di Broadway, ed è il perfetto esempio di vocalità jazz tradizionale, dove i due cantanti fanno a gara in eleganza e leggerezza, e la particolarissima voce di Armstrong svetta per originalità stilistica. I due sono accompagnati dal trio di Oscar Peterson, uno dei più grandi solisti di pianoforte della storia del jazz. MUSICA CONTEMPORANEA Nell’ultima parte sono presenti alcuni brani di alcuni grandi compositori di oggi a loro volta influenzati sia dal jazz che dalle culture extraeuropee. Tra i primi a interessarsi di musica indiana e africana , John Cage ha composto nel 1942 insieme al suo amico e collega Lou Harrison il pezzo Double Music, che è qui registrato. Si tratta dell’unico pezzo della storia della musica ad essere stato composto contemporaneamente da due persone. Cage e Harrison si sono diviso i numerosi strumenti metallici a percussione di cui l’organico del pezzo è fornito. Poi ognuno ha composto la sua parte senza consultare l’altro e solo alla fine, quando hanno ascoltato il risultato d’assieme, si sono accorti che le loro parti coincidevano perfettamente come lunghezza. I riferimenti all’Africa sono molto marcati, ma allo stesso tempo i suoni metallici denunciano anche l’interesse di Cage e Harrison per la cultura del gamelan balinese. Oltre a piatti metallici, sonagli e gongs, i musicisti suonano anche dei freni da automobile mediante dei martelli. 20 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Psicoarmonia La musica, strano fenomeno, la melodia, l’armonia, il ritmo, questi avvenimenti che influiscono sulle molecole del corpo umano trasportando noi altri su altre dimensioni, cambiandoci l’umore, sottolineandoci pensieri e stati d’animo, evocando immagini, odori, nostalgie, trasformando energie, creando movimenti, la danza. Di tutte le arti la danza è la più incredibile, è l’unica della quale non resta niente, è l’unica che vive solo nel tempo in cui avviene, che non lascia suoni, non lascia colori, è la negazione della storia in quanto avviene nel momento in cui avviene e non lascia nessuna testimonianza di sé, è la gioia di un gelato, il piacere di un soffio di vento che accarezza la faccia. Per questo vorrei essere un ballerino, per non avere passato né futuro, per vivere nel movimento, per vivere la trasformazione senza sentirle il peso, per volare. Il ritmo, l’armonia e la melodia, potrebbero essere padre madre e figlia oppure padre con due figlie oppure un fratello e due sorelle o un figlio con due madri e via discorrendo, questi tre parenti strettissimi che riescono a trasformare il luogo dove si trovano, che in una mattina ti fanno esplodere il cuore e ti fanno stupire della grandezza infinita dell’esistere, sottolineano lo stupore di vivere, di essere nati, di essere forse nient’altro che un breve passo di danza, da fare in coppia o da soli, in gruppo, seguendo una disciplina o semplicemente lasciandosi andare, una tecnica o un istinto, o tutti e due. La musica, fenomeno di sedimentazione di eventi, di eruzione vulcanica, di rottura di equilibri, di ricerca di nuovi equilibri, di trasformazione di informazioni, di colori che si fondono, rosso giallo e blu che possono diventare tutti i colori del mondo. La musica come scelta, la musica come opportunità, la musica. Il suono intatto, come mattone fondamentale di ogni costruzione musicale, il suono semplice. Il suono che arriva a noi e ci colpisce e noi crediamo che sia il suo lato più appariscente a colpirci, la sua forma d’onda principale, e invece lui ci parla attraverso ciò che non si riesce a sentire, attraverso gli armonici, quelle piccole variazioni, quelle sporcature, quei colori che lo circondano come una luce, se il suono è la lampadina gli armonici sono la luce. Il suono proprio come tutte le cose dell’universo, come le persone, che non parlano attraverso il significato delle parole o la platealità delle azioni ma attraverso tutti i codici nascosti, i piccoli movimenti, i tic, la velocità dello sguardo, i gesti delle mani e quelli ancora più invisibile dei piedi o dei muscoli addominali, le pause tra le parole, il peso dato alle parole, insomma, tutti gli armonici che rendono unico un suono, che rendono unico un uomo. (da “Il grande Boh!” di Jovanotti – Feltrinelli ’98) Segue un brano di Philip Glass, probabilmente il più celebre compositore vivente. Ho scelto un frammento di cinque minuti da uno dei suoi primi lavori, Music in 12 Parts. Si tratta di una colossale composizione dalla durata finale di cinque ore e mezzo, scritta per il suo gruppo costituito da sassofoni, voci femminili, flauti e tastiere elettroniche. Il tipo di sonorità che questo organico riesce ad esprimere è stato dl fondamentale importanza per musicisti rock come David Bowie e Brian Eno, e ha inoltre influenzato in modo indelebile tutta la cultura pop. Questo periodo stilistico di Glass è stato giustamente definito come minimalista, con un termine preso a, prestito dal mondo della pittura e architettura americane dello stesso periodo, dal 1970 al 1976 circa. Esattamente come nelle opere di artisti affini a Glass (le grandi tele monocromatiche di Sol LeWltt, le sculture di Bruce Neumann e Frank Stella) assistiamo alla crea- zione di una grande architettura che parte da elementi minimi continuamente ripetuti fino all’ossessione, in cui i cambiamenti espressivi avvengono con lentissima gradualità. Le figure di Glass si reiterano con grande potenza sonora, spesso sovrapponendo due tempi diversi (le voci che cantano lentamente e gli strumenti che si muovono a velocità frenetica). Naturalmente se si ascolta questa musica secondo un criterio “occidentale”, ovvero aspettandosi una dialettica tra situazioni musicali contrastanti, si può giungere alla follia; bisogna invece porsi di fronte a questa musica come di fronte alla musica indiana, da cui Glass è profondamente influenzato, avendo studiato anche musica con il grande solista di sitar Ravi Shankar. Bisogna seguire le microcellule musicali che si dipanano a poco a poco, come in un caleidoscopio, esercitando la massima concentrazione sulle piccole variazioni che portano l’ascoltatore, senza che questi quasi se ne acStrumentiCres 2009 StrumentiCres●Settembre Settembre2009 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ corga, in un’altra dimensione d’ascolto. Un altro grande protagonista del minimalismo è Steve_Reich, l’autore del brano successivo, Sextet (da cui ho estratto l’ultimo movimento). A differenza di Glass, Reich non si è mai interessato all’India, ma ha studiato a fondo le poliritmie africane e si è anche recato nel Ghana per esercitarsi con un maestro percussionista. Il secondo grande amore di Reich è il jazz e nella sua musica queste due influenze si fondono in un assieme trascinante e comunicativo. Pur facendo anch’essa uso di un gran numero di ripetizioni, questa musica è molto meno ossessiva di quella di Glass e di maggior fruibilità e orecchiabilità. In questo brano si fanno uso di due marimbe, un vibrafono, diversi strumenti a percussione e due pianoforti. L’erede spirituale dei due compositori che abbiamo ascoltato prima è John Adams, che ha spinto i limiti del minimalismo fino a raggiungere una dimensione molto più espressiva, che può comprendere elementi che erano sconosciuti alla severità compositiva della prima generazione minimalista. Ne è un perfetto esempio il brano che ho scelto, Short Ride In a Fast Machine. E’ una composizione per grande orchestra basata su un frenetico movimento di figure che accelerano progressivamente; si comincia con una fanfara per ottoni a cui man mano si aggiungono sassofoni, sintetizzatori e una nutrita schiera di percussioni. L’atmosfera della musica è elettrica, estroversa, e l’ascoltatore viene davvero proiettato ad alta velocità nello dossier CARLO BOCCADORO “Un musicista a 360° . Almeno vorrei esserlo. Ho scritto pezzi prossimi alla musica classica, ma ho usato anche strumenti jazz, sonorità funky. Nel mio pezzo d’esordio, 1990, ho mischiato Schubert e Cole Porter. Mi interessa ogni linguaggio. Amo rubare idee e trasformarle in mie” - così definiva se stesso Carlo Boccadoro in un’intervista a “Sette” del Corriere della Sera del 23 settembre 1999, anno in cui pubblica da Einaudi Musica coelestis. Conversazioni con undici grandi della musica d’oggi in cui dialoga con dodici tra i più interessanti compositori del nostro tempo, fra i quali Laurie Anderson, Philip Glass, Michael Nyman, Steve Reich e David Lang. Nel 2005 sempre con Einaudi pubblica Jazz! Come comporre una discoteca di base, in cui offre una serie di consigli per orientarsi nel variegato universo del jazz, seguito nel 2007 da Lunario della musica che consiglia al lettore un disco per ogni giorno dell’anno, spaziando tra musica classica, jazz, blues, rock, pop, dance, punk, new wave, soul, folk, hip-hop, world music, musica italiana, elettronica, rap... A seconda del clima, delle ricorrenze, dello stato d’animo, Boccadoro guida il lettore ad orientarsi nel vasto oceano dei suoni. Nato a Macerata nel 1963, vive a Milano, dove si è diplomato in Pianoforte e Strumenti a Percussione presso il Conservatorio “G.Verdi”, dove ha inoltre studiato Composizione e frequentato il corso di Tecnica dell’improvvisazione jazzistica tenuto da Giorgio Gaslini. È uno dei compositori di punta della nuova generazione, autore di musica sinfonica e cameristica. Scrive per il teatro e per la danza, collabora regolarmente con Moni Ovadia con il quale ha inciso un compact disc di musiche yiddish. La sua musica è presente in tutte le più importanti stagioni musicali italiane. spazio acustico. Nel giro di poco più di quattro minuti un gran numero di figure musicali si accavallano in una girandola di grande virtuosismo orchestrale, un vero e proprio fuoco d’artificio. Si ritorna all’Africa, dove è cominciato il nostro percorso d’ascolto, con il compositore sudafricano Kevin Volans che per i musicisti del Kronos Quartet ha scritto una serie di danze intitolate White Man Sleeps, ispirate a ritmi e melodie del centro Africa; ho scelto la seconda, una danza basaci. ta su improvvisi scatti e arresti ritmi- Il quartetto suona un ritmo molto spigliato e basato su diverse figurazioni sovrapposte. Improvvisamente la musica si “congela”, per così dire, in lunghe fasce di accordi suonati senza vibrato che creano una sospensione del tempo quasi irreale; alla fine tutti i ritmi ascoltati precedentemente vengono suonati a velocità raddoppiata, in un crescendo frenetico che conclude il pezzo. Questa musica era la preferita dallo scrittore/esploratore Bruce Chatwin, che la ascoltava costantemente durante tutti i suoi viaggi intorno al mondo.” Musica e Linguaggi. Riflessioni degli studenti Abbiamo capito che: - I linguaggi umani servono a comunicare e ad esprimere e offrono possibilità simili ma non uguali. Ogni linguaggio ha sue particolari e specifiche possibilità comunicative ed espressive. - I diversi linguaggi possono essere stati più o meno coltivati da un popolo o da una cultura e aver raggiunto livelli di complessità diversi. A livello individuale si può avere propensione maggiore o minore per uno o per un altro linguaggio, ma ogni linguaggio, anche il più semplice, è un codice e in quanto tale, va appreso. - Nessun linguaggio è universale - Ogni linguaggio è culturale - Ogni linguaggio per essere posseduto richiede apprendimento. - Tutte le lingue e tutti i linguaggi sono meticci Settembre 2009 StrumentiCres ● Settembre2009 L’apprendimento di un linguaggio avviene attraverso uno specifico percorso ‘linguistico ‘ (lessico, grammatica, sintassi per la lingua) e un percorso culturale (storia, arte, cultura in genere) La lingua e la musica sono relative alle diverse culture. Non può esistere un giudizio di valore assoluto né per l’una né per l’altra, ma solo un giudizio di valore relativo alla cultura di appartenenza, oppure una preferenza personale e che, in quanto tale, è possibile ed è bello confrontare e discutere. Infatti tutte le lingue e tutte le espressioni musicali sono “traducibili” tra loro nel senso che ciò che esprimono e comunicano è sempre l’ umanità che è il sottofondo comune che rende possibile reciprocamente la comprensione, passando attraverso la conoscenza dei codici. 21 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Portare le canzoni di Fabrizio De André in classe Massimiliano Lepratti autore capace Un di parlare a più generazioni A 10 anni dalla scomparsa Fabrizio De André conosce una popolarità crescente, per alcuni versi inaspettata. Uno degli indici di questo fenomeno è l’interesse che la sua vita e la sua opera suscitano nelle case editrici: se fino al 1989 un solo testo, e per di più di dimensioni molto limitate, si era occupato di lui, l’ultimo decennio ha visto una quantità di studi vastissima. Un altro indice significativo dell’interesse per De André è la grande risposta di pubblico che si registra presso quasi tutti gli appuntamenti musicali in cui ne vengono riproposte le canzoni, e l’aspetto forse più interessante di questo successo è la sua intergenerazionalità: ai concerti dedicati al cantautore si vedono ragazzi e ragazze di 16 – 17 anni accanto a ultrasessantenni e in compagnia di tutte le fasce d’età intermedie. L’utilizzo di un linguaggio capace di emozionare più generazioni, e la ricchezza e profondità dei temi testuali e musicali trattati, fanno di De André una fonte preziosa per lo sviluppo di tracce di lavoro scolastiche che sfruttino la grande capacità comunicativa del canto per arrivare a percorsi didattici disciplinari. Scopo di questo articolo è proporre una riflessione sull’utilizzo didattico delle canzoni dell’artista genovese, per la quale ci sembra utile partire dalle ragioni della capacità che De André dimostra nel parlare sia alle generazioni degli studenti, sia alla generazione degli insegnanti, proseguire proponendo una sua collocazione nella didattica e concludere offrendo agli insegnanti alcune possibili tracce di lavoro da svolgere nelle classi. Le principali caratteristiche che De André ha mostrato nel corso dei suoi 40 anni di carriera si possono dividere da un lato nelle sue scelte di fondo e 22 dall’altro nelle sue doti specifiche di autore di canzone. Le scelte di fondo che il giovane genovese, timido, scontroso, amante dei carruggi e dei bassifondi della sua città porta con sé per tutta la carriera sono principalmente due: • la capacità unica di servirsi di una forma popolare come la canzone per esprimere temi “alti” e letterari (arrivando ad affrontare i Vangeli non canonici), mantenendo al tempo stesso una chiarezza di immagini e un’immediatezza di linguaggio che ne fanno uno dei ponti più preziosi fra la cultura accademica e la cultura popolare, come ha sottolineato Dario Fo1 . La coerenza che ha sostenuto l’intero suo percorso musicale. Fabrizio De André ha sempre mantenuto intatti i suoi capisaldi (la scelta per gli ultimi, il desiderio di non seguire mai le tendenze del mercato, la ritrosia nel proporsi come personaggio del mondo dello spettacolo) pur all’interno di una capacità di rinnovamento stilistico che lo ha condotto dalle ballate francesi dell’inizio alle complessità etniche dell’ultimo periodo. Le doti specifiche del De Andrè autore emergono già da una breve analisi dei tre elementi principali che costituiscono la canzone: i testi, le musiche, le capacità espressive. Nei testi De André segue le orme del grande chansonniers francese Georges Brassens (suo unico, riconosciuto maestro) e le orme più antiche di Charles Baudelaire, dando voce agli ultimi e ai reietti della società all’interno di una cura letteraria formale che non ha eguali nel panorama musicale (italiano e non solo). A tutto ciò De André aggiunge una capacità rara di creare storie ricche di immagini tanto “alte”, quanto immediate ed emozionanti: “Per me sei figlio, vita morente/ ti portò cieco questo mio ventre/ come nel grembo, e adesso in croce/ ti chiama amore questa mia voce”2 , oppure ancora “Lungo le sponde del mio torrente/ voglio che scendano i lucci argentati/ non più i cadaveri dei soldati/ portati in braccio dalla corrente”3 . Le musiche di De André alternano il fascino delle antiche ballate (Il Blasfemo4 , Geordie5 , Fila la lana6 , S’i fosse foco7 …), a versioni più o meno dolenti della tarantella (La guerra di Piero, Bocca di Rosa8 , Don Raffaé9 ), a reinterpretazioni del patrimonio tradizionale italiano e mediterraneo (l’intero album Creuza de mä10 , brani dagli album Le nuvole11 e Anime salve12 ). Il percorso che ne esce vede musiche sì popolari e immediate, ma proposte in ambiti (la canzone d’autore) e in momenti storici in cui emergevano 1 Dopo la fine dell’esperienza felice del Neorealismo in Italia si è presentato il grave problema di un distanziamento progressivo tra l’élite intellettuale e le forme artistiche popolari. De Andrè, insieme a Fo e Pasolini, tra gli artisti e Umberto Eco tra i saggisti sono tra le pochissime figure che hanno tentato di recuperare la lacerazione. 2 Da Tre madri contenuta all’interno dell’album La buona novella, ispirato ai vangeli apocrifi e uscito nel 1970 3 Da La guerra di Piero, uscita per la prima volta in 45 giri nel 1964 e inserita, tra gli altri, nell’album Volume 3° 1968. L’accompagnamento chitarristico è di Vittorio Centanaro, un musicista che ebbe un grande influsso sul giovane De André 4 Uscito nell’album Non al denaro non all’amore, né al cielo, tratto dall’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. 1971 5 Uscita per la prima volta in 45 giri nel 1966. In quell’occasione la voce femminile era di Maureen Rix, insegnante di inglese di De Andrè. Negli ultimi concerti del cantautore la canzone viene invece ripresa con la figlia Luvi 6 Uscita per la prima volta in 45 giri nel 1965 e inserita successivamente nell’album Canzoni del 1974. La musica popolare francese alla base della canzone fu suggerita a De André da Vittorio Centanaro. 7 Musicata da De André su testo di Cecco Angiolieri e inserita nell’album Volume 3° , 1968 8 Celebre ballata scritta da De André a partire da avvenimenti di cui era stato partecipe. Uscita per la prima volta nell’album Volume 1° , 1967 9 Ispirata alla figura di Raffaele Cutolo e inserita nell’album Le nuvole, 1990 10 Uscito nel 1984, la critica alcuni anni dopo lo insignì del premio come miglior album italiano degli anni ‘80 11 Uscito nel 1990. 