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musica un linguaggio per esprimere se stessi e per
Organismo contro la fame
e per lo sviluppo dei popoli
Editoriale
2
SPUNTI DI RIFLESSIONE
Autorizzazione del Tribunale di Milano
n. 6742 del 28 dicembre 1964
Insegnamento dell’economia e educazione
alla cittadinanza
Massimiliano Lepratti
REDAZIONE
PROPOSTE DIDATTICHE
3
Luigi Idili (direttore), Giulio Sensi (dir. responsabile), Angela Comelli, Cristina Coppo, Alberto Corbino, Mariarosa Cutillo, Rosy Iaione, Luca Manes,
Filippo Mannucci, Giovanni Mozzi, Erica Pedone,
Claudio Ragaini.
L’educazione letteraria per temi e problemi
Gianluca Bocchinfuso
GRUPPO REDAZIONALE PER
IL SUPPLEMENTO “STRUMENTI CRES”
MUSICA, UN LINGUAGGIO PER ESPRIMERE
SE STESSI E PER COMUNICARE CON L’ALTRO
13
L’estetica, l’arte e la musica
Enrico Strobino
14
Musica e intrecci interculturali
Piera Herrman
18
Portare le canzoni di Fabrizio De Andrè in classe
Massimiliano Lepratti
22
L’EDUCAZIONE
LETTERARIA
PER TEMI E PROBLEMI
Fare musica tra Italia e Venezuela
Manuela Caltavuturo
25
Gianluca Bocchinfuso
Musica, storia e arte dell’incontro
Giovanna Stanganello
27
Le canzoni come specchi, testi e fonti
Maurizio Gusso
29
I dentità e differenza: un percorso
Enrico Strobino
31
Racconti musicali (C. Boccadoro)
a cura di Anna Di Sapio
34
Danza e intercultura
Rosa Tapia
35
Donatella Calati (Segretaria di redazione)
Massimiliano Lepratti (Responsabile
di redazione) Gianluca Bocchinfuso
(coordinatore) Elisabetta Assorbi, Rita
Di Gregorio, Elena La Rocca, Laura Morini.
Hanno collaborato a questo numero:
Elisabetta Assorbi, Gianluca Bocchinfuso,
Manuela Caltavuturo, Michele Crudo, Anna Di
Sapio, Maurizio Gusso, Piera Hermann, Elena
La Rocca, Massimiliano Lepratti, Laura Morini,
Giovanna Stanganello, Enrico Strobino, Rosa
Tapia,
Gli articoli pubblicati rispecchiano il punto
di vista degli autori, non necessariamente
quello della Redazione.
Quando non specificato, gli autori sono
formatori CRES.
Realizzazione - Studio Mariano
Stampa - Tipolitografia Caravati
Direzione, redazione e amministrazione
Piazzale Gambara 7/9 - 20146 Milano
tel. 02/4075165 - fax 02/4046890
e-mail cres: [email protected]
Internet: www.manitese.it
7
“Strumenti Cres” 52 - Allegato al n. 462 di Manitese - Agosto/Settembre 2009
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 2, DCB Cremona”
In caso di mancato recapito reinviare all’ufficio di Cremona ferrovia detentore del conto, per la restituzione al mittente che si impegna a corrispondere i diritti postali.
RUBRICHE
Testi di supporto
Questo numero è stato realizzato
con il contributo di
MAE AID 8754
Identità e violenza (A. Sen)
a cura di Elena La Rocca
37
Paura liquida (Z. Baumann)
a cura di Michele Crudo
39
Il lontano presente: l’esperienza coloniale italiana
(A. Di Sapio, M. Medi)
a cura di Gianluca Bocchinfuso
41
MUSICA
UN LINGUAGGIO
PER ESPRIMERE
SE STESSI E
PER COMUNICARE
CON L’ALTRO
Narrativa
Miniature persiane
Anna Di Sapio
Nell’ambito di Mani Tese il CRES,
costituito da esperti ed insegnanti, cura
le attività di educazione allo sviluppo
in campo scolastico. Obiettivo
fondamentale della sua iniziativa
di ricerca e di innovazione didattica è
la diffusione di una nuova cultura dello
sviluppo e della mondialità nella scuola.
Realizzato in carta riciclata 100%
copert2/2009
1
Qui è proibito parlare (B. Pahor)
a cura di Elisabetta Assorbi
42
44
Cinema e Teatro
Africa tra identità e integrazione (COE)
45
Persepolis: lo sguardo di un’adolescente sulla società
iraniana ed europea
a cura di Laura Morini
46
Le nostre pubblicazioni
47
Strumenti cre 52
30-07-2009, 23:27
○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○
editoriale
S
iamo giunti a giugno, ed è tempo di bilanci. Il D. L. del 1/9/08 fu blandamente criticato all’inizio dello scorso anno scolastico.
Poi cominciò la protesta dei genitori e delle
maestre, seguita da numerose assemblee sindacali degli insegnanti e dalla mobilitazione
degli studenti. I protagonisti di quel movimento di opinione trovarono una sostanziale convergenza di vedute, che portò nelle piazze italiane milioni di persone in occasione
dello sciopero del 30 di ottobre.
Eravamo in tanti e, dopo anni di lotte sporadiche e parziali, la forza del numero dei
partecipanti ci trasmise fiducia ed entusiasmo. Finalmente eravamo usciti dall’isolamento e dall’oblìo: L’Onda degli studenti appariva travolgente e inarrestabile, mentre la
trasmissione per via informatica delle esperienze permetteva la comunicazione in tempo reale delle iniziative organizzate dalla fitta trama tessuta da Rete scuole. Per la prima
volta dopo una lunga fase di premeditata
disinformazione dell’opinione pubblica, il
dibattito sul rinnovamento dell’istituzione
scolastica era tornato a imporsi all’attenzione di tutti.
M
olti di noi non si facevano illusioni, ma
si confidava nell’istanza di interlocuzione che
non poteva più essere elusa, neanche da una
ministra scarsamente incline al dialogo. Invece non è andata così. Chi chiedeva il confronto è stato ignorato. Genitori, allievi e docenti sono stati pregiudizialmente etichettati come faziosi e quindi esclusi dall’esprimere il proprio parere sugli interventi di riforma in atto. Si è ripetuto di conseguenza ciò
che da tempo avviene regolarmente in Italia:
l’emarginazione di un’ampia aggregazione di
cittadini, pretestuosamente delegittimati da
rappresentanti politici che usano i posti di
governo non come luogo di mediazione tra le
varie componenti della società, bensì come
postazioni da cui esercitare funzioni di comando.
L
e ripercussioni di un tale atteggiamento
non hanno tardato a manifestarsi. In mancanza di un referente istituzionale con cui
confrontarsi costruttivamente, la mobilitazione si è lentamente esaurita in una sterile
contrapposizione, sancendo la separazione
tra l’impermeabile autoreferenzialità della
classe politica e una società civile impotente,
attraversata da alternanti impeti di indignazione. E’ una frattura che riproduce l’accentuata divaricazione tra una ristretta cerchia
di ricchi e un crescente strato di poveri, che a
sua volta riflette la rigidità di una struttura
gerarchica in cui è molto scarsa la mobilità
2
dalla classe dei disagiati a quella dei benestanti.
U
na così marcata polarizzazione sociale
danneggia il mondo della scuola, dove i tagli
di spesa provocheranno un depotenziamento
del servizio a scapito degli alunni che non
hanno nelle famiglie le risorse economiche
e intellettuali per supplire alla dequalificazione. Ne è una prova evidente l’aumento della percentuale delle bocciature su tutto il territorio nazionale. Di questo passo la
scuola, da luogo di integrazione e promozione sociale, si trasformerà gradualmente in
un’agenzia formativa predisposta ad assimilare gregariamente i modelli culturali dominanti.
Il rischio è reale, e i segnali premonitori
non mancano. Al rifiuto per “motivi di sicurezza” da parte dell’azienda milanese dei trasporti di assumere un marocchino, fa eco la
richiesta del permesso di soggiorno da parte di una preside di Padova ai figli di immigrati in attesa di essere ammessi all’esame
di maturità. Del resto, perché meravigliarsi
di questi impulsi segregazionisti, se il capitano che a maggio ha salvato 17 nordafricani
nel canale di Sicilia viene indagato per “favoreggiamento all’immigrazione clandestina”?
E’ una logica cinica e arrogante che, modellando i comportamenti sociali, sta penetrando abusivamente nella scuola, dove, ai
dirigenti scolastici che avevano osato sollecitare l’invio dei finanziamenti arretrati prima della chiusura dell’anno scolastico, la
Gelmini risponde non solo rimproverandoli
di non sapere gestire gli esigui fondi stanziati
per il pagamento dei supplenti, ma li invita
sprezzantemente a cambiare mestiere.
C
os’altro aggiungere, se non la reiterazione di un verbo che, dalla lotta al fascismo
fino all’appello lanciato dal giudice Borrelli,
è l’espressione di una pedagogia civile
inequivocabilmente laica nonché il simbolo
di una dimensione impegnata della vita, ovvero: resistere, resistere, resistere! Ciascuno come sa e come può: con sensibilità, intelligenza e determinazione.
Michele Crudo
Se apprezzi la rivista
aiutaci a sostenerne i costi.
È un investimento educativo!
Settembre 2009
StrumentiCres ●
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TESTI
SCOLASTICI
SPUNTI
DI RIFLESSIONE
MATERIALI SUL LAVORO MINORILE
Insegnamento dell’economia
e educazione alla cittadinanza
Massimiliano Lepratti
Premessa
Questo testo si divide in tre parti.
Nella prima parte vengono proposti alcuni principi per la didattica dell’economia in netta controtendenza rispetto a quelli abitualmente seguiti nell’insegnamento della disciplina all’interno delle scuole superiori italiane.
Nella seconda parte si prova a rispondere alla
domanda: “come l’insegnamento dell’economia può
contribuire ad educare alla cittadinanza mondiale?”con risposte che vertono attorno a un presupposto metodologico e uno contenutistico. Da un punto
di vista metodologico è infatti necessario che gli insegnanti nell’affrontare l’economia in classe si pongano anche finalità socio affettive, per dimostrare agli
studenti e alle studentesse che al dubbio “cosa c’entro io con l’economia?” è possibile contrapporre alcune risposte responsabilizzanti. Da un punto di vista contenutistico la proposta contenuta in questo
scritto invita a studiare l’economia secondo alcune
direzioni diverse da quelle tradizionali e in particolare: 1) come un fenomeno mondiale e non meramente nazionale o regionale, 2) come un insieme di
modalità per produrre e far circolare la ricchezza e
non come semplice sistema di circolazione di beni
scarsi, 3) come disciplina strettamente connessa alle
altre discipline sociali (non esiste un’economia scissa dalla politica e dalla cultura), 4) come disciplina
storica, in perenne mutazione nei tempi e nei luoghi
e non come insieme di dogmi matematici “scoperti”
tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Quest’ultimo
approccio in particolare permette da un lato di responsabilizzare le studentesse e gli studenti (“se l’economia cambia con i processi storici e se è legata a
scelte umane e non a leggi matematiche allora anch’io posso contribuire a mutarla”); dall’altro permette di superare la forte tendenza etnocentrica occidentale: riconoscere che quello neoclassico occidentale
è il pensiero economico dominante, ma non è l’unico
aiuta a prendere in considerazione pensieri e fatti
economici provenienti da altre storie ed altre culture. E questo non necessariamente per sostituirli ai
*
il presente testo sarà presente anche nel libro:
Educazione alla cittadinanza in azione a cura di Lorenzo Luatti
StrumentiCres Settembre 2009
canoni occidentali, ma per integrarli con altre riflessioni ad opera di uomini e donne che vogliono soddisfare i propri bisogni attraverso modalità diverse da
quelle dominanti (ad esempio l’economia del dono
non è sostitutiva rispetto a quella industriale, ma esiste e arricchisce i nostri sguardi).
La terza e ultima parte di questo scritto presenterà suggerimenti per percorsi didattici coerenti con
gli assunti esposti finora e ispirati da esperienze realizzate dal Cres e da Mani Tese.
di didattica
Principi
dell’economia
I principi che verranno elencati in questa prima
parte appartengono alla riflessione didattica generale e possono essere applicati anche in altre discipline. Il loro utilizzo nel campo dell’insegnamento economico è invece il frutto di un’elaborazione specificamente pensata per questo testo. Fatta questa premessa metodologica è possibile entrare nel vivo della materia.
Parlare di didattica di una disciplina significa
innanzitutto affrontarne l’epistemologia. In questo campo il primo dato che salta all’occhio è l’evidente etnocentrismo dell’insegnamento tradizionale: l’economia è presentata attraverso una selezione
non esplicitata di argomenti, atti per lo più a raccontare la realtà del Nord del mondo. La centralità dell’azienda, al di là di qualsiasi giudizio di merito, è un
riflesso di sistemi economici occidentali, tutti i lavori che permettono il più o meno faticoso mantenimento degli abitanti delle campagne del Sud del mondo (750 milioni di persone nella sola India) e delle
baraccopoli non sono considerati dalla disciplina tradizionale perché non possono essere regolamentati
secondo i canoni tradizionali del contratto di dipendente d’azienda (o di dipendente pubblico). Ma al
mondo i contratti di lavoro dipendente toccano una
piccola percentuale di lavoratori (e ancor meno sono
coloro che possiedono una posizione autonoma formalmente riconosciuta); senza voler negare l’importanza dell’azienda è evidente come essa sia uno degli
elementi significativi nel panorama economico mondiale, ma non il solo.
Parlare di didattica dell’economia significa in secondo luogo riflettere sulle finalità della disciplina.
Le finalità realmente perseguite dalla maggior parte
degli insegnanti (in modo più o meno conscio) sono
tese a canonizzare l’economia di mercato come modalità centrale della vita nazionale e internazionale,
e a presentare le varianti al “mercato” come distorsioni più o meno temporanee del modello puro. Uno
3
degli strumenti attraverso i quali la finalità viene perseguita è l’attribuzione del termine “economia di mercato” a fenomeni economici che hanno altre caratteristiche. L’esempio classico è il capitalismo: la parola
viene presentata come un sinonimo di “mercato”,
mentre gli storici dell’economia hanno più volte argomentato che quest’ultimo è il regno della domanda e dell’offerta, ossia di soggetti di forza più o meno
uguale che contrattano il prezzo di una determinata
merce, il capitalismo invece è il regno della distorsione, della possibilità di condizionare il prezzo prima
della contrattazione facendo ricorso a posizioni di
potere dovute agli appoggi politici, alla costituzione
di cartelli, di monopoli, alle disparità informative e
di forza tra il capitalista che compra o vende e la sua
controparte nella contrattazione.
Il terzo principio importante da non perdere d’occhio quando si parla di didattica è quello della competenza economica. Perché voglio diventare competente, ossia a cosa mi serve studiare economia? La
risposta più diretta è “studiare economia mi aiuterà a
trovare con relativa facilità un lavoro ben retribuito”.
Sarebbe sciocco negare totalmente la realtà che sta
dietro un’affermazione simile, ma sarebbe molto
riduttivo farla propria. La didattica non può accettare che una disciplina venga principalmente finalizzata ad obiettivi diversi dalla conoscenza, e deve
ricondurla a strumento per uno sguardo critico sulla
totalità dei fenomeni. Nel caso specifico l’economia
deve essere uno strumento di conoscenza dei diversi
modi di produrre e di far circolare ricchezza all’interno del pianeta, e del rapporto fra questi modi e la vita
concreta delle persone e dei gruppi sociali che lo abitano.
Il quarto principio è quello dei metodi. Come si
dirà più approfonditamente nel paragrafo successivo
è importante che l’economia sia proposta con attenzione sia agli aspetti cognitivi, sia agli aspetti socioaffettivi (lo studente/studentessa deve trovare una
risposta alla domanda “cosa c’entro io con tutto questo?”). Altrettanto importante è collocare l’economia
all’interno di uno studio interdisciplinare e di confine, che la colleghi con l’insieme della programmazione didattica (con storia e geografia in primis, ma anche con altre discipline sociali, nel caso in cui queste
siano previste); la storia in particolare offre numerosi ponti di collegamento per la contestualizzazione dei
concetti economici e per la presa di coscienza da parte di studenti e studentesse della storicità (che è il
contrario di naturalità e immutabilità) delle dottrine
economiche, comprese quella dominante1 . Infine da
un punto di vista metodologico è fondamentale che
lo studio della disciplina venga condotto con una continua alternanza fra lezioni tradizionali e momenti
laboratoriali; in pochi casi come nell’economia le possibilità di un lavoro di ricerca per i ragazzi e le ragazze si mostra così a portata di mano (tutto il tema dei
consumi giovanili, dall’abbigliamento sportivo all’alimentazione può facilmente diventare terreno di ricerca) ed è così indispensabile per un coinvolgimento
nello studio. E il coinvolgimento di studenti e studentesse nello studio di una disciplina è un requisito fondamentale perché questa possa diventare strumento
di educazione alla cittadinanza.
4
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L’insegnamento
dell’economia
può diventare educazione
alla cittadinanza?
L’economia è una scienza sociale poco considerata
all’interno dei percorsi di educazione formale e non
formale; anche negli istituti scolastici dove è inserita
all’interno dei curricoli, il taglio d’insegnamento privilegia approcci tecnici e settoriali. Eppure pochi
oggetti di studio hanno un peso così rilevante nel
definire le nostre vite quanto le azioni economiche
degli uomini e delle donne all’interno del pianeta: la
trasformazione concreta della natura in base alle esigenze umane e il soddisfacimento dei bisogni materiali su cui basiamo le nostre esistenze sono un campo di azione e di riflessione imprescindibile per il
genere umano. Affrontandoli da questo punto di vista molti temi economici possono essere utilizzati per
costruire percorsi di educazione alla cittadinanza
(mondiale). L’educazione alla cittadinanza può essere infatti considerata come una delle Educazioni
trasversali (insieme a quelle allo sviluppo, alla pace,
all’intercultura, all’ambiente ecc.) ossia come una
delle proposte formative che utilizzando gli strumenti
di più discipline, si costruiscono attorno a una
problematica giudicata cruciale per la convivenza
civile perché indicano rilevanze di temi/problemi,
suggeriscono possibili convergenze interdisciplinari,
invitano a una didattica progettuale e di ricerca, aprono la scuola al territorio.2
1
La cosiddetta dottrina classica viene abbandonata dopo
la crisi del 1929 e rientra in auge dopo la “crisi petrolifera”
del 1973-74. È uno dei tanti esempi con cui si può dimostrare il legame fra gli eventi storici mondiali e l’evoluzione del pensiero economico dominante.
2
Per la definizione delle Educazioni trasversali mi sono
valso delle elaborazioni di Marina Medi, formatrice del Cres
Mani Tese.
StrumentiCres Settembre 2009
L’insegnamento dell’economia può divenire uno
strumento di educazione alla cittadinanza mondiale
se ci si muove coerentemente verso una finalità
educativa chiara e se si seguono alcuni presupposti
contenutistici e socio affettivi che qui proveremo a
sintetizzare in quattro punti: a) la comprensione da
parte dello studente/studentessa dei meccanismi fondamentali dell’economia; b) la comprensione della
pervasività dell’economia nella vita individuale e collettiva; c) la comprensione della storicità dell’economia (che non è scienza esatta ma sociale); d) la comprensione dell’esistenza e della gravità delle disuguaglianze economiche, delle loro cause e della possibilità di intervenire per modificarle.