12 Uscito nel 1996 StrumentiCres 2009 StrumentiCres●Settembre Settembre2009 LadinellaDecollocazione André didattica Il primo dubbio che attraversa l’opera di un cantautore quando è esaminata da un punto di vista didattico riguarda solitamente la questione delle discipline: De André (o Bob Dylan, o altri) è un vero poeta si o no? E ancora: siamo in presenza di un vero musicista sì o no? Alla prima domanda proviamo a rispondere suggerendo una tesi personale: la differenza principale tra poesia e canzone d’autore non riguarda a priori la qualità letteraria e neppure il genere di appartenenza (la canzone può essere considerata un sottoinsieme della poesia), la differenza reale sta nella modalità di fruizione e nel modo conseguente con cui si scrive. La poesia è fatta principalmente per essere letta, il suo luogo privilegiato è la carta e concetti complessi, immagini tortuose o ardite non sono un problema particolare, il fruitore può sempre tornare indietro a rileggere le righe più ostiche. La canzone invece è fatta principalmente per essere ascoltata, le immagini si devono immediatamente concretizzare agli occhi, non si può tornare indietro; quando De André canta “Via del campo c’è una graziosa/ gli occhi grandi color di foglia/ tutta notte sta sulla soglia/ vende a tutti la stessa rosa”13 riesce a proporre un’immagine chiara in ciascuno dei quattro versi, toccando continuamente le orecchie e gli occhi dell’ascoltatore; anche il celebre concetto finale della canzone (“…dai diamanti non nasce niente/ dal letame nascono Settembre 2009 StrumentiCres ● Settembre2009 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ sempre come scelte inconsuete. L’interpretazione di De André rafforza la bellezza dei testi e delle musiche con uno splendido timbro di voce baritonale e con l’effetto fortemente teatrale dato dalla narrazione di storie intense attraverso un canto pacato (“sentiva come un francese, si esprimeva come un inglese” ha detto di lui Mauro Pagani). Il fascino di un alto borghese che si schiera sempre dalla parte degli ultimi, la coerenza con cui impone le sue scelte al mercato rifiutandone il condizionamento e l’insieme delle sue doti artistiche, spiegano probabilmente il successo di un artista che ha tentato di creare una corrispondenza fra la sua opera e la sua esistenza, offrendo una testimonianza a cui è difficile restare indifferenti, qualunque sia la propria generazione di appartenenza. dossier i fior”) è tutto affidato alla forza dell’evocazione visiva. Se non abbiamo dubbi nell’inserire De André all’interno del genere letterario, non ne abbiamo neppure nell’inserirlo all’interno del genere musicale (popolare). Le sue composizioni sono semplici, ma rappresentano la sintesi di una complessità che il cantautore ben conosceva (De André era un appassionato jazzista e amava molto Wagner) e soprattutto sono sempre frutto di un percorso di ricerca originale rispetto alle tendenze della musica italiana sua contemporanea. Generi, ritmi, arrangiamenti pescano in una ricchezza di fonti tale che solo uno sguardo superficiale può ridurre il cantautore genovese allo schema: “melodia ovvia con pochi accordi intorno”. Dopo aver toccato il problema delle discipline a cui ricondurre l’opera di De André ci sembra opportuno accennare ad almeno due grandi temi che attraversano trasversalmente la sua produzione per scendere successivamente alle tracce didattiche specifiche. Il primo tema è quello della storia: nessuno tra i grandi cantautori europei e americani ha avuto una frequentazione così ricca di temi storici. In gran parte per passione personale, in parte su stimolo dell’amico Paolo Villaggio, De André si cimenta spesso con il passato lontano (Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers14 , Fila la lana, Il re fa rullare i tamburi15 …) oppure più recente (Ottocento 16 , Sidun17 …), senza contare il fatto che molte sue canzoni sono microstorie, in cui un singolo protagonista viene seguito dall’inizio alla fine del canto (La guerra di Piero, Marinella, Geordie, Bocca di rosa, Prinçesa18 …). Il secondo tema trasversale è quello dell’intercultura nella sua accezione ampia (ossia come tentativo di dialogo fra esponenti di culture etniche e sociali diverse). Il tentativo di De André in questo campo è soprattutto quello di offrire all’ascoltatore la voce e il punto di vista del diverso, del rimosso: dagli zingari di Khorakhanè, ai palestinesi di Sidun, dall’intensa storia di Prinçesa, alle prostitute di A dumenega19 , dagli impiccati dell’omonima ballata, ai fannulloni, al Cantico dei drogati con cui si apre il primo album a tema della musica italiana: Tutti morimmo a stento20 . Ma il momento di incontro tra diversi forse più emozionante nell’intera produzione deandreiana è quello tra l’assassino e il pescatore in cui la filosofia anarchica dell’autore, aperta all’incontro e priva di pregiudizi morali si esplica in pochissimi versi: (“E chiese al vecchio dammi il pane/ ho poco tempo e troppa fame /e chiese al vecchio dammi il vino/ ho sete e sono un assassino./ Gli occhi dischiuse il vecchio al gior- 13 Da Via del campo, scritta su una melodia di Enzo Jannacci e contenuta all’interno dell’album Volume 1° , 1967. 14 Scritta insieme a Paolo Villaggio è uscita per la prima volta in 45 giri nel 1963, ed è stata inserita nel 1967 all’interno dell’album Volume 1° . Per questa canzone De André fu chiamato a processo (e assolto) a causa della presunta oscenità del testo. 15 Uscita all’interno dell’album Volume 3° nel 1968 16 Uscita all’interno dell’album Le nuvole nel 1990 17 Di questa e di altre canzoni si parlerà più diffusamente in seguito. In questi casi non è stato ritenuto opportuno inserire una nota a pié di pagina. 18 Uscita nell’album Anime salve del 1996 racconta la vera storia della transessuale brasiliana Fernanda Farias 19 Uscita nell’album Creuza de mä, del 1984, racconta le ipocrisie che circondavano la passeggiata domenicale anticamente concessa alle prostitute genovesi. 20 L’album uscì alla fine del 1968. Nonostante fosse focalizzato su un tema ostico come quello della morte arrivò ai primissimi posti nella classifica delle vendite; un fenomeno molto comune per i 33 giri di Fabrizio De André che, pur non godendo di operazioni promozionali, riscuotevano egualmente grandi successi di mercato. 23 no/ non si guardò neppure intorno/ ma versò il vino e spezzò il pane/ per chi diceva ho sete, ho fame”21 ) tracce Possibili di lavoro nelle classi La vastità e la profondità dei temi di De André rende ardua la selezione di esempi utili per la progettazione didattica. La scelta che abbiamo operato è ampiamente soggettiva e tenta di rivolgersi ad almeno tre aree di insegnamento. La prima traccia di lavoro riguarda il curricolo di storia. Nella produzione del cantautore abbiamo già provato a segnalare la forte presenza di temi storici e di una continua attenzione al rapporto tra i diversi. Una possibile traduzione che incroci questi due filoni potrebbe concretizzarsi in un’unità didattica per la scuola superiore che affronti i rapporti tra Occidente (giudeo e cristiano) e mondo islamico con una suddivisione in tre nuclei problematici: i) l’espansione araba in Europa, raccontata a partire dall’ascolto di Carlo Martello; ii) il periodo delle guerre tra cristianità e Islam (Crociate e guerre di espansione turca) affrontata traendo spunto da Sinan Capudàn Pascià22 ; iii) i conflitti attuali a partire dagli scontri tra israeliani e palestinesi sullo sfondo dell’intensa Sidun23 . L’insegnante di letteratura che abbia voglia di spingersi fino al secondo ‘900 potrebbe inserire l’opera di De André all’interno di un’unità didattica sugli autori che hanno provato a collegare le forme classiche della letteratura “alta” con temi e linguaggi provenienti dal mondo popolare (oltre al cantautore genovese e ai già citati Pasolini e Dario Fo, l’unità didattica potrebbe comprendere anche Giovanni Testori). Una seconda ipotesi potrebbe invece prevedere un percorso che attraversi il filone dei cosiddetti “poeti maledetti”, partendo dalla Francia di Baudelaire, Rimbaud e Mallarmé passando da Dino Campana, ed arrivando a De Andrè. Anche in questo caso la continuità fra la ricerca della cura formale da un lato (tutti gli autori citati scrivono in versi ritmici, a parte l’ultimo Rimbaud) e l’interesse per ambienti e soggetti marginali dall’altro sono le tracce comuni su cui si può appoggiare la progettazione didattica. Particolarmente indicate nella produzione deandreaiana potrebbero risultare La città vecchia24 , La ballata dell’amore cieco25 , La cattiva strada26 e le traduzioni da Brassens (Delitto di 24 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier paese)27 e da Cohen (Suzanne)28 . Tra queste è La città vecchia quella più esplicitamente debitrice di Baudelaire (che De André amava moltissimo, al pari di François Villon), i “pensionati mezzo avvelenati gonfi di vino” della seconda strofa sono una filiazione diretta della poesia Il vino dei cenciaioli contenuto nella celeberrima raccolta I fiori del male, così come il verso finale dedicato alla “canaglia” del centro di Genova “se non sono gigli son pur sempre figli/ vittime di questo mondo” pare uscita dalla penna del poeta parigino (a cui De Andrè fa un omaggio esplicito altrove, traducendo l’inizio di Delitto di paese con: “Non tutti nella capitale/sbocciano i fiori del male”, riferimento assente nella canzone originale di Brassens) Un altro filone deandreiano ineludibile per chi si occupa di Educazioni trasversali (allo sviluppo, all’intercultura, alla pace…) e che si colloca tra storia e letteratura è il tema della guerra. Il cantautore genovese ha raccontato situazioni belliche ambientate sia in tempi lontanissimi (la già citata Carlo Martello), sia in periodi tardo medioevali: La morte29 (“Guerriero che in punta di lancia/ dal suolo di Oriente alla Francia/ di stragi menasti gran vanto/ e tra i nemici il lutto e il pianto”); Fila la lana (“Nella guerra di Valois/ il signor di Blie è morto/ se sia stato un prode eroe/ non si sa, non è ancor certo”). Avvicinandosi ai tempi nostri De André parla ancora di guerra in un bellissimo adattamento de La collina30 di Edgar Lee Masters: “Dove sono i generali/ che si fregiarono nelle battaglie/ con cimiteri di croci sul petto?/ Dove i figli della guerra/ partiti per un ideale, per una truffa/ per un amore finito male?/ Hanno rimandato a casa/ le loro spoglie nelle bandiere/ legate strette perché sembrassero intere…”, e ne parla ne La ballata dell’eroe31 , ne le già citate Sidun e La guerra di Piero (quest’ultima ispirata alle vicende di uno zio di De André, tornato dalla guerra d’Albania, senza riacquistare mai più la capacità di sorridere) oltre che in Girotondo32 , tragica ballata degli anni ’60 dedicata ai bambini sopravvissuti all’olocausto nucleare. Da ultimo ci sembra giusto citare alcuni fra i moltissimi spunti che De Andrè offre agli insegnanti di musica. Come già si diceva nei paragrafi precedenti, la produzione musicale dell’autore genovese è molto più ricca e varia di quanto non possa apparire ad un ascolto superficiale. Un primo filone tematico è quello (ricorrente) del rapporto di De André con i lin- guaggi colti: La canzone dell’amore perduto33 cita letteralmente l’Adagio dal concerto in re maggiore per tromba di George Philipp Telemann, Caro amore34 si appoggia sul secondo movimento del Concerto di Aranjuez di Joaquin Rodrigo, ad un ascolto attento ne Il fannullone35 si può trovare lo schema del Canone di Pachelbel. Un secondo filone attinge invece al va- 21 Da Il pescatore. Uscito in 45 giri nel 1970 in una veste molto più essenziale rispetto alla più nota versione in concerto con la Premiata Forneria Marconi. 22 Uscita in lingua genovese nel 1984 all’interno dell’album Creuza de mä, racconta la vicenda del marinaio ligure Cicala, sfuggito alla morte in guerra grazie alla conversione all’islam con la quale si assicurò una notevole carriera politico-militare presso i Turchi. 23 Anch’essa uscita in lingua genovese all’interno dell’album Creuza de mä, racconta la morte di un bambino durante i massacri condotti dai libanesi, con complicità israeliana, nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila nel 1982. Non è certo un caso che De André racconti spesso scontri e incontri fra culture diverse attraverso una lingua franca e intrisa di oltre mille fonemi mediterranei, come il genovese antico. 24 Uscita per la prima volta in 45 giri nel 1965, in una prima versione immediatamente censurata e di difficilissimo reperimento. 25 Uscita per la prima volta in 45 giri nel 1966 e ispirata a una poesia di Richepin 26 Uscita all’interno dell’album Volume 8° nel 1975 27 Uscita per la prima volta in 45 giri nel 1965, come lato B de La città vecchia, è la prima traduzione eseguita da De André. 28 Uscita in 45 giri nel 1972 insieme a Giovanna D’Arco , altra traduzione da Leonard Cohen. Entrambe sono state riprese nell’album Canzoni del 1974 29 Uscita all’interno dell’album Volume 1° nel 1967, è una traduzione da Georges Brassens 30 Uscita all’interno dell’album Non al denaro, non all’amore, né al cielo nel 1971 31 Uscita per la prima volta in 45 giri nel 1961, venne prontamente ripresa da Luigi Tenco nel film La cuccagna di Luciano Salce. 32 Uscita all’interno dell’album Tutti morimmo a stento nel 1968 33 Uscita per la prima volta in 45 giri nel 1966 34 Uscita nella sola prima edizione dell’album Volume 1° nel 1967 e mai più ripresa 35 Uscita per la prima volta in 45 giri nel 1963, ne è coautore Paolo Villaggio StrumentiCres StrumentiCres●Settembre Settembre2009 2009 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ stissimo mondo della musica popolare italiana, mediterranea e latinoamericana (gli album Creuza de mä, le Nuvole e, in parte, Anime Salve offrono moltissimi esempi italiani e mediterranei; in Anime salve sono presenti anche melodie brasiliane e paraguaiane, nell’album Rimini36 è presente la messicaneggiante Avventura a Durango, tradotta da Bob Dylan, e sempre ai ritmi messicani guarda l’arrangiamento originale de La canzone di Marinella37 . D’altronde De André era stato introdotto alla chitarra da un maestro colombiano che ne ha indubbiamente condizionato i gusti). Il terzo filone dossier è residuale, nel senso che diventa difficile contenere sotto un unico cappello la varietà musicale del cantautore genovese, capace di passare dal dixieland de la già citata Ballata dell’amore cieco, al valzer di Valzer per un amore 38 , al rythm and blues di Quello che non ho39 , alle melodie popolari inglesi di Geordie, Sally e Un blasfemo, alle già citate tarantelle più o meno dolenti di La guerra di Piero, Bocca di Rosa, Don Raffaé, alle antiche melodie francesi di Fila la lana e Il re fa rullare i tamburi… a tutto quel mondo che non certo la mancanza di passione per Fabrizio De André, ma solo gli inevitabili limiti di spazio ci impediscono di continuare a citare. 36 Uscito nel 1978 Uscita per la prima volta come lato B del 45 giri contenente Valzer per un amore. La ripresa fattane da Mina nel 1967 convinse De André a dedicarsi professionalmente alla canzone (fino alla scelta fatta nel 1975 di trasferirsi in Sardegna e aprire un’azienda agricola). 38 Uscita per la prima volta in 45 giri nel 1964, riprende il Valzer campestre di Gino Marinuzzi, ossia la canzone che girava sul giradischi di casa De André nel 1940, mentre nasceva Fabrizio. 39 Uscita nell’album Fabrizio De André (noto anche come L’indiano) nel 1981 37 Fare musica tra Italia e Venezuela Manuela Caltavuturo* Pisa, Scuola Media, Anna allieva del Progetto “Far Musica Insieme” organizzato dalla sottoscritta : “Prof c’è un problema, forse non ci sarò al saggio finale”, “Come? Dopo un anno di lavoro?”, “Mia madre forse ha preso un impegno, non so”, “Credevo ci tenessi molto al pianoforte” , “Si, ma non esageriamo, nella vita ci sono tante altre cose…” Caracas, barrios (ammasso di baracche alla periferia della città), Joyce allieva del Progetto Musicale di Antonio Abreu: “Sento di aver scoperto un nuovo mondo, un mondo in cui mi diverto, rido, piango, imparo dai miei insegnanti e persino rubo loro le idee e le tecniche. La vita trascorre tra gli strumenti e l’unica cosa che ti interessa è il tuo strumento, solamente il tuo strumento e la scuola, e così ti dimentichi dei vizi.” Pisa, saggio di fine anno del Progetto, un genitore alla sottoscritta: “È una vera vergogna mio figlio ha suonato solo un brano di musica insieme agli altri, così nessuno se n’è accorto!”, “ Il primo anno è prematuro per gli assoli, d’altra parte suo figlio ha frequentato e studiato molto poco, ma le assicuro che fare musica d’insieme è comunque molto gratificante e formativo”, ”Basta! non lo iscrivo più.” * Docente di Educazione Musicale presso la Scuola Media, Pisa StrumentiCres ● Settembre Settembre2009 2009 Caracas, Abreu: “ Ma soprattutto la musica deve essere riconosciuta come elemento di socializzazione nel senso più alto della parola, perché esalta i valori di solidarietà e reciproca comprensione. Ha la capacità di unire intere comunità, e in questo senso le orchestre giovanili acquistano il potere di cambiare il profilo sociologico di un paese. L’orchestra è una comunità che ha come caratteristica essenziale ed esclusiva l’aggregazione, la filosofia del gruppo che si riconosce come interdipendente, dove ognuno è responsabile di tutti e tutti di ciascuno con il solo fine di generare bellezza” Pisa, Carlo, docente di clarinetto del Progetto, e-mail dopo aver visto “Tocar y Luchar” di A. Arvelo film sull’esperienza di Abreu: ”Carissima, ho appena finito di vedere il film, non sai quante volte mi è venuto il nodo alla gola! E’ meraviglioso vedere quanto bambini a cui manca il necessario per vivere, riescano a godere dell’esperienza musicale, e che qualità di suono! Solo un problema: come faccio domani a venire a scuola a far lezione ad alunni che incastrano la lezione di musica tra un impegno e l’altro e il cui unico scopo è studiare il meno possibile? In questi aneddoti sono contenute molte contraddizioni della nostra cultura occidentale con le quali noi educatori dobbiamo combattere ogni giorno: l’individualismo, la superficialità, la frenesia degli impegni, il rifiuto della fatica, della costanza, del sacrificio anche se in vista di una gratificazione. Ed è contenuta anche l’ammirazione con cui musicisti ed educatori di tutto il mondo da trent’anni guardano all’esperienza venezuelana. Volendo fare qualcosa per i bambini dei barrios che vivono alle soglie della po- vertà, dietro inferriate e filo spinato, in un clima di violenza irrespirabile, Abreu non si è occupato né di cibo, né di vestiti, né di medicine, ma ha insegnato loro a fare musica insieme. Dice lui stesso: “I programmi sociali forniscono cibo, riparo, assistenza sanitaria, ma io credo fermamente che solo nutrendo l’anima, questi giovani musicisti troveranno anche le risorse per emanciparsi e migliorare la qualità della propria vita diventando persone di grande valore, una vera risorsa per la propria comunità. Quando costruisci la vita interiore di qualcuno le possibilità che quelle vite hanno di migliorare e elevare tutta la società sono infinite”. Così mutuando l’esperienza di direttore d’orchestra, economista e ministro della cultura è riuscito a coinvolgere governi sia di destra che di sinistra dando vita ad un Progetto che attualmente coinvolge 240.000 orchestrali, 300.000 coristi venezuelani e un milione in tutta l’America Latina. Si parte da piccolissimi in un sistema piramidale: orchestre preinfantili, infantili, giovanili e in alto l’Orchestra Simon Bolivar. Alla base ci sono i nuclei, circa 90 distribuiti in tutti gli stati del paese, e in ognuno hanno sede 2 o 3 orchestre. Non mancano corsi per portatori di handicap (deficit della vista, udito, motori, di apprendimento e autismo) e scuole di liuteria che insegnano un lavoro a questi ragazzi. Abreu, in un paese come Venezuela fra i più violenti del Sudamerica, ha dato a ogni bambino uno strumento musicale e ha puntato sulla spiritualità, sul valore della cultura, ha stimolato il desiderio di riscatto sociale e tutto ciò attraverso la musica che salva ogni giorno ragazzi dalla strada, dalla droga, dalla violenza, offrendo loro un’alternativa, una possibilità di 25 vita diversa che per qualcuno si è già tradotta nell’inserimento in orchestre europee grazie anche al coinvolgimento di direttori d’orchestra come Claudio Abbado. E in Italia? Da una parte dobbiamo ancora convincere i nostri governanti e le Istituzioni sull’importanza formativa della musica che, come dice Abbado, “non è riconosciuta come uno dei fondamenti della vita culturale del nostro paese”; dall’altro, pur non vivendo situazioni di emergenza come quella dei barrios, cominciano ad emergere anche in centri apparentemente tranquilli come quello dove insegno, fenomeni di bullismo, di intolleranza verso i diversi (portatori di handicap o extra-comunitari), un disagio e un senso di insoddisfazione profondo e diffuso. Per questo la musica può anche per noi essere una grande risorsa. Così nel 2000 dopo avere più volte chiesto l’istituzione di una classe a indirizzo musicale (sempre negata senza reali motivazioni), ho deciso di organizzare un Progetto extracurricolare con il contributo dei genitori: due ore settimanali comprendenti Teoria Musicale, Musica d’Insieme e strumento (chitarra o pianoforte o violino o clarinetto/sassofono). Le scelte di ognuno vengono rispettate: dal fare musica per piacere personale al continuare con studi musicali. Nelle lezioni a piccoli gruppi i ragazzi scoprono il piacere della condivisione, e alla mia domanda su come ci si sente a fare musica insieme, Luca risponde: “È bello perché bisogna ascoltare tutti”, dunque la presenza dell’altro può essere un piacere e sentirsi parte di un tutto può essere molto gratificante. Certo non è semplice, i ragazzi vivono in un mondo che li spinge all’individualismo più sfrenato, al culto della competizione e del successo personale, così l’esperienza della musica deve conquistare a fatica ogni giorno i suoi piccoli spazi, mentre all’allenatore della squadra di calcio locale basta schioccare le dita! Ma noi insistiamo e, per chi lo desidera, diamo la possibilità di continuare il Progetto anche dopo la 3° media, così possiamo vantare una orchestra che va dalla 1° media alla 4° superiore dove trovano grandi benefici anche ragazzi portatori di handicap o con disturbi caratteriali. Oltre ai saggi tradizionali abbiamo prodotto due spettacoli multimediali (letture e proiezioni di video accompagnate dall’orchestra dei ragazzi) dove si descrivono situazioni fortemente problematiche affrontate con l’aiuto della musica. Il primo ha per titolo “Musica per ricordare” sui temi dell’Olocausto: alla Musica proibita dalle leggi Naziste che imposero modi esecutivi e strumenti tesi 26 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier ad esaltare la cultura ariana e condannare quella giudaica e nera, a quella usata dai nazisti durante gli appelli e le torture, si contrappone quella cantata e suonata di nascosto dagli ebrei nei campi che ha permesso a migliaia di loro di esprimersi, sfogarsi, sentirsi uniti e provare ad avere, malgrado tutto, una dimensione umana o addirittura una speranza. Il secondo si intitola “Adolescenza tra Oriente ed Occidente”. Le produzioni scritte dei ragazzi che raccontano la loro adolescenza sono messe a confronto con quelle ben più drammatiche del “lavoro minorile” e dei “ragazzi soldato” grazie ad un percorso con il Progetto ONU/ILO ”SCREAM” (Supporting Children’s Rights through Education, the Arts and the Media) cui la mia scuola partecipa. Anche qui protagonista è la musica: quella descritta dai nostri ragazzi che, come dicono i sociologi, occupa un posto importantissimo nella loro vita, e quella “salva-vita”. Appunto il progetto musicale di Abreu, ma anche i laboratori musicali per bambini nei campi profughi palestinesi del Progetto “Note di Pace” che fa capo alla Scuola Popolare di Musica Donna Olimpia di Roma e l’orchestra arabo-israeliana di D. Barenboim. Di quest’ultima iniziativa Barenboim dice: “Nel 1999 ho fondato la West-Eastern Divan Orchestra in cui giovani musicisti ebrei, palestinesi, siriani, libanesi, giordani e egiziani suonano insieme come se lo avessero sempre fatto. Quando per la prima volta un musicista arabo si trovò a dividere il leggio con un musicista israeliano suonando entrambi la stessa nota, con la stessa dinamica, con la stessa arcata e la stessa espressione, i due giovani musicisti non poterono guardarsi più con gli occhi di prima perché se nella musica erano stati capaci di sostenere un dialogo suonando insieme allora voleva dire che anche parlare sarebbe stato più facile”. Ed E. Said l’intellettuale palestinese con cui ha condiviso questa esperienza: “Se ascoltate con attenzione un brano musicale vi accorgerete che note e voci diverse si incontrano e si legano l’una al- l’altra, e nell’atto di sfidarsi a vicenda si incastrano in maniera perfetta. Certo la musica da sola non può portare la pace, ma può farci intuire come il mondo potrebbe o meglio dovrebbe essere.” Ma anche al mattino nelle mie ore curricolari la musica diventa veicolo di tolleranza. L’idea è di scoprire musiche diverse dalle nostre a partire da quelle delle diverse culture presenti in classe. La scelta da anni è sempre la stessa: Medio Oriente e Balcani.. I ragazzi stranieri di solito sono intimiditi, gli altri, insofferenti: “Dovrebbero tornare tutti a casa loro, qui non fanno che danni!”. Rispetto ad anni fa, la situazione si è inasprita: i fatti di cronaca nera, i disagi vissuti nella vita di tutti i giorni, i commenti dei genitori, fanno si che i ragazzi vivano lo straniero solo come un pericolo o peggio ancora un essere inferiore e spregevole. L’unica via di uscita è puntare sull’aspetto culturale e provare a scoprire le ragioni della diversità: per un brano nordafricano vuol dire conoscere la scala araba e legarla alla presenza del deserto, alla concezione del tempo, ad altre forme di arte come quella figurativa degli arabeschi: niente a che vedere con l’essere primitivi o inferiori. Appena il clima si scioglie i bambini stranieri portano loro stessi materiali: brani musicali, i passi di una danza e, apprezzatissimi, i video dei matrimoni dove non solo si ascolta la musica, ma si vedono gli strumenti, le danze, i vestiti, i riti scoprendo che da nessuna parte si mangia tanto quanto in Italia! L’occupazione principale degli altri è invece danzare e fare musica! Fra gli ascolti arrivano le contaminazioni più disparate, ma non è il caso di puntare troppo sul filologicamente corretto, lo strapotere della musica americana che massifica tutto è da dibattere in altro momento, meglio mostrare invece come le culture nel corso dei secoli si siano sempre incontrate pacificamente: una musica bulgara che sembra araba, un brano serbo (“Simarik”) che diventa pop (“Kiss Kiss”), gli esercizi della danza orientale riconosciuti dalla ragazza che fa Hip Hop e poi la Jump Style non sembra musica tribale? E i risultati? Con ragazzi di questa età spesso bisogna accontentarsi di segnali: gli allievi che si iscrivono al progetto anche dopo la 3° media e altri che proseguono al liceo musicale, il ragazzo psicotico che riesce a fermare il suo eterno dondolio solo quando suona la chitarra, l’entusiasmo dei ragazzi che con tamburi e djembè giocano con i ritmi medioorientali; per il resto occorre continuare a seminare e insistere presso i governi e le Istituzioni per migliorare l’educazione musicale nel nostro paese. Per cui… Buon lavoro a tutti noi! StrumentiCres StrumentiCres●Settembre Settembre2009 2009 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Musica, storia ed arte dell’incontro Come la canzone in lingua portoghese racconta gli anni delle dittature Giovanna Stanganello Faccio parte di un gruppo di ricerca su musica e storia in dimensione europea - non eurocentrica – che analizza luoghi della memoria raccontati attraverso la canzone: dalla piazza alla fabbrica, ai caffè, alla terra, alle strade. L’iniziativa è nata all’interno di Iris (associazione di Insegnamento e Ricerca Interdisciplinare di Storia) ed ha seguito nel corso del tempo variazioni sull’idea originaria. La mia parte di attività si concentra sull’area in lingua lusofona, ma il territorio d’indagine, dall’Europa (ovvero dal Portogallo) si è quasi fatalmente spostato in Brasile, data la mia frequentazione materiale e ideale di quella terra a partire da una collaborazione in laboratori espressivi all’interno di progetti di strada in Minas Gerais e nella città di São Paulo. Il “mal di Brasile” ha trovato in Italia un canale (che unisce l’interesse amatoriale per la musica al piacere della lingua portoghese cantata) nel coro Cantosospeso che esegue brani, brasiliani e non, appartenenti ai popoli “sospesi sulla soglia della dimenticanza”. Ritengo fondamentale per l’efficacia didattica, oltre agli elementi cognitivi disciplinari trasmessi, gli aspetti relazionali ed emozionali, che rendono profonda la trasmissione dei saperi. Se una cosa piace intensamente essa sarà insegnata in modo convincente, se i tasti toccati sono quelli che hanno a che fare con l’universo affettivo, l’apprendimento avrà luogo come esperienza significativa. In questa prospettiva la passione per la musica e per la poesia ha costituito un passaggio importante per le mie precedenti attività esercitate nell’ambito dell’intercultura. Si tratta di un approc- * Docente Itsos Maria Curie, Cernusco S/N StrumentiCres ● Settembre 2009 cio non peregrino neanche per un’indagine di tipo storico. Non sto qui ad analizzare gli aspetti metodologici inerenti alla questione, poiché altri interventi li metteranno a fuoco, riporto solo da una domanda iniziale: come veicolare contenuti di tipo storico utilizzando strumenti poco o mal frequentati nella scuola? E’ un’occasione perduta non sviluppare una dimensione musicale in un territorio che, come quello italiano, vanta una tradizione melodica di storica tradizione; meglio, è lo stesso clamoroso limite che si rileva nell’impostazione della riforma nella secondaria superiore che non assegna all’istruzione artistica il rilievo che le sarebbe proprio: il paradosso per cui nella patria del Rinascimento l’indirizzo dei beni culturali subisce una grave mortificazione, estinguendo la sua funzione sperimentale. Nessuno tra i partecipanti alla ricerca è uno specialista in ambito musicale, ma ciascuno attribuisce a tale sfera della comunicazione una profonda valenza formativa e ritiene che anche i non addetti ai lavori possano utilizzare documenti di questo genere. Il mio ago magnetico volge alla “contaminazione”: quale zona più congeniale di un luogo meticcio di popoli e di culture come quello di Brasile? Grande è il fascino di un portoghese “corrotto” dal passaggio tra diversi continenti e impregnato di cadenze africane in cui “le parole cantate” sono pronunciate con accenti assai differenti: dai suoni sincopati in cui si perdono le vocali della parlata europea, alla musicalità sinuosa del Brasile e dei territori post coloniali africani. Segnalo a questo proposito un recentissimo progetto curato da Alberto Zappieri che promuove l’incontro tra culture musicali diverse e che ha prodotto il CD Capo Verde terra di amore, vol. 1. In esso sono raccolti i testi interpretati da Cesária Évora e da Teófilo Chantre eseguite insieme a nostri cantautori impegnati in progetti di solidarietà. La commistione di ritmi è la cifra stilistica dell’opera, il cui introito è devoluto al Programma Alimentare Mon- diale dell’ONU. Proprio pensando alla cultura dell’incontro e della traduzione, e dovendo necessariamente selezionare pochi autori, ho scelto di lavorare prevalentemente sul cantautore brasiliano Chico Buarque de Hollanda, in contatto con esperienze di spicco della poesia e della canzone d’autore italiana anche per ragioni biografiche – da bambino trascorse due anni a Roma e vi tornò tra il 1969 e il 1970, restandovi 14 mesi, per l’ostilità del governo militare nei suoi confronti. Chico, come Caetano Veloso, Gilberto Gil, esuli nell’Inghilterra dei quegli anni, come è Milton Nascimento e altri cantautori in Brasile, rappresentano la storia di un momento particolare che non è proprio solo al Brasile ma che, con un gioco di rimandi, travalica i continenti in una dimensione sovranazionale in cui musica e storia s’intrecciano e raccontano i decenni della contestazione e della repressione, gli anni della decolonizzazione e e le buie resistenze degli antichi colonizzatori. Chico Buarque era già noto a livello internazionale: Mina aveva cantato la traduzione italiana di A banda, che nell’apparente lievità dei contenuti e nello scanzonato ritmo svela altro: la mia gente sofferente disse addio al dolore per vedere passare la banda cantando cose d’amore[…] ma per il mio disincanto quello che era dolce finì, tutto riprese il suo posto dopo che la banda passò. autore vicino per sensibilità alle storie degli ultimi, Enzo Jannacci, aveva tradotto Pedro Pedreiro, Sergio Bardotti aveva svolto un vero lavoro di ponte tra culture musicali. Grazie a questi contatti, in un gusto che superava il vecchio canto impostato per scelte stilistiche e tematiche, Chico aveva inciso Per un pugno di sambain collaborazione con Ennio Morricone. Alla frontiera tra generi, anche il film e la serie televisiva hanno utilizzato la canzone di Chico Buarque in stretta connessione con la storia degli anni ’60 e ’70, in particolare i testi: Zuzú Angel di Sergio Rezende (2006) 27 e Anos rebeldes ( Anni ribelli ) di Gilberto Braga (1992). Si tratta di opere diverse, ma in entrambe la canzone entra nelle vicende storiche, intrecciandosi indissolubilmente con esse. Il primo è un film sulla stilista brasiliana Azuleika Angel, il punto di vista è quello di una persona estranea al coinvolgimento politico diretto e che si trova improvvisamente situata in esso, ferma nella tenace richiesta di verità sulla sorte del figlio Stuart, giovane oppositore “desaparecido”. Nell’excipit del film le musiche di Chico entrano nella narrazione in funzione diegetica: Apesar de você è un’allusione critica al regime, Cálice la vicenda di Stuart (“Minha cabeza perder teu juizo / quero cheirar fumaça de óleo diesel”: il giovane fu torturato legandolo al tubo di scappamento dell’auto). Tali canzoni saranno in qualche modo la colonna sonora della protesta dei più generosi intellettuali che, dopo la promulgazione dell’Atto istituzionale n. 5 da parte del governo Médici, subiscono la repressione della dittatura. L’ascolto di Zuzú della cassetta di Chico Buarque sulla macchina che la conduce alla morte s’intreccia alla frequentazione con il cantautore (che poi le dedicherà il testo Angélica): a lui la stilista aveva consegnato copia del dossier documentario sulla morte del figlio. Anos Rebeldes è una miniserie televisiva che rivisita la storia del Brasile tra il 1964 e il 1979 attraverso le vicende di un gruppo di giovani della classe media, studenti universitari del tradizionale Collegio Pedro II a Rio de Janeiro. L’opera fu proiettata tra luglio e agosto 1992 in Brasile in 14 puntate, in Italia è disponibile per i prestito bibliotecario presso l’Ibrit d Milano (Istituto Brasile-Italia di via Borgogna) 28 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier nella versione in 3 Dvd. Propongo due scene contenute alla fine del secondo Dvd: nella prima si assiste alla perquisizione poliziesca in casa di un docente universitario mentre la TV trasmette la notizia della promulgazione dello stesso Atto istituzionale n. 5 di cui si recita l’art. 12 che segna una recrudescenza della censura, è il 13 dicembre 1968. A seguire, immagini del capodanno 1968, dopo le quali si colloca la seconda scena analizzata (essa chiude la seconda videocassetta): il gruppo dei nostri studenti assiste al festival della canzone, uno degli eventi più popolari che coinvolge un grande pubblico (la TV Record nel 1965 aveva trasmesso La banda di Chico; il Festival della Música Popular della TV Excelsior del 1966 si era aperto all’insegna del rinnovamento). I giovani di Anos Rebeldes si ritrovano a disputare diverse posizioni estetiche e politiche attraverso le due canzoni giunte in finale del Festival Internacional da Canção della TV Globo del 1968: Sabiá di Tom Jobim e Chico Buarque (che vincerà la rassegna) e Caminhando e cantando di Geraldo Vandré (che si classificherà seconda) il cui sottotitolo recita: “per non dire che non ho parlato dei fiori”. Mentre la prima riscuote grande successo di pubblico per le sue novità anche stilistiche e melodiche, la seconda sembra prepararsi a diventare il nuovo inno nazionale di resistenza alla dittatura in Brasile: non a caso sarà vietata e il suo autore costretto all’esilio. Uguale sorte, però, tocca agli apparentemente meno impegnati autori dell’altro testo, o almeno ad uno di essi. La storia dei festival in Brasile è particolarmente importante se si pensa ad altri momenti degni di memoria: nel 1972 José Afonso canta A morte saiu a rua memoria del pittore e scultore José Diaz Coelho, membro del PCP, assassinato in una strada di Lisbona dalla Pide, la polizia segreta della dittatura portoghese. Proprio José Afonso è l’autore scelto per l’area portoghese nella mia ricerca, il cui arco temporale è compreso tra gli anni’60 e ’70 del Novecento e si concentra in due direzioni: da un lato le città del Portogallo e quelle del nuovo continente con un fuoco privilegiato sulla metropoli di Rio de Janeiro; dall’altra la terra dell’Alentejo portoghese e del sertão del nord-est brasiliano, dove le lotte dei contadini e il fenomeno migratorio verso le grandi aree urbane diventano motivo ricorrente delle canzoni scelte per la presente ricerca. Zeca, epiteto familiare di José Afonso, è legato alle forme della musica popolare portoghese e costruisce le sue ballate sulla linea melodica del fado, che innova al suo interno abbandonandone la versione più scontata e commerciale. La città raccontata dalla canzone di José Afonso è una trasposizione simbolica e lirica, ma è anche una chiamata a raccolta contro gli ultimi rigurgiti della dittatura (Grandola Vila Morena è il canto che, trasmesso per la prima volta alla radio, darà il segno di avvio della rivoluzione dei garofani del 25 aprile). La forza di aggregazione della musica e la sua capacità resistenziale s’incarnano in momenti drammatici della storia dei paesi latino-americani, come l’atroce conclusione della vita di Victor Jara. Ma senza arrivare a situazioni così agghiaccianti, restano nella memoria anche i versi di Cálice di Chico Buarque (già ricordata per altra ragione) che il regime è riuscito ad immortalare e a rendere icona spegnendo i microfoni durante il concerto. La canzone, censurata dalla dittatura, giocava sull’ambiguità semantica tra “cálice” e “cala-se” (“taci”) il cui suono è lo stesso: il calice amaro da allontanare, dolorosa preghiera nell’orto del Gestsemani, si attualizza nel Brasile contemporaneo a Chico attraverso l’imposizione al silenzio del regime militare. Certamente le dittature contribuirono ad approfondire l’instablità emotiva o l’ipersensibilità di autori come Zeca Afonso, Geraldo Vandré, Caetano Veloso attraverso la limitazione della libertà personale, espressiva e lavorativa (allo stesso José Afonso viene interdetto l’insegnamento). Chico, come José Afonso, ha cantato vicende storiche reali, ma i suoi testi mettono in scena anche personaggi di fantasia, a loro volta calati nella storia e nei giorni di gente reale. ParStrumentiCres ● Settembre 2009 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ticolarmente bene riesce all’autore raccontare le vicende dal punto di vista dei poveri, dei ragazzi della strada, delle ragazze della notte. Molte storie sono narrate al femminile, oppure attraverso la focalizzazione di creature androgine: così Geni e o zeppelin, Mar e lua rappresentano i marginali, nuovi untori di fine secolo XX contro i quali si lanciano le pietre, facili capri espiatori. La madre di O meu guri non sa bene e proprio non vuole vedere cosa fa di mestiere il suo ragazzo che le riporta orologi e le fa doni, figlio affettuoso e spericolato, ucciso durante uno dei suoi furti di strada, abitatori di uno dei tanti quartieri da dimenticare. Nelle vicende di prostitute annegate dal pregiudizio degli uomini, di ragazze uccise dalla violenza dei maschi come nella storia di Marinella, di transessuali e lesbiche presi a sassate, nelle storie “minori” delle periferie di vernici e cachaça i marginali si somigliano: dall’altro lato del mare il nostro poeta De Andrè li canta nei suoi dossier carruggi genovesi, nelle terre di Sardegna, nelle città del nord dove i giovani venuti dal Brasile abitano la strada (Andrea, Princesa, ma ogni canzone di Fabrizio è empaticamente legata agli esclusi). Seguendo il ponte tra musica lusofona e referenti del nostro paese, torniamo agli interni romani in cui si raccoglievano gli artisti brasiliani e italiani tra il 1968 e il 1969 durante l’esilio di Chico Buarque de Hollanda. Un titolo emblematico sintetizza il fermento di idee musicali e lo scambio di esperienze che Sergio Bardotti cerca di mettere insieme: è il CD di Sergio Endrigo La vita, amico, è l’arte dell’incontro (Fonit Cetra, 1969, ripubblicato dalla Warner Music Italia nel 2005). Da quel contesto ha origine il legame affettivo tra le due culture che persiste, se pensiamo alle suggestive interpretazioni di testi della Bossa Nova e della Musica Popular Brasileiria da parte di Vanoni, Mannoia, Mina (si ascoltino, ad esempio Valsinha di Le canzoni come specchi, testi e fonti Un approccio integrato storico-musicale-letterario Maurizio Gusso* Una proposta metodologica nata da una duplice esperienza Fra le varie pratiche didattiche innovative al confine fra storia, musica, lingue e letterature italiane e straniere, non sembrano essere molto diffusi gli approcci interdisciplinari caratterizzati da una sufficiente attenzione * Presidente IRIS StrumentiCres ● Settembre 2009 all’uso didattico delle canzoni come fonti storiche. Come insegnante di italiano e storia del triennio della secondaria di secondo grado ho sperimentato percorsi curricolari integrati di storia, letteratura, musica, cinema ed ‘educazioni’ (interculturale, alla pace, alla cittadinanza, alle pari opportunità, allo sviluppo sostenibile, al patrimonio, ai media ecc.)1 . Come formatore dei docenti delle scuole di ogni ordine e grado ho partecipato e partecipo alle attività del Gruppo di ricerca didattica di IRIS (Insegnamento e ricerca interdisciplinare di storia) Storie e culture musicali in dimensione europea ma non eurocentrica2 . Da questa duplice esperienza ricavo una proposta metodologica, condivisa dal Gruppo, che in questa sede, per limiti di spazio, presento in modo schematico3 . Vinicius de Moraes cantata da Chico e Mina o Samba em preludio di Vinicius e Tom Jobim), o le efficaci traduzioni di Ivano Fossati (ricordo, tra tutte O que será – nelle sue due parti: À flor da terra, e À flor da pele). Il CD sull’arte dell’incontro vede la collaborazione di Toquinho e si traduce in immagini in un bel video di quegli anni (trasmesso dalla tv brasiliana) in cui la voce del cantautore brasiliano si affianca a quella dei grandi poeti dei due paesi: Giuseppe Ungaretti e Vinicius de Moraes, senza i pregiudizi di separatezza tra musica e poesia, ricomponendo quel legame da cui proprio la poesia è nata, che sta nel ritmo, nella melodia e nelle storie, e i brasiliani lo sanno1 . 