Questo scritto proverà ad indagare i quattro presupposti, inserendoli in alcune riflessioni generali
sulla didattica dell’economia e illustrandoli nell’ultimo paragrafo con esempi di possibili percorsi sul
tema.
a) La comprensione dei meccanismi economici fondamentali. Lo scopo dell’economia è studiare come gli uomini e le donne agiscono per soddisfare i loro bisogni di beni (dal cibo e dalle case fino
al più fatuo modello di cellulare) e di servizi (insegnamento per i figli, cure mediche, riparazione di
oggetti…). Il soddisfacimento avviene attraverso due
fasi: 1) la produzione dei beni e dei servizi (ad es. la
coltivazione di un alimento) e 2) la loro circolazione.
Spesso gli economisti si concentrano sulla circolazione trascurando la fase di produzione, il che oltre
ad essere un non senso (perché una cosa circoli deve
essere prodotta…), rende molto più astratta la trattazione. Il campo della produzione infatti è il luogo delle decisioni strategiche; scegliere cosa produrre (medicine o ciabatte luminose), e come produrlo (attraverso lo schiavismo o attraverso la cooperazione)
modifica radicalmente l’impatto sociale dell’economia. Molte volte l’insegnamento tradizionale della
disciplina attribuisce agli acquirenti (o “consumatori”) e ai loro bisogni la capacità di instradare le scelte
produttive. Questo può essere vero nei sistemi non
capitalistici, ma nel capitalismo industriale le cose
stanno diversamente: la forza dei produttori è tale da
creare un grande numero di bisogni indotti anche
grazie all’azione degli strumenti pubblicitari; la richiesta del consumatore sembra autonoma, in realtà è figlia di un processo di cui non controlla i presupposti.
Anche il campo della circolazione è più complesso
di quanto normalmente non raccontino i manuali di
economia tradizionali. In quei testi il mercato viene
presentato come l’unica modalità per veicolare i beni
prodotti. Ma innanzitutto una parte importante dei
beni e dei servizi prodotti non arriva al mercato, per
il semplice fatto che non diventa merce, ossia che non
viene venduto (si pensi alle persone che fanno l’orto
per sé e per i parenti, a tutte le casalinghe e ai rari
casalinghi che producono servizi di cucina e pulizia
per la famiglia…). E anche quella parte di beni e servizi che circola non è detto che lo faccia sempre e
ovunque con il meccanismo della domanda e dell’offerta, esistono i doni, esistono sistemi di distribuzione gestiti dallo stato o da un’autorità centrale (si pensi ai servizi pubblici, oppure all’immagazzinamento e
alla ridistribuzione di beni agricoli e artigianali presStrumentiCres Settembre 2009
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so alcune antiche civiltà…)
Un altro meccanismo fondamentale che occorre
comprendere per avere uno sguardo realistico sull’economia è l’interazione fra sottosistemi mondiali
in un unico macrosistema globale. Le società capitalistiche più evolute non sono autarchiche, ma acquistano lavoro e/o acquistano/vendono merci da produttori di società meno addentro al capitalismo. Il
contadino di una zona rurale del Sud del mondo può
aver acquistato un paio di ciabatte infradito da un
grande produttore industriale, così come un suo simile può essere stato recentemente impiegato da
un’azienda addetta allo smaltimento di rifiuti delle
società opulente. Comprendere la interrelazione
(diseguale) fra microsistemi economici diffusi nel
pianeta è una strada obbligata per capire la propria
posizione all’interno dell’economia globale e per sviluppare un’idea di responsabilità e di cittadinanza
mondiale.
b) La comprensione della pervasività dell’economia nella vita individuale e collettiva
Alla fatidica domanda dello studente/studentessa
“ma cosa c’entro io in tutto ciò” l’economia può dare
molte risposte, proponendosi in questo modo come
disciplina utile per l’educazione alla cittadinanza.
La risposta centrale verte sulle diverse funzioni economiche che ciascuno/a tra noi ricopre fin da età
molto giovani; da questo punto di vista nella società
capitalistica gli individui sono chiamati a tre funzioni principali: acquirente (o “consumatore” che dir si
voglia), risparmiatore e lavoratore; le prime due possono essere proprie anche di persone in età scolare.
L’acquirente svolge il compito di permettere all’azienda, piccola o grande, multinazionale o locale,
di trasformare in denaro i prodotti del suo lavoro,
riavviando un nuovo ciclo: denaro - acquisto di lavoro e di strumenti produttivi – produzione di merce –
vendita – denaro. E’ evidente che il consumatore tende ad acquistare principalmente sotto la spinta di un
riflesso dettato da attrattive estetiche e/o di prezzo,
ma è altrettanto evidente che diversi studenti e studentesse possono essere sensibili a ragionamenti del
tipo: “preferisci che il tuo denaro vada a finanziare
aziende che magari sfruttano il lavoro minorile e
adulto, inquinano l’ambiente, provocano l’esodo di
popolazioni indigene, oppure preferisci che il tuo
denaro vada a premiare imprese rispettose dei diritti umani come quelle comprese nel circuito del commercio equo e solidale?”. Un discorso simile può essere fatto relativamente al risparmio: far notare come
alcune scelte premino enti di finanza etica anziché
banche armate può essere un tasto capace di sviluppare prese di coscienza e di responsabilità anche nei
giovani risparmiatori. Più complesso è invece affrontare presso gli studenti di scuola secondaria, il problema del lavoro; complesso, ma non impossibile e
allo scopo nell’ultima parte di questo scritto viene
proposta un’esperienza didattica che illustra il tema.
c) La comprensione della storicità dell’economia. La disciplina economica viene tradizionalmente presentata sia nella pubblicistica, sia nell’insegnamento come un corpo di formule matematiche
intese a sintetizzare leggi ineluttabili del comportamento fra aziende, stati, consumatori ecc. Pagine
5
piene di algebra e di grafici cartesiani da un lato scoraggiano i non specialisti, dall’altro promuovono
l’idea che le leggi economiche possiedano una
assolutezza e un’immutabilità dogmatica: “esiste
un’armonia tra domanda e offerta”, “la preferenza del
consumatore orienta il mercato”; “qualunque distorsione alla concorrenza si ripercuote negativamente
su tutto il sistema”. Simili affermazioni presentano
le tendenze economiche come leggi universali e a-storiche, al pari della legge newtoniana sulla gravitazione.
Fortunatamente l’economia non ha la graniticità
(relativa) delle leggi fisiche, è una disciplina che descrive azioni decise da uomini e donne secondo linee
di tendenza che condizionano la libertà dei singoli,
ma non la annullano. Sono sempre le donne e gli uomini a fare l’economia e le sue “leggi”3 e sono sempre le donne e gli uomini a poterle mutare in qualsiasi momento, seppure il mutamento non sia né facile, né privo di resistenze. In questo senso l’economia
non sfugge alle “leggi” (qui il termine appare più corretto) della storia: ogni manifestazione sociale è figlia di un tempo e di un luogo; idee e modi di comportarsi che possono apparire assoluti ai protagonisti diventano relativi se immersi nel tempo storico.
Così le tendenze che regolavano i latifondi, le
encomiendas, i feudi e altre forme di organizzazione
agricolo - tributaria sono sicuramente apparse come
leggi immutabili a coloro che sono nati e vissuti nella
Francia del 1500 o nell’America latina del 1600, ma
oggi appaiono quasi ovunque un semplice momento
della storia economica. E meno male, perché altrimenti le tantissime ingiustizie che l’economia produce apparirebbero figlie di leggi eterne, rispetto alle
quali le riflessioni e le azioni dei cittadini non servirebbero a nulla. L’educazione alla cittadinanza non
avrebbe alcuno scopo nell’interessarsi di economia.
d) La comprensione delle disuguaglianze
economiche e della possibilità di modificarle. In un’ottica di educazione alla cittadinanza mondiale è bene sapere e far sapere agli studenti/studentesse che le ingiustizie economiche sono tantissime,
sono crescenti4 , e spesso sono ritenute fatti naturali,
sebbene in realtà siano eventi storici che mutano nel
tempo e che possono essere indirizzati in direzioni
diverse grazie all’azione organizzata delle donne e
degli uomini.
L’idea che l’economia muti e che anche le sue ingiustizie possano essere modificate è centrale per responsabilizzare le studentesse e gli studenti e stimolarne eventuali atteggiamenti e comportamenti diversi. Da questo punto di vista un approccio disciplinare fondamentale passa per l’analisi del ruolo di consumatore e di risparmiatore di ogni singolo/a studente/studentessa: in quale modo le scelte di consumo e
3
Coerentemente con quanto detto nelle righe precedenti useremo il termine “tendenza”, più corretto, al posto del
termine “legge” che presuppone universalità ed assolutezze
assenti dalla realtà del campo economico.
4
Nel 1800 la disuguaglianza fra il 20% più ricco della
popolazione mondiale e il 20% più povero era in un rapporto di 3 a 1; nel 1997 questo rapporto era salito a 74 a 1!
(fonte: UNDP, Rapporto sullo sviluppo 1999)
6
○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○
di risparmio possono ridurre almeno le ingiustizie
più gravi che ho studiato? C’entra qualcosa la scelta
di acquistare una scarpa made in Vietnam con lo
sfruttamento dei lavoratori in quella parte del mondo? Si può chiedere che i soldi spesi per acquistare
un oggetto non vadano a finanziare le multinazionali più inquinanti, le imprese meno rispettose dei diritti dei lavoratori, le imprese che fabbricano armi?
Suggerimenti
per percorsi di educazione
alla cittadinanza
Se il tema del consumo e del risparmio può essere
utilizzato all’interno di qualsiasi tipo di scuola, più
arduo è affrontare il tema del rapporto degli studenti con il lavoro. Da questo punto di vista l’interesse
dei ragazzi/e rischia di essere meramente teso ad ottenere con relativa facilità un posto di lavoro, possibilmente gradevole e ben remunerato. Ma l’idea di
separare il ruolo del lavoratore dal ruolo del cittadino va in direzione opposta agli obiettivi di questo
scritto; per educare alla cittadinanza mondiale attraverso l’economia ci pare necessario partire dalla responsabilità sociale del lavoro, iniziando dal lavoro
d’imprenditore che è quello in cui si concentra il
maggior potere (e di conseguenza la maggiore responsabilità).
All’interno delle attività scolastiche di Mani Tese e
del CRES sono stati creati e sperimentati percorsi di
simulazione di cooperativa all’interno di istituti superiori lombardi. L’idea che ha accompagnato l’elaborazione e la realizzazione di questi percorsi è stata
articolata in alcuni obiettivi:
- da un punto di vista contenutistico si è puntato a fornire elementi di conoscenza di una forma
di impresa, la cooperativa, che potenzialmente accoglie al suo interno valori di solidarietà e di responsabilità sociale. Lo studio ha seguito sia un taglio economico-giuridico, sia un taglio storico.
Sempre da un punto di vista contenutistico si è inquadrato lo studio della forma cooperativa all’interno di un excursus sulle caratteristiche principali dell’economia mondiale attuale: fortissime disuguaglianze nel reddito sia tra paesi, sia tra gruppi sociali, e disuguaglianze ancora maggiori nella concessioni di crediti (i paesi poveri risparmiano più soldi di
quanti non ne vengano concessi loro in prestito; in
questo modo di fatto finanziano le imprese dei paesi
ricchi). Questi momenti sono stati arricchiti dall’utilizzo di filmati, di tabelle ricavate dai rapporti del
Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite
(UNDP), di ricerche realizzate dai ragazzi/e.
- da un punto di vista pedagogico didattico
si è scelta quindi la soluzione della simulazione. E’
stato proposto alle ragazze e ai ragazzi di costituire
una cooperativa simulata, lasciando loro libertà rispetto all’oggetto dell’attività, ma sorvegliando affinché vi fosse la massima verosimiglianza giuridica
possibile nei diversi passaggi costitutivi. Una volta
approntata la cooperativa si è discusso con insegnanti
e ragazzi su quale potesse essere l’azione verso cui
impegnarla, ponendo il vincolo che in ogni caso queStrumentiCres Settembre 2009
sta presupponesse un rapporto reale con il territorio
(ad esempio facendo in modo che le ragazze e i ragazzi andassero ad informarsi presso una vera banca
di quali sono le condizioni reali affinché un’impresa
cooperativa possa ottenere un prestito).
Percorsi didattici di questo tipo non sono sempre
facili da realizzare, richiedono una progettazione
transdisciplinare che coinvolga quanto meno gli insegnanti di storia e di economia, impongono una
ridefinizione continua di cosa significhi “simulazione” e di quanto il lavoro della cooperativa possa invece svolgersi in termini reali (un esempio di realtà è
tenere un registro delle entrate ed uscite effettive avute dalla cooperativa: costo degli spostamenti avuti sul
territorio, numero di ore di lavoro impiegate nell’azione ecc.), ma sebbene costino fatica sono un esempio
di didattica per progetti capace di superare modalità
meramente tecnico-disciplinari e trasmissive nell’insegnamento dell’economia. Definizione degli obiettivi e loro discussione/ridefinizione continua,
PROPOSTE DIDATTICHE
○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○
interdisciplinarietà, utilizzo di fonti di ricerca che
vadano oltre il/i manuali, e pratiche di laboratorio e
relazione con il territorio sono tutte scelte che rompono con l’insegnamento tradizionale per muoversi
verso una didattica capace di usare coscientemente
la disciplina e la pedagogia. E capace di una progettazione rivolta ad educare alla cittadinanza.
BIBLIOGRAFIA
Lepratti Massimiliano (2008). L’economia è semplice.
EMI Bologna.
Medi Marina (2003). Sperimentare il microcredito nell’area di progetto. In “Strumenti CRES n° 35, ottobre 2003
(reperibile sul sito www.manitese.it)
Morozzi Matteo, Valer Antonella (2003). Economia giocata. EMI Bologna
(A cura di) Federcultura Turismo e Sport e Federazione
Trentina delle cooperative (Trento 1997). Guida all’educazione cooperativa nella scuola (www.coopscuola.it/Doc/
Guida.pdf)
L’educazione letteraria
per temi e problemi
Gianluca Bocchinfuso
Premessa
Questo percorso è stato svolto nell’anno scolastico
2008/2009 presso la Scuola Media Sperimentale “Rinascita-Livi” di Milano, dalla classe IIIB, durante le
lezioni di Italiano, da ottobre a giugno, per due ore a
settimana. Titolo del percorso: “L’educazione letteraria per temi e problemi”. Gli autori e le opere scelte appartengono ai secoli Settecento, Ottocento, Novecento che rappresentano il periodo storico di studio dei ragazzi di terza media. La classe era composta da ventitré studenti, di cui alcuni di origine straniera e due diversamente abili.
Fasi e modalità di lavoro
Il percorso è iniziato con la definizione di “Cos’è
una tematica?” e con la riflessione sulla linea del tempo (‘700-‘800-‘900) attraverso le maggiori correnti
StrumentiCres Settembre 2009
letterarie che caratterizzano questi tre secoli. Nell’ordine si è lavorato su: cos’è una tematica letteraria;
cos’è un motivo di una tematica letteraria; l’individuazione delle tematiche e dei relativi motivi; le
maggiori correnti letterarie del Settecento, Ottocento, Novecento (concetti, parole-chiave, autori); la
costruzione della linea del tempo relativa alle correnti
letterarie.
Ogni tematica - attraverso i testi proposti - è stata
affrontata: ragionando sui motivi ricorrenti; individuando concetti/parole-chiave, messaggio e scopo
dell’autore; commentando i testi; facendo riflessioni, comparazioni, attualizzazioni e analisi. Ogni autore è stato studiato attraverso la sua biografia essenziale e la contestualizzazione storico-letteraria.
Le metodologie usate sono state la lezione frontale, la lezione partecipata, i gruppi cooperativi, il lavoro individuale, le coppie di livello eterogeneo. Gli
strumenti: libro di testo, fotocopie, computer,
videoproiettore, lettore cd.
All’inizio del lavoro, ad ogni studente è stato chiesto di individuare una tematica da trattare spiegando “il perché” della scelta ed elencandone gli obiettivi. In un secondo momento, in cinque gruppi cooperativi, gli studenti si sono confrontati sulle singole
tematiche e hanno avuto come compito l’individuazione di una tematica per gruppo - con relativi
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○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○
guendo le stesse modalità di lavoro nell’ottica della
motivi - indicando anche una seconda scelta. Questa
formazione e autoformazione permanente.
fase preparatoria si è conclusa con la presentazione
delle tematiche individuate, l’esplicitazione della scelta e degli obiettiObiettivi e finalità
vi, l’individuaFuturo
zione dell’ordine
All’interno della programmazione di itadi trattazione. Le
liano
- che ha mirato a fornire agli allievi
Amicizia
Ragazzi
tematiche scelte
una serie di conoscenze di base ritenute
sono state nelutili per formare un cittadino consapevole
l’ordine: AdoleADOLESCENZA
e responsabile, capace di codificare e
scenza, Amicizia,
decodificare messaggi scritti e orali, di
O-dio, Razzismo,
comprendere, comunicare e trarre piaceOdio
Poesia con i more dalla lettura - tra gli obiettivi di questo
tivi sottostanti.
percorso troviamo: il rispetto e la collaboAmore
Cultura
razione; lo sviluppo della capacità di attenL’inizio di ogni
Adulto
zione, l’interesse, la partecipazione; la capercorso ha avupacità di ascolto; la capacità di raccoglieto un momento
Sesso
Litigi
Scelta
re, individuare e selezionare informaziodi motivazione:
ni; la capacità di riflettere sull’evoluzione
quello sull’Adodella lingua nel tempo e sulle sue struttulescenza con la
re; la capacità di esporre in modo chiaro, completo
consegna di un elenco di frasi anonime (vere, verosied organico; la capacità di produrre un testo corretmili, false) sull’adolescenza, la scelta individuale, il
to, ricco e rispondente allo scopo comunicativo; la
confronto in gruppo, il convenzionamento su cinque
capacità di riflettere su un tema e sui suoi possibili
frasi, la riflessione; quello sull’Amicizia, con la promotivi e significati; la caiezione di ventisette quadri in sepacità di riflettere su un
quenza continua e con la richieScelta
Amore
tema attraverso diversi
sta agli studenti di scrivere un teautori nel corso del temsto narrativo su “Cos’è l’amicizia”;
Adolescenza
po e della storia; la posquello sull’Odio, con la risposta
sibilità di riflettere su di
alla domanda “Odio perchè?” ;
Diversità
se stessi confrontandosi
quello sul Razzismo, con una dicon la voce degli autori
scussione sul pregiudizio; quello
AMICIZIA
nell’ottica della “costrusulla Poesia, con la risposta alla
zione” della propria perdomanda “Cos’è è per me la poesonalità.
sia e che ruolo occupa nella mia
Falsità
vita?”. Tutti questi lavori sono
Scommessa
Litigi
stati seguiti da una lettura in clasVerifiche
se condivisa. Ogni gruppo, “titoOdio
Impegno
lare” della tematica scelta, alla
Alla fine di ogni perfine del percorso ha presentato
corso tematico è stato asdei testi (letti a casa) all’intera
segnato un tema argoclasse, precedentemente assegnamentativo da svolgere a casa, utilizzando come fonti
ti dall’insegnante e valutati come produzione orale.
gli autori scelti. In classe, la verifica finale di due ore
L’assegnazione dei testi da presentare avveniva alè stata strutturata in tre momenti: comprensione
l’inizio del lavoro sulla tematica, con una brevissima
scritta di un testo non studiato con consegne coeillustrazione da parte dell’insegnante per aiutare gli
renti con quelle date durante il lavoro sugli altri testi
studenti ad entrare da subito nella lettura.
del percorso; conoscenza dei
Per tutta la durata delcontenuti con domande ragional’anno, in classe sono state sui testi studiati; metacoti affissi tre cartelloni con
Distruzione
Arte
gnizione per verificare la consala linea del tempo, le corpevolezza del percorso fatto e la
Lotta
renti letterarie e gli autocapacità di ricostruzione delle
ri con le opere che, man
fasi di lavoro.
Costruzione
mano, venivano utilizzati. Ogni tematica aveva
Esiti formativi
un colore diverso che la
ODIO
differenziava dalle altre.
Per l’intero secondo
Il percorso di Letteratura
Musica
Superiorità
Quadrimestre, il lavoro è
strutturato per temi e problemi
stato svolto in copresenza
- oltre ad avere registrato risulBullismo
con la seconda insegnantati globalmente alti, sia per
te di Italiano del Corso,
quanto riguarda le competenze
Poesia
Maria Matera, nell’ambiche le conoscenze degli studenti
to delle ore di L1-L2, se- ha stimolato la loro capacità di
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StrumentiCres Settembre 2009
○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○
riflettere sul presente
lo, la lingua, i collegamenti, la
utilizzando gli scrittori,
rielaborazione, l’argomentazione,
che non sono mai rimale discussioni - ma, nello stesso
Odio
Scelta
sti confinati in un ambitempo, è molto stimolante e perto di studio prettamente
mette di fare entrare la LetteratuDiversità
scolastico.
ra a testa alta in classe.
L’aspetto più interesUno degli aspetti che mi ha colRAZZISMO
sante è stata la capacità
pito è stato il vivo interesse degli
da parte della classe di
studenti per i testi che leggevano,
mettere in relazione i diPregiudizio
capivano, presentavano, con una
versi punti di vista degli
padronanza e sicurezza che, sicuCultura
Ignoranza
autori - di epoche diverramente, nel futuro, farà vedere
se - confrontandoli con i
loro i libri con
propri, in modo tale da
occhi diversi.
creare relazioni, riflesHo potuto veImmaginazione
sioni, paragoni, circoladere ragazzi e
rità. Questo fatto ha perragazze che, lenLibertà
Realtà
messo loro di leggere la realtà che vivono con
tamente, si sono
occhi diversi e con una maggiore consape“innamorati” di
volezza e senso di autocritica.
quello che legPOESIA
gevano, hanno
Conclusioni
messo in diSfogo
Bellezza
scussione le loro scelte e si soUn percorso del genere è sicuramente faStile
no lasciati anticoso sia per l’insegnante - la ricerca dei
Passione
dare al confrontesti giusti, la presentazione, la motivazione
to e alla discusall’inizio di ogni percorso, ecc. - che per gli
Esercizio
Inconscio
sione condivistudenti - lo sforzo di confrontarsi con autosa.
ri aldilà della comprensione del testo singo-
Tematiche letterarie: autori e opere
ADOLESCENZA
Goethe, Faust
Leopardi, L’infinito
Verga, Rosso Malpelo
Mann, Tonio Kroger
Morante, L’isola di Arturo
Ginsburg, Le piccole virtù
De Beauvoir, Memorie
di una ragazza perbene
Fenoglio, L’addio
Langtry, Adolescenza
Twain, Le avventure
di Huckleburry Finn
Frank, Il diario
Salinger, Il giovane Holden
Calvino, Il barone rampante
Fenoglio, Il partigiano Johnny
AMICIZIA
Leopardi, A Silvia
D’Annunzio, La pioggia nel pineto
Cardarelli, Amicizia
Christiana De Caldas Brito, Chi
Montale, Prima del viaggio
Hesse, Narciso e Boccadoro
Uhlmann, L’amico ritrovato
Pavese, La luna e i falò
StrumentiCres Settembre 2009
Ungaretti, Allegria di naufragi
Ungaretti, Lontano
Moravia, Quant’è caro
Levi, Cristo si è fermato
ad Eboli
Orwell, La fattoria degli animali
ODIO
POESIA
Verga, Libertà
Saba, Sonetto n. 3
da Autobiografia
Hajdari, Per voi uomini
dell’Europa che vi arrangiate
ogni giorno
Beccaria, Dei delitti e delle pene
Pasolini, Una vita violenta
Pasolini, Ragazzi di vita
Levi, Se questo è un uomo
Khouma, Io, venditore di elefanti
Ben Jelloun, Il razzismo spiegato
a mia figlia
Ledda, Padre Padrone
RAZZISMO
Ungaretti, San Martino del Carso
Ngana, Prigione
Pirandello, La patente
Methnani, Immigrato
Ali Farah, Madre piccola
De Caldas Brito, Qui e là
Neruda, La poesia
Ungaretti, Il porto sepolto
Ungaretti, Commiato
Palazzeschi, Il valore
della poesia
Foscolo, Alla Musa
Caproni, Concessione
Caproni, Sospiro
Corazzino, Desolazione
del povero poeta sentimentale
Byron, La profezia di Dante
Byron, Don Juan
Holderlin, Da Sofocle
Holderiln, Coraggio del poeta
Wordsworth, Epitaffio
di un poeta
Yeats, La maledizione
di Adamo
Yeats, A chi gli chiede
una poesia di guerra
Trilussa, La poesia
Merini, I poeti lavorano
di notte
9
La parola agli studenti
A
[…]
ttraverso la comprensione dei testi siamo riusciti a riflettere sulle varie sfaccettature che caratterizzano ogni tematica. […] Abbiamo imparato a riconoscere con meno difficoltà il messaggio comunicativo e il fondo morale del ragionamento dell’autore. Inoltre, siamo
riusciti ad articolare le nostre opinioni attraverso i temi
argomentativi e a cercare sempre una risposta anche in
un testo apparentemente “oscuro”, scoprendo che nel suo
profondo nasconde un immenso magazzino di domande
e risposte.
Oltre ad un’ampia panoramica letteraria, questi cinque percorsi - abbastanza difficili e articolati da affrontare ma anche molto piacevoli ed interessanti - hanno
dato a me e ai miei compagni nuove prospettive e punti
di vista. Infatti, spesso ho potuto paragonare l’autore a
me o le circostanze e le situazioni descritte all’ambiente
che mi circonda, cambiando anche il mio punto di vista
rispetto alle cose e mettendo in discussione le mie opinioni. Sono spesso entrata nel personaggio principale dei
brani letti e sono riuscita a capire che non sempre la vita
è come quella delle fiabe o dei film a lieto fine, ma può
essere molto più complicata, perché caratterizzata da
strade diverse che una persona è costretta a percorrere
per trovare quello spiraglio di felicità che ha sempre cercato.
In particolare, la tematica dell’Adolescenza - che io, insieme ad altri compagni, ho scelto - mi è stata di molto
aiuto. Questo perché, dopo la lettura di alcuni brani, mi
sono riconosciuta e rispecchiata nelle emozioni che provavano alcuni degli scrittori: sentimenti che non ho mai
liberato pienamente perché ho sempre avuto paura ad
essere giudicata dalle persone che mi circondavano e, addirittura, dalle mie stesse amiche. Grazie a questo percorso, però, sono riuscita ad affrontare queste paure, liberandomene in gran parte e ottenendo molta più sicurezza di quella che avevo in precedenza. (S. S.)
Q
uest’anno siamo riusciti a studiare ed imparare vari
autori e testi complessi inserendoli in specifici contesti di
riflessione. […] Il lavoro è stato ampio, in gruppo e a classe intera. […] Questo percorso è servito a tutti, anche a
chi si è impegnato di meno, perché è risaputo che leggendo anche solo degli stralci di testo si impara qualcosa di
importante. Sono molte le persone della classe che prima
di affrontare la tematica sul Razzismo erano in parte favorevoli a questo atteggiamento, ma dopo aver letto interamente i libri di alcuni scrittori migranti hanno completamente cambiato idea, perché per la prima volta si sono
messi nei panni di questi ultimi. Anche la tematica sull’Amicizia […] è riuscita ad aprirci gli occhi e a farci riflettere se le persone che sono al nostro fianco sono dei veri
amici o meno: infatti, dopo aver trattato questa tematica,
quando ci sono stati scontri, siamo riusciti, prima di tutto, a metterci in gioco come amici.
Da non tralasciare il percorso sulla Poesia, che ci ha
spinto a vedere le azioni quotidiane e tutto ciò che consideriamo monotono con un occhio diverso dal solito […]
permettendoci di scavare dentro ogni cosa e traendo dei
significati profondi che hanno reso questa tematica la
migliore a livello di apprendimento.
Anche le verifiche finali del percorso sono risultate interessanti e articolate, divise in varie parti: […] nella terza, la mia preferita, dovevamo ragionare sul percorso svolto in classe, analizzando autori e testi letti in chiave
metacognitiva. […]
Questo percorso è riuscito a cambiarci, a cambiare in
nostri pensieri e, per molti, a stabilire un nuovo punto d’arrivo. (D. C.)
A
[…]
bbiamo fatto, in Letteratura, davvero un bel
lavoro! È stato come un viaggio nel tempo. […] Si è aper-
10
○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○
ta a noi una vasta e interessante panoramica letteraria
che tutti abbiamo apprezzato. […]
L’Adolescenza è stata molto intensa ma anche curiosa
e piacevole. A me è piaciuta molto la dedica di inizio del
Faust di Goethe. Parla della gioventù, della nostra formazione e della potenza delle nostre emozioni e sentimenti. Di Leopardi, mi rimangono i versi de L’Infinito,
con quell’andar del tempo, quelle “morte stagioni” che
mi hanno spinto a riflettere tanto. Di Italo Calvino abbiamo affrontato Il Barone rampante che descrive perfettamente l’animo e le tensioni di molti giovani in questo periodo, seppur esasperando l’animo ribelle e l’ambito borghese. Molte situazioni familiari si presentano
simili anche al giorno d’oggi.
Nel percorso sull’Amicizia, mi hanno colpito Narciso e
Boccadoro di Hesse, Prima del Viaggio di Montale e La
pioggia nel pineto di D’Annunzio. Il senso, a volte implicito a volte esplicito, è che ogni amicizia è un piccolo viaggio dove l’aprirsi e il comunicare stanno alla base della
sincerità, della fiducia e di un rapporto limpido. Mi ha
colpito la serietà e profondità con cui il sentimento di
amicizia è trattato nei testi. Ognuno vive l’amicizia diversamente e le emozioni variano da persona a persona.
Per la tematica dell’Odio, i testi di Hajdari, Saba e
Pasolini ci hanno permesso di andare in profondità e di
anticipare anche alcuni motivi legati al razzismo. […]
L’odio può essere scatenato da più ragioni, come la costante assenza del padre, l’emarginazione, la sottomissione. […] abbiamo concluso che si può fare di questo
sentimento sia un uso costruttivo che distruttivo. Le parole “odio costruttivo” suonano strane, è vero, ma il senso è di usare l’odio come risorsa. Hajdari, per esempio,
ci spinge a riflettere sul fatto che l’uso dell’odio come disprezzo può diventare costruzione di qualcosa di nuovo
e di solidale, usando la conoscenza e il confronto con l’altro. È un concetto difficile da capire e soprattutto da praticare, però, io e i miei compagni lo abbiamo appreso
solo grazie alla presenza di questa poesia e di questo
“viaggio” letterario.
Nella tematica sul Razzismo, alcuni scrittori migranti
StrumentiCres Settembre 2009
hanno vissuto sulla loro pelle il razzismo in prima persona. I loro testi comunicavano, infatti, il sentirsi inadeguati, non rispettati e senza diritti. Nel testo di Levi, invece, emerge il discorso legato allo sterminio degli ebrei
e ai traumi psico-fisici persistiti nei “salvati”. […] Abbiamo concluso che un pregiudizio razzista nasce dalla paura verso colui che non si conosce, in molti casi lo straniero. Alcuni pensano che il razzista sia una persona debole: io non lo penso, ma condivido il fatto che razzisti non
si nasce ma si diventa. Il disprezzo riguarda anche i diversi modi di pensare e gli stili di vita.
Infine, abbiamo affrontato la Poesia: penso che chiunque apprezzi il mondo poetico avrebbe potuto trovare
molto interessante questa tematica. Abbiamo parlato e
discusso sul come i poeti vivono la poesia. […] Di Neruda
abbiamo letto un testo in cui descrive il suo primo incontro con la poesia: la confusione e la meraviglia di trovarsi davanti a tanta bellezza. Scrive che la poesia l’aveva
cercato […] in fondo quando uno ha l’ispirazione sono
più le parole che trovano lui che il contrario. La cosa “difficile” è riuscire ad esprimere esattamente ciò che si vuole […] e la poesia giunge più profondamente se ben compresa.
Alla fine di questi percorsi a me è rimasto molto, da
poter riutilizzare in futuro e da “tenere stretto” come arricchimento personale. Penso che ognuno possa ritenersi soddisfatto dopo aver trovato qualcosa in cui lo studio
non è un peso. Tutti i ragionamenti sui testi non erano
studio vero e proprio ma più che altro un mettere in gioco i propri pensieri e le proprie idee. Penso che, dopo un
lavoro simile, chiunque di noi abbia nutrito, almeno per
un momento, una vaga curiosità e interesse nei confronti della Letteratura.
Dirò di più, io altri miei compagni abbiamo deciso di
fare la tesina d’esame su una tematica letteraria, ampliando e articolando i motivi e gli argomenti studiati.
(A.D.F.)
L
[…]
e tematiche che abbiamo scelto ci sono sembrate perfette. Il professore ci ha fatto scrivere una riflessione su cosa ci aspettassimo da questo percorso e molti prevedevano che saremmo cresciuti sia dal punto di vista
lessicale che culturale. […]
Durante il percorso sull’amicizia, abbiamo ragionato da
soli su una poesia che parlava di un viaggio (Prima del
Viaggio di Montale) sul quale si erano fatti progetti e preparazioni, ma alla fine di esso non è rimasto niente. Tutti
l’abbiamo interpretato come un paragone con l’amico: se
ci si svela totalmente, si agisce per forza, poi si rischia di
perderlo.
[…] L’ultima tematica, quella sulla Poesia, è iniziata con
due domande che ci hanno colto alla sprovvista, infatti le
risposte sono state molto convincenti ma anche un po’
improvvisate. […]
Questo percorso mi ha aiutato a crescere, a riflettere su
come mi relaziono con certe tematiche e problemi anche
durante una discussione. È stato molto divertente, perché
la maggior parte delle volte il percorso era diverso e quindi sono felice di aver conosciuto nuovi autori con le loro
magnifiche opere e il loro modo di leggere la realtà. (C.D.)
A
[…]
ll’inizio, mi è sembrato un lavoro abbastanza
noioso e lungo. Ma soprattutto molto complicato. Il professore ci ha chiesto di proporre singolarmente una
tematica scrivendo l’obiettivo e la finalità della nostra
scelta. Forse, per me, è stata una delle parti più difficile
del lavoro. Era molto importante individuare una
tematica da affrontare con cura che potesse interessare
alla classe e che sarebbe veramente stato utile affrontare.
[…] Dopo questa piccola, ma importante fase, ecco le
cinque tematiche scelte dal gruppo-classe con le relative
StrumentiCres Settembre 2009
○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○
motivazioni. […] Per ognuna di essa sono stati individuati altre sottotematiche o per meglio dire motivi da
trattare più approfonditamente. […] Ad ogni tematica le
richieste aumentavano sempre di più e diventavano più
difficili e lunghi.
[…] Questo lungo lavoro, man mano che siamo andati
avanti, mi ha fatto capire che mi sbagliavo. Non è stato
un lavoro noioso o inutile. Anzi, mi ha aiutato veramente molto. Io non amavo per niente la letteratura prima
di fare questo percorso. Non mi piaceva leggere libri,
poesie e tutto quello che riguarda la letteratura. Potrei
dire che ero ignara di questo “mondo” e di tutto quello
che può indagare, problematizzare e sviluppare. Grazie
a questo percorso ho arricchito il mio bagaglio culturale. Ho appreso e conosciuto autori, romanzi, racconti,
poesie. Mentre prima mi limitavo solo a sentire quei nomi
e quei titoli che non capivo, ora posso finalmente dare
un mio parere quando li sento citare. Sono molto felice
di questo risultato.
Per non parlare dei contenuti: ho potuto trattare e approfondire meglio le tematiche studiate con diversi aspetti e punti di vista; è stato molto utile anche perché mi ha
fatto capire di più che cosa significassero. Non dico che
ora so perfettamente che cosa racchiudano, ma ho appreso di più, ho molte idee in merito e molte che avevo
prima sono cambiate oppure rinforzate. Queste cose mi
aiuteranno nella mia vita.
Ho superato, inoltre, un mio punto debole: l’esposizione orale. Essendo abbastanza timida e avendo alcune difficoltà (non essendo l’italiano la mia lingua madre) faccio molta fatica a parlare in pubblico. È vero che in gioco ci sono anche le emozioni che non si possono controllare come vorremmo. La cosa che mi ha aiutato di più è
sicuramente quella di “aprirmi verso gli altri”. Anche il
professore ha notato quanto sia cambiata. Non solo grazie a questo percorso, ma anche a quelli precedenti. Mentre prima mi limitavo solo a “fare il compitino”, come lo
chiama il prof. Bocchinfuso, ora entro più profondamente
nelle consegne date con consapevolezza e voglia di capire e di approfondire. Prima non lo facevo. Non avevo
quella voglia neanche di stare un attimo concentrata per
cercare di scavare dentro me stessa e far uscire qualcosa di diverso, di più personale. Ora, invece, faccio il contrario. Mi piace pensare, riflettere, immedesimarmi e
rendere più personale le cose che scrivo. Questo mi ha
stimolato a scrivere volentieri temi, racconti, riassunti,
commenti.
I miei interessi si sono ribaltati. Mentre prima non mi
piaceva scrivere, ora adoro farlo. Mentre prima non
aprivo per niente un libro, ora mi piace sfogliarlo, trovare pezzi che catturino la mia attenzione e che mi aiutino a riflettere su me stessa e gli altri. Mentre prima non
mi piaceva la letteratura, ora mi piace veramente! Questo è dovuto anche all’insegnamento, a mio parere molto
alto, del professore Bocchinfuso, grazie alle modalità con
cui ci ha fatto apprendere le cose, uscendo fuori dal
piano scolastico e entrando in quello personale e sociale.
Consiglio a tutti di amare e difendere la letteratura
perché apre più punti di vista sulla vita, sulle situazioni,
sugli eventi. (C.S.)
D
urante i percorsi […] ho notato uno sviluppo dei tratti della mia personalità: sono cresciuta nel modo di pensare, confrontandomi e prendendo spunto dai messaggi e
dai contenuti morali degli autori.
Il livello di comprensione dei testi era molto alto: era
richiesta una gran voglia di partecipazione e di interessamento per i testi, per le riflessioni dei compagni, per le
analisi comparate.
I gruppi di lavoro erano un buon modo per far emergere la parte timida di alcuni di noi che con pochi coetanei
11
(a differenza della classe intera) riuscivano a dare un contributo personale ed emotivo che ha permesso la formulazione di ipotesi e di ragionamenti. Credo che questo lavoro abbia fatto crescere, in modo diverso, tutti i miei compagni. Il professore non si è limitato a spiegarci opere, autori, momenti letterari ma ha cercato di trasmetterci messaggi che ricorderemo per la vita. […] poi ci siamo immersi nel mondo della letteratura con la possibilità di fare dialogare e metterli a confronto autori dell’Illuminismo con
autori contemporanei.
La verifica finale di ogni percorso ha fatto in modo che
noi potessimo anche capire dove e cosa ci eravamo persi
durante il percorso per poi andare a riguardare in futuro.
Le tematiche sono state da stimolo nel nostro vivere
quotidiano, anche quando siamo chiamati a piccole scelte
che però possono caratterizzare il nostro futuro.