1 Il video in questione è reperibile solo per gentile omaggio di Monica Paes, conduttrice della trasmissione di musica brasiliana Avenida Brasil Opzioni e riferimenti metodologici A) La consapevolezza della complessità delle canzoni come fenomeni musicali globali o a molte dimensioni (musica, canto, ritmo, recitazione, corporeità, letterarietà dei testi, rito, performance, spettacolo, fenomeno mediatico, prodotto dell’industria culturale ecc.), suscettibili di una pluralità di approcci possibili: semiologia, semiotica, ermeneutica, critica musicale, sociologia della musica, storia della musica, storia dei 1 Per un esempio di percorsi curricolari integrati di ‘educazioni’, storia e letteratura cfr. M.Gusso, L’Italia narrata. Un percorso integrato di storia e letteratura del Novecento, in C.Brigadeci (a c. di), Il laboratorio di italiano. Esperienze, riflessioni, proposte, Unicopli, Milano, 2002, pp.19-43. 2 Cfr. Gruppo di ricerca didattica di IRIS, Storie e culture musicali in dimensione europea ma non eurocentrica, scheda aggiornata al 30.6.2009, scaricabile dal sito www.storieinrete.org 3 Cfr. M.Gusso, Storie di canzoni migranti, fra traduzioni, riusi, censure e meticciati, in M.T.Rabitti – M.Gusso (a c. di), Storia e musica in laboratorio, “I Quaderni di Clio ‘92”, 2007, n.8, pp.85127. 29 modelli culturali/dell’immaginario/delle idee/delle mentalità, storia sociale, economica, politica, ambientale, della cultura materiale ecc.. B) Un approccio alle canzoni almeno in parte analogo a quello alle altre opere d’arte, ispirato non al ‘realismo ingenuo’ della ‘teoria del riflesso’ (l’arte come riproduzione fedele del reale, come imitazione, esclusiva o quasi, della natura o della società), né al ‘formalismo’ o ‘convenzionalismo assoluto’ (l’arte come imitazione esclusiva, o quasi, dell’arte), ma a forme di ‘convenzionalismo relativo’ o ‘realismo smaliziato’, ispirate alle teorie dell’arte come ‘rappresentazione’/’interpretazione’ polisemica di aspetti di realtà (in tensione vitale sia con la natura, sia con la società, sia con le eredità musicali, artistiche e culturali) e convergenti con l’approccio ‘convenzionalista relativo’ ai ‘fatti storici’. C) Un approccio interdisciplinare alle opere musicali come ‘specchi’ su cui proiettare domande esistenziali e ‘orizzonti di attesa’, testi caratterizzati da una pluralità di codici, fonti storiche, agenti di storia e strumenti di narrazione storica. D) Un passaggio graduale dal piano dell’intratestualità (analisi del singolo testo-fonte) a quelli dell’intertestualità (analisi comparata di serie di testi-fonti) e della contestualizzazione storica, nei suoi diversi piani (contestualizzazione nei rapporti fra canzoni e loro autori, nella storia dei modelli culturali, delle rappresentazioni simboliche e della musica, e nella storia socio-economico-politica, ambientale e della cultura materiale). E) La consapevolezza delle diverse funzioni delle differenti modalità d’uso didattico delle canzoni e, più in generale, di ogni traccia nella didattica della storia: come ‘specchio’; come icebreaker/rompighiaccio evocativo; come illustrazione/traduzione in altri linguaggi di informazioni contenute in altre fonti, soprattutto ‘secondarie’; come elemento di problematizzazione; come fonte storica. F) La necessità di confrontare/intrecciare le canzoni con altri prodotti musicali e con altri tipi di fonti. G) L’ancoraggio a una progettazione curricolare, flessibile e modulare, per ‘nuclei fondanti’, operatori cognitivi, conoscenze significative, competenze, temi/problemi, tipologie/ casi e blocchi/filoni ricorrenti di finalità e una ‘solidarietà reciproca’ fra discipline ed ‘educazioni trasversali’4 . H) Un approccio globale, integrato 30 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier (cognitivo, socio-affettivo-emozionalerelazionale e psicomotorio), intersoggettivo, euristico, interattivo, laboratoriale, ludico, multimediale alla didattica storico-interdisciplinare, incentrato sulla mediazione didattica e sul percorso presente – passato – presente/futuro. I) Un percorso graduale dal predisciplinare al disciplinare e a forme di interdisciplinarità e trasversalità. Un esempio di scheda sul percorso fonte – serie – contestualizzazione storica 1. Individuazione di un tema/ problema di ricerca ‘strategico’ nella progettazione curricolare storico-letterario-musicale 2. Analisi di una canzone (piano della ‘intratestualità’) 2.1 Breve presentazione della canzone e del motivo della sua scelta. 2.2 Fruizione della sua versione originale, se possibile, o di quella più vecchia disponibile (in forma audioregistrata o possibilmente audiovideoregistrata). 2.3 Analisi globale (linguistico-comunicativa, letteraria, musicografica, storica, sociologica ecc.) della versione considerata della canzone attraverso analisi più specifiche a) del testo scritto pubblicato/ufficiale: struttura metrica e narrativa, sistema dei personaggi, ambientazione spaziale, temporale/storica e sociale ecc.; b) delle eventuali varianti apportate dalla versione effettivamente ascoltata al testo scritto pubblicato/ufficiale; c) della parte specificamente musicale (vocale e strumentale); d) degli aspetti materiali/visivi/corporei/gestuali dell’eventuale videoregistrazione della performance; e) del contesto globale (culturale/ artistico, sociale, politico-istituzionale, economico, tecnologico ecc.) di produzione della canzone (autori di versi e musica, interpreti, data e luogo di registrazione, casa discografica; storia della canzone); f) del contesto globale di ricezione/ fruizione/consumo della canzone (dati sugli ascolti e sui pubblici specifici delle varie versioni/performance ecc.). Per quanto riguarda la storia, ecco alcune domande-chiave: per quali obiettivi formativi/competenze e temi/ problemi specificamente storici e per quali forme di storia questa canzone può essere considerata una fonte storica rilevante? quali sono le informazioni storiche inscritte nei vari codici (linguistico, letterario, musicale, tecnologico ecc.) della canzone e del suo contesto globale di produzione e fruizione? qual è la storia della canzone? Per quel che concerne lingue e letterature, ecco alcuni esempi di domande chiave: per quali obiettivi formativi/competenze e temi/problemi specificamente linguistici e letterari questa canzone può essere considerata significativa? quali sono gli aspetti linguistici e letterari peculiari di questa canzone? come si inserisce nella storia della lingua e della letteratura? Quanto a musica, ecco alcune domande-chiave: per quali obiettivi formativi/competenze e temi/problemi specificamente musicali questa canzone può essere considerata significativa? Quali aspetti musicali caratterizzano tale canzone? Come si inserisce nella storia della musica? 2.4 Eventuali confronti globali fra più versioni della stessa canzone attraverso le stesse analisi specifiche di cui al punto 2.3. 3. Analisi di una serie di canzoni e di altre fonti (piano della ‘intertestualità’) 3.1 Analisi globale (v. punto 2.3) col ‘metodo contrastivo’ (ricerca di analogie e differenze rilevanti, fra regolarità ed eccezionalità) di una coppia/ serie di canzoni significativamente comparabili. 3.2 Confronto fra la canzone/serie di canzoni considerate e altre fonti. 4. Contestualizzazione storica (piano della ‘contestualizzazione’) 4.1 Contestualizzazione biografica. 4.2 Contestualizzazione nella storia dell’immaginario/dei modelli culturali/delle mentalità/delle idee. 4.3 Contestualizzazione nella storia delle forme (storie ‘non storicistiche’ delle lingue/letterature/musiche e/o delle altre forme di arte, cultura e simbolico). 4.4 Contestualizzazione nelle altre storie (ambientale, demografica, tecnologica, economica, sociale, politicoistituzionale ecc.). 4 Cfr. M.Gusso, Educazioni e area geostorico-sociale: una solidarietà reciproca, in Aa.Vv., Scienze geostorico-sociali per un curricolo verticale. Dalla Ricerca-Azione alla Sperimentazione Assistita, Irrsae Lombardia, Milano, 1998, pp.29-38. StrumentiCres ● Settembre 2009 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Identità e differenza: un percorso Enrico Strobino* Ladeiscuola laboratori Penso che la scuola dovrebbe diventare sempre più una Scuola di Laboratori. Mi rendo conto che nel momento in cui scrivo parlare di Scuola dei laboratori è per lo meno anacronistico, visto che i vari interventi sulla scuola pubblica non potranno che portare alla loro quasi totale scomparsa. Rimane in me la convinzione che sia necessario continuare a parlarne, a teorizzarli e a sperimentarli, là dove è ancora possibile, aspettando nuove primavere. Nella scuola dei laboratori tra il dire e il fare non c’è di mezzo il mare. Al contrario ci sono numerosi ponti che mettono in comunicazione conoscenza e operatività, lavoro individuale e collettivo, informazione e ricerca, teoria e prassi. Questi ponti a volte sono strumenti di lavoro, altre volte sono tattiche, altre ancora percorsi attrezzati. La scuola dei laboratori è più vicina a una visione didattica interdisciplinare e metacognitiva piuttosto che ad una visione strettamente disciplinare e monocognitiva, più tipica della lezione in classe. In questa direzione mi sembra importante individuare aree, zone, percorsi in cui abitano pratiche e concetti federatori , 1 capaci di oltrepassare il confine di pensieri monocordi, verso il molteplice, il polimorfo, il polivalente. percorso: Un identità e differenza Queste due parole, identità e differenza, sono molto importanti nel mon* Musicista, insegnante, ricercatore di didattica della musica StrumentiCres ● Settembre 2009 do di oggi, e lo saranno ancora di più in futuro. Sempre di più diventerà decisiva la capacità degli uomini e delle donne di far incontrare e convivere questi due concetti, che sintetizzano moltissimi aspetti della realtà e delle relazioni fra persone, paesaggi, pensieri e culture.2 Noi, nel nostro piccolo, possiamo intanto giocare con queste parole: possiamo esplorarle, interpretarle, dar forma a piccole costruzioni in cui identità e differenza sappiano convivere, arricchendosi vicendevolmente. Possiamo fare esercizi di co-esistenza. Il nome Pensando al concetto di identità personale una delle prime cose che viene in mente è senza dubbio il nome: il Il nome nome è il primo elemento che, all’interno della comunità in cui siamo arrivati, definisce la nostra singolarità. Possiamo quindi inventare attività che riguardano questo aspetto. • Andiamo alla scoperta dell’origine del nostro nome: che significato ha? Perché siamo stati chiamati così? Ci sono nomi ricorrenti nella nostra famiglia? • Per qualche tempo (qualche ora o per un giorno intero) proviamo a scambiarci i nomi. Ognuno di noi risponderà al nuovo nome. Alcuni temi di discussione: quanto è importante il nostro nome per l’immagine che ognuno di noi ha di se stesso? Quanto ci sentiremmo diversi se ci chiamassimo, d’ora in poi, con un altro nome? Desidereremmo avere un altro nome? Perché? Gianni Rodari, Mario Piatti Vorrei chiamarmi Dante E scrivere un bel poema Vorrei chiamarmi Euclide E inventare un teorema Vorrei chiamarmi Giotto E far belle pitture Vorrei essere il più bravo In tutte le bravure Vorrei chiamarmi….. Come mi chiamo e sono Per diventare ogni giorno Almeno un po’ più buono 31 • Possiamo anche dare visibilità alla nostra piccola comunità realizzando una forma simbolica che metta in scena tutti i nostri nomi: un gruppo di ragazzi e ragazze di scuola media ha realizzato l’installazione Difference Stones, che vedete nella foto. è un esempio di opera che mette in scena la compresenza di identità e differenze, verso un’idea di molteplicità, di polifonia, di moltitudine, come vedremo più avanti. Uguaglianze • Quali sono i tratti comuni fra gli uomini e le donne del pianeta Terra? Provate a farne un elenco. Quindi leggete e commentate quello che ha fatto Umberto Eco, importante studioso e scrittore italiano: Siamo animali a postura eretta, per cui è faticoso rimanere a lungo a testa in giù, e pertanto abbiamo una nozione comune dell’alto e del basso, tendendo a privilegiare il primo sul secondo. Parimenti abbiamo nozioni di destra e di sinistra, dello star fermi o del camminare, dello star ritti o sdraiati, dello strisciare o del saltare, della veglia e del sonno. Siccome abbiamo degli arti, sappiamo tutti cosa significhi battere una materia resistente, penetrare una sostanza molle o liquida, spappolare, tamburellare, pestare, prendere a calci, forse anche danzare. La lista potrebbe durare a lungo, e comprende il vedere, l’udire, mangiare o bere, ingurgitare o espellere. E certamente ogni uomo ha nozioni su cosa significhi percepire, ricordare, avvertire desiderio, paura, tristezza o sollievo, piacere o dolore, ed emettere suoni che esprimano questi sentimenti. Pertanto (e già si entra nella sfera del diritto) si hanno concezioni universali circa la costrizione: non si desidera che qualcuno ci impedisca di parlare, vedere, ascoltare, dormire, ingurgitare o espellere, andare dove vogliamo; soffriamo che qualcuno ci leghi o ci costringa in segregazione, ci percuota, ferisca o uccida, ci assoggetti a torture fisiche o psichiche che diminuiscano o annullino la nostra capacità di pensare. [...] Dobbiamo anzitutto rispettare i diritti della corporalità altrui, tra i quali anche il diritto di parlare e pensare. Se i nostri simili avessero rispettato questi “diritti del corpo” non avremmo avuto la strage degli Innocenti, i cristiani nel circo, la notte di San Bartolomeo, il rogo per gli eretici, i campi di sterminio, la censura, i bambini in miniera, gli stupri della Bosnia.3 32 Differenze ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier • Proviamo a scrivere tutto ciò che ci viene in mente pensando alla parola Differenza: ecco un esempio di mappa costruita tramite un brainstorming. Cultura Ambiente Cambiamento Colore Gusto Carattere Difesa Sesso DIFFERENZA È... Religione Pensiero Linguaggio Confronto Umanità Bellezza Pericolo Solidarietà Moltitudini Il concetto di moltitudine rimanda a tutte quelle entità definibili anche con aggettivi come plurale , molteplice , polifonico. Tutte quelle situazioni in cui uguaglianze e differenze sanno convivere; tutte quelle situazioni in cui un insieme di elementi sta insieme condividendo tratti comuni ma mantenendo anche tratti individuali e individuabili. La moltitudine è molto diversa dalla massa, in cui l’insieme cancella le singolarità a favore dell’uniformità, dell’omogeneità e dell’omologazione. • Andiamo alla ricerca di forme che mettano in scena, che rendano visibile o ascoltabile questo concetto, in modo da comprenderlo meglio. Alcuni esempi. Giochi di bambini Bruegel Il Vecchio, in un suo famoso dipinto, fa convivere moltissime scene di giochi di bambini nello stesso quadro, senza che nessuna di esse assuma una particolare rilevanza ma in cui ogni gioco è identificabile. • Cercate altri quadri di Bruegel concepiti allo stesso modo. • Cercate altre immagini, tratte dalla storia dell’arte o da altri contesti, che mettano in scena il concetto di moltitudine . • Componete un brano musicale ispirato al quadro di Bruegel. Potreste utilizzare conte, giochi cantati, filastrocche ecc… che vanno a formare una molStrumentiCres ● Settembre 2009 Il paradiso dei calzini Il paradiso dei calzini è una canzone di Vinicio Capossela. Ne proponiamo testo e musica. Dove vanno a finire i calzini quando perdono i loro vicini dove vanno a finire beati i perduti con quelli spaiati quelli a righe mischiati con quelli a pois dove vanno nessuno lo sa Dove va chi rimane smarrito in un’alba d’albergo scordato chi è restato impigliato in un letto chi ha trovato richiuso il cassetto chi si butta alla cieca nel mucchio della biancheria dove va chi ha smarrito la via Nel paradiso dei calzini si ritrovano tutti vicini nel paradiso dei calzini.. Chi non ha mai trovato il compagno fabbricato soltanto nel sogno chi si è lasciato cadere sul fondo chi non ha mai trovato il ritorno chi ha inseguito testardo un rattoppo chi si è fatto trovare sul fatto chi ha abusato di napisan o di cloritina chi si è sfatto con la candeggina Nel paradiso dei calzini.. nel paradiso dei calzini non c’è pena se non sei con me Dov’è andato a finire il tuo amore quando si è perso lontano dal mio dov’è andato a finire nessuno lo sa StrumentiCres ● Settembre 2009 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ titudine musicale. • Utilizzate il quadro di Bruegel come stimolo per comporre un’azione scenica. dossier ma di certo si troverà la. Nel paradiso dei calzini si ritrovano uniti e vicini nel paradiso dei calzini non c’è pena se non sei con me non c’è pena se non sei con me Vinicio Capossela, Da Solo, Warner Music, 2008 • Anche la canzone di Capossela può darci lo spunto per realizzare una composizione ispirata all’idea di moltitudine, di compresenza tra uguaglianza e diversità, utilizzando come materiale proprio i calzini abbandonati. Abi-Tanti e Mu-Tanti • Un’altra idea per mettere in scena l’idea di moltitudine ci è data dagli Abi- Tanti. La moltitudine migrante, un’installazione curata dal Museo D’Arte Contemporanea di Rivoli. ABI-TANTI. La moltitudine migrante è un laboratorio di assemblaggio polimaterico che parte da una base lignea, comune, ecologica e quindi etica, quasi un primitivo DNA. Scarti industriali, astine, sfere e semisfere, quadrelle e cubotti – da assemblare e rivestire con infiniti materiali, colori, segni grafici, alfabeti – diventano braccia, gambe, corpi, teste, piedi di giocattoli, piccoli oggetti che assumono la forma di umanoidi/robot (h. 30 cm). Gli ABI-TANTI si caratterizzano in tantissime varianti, a costruire una moltitudine composita di esseri apparentati per famiglie contraddistinte da differente aspetto esteriore, frutto di decori, cromie e vari materiali organizzati in modo sempre diverso e originale. 33 Museo D’Arte Contemporanea di Rivoli, Dipartimento Educazione, A.S. 2007-2008 • Prendiamo in prestito l’idea degli ABI-TANTI per progettare un’installazione simile. Alcuni ragazzi e ragazze di scuola media hanno realizzato i MUTANTI, in cui la base di partenza è costituita da bottiglie d’acqua di varie dimensioni. Abi-Tanti e Mu-Tanti sono tutti diversi pur avendo qualcosa in comune. Pensando alla musica, e quindi a qualcosa che si svolge nel tempo, i concetti di identità e differenza si trasformano in permanenza e trasformazione: è permanente ciò che rimane costante nel tempo, al contrario di ciò che cambia, di ciò che si trasforma. Possiamo anche interpretare il concetto di permanenza come stabilità, prevedibilità, stasi, predeterminazione, ecc…; e quello di trasformazione come instabilità, agi- tazione, imprevedibilità, turbolenza, aleatorietà, ecc… • Andiamo alla ricerca di musiche RACCONTI MUSICALI Carlo Boccadoro (a cura di), Racconti Musicali, Einaudi, Torino, 2009 Compositore e direttore d’orchestra, musicologo e divulgatore, Carlo Boccadoro ha raccolto in questo testo i racconti di ventidue autori, diversi tra loro stilisticamente e cronologicamente ma tutti “raccontano dell’effetto indelebile e ineludibile che la musica ha sui personaggi che abitano le loro storie; in certi casi per loro tutto cambia dopo che sono stati esposti al mondo dei suoni, il baricentro stesso dell’esistenza viene spostato e non è più possibile ritornare allo stato precedente a quello dell’ascolto” come sottolinea lui stesso, nell’introduzione in cui denuncia anche la situazione drammatica dell’Italia, da sempre considerata patria della musica e che invece presenta un grado medio di alfabetizzazione musicale vicino allo zero a causa, tra l’altro, di programmi scolastici assolutamente inadeguati. D’altronde nell’Italia del dopoguerra – prosegue Boccadoro – “un’intera generazione di intellettuali di prim’ordine (da Pasolini a Pavese, da Moravia a Tobino, dalla Ginzburg a Levi, da Bassani a Vittorini), pur impegnata allo spasimo su diversi fronti culturali, non ha sentito mai il bisogno di dedicare alla musica praticamente nulla di significativo all’interno della propria produzione.” I 22 racconti della raccolta spaziano in un arco temporale che va dall’Ottocento ad oggi, da Cechov a Nabokov, da James Baldwin a Murakami Haruki, da Julio Cortazar a Truman Capote, da Carlo Emilio Gadda a Heinrich Boell per citarne solo alcuni. Al centro di molti racconti si ritrova la figura di un compositore, di un musicista. di uno strumento: Liszt nel racconto di Roald Dahl si reincarna in un gatto; Paganini è al centro dei racconti di Achille Campanile e Robert Walser mentre Stradivari rivive nel racconto di Alberto Savinio; Stefan Zweig ricostruisce la notte in cui Claude Joseph 34 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier in cui queste due idee siano compresenti. Molti esempi saranno rintracciabili in brani di stampo jazzistico, in cui una parte ordinata e predefinita incontra l’improvvisazione, imprevedibile ed estemporanea. • Componiamo musiche (storie, video, performance, installazioni…) ispirate alla compresenza di questi due concetti.4 1 Edgar Morin, Il vivo del soggetto , Moretti & Vitali, Bergamo, 1998, p.72. 