In questo momento adolescenziale, in cui stiamo formando il nostro “Io”, comprendere e assimilare gli insegnamenti degli autori è importante per l’ampliamento del
nostro bagaglio culturale che ci permetterà di andare avanti
servendoci dei valori, delle posizioni dei letterati e delle
nostre riflessioni. In questi momenti la Letteratura ci fornisce idee e valori che conserveremo per la vita. (S. C.)
M
[…]
i ha colpita l’attualità di queste tematiche e la
voglia di confronto che la classe ha dimostrato di avere.
Il lavoro si svolgeva con un clima più intimo e consapevole: ci sentivamo immersi totalmente nei testi. Durante
le presentazioni dei libri da parte dei singoli studenti, la
classe sembrava avvolta dallo splendore dei testi esposti.
Questo percorso ci ha dato davvero tanto, sia dal punto
di vista didattico che personale. Ci ha fatto comprendere
che, per capire una semplice poesia, non bisogna impararla per forza a memoria, ma bisogna immedesimarsi
nel messaggio dell’autore, nell’autore stesso e capire i sentimenti e le emozioni che ha provato mentre ha scritto
quei versi. Mi è rimasta impressa la poesia di Trilussa,
che consiglio di leggere a tutti, perché mi ha fatto vedere
il lato semplice della cosa che a me sembrava più complessa: la poesia.
Spero di avere modo di ripetere questa fantastica esperienza anche alle scuole superiori perché mi ha dato davvero tanto! Per me, questo è stato un vero e proprio approfondimento, vissuto in prima persona, insieme a compagni e professori. L’unione di idee e opinioni è stato fondamentale per avere anche una visione dei testi trattati,
dai più lontani a quelli più vicini in ordine di tempo.
(R.T.)
A
bbiamo affrontato argomenti che ci hanno ca[…]
ratterizzato sia da un punto di vista culturale che personale. […]
Abbiamo iniziato con l’Adolescenza e l’Amicizia che ci
coinvolgono pienamente. […] Sono venuti fuori degli aspetti sull’amicizia che magari non ci avevano sfiorati. Ci hanno aiutato a capire chi è un vero amico […] spesso avrei
tanto voluto non sapere per non stare male.
[…] Non è stato piacevole sapere quanto odio c’è nel
mondo ma certamente, la prossima volta, prima di odiare
una persona so cosa vuol dire: se odio veramente o se è
solo un’arrabbiatura. Il Razzismo […] l’avevo scelto io,
perché anche con le nuove leggi ho capito che il razzismo è
esistito, esiste e purtroppo esisterà. […] Ho compreso che
deriva dall’ignoranza e dalla paura di chi non si conosce e
che è diverso. […] Solo con la cultura si può combattere il
razzismo. Come nella poesia “Prigione”: bisogna provare
a uscire da queste mura che ci siamo costruiti da soli, perché la vera vita è fuori!
[…] A me sono sempre piaciute le poesie perché puoi
entrare in un mondo tuo, senza però scordarti della realtà
circostante. Non credo che servano solo belle parole per
12
○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○
fare una poesia: credo ci sia bisogno di una ricerca personale.
[…] Posso dire che è stato molto bello chiudere il
triennio d’Italiano così. Perché alle scuole superiori non
so se ci sarà qualcuno che mi darà delle “dritte” così e
voglio farne tesoro. Ringrazio il professor Bocchinfuso per
avermi aperto gli occhi e per avermi aiutato a entrare nella vita adulta. (G. M.)
A
[…]
bbiamo affrontato diverse e interessanti
tematiche paragonate anche ai cambiamenti che noi
adolescenti stiamo affrontando in questo difficile periodo.
Come punto di partenza, abbiamo individuato, in diversi gruppi di lavoro, delle tematiche, motivando sempre le nostre libere scelte e dando inizio al nostro percorso.
[…] Il secondo percorso è stato sull’Amicizia. Ci ha permesso di riflettere veramente sulle persone attorno a noi:
sono veri e propri amici? Questo spunto di riflessione mi
ha fatto capire i pensieri e i punti di vista di tutte le persone della classe e ho capito che alcune a cui tenevo molto non mi considerano una vera amica. […]
[…] l’odio è la cosa opposta dell’amore, ma non deve
essere intesa solo come sensazione negativa: è un sentimento molto profondo, come l’amore, che è difficile e raro
da provare a quest’età. Anche in questa tematica abbiamo analizzato testi che trattavano situazioni delicate e
personali degli autori, come, per esempio, una poesia di
Umberto Saba che parlava della difficile situazione che
c’era stata tra lui e il padre. Questa poesia mi ha fatto
ripensare a quello che “vivo” quotidianamente con mio
padre e mi ha riportato a una sensazione di grande dolore.
La quarta tematica è stata il Razzismo: abbiamo utilizzato molti testi riguardanti storie vere con autori che
sulla loro pelle avevano subito situazioni traumatiche.
Infine, come quinta e ultima tematica, abbiamo affrontato la Poesia, utilizzando solo ed esclusivamente poesie
che parlano di poesie.
Nelle esposizioni orali […] non abbiamo presentato
tanto la trama, ma i contenuti e le parti più significative
di quello che avevamo letto e capito in relazione alla
tematica e ai motivi trattati. […]
Vorrei ringraziare i professori Bocchinfuso e Matera
perché hanno aiutato me e tutta la mia favolosa e strana classe a lavorare insieme riuscendo a mettere idee e
pensieri diversi per uno scopo comune. (T. C.)
C
on l’Adolescenza abbiamo affrontato un argo[…]
mento particolare che ci riguarda molto da vicino, perché
ci troviamo in una fase dove ogni nostra scelta potrà determinare e cambiare il nostro destino. Il nostro metodo
di lavoro è stato costante e produttivo, con la lettura dei
testi, la comprensione, il commento, la condivisione e il
confronto. Con l’Amicizia, ho capito che non è solo un
sentimento ma anche un concetto che viviamo e pratichiamo in ogni momento e contesto. L’Odio e il Razzismo
si sono intrecciati tra loro - sia attraverso gli autori che
attraverso le nostre discussioni - e ci hanno spinto verso
un pensiero diverso, più aperto e meno centrato su noi
stessi.
L’ultima tematica, la Poesia, mi ha aiutato particolarmente ad evadere dalla realtà e dalla società che soffocano spesso i miei sogni e i miei diritti. La poesia l’ho vissuta come strumento di liberazione valido per affrontare la
vita, per immedesimarmi con le altre persone, gli altri esseri, come ha scritto Trilussa.
Questo percorso mi ha aperto gli occhi sulla realtà che
spesso nega all’uomo le sue aspirazioni e ha fatto scoprire una parte di me non sapevo di conoscere. (N. D. C.)
StrumentiCres Settembre 2009
MUSICA
Un linguaggio per esprimere se stessi
e per comunicare con l’altro
a cura di Donatella Calati, Anna Di Sapio, Laura Morini
StrumentiCres Settembre 2009
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dossier
13
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dossier
L’estetica, l’arte, la musica
Enrico Strobino*
desiderio
Ildell’altrove
Penso sia importante pensare alla
musica come linguaggio a partire da
una visione ampia, polifonica, che la
inserisca all’interno del paesaggio globale delle arti e dell’estetica, soprattutto se guardiamo alla musica dal
punto di vista educativo.1
Partiamo quindi da una domanda:
perché l’uomo scrive, rappresenta,
compone, inventa; perché guarda e
ascolta ciò che altri hanno scritto o
composto, perché immagina?
Naturalmente le risposte possono
essere molte: ne scelgo e inseguo una
soltanto.
Potremmo affermare che spesso si
scrive, si rappresenta, si guarda e si
ascolta, per dar forma a mondi diversi
rispetto a quello che abitualmente viviamo, per andarci ad abitare, almeno per un po’ di tempo.
L’immaginazione ci porta ad un livello altro di realtà, partendo da un’assenza, da un desiderio che trova la sua
origine nel peso del vivere. È il desiderio dell’altrove: l’immaginazione
come repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di ciò che non è ma che
potrebbe essere; il pensiero visionario che esplora territori ignoti, percorsi inediti, mondi possibili, scenari fantastici. Tutto questo dà forma a quel
piacere del bello che non serve certamente a nulla se non ad aiutare gli
uomini a vincere il disagio esistenziale.
L’arte ci conduce in mondi possibili,
che guardano al reale attraverso la
lente dell’immaginazione; il pensiero
poetico trasfigura il reale, rompe il
* Musicista, insegnante, ricercatore di
didattica della musica
1
Il presente articolo riprende alcune
parti pubblicate in: Maurizio Spaccazocchi, Enrico Strobino, Piacere Musica,
Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro,
2006.
14
banale, lo sposta, lo provoca attraverso
uno sguardo spaesante, ricerca isole,
anfratti, angoli stra-ordinari.
Sono passaggi, luoghi segreti, attraverso i quali avventurarsi, nascondersi, o che semplicemente c’invitano ad
un’attenzione particolare, a guardare
più da vicino, come con una lente d’ingrandimento che ci regala di una cosa
familiare un’immagine mai vista, una
visione inattesa.
L’inferno dei viventi non è qualcosa
che sarà; se c’è n’è uno, è quello che
è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i
giorni, che formiamo stando insieme.
Due modi ci sono per non soffrirne. Il
primo riesce facile a molti: accettare
l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo
all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.2
L’inferno di Calvino può essere sostituito da un’idea più leggera: la banalità, il consumo superficiale, la
ripetitività che non accende la nostra
vita, che la rende ovattata, priva di
scosse, noiosa. Allora cerchiamo di
creare occasioni in cui questo vivere
banale sia trasfigurato e si accenda,
cerchiamo scintille per accendere piccoli fuochi, e cerchiamo di farli durare
per un po’ di tempo.
Si tratta di inseguire l’esperienza
della bellezza e, quindi, significa cer-
care un certo tipo di piacere. Quando
parliamo di Bellezza ci riferiamo infatti a qualcosa che ci dà piacere e che
quindi godiamo per quello che è, al di
là – o al di qua – di qualsiasi utilità e
bontà: sono belle le cose che ci procurano piacere nel guardarle, nell’ascoltarle, nel toccarle, nell’annusarle, che ci attraggono, che appagano i
nostri sensi e la nostra mente.
Possono essere parole, musiche o
immagini, o anche un luogo, un oggetto, un profumo: si tratta di rubarli
ad uno sguardo distratto, o puramente scolastico, accademico, restituendo e recuperando invece l’esperienza
dell’emozione, dello stupore, della
meraviglia. Qui sta il cuore di ogni
esperienza culturale: è un capire che
si fonda su un sentire che riguarda il
corpo e la mente, inscindibilmente,
turbamenti del cuore e della pelle,
modifiche del senso dello spazio e del
tempo, spaesamenti, perdite, mancamenti, e gioie nel ritrovare ciò che ci è
noto e familiare.
Musica e gioco
«Un pensiero che non abbia a che
fare con il gioco sarà di certo un pensiero mancato».3
Il gioco ha in comune con l’arte la
funzione di interrompere il quotidiano; entrambi hanno a che fare con un
cambiamento di scena, uno scollamento dalla realtà, che corrisponde ad
un’alterazione fisica globale, che coinvolge corpo e mente. Entrambe si pongono come esperienze di presa di distanza, mostrano la via per mettere
tra virgolette la realtà. Sia nell’arte che
nel gioco il legame con il quotidiano si
allenta, si alleggerisce.
Nel gioco è necessario che questo
scarto, questa interruzione sia anche
piacevole. L’arte ci propone un piacere particolare, legato alla bellezza delle
forme, dei linguaggi.
Se il gioco è un’arte, l’arte è un tipo
particolare di gioco, un gioco di forme. E la musica? La musica è un gioco
2
Italo Calvino, Le città invisibili,
Einaudi, Torino, 1972, p. 170.
3
Alessandro Dal Lago, Pier Aldo
Rovatti, Per gioco. Piccolo manuale dell’esperienza ludica, Raffaello Cortina,
Milano, 1993, p. 23.
StrumentiCres
2009
StrumentiCres●Settembre
Settembre2009
Estetica:
una pratica
della sensibilità
Ogni esperienza legata alle dimensioni dell’immaginario, del fantastico,
del poetico, del gioco e dell’estetico è
quindi un cambiamento di mondo, che
ci trascina oltre il quotidiano, verso un
qualche tipo di trascendenza.
Questo tipo di esperienza, pensata
all’interno del rapporto fruitore-opera, precede la decifrazione, lo sguardo analitico e filologico. Non risponde
in prima istanza alla domanda «che
cosa significa questo», ma è animata
dall’accorgersi che «c’è qualcosa che
ci appassiona», che «c’è la possibilità
di fare un viaggio insieme», capace di
regalarci il piacere dell’interpretazione.
Il coraggio di girovagare intorno ai
propri luoghi di verità, qualunque siano, simboli enigmatici o spezzoni della propria storia, canzonette insensate o cantilene senza significato, ma
accese di qualcosa di decisivo di sé.
[…]
Mettersi in ascolto, significa abbandonarsi al canto delle cose, ritrovarci
l’eco di qualcosa di irripetibile di sé e
di importante per qualcun altro, ma
che non è sicuro che si riesca a dire.
[…] Non spegnere le cose nei loro nomi
o nei loro significati, ma lasciarle cantare, maturare un orecchio per ascoltarne il canto e criteri irripetibili per
goderne la felicità. Somiglia più alla
passione del dilettante che al metodo
dell’università.6
Qui intravediamo, tra l’altro, una
possibile distinzione tra oggetti di con Settembre
2009
StrumentiCres ●
Settembre2009
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da bambini ci ha insegnato Delalande:4
il suo scopo è infatti generare piacere
a partire dal suono, intrecciando il gioco sensoriale e motorio, il gioco simbolico e il gioco di regole.
È davvero difficile trovare una pratica musicale che non possa essere ricollegata a condotte che i bambini di
tutto il mondo attivano sulla base delle loro variegate pratiche ludiche; non
si può dimenticare, d’altra parte, che
in molte lingue le pratiche del ludico e
del musicale vengono condensate in
un unico termine.
Se lo stupore 5 è uno stato d’animo
tipico del bambino, che permette di
assumere la “postura” della meraviglia, della sorpresa, dell’ammirata piacevolezza nei confronti delle cose del
mondo, la musica come atto di piacere può non pensare di accendere una
percezione dei suoni anche come sostanza stupefacente?
dossier
sumo e oggetti d’arte, e, per quanto
più ci compete, tra musiche colte e di
consumo: non si tratterebbe tanto di
repertori o di generi, quanto di atteggiamenti e approcci, di esperienze
appunto. La disponibilità di un’opera
e di un ascoltatore a dialogare, a moltiplicare e reinventare sensi e significati, ad ascoltare molte più cose di
quelle effettivamente dette, conduce
oltre lo status di semplice prodotto di
consumo, verso un tipo di rapporto che
forse non è giusto definire colto, quanto creativo, o in altra direzione, critico.7
Inseguire esperienze di bellezza significa tenere desta e se possibile aumentare la nostra sensibilità; risvegliare le nostre risposte emozionali al bello
e al brutto. Significa cercare oggetti
che ci consentono di farlo. Questo succede quando incontriamo nelle cose
qualcosa che ci assomiglia, spesso all’interno di un pensiero analogico,
evocativo, allusivo. Accade – o non
accade – in tutti i generi musicali.
Questo ci sembra un buon motivo per
non classificarli in base ad una gerarchia d’importanza.8 Una stessa musica può favorire uno sguardo ‘contemplativo’, interessato (esclusivamente o
anche) alle sue forme, e allo stesso
tempo può, fruita da un altro ascoltatore - o anche dallo stesso in una diversa occasione - rispondere a richieste di utilità, per essere utilizzata con
scopi esterni ad essa (socializzare, ricordare, incontrare, ecc…).
In questa direzione molti autori propongono di recuperare il significato
etimologico del termine “estetica”
(aesthesis), come un modo di conoscere attraverso i sensi: non tanto
quindi un sapere storico-artistico quanto una teoria e una pratica della sensibilità, così come - ci fa osservare
Galimberti - «noi oggi chiamiamo ‘anestetico’ non un farmaco poco bello, ma
un farmaco che riduce la sensibilità».9
L’esperienza
estetica
Muoversi in questa prospettiva significa preferire un pensiero che non
si ferma al logico e al razionale ma che
tenta di connettere queste dimensioni
con l’immaginazione: un pensiero che
unisce, che si basa quindi sull’et…et,
piuttosto che sull’out…out, secondo
«una logica che negozia sia con la ragione dei sentimenti che con i sentimenti della ragione».10
Conoscere attraverso il corpo-mente, i sensi, annusare il mondo, ascoltare il corporeo dei nostri pensieri, i
pensieri e i piaceri del cuore, le pas-
sioni. Imparare a meravigliarci, ad
emozionarci, a stupirci, a ritrovare
l’anima delle cose. Inseguire un rapporto con l’arte (con la musica e… con
il mondo) caratterizzato da una partecipazione attiva alla costruzione di
sensi e significati.
Al contrario ci sembra che spesso
all’interno del pensiero scolastico – ma
non solo – ci si riferisca per lo più ad
un’idea di bellezza come ad un valore
oggettivo, assoluto, in base al quale è
bello qualcosa che è fatto in un certo
modo, che appartiene ad un certo
corpus, per le qualità che ha di per sé,
spesso definite indiscutibili, e non perché capace di instaurare un dialogo con
noi e tra di noi, con e tra le nostre
emozioni.
Più che sul concetto di giudizio estetico poniamo qui l’accento sull’idea di
esperienza estetica. Mentre il primo
comporta normalmente un’azione di
confronto tra un oggetto artistico e un
modello dato di bellezza, parlare di
esperienza estetica significa invece
guardare al vissuto, al rapporto
dialettico che viene a crearsi tra un
soggetto e un’opera, ai processi di
costruzione attiva e di confronto di
sensi e significati, in un gioco continuo tra quiete ed irrequietezza del
senso.11
Se l’esperienza estetica è quindi
esperienza dell’anima, mi piace utilizzare il termine animazione riferendomi a una pratica della sensibilità, che
mira alla luce improvvisa che accende
4
François Delalande, La musica è un
gioco da bambini, Franco Angeli, Milano, 2001.
5
Cfr.: Maurizio Spaccazocchi, “La didattica della musica fra passione, stupore e desiderio”, in: Musica Umana
Esperienza, Quattroventi, Urbino, 2002,
pp. 49-57.
6
Denis Gaita, Il pensiero del cuore,
Bompiani, Milano, 1991, pp. 6-10.
7
Cfr.: Alessandro Baricco, L’anima di
Hegel e le mucche del Wisconsin,
Garzanti, Milano, 1992, p. 31.
8
Su questo argomento si veda: Franco Fabbri, “Per una critica del fallacismo
musicologico” , in: L’ascolto tabù, I l
Saggiatore, Milano, 2005, pp. 48-60.
9
Umberto Galimberti, Orme del sacro, Feltrinelli, Milano, 2000, p. 144.
10
Loredano Matteo Lorenzetti, Persona Amore Bellezza, Franco Angeli, Milano, 2001, p. 15.
11
Su questo tema vedi: Piero Bertolini,
Marco Dallari, “ A proposito di giudizio
estetico e mass media”, in: Anna Rita
Adessi, Roberto Agostini (a cura di),
op.cit..
15
una cosa, un oggetto, un paesaggio,
una musica; dell’anima, che inseguono la sensualità delle cose, la loro disponibilità a trasformarsi in oggetti
dell’interpretazione, a cui si accompagna certo – e probabilmente segue anche un piacere più riflessivo, più
analitico, più mediato.