2 Il percorso è tratto da: Enrico Strobino, Tra il dire e il fare, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro, 2009. 3 Umberto Eco, “Che cosa crede chi non crede?”, in Cinque scritti morali, Milano: Bompiani, 1997, pp. 83-84 4 Un videoclip realizzato con i MU-TANTI da studenti di scuola media è visibile su youtube, digitando Ospiti della terra. Rouget de Lisle “misconosciuto creatore di un inno immortale”, compone la Marsigliese; il violino è di scena nel racconto di Cechov, il piano e il blues nel racconto di James Baldwin: “Toccò qualcosa dentro ognuno di loro e toccò qualcosa dentro di me, e la musica si fece tesa e profonda, e l’atmosfera nella sala si riempì di inquietitudine. Creole iniziò a spiegarci il blues, a spiegarci di cosa si trattava. Il blues, a dire il vero, non era nulla di nuovo. Erano lui ed i suoi ragazzi a cercare di mantenerne la freschezza, che rischiavano di cadere, distruggersi, impazzire o anche morire per trovare nuovi modi di farcelo ascoltare; perchè anche se il racconto della nostra sofferenza, di come possiamo essere felici e delle nostre possibilità di trionfare non è mai nuovo, è pur sempre necessario ascoltarlo. Non ci sono altre storie da raccontare: è questa l’unica luce che ci è concessa in tanta oscurità.” (p. 167). La Tosca e un omicidio sono al centro del racconto di Agata Christie, Michel Tournier rilegge la Genesi in chiave musicale per cui Adamo ed Eva devono guardarsi dalla tentazione di mangiare il frutto dell’albero della musica perché – ammonisce Dio - “conoscendo le note, smettereste subito di sentire la grande sinfonia delle sfere celesti, e, credetemi, niente è più triste del silenzio eterno degli spazi infiniti!” (p. 251). Racconti lunghi si alternano a racconti brevi o brevissimi come Finestra sulla musica di Eduardo Galeano o Bic di Vitaliano Trevisan, ma in tutti la musica è la vera protagonista. La raccolta si conclude con L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello di Oliver Sacks e Una nota biobliografica. StrumentiCres ● Settembre 2009 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier Danza e intercultura Un’esperienza decennale presso la Scuola Trentina Rosa Tapia* Premessa Le ondate migratorie a noi contemporanee hanno cambiato il volto delle nostre/vostre città italiane e il cambiamento non è superficiale. Oggi lo straniero chiede tanto all’Europa. Chiede di modificare se stessa, di stabilire con lui un dialogo continuo per re-inventare una cultura: l’intercultura. In questo dialogo s’inserisce la mia proposta educativa. L’intercultura quindi intesa come un processo in divenire che non ha (non può avere) contorni netti e definitivi. E’ una continua ricerca che porta verso il cuore dei mondi che vengono in contatto, per poi uscire e agire nella zona in cui questi mondi s’incontrano. Questo processo avviene a più livelli e richiede di grande curiosità e apertura mentale che permettano di rimanere nella zona di contatto fra i mondi. Agire “sulla soglia” intesa come spazio in cui avviene il contatto per creare o favorire le condizioni del dialogo. I percorsi di Danza/Intercultura in questa mia accezione sono nati come proposte rivolte a tutta la classe. Succede infatti che bambini e ragazzi stranieri “metabolizzino” i pregiudizi diffusi; essere stranieri diventa una “colpa” – anche a livello inconscio -, una parte della loro persona da nascondere. Per questo servono i percorsi d’educazione interculturale per la classe. Bisogna aguzzare lo sguardo e vedere oltre la soglia: da una parte aiutare lo studente straniero a riconoscere le proprie radici, sentirsi parte di una cultura forte della sua musica, le danze, le lingue, la letteratura. Ma bisogna anche creare le occasioni per far sì che gli alunni italiani riconoscano l’altro, lo guardino al di là dell’immagine carica di pregiudizi e luoghi comuni imposta dai mass-media. Il mio desiderio è di dare contenuto e metodo all’intercultura. Immaginare e programmare percorsi educativi * Danzatrice e mediatrice culturale Settembre 2009 StrumentiCres ● che permettano di uscire da una posizione passiva, contemplativa di ciò che accade attorno a noi per dare agli studenti la possibilità di agire nella diversità. Corpo Il veicolo principale della mia proposta educativa è il corpo. Nell’incontro di culture è in primo luogo il corpo ad essere interpellato. Incontriamo quotidianamente persone con tratti di storia addosso, cioè gesti e atteggiamenti “altri”, persone che portano in sé tratti riconoscibili di diversità. La scelta di utilizzare la danza non è casuale. La danza intesa come disciplina del movimento, il cui strumento fondamentale è il corpo, permette di leggere l’espressione corporea dei popoli. Essa permette di confrontare somiglianze/differenze, riflettere sul significato del gesto altrui, apprezzare il senso e la natura di un movimento all’interno di una determinate cultura. Inoltre, lavorare con la danza vuole dire proporre esperienze emozionali, relazionali e creative, oltre che l’acquisizione di contenuti specifici. Offrire esperienze che si radicano in un’approccio positivo verso la diversità attraverso un linguaggio non verbale. Non di meno la danza è importante perché diventa uno strumento neutra- le, un foglio da scrivere e in quanto tale permette di reinterpretare le tante manifestazioni delle culture altrui: cogliere la bellezza delle musiche, le lingue, le letterature, le idee, per poi fare un qualcosa di nuovo che “ci” appartiene. Questa peculiarità di poter rielaborare o reinterpretare una determinata caratteristica culturale è fondamentale per la mia didattica che non si limita ad informare, o copiare un particolare tratto culturale, ma a produrre un discorso creolizzato attraverso la creazione di un lavoro artistico. Contesto L’intercultura è per sua natura sperimentale ed è proprio questa caratteristica che mi ha permesso di sviluppare la mia proposta all’interno della Scuola Trentina, essa stessa alla ricerca di soluzioni e strade per una educazione interculturale. I miei percorsi ebbero inizio all’interno della Scuola Media, ma subito dopo si sono estesi a tutti gli ordini di scuola. In questa ormai decennale avventura didattica, iniziata appunto nel 1998, ho avuto modo di attuare moltissimi percorsi e di valutare gli aspetti positivi e negativi di ognuno di essi. Nel complesso devo sottolineare positivamente la possibilità di lavorare in stretta collaborazione con gli insegnanti dai quali vengo chiamata a intervenire. Insegnanti in genere molto motivati e con una grande esperienza didattica che hanno integrato le mie proposte. Inoltre il loro intervento in relazione ai miei percorsi permette agli studenti di avere una prospettiva più completa, in quanto integrata al curriculum, e di cogliere il lavoro motorio con la serietà necessaria. Sento di essere un animatore dell’intercultura. Attraverso i laboratori di Danza/Intercultura propongo, suggerisco, attuo percorsi interessanti, coinvolgenti. Ma la buona riuscita dell’impresa educativa sta sempre nel lavoro collettivo. Metodologia Il metodo utilizzato offre una visione analitica del movimento in genera- 35 le, perciò fa sperimentare agli studenti nozioni base come il rapporto con lo spazio e il tempo, il gesto, il ritmo, la coordinazione di gruppo, i livelli e le dinamiche, i percorsi e le forme. In seguito introduce il tema specifico del laboratorio (argomento concordato con gli insegnanti) e a partire da questo argomento centrale, la classe inizia a “immaginare” assieme. A indagare dentro le proprie possibilità espressive; questa è una fase importante e direi la più affascinante sia per me che per gli studenti, va condotta con molta attenzione e metodo, è una indagine guidata attraverso la tecnica dell’improvvisazione. La scelta del tema del laboratorio è fondamentale. In questa fase si definisce la possibilità di rendere un percorso “interculturale”. Il tema deve essere trasversale, intendo dire condiviso da più culture, per esempio: Le maschere del mondo e non la maschera Africana, oppure “L’acqua, leggende, poesie, storie” e non il fiume Adige. Si tratta di uno spostamento del punto di vista, non sempre facile perché richiede documentazione e studi. Parte importante della metodologia è la creazione di un lavoro collettivo che non vuol dire fare grandi spettacoli o saggi, ma dare una forma plurale al lavoro d’indagine personale e permette di agire in prima persona su un tema specifico facendo esperienza della possibilità di re/interpretazione della cultura in questo caso attraverso l’azione. Naturalmente la mia didattica si basa su tecniche ben consolidate che ho avuto modo d’approfondire: la Danza Contemporanea e la Danza Educativa o Comunity Dance. La prima è una tecnica che guarda appunto allo studio dei principi del movimento in ge- 36 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ dossier nerale; la seconda è un filone della danza che si occupa appunto dell’educazione complessiva dell’allievo e non solo di tramandare una tecnica di movimento. In definitiva, inserire i percorsi nel filoni dell’educazione interculturale è accogliere al suo interno la dimensione fondamentale d’apertura al mondo, ma più importante ancora è il tentativo di tornare nel nostro stretto contesto e quindi tentare assieme agli studenti di disegnare i singoli tasselli del mosaico dell’intercultura. Non un mondo lontano e distante, ma il nostro presente condiviso. popolari Danze a Pietramurata Forse un esempio può aiutare a chiarire ciò che tento di fare. Mi soffermo sul progetto “Viaggio attraverso la danza e musica dell’America Latina” che ho realizzato con le classi 4° e 5° della scuola elementare di Pietramurata nell’anno 2008/09. Un percorso che parte dalle danze popolari (laboratorio molto richiesto, forse perché semplice e immediato). Infatti, la danza popolare, praticamente morta in Italia, rientra oggi con forza e nuova energia attraverso l’immigrazione. Un enorme patrimonio culturale a portata di mano, o meglio a portata di corpo che però, spesso non siamo in grado di utilizzare in tutta la sua potenzialità. “Viaggio attraverso la danza…” permette di assaggiare la diversità di un continente e fare nostro una parte di questo patrimonio, Come? Dal mio punto di vista non interessa tanto la forma delle danze in sè, (spesso difficili per i ragazzi), ma i meccanismi che stanno dietro. Ad esempio per insegnare il “Merengue”(danza di Santo Domingo), inizio dal passo base del merengue, ma mi soffermo sul meccanismo dell’imitazione a specchio -in coppia e in gruppo. Attraverso questa tecnica loro inventano tanti nuovi movimenti da fare a ritmo di Merengue entrando nel cuore di ciò che significa ballare in America Latina. Alla fine con queste classi era difficile chiudere l’attività, perché avevano scoperto la gioia di danzare e di giocare con la propria fantasia motoria. Ecco perché la danza può permettere di reinterpretare il patrimonio altrui, farlo “nostro”, e quindi necessariamente diverso da quello di partenza. In questo stesso percorso includo la danza del Tucuman. Danza durante la quale si intrecciano dei nastri di vari colori attorno a un asse; è una danza con molteplici versioni praticamente in tutto il mondo. Io insegno la variante dell’Ecuador, ma sottolineando l’importanza del lavoro collettivo, dove ognuno deve fare la propria piccola parte nel modo migliore per portare a termine un lavoro, la tessitura finale del “Tucuman” . Ad ogni modo nei miei percorsi interagisco spesso con la letteratura, con le immagini, con le lingue, con le narrazioni personali, con la fotografia, con le geografie… Le possibilità di lavoro sono infinite come è infinito il patrimonio culturale. “Ricchezza della diversità” non sono solo due parole retoriche e vuote, ma un’inebriante risorsa da cui attingere a piene mani. A questo punto mi sento però di spendere qualche parola per condividere la mia tristezza e preoccupazione riguardo la situazione attuale nei confronti dell’immigrante. Quando ero ragazza e vivevo in Ecuador studiando l’Olocausto Ebreo rimanevo sconcertata dalla possibilità che un genocidio fosse accaduto in seno a una società “civile”. Mi chiedevo dov’erano le persone comuni, come avevano potuto non vedere, tacere, riconoscersi in un pensiero così disgustosamente negativo. Oggi mi rattrista la constatazione di quest’odio diffuso verso lo straniero. Penso che annulla in sè tutto il mio piccolo lavoro. Noi stranieri allora non siamo stati in grado di far sentire la nostra voce? Di lavorare per la costruzione di una società di pace con regole giuste e condivise? Forse oppressi dal “sopravvivere” e con scarse o infinitamente precarie risorse non siamo riusciti a “comunicare”? Mi viene da pensare che ha più peso una “locandina diffamatoria” di tanti momenti condivisi in armonia. StrumentiCres ● Settembre 2009 TESTI DI SUPPORTO Identità e violenza Amartya Sen - Ed. Laterza, 2006. a cura di Elena La Rocca Negli ultimi anni il dibattito sul problema dell’identità individuale e collettiva si è fatto ossessivo; un tema che sembrava interessare poco ha acquistato sempre più spazio: ognuno si muove all’insegna della propria identità per preservarla dagli altri, difenderla, trasmetterla e al caso imporla. Mi sono domandata spesso perché il problema abbia assunto una tale importanza e credo che vari fattori abbiano un ruolo fondamentale in proposito, tra questi metterei in primo piano l’accelerazione della globalizzazione che ci ha spinto a sentirci sperduti nel mondo, la caduta del muro di Berlino con relativa crisi dell’ideologia di sinistra. In Italia ha pesato in particolar modo anche l’immigrazione “extracomunitaria” e per tutto il mondo “occidentale” l’affacciarsi alla ribalta del terrorismo qaedista: al qaeda, infatti, definendoci “cristiani/crociati”, ci spinge a percepirci come tali, noi a nostra volta accettiamo il gioco trattando da “estremisti islamici” due miliardi e mezzo di persone e le spingiamo a sentirsi esclusivamente tali. Infatti, dato che è difficile definire l’identità di un popolo o di una cultura, si finisce con l’appiattire il tutto sulla religione ufficiale del popolo stesso, anche quando quest’ultima è poco praticata come nei paesi europei , o quando le minoranze religiose sono numerose e consistenti. Ognuno di noi sembra costretto ad accettare un’identità che gli proviene dall’esterno, per esempio un povero milanese deve essere “cristiano/padano” a tutti i costi. In questo clima, per certi aspetti culturalmente torbido, il saggio di Amartya Sen appare come una ventata d’aria fresca. Scritto in modo molto chiaro e scorrevole il ragionamento di Sen si StrumentiCres Settembre 2009 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ RUBRICHE dossier 1234567890 1234567890 1234567890 1234567890 1234567890 1234567890 1234567890 1234567890 1234567890 muove intorno a due assi fondamentali: l’idea dell’identità plurale ed il rifiuto di qualsiasi ideologia che “appiattisca” l’individuo sulla sola dimensione comunitaria, in altri termini che veda l’individuo come espressione di una comunità di appartenenza. Secondo A. Sen ognuno di noi appartiene contemporaneamente a tante diverse categorie e la nostra identità, plurale ed inclusiva, è la somma di queste diverse realtà “Io posso essere al tempo stesso un asiatico, un cittadino indiano, un bengalese con antenati del Bangladesh, residente in America e in Gran Bretagna, economista, filosofo a tempo perso, scrittore, sanscritista, convinto assertore del laicismo e della democrazia, uomo, femminista, eterosessuale, difensore dei diritti dei gay e delle lesbiche, con uno stile di vita non religioso, di famiglia induista, non bramino, che non crede nella vita dopo la morte (e nemmeno, nel caso vogliate saperlo, in una vita prima della morte)” (p. 20/21) Nella vita ci muoviamo quindi scegliendo in continuazione “sul peso relativo da attribuire alle rispettive identità” (p.21) secondo i momenti ed i con- testi specifici, ma nell’analisi sociale si tende a due diversi tipi di “riduzionismo”: uno quello economico che nega qualsiasi importanza all’identità come se ogni individuo fosse “completo in sé” e l’altro “di segno opposto e che potremmo chiamare dell’affiliazione unica”; quest’ultimo “parte dal presupposto che qualsiasi persona appartenga prevalentemente, a tutti i fini pratici, a una collettività soltanto, niente di più e niente di meno”. (p.22) Dopo avere spiegato brevemente le teorie economiche Sen si dedica a criticare il concetto di “affiliazione unica”, che gli sembra attualmente troppo diffuso e fonte di troppi problemi: contesta infatti l’idea che l’identità sia un fatto naturale, quasi eredità immutabile della comunità in cui si è nati. Secondo lui la posizione comunitarista, che tende a preservare le varie comunità presenti sul territorio trattandole come interlocutrici privilegiate, anche se piena di buone intenzioni, interpreta in senso univoco l’identità individuale e collettiva e nei fatti parte dagli stessi presupposti di coloro che teorizzano lo scontro di civiltà, ne è in un certo senso l’altra faccia della medaglia. Se la mia identità è univoca e coincide in un certo senso con la mia comunità di appartenenza (magari comunità religiosa), anche la tua è univoca e coincide con la tua comunità di appartenenza, tutto ciò costituisce la base per teorizzare lo scontro di civiltà. Una teoria che viene propugnata in nome della tolleranza e del rispetto reciproco, senza volere, accredita la tesi dello scontro di civiltà sostenuta da Samuel Huntington nel suo famoso saggio, “ Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale” . Contro questa tesi Sen polemizza con forza: gli sembra infatti sia una teoria semplicista e riduzionista, perché non tiene conto che ogni “civiltà” ha al suo interno un’enorme varietà di atteggiamenti e posizioni e che non è affatto un tutto compatto, sempre identico a se stesso immutato ed immutabile nel tempo. A questo proposito, per esempio, Sen fa notare come sia riduttivo definire l’India una civiltà induista dal momento che vi sono in India oltre ad una serie di minoranze religiose, più di 150 milioni di mussulmani, tanto che l’India è il terzo paese mussulmano del mondo dopo l’Indonesia e il Pakistan. Anche all’interno della stessa religione le differenze pos- 37 38 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ sono essere forti, uomini diversi in momenti diversi possono agire in modo molto differente reputandosi ugualmente buoni cristiani o buoni mus-sulmani Il Gran Moghul Akbar (fine XVI secolo) era favorevole alla tolleranza religiosa e pensava fosse dovere dello stato fare in modo che “nessuno si intrometta nelle faccende altrui in riferimento alla religione, e che a ciascuno sia consentito di accostarsi alla religione che gli aggrada .” (p.65), mentre suo nipote Aurangzeb (seconda metà XVII secolo) negava i diritti delle minoranze