Come non esiste un oggetto bello
‘di per sé’, allo stesso modo non esistono oggetti, persone, eventi, opere,
noiosi o desiderabili ‘in sé’ «ma esiste
un oggetto (una persona, un evento)
noioso [o desiderabile] per me, per te,
per lui, per noi, per loro».12
Queste considerazioni non possono
non orientare le nostre pratiche
educative, spingendoci a ritenere che
non ci siano musiche più giuste di altre, che non ci siano modi di ascoltare
migliori di altri. Ogni musica e ogni
ascolto mettono in scena motivazioni
e desideri diversi, rendendo produttore e ascoltatore attori di un gioco infedele: l’ascolto regala un’esperienza
di piacere che risponde ad eco all’esperienza del produttore, che a sua volta
ha vissuto un’esperienza di piacere,
ma probabilmente – e qui sta l’infedeltà – non per le stesse ragioni.13
Su questo tipo di consapevolezza
dovrebbero poggiare quindi anche le
nostre proposte didattiche, che non
sposano l’idea di un relativismo assoluto – ossimoro di per sé insostenibile
– quanto invece l’idea del dialogo e
del confronto continui, all’interno di
una polifonia di valori, di contrattazione continua sulla loro convenienza e
desiderabilità: ed esistono musiche,
pratiche, didattiche e pedagogie che
sono più capaci di altre di inaugurare
dialoghi, superando relazioni autoritarie, o percezioni ingenue, senza mediazioni.
Il tendere verso una scena dialogica,
in cui sensi e significati siano continuamente contrattati, interpretati, non
semplicemente accettati o dati per
scontati, va contro una tendenza che
mi sembra oggi essere dominante, che
vede nella scuola – come più in generale nella società - una zona franca
in cui le questioni importanti sono quelle produttive, di efficienza e competitività; che vede l’educazione come un
itinerario unidirezionale, un percorso
in cui conoscenze e abilità sono già
programmate in partenza e che tutti
devono acquisire secondo ritmi e forme prestabiliti.
Sul valore estetico
Emergono a questo punto due concetti, concatenati fra loro, con cui fare
i conti. Da una parte il rischio di teorizzare un concetto di bellezza del tutto soggettivo: «Non è bello ciò che è
bello, è bello ciò che piace», che por-
QUALCOSA IN PIÙ
- Daniel Goleman Intelligenza emotiva
Rizzoli1996 Milano
- Emile Jacques-Dalcroze Il Ritmo la
Musica e l’Educazioni EDT/SIEM, 2008 (ristampa di un classico)
- Silvano Sansuini Pedagogia della musica Feltrinelli tascabile, Milano 1991
- J. Tafuri, G. Stefani, M. Spaccazocchi
Educazione musicale di base Ed. la Scuola
Brescia 1979
- Francois Delande La musica è un gioco da bambini Franco Angeli Milano 2001
- R. Murray Schafer Il Paesaggio Sonoro LIM, 1998 (ristampa)
- Mario Baroni Suoni e significati, Musica e attività espressive nella scuola EDT,
Firenze 1997(1° ed. 1978)
- E. Maule Storia della musica: come insegnarla a scuola, ETS, 2007
- M. Disoteo Didattica interculturale
della musica Quaderni dell'interculturalità,
EMI, 1998
- M.T. Rabitti – M.Gusso (a c. di), Storia
e musica in laboratorio, “I Quaderni di Clio
‘92”, 2007, n.8 [n. monografico]
16
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dossier
- V. Guanci – C. Santini (a c. di), Far
sentire la storia. Musica, suoni, discorsi
per fare, insegnare e apprendere la storia, Polaris, 2005
- S. Rabuiti – C.Santini – L.Santopaolo
(a c. di), Intrecci di storie. Patrimonio, storia, musica, ivi, 2006, pp.187-300
- M. Gusso - L. Rossi (a cura) Bibliografia generale in progress, scaricabile dalle pagine 'gruppi di ricerca' di
www.storieinrete.org
- H. Failoni L’altra faccia della musica
(libro con DVD) Il Saggiatore, 2006
Gli autori hanno accompagnato Claudio
Abbado in Venezuela per conoscere e dirigere l'orchestra giovanile Simón Bolívar,
punta di diamante del progetto educativo
voluto da José Antonio Abreu che organizza e sostiene la formazione musicale di
migliaia di ragazzi salvati dalla miseria e
dallo sfruttamento.
Nel DVD il documentario girato in
Venezuela da F. Merini.
www.musicheria.net la bottega
dell'educazione musicale
dimostra una attenzione particolare ai
terebbe a relativizzare completamente l’idea di valore, identificandolo con
il gusto personale, in balìa quindi di
confronti unicamente basati su motivazioni conflittuali, senza alcuna possibilità di indicare una via più conveniente di altre. Una posizione che, saltando a piè pari il nodo della valutazione, potremmo definire appunto
soggettivistica, riferendoci alla nota
posizione di Hume che ovviamente non
ci pare essere pedagogicamente e politicamente condivisibile.
La bellezza non è una qualità delle
cose stesse: essa esiste soltanto nella
mente che le contempla e ogni mente
percepisce una diversa Bellezza. Può
anche esserci qualcuno che percepisce una Bruttezza dove un altro prova
un senso di Bellezza; e ognuno dovrebbe appagarsi del suo sentimento senza pretendere di regolare quello degli
altri. Cercare la reale Bellezza o la Bruttezza reale è una ricerca infruttuosa
quanto pretendere di stabilire quel che
è realmente dolce o amaro; ed è ben
giusto il proverbio che ha riconosciuto
l’inutilità della disputa intorno ai gu-
12
Piero Bertolini, “Desiderio e noia”,
in: Pedagogia fenomenologia, La Nuova
Italia, Firenze, 2001, p. 207.
13
Cfr.: François Delalande, Le condotte musicali, Clueb, Bologna, 1993, p. 176
temi dell'intercultura pubblicando materiali, esperienze, proposte.
www.knowledge-is-the-beginning.
com
dedicato al film di Paul Smaczny che
documenta il lavoro dell'Orchestra “The
West-Eastern Divan Orchestra” voluta da
Daniel Barenboim e Edward Said; presenta
in modo coinvolgente giovani musicisti
arabi e israeliani impegnati studiare e suonare insieme, cercando di superare i reciproci pregiudizi e le violenze esterne.
La stessa esperienza è descritta dai protagonisti in due libri: Daniel Barenboim,
La musica sveglia il tempo, Feltrinelli,
2007; Elena Cheah, Insieme. Voci della
WED Orchestra, Feltrinelli, 2009
www.orchestradipiazzavittorio.it
la prima e più famosa orchestra
multietnica italiana; tanti musicisti differenti tra loro per origini, strumenti, esperienze reinventano la musica del mondo.
La storia di questa avventura è diventata
un film diretto da Agostino Ferrente e distribuito in dvd da Lucky red
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sti. È del tutto naturale e perfino necessario estendere questo assioma al
gusto mentale oltre che al gusto corporeo; e così il senso comune, che così
spesso si discosta dalla filosofia, e specialmente dalla filosofia scettica, si
accorda, almeno in un caso, con essa
nel pronunciare lo stesso verdetto.14
In verità non esiste vissuto di bellezza che non nasca dall’influenza di
qualcuno o di qualcosa, e che non si
porta dietro il desiderio impellente di
essere condiviso, scambiato, confrontato.
Parlare allora di valore estetico - e
di valore tout court - in rapporto al
concetto di esperienza prima descritto, significa fare riferimento alla capacità di aumentare, affinare, rendere più intensa questa stessa esperienza.
Potremmo dire, come ci indicano
Bertolini e Dallari, che un oggetto è
tanto più valido esteticamente quanto
più è capace di promuovere:
Percorsi verso la novità, l’originalità, l’apertura dei pensieri, contro
la ripetitività, la routine, la banalità.
L’appropriazione attiva da parte dei fruitori, sia pratica sia teorica,
contro una comunicazione che stimola una ricezione passiva.
Emozioni e stupore capaci di
costituire punti di partenza verso nuovi
equilibri del pensiero, individuali e di
gruppo, contro un uso banale e superficiale di semplici meccanismi di
seduzione.15
O, rileggendo e interpretando Middleton,16 incontrando un oggetto e/o
un’esperienza musicale ci si potrebbe
porre una serie di domande di questo
tipo:
Quante posizioni, punti di vista,
letture, interpretazioni favorisce una
certa musica, una pratica, un’esperienza musicale? O, in altre parole, quanto dà da parlare?
È capace di provocare shock,
stupore, meraviglia, o invece tende a
lasciarci in uno stato di quiete emozionale?
Richiede in qualche modo la
nostra partecipazione? Favorisce
un’appropriazione creativa?
Quanto è capace di connettersi
ad altri universi di discorso, ad altre
pratiche, ad altre esperienze, pensieri, contesti?
Quali e quanti desideri è capace di attivare e di soddisfare?
Middleton ci suggerisce che «si debba attribuire un valore maggiore alla
musica con il risultato globale maggiore», definibile quindi soltanto in un
dossier
contesto specifico, in situazione, in riferimento ad un’effettiva e reale relazione tra un soggetto (o un gruppo di
soggetti) e un oggetto/pratica musicale; quindi all’interno di un’esperienza localmente determinata.17
Pedagogia
e politica
della bellezza
L’idea di bellezza non riguarda solo
l’universo dell’arte; è necessario che
sconfini, che vada a contaminare altri
discorsi, altri modi di parlare del mondo. Pensiamo nel nostro caso alla pedagogia: il sentimento della bellezza
è ciò di cui la pedagogia e l’estetica,
insieme, non devono perdere l’occasione e il senso.
Perché quando la presentazione e la
trasmissione del sapere diventano
esperienza significativa, dal racconto
di una fiaba alla scoperta di un
paradigma scientifico, dalla presentazione di un brandello di storia alla rivelazione di un’epifania di pensiero filosofico, il successo dell’evento
educativo è indicato e contrassegnato
dall’emozione, dallo stupore.
Che è, per l’appunto, stupore estetico. […]
Quando ciò non avviene, e quando
la dimensione massmediologica è la
sola ad essere capace di suscitare
emozioni e diventare luogo di educazione sentimentale, occorre non tanto
insorgere in anacronistiche e nostalgiche lamentazioni, ma piuttosto chiedersi se la responsabilità di tutto questo non sia da ascrivere soprattutto a
quegli educatori […] che hanno rinunciato […] a caricare l’evento educativo
della necessaria componente estetica.18
Questo sguardo meravigliato sul
mondo, la sensibilizzazione ai particolari, diviene, nella prospettiva di James
Hillman, progetto terapeutico e politico nei confronti dell’anima mundi:19
Continuiamo a restringere la psicopatologia alla persona umana, e dunque a sostenere che la psiche riguarda ontologicamente soltanto il soggetto umano. La psicoterapia analitica
continua a sostenere che se la natura
o la cultura appaiono malate, ciò dipende dalle azioni dell’uomo: la causa
siamo noi. Dunque curiamo prima l’uomo: tutti in analisi - architetti, politici,
insegnanti, uomini d’affari - e allora il
mondo andrà meglio.
Questo non ha funzionato, non può
funzionare, perché il modello è sbagliato. Lascia l’anima fuori del mondo
- le cose sono prove di anima e l’uo-
mo deve sobbarcarsi tutto il peso dell’anima, rianimando con il suo soffio
proiettivo ciò che la teoria dichiara, per
definizione, morto.20
Attivare la nostra sensibilità, la nostra immaginazione, le nostre emozioni, ampliare la sfera del piacere, significa al tempo stesso essere in
sintonia con l’anima del mondo, prendersene cura. Questo è il compito sia
delle educazioni sia delle terapie con
l’arte. Al contrario, una diffusa insensibilità estetica anestetizza non soltanto nei confronti della banalità dilagante ma anche rispetto al senso dell’ingiustizia, dell’insulto, riducendo sempre più la nostra capacità di indignazione. Tutto ciò che è grande, enorme, globale e veloce, conduce verso
un’an-estesia della nostra sensibilità
nei confronti del mondo. Al contrario,
un mondo di eventi particolari, «che
si fanno notare per la loro ciascunità»,21 non può che essere un
mondo che procede più lentamente,
che passeggia invece che correre, che
sa perdere tempo. «La risposta estetica è azione politica».22
Da questa prospettiva non possono
che trarne vantaggio anche le arti stesse: inseguire esperienze di bellezza
significa anche restituire alle arti i gesti giusti del fare anima, come sono
quelli di un bravo artigiano che ama
profondamente quello che fa. E se è
vero che la risposta estetica è azione
politica, solo con la continua ricerca di
bellezza sarà possibile superare quel
terribile amore per la guerra di cui lo
stesso Hillman ci parla,23 invitandoci
a comprendere e a non dimenticare il
legame fortissimo che lega bellezza e
violenza.
14
David Hume, Saggi morali, politici e
letterari, XXIII, 1745 ca, cit. in: Umberto
Eco, op. cit., p. 247.
15
Ibid., p. 105.
16
Richard Middleton, Studiare la
popular music, Feltrinelli, Milano, 1994.
17
Ibid., p. 345.
18
P. Bertolini, M. Dallari, op.cit., pp.
114-115.
19
James Hillman, Politica della bellezza, Moretti & Vitali, Bergamo, 1999.
20
Ibid. p. 31.
21
James Hillman, L’anima del mondo
e il pensiero del cuore, Adelphi, Milano,
2002, p. 149.
22
Ibid., p. 13.
23
James Hillman, Un terribile amore
per la guerra, Adelphi, Milano, 2005.
17
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dossier
Musica e intrecci interculturali
Meticciato tra musiche etniche, jazz e musica colta occidentale1
Piera Hermann
Come fare a parlare qui di musiche
senza poterle sentire e parlare di corpo senza poterlo vedere? L’unica cosa
è affidarsi alla capacità di chi legge di
intuire e immaginare e cercare di mettere in luce qualche idea che sta alla
base di questo percorso di lavoro. Lo
scopo quindi è solo di dare uno spunto, una suggestione, sperando che
possa essere di qualche stimolo per la
fantasia e la voglia di fare di qualcuno.
Le idee di partenza
Poche cose sono compiutamente, felicemente ed esplicitamente meticcie
come la musica colta contemporanea.
Ma questa musica è di fatto lontana
anni luce da ciò di cui i ragazzi in genere hanno consapevolezza.
La cultura (in chiave positiva o
deteriore, la cosa non cambia) agisce
in noi a due livelli: forma, plasma il
nostro modo di essere per immersione, per contatto, perché ci siamo dentro (e purché ci siamo dentro…). Ma
questo nostro modo di essere, le nostre pulsioni, il nostro agire, specie
quello sociale, le nostre stesse idee,
non sono orientate direttamente dalla
realtà delle cose, ma dall’idea che noi
ne abbiamo e dal nostro immaginario
su di essa. Ragion per cui il ‘contatto’
non sempre basta.
Le conseguenze
- la musica colta contemporanea è
una risorsa per l’educazione interculturale cui non si può rinuncia- i ragazzi devono avere il modo di entrare in
contatto con questa musica
- questo contatto deve poter essere
‘metabolizzato’
- perché questo contatto diventi
‘educazione’ deve tradursi in consapevolezza, cioè in linguaggio e quindi,
1
Questo “percorso di lavoro” per una
terza media viene ripreso da Strumenti
34, giugno 2003
18
nel mio caso di insegnante di lettere,
anche in concetti e parole. ‘Scuola’ infatti non è solo esperire, vivere qualcosa (come invece sembra pensare
una diffusa e secondo me ambigua
idea sottesa a volonterosi atteggiamenti pedagogico-didattici), ma è approdare al possesso consapevole di
codici, idee ecc.
I problemi
e le risorse
(apparentemente
contraddittorie e in
realtà convergenti
allo scopo)
Trovare le musiche giuste (!).
Farle accettare dai ragazzi (!)
Per trovare le musiche: ho avuto la
possibilità di avvalermi della affettuosa collaborazione di un musicista che
è anche straordinario musicologo, il
maestro Carlo Boccadoro. Mi ha ascoltata e mi ha ‘confezionato’ un percorso di musiche su misura per la mia
idea. Ha pensato ad un cammino dalla musica etnica alla musica colta occidentale passando attraverso il jazz.
Per farle accettare ai ragazzi: sono
personalmente profana in merito e
quindi ho potuto sperimentare su me
stessa tutto quanto hanno vissuto gli
allievi, parte prima di loro e parte insieme a loro. Per farmi capire: ad un
primo (e anche secondo!) ascolto le
musiche mi sembravano così ostiche
che non mi sono mai potuta sognare
di presumere che i ragazzi potessero
semplicemente ascoltarle, gustarle (!),
capirle….Noi insegnanti tendiamo sempre a crearci delle aspettative di apprezzamento da parte degli allievi
quando proponiamo loro qualcosa che
possediamo e amiamo profondamente. Tendiamo cioè a dimenticare che
ogni espressione linguistica (quale che
sia il linguaggio) presuppone la conoscenza e il possesso adeguato del codice (“che barbari, come fanno a non
apprezzare una cosa così meravigliosa!”). In questo caso invece a me era
chiarissimo che l’apprezzamento di
quelle musiche non poteva che essere
(forse!) un punto di arrivo. Quindi mi
sono data da fare.
La strategia
L’idea, suggeritami dalle parole di
Carlo Boccadoro, è stata quella di passare per il corpo (inteso come membra) per arrivare alla mente e solo infine alla parola. Ci siamo dati tempo,
tanto tempo, come è necessario perché le cose accadano veramente: due
ore alla settimana, per metà anno. In
un’aula nuda e vuota, con uno specchio preso da un’anta di armadio, dei
tappetini per terra, un registratore e il
prezioso nastro registrato in più copie
(per poterlo dare a casa quando era
necessario che qualche ragazzo ci lavorasse su). Due ore che, nate come
educazione interculturale, sono state
anche spazio per concentrarsi, per ridere, per sfrenarsi, per stare nel silenzio, per controllare il proprio corpo, per mettersi in sintonia, per convergere, per esprimere originalità, per
guardarsi, per sudare, per contemplare, per armonizzarsi, per inventare,
ecc. ecc. ecc.
Volevo che il loro corpo, attraverso
un agire prima individuale, libero e
creativo, poi deciso tra tutti, concordato, “sinfonico”, complesso, introiettasse le musiche e le traducesse in
movimenti.
Grande impaccio e imbarazzo all’inizio, rigidi burattini che tutt’al più tiravano fuori incongrue movenze da discoteca…. Quindi prima di tutto
destrutturare, liberare, sciogliere e poi
(o insieme) suggerire, stimolare; tutto attraverso l’ascolto col corpo. Una
nota: una buona intuizione è stata
quella, in una prima fase, di far lavorare tutti i ragazzi bendati (non mi
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vergogno degli altri e non rido degli
altri). Poi non era più un problema.
Qualche consegna data alla classe:
state totalmente immobili (durante
l’ascolto di ritmi travolgenti o osésessivi…); fate muovere solo una
parte del corpo (“la schiena è a terra,
si muovono solo le gambe”, “tutto il
corpo è marmo, meno le mani….meno
la testa….meno il sedere…” Si scopre
allora, nella classe multietnica, che
alcuni muovono alcune parti del corpo
molto, ma molto meglio di altri); guardatevi, scegliete il movimento migliore e fatelo tutti uguale; decidete a cosa
‘dare corpo’: al ritmo delle percussioni, alla parte cantata, al tale strumento…; adesso immaginate… ecc. ecc.
ecc. Tante idee, prima tutte mie, poi
di molti ragazzi, che hanno capito il
senso di quello che facevamo.
Difficile da raccontare, è stato bellissimo da vivere. Non un minuto inutile, non un minuto noioso. Nessuna
gara, tanta scoperta su sé, sugli altri
e sull’ “insieme”. Abbiamo costruito,
se così si può dire, un’idea fisica di sinfonia!
Perché interculturale? Certo anche
per il vissuto esperienziale e relazionale dell’attività, ma soprattutto
perché intanto il percorso tracciato
dalla scelta delle musiche si radicava
dentro di noi. Abbiamo progressivamente ed impercettibilmente introiettato sonorità, ritmi, costruzioni linguistiche musicali che, di brano in brano, ci aprivano porte, inanellando rapporti con quelli precedenti e introducendoci a quelli successivi. La nostra
capacità di percezione musicale, la
nostra sensibilità, prima così limitata
a moduli stereotipati e banalmente
uniformi della nostra (modesta) cultura di massa si è aperta, di fatto, ad
una straordinaria possibilità interculturale!
Non siamo diventati, ovviamente,
degli esperti di musica. Ma tutto il nostro modo di ascoltare, almeno come
potenzialità, è stato sicuramente cambiato
Tutte le riflessioni linguistico-disciplinari e metacognitive, le informazioni, le conoscenze hanno avuto luogo
in parallelo, in classe, in momenti cioè
separati da quelli descritti e hanno
avuto una scansione suggerita, in un
rapporto flessibile, dallo svolgersi delle varie attività nelle ore di musica o
italiano, ma anche di storia e geografia.
Hanno riguardato il concetto di linguaggio e di codice, il confronto tra
codice verbale e codice musicale, qualche informazione di storia della musica contemporanea e semplici informazioni, anche solo di collocazione geo-
dossier
grafica, sugli autori dei nostri brani
musicali.
Per una migliore possibilità di capire
questa parte del lavoro pubblichiamo
anche il felice ‘testo-stimolo’ di
Jovanotti che ha introdotto il tutto e
una delle tante schede riassuntive prodotte con la classe per fissare alcune
riflessioni linguistiche oltre, natural-
mente, la presentazione dei brani
musicali.
Credo che anche senza sentire le
musiche, la loro presentazione, fatta
per noi da Carlo Boccadoro (che anco1
ra ringrazio per la generosa disponibilità che sempre lo caratterizza in tutta
la sua vita professionale e artistica)
sia la cosa migliore per capire!
Presentazione dei brani
a cura del Maestro
musicali
Carlo Boccadoro
I brani presenti sulla cassetta sono
divisi in tre blocchi:
RITMO E VOCI NELLA CULTURA
NON CLASSICA
JAZZ
MUSICA CONTEMPORANEA
tre aree musicali poco frequentate
e, a mio parere, di fondamentale importanza.
RITMO E VOCI NELLA CULTURA
NON CLASSICA
I primi brani sono incentrati essenzialmente su due parametri: ritmo e
voce
Nel primo pezzo, Yaa Yaa Kolè,
eseguito dalla Pan African Orchestra
della città di Accra, nello stato del
Ghana, si hanno numerosissime figure musicali intarsiate tra loro in un
complesso gioco poliritmico. Strumenti
come la marimba, il berimbau, e un
gran numero di percussioni in legno e
pelle accompagnano una figura continuamente reiterata da un gruppo di
flauti. L’effetto finale è molto coinvolgente e, pur nella sua complessità
d’impianto, totalmente fisico e trascinante. Può essere un buon esempio di
come la divisione tra “intelletto” e
“istinto” non esista nella musica di
molte culture diverse dalla nostra. La
naturalezza con cui questi musicisti
eseguono questi difficilissimi ritmi ne
è la prova.
Nel secondo brano, oltre alla complessità ritmica, viene aggiunto anche
l’elemento melodico. Si tratta di una
canzone del Madagascar, Ny Marina, eseguita da un trio locale, il Justin
Vali Trio. Oltre a ritmi di tipica derivazione africana, il brano contiene una
melodia molto orecchiabile che si presta anche a cori di vario carattere
espressivo. Lo strumento solista, il cui
suono somiglia un po’ al mandolino, si
chiama Valiha, ed è un’arpa le cui cor-
de sono poste intorno a un tubo di
bambù. Il solista le pizzica con dei ditali di metallo.
L’uso di voci sole è tipico di moltissime culture mediterranee. Ho scelto
come esempio principe della purezza
di questo stile i Tenores di Bitti, gruppo sardo specializzato nel cosiddetto
canto a tenores. La voce solista intona la melodia principale e il testo
(spesso di carattere satirico o amoroso) mentre gli altri tre cantori realizzano figure ritmiche basate su sillabe
prive di senso compiuto. In Sardegna
vi sono vari tipologie di canto a
tenores. A Bitti è stata conservata la
tradizione più antica, che viene eseguita esattamente come più di mille e
cinquecento anni fa.
Questa sezione termina con un brano che unisce l’elemento vocale (in
questo caso un rap) con quello ritmico in una fusione unica. A realizzarla è
un gruppo neozelandese; i Bad
Boys Batucada,che si esibisce unicamente con cori e strumenti a percussione di ogni tipo. Ispirati sia dai
ritmi del Nordest brasiliano (in cui l’influenza africana è preponderante) che
dalla cultura di colore americana (da
qui l’uso del rap, in cui testo viene
scandito in modo ritmico sulla musica) questo gruppo restituisce a voce e
ritmo il loro carattere primitivo, senza
elaborazioni intellettuali, trasformando la musica in puro impatto fisico.
JAZZ
Nella seconda sezione ho scelto tra
alcuni differenti tipi di jazz.
Si incomincia con lo stile spigoloso
e moderno di Theloniòus Monk, uno
del padri fondatori del movimento
bebop, che negli anni cinquanta rivoluzionò tutto il mondo della cultura
jazz afroamericana. Questa musica
si segnala per i suoi ritmi angolosi, le
19
melodie poco orecchiabili, l’estrema
stringatezza negli assolo, spesso incentrati su intervalli spesso bizzarri e
stridenti.
Lo stile di Monk è particolarissimo e
unico, e solo dopo molti anni è stato
riconosciuto per il suo reale valore. Il
pezzo inciso, Trinkle Tinkle, è uno
dei suoi più rappresentativi.
Per contrasto, il brano seguente,
Christopher Columbus, eseguito
dall’orchestra di Duke Ellington ,
rappresenta alla perfezione lo stile il
jazz più classico. Il suono dell’orchestra di Ellington è stato il modello principale per tutte le big bands degli anni’
30 e’ 40, in cui, a differenza del bebop,
il compito principale del jazz era essenzialmente quello di musica da ballo e intrattenimento, che comunque il
genio di Ellington riesce a sollevare ai
vertici di arte assoluta.
La musica vocale jazz è rappresentata da un duetto tra Louis
Armstrong e Ella Fitzgerald: Let’s
call the whole thing off, inciso nel
1959.. E’ una canzone tratta da un
musical di Broadway, ed è il perfetto
esempio di vocalità jazz tradizionale,
dove i due cantanti fanno a gara in
eleganza e leggerezza, e la particolarissima voce di Armstrong svetta per
originalità stilistica. I due sono accompagnati dal trio di Oscar Peterson,
uno dei più grandi solisti di pianoforte
della storia del jazz.
MUSICA CONTEMPORANEA
Nell’ultima parte sono presenti alcuni brani di alcuni grandi compositori
di oggi a loro volta influenzati sia dal
jazz che dalle culture extraeuropee.
Tra i primi a interessarsi di musica
indiana e africana , John Cage ha
composto nel 1942 insieme al suo
amico e collega Lou Harrison il pezzo Double Music, che è qui registrato. Si tratta dell’unico pezzo della storia della musica ad essere stato composto contemporaneamente da due
persone. Cage e Harrison si sono diviso i numerosi strumenti metallici a
percussione di cui l’organico del pezzo
è fornito. Poi ognuno ha composto la
sua parte senza consultare l’altro e solo
alla fine, quando hanno ascoltato il risultato d’assieme, si sono accorti che
le loro parti coincidevano perfettamente come lunghezza. I riferimenti all’Africa sono molto marcati, ma allo
stesso tempo i suoni metallici denunciano anche l’interesse di Cage e
Harrison per la cultura del gamelan
balinese. Oltre a piatti metallici, sonagli e gongs, i musicisti suonano anche dei freni da automobile mediante
dei martelli.
20
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dossier
Psicoarmonia
La musica, strano fenomeno, la melodia, l’armonia, il ritmo, questi avvenimenti che influiscono sulle molecole del corpo umano trasportando noi
altri su altre dimensioni, cambiandoci l’umore, sottolineandoci pensieri e
stati d’animo, evocando immagini, odori, nostalgie, trasformando energie,
creando movimenti, la danza. Di tutte le arti la danza è la più incredibile, è
l’unica della quale non resta niente, è l’unica che vive solo nel tempo in cui
avviene, che non lascia suoni, non lascia colori, è la negazione della storia
in quanto avviene nel momento in cui avviene e non lascia nessuna testimonianza di sé, è la gioia di un gelato, il piacere di un soffio di vento che
accarezza la faccia. Per questo vorrei essere un ballerino, per non avere
passato né futuro, per vivere nel movimento, per vivere la trasformazione
senza sentirle il peso, per volare. Il ritmo, l’armonia e la melodia, potrebbero essere padre madre e figlia oppure padre con due figlie oppure un
fratello e due sorelle o un figlio con due madri e via discorrendo, questi tre
parenti strettissimi che riescono a trasformare il luogo dove si trovano, che
in una mattina ti fanno esplodere il cuore e ti fanno stupire della grandezza
infinita dell’esistere, sottolineano lo stupore di vivere, di essere nati, di
essere forse nient’altro che un breve passo di danza, da fare in coppia o da
soli, in gruppo, seguendo una disciplina o semplicemente lasciandosi andare, una tecnica o un istinto, o tutti e due. La musica, fenomeno di
sedimentazione di eventi, di eruzione vulcanica, di rottura di equilibri, di
ricerca di nuovi equilibri, di trasformazione di informazioni, di colori che si
fondono, rosso giallo e blu che possono diventare tutti i colori del mondo.
La musica come scelta, la musica come opportunità, la musica. Il suono
intatto, come mattone fondamentale di ogni costruzione musicale, il suono
semplice. Il suono che arriva a noi e ci colpisce e noi crediamo che sia il suo
lato più appariscente a colpirci, la sua forma d’onda principale, e invece lui
ci parla attraverso ciò che non si riesce a sentire, attraverso gli armonici,
quelle piccole variazioni, quelle sporcature, quei colori che lo circondano
come una luce, se il suono è la lampadina gli armonici sono la luce. Il suono
proprio come tutte le cose dell’universo, come le persone, che non parlano
attraverso il significato delle parole o la platealità delle azioni ma attraverso tutti i codici nascosti, i piccoli movimenti, i tic, la velocità dello sguardo,
i gesti delle mani e quelli ancora più invisibile dei piedi o dei muscoli
addominali, le pause tra le parole, il peso dato alle parole, insomma, tutti
gli armonici che rendono unico un suono, che rendono unico un uomo. (da
“Il grande Boh!” di Jovanotti – Feltrinelli ’98)
Segue un brano di Philip Glass,
probabilmente il più celebre compositore vivente. Ho scelto un frammento
di cinque minuti da uno dei suoi primi
lavori, Music in 12 Parts. Si tratta di
una colossale composizione dalla durata finale di cinque ore e mezzo, scritta per il suo gruppo costituito da sassofoni, voci femminili, flauti e tastiere
elettroniche.
Il tipo di sonorità che questo organico riesce ad esprimere è stato dl fondamentale importanza per musicisti
rock come David Bowie e Brian Eno,
e ha inoltre influenzato in modo indelebile tutta la cultura pop. Questo
periodo stilistico di Glass è stato giustamente definito come minimalista,
con un termine preso a, prestito dal
mondo della pittura e architettura
americane dello stesso periodo, dal
1970 al 1976 circa. Esattamente come
nelle opere di artisti affini a Glass (le
grandi tele monocromatiche di Sol
LeWltt, le sculture di Bruce Neumann
e Frank Stella) assistiamo alla crea-
zione di una grande architettura che
parte da elementi minimi continuamente ripetuti fino all’ossessione, in
cui i cambiamenti espressivi avvengono con lentissima gradualità.
Le figure di Glass si reiterano con
grande potenza sonora, spesso sovrapponendo due tempi diversi (le voci
che cantano lentamente e gli strumenti
che si muovono a velocità frenetica).
Naturalmente se si ascolta questa musica secondo un criterio “occidentale”,
ovvero aspettandosi una dialettica tra
situazioni musicali contrastanti, si può
giungere alla follia; bisogna invece
porsi di fronte a questa musica come
di fronte alla musica indiana, da cui
Glass è profondamente influenzato,
avendo studiato anche musica con il
grande solista di sitar Ravi Shankar.
Bisogna seguire le microcellule musicali che si dipanano a poco a poco,
come in un caleidoscopio, esercitando
la massima concentrazione sulle piccole variazioni che portano l’ascoltatore, senza che questi quasi se ne acStrumentiCres
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corga, in un’altra dimensione d’ascolto.
Un altro grande protagonista del
minimalismo è Steve_Reich, l’autore del brano successivo, Sextet (da
cui ho estratto l’ultimo movimento). A
differenza di Glass, Reich non si è mai
interessato all’India, ma ha studiato a
fondo le poliritmie africane e si è
anche recato nel Ghana per esercitarsi con un maestro percussionista. Il
secondo grande amore di Reich è il jazz
e nella sua musica queste due influenze si fondono in un assieme trascinante
e comunicativo. Pur facendo anch’essa uso di un gran numero di ripetizioni, questa musica è molto meno
ossessiva di quella di Glass e di maggior fruibilità e orecchiabilità. In questo brano si fanno uso di due marimbe,
un vibrafono, diversi strumenti a percussione e due pianoforti.
L’erede spirituale dei due compositori che abbiamo ascoltato prima è
John Adams, che ha spinto i limiti del
minimalismo fino a raggiungere una
dimensione molto più espressiva, che
può comprendere elementi che erano
sconosciuti alla severità compositiva
della prima generazione minimalista.
Ne è un perfetto esempio il brano che
ho scelto, Short Ride In a Fast
Machine. E’ una composizione per
grande orchestra basata su un frenetico movimento di figure che accelerano progressivamente; si comincia
con una fanfara per ottoni a cui man
mano si aggiungono sassofoni, sintetizzatori e una nutrita schiera di percussioni.
L’atmosfera della musica è elettrica,
estroversa, e l’ascoltatore viene davvero proiettato ad alta velocità nello
dossier
CARLO BOCCADORO
“Un musicista a 360° . Almeno vorrei esserlo. Ho scritto pezzi prossimi alla
musica classica, ma ho usato anche strumenti jazz, sonorità funky. Nel mio
pezzo d’esordio, 1990, ho mischiato Schubert e Cole Porter. Mi interessa ogni
linguaggio. Amo rubare idee e trasformarle in mie” - così definiva se stesso
Carlo Boccadoro in un’intervista a “Sette” del Corriere della Sera del 23 settembre 1999, anno in cui pubblica da Einaudi Musica coelestis. Conversazioni con undici grandi della musica d’oggi in cui dialoga con dodici tra i più
interessanti compositori del nostro tempo, fra i quali Laurie Anderson, Philip
Glass, Michael Nyman, Steve Reich e David Lang. Nel 2005 sempre con Einaudi
pubblica Jazz! Come comporre una discoteca di base, in cui offre una serie di
consigli per orientarsi nel variegato universo del jazz, seguito nel 2007 da
Lunario della musica che consiglia al lettore un disco per ogni giorno dell’anno, spaziando tra musica classica, jazz, blues, rock, pop, dance, punk, new
wave, soul, folk, hip-hop, world music, musica italiana, elettronica, rap... A
seconda del clima, delle ricorrenze, dello stato d’animo, Boccadoro guida il
lettore ad orientarsi nel vasto oceano dei suoni.
Nato a Macerata nel 1963, vive a Milano, dove si è diplomato in Pianoforte
e Strumenti a Percussione presso il Conservatorio “G.Verdi”, dove ha inoltre
studiato Composizione e frequentato il corso di Tecnica dell’improvvisazione
jazzistica tenuto da Giorgio Gaslini. È uno dei compositori di punta della
nuova generazione, autore di musica sinfonica e cameristica. Scrive per il
teatro e per la danza, collabora regolarmente con Moni Ovadia con il quale ha
inciso un compact disc di musiche yiddish. La sua musica è presente in tutte
le più importanti stagioni musicali italiane.
spazio acustico. Nel giro di poco più di
quattro minuti un gran numero di figure musicali si accavallano in una girandola di grande virtuosismo orchestrale, un vero e proprio fuoco d’artificio.
Si ritorna all’Africa, dove è cominciato il nostro percorso d’ascolto, con
il compositore sudafricano Kevin
Volans che per i musicisti del Kronos
Quartet ha scritto una serie di danze
intitolate White Man Sleeps, ispirate a ritmi e melodie del centro Africa;
ho scelto la seconda, una danza basaci.
ta su improvvisi scatti e arresti ritmi-
Il quartetto suona un ritmo molto
spigliato e basato su diverse figurazioni
sovrapposte. Improvvisamente la
musica si “congela”, per così dire, in
lunghe fasce di accordi suonati senza
vibrato che creano una sospensione del
tempo quasi irreale; alla fine tutti i ritmi ascoltati precedentemente vengono suonati a velocità raddoppiata, in
un crescendo frenetico che conclude il
pezzo. Questa musica era la preferita
dallo scrittore/esploratore Bruce
Chatwin, che la ascoltava costantemente durante tutti i suoi viaggi intorno al mondo.”
Musica e Linguaggi. Riflessioni degli studenti
Abbiamo capito che:
- I linguaggi umani servono a comunicare e ad esprimere e offrono possibilità simili ma non uguali. Ogni
linguaggio ha sue particolari e specifiche possibilità comunicative ed espressive.
- I diversi linguaggi possono essere stati più o meno
coltivati da un popolo o da una cultura e aver raggiunto
livelli di complessità diversi.
A livello individuale si può avere propensione maggiore o minore per uno o per un altro linguaggio, ma
ogni linguaggio, anche il più semplice, è un codice e in
quanto tale, va appreso.
- Nessun linguaggio è universale
- Ogni linguaggio è culturale
- Ogni linguaggio per essere posseduto richiede
apprendimento.
- Tutte le lingue e tutti i linguaggi sono meticci
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StrumentiCres ●
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L’apprendimento di un linguaggio avviene attraverso
uno specifico percorso ‘linguistico ‘ (lessico, grammatica, sintassi per la lingua) e un percorso culturale (storia, arte, cultura in genere)
La lingua e la musica sono relative alle diverse
culture.
Non può esistere un giudizio di valore assoluto né per
l’una né per l’altra, ma solo un giudizio di valore relativo alla cultura di appartenenza, oppure una preferenza
personale e che, in quanto tale, è possibile ed è bello
confrontare e discutere. Infatti tutte le lingue e tutte le
espressioni musicali sono “traducibili” tra loro nel senso che ciò che esprimono e comunicano è sempre l’
umanità che è il sottofondo comune che rende possibile reciprocamente la comprensione, passando attraverso la conoscenza dei codici.
21
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dossier
Portare le canzoni di Fabrizio
De André in classe
Massimiliano Lepratti
autore capace
Un
di parlare a più
generazioni
A 10 anni dalla scomparsa Fabrizio
De André conosce una popolarità crescente, per alcuni versi inaspettata.