e perseguitava i non mussulmani: il punto è che né la politica pluralista e liberale di Akbar, né quella rigida e intollerante di Aurangzeb fanno parte delle prescrizioni o delle proibizioni dell’Islam. Ridurre l’identità individuale alla sua affiliazione religiosa gli sembra una semplificazione arbitraria e pericolosa: distinguere gli esseri umani in quanto cristiani/mussulmani/induisti non solo mortifica la nostra libertà individuale, ma finisce anche col favorire le divisioni. Su questa strada si dà sempre più spazio ai capi religiosi, si cercano per esempio come interlocutori gli “islamici moderati”, domandandosi qual è “il vero Islam”, invece di puntare sui valori comuni. Proprio a proposito di valori comuni Sen sottolinea la povertà dell’analisi storica sottesa all’idea dello scontro di civiltà: secondo questa analisi non solo democrazia/libertà, ma anche scienza/razionalità sono valori esclusivamente “occidentali”, presenti ab origine nella cultura europea. Sen dimostra come questo mito sia fallace ed in definitiva provinciale, dato che la cultura europea è cresciuta anche assimilando contributi di società non occidentali: “Deve essere dato pieno merito all’Occidente, per le conquiste realizzate durante il Rinascimento, l’Illuminismo e la Rivoluzione industriale, che hanno trasformato la natura della civiltà umana. Ma presumere che tutto ciò sia il risultato di una “civiltà occidentale” completamente avulsa dal resto del mondo, sviluppatasi in uno splendido isolamento, sarebbe davvero un inganno.” (p.58) Impostato solidamente il discorso nei primi tre capitoli, l’autore riprende poi le proprie considerazioni con integrazioni ed approfondimenti specifici. Particolare attenzione dedica al mondo mussulmano di cui dimostra lo spessore umano e la ricchezza storica per smontare la tesi che l’identità islamica sia un monolito compatto, un universo indifferenziato. Dopo aver criticato qualsiasi teoria voglia presentare la cultura occidentale come unica portatrice di valori positivi, nel quinto capitolo Sen riprende il discorso e critica anche il sentimento antioccidentale che deriva da un complesso di inferiorità: è naturale che un colonialismo predatorio ed arrogante abbia lasciato dietro di sé dei forti risentimenti, ma rifiutare per questo tutto ciò che si presume provenga dall’Occidente, in nome di una presunta alterità è in definitiva una forma di subordinazione psicologica, un modo di guardare se stessi attraverso gli occhi dei colonizzatori. Esemplare il caso dell’India che aveva una forte tradizione scientifico/matematica, ma la negazione coloniale operata dagli Inglesi “ha contribuito ad un’autopercezione “adattata” che ha scelto il “proprio terreno” di competizione con l’Occidente enfatizzando il vantaggio comparato dell’India nelle questioni “spirituali.” (p.90) Questo atteggiamento porta a rifiutare idee globali (come la democrazia e la libertà personale), perché vissute come “occidentali”, a dare “una lettura distorta della storia intellettuale e scientifica del pianeta” (p.90) ed infine ad avere un atteggiamento di simpatia per il fondamentalismo religioso, se non addirittura per il terrorismo internazionale. Particolarmente interessante la critica ad un certo multiculturalismo, che con la pretesa di far convivere comunità contrapposte in seno alla società, finisce col trasformarla in una federazione di religioni. Sen punta la propria attenzione soprattutto sulla Gran Bretagna ed il suo modello di integrazione, di cui vede con chiarezza i limiti, proprio partendo dall’esperienza dell’India coloniale: “C’è una straordinaria similitudine tra i problemi che si trova di fronte la Gran Bretagna di oggi e i problemi con cui doveva fare i conti l’India britannica, e che, secondo il Mahatma Ghandi, erano direttamente incoraggiati dal Raj.” Ghandi criticava in particolare la visione ufficiale dell’India come un insieme di comunità religiose.” (p.168) Il metodo quindi, anche se attuato con le migliori intenzioni, gli pare portare ad una vivisezione/dissoluzione della società. Nell’ultimo capitolo infine l’autore riassume le proprie tesi e chiarisce anche sulla base di esperienze personali il nesso tra identità e violenza: “Il mio primo contatto con l’omicidio avvenne all’età di undici anni. Era il 1944, nel corso degli scontri intercomunitari che caratterizzarono gli ultimi anni del Raj britannico, terminato nel 1947. Vidi una persona sconosciuta, che sanguinava copiosamente, attraversare barcollando il cancello del nostro giardino, chiedendo aiuto e un poco d’acqua. Io chiamai i miei genitori e andai a prendere l’acqua. Mio padre lo portò di corsa in ospedale, dove l’uomo morì, a causa delle ferite riportate. Si chiamava Kader Mia.” (p. 173) Era costui un bracciante mussulmano, che si avventurava nei quartieri indù per lavorare in cambio di una paga esigua, accoltellato per strada da fanatici, che non lo conoscevano neppure. Spingere una comunità a chiudersi nel culto della propria “identità singolare”, vuol dire prepararla a combattere contro chiunque sia diverso, abbia un’altra “identità singolare”: “Gli istigatori politici che spingevano al massacro (in nome di quella che ognuna delle parti in campo definiva “la nostra gente”) riuscirono a convincere molti pacifici individui di entrambe le comunità a trasformarsi in criminali accaniti, inducendoli a concepire se stessi soltanto e solamente come induisti o come mussulmani (che avevano il dovere di scatenare la vendetta “sull’altra comunità”)” p.175 La vera soluzione è puntare sui valori comuni (razionalità, democrazia, libertà personale) e su quella che potremmo definire un’identità globale “anche se i solitaristi urleranno minacciosi al cancello” (p.188) StrumentiCres Settembre 2009 Zygmut Bauman, Ed; laterza, Bari, 2008 a cura di Michele Crudo Bauman, noto sociologo e pensatore, docente nelle Università di Leeds e Varsavia, è autore di numerosi libri in cui ha esposto una tesi di successo ricorrendo alla metafora della liquidità. Una metafora che racchiude in un’immagine la fragilità della società contemporanea afflitta dalla progressiva scomparsa di solidi punti di riferimento. Una metafora che esprime la frenetica rapidità e fluidità del vivere quotidiano, su cui si abbatte l’imponderabilità di eventi non più attutiti dalla robustezza dei legami sociali e interpersonali. Una metafora che denuncia la disperata e inconsolabile solitudine dei cittadini ridotti a nuclei individuali vaganti nell’indistinto e disorientante amalgama della globalizzazione. Gli aspetti della modernità liquida, che investono e influenzano sia la sfera sociale sia quella personale, sono stati analizzati in volumi che si lasciano apprezzare per il lucido disincanto con il quale Bauman fa emergere una dimensione esistenziale contrassegnata dalla contraddizione tra la spinta del singolo a garantirsi le libertà individuali e il bisogno di non sganciarsi dal centro gravitazionale dell’appartenenza comunitaria, che è l’ancora a cui aggrapparsi per affrontare e superare vicissitudini giornaliere altrimenti devastanti. Questa conflittuale contrapposizione, che convive e si dibatte nell’individuo con esiti incerti ma comunque destabilizzanti, è così pervasiva da modellare persino la gestione delle relazioni affettive. Secondo Bauman, infatti, l’amore liquido racchiude in sé la necessità di un legame forte e indissolubile, assicurato dalla fedeltà dei partners, contro il quale sopraggiunge l’usura quotidiana della relazione e l’intermittenza a rinnovare il desiderio amoroso con un nuovo partner. Procedendo sulla scia delineata dall’applicazione della sua chiave interpretativa della realtà contemporanea, Bauman, prendendo in esame il tema della paura liquida, s’interroga sul perché gli abitanti delle aree più ricche e più tecnologicamente avanzate del pianeta si sentono così minacciati da sacrificare preziose porzioni di libertà individuali in nome di una presunta incolumità. Il quesito consente a Bauman di indagare e mettere in luce le manifestazioni schizofreniche della modernità liquida. Da una parte è eviStrumentiCres Settembre 2009 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Paura liquida dente il benessere assicurato dal prolungamento della vita media, dall’accesso ai beni di consumo e ai comfort, dalla fruizione di un lungo periodo privo di conflitti armati diretti, dal potenziamento della tecnologia grazie al quale sono state quasi del tutto domate le sovrumane forze della natura. Dall’altra è incontestabile la percezione di esposizione alla vulnerabilità che è subentrata negli ultimi decenni in seguito a eventi di fronte ai quali le famiglie, i lavoratori, le istituzioni locali hanno amaramente constatato la loro impotenza. Bauman, chiedendosi come sia potuto accadere tutto ciò, risponde con una investigazione eminentemente antropologica, ma strettamente interconnessa con accadimenti politici ed economici. Il macrofenomeno da prendere in considerazione è l’extraterritorialità del capitale, una condizione di inafferabilità che consente di eludere il controllo sui flussi finanziari, e di ignorare le infiltrazioni di ingenti somme di denaro immesse dalla criminalità organizzata nella liquidità bancaria e nelle imprese commerciali. La mancanza di controllo sulle attività finanziarie da parte degli Stati nazionali ha quindi facilitato la deterritorializzazione di interi settori industriali, che ha provocato la perdita di posti di lavoro in ampie aree geografiche dei paesi sviluppati. Infatti, il trasferimento della produzione di automobili, tessuti, computer e di tanti altri prodotti in aree sottosviluppate con un basso costo del lavoro ha fatto crescere il tasso di disoccupazione tra gli operai del primo mondo, esponendoli all’incertezza del presente e all’imprevedibilità del futuro. Un futuro che si prospetta traumatico dopo la crisi finanziaria seguita al crollo delle Borse dell’autunno scorso, causata dall’insolvibilità delle banche che avevano colpevolmente gonfiato la bolla sui mutui delle case. Il libro di Bauman è stato scritto prima del fallimento di note banche internazionali, ma in esso erano già stati tracciati i contorni di una situazione che attualmen- te vede organismi dello Stato far fatica ad arginare le catastrofiche ripercussioni su un tessuto sociale lacerato dalla recessione economica. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: i successi ottenuti nel secolo scorso con la costruzione di una rete di protezioni e la creazione del welfare, dopo la lenta ma inesorabile erosione dovuta alla deregolamentazione della Thatcher e di Bush, sono stati annullati da una cronica instabilità che ha fatto precipitare la società nell’insicurezza. La perdita del posto di lavoro o la probabilità di vederlo svanire; la difficoltà nel pagare le rate sui beni acquistati; l’incremento dei costi per non perdere l’aggancio con servizi dignitosi (sanità, trasporti, istruzione per i figli) abbandonati dallo Stato a favore di aziende private; le spese assicurative per integrare una pensione ormai evanescente hanno contribuito a creare un ossessivo stato di ansia contro cui lo Stato sociale contrappone deboli contromisure. Il dissesto della società, accelerato dalle crisi periodiche e dalle frequenti insolvenze bancarie, hanno prodotto secondo Bauman una fragilità senza precedenti dei legami umani, con una crescente sfiducia tra i cittadini e lo Stato, da un alto, e tra gli stessi cittadini, dall’altro lato, i quali, concentrati nel rendere meno disagevoli le proprie condizioni di vita, si comportano non più come collaborativi conviventi bensì come spietati concorrenti. Ne sta scaturendo il dissolvimento delle fedeltà collettive, alimentato dalla friabilità della solidarietà e dalla revocabilità degli impegni; ovvero: la base consensuale su cui si regge il contratto fra cittadini e Stato, che legittima l’operato delle istituzioni e l’applicabilità/ osservanza delle leggi. Ad accelerare un tale dissolvimento è la visione propagandata dai mezzi di comunicazione di massa, che Bauman, prendendo in prestito una definizione della studiosa R. Surette, sintetizza nell’immagine della cittadinanza-gregge che esige la protezione di poliziotti-cani pastore contro l’insidia dei criminalilupi. Una società invasa dalla paura, insomma, in cui si sta sbriciolando l’affidabilità dell’ordine sociale da cui dipende la certezza della nostra sopravvivenza (reddito, cure sanitarie, pensione). Al suo posto, per compensare la dilagante precarietà esistenziale, si sta surrettiziamente diffondendo l’irrigidimento dell’appartenenza identitaria, (etnica, religiosa, ideologica, ecc.). Se il quadro della realtà è quello appena tracciato, diventano credibili i reality shows, dove si vedono persone che ricorrono a sleali sotterfugi e volgari furberie per annullare i propri avversari. Giunto a questo punto del libro, l’au- 39 40 pessimismo. Anche perché, come lui stesso afferma: “La via che porta all’individuazione delle radici del problema, e conduce al loro sradicamento, è lunga e tortuosa, e compiere il primo passo non assicura affatto che quella via venga percorsa fino in fondo” (pag. 217). Ma delle sue circostanziate argomentazioni e dei suoi organizzatori concettuali si ha bisogno per allenarsi cognitivamente a decodificare e comprendere processi complessi. La sua critica radicale necessita inoltre ai governanti come Obama, cui è toccata la responsabilità di porre rimedio alle storture e ai guasti di un modello di vita fondato sullo spreco e l’iniquità morale. L’odierno presidente degli Stati Uniti è stato eletto qualche anno dopo la stesura del libro di Bauman, ma la sua elezione si può ritenere sia anche la risultante delle istanze di cambiamento sollecitate dall’autore e da altri pensatori, che hanno rilevato la deplorevole persistenza di uno squilibrio tra l’insistente esigenza di agiatezza e la dispendiosa quantità di risorse utilizzata per appagarla, in cui è da includere l’esorbitante massa di scarti e di rifiuti. Di quest’ultimo tema l’autore ha approfondito i risvolti socio-psicologici in un libro successivo, dal titolo” Consumo, dunque sono” (Laterza, 2008), di cui si consiglia la lettura per avere una visione complessiva sulle relazioni tra l’ipertrofica produzione di merci, che istiga all’acquisto, e l’ansia dell’acquirente che è spinto a comprare sia per affermare se stesso attraverso ciò che possiede, sia per comunicare agli altri il desiderio di ciò che vorrebbe essere. Tuttavia, sostiene Bauman, la nevrosi ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ tore prosegue con un’indagine sociologica impietosa ma efficace, nel corso della quale associa gli scambi relazionali rappresentati in televisione alle pratiche comportamentali della vita quotidiana, il cui scenario di aggressiva competitività riflette i modelli sociali vigenti, che, avallati dall’inerzia delle istituzioni, favoriscono l’egoismo dei ricchi e la prepotenza dei più forti. Nell’ultimo scorcio del secolo passato, infatti, è venuta a profilarsi la cessione di settori significativi della sfera pubblica, una volta amministrata direttamente dagli apparati dello Stato. Per colmare il vuoto si sono fatte avanti le istituzioni private che, in cambio di costose remunerazioni, hanno supplito le agenzie statali nella cura degli individui. Bauman evidenzia che, rinunciando al proprio ruolo di garante, lo Stato governato dai politici con orientamento liberista ha prima deteriorato l’ottimismo dei cittadini nel risolvere collettivamente i problemi dell’esistenza, per poi dilapidare il patrimonio comune senza del quale vengono a mancare le risorse per prospettare un futuro migliore. Ardua si fa dunque la risoluzione dei problemi quando scompare la figura equilibratrice di un arbitro che, come è avvenuto dall’istituzionalizzazione del welfare in avanti, ha l’autorevole compito di intervenire per utilizzare il progresso scientifico e la crescita economica al fine di ridistribuire la ricchezza prodotta dalla nazione, estendendo a tutte le classi sociali l’opportunità di ridurre i disagi materiali. L’autore conclude coerentemente la ricostruzione del contesto sulla pervasività delle paure contemporanee annunciando l’incipiente crepuscolo della democrazia nei paesi in cui malauguratamente la figura dello Stato nazionale, sopraffatta da sfuggenti e dispotiche entità sovranazionali, dovesse rinunciare a difendere la libertà, i diritti, la giustizia sociale e il benessere economico dei cittadini, che si vedrebbero di conseguenza costretti ad arrangiarsi istintivamente in una lotta di tutti contro tutti. Egli ammette che l’Occidente si è da tempo avviato su questa strada e, con il suo inventario sulle radici della paura, in questo libro individua nella fallace ricerca del capro espiatorio (gli immigrati, il fanatismo religioso degli islamici, il terrorismo internazionale) il pericoloso segnale della deriva verso una svolta autoritaria. Ciò nonostante, senza lasciarsi prendere dalla rassegnazione, non rinuncia ad offrire spunti di riflessione utili a smascherare il groviglio delle dinamiche che, in concomitanza con l’inasprimento della lotta per la sopravvivenza, forniscono pretestuosi motivi ai conservatori per consolidare la loro leadership. Certo: l’analisi di Bauman induce al dell’accumulo dei beni di consumo si rivela una logorante corsa verso l’illusione, perché la promessa dell’appagamento difficilmente viene mantenuta. Anzi, differentemente dalle precedenti forme di vita, la società dei consumi non mira alla durevole soddisfazione dei bisogni, quanto piuttosto a incrementare la smania di ottenere la versione più aggiornata e seducente del prodotto messo in vendita. L’industria del consumo senza freni, per non fermarsi, ha quindi inaugurato sia l’obsolescenza programmata dei beni offerti che la speculare insaziabilità dei consumatori, i quali vengono costantemente stimolati a eccedere nel desiderare, scegliere, spendere. In altri termini: a elevarsi all’entusiasmante rango di prodighi clienti, organicamente inseriti in una successione edonistica di opzioni che regala gratificazioni momentanee, cui subentra la frustrazione quando all’appropriazione non corrisponde la suggestione simbolica e immaginifica della pubblicità. Si tratta di un esito paradossale ma verosimile, che emerge dal prospetto configurato da Bauman e si abbina in maniera complementare alla sua tesi esposta nel libro sulla paura liquida, perché il mancato raggiungimento del traguardo, ingannevolmente prospettato dal modello consumistico, concorre a mantenere un febbrile stato di tensione nell’acquirente, che lo rende inquieto e lo avvicina a quello stato di apprensione temibilmente prossimo alla condizione di individuo emotivamente smarrito, pronto perciò a fidarsi incautamente di consigli astutamente eterodiretti. StrumentiCres Settembre 2009 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Il lontano presente: l’esperienza coloniale italiana Storia e Letteratura tra passato e presente Anna Di Sapio - Marina Medi, EMI, Bologna 2009 a cura di Gianluca Bocchinfuso C’è da sempre un approccio buonista e limitativo nell’insegnamento della storia coloniale italiana in tutti gli ordini scolastici. A questo si unisce la superficialità con cui l’epopea coloniale del nostro paese è stata affrontata in discussioni televisive e sui giornali. Non è un caso che, in appendice a questo libro, Anna di Sapio e Marina Medi (entrambe formatrici del Cres di Manitese) pubblicano i risultati di un questionario somministrato ad un campione di studenti di scuole di Milano e i numeri sottolineano la confusione di tempi, di modalità e di luoghi che caratterizza l’apprendimento riguardo a questi temi e a queste problematiche. Se non si parte da questa base oggettiva, non si riesce a capire la metodologia con cui le due autrici hanno costruito questo libro, in cui la letteratura dialoga con la storia ed entrambe ci permettono di capire cosa non va nell’insegnamento di questi periodi storici e nel modo in cui si ragiona sulle conseguenze che l’occupazione italiana ha determinato. Tenere in un unico volume un’indagine letteraria (aperta, romanzata e legata alla soggettività degli autori) e un’indagine storiografica (oggettiva e basata su fonti riscontrabili) non è operazione da poco perché spinge a pensare a “due libri” legati insieme per forza. Invece, c’è un filo rosso che unisce tutte le parti del libro in modo coerente e lineare: la letteratura permette di stimolare l’immaginario e la fantasia che trovano poi riscontro nell’oggettività dei fatti storici, delle loro cause, delle loro conseguenze e dei protagonisti. Non è un caso che i testi letterari (che tengono insieme, su un piano comparativo, le voci di scrittori migranti provenienti da quei paesi e autori di origine italiana) sono stati presentati con ampi stralci mirati che permettono un’idea ampia e il più possibile varia di queste storie e di questi contenuti, permettendo di avere un proprio punto di vista. In alcuni di questi brani c’è la visione dell’epopea coloniale italiana caStrumentiCres Settembre 2009 povolta: “gli italiani brava gente” vengono sostituiti da storie ed episodi crudi, da vite spezzate, da famiglie separate, da sentimenti deformati. Un ribaltamento del punto di vista che permette a noi italiani di interrogarci su quelle pagine di storia mai lette nella loro complessità; un approccio diverso che serve a disegnare in modo più corretto quello che è accaduto e come è accaduto. Alle pagine di letteratura si uniscono quelle di ricostruzione storica che, tra Ottocento e Novecento, prendono in esame tutti i momenti dell’avventura coloniale italiana (prefascista - fascista - postfascista). In questi capitoli vengono evidenziate ampiamente le censure e le polemiche che dalla seconda metà del Novecento hanno caratterizzato la ricerca storica sul colonialismo italiano in Africa: uno stato dell’arte che fa di quei diversi periodi storici momenti ancora da studiare ed analizzare in modo ampio e completo. Questo presa di posizione permette alle autrici di sottolineare i limiti dell’insegnamento della storia riguardo a questi temi. Una dimensione molto limitata e spesso fuorviante che lascia spesso ampio spazio a stereotipi e a un immaginario in cui l’italiano è stato artefice di civilizzazione e di modernizzazione di quelle terre senza mai procurare dolore e morte, anche durante l’epoca fascista. Un vuoto storico che è presente in molti libri di testo e, di conseguenza, nello studio di molti studenti che ignorano una parte della storia del nostro paese. Perché è importante conoscere pienamente questa storia? Innanzitutto, avere la possibilità di una nuova visione del tempo e della storia, anche in relazione al fatto che oggi il nostro è un paese di forte immigrazione e conoscere quello che siamo stati e cosa abbiamo fatto permetterebbe un ribaltamento anche del nostro modo di relazionarci verso l’immigrato e verso i suoi bisogni, nel momento in cui arriva nel nostro paese. Inoltre, la conoscenza piena di questi fatti storici ci dà consapevolezza del nostro passato per leggere correttamente il presente, sempre cangiante e confuso nella sua comprensione globale. Le due autrici tracciano anche delle piste di cambiamento dell’insegnamento-apprendimento della storia, sottolineando l’importanza della messa in discussione del canone, tutto centrato sull’Europa (o almeno una parte di essa) con un’esagerata sottolineatura dell’elemento nazionale in chiave positiva. È una pratica di insegnamento che tratta il presente come logica conseguenza del passato, come se quello che è successo dovesse giustificare (per forza e positivamente) l’oggi. «Nella realtà attuale - scrivono le autrici - non di nazionalismi c’è bisogno, ma di un’ottica interculturale che permetta di riflettere sull’identità personale e collettiva, sulle somiglianze e differenze tra le culture, sui risultati degli incontri e scontri tra gruppi umani e popoli; che insegni a riconoscere che la realtà è plurale e che in ciò risiede una grande ricchezza; che dimostri che le culture non sono statiche, ma il prodotto storico di molteplici scambi; che metta in guardia sui risultati che derivano dall’insistere su una presunta purezza etnica e culturale, così come dal travestire da “scontro di civiltà” le tensioni sociali derivanti dagli squilibri socioeconomici globali del nostro tempo. Questo comporta la necessità di rivedere i contenuti del canone, centrati sulla nazione o sul mondo occidentale, per imparare a leggere il passato in dimensione mondiale, utilizzando tra l’altro anche le storiografie non occidentali, per arrivare a letture incrociate di fatti e processi» (pag. 263). Questo ragionamento porta alla proposta delle due autrice: insegnare la storia attraverso la didattica per temi e problemi che permette di riflettere su un argomento che abbia implicazioni nel presente in chiave storica utilizzando strumenti e approcci diversi. Per quanto riguarda il tema del colonialismo, nella parte finale del libro, insieme ad bibliografia e sitografia, sono proposte delle indicazione per un percorso didattico da sviluppare in una classe. 41 Anna Di Sapio Avevo appena finito di leggere Pellegrinaggi persiani: viaggi attraverso l’ Iran di Afshin Molavi quando in libreria ho notato La casa della moschea di Kader Abdolah. Ricordando il piacere provato nel leggere Il viaggio delle bottiglie vuote (primo romanzo di questo autore tradotto in italiano da Iperborea) l’ho comprato, ho iniziato a leggerlo rimanendone subito catturata. Entrambi questi libri mi hanno non solo permesso di capire meglio questo paese e la sua storia, ma me lo hanno reso famigliare tanto che, quando a Teheran hanno iniziato a manifestare per contestare l’esito delle elezioni, mi sono sentita coinvolta in modo più diretto e partecipe rispetto al passato, mi sembrava di riconoscere in quei giovani, in quelle donne e uomini scesi in piazza, i personaggi di Abdolah e Molavi. Due libri, due autori che ci raccontano un paese lacerato tra l’aspirazione alla libertà e il potere religioso degli ayatollah. Ma andiamo con ordine. Molavi, giornalista americano arrivato negli Stati Uniti dall’Iran nella prima infanzia, tra il 1999 e il 2000 va alla scoperta delle sue origini, e lo fa in modo originale decidendo di vivere nel paese per più di un anno,scegliendo come tappe del suo viaggio, luoghi cari agli iraniani perché sede di santuari o sede di monumenti a uomini illustri del passato millenario della Persia. Un anno d’incontri, favoriti dalla conoscenza della lingua farsi e della cultura iraniana, che Molavi racconta con la precisione del cronista e la passione dell’innamorato. “Questo libro – scrive Molavi – parla dell’Iran e degli iraniani. Per oltre un anno ho viaggiato attraverso questa terra antica, sofisticata e tormentata per osservare, ascoltare, discutere, pensare e scrivere. Ho percorso migliaia di chilometri e visitato oltre venti città e villaggi. Alle migliaia di iraniani che incontravo rivolgevo una sola richiesta. “Raccontatemi la vostra storia” domandavo, e loro mi accontentavano. Le storie erano edificanti, istruttive, irritanti, esilaranti, tragiche, trionfali, tristi, meravigliose o terribili. (…) Come giornalista ho osservato con 42 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ NARRATIVA Miniature persiane attenzione la politica, come viaggiatore, scrittore e cultore della storia iraniana ho seguito il sentiero della cultura, perché sebbene la politica abbia la capacità di dominare il presente, la cultura mi appare una guida migliore per il futuro. La storia dell’Iran è costellata da imprese politiche che si sono risolte in altrettanti fallimenti, ma la sua cultura ha dato frutti duraturi. Chi studia la cultura iraniana, in effetti, ne ricava una visione del paese diversa da quella di chi ne osserva la politica: spesso è più ottimista, più speranzoso.” Assieme a Molavi il lettore si trova a visitare città e località mete di pellegrinaggi: la tomba di Ciro il Grande a Pasargade, il sacrario del poeta Firdusi a Tus, la tomba del poeta Hafiz a Shiraz, il sacrario di Nishapur che ricorda i caduti della disastrosa guerra contro l’Iraq tra il 1980 e il 1988, il mausoleo di Khomeini lungo l’autostrada che da Teheran porta a Qom, “l’antico centro religioso dell’Iran, sede dei seminari sciiti più prestigiosi del paese”. Molavi viaggia da Nord a Sud, da Est a Ovest. Ogni tappa gli permette di entrare in contatto con iraniani di diversa estrazione sociale e culturale (tassisti, commercianti, giornalisti, politici integralisti e riformatori, abitanti dei quartieri poveri delle città, agricoltori, veterani e invalidi della guerra, studenti, teenager, giovani smaniosi di emigrare in occidente) di ascoltare le storie che gli raccontano a cuore aperto, con linguaggio franco, che spaziano dalla disoccupazione alla politica, dalla libertà alla religione, dalla poesia alla storia, dalla politica alla religione, da internet alla rivoluzione islamica, ai rapporti con l’Occidente. Parlano liberamente e apertamente perché avvertono in Molavi il desiderio di conoscere e la disponibilità ad ascoltare, senza pregiudizi e senza la voglia di emettere giudizi. Nel corso del viaggio e dei tanti incontri che fa, Molavi rintraccia la storia millenaria della Persia e offre un quadro della realtà attuale nelle sue varie sfaccettature. “Al terminal Hossein e io ci salutammo. (…) Ci dicemmo semplicemente addio. Lui sapeva che l’Iran mi aveva stregato. Sapeva che sarei tornato.”. Un libro che riesce a penetrare l’anima dell’Iran di ieri e di oggi offrendo al lettore la possibilità di compiere il viaggio di scoperta assieme al suo autore, trasmettendogli tutta la sua carica emotiva e l’amore che nutre per il paese. Kader Abdolah è uno pseudonimo, formato dai nomi di due amici uccisi negli anni della repressione komeinista. Nato ad Arak nel 1954, avrebbe voluto fare studi letterari ma “in Iran quando si hanno dei buoni voti si viene orientati verso la fisica o la matematica. Ho pianto quando ho dovuto iniziare la fisica. Ma quando ho terminato gli studi vedevo il mondo in un altro modo e non li ho mai rimpianti”. Nel 1972 inizia a studiare fisica all’università di Teheran e ben presto diventa militante del movimento studentesco di rivolta, che combatte prima lo scià e poi il regime degli ayatollah. Nel 1985 è costretto a lasciare il Paese, si rifugia in Turchia fino a quando una delegazione olandese delle Nazioni Unite approda ad Ankara e l’Olanda lo accoglie come rifugiato politico. “Per un anno mezzo ho traversato la Turchia un po’ spaesato senza sapere dove andare. Non riuscivo a credere di essere un espatriato. Non pensavo che a rientrare al mio paese, ossessionato dal mio sogno di diventare scrittore.” Il suo amore per la letteratura nato negli anni della preadolescenza è influenzato dal ricordo del bisnonno, Hossein Sadjadi Ghaemmaghami Farahani, poeta e uomo politico assassinato nel 1875 dallo scià. La casa della moschea, uscito nel 2005, preceduto da Il viaggio delle bottiglie vuote, Scrittura cuneiforme, Calila e Dimna, Ritratti e un vecchio sogno, è stato votato dai lettori olandesi come secondo miglior romanzo mai scritto nella loro lingua. “Alef Lam Mim. C’era una volta una casa, una casa antica, che si chiamava “la casa della moschea”. Era una grande casa, con trenta-cinque stanze. Lì, per secoli, famiglie dello stesso sangue avevano vissuto al servizio della moschea. Ogni stanza aveva una funzione e un nome corrispondente a StrumentiCres Settembre 2009 prima in Irak e poi in Francia, attende la sua ora. All’interno della grande casa i vari membri assumono posizioni diverse, a volte contrapposte, i legami familiari che sembravano indistruttibili si lacerano. Di fronte agli sconvolgimenti rapidi, brutali, tragici che investono il suo mondo Aga Jan, uomo saggio ed equilibrato, vede crollare tutto quello in cui crede eppure non perde la sua visione serena della fede, non cede alla follia integralista, conserva la propria integrità morale, quella di un uomo pieno di comprensione e di umanità che resiste anche quando è costretto a vagare una notte intera alla ricerca di una tomba dove seppellire suo figlio Javad, uno degli studenti arrestati dalle guardie della rivoluzione e condannato a morte. Nessuno trova il coraggio di offrire una tomba a chi ha osato sfidare il potere degli ayatollah. In una prosa “limpida e poetica” Abdolah ci mostra dall’interno la vita privata degli iraniani, la realtà nelle sue mille sfaccettature. Un Iran prerivoluzionario quello della prima parte del ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ quella funzione, come la stanza della cupola, la stanza dell’oppio, la stanza dei racconti, la stanza dei tappeti, la stanza dei malati, la stanza delle nonne, la biblioteca e la stanza del corvo.” L’incipit del romanzo trasporta subito il lettore nella storia di questa vasta dimora secolare abitata da tre cugini, Aga Jan, ricco mercante e capo del bazar di Senjan, Alsaberi, l’imam della moschea e Aga Shoja il muezzin; sullo sfondo la storia dell’Iran degli anni ’60 alla vigilia dello sbarco dell’uomo sulla luna quando lo Scià intraprende l’opera di modernizzare il paese e occidentalizzare i costumi. La vita scorre tranquilla nella grande casa, dove sembrano riecheggiare atmosfere da Mille e una notte, le tradizioni sembrano ben radicate, il corso del tempo sembra immutabile. Ma la Storia conoscerà una brutale accelerazione, tutto comincia a cambiare, gli ayatollah cominciano ad infiammare gli animi contro lo Scià e l’americanizzazione della società, mentre la sua temibile polizia segreta vigila, sorveglia, spia, imprigiona e uccide gli oppositori. Intanto Khomeini, esule IRAN AL FEMMINILE Goli Taraghi, Tre donne, traduzione di Anna Vanzan, Edizioni Lavoro Figlia della borghesia agiata e colta Goli Taraghi ci offre uno spaccato della condizione umana, e di quella femminile in particolare, nel periodo più buio del regime khomeinista. L’autrice, che scrive in prima persona, vive con la famiglia momenti di grande crisi quando si insediano al potere i rivoluzionari. Nella sua casa lavoreranno come domestiche tre donne, le cui storie sono esemplari del clima di proibizione e di terrore che da allora incombe sulla società iraniana. a cura di A. Vanzan, Figlie di Shahrazàd, storia antologica delle scrittrici dell’Iran dal XIX ad oggi, Bruno Mondadori Le donne d’Iran scrivono da tempi lontani e non hanno mai abbandonato questa vocazione. Nonostante i successi internazionali di scrittrici iraniane esuli poco si sa delle colleghe rimaste a vivere e a scrivere – in lingua persiana – nel loro paese. Eppure, dall’instaurazione della Repubblica Islamica a oggi, la produzione femminile supera quella degli uomini, almeno per la narrativa. E il dibattito intellettuale si arricchisce quotidianamente anche grazie all’apporto delle pensatrici impegnate a vario livello nella vita sociale e politica Vanna Vannuccini, Rosa è il colore della Persia Il sogno perduto di una democrazia islamica, Feltrinelli Vanna Vannuccini, da anni corrispondente dall’Iran, ci conduce in molti dei misteri di questo paese giovane e sterminato, in un viaggio sempre delicatamente in equilibrio tra riflessione politica e curiosità culturale e sociologica. La Rivoluzione khomeinista nel 1979 ha cambiato per sempre gli equilibri geopolitici non solo dell’area mediorientale ma addirittura dell’intero globo e ha innescato la nascita di un radicalismo islamico che si è diffuso velocemente. Eppure è anche una nazione con una forte dinamica elettorale e aspirazione alla democrazia. StrumentiCres Settembre 2009 racconto, in cui la religione è vissuta in modo personale, intimo, che niente ha a che vedere con l’esasperazione fondamentalista che assumerà poi la rivoluzione khomeinista, oggetto della seconda parte. Un racconto che oscilla tra finzione e realtà, tra notazione etnografica e reportage giornalistico, presentandoci una miriade di personaggi, le due nonne arrivate a servizio della grande casa poco più che bambine, che sognano di poter fare il viaggio alla Mecca; Kazem Khan il poeta amato dalle donne; Faqri la moglie di Aga Jan esperta nel catturare gli uccelli per esaminarne il piumaggio e riprodurne nei tappeti i colori e i disegni; Ghalgal l’imam rivoluzionario che, nominato giudice da Khomeini, manda a morte anche i parenti più stretti; Alsaberi il vecchio imam della moschea tutto spiritualità e preghiera, sempre immerso nella lettura, sua moglie Zeynat e poi i giovani della casa, Shabbal, Javad, Ahmad, Nasrin, Ensi, il piccolo Lucertola, Qodsi... Anna Vanzan pensa che l’aspetto cronachistico e alcune ricostruzioni storiche finiscono per appesantire la seconda parte, mentre per Elisabetta Svaluto Moreolo, con questo romanzo Abdolah si conferma “non solo autore di grande raffinatezza espressiva, impegno etico-politico (...) ma anche fine tessitore di trame che avvicinano popoli e culture, visioni e linguaggi, in nome di valori universali e in una stimolante contaminazione di sensibilità e di sguardi.”. “Ho scritto questo libro per l’Occidente. Ho scostato il velo per mostrare l’Islam come modo di vivere… un Islam moderato, domestico, non quello radicale.” si legge nella quarta di copertina, e spesso nelle interviste Abdolah parla della sua scrittura come di un ponte che ci invita ad attraversare per “venire nei nostri villaggi, assaggiare il nostro cibo, ascoltare le nostre poesie. Vi porto a casa mia, (...) vi mostro la mia eredità persiana”, ma anche come mezzo per dare voce a chi non può farsi sentire. “In questi tempi difficili e duri, quando si combatte, quando si è divisi, quando si ha paura degli stranieri, nel tempo in cui c’è la guerra e il terrorismo, c’è solo un linguaggio per capirsi gli uni con gli altri, per raggiungerci, ed è la poesia e la letteratura. Solo con la letteratura, la poesia e le storie posso raggiungervi e voi potete capirmi.”. Riesce ad Abdolah - scrive Fofi - “il miracolo di raccontare in persiano e di scrivere in europeo” toccando nel lettore “le corde di una sensibilità artistica ed etica che è ‘politica’ in senso molto lato, ma pur sempre concreto, e di conquistarlo, di affascinarlo, di commuoverlo come capita a pochi scrittori contemporanei”. 43 Boris Pahor - Fazi Editore, 2009 a cura di Elisabetta Assorbi L’Autore, nato a Trieste nel 1913, è purtroppo poco noto in Italia. Nel 2008 è stato tradotto in italiano il suo capolavoro “Necropoli”, relativo alla tragica esperienza autobiografica di internamento nei lager tedeschi: per questo motivo, sull’onda delle mode letterarioeditoriali, capaci di creare best seller a tavolino, sulla quarta di copertina del romanzo di cui ci occupiamo oggi, ci sono ben sei giudizi critici giornalistici su “Necropoli” e non una parola su questo romanzo, scritto a Trieste nel 1963 ed uscito in prima edizione italiana solo nel gennaio 2009, per la traduzione di Martina Clerici. Si tratta di una storia d’amore e di ribellione, delicatamente descritta con una prosa ricca di descrizioni, pudica quando si sofferma sui rapporti amorosi, ed evocativa di luoghi e di sentimenti affettuosi, sicuramente autobiografici, verso il destino di uomini e donne segnati dall’ingiustizia. “…dicono di volerli sterminare come cimici che infestano gli appartamenti… Il fatto che questi parassiti si moltiplichino in questa città da dodici secoli non ha alcun valore.”. (pag. 100), scrive relativamente agli sloveni. È una pagina di storia d’Italia ignorata da tutti, anche dalla storiografia: una vera e propria pulizia etnica perpetrata dal fascismo alla fine degli anni Trenta nei confronti degli sloveni abitanti a Trieste e nelle zone di confine, “italiane e fasciste”, che costituì la prova generale delle fascistissime leggi razziali del 1938. Potrebbe essere chiamata “assimilazione forzata”, ma è diventata prima del secondo conflitto mondiale, l’annichilimento di tutto ciò che era sloveno, nelle istituzioni, nei villaggi e nelle scuole, nella lingua, che divenne clandestina perseguitata in tutte le sue forme. Ema, la protagonista, è figlia di un ferroviere trasferito da Trieste a Milano, come in una sorta d’esilio, perché non se ne era andato spontaneamente e che dice, senza capacità di rassegnazione “Gli sloveni, che al fronte avevano gettato le armi rifiutandosi di continuare a morire per l’impero austriaco, venivano ora cacciati dalle loro case; quanti invece sceglievano di rimanere vedevano bruciare le loro case di cultura e le biblioteche, sicchè stavano peggio di quanti erano stati co- 44 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ Qui è proibito parlare stretti ad emigrare” (pag. 145). Vicende molto tragiche della sua vita rendono Ema orfana e sola: anche la sorella, fascista ed incinta muore, col neomarito, proprio di ritorno dal proprio matrimonio, travolta dall’Orient Express. Quando Ema incontra l’uomo della sua vita, il resistente Danilo, costretto per legge a cambiare il suo nome in quello di Giordano, è già pronta psicologicamente ad entrare nell’organizzazione clandestina che cerca di contrastare la censura fascista: frequenta le messe clandestine in sloveno nella catacombale chiesa armena, canta nei cori sloveni a bassa voce organizzati in remote aule di un liceo, frequenta le lezioni, sempre segrete, di un gruppo di cultori della lingua, scrive copiandole, storie slovene su un foglio proibito. Ma è proprio Danilo, con i suoi discorsi ed il suo garbato affetto, che dà impulso alla sua larvata ribellione, che sfocia nella partecipazione all’azione rischiosa di consegnare anonimamente, per Natale, ai bambini sloveni dei villaggi di confine, dei libri di racconti e fiabe, perché possano segretamente mantenere la propria identità. I libri proibiti diventano la sua compagnia ed Ema conosce, anche attraverso la biblioteca segreta di Danilo, i poeti come Kosovel, chiamato “il cantore del Carso”. Quando, pur non volente, Danilo parte per il servizio militare nel sud Italia, Ema dimostra a se stessa e ai compagni di lotta un inatteso coraggio, “una responsabilità che le avrebbe permesso di intervenire nel cuore degli eventi” (pag. 259). Ad un certo punto, di fronte ai capolavori di Giotto della padovana cappella degli Scrovegni, raggiunta durante una missione clandestina di collegamento con la resistenza, accade ad Ema di pensare che “fosse un peccato che gli sloveni debbano provare sentimenti ostili nei confronti di gente la cui patria è così fittamente disseminata di cose stupende” (pag.271). In effetti, Ema è un animo romantico, che si rammarica che la Slovenia non abbia mai avuto dei capi capaci di un’azione unificatrice della comunità nazionale. Il suo coraggio le permette di affrontare l’inevitabile interrogatorio, seguito dalla detenzione nel carcere triestino, (tra le prostitute perché non c’è altro posto), con grande dignità e determinazione, che la spingono fino ad irridere il poliziotto che sfascia i libri sloveni, con un atteggiamento inaspettato forse anche a lei stessa. La consapevolezza raggiunta è poi anche speranza: prima o poi anche il fascismo, che ha distrutto la convivenza multietnica costruita dall’impero asburgico, come quest’ultimo, finirà. Nel testo sono state inserite note sui personaggi citati, sconosciuti al pubblico, come pure note sulla toponomastica, con la traduzione in italiano. Chissà se, sulla scia di eventuali curiosità d’approfondimento dei lettori su questa storia, relativamente recente, qualcuno si farà delle domande ulteriori, sul senso di questa (come di tante altre) “lingua tagliata”… La squadra fascista che occupò il palazzo del governo di Fiume (l’odierna Rjieka) nel 1923. StrumentiCres Settembre 2009 Africa tra identità e integrazione Il Festival del Cinema Africano, che si svolge annualmente a Milano, da alcuni anni riserva una sezione ai cortometraggi, che vengono presentati al pubblico, selezionati e premiati. Si tratta spesso di piccoli gioielli della durata di 20, 30 minuti il cui formato impone un linguaggio sintetico di grande suggestione narrativa, proprio per questo capaci di evocare atmosfere autentiche e raccontare piccole storie rarefatte in cui ogni dettaglio è significativo. Per queste caratteristiche possono essere utilmente proposti anche ad un pubblico di studenti italiani che abbiano scarsa consuetudine con la cinematografia africana o asiatica. I filmati che proponiamo sono in lingua originale francese e araba, sottotitolati in italiano, distribuiti in DVD dal C.O.E. (Centro Orientamento Educativo) che organizza il Festival. C’est dimanche! Francia /Algeria 2007 Regia: Samir Guesmi Versione: francese con sottotitoli in italiano E’ la prima domenica dalla fine della scuola per Ibrahim che vive solo con il padre in Francia. Il ragazzo ha frequentato, con scarso profitto, la seconda media, l’insegnante lo informa che non sarà ammesso in terza e dovrà orientarsi verso un corso professionale. Il ragazzo appare disorientato e preoccupato soprattutto per la reazione del padre: si chiude in sé stesso e, nel tentativo di rimuovere la frustrazione per l’insuccesso scolastico, preferisce il silenzio. Al parco incontra una coetanea da cui è attratto e incuriosito, le dà un appuntamento per il pomeriggio e torna a casa dove il padre vuole festeggiare… lo accompagna dal barbiere e gli acquista un vestito nuovo. Ibrahim capisce che il padre è orgoglioso di lui ed è convinto che sia stato promosso, non se la sente di deluderlo, sa che ha riposto in lui molte speranze. Dall’inganno nascono una serie di equivoci, ma alla fine l’uoStrumentiCres Settembre 2009 ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ CINEMA E TEATRO mo comprende la verità… Ibrahim scompare in cerca dell’amica: ha bisogno di confidarsi con qualcuno e le racconta l’accaduto. La ragazza si rivela matura e comprensiva, lo induce a riflettere sul suo comportamento e gli consiglia di chiedere perdono al padre. Fra i due si stabilisce una tenera intesa, Ibrahim prova amicizia e affetto, impara a conoscere e rispettare l’amica. Anche il rapporto con il padre si evolve: dal silenzio timoroso e imbarazzato al dialogo e alla fiducia. La domenica si conclude con la riconciliazione e l’inizio di una nuova consapevolezza che lo aiuterà a crescere e comunicare con gli altri. Francia dal 1965. Ha lavorato nel servizio di nettezza urbana e ora si trova alle soglie della pensione. Lo incontriamo proprio mentre va a comperarsi un abito nuovo per recarsi in Comune dove il Sindaco gli assegna un riconoscimento e una medaglia per la dedizione e costanza nel lavoro dimostrata in tanti anni di servizio. Con discrezione entriamo nella quotidianità di Ahmed. Lo seguiamo nei preparativi per la cerimonia: acquistato l’abito nuovo passa a salutare i compagni di lavoro con cui non condividerà più il tempo e la fatica quotidiana; prepara, davanti allo specchio, un breve discorso di ringraziamento; si fa ritrarre, indossando il vestito nuovo, in una foto che invierà al suo paese d’origine. La cerimonia rappresenta un breve momento di gioia e di pubblico riconoscimento che può essere immortalato in una fotografia, ma l’immagine che gli rimanda è effimera ed evanescente, lontana dalla dimessa solitudine delle sue giornate. Ahmed si riconosce, in quanto anziano pensionato, non più utile alla società in cui vive, si sente straniero in Francia nonostante i saldi rapporti stabiliti con i vicini di casa e le relazioni cordiali con i compagni di lavoro. Non sa se tornerà in Marocco: si sente comunque ormai lontano da Taroudant, dove forse preferisce non tornare a vivere, ma essere piuttosto rappresentato da una fotografia che attesti il successo ottenuto nella sua scelta migratoria. Questa storia minima, fatta di sguardi e silenzi più che di parole e azioni, è pervasa di malinconia resa attraverso un uso lento e intimo della cinepresa, comunicata allo spettatore con maestria dall’attore protagonista ripreso in primo piano. Il regista riesce a farci entrare in quell’atmosfera sospesa che appartiene a certi momenti della vita, in bili- Une place au soleil Marocco/Francia 2004 Regia: Rachid Boutounes Versione: francese/arabo con sottotitoli in italiano Il film presenta uno dei temi classici della cinematografia magrebina e più in generale africana, raccontando una storia di migrazione, legata, in questo caso, alla tematica della permanenza e al trovarsi, nonostante i molti anni vissuti all’estero, in bilico tra due mondi. Ahmed, il protagonista, è un uomo di circa sessant’anni, proveniente da Taroudant (Marocco), che vive in 45 La pelote de laine Algeria-2006 Regia: Fatma Zohra Zamoun Versione: francese/arabo con sottotitoli in italiano Il film della regista algerina Fatma Zohra Zamoun sviluppa in modo originale il tema della condizione della donna emigrata, in bilico fra sottomissione ed emancipazione dal potere maschile. Fathia e Mohamed sono algerini, immigrati in Francia con i loro bambini. Mentre Mohamed va a lavorare in fabbrica Fathia accudisce i figli e sbriga le faccende domestiche; è curiosa e aperta alla nuova realtà, ma amaramente scopre di essere reclusa in casa dal marito che teme possa “perdersi” nel nuovo mondo. Sulla vita familiare cala un cupo silenzio; lo sguardo di Fathia ci fa capire che qualcosa è cambiato nella sua relazione con il marito e che nella loro terra d’origine Mohamed era diverso. La svolta è stata segnata dal loro arrivo in Francia, dal loro ingresso in un modo culturale diverso, dal timore che tutto ciò suscita nel marito, che teme di perdere identità e ruolo. Per Mohamed il ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ co fra la nostalgia e il ricordo, momenti indicibili che pure sono alla base della percezione di noi stessi e della realtà presente. sistema di vita francese si pone come una minaccia all’integrità del suo equilibrio familiare, Fathia invece non ha paura, cerca di conoscere le vicine e stabilire quelle relazioni di amicizia che colmavano la sua vita quotidiana al villaggio. Grazie allo scambio di piccoli oggetti e doni riesce a stabilire un rapporto con la vicina, che si fa tramite con il mondo esterno. Un gomitolo di lana è l’oggetto simbolo che le permette di essere utile a sé e ad altre mamme che si rivolgono a lei per piccoli lavori. La solidarietà Persepolis lo sguardo di un’adolescente sulla società iraniana ed europea a cura di Laura Morini Il racconto a fumetti di Marjianne Satrapi, da cui è stato tratto l’omonimo film, è oggi disponibile in DVD e facilmente reperibile. Narra la storia personale e familiare dell’autrice costretta, per motivi politici, a lasciare il suo paese appena adolescente e ad affrontare da sola la vita in vari paesi europei. Di questa straordinario cartoon si è molto parlato, ma il bel film che ne è stato tratto ha avuto in Italia una distribuzione assai limitata, cogliamo dunque l’occasione per riproporlo all’attenzione degli insegnanti. Persepolis è certamente adatto a contestualizzare le attuali vicende politiche iraniane che hanno trovato ampia eco sulla nostra stampa. Le migliaia di giovani che hanno sfi- 46 lato per le strade di Teheran denunciando i brogli elettorali avallati dal governo in carica e rivendicando il rispetto dei loro diritti di cittadini, hanno comunicato a tutto il mondo un’immagine del loro paese assai diversa dalle de- tra vicine nasce dalla condi-visione del ruolo materno e anche il figlio maggiore Said aiuta la madre e ne condivide il bisogno di aprirsi e la gioia di nuove amicizie. Mohamed, chiuso nel proprio ruolo e nella propria solitudine, è sempre più lontano: anche le scene che lo riprendono sono cupe e silenziose mentre le due donne sono ritratte in inquadrature luminose accompagnate da un delicato e allegro commento musicale. Il film è giocato su questa decisa contrapposizione fra i generi: l’universo femminile è creativo, pieno di risorse, generativo di solidarietà e di alleanze. Quello patriarcale è incapace di mediare e foriero di conflittualità. Una provocazione certamente voluta dalla regista che si rivolge ad un pubblico magrebino, ma che può essere utile per decostruire stereotipi sulla donna musulmana e si presta ad una lettura trasversale della cultura maschilista. Il futuro è Said, cresciuto tra le maglie del dialogo e della solidarietà. Possono essere richiesti a: Centro Orientamento Educativo Via Lazzaroni, 8 - 20124 Milano Tel: 02 6696258 [email protected] finizioni stereotipate che fino a poco tempo fa ne offriva la politica internazionale, almeno in occidente. La stessa cruda foto che ha ritratto Neda, la ragazza uccisa dal proiettile di un cecchino “guardiano della rivoluzione islamica” durante una manifestazione, ha smentito ogni stereotipo sul diverso modo di essere donne nel mondo musulmano. La vicinanza fra gli studenti iraniani in rivolta e milioni di giovani nel mondo globale, appare evidente e significativa. Approfondire la conoscenza delle vicende politiche iraniane degli ultimi cinquant’anni offre l’occasione per riflettere sull’intersecarsi di differenze e somiglianze fra giovani che vivono in mondi un tempo lontani, oggi contigui e interconnessi. Per questo la visione di Persepolis può offrire ad una classe di studenti italiani un’opportunità preziosa per capire i motivi che spingono i giovani iraniani a ribellarsi, ma anche per guardare a sé stessi, ai propri atteggiamenti e comportamenti da una prospettiva diversa. Persepolis di Marijanne Satrapi, ed. integrale, Lizard, 2008 Regia: Vincent Paronnaud Distribuzione DVD: 01 Distribution StrumentiCres Settembre 2009 QUADERNI DIDATTICI Nuova collana CRESCENDO CRES - EMI ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ LE NOSTRE PUBBLICAZIONI 1) Arcipelago Mangrovia Narrativa caraibica e intercultura – Rita Di Gregorio, Anna Di Sapio e Camilla Martinenghi – pagg 256 - euro 12,00 Il quaderno cerca di fornire una panoramica della narrativa caraibica insulare dell’ultimo secolo per favorire il superamento di stereotipi e offrire chiavi di lettura e spunti di riflessione per l’educazione alla differenza. Le schede di presentazione degli autori e delle opere sono suddivise per aree linguistiche. Ipotesi di percorsi didattici. e strumenti utili per gli stessi, completano il testo. 2) All’incrocio dei sentieri I racconti dell’incontro – Kossi Komla-Ebri – pagg.192 - euro 10,00 I racconti di Kossi Komla-Ebri, ambientati in Africa, in Francia e in Italia, attingendo al vissuto quotidiano, parlano di amore, di viaggi, di nostalgia, di fierezza e di dignità e smascherano gli stereotipi con lo strumento dell’ironia. I temi dei racconti sono approfonditi dall’autore stesso nelle interviste e nei documenti della seconda parte, completata da un apparato didattico per un’educazione interculturale. 3) Cittadini under 18 I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza - Daniela Invernizzi - pagg.213 - euro 11,00 Il testo presenta un approccio globale alle problematiche dell’infanzia e dell’adolescenza e, dopo aver descritto lo scenario culturale generale, propone esperienze di processi partecipativi locali e globali e suggerisce stimoli educativi per lo sviluppo di attività di ricerca e di sperimentazione centrate sulla tutela e la promozione dei diritti delle giovani generazioni. 4) “La tela del ragno” Educare allo sviluppo attraverso la partecipazione – Michele Dotti, Giuliana Fornaro, Massimiliano Lepratti – pagg.238 – 2005 - euro 13,00 Questo Manuale pratico-teorico, frutto dell’esperienza sul campo degli animatori e delle animatrici del CRES di Mani Tese, analizza e decostruisce gli stereotipi più diffusi riguardo alla povertà mondiale e illustra tecniche di partecipazionee di coinvolgimento attivo utili per accompagnare i ragazzi verso la conoscenza e la comprensione critica delle problematiche attuali. 5) “Terra è libertà” La questione agraria in America Latina – Luca Martinelli, Annalisa Messina – pagg.144 – 2005 - euro 9,00 Terrà è il punto di partenza per riflettere sui concetti di latifondo, riforma agraria, migrazione, libero commercio, diversità biologica, risorse naturali, diritti dei popoli indigeni, movimenti sociali, assumendo un punto di vista interdisciplinare che spazia dall’ambito sociale a quello politico, economico, culturale. 6. Uno, nessuno, centomila (ir)responsabili. Itinerari didattici di educazione alla cittadinanza – Michele Crudo – pagg.160 – euro 12 - 2006 L’Educazione alla cittadinanza, anche in rapporto ai controversi modelli sociali che la nostra società propone, può diventare una pratica didattica per aiutare lo studente a capire l’universo degli adulti, a mediare tra gli opposti e arrivare ad un proprio punto di vista in un’ottica di mondialità. Alcune esplorazioni didattiche realizzate attraverso l’uso sistematico dello strumento filmico completano il testo. 7) Ri/conoscersi leggendo Viaggio nelle letterature del mondo. a cura di Rosa Caizzi - pagg. 256 - 2006 - euro 13,00 - NOVITÀ Un viaggio attraverso le letterature araba, nigeriana, sudafricana, indiana, afroamericana, cinese e la recente letteratura della migrazione può aiutare ragazzi e ragazze del Nord a stimolare la curiosità nei confronti della diversità, a combattere gli stereotipi sulle altre culture, a StrumentiCres Settembre 2009 indagare la contemporaneità di altri paesi, a guardare con occhi nuovi la loro realtà, a relativizzare il proprio punto di vista. 8) Perché l’Europa ha conquistato il mondo? - Massimiliano Lepratti – pagg. 124 -2006 – euro 10 L’Europa non ha conquistato il mondo per investitura divina, né in quanto civiltà superiore. Il capitalismo del Nord del mondo affonda le radici nello sfruttamento economico e nei contributi di pensiero e tecnico-scientifici di aree lontane. Il testo indaga la storia della costruzione di un sistema di squilibrio internazionale che non esisteva fino ad alcuni secoli fa, attraverso un approccio che integra i livelli politico, economico e culturale. A corredo carte storiche e un’appendice didattica. 9) Il cinema per educare all’intercultura - Marina Medi – 2007 – euro 10 E’ importante che l’educazione all’informazione e ai media trovi spazio in modo organico nella programmazione curricolare diventando strumento di cittadinanza e di comunicazione interculturale. Il testo suggerisce una serie di riflessioni metodologiche per un uso critico dei media, che parta da alcune cautele indispensabili quando si propone agli studenti un lavoro che utilizzi il cinema, e presenta piste di lavoro da realizzare nelle scuole e percorsi didattici già sperimentati che possono servire da stimolo. 10) L’economia è semplice - Massimiliano Lepratti 2008 - pag. 125 - offerta minima euro 5 Basta spiegarla con parole non tecniche e diventa comprensibile a chiunque. L’economia viene scomposta nelle sue parti elementari presentando di ciascuna il funzionamento , il collegamento con gli altri aspetti della vita, la dimensione globale che coinvolge i paesi del Sud e le fasce povere della popolazione mondiale. È la conoscenza dell’economia internazionale a farci comprendere più a fondo la realtà di oggi e a motivare al cambiamento degli stili di vita e delle scelte di consumo. 11) Il lontano presente: l’esperienza coloniale italiana - Anna Di Sapio, Marina Medi 2009 – pag. 284 TÀ NOVI offerta minima euro 5 Storia e letteratura tra presente e passato. Non può esistere futuro senza memoria. Il testo vuol essere uno strumento per rileggere pagine della nostra storia che abbiamo rimosso. Operazione particolarmente necessaria a scuola. Per coglierne la complessità non ci si può limitare ad un’analisi storiografica ma occorre mettere a confronto punti di vista diversi e utilizzare anche fonti nuove come romanzi e film. Collana CRESCENDO CRES - Ed. Lavoro 1) 2) 3) 4) 5) 6) Le migrazioni a cura di D. Barra e W. Beretta Podini – 1995 Percorsi interculturali e modelli di riferimento M. Crudo - 1995 Educare al cambiamento AA. VV. - 1995 La conoscenza dell’altro tra paura e desiderio M. Crudo - 1996 Lo straniero L. Grossi, R. Rossi - 1997 Letterature d’Africa. percorsi di lettura L. Bottegal, R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C. Martinenghi – 1998 7) Penelope è partita M. Crudo – 1998 8) Portare il mondo a scuola a cura di ONG Lombarde, IRRSAE Lombardia, Provveditorato agli Studi di Milano – 1999 9) La gatta di maggio R. Abdessemed - 2001 10) La sfida della complessità M. Medi – 2003 Noci di cola, vino di palma. Letteratura dell’Africa subsahariana L. Bottegal, R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C. Martinenghi – 1997 (fuori collana) OFFERTE SPECIALI (spese di spedizione incluse) ● IL VOLUME “NOCI DI COLA, VINO DI PALMA”, pagg. 480 - 5 euro ● 5 VOLUMI A SCELTA A - 10 euro ● 1 VOLUME - 3 euro RIVISTA STRUMENTICRES Quota annuale minima di 10 e per ricevere tre numeri Per richiedere le pubblicazioni: utilizzare il C/C postale n. 291278 intestato a Mani Tese, Piazzale Gambara 7/9, 20146 Milano. Scrivere in stampatello il proprio nome e indirizzo. Nella causale indicare il titolo delle pubblicazioni. Aggiungere e 3 per spese postali. Il ricavato servirà a sostenere finanziariamente le attività di Mani Tese in ambito educativo. 47