Uno degli indici di questo fenomeno è
l’interesse che la sua vita e la sua opera
suscitano nelle case editrici: se fino al
1989 un solo testo, e per di più di dimensioni molto limitate, si era occupato di lui, l’ultimo decennio ha visto
una quantità di studi vastissima. Un
altro indice significativo dell’interesse
per De André è la grande risposta di
pubblico che si registra presso quasi
tutti gli appuntamenti musicali in cui
ne vengono riproposte le canzoni, e
l’aspetto forse più interessante di questo successo è la sua intergenerazionalità: ai concerti dedicati al cantautore si vedono ragazzi e ragazze
di 16 – 17 anni accanto a ultrasessantenni e in compagnia di tutte le fasce
d’età intermedie.
L’utilizzo di un linguaggio capace di
emozionare più generazioni, e la ricchezza e profondità dei temi testuali e
musicali trattati, fanno di De André una
fonte preziosa per lo sviluppo di tracce di lavoro scolastiche che sfruttino
la grande capacità comunicativa del
canto per arrivare a percorsi didattici
disciplinari. Scopo di questo articolo è
proporre una riflessione sull’utilizzo
didattico delle canzoni dell’artista genovese, per la quale ci sembra utile
partire dalle ragioni della capacità che
De André dimostra nel parlare sia alle
generazioni degli studenti, sia alla generazione degli insegnanti, proseguire proponendo una sua collocazione
nella didattica e concludere offrendo
agli insegnanti alcune possibili tracce
di lavoro da svolgere nelle classi.
Le principali caratteristiche che De
André ha mostrato nel corso dei suoi
40 anni di carriera si possono dividere
da un lato nelle sue scelte di fondo e
22
dall’altro nelle sue doti specifiche di
autore di canzone.
Le scelte di fondo che il giovane
genovese, timido, scontroso, amante
dei carruggi e dei bassifondi della sua
città porta con sé per tutta la carriera
sono principalmente due:
•
la capacità unica di servirsi di
una forma popolare come la canzone
per esprimere temi “alti” e letterari
(arrivando ad affrontare i Vangeli non
canonici), mantenendo al tempo stesso una chiarezza di immagini e
un’immediatezza di linguaggio che ne
fanno uno dei ponti più preziosi fra la
cultura accademica e la cultura popolare, come ha sottolineato Dario Fo1 .
La coerenza che ha sostenuto l’intero suo percorso musicale. Fabrizio De
André ha sempre mantenuto intatti i
suoi capisaldi (la scelta per gli ultimi,
il desiderio di non seguire mai le tendenze del mercato, la ritrosia nel proporsi come personaggio del mondo
dello spettacolo) pur all’interno di una
capacità di rinnovamento stilistico che
lo ha condotto dalle ballate francesi
dell’inizio alle complessità etniche dell’ultimo periodo.
Le doti specifiche del De Andrè
autore emergono già da una breve
analisi dei tre elementi principali che
costituiscono la canzone: i testi, le
musiche, le capacità espressive.
Nei testi De André segue le orme
del grande chansonniers francese
Georges Brassens (suo unico, riconosciuto maestro) e le orme più antiche
di Charles Baudelaire, dando voce agli
ultimi e ai reietti della società all’interno di una cura letteraria formale che
non ha eguali nel panorama musicale
(italiano e non solo). A tutto ciò De
André aggiunge una capacità rara di
creare storie ricche di immagini tanto
“alte”, quanto immediate ed emozionanti: “Per me sei figlio, vita morente/ ti portò cieco questo mio ventre/
come nel grembo, e adesso in croce/
ti chiama amore questa mia voce”2 ,
oppure ancora “Lungo le sponde del
mio torrente/ voglio che scendano i
lucci argentati/ non più i cadaveri dei
soldati/ portati in braccio dalla corrente”3 .
Le musiche di De André alternano
il fascino delle antiche ballate (Il
Blasfemo4 , Geordie5 , Fila la lana6 , S’i
fosse foco7 …), a versioni più o meno
dolenti della tarantella (La guerra di
Piero, Bocca di Rosa8 , Don Raffaé9 ), a
reinterpretazioni del patrimonio tradizionale italiano e mediterraneo (l’intero album Creuza de mä10 , brani dagli album Le nuvole11 e Anime salve12 ).
Il percorso che ne esce vede musiche
sì popolari e immediate, ma proposte
in ambiti (la canzone d’autore) e in
momenti storici in cui emergevano
1
Dopo la fine dell’esperienza felice del
Neorealismo in Italia si è presentato il
grave problema di un distanziamento
progressivo tra l’élite intellettuale e le
forme artistiche popolari. De Andrè, insieme a Fo e Pasolini, tra gli artisti e
Umberto Eco tra i saggisti sono tra le
pochissime figure che hanno tentato di
recuperare la lacerazione.
2
Da Tre madri contenuta all’interno
dell’album La buona novella, ispirato ai
vangeli apocrifi e uscito nel 1970
3
Da La guerra di Piero, uscita per la
prima volta in 45 giri nel 1964 e inserita, tra gli altri, nell’album Volume 3°
1968. L’accompagnamento chitarristico
è di Vittorio Centanaro, un musicista che
ebbe un grande influsso sul giovane De
André
4
Uscito nell’album Non al denaro non
all’amore, né al cielo, tratto dall’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters.
1971
5
Uscita per la prima volta in 45 giri
nel 1966. In quell’occasione la voce femminile era di Maureen Rix, insegnante di
inglese di De Andrè. Negli ultimi concerti del cantautore la canzone viene invece ripresa con la figlia Luvi
6
Uscita per la prima volta in 45 giri
nel 1965 e inserita successivamente nell’album Canzoni del 1974. La musica
popolare francese alla base della canzone fu suggerita a De André da Vittorio
Centanaro.
7
Musicata da De André su testo di
Cecco Angiolieri e inserita nell’album
Volume 3° , 1968
8
Celebre ballata scritta da De André a
partire da avvenimenti di cui era stato
partecipe. Uscita per la prima volta nell’album Volume 1° , 1967
9
Ispirata alla figura di Raffaele Cutolo
e inserita nell’album Le nuvole, 1990
10
Uscito nel 1984, la critica alcuni anni
dopo lo insignì del premio come miglior
album italiano degli anni ‘80
11
Uscito nel 1990.
12
Uscito nel 1996
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LadinellaDecollocazione
André
didattica
Il primo dubbio che attraversa l’opera di un cantautore quando è esaminata da un punto di vista didattico riguarda solitamente la questione delle discipline: De André (o Bob Dylan,
o altri) è un vero poeta si o no? E ancora: siamo in presenza di un vero
musicista sì o no?
Alla prima domanda proviamo a rispondere suggerendo una tesi personale: la differenza principale tra poesia e canzone d’autore non riguarda a
priori la qualità letteraria e neppure il
genere di appartenenza (la canzone
può essere considerata un sottoinsieme della poesia), la differenza reale
sta nella modalità di fruizione e nel
modo conseguente con cui si scrive.
La poesia è fatta principalmente per
essere letta, il suo luogo privilegiato è
la carta e concetti complessi, immagini tortuose o ardite non sono un problema particolare, il fruitore può sempre tornare indietro a rileggere le righe più ostiche. La canzone invece è
fatta principalmente per essere ascoltata, le immagini si devono immediatamente concretizzare agli occhi, non
si può tornare indietro; quando De
André canta “Via del campo c’è una
graziosa/ gli occhi grandi color di foglia/ tutta notte sta sulla soglia/ vende a tutti la stessa rosa”13 riesce a
proporre un’immagine chiara in ciascuno dei quattro versi, toccando continuamente le orecchie e gli occhi dell’ascoltatore; anche il celebre concetto finale della canzone (“…dai diamanti
non nasce niente/ dal letame nascono
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sempre come scelte inconsuete.
L’interpretazione di De André rafforza la bellezza dei testi e delle musiche con uno splendido timbro di voce
baritonale e con l’effetto fortemente
teatrale dato dalla narrazione di storie intense attraverso un canto pacato
(“sentiva come un francese, si esprimeva come un inglese” ha detto di lui
Mauro Pagani).
Il fascino di un alto borghese che si
schiera sempre dalla parte degli ultimi, la coerenza con cui impone le sue
scelte al mercato rifiutandone il
condizionamento e l’insieme delle sue
doti artistiche, spiegano probabilmente
il successo di un artista che ha tentato di creare una corrispondenza fra la
sua opera e la sua esistenza, offrendo
una testimonianza a cui è difficile restare indifferenti, qualunque sia la propria generazione di appartenenza.
dossier
i fior”) è tutto affidato alla forza dell’evocazione visiva.
Se non abbiamo dubbi nell’inserire
De André all’interno del genere letterario, non ne abbiamo neppure nell’inserirlo all’interno del genere musicale (popolare). Le sue composizioni
sono semplici, ma rappresentano la
sintesi di una complessità che il cantautore ben conosceva (De André era
un appassionato jazzista e amava
molto Wagner) e soprattutto sono
sempre frutto di un percorso di ricerca originale rispetto alle tendenze della
musica italiana sua contemporanea.
Generi, ritmi, arrangiamenti pescano
in una ricchezza di fonti tale che solo
uno sguardo superficiale può ridurre il
cantautore genovese allo schema:
“melodia ovvia con pochi accordi intorno”.
Dopo aver toccato il problema delle
discipline a cui ricondurre l’opera di De
André ci sembra opportuno accennare ad almeno due grandi temi che
attraversano trasversalmente la sua
produzione per scendere successivamente alle tracce didattiche specifiche.
Il primo tema è quello della storia:
nessuno tra i grandi cantautori europei e americani ha avuto una frequentazione così ricca di temi storici.
In gran parte per passione personale,
in parte su stimolo dell’amico Paolo
Villaggio, De André si cimenta spesso
con il passato lontano (Carlo Martello
ritorna dalla battaglia di Poitiers14 , Fila
la lana, Il re fa rullare i tamburi15 …)
oppure più recente (Ottocento 16 ,
Sidun17 …), senza contare il fatto che
molte sue canzoni sono microstorie,
in cui un singolo protagonista viene
seguito dall’inizio alla fine del canto (La
guerra di Piero, Marinella, Geordie,
Bocca di rosa, Prinçesa18 …). Il secondo tema trasversale è quello dell’intercultura nella sua accezione
ampia (ossia come tentativo di dialogo fra esponenti di culture etniche e
sociali diverse). Il tentativo di De André
in questo campo è soprattutto quello
di offrire all’ascoltatore la voce e il
punto di vista del diverso, del rimosso: dagli zingari di Khorakhanè, ai
palestinesi di Sidun, dall’intensa storia di Prinçesa, alle prostitute di A
dumenega19 , dagli impiccati dell’omonima ballata, ai fannulloni, al Cantico
dei drogati con cui si apre il primo album a tema della musica italiana: Tutti
morimmo a stento20 . Ma il momento
di incontro tra diversi forse più emozionante nell’intera produzione deandreiana è quello tra l’assassino e il
pescatore in cui la filosofia anarchica
dell’autore, aperta all’incontro e priva
di pregiudizi morali si esplica in pochissimi versi: (“E chiese al vecchio
dammi il pane/ ho poco tempo e troppa fame /e chiese al vecchio dammi il
vino/ ho sete e sono un assassino./
Gli occhi dischiuse il vecchio al gior-
13
Da Via del campo, scritta su una
melodia di Enzo Jannacci e contenuta
all’interno dell’album Volume 1° , 1967.
14
Scritta insieme a Paolo Villaggio è
uscita per la prima volta in 45 giri nel
1963, ed è stata inserita nel 1967 all’interno dell’album Volume 1° . Per questa
canzone De André fu chiamato a processo (e assolto) a causa della presunta
oscenità del testo.
15
Uscita all’interno dell’album Volume
3° nel 1968
16
Uscita all’interno dell’album Le nuvole nel 1990
17
Di questa e di altre canzoni si parlerà più diffusamente in seguito. In questi
casi non è stato ritenuto opportuno inserire una nota a pié di pagina.
18
Uscita nell’album Anime salve del
1996 racconta la vera storia della
transessuale brasiliana Fernanda Farias
19
Uscita nell’album Creuza de mä, del
1984, racconta le ipocrisie che circondavano la passeggiata domenicale anticamente concessa alle prostitute genovesi.
20
L’album uscì alla fine del 1968. Nonostante fosse focalizzato su un tema
ostico come quello della morte arrivò ai
primissimi posti nella classifica delle vendite; un fenomeno molto comune per i
33 giri di Fabrizio De André che, pur non
godendo di operazioni promozionali, riscuotevano egualmente grandi successi
di mercato.
23
no/ non si guardò neppure intorno/ ma
versò il vino e spezzò il pane/ per chi
diceva ho sete, ho fame”21 )
tracce
Possibili
di lavoro
nelle classi
La vastità e la profondità dei temi di
De André rende ardua la selezione di
esempi utili per la progettazione didattica. La scelta che abbiamo operato è ampiamente soggettiva e tenta di
rivolgersi ad almeno tre aree di insegnamento.
La prima traccia di lavoro riguarda
il curricolo di storia. Nella produzione del cantautore abbiamo già provato a segnalare la forte presenza di temi
storici e di una continua attenzione al
rapporto tra i diversi. Una possibile
traduzione che incroci questi due filoni potrebbe concretizzarsi in un’unità
didattica per la scuola superiore che
affronti i rapporti tra Occidente (giudeo
e cristiano) e mondo islamico con una
suddivisione in tre nuclei problematici:
i) l’espansione araba in Europa, raccontata a partire dall’ascolto di Carlo
Martello; ii) il periodo delle guerre tra
cristianità e Islam (Crociate e guerre
di espansione turca) affrontata traendo spunto da Sinan Capudàn Pascià22 ;
iii) i conflitti attuali a partire dagli scontri tra israeliani e palestinesi sullo sfondo dell’intensa Sidun23 .
L’insegnante di letteratura che
abbia voglia di spingersi fino al secondo ‘900 potrebbe inserire l’opera di De
André all’interno di un’unità didattica
sugli autori che hanno provato a collegare le forme classiche della letteratura “alta” con temi e linguaggi provenienti dal mondo popolare (oltre al
cantautore genovese e ai già citati
Pasolini e Dario Fo, l’unità didattica
potrebbe comprendere anche Giovanni Testori). Una seconda ipotesi potrebbe invece prevedere un percorso che
attraversi il filone dei cosiddetti “poeti
maledetti”, partendo dalla Francia di
Baudelaire, Rimbaud e Mallarmé passando da Dino Campana, ed arrivando a De Andrè. Anche in questo caso
la continuità fra la ricerca della cura
formale da un lato (tutti gli autori citati scrivono in versi ritmici, a parte
l’ultimo Rimbaud) e l’interesse per
ambienti e soggetti marginali dall’altro sono le tracce comuni su cui si può
appoggiare la progettazione didattica.
Particolarmente indicate nella produzione deandreaiana potrebbero risultare La città vecchia24 , La ballata dell’amore cieco25 , La cattiva strada26 e
le traduzioni da Brassens (Delitto di
24
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dossier
paese)27 e da Cohen (Suzanne)28 . Tra
queste è La città vecchia quella più
esplicitamente debitrice di Baudelaire
(che De André amava moltissimo, al
pari di François Villon), i “pensionati
mezzo avvelenati gonfi di vino” della
seconda strofa sono una filiazione diretta della poesia Il vino dei cenciaioli
contenuto nella celeberrima raccolta
I fiori del male, così come il verso finale dedicato alla “canaglia” del centro di Genova “se non sono gigli son
pur sempre figli/ vittime di questo
mondo” pare uscita dalla penna del
poeta parigino (a cui De Andrè fa un
omaggio esplicito altrove, traducendo
l’inizio di Delitto di paese con: “Non
tutti nella capitale/sbocciano i fiori del
male”, riferimento assente nella canzone originale di Brassens)
Un altro filone deandreiano ineludibile per chi si occupa di Educazioni
trasversali (allo sviluppo, all’intercultura, alla pace…) e che si colloca tra storia e letteratura è il tema
della guerra. Il cantautore genovese ha raccontato situazioni belliche
ambientate sia in tempi lontanissimi
(la già citata Carlo Martello), sia in periodi tardo medioevali: La morte29
(“Guerriero che in punta di lancia/ dal
suolo di Oriente alla Francia/ di stragi
menasti gran vanto/ e tra i nemici il
lutto e il pianto”); Fila la lana (“Nella
guerra di Valois/ il signor di Blie è
morto/ se sia stato un prode eroe/ non
si sa, non è ancor certo”). Avvicinandosi ai tempi nostri De André parla
ancora di guerra in un bellissimo adattamento de La collina30 di Edgar Lee
Masters: “Dove sono i generali/ che si
fregiarono nelle battaglie/ con cimiteri di croci sul petto?/ Dove i figli della
guerra/ partiti per un ideale, per una
truffa/ per un amore finito male?/ Hanno rimandato a casa/ le loro spoglie
nelle bandiere/ legate strette perché
sembrassero intere…”, e ne parla ne
La ballata dell’eroe31 , ne le già citate
Sidun e La guerra di Piero (quest’ultima ispirata alle vicende di uno zio di
De André, tornato dalla guerra d’Albania, senza riacquistare mai più la
capacità di sorridere) oltre che in
Girotondo32 , tragica ballata degli anni
’60 dedicata ai bambini sopravvissuti
all’olocausto nucleare.
Da ultimo ci sembra giusto citare
alcuni fra i moltissimi spunti che De
Andrè offre agli insegnanti di musica. Come già si diceva nei paragrafi
precedenti, la produzione musicale
dell’autore genovese è molto più ricca e varia di quanto non possa apparire ad un ascolto superficiale. Un primo filone tematico è quello (ricorrente) del rapporto di De André con i lin-
guaggi colti: La canzone dell’amore
perduto33 cita letteralmente l’Adagio
dal concerto in re maggiore per tromba di George Philipp Telemann, Caro
amore34 si appoggia sul secondo movimento del Concerto di Aranjuez di
Joaquin Rodrigo, ad un ascolto attento ne Il fannullone35 si può trovare lo
schema del Canone di Pachelbel. Un
secondo filone attinge invece al va-
21
Da Il pescatore. Uscito in 45 giri nel
1970 in una veste molto più essenziale
rispetto alla più nota versione in concerto con la Premiata Forneria Marconi.
22
Uscita in lingua genovese nel 1984
all’interno dell’album Creuza de mä, racconta la vicenda del marinaio ligure Cicala, sfuggito alla morte in guerra grazie alla conversione all’islam con la quale si assicurò una notevole carriera politico-militare presso i Turchi.
23
Anch’essa uscita in lingua genovese
all’interno dell’album Creuza de mä, racconta la morte di un bambino durante i
massacri condotti dai libanesi, con complicità israeliana, nei campi profughi
palestinesi di Sabra e Chatila nel 1982.
Non è certo un caso che De André racconti spesso scontri e incontri fra culture diverse attraverso una lingua franca
e intrisa di oltre mille fonemi mediterranei, come il genovese antico.
24
Uscita per la prima volta in 45 giri
nel 1965, in una prima versione immediatamente censurata e di difficilissimo
reperimento.
25
Uscita per la prima volta in 45 giri
nel 1966 e ispirata a una poesia di
Richepin
26
Uscita all’interno dell’album Volume
8° nel 1975
27
Uscita per la prima volta in 45 giri
nel 1965, come lato B de La città vecchia, è la prima traduzione eseguita da
De André.
28
Uscita in 45 giri nel 1972 insieme a
Giovanna D’Arco , altra traduzione da
Leonard Cohen. Entrambe sono state riprese nell’album Canzoni del 1974
29
Uscita all’interno dell’album Volume
1° nel 1967, è una traduzione da Georges
Brassens
30
Uscita all’interno dell’album Non al
denaro, non all’amore, né al cielo nel
1971
31
Uscita per la prima volta in 45 giri
nel 1961, venne prontamente ripresa da
Luigi Tenco nel film La cuccagna di Luciano Salce.
32
Uscita all’interno dell’album Tutti
morimmo a stento nel 1968
33
Uscita per la prima volta in 45 giri
nel 1966
34
Uscita nella sola prima edizione dell’album Volume 1° nel 1967 e mai più
ripresa
35
Uscita per la prima volta in 45 giri
nel 1963, ne è coautore Paolo Villaggio
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stissimo mondo della musica popolare italiana, mediterranea e
latinoamericana (gli album Creuza
de mä, le Nuvole e, in parte, Anime
Salve offrono moltissimi esempi italiani e mediterranei; in Anime salve
sono presenti anche melodie brasiliane e paraguaiane, nell’album Rimini36
è presente la messicaneggiante Avventura a Durango, tradotta da Bob Dylan,
e sempre ai ritmi messicani guarda
l’arrangiamento originale de La canzone di Marinella37 .
D’altronde De André era stato introdotto alla chitarra da un maestro
colombiano che ne ha indubbiamente
condizionato i gusti). Il terzo filone
dossier
è residuale, nel senso che diventa
difficile contenere sotto un unico cappello la varietà musicale del cantautore genovese, capace di passare dal
dixieland de la già citata Ballata dell’amore cieco, al valzer di Valzer per
un amore 38 , al rythm and blues di
Quello che non ho39 , alle melodie popolari inglesi di Geordie, Sally e Un
blasfemo, alle già citate tarantelle più
o meno dolenti di La guerra di Piero,
Bocca di Rosa, Don Raffaé, alle antiche melodie francesi di Fila la lana e Il
re fa rullare i tamburi… a tutto quel
mondo che non certo la mancanza di
passione per Fabrizio De André, ma
solo gli inevitabili limiti di spazio ci
impediscono di continuare a citare.
36
Uscito nel 1978
Uscita per la prima volta come lato
B del 45 giri contenente Valzer per un
amore. La ripresa fattane da Mina nel
1967 convinse De André a dedicarsi professionalmente alla canzone (fino alla
scelta fatta nel 1975 di trasferirsi in Sardegna e aprire un’azienda agricola).
38
Uscita per la prima volta in 45 giri
nel 1964, riprende il Valzer campestre
di Gino Marinuzzi, ossia la canzone che
girava sul giradischi di casa De André nel
1940, mentre nasceva Fabrizio.
39
Uscita nell’album Fabrizio De André
(noto anche come L’indiano) nel 1981
37
Fare musica tra Italia e Venezuela
Manuela Caltavuturo*
Pisa, Scuola Media, Anna allieva del
Progetto “Far Musica Insieme” organizzato dalla sottoscritta : “Prof c’è un problema, forse non ci sarò al saggio finale”, “Come? Dopo un anno di lavoro?”,
“Mia madre forse ha preso un impegno,
non so”, “Credevo ci tenessi molto al pianoforte” , “Si, ma non esageriamo, nella
vita ci sono tante altre cose…”
Caracas, barrios (ammasso di baracche alla periferia della città), Joyce allieva
del Progetto Musicale di Antonio Abreu:
“Sento di aver scoperto un nuovo mondo, un mondo in cui mi diverto, rido, piango, imparo dai miei insegnanti e persino
rubo loro le idee e le tecniche. La vita
trascorre tra gli strumenti e l’unica cosa
che ti interessa è il tuo strumento, solamente il tuo strumento e la scuola, e così
ti dimentichi dei vizi.”
Pisa, saggio di fine anno del Progetto,
un genitore alla sottoscritta: “È una vera
vergogna mio figlio ha suonato solo un
brano di musica insieme agli altri, così
nessuno se n’è accorto!”, “ Il primo anno
è prematuro per gli assoli, d’altra parte
suo figlio ha frequentato e studiato molto poco, ma le assicuro che fare musica
d’insieme è comunque molto gratificante e formativo”, ”Basta! non lo iscrivo
più.”
* Docente di Educazione Musicale presso la Scuola Media, Pisa
StrumentiCres ●
Settembre
Settembre2009
2009
Caracas, Abreu: “ Ma soprattutto la
musica deve essere riconosciuta come
elemento di socializzazione nel senso più
alto della parola, perché esalta i valori di
solidarietà e reciproca comprensione. Ha
la capacità di unire intere comunità, e in
questo senso le orchestre giovanili acquistano il potere di cambiare il profilo
sociologico di un paese. L’orchestra è una
comunità che ha come caratteristica essenziale ed esclusiva l’aggregazione, la
filosofia del gruppo che si riconosce come
interdipendente, dove ognuno è responsabile di tutti e tutti di ciascuno con il
solo fine di generare bellezza”
Pisa, Carlo, docente di clarinetto del
Progetto, e-mail dopo aver visto “Tocar
y Luchar” di A. Arvelo film sull’esperienza di Abreu: ”Carissima, ho appena finito di vedere il film, non sai quante volte
mi è venuto il nodo alla gola! E’ meraviglioso vedere quanto bambini a cui manca
il necessario per vivere, riescano a godere dell’esperienza musicale, e che qualità di suono! Solo un problema: come
faccio domani a venire a scuola a far lezione ad alunni che incastrano la lezione
di musica tra un impegno e l’altro e il cui
unico scopo è studiare il meno possibile?
In questi aneddoti sono contenute
molte contraddizioni della nostra cultura
occidentale con le quali noi educatori dobbiamo combattere ogni giorno: l’individualismo, la superficialità, la frenesia
degli impegni, il rifiuto della fatica, della
costanza, del sacrificio anche se in vista
di una gratificazione. Ed è contenuta anche l’ammirazione con cui musicisti ed
educatori di tutto il mondo da trent’anni
guardano all’esperienza venezuelana. Volendo fare qualcosa per i bambini dei
barrios che vivono alle soglie della po-
vertà, dietro inferriate e filo spinato, in
un clima di violenza irrespirabile, Abreu
non si è occupato né di cibo, né di vestiti, né di medicine, ma ha insegnato loro
a fare musica insieme. Dice lui stesso: “I
programmi sociali forniscono cibo, riparo, assistenza sanitaria, ma io credo fermamente che solo nutrendo l’anima, questi giovani musicisti troveranno anche le
risorse per emanciparsi e migliorare la
qualità della propria vita diventando persone di grande valore, una vera risorsa
per la propria comunità. Quando costruisci la vita interiore di qualcuno le possibilità che quelle vite hanno di migliorare
e elevare tutta la società sono infinite”.
Così mutuando l’esperienza di direttore d’orchestra, economista e ministro
della cultura è riuscito a coinvolgere governi sia di destra che di sinistra dando
vita ad un Progetto che attualmente coinvolge 240.000 orchestrali, 300.000 coristi
venezuelani e un milione in tutta l’America Latina. Si parte da piccolissimi in un
sistema piramidale: orchestre preinfantili,
infantili, giovanili e in alto l’Orchestra
Simon Bolivar. Alla base ci sono i nuclei,
circa 90 distribuiti in tutti gli stati del paese, e in ognuno hanno sede 2 o 3 orchestre. Non mancano corsi per portatori di handicap (deficit della vista, udito,
motori, di apprendimento e autismo) e
scuole di liuteria che insegnano un lavoro a questi ragazzi.
Abreu, in un paese come Venezuela fra
i più violenti del Sudamerica, ha dato a
ogni bambino uno strumento musicale e
ha puntato sulla spiritualità, sul valore
della cultura, ha stimolato il desiderio di
riscatto sociale e tutto ciò attraverso la
musica che salva ogni giorno ragazzi dalla
strada, dalla droga, dalla violenza, offrendo loro un’alternativa, una possibilità di
25
vita diversa che per qualcuno si è già tradotta nell’inserimento in orchestre europee grazie anche al coinvolgimento di
direttori d’orchestra come Claudio
Abbado.
E in Italia? Da una parte dobbiamo
ancora convincere i nostri governanti e
le Istituzioni sull’importanza formativa
della musica che, come dice Abbado, “non
è riconosciuta come uno dei fondamenti
della vita culturale del nostro paese”;
dall’altro, pur non vivendo situazioni di
emergenza come quella dei barrios, cominciano ad emergere anche in centri apparentemente tranquilli come quello dove
insegno, fenomeni di bullismo, di intolleranza verso i diversi (portatori di handicap o extra-comunitari), un disagio e un
senso di insoddisfazione profondo e diffuso.
Per questo la musica può anche per
noi essere una grande risorsa.
Così nel 2000 dopo avere più volte chiesto l’istituzione di una classe a indirizzo
musicale (sempre negata senza reali
motivazioni), ho deciso di organizzare un
Progetto extracurricolare con il contributo
dei genitori: due ore settimanali comprendenti Teoria Musicale, Musica d’Insieme e strumento (chitarra o pianoforte o violino o clarinetto/sassofono). Le
scelte di ognuno vengono rispettate: dal
fare musica per piacere personale al continuare con studi musicali. Nelle lezioni
a piccoli gruppi i ragazzi scoprono il piacere della condivisione, e alla mia domanda su come ci si sente a fare musica insieme, Luca risponde: “È bello perché
bisogna ascoltare tutti”, dunque la presenza dell’altro può essere un piacere e
sentirsi parte di un tutto può essere molto
gratificante.
Certo non è semplice, i ragazzi vivono
in un mondo che li spinge all’individualismo più sfrenato, al culto della competizione e del successo personale, così
l’esperienza della musica deve conquistare a fatica ogni giorno i suoi piccoli
spazi, mentre all’allenatore della squadra di calcio locale basta schioccare le
dita!
Ma noi insistiamo e, per chi lo desidera, diamo la possibilità di continuare il
Progetto anche dopo la 3° media, così
possiamo vantare una orchestra che va
dalla 1° media alla 4° superiore dove trovano grandi benefici anche ragazzi portatori di handicap o con disturbi caratteriali.
Oltre ai saggi tradizionali abbiamo prodotto due spettacoli multimediali (letture e proiezioni di video accompagnate
dall’orchestra dei ragazzi) dove si descrivono situazioni fortemente problematiche
affrontate con l’aiuto della musica.
Il primo ha per titolo “Musica per ricordare” sui temi dell’Olocausto: alla
Musica proibita dalle leggi Naziste che
imposero modi esecutivi e strumenti tesi
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dossier
ad esaltare la cultura ariana e condannare quella giudaica e nera, a quella usata
dai nazisti durante gli appelli e le torture, si contrappone quella cantata e suonata di nascosto dagli ebrei nei campi
che ha permesso a migliaia di loro di
esprimersi, sfogarsi, sentirsi uniti e provare ad avere, malgrado tutto, una dimensione umana o addirittura una speranza.
Il secondo si intitola “Adolescenza tra
Oriente ed Occidente”. Le produzioni
scritte dei ragazzi che raccontano la loro
adolescenza sono messe a confronto con
quelle ben più drammatiche del “lavoro
minorile” e dei “ragazzi soldato” grazie
ad un percorso con il Progetto ONU/ILO
”SCREAM” (Supporting Children’s Rights
through Education, the Arts and the Media) cui la mia scuola partecipa. Anche
qui protagonista è la musica: quella descritta dai nostri ragazzi che, come dicono i sociologi, occupa un posto importantissimo nella loro vita, e quella “salva-vita”. Appunto il progetto musicale di
Abreu, ma anche i laboratori musicali per
bambini nei campi profughi palestinesi
del Progetto “Note di Pace” che fa capo
alla Scuola Popolare di Musica Donna
Olimpia di Roma e l’orchestra arabo-israeliana di D. Barenboim. Di quest’ultima
iniziativa Barenboim dice: “Nel 1999 ho
fondato la West-Eastern Divan Orchestra
in cui giovani musicisti ebrei, palestinesi,
siriani, libanesi, giordani e egiziani suonano insieme come se lo avessero sempre fatto. Quando per la prima volta un
musicista arabo si trovò a dividere il leggio con un musicista israeliano suonando entrambi la stessa nota, con la stessa
dinamica, con la stessa arcata e la stessa espressione, i due giovani musicisti
non poterono guardarsi più con gli occhi
di prima perché se nella musica erano
stati capaci di sostenere un dialogo suonando insieme allora voleva dire che anche parlare sarebbe stato più facile”. Ed
E. Said l’intellettuale palestinese con cui
ha condiviso questa esperienza: “Se
ascoltate con attenzione un brano musicale vi accorgerete che note e voci diverse si incontrano e si legano l’una al-
l’altra, e nell’atto di sfidarsi a vicenda si
incastrano in maniera perfetta. Certo la
musica da sola non può portare la pace,
ma può farci intuire come il mondo potrebbe o meglio dovrebbe essere.”
Ma anche al mattino nelle mie ore
curricolari la musica diventa veicolo di
tolleranza.
L’idea è di scoprire musiche diverse
dalle nostre a partire da quelle delle diverse culture presenti in classe. La scelta da anni è sempre la stessa: Medio
Oriente e Balcani..
I ragazzi stranieri di solito sono intimiditi, gli altri, insofferenti: “Dovrebbero
tornare tutti a casa loro, qui non fanno
che danni!”.
Rispetto ad anni fa, la situazione si è
inasprita: i fatti di cronaca nera, i disagi
vissuti nella vita di tutti i giorni, i commenti dei genitori, fanno si che i ragazzi
vivano lo straniero solo come un pericolo o peggio ancora un essere inferiore e
spregevole. L’unica via di uscita è puntare sull’aspetto culturale e provare a scoprire le ragioni della diversità: per un
brano nordafricano vuol dire conoscere
la scala araba e legarla alla presenza del
deserto, alla concezione del tempo, ad
altre forme di arte come quella figurativa degli arabeschi: niente a che vedere
con l’essere primitivi o inferiori.
Appena il clima si scioglie i bambini
stranieri portano loro stessi materiali:
brani musicali, i passi di una danza e,
apprezzatissimi, i video dei matrimoni
dove non solo si ascolta la musica, ma si
vedono gli strumenti, le danze, i vestiti, i
riti scoprendo che da nessuna parte si
mangia tanto quanto in Italia! L’occupazione principale degli altri è invece danzare e fare musica!
Fra gli ascolti arrivano le contaminazioni più disparate, ma non è il caso di
puntare troppo sul filologicamente corretto, lo strapotere della musica americana che massifica tutto è da dibattere
in altro momento, meglio mostrare invece come le culture nel corso dei secoli si
siano sempre incontrate pacificamente:
una musica bulgara che sembra araba,
un brano serbo (“Simarik”) che diventa
pop (“Kiss Kiss”), gli esercizi della danza
orientale riconosciuti dalla ragazza che
fa Hip Hop e poi la Jump Style non sembra musica tribale?
E i risultati? Con ragazzi di questa età
spesso bisogna accontentarsi di segnali:
gli allievi che si iscrivono al progetto anche dopo la 3° media e altri che proseguono al liceo musicale, il ragazzo
psicotico che riesce a fermare il suo eterno dondolio solo quando suona la chitarra, l’entusiasmo dei ragazzi che con tamburi e djembè giocano con i ritmi medioorientali; per il resto occorre continuare
a seminare e insistere presso i governi e
le Istituzioni per migliorare l’educazione
musicale nel nostro paese.
Per cui… Buon lavoro a tutti noi!
StrumentiCres
StrumentiCres●Settembre
Settembre2009
2009
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dossier
Musica, storia ed arte
dell’incontro
Come la canzone in lingua portoghese racconta gli anni
delle dittature
Giovanna Stanganello
Faccio parte di un gruppo di ricerca
su musica e storia in dimensione europea - non eurocentrica – che analizza luoghi della memoria raccontati attraverso la canzone: dalla piazza alla
fabbrica, ai caffè, alla terra, alle strade. L’iniziativa è nata all’interno di Iris
(associazione di Insegnamento e Ricerca Interdisciplinare di Storia) ed ha
seguito nel corso del tempo variazioni
sull’idea originaria. La mia parte di
attività si concentra sull’area in lingua
lusofona, ma il territorio d’indagine,
dall’Europa (ovvero dal Portogallo) si
è quasi fatalmente spostato in Brasile, data la mia frequentazione materiale e ideale di quella terra a partire
da una collaborazione in laboratori
espressivi all’interno di progetti di strada in Minas Gerais e nella città di São
Paulo. Il “mal di Brasile” ha trovato in
Italia un canale (che unisce l’interesse amatoriale per la musica al piacere
della lingua portoghese cantata) nel
coro Cantosospeso che esegue brani,
brasiliani e non, appartenenti ai popoli “sospesi sulla soglia della dimenticanza”. Ritengo fondamentale per
l’efficacia didattica, oltre agli elementi
cognitivi disciplinari trasmessi, gli
aspetti relazionali ed emozionali, che
rendono profonda la trasmissione dei
saperi. Se una cosa piace intensamente essa sarà insegnata in modo convincente, se i tasti toccati sono quelli
che hanno a che fare con l’universo
affettivo, l’apprendimento avrà luogo
come esperienza significativa. In questa prospettiva la passione per la musica e per la poesia ha costituito un
passaggio importante per le mie precedenti attività esercitate nell’ambito
dell’intercultura. Si tratta di un approc-
* Docente Itsos Maria Curie, Cernusco
S/N
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Settembre 2009
cio non peregrino neanche per un’indagine di tipo storico. Non sto qui ad
analizzare gli aspetti metodologici inerenti alla questione, poiché altri interventi li metteranno a fuoco, riporto solo
da una domanda iniziale: come
veicolare contenuti di tipo storico utilizzando strumenti poco o mal frequentati nella scuola? E’ un’occasione perduta non sviluppare una dimensione
musicale in un territorio che, come
quello italiano, vanta una tradizione
melodica di storica tradizione; meglio,
è lo stesso clamoroso limite che si rileva nell’impostazione della riforma
nella secondaria superiore che non assegna all’istruzione artistica il rilievo
che le sarebbe proprio: il paradosso
per cui nella patria del Rinascimento
l’indirizzo dei beni culturali subisce una
grave mortificazione, estinguendo la
sua funzione sperimentale. Nessuno
tra i partecipanti alla ricerca è uno
specialista in ambito musicale, ma ciascuno attribuisce a tale sfera della comunicazione una profonda valenza
formativa e ritiene che anche i non
addetti ai lavori possano utilizzare documenti di questo genere.
Il mio ago magnetico volge alla “contaminazione”: quale zona più congeniale di un luogo meticcio di popoli e
di culture come quello di Brasile? Grande è il fascino di un portoghese “corrotto” dal passaggio tra diversi continenti e impregnato di cadenze africane in cui “le parole cantate” sono pronunciate con accenti assai differenti:
dai suoni sincopati in cui si perdono le
vocali della parlata europea, alla
musicalità sinuosa del Brasile e dei
territori post coloniali africani. Segnalo a questo proposito un recentissimo
progetto curato da Alberto Zappieri che
promuove l’incontro tra culture musicali diverse e che ha prodotto il CD
Capo Verde terra di amore, vol. 1. In
esso sono raccolti i testi interpretati
da Cesária Évora e da Teófilo Chantre
eseguite insieme a nostri cantautori
impegnati in progetti di solidarietà.
La commistione di ritmi è la cifra
stilistica dell’opera, il cui introito è devoluto al Programma Alimentare Mon-
diale dell’ONU.
Proprio pensando alla cultura dell’incontro e della traduzione, e dovendo necessariamente selezionare pochi
autori, ho scelto di lavorare prevalentemente sul cantautore brasiliano
Chico Buarque de Hollanda, in contatto con esperienze di spicco della poesia e della canzone d’autore italiana
anche per ragioni biografiche – da
bambino trascorse due anni a Roma e
vi tornò tra il 1969 e il 1970, restandovi 14 mesi, per l’ostilità del governo
militare nei suoi confronti. Chico, come
Caetano Veloso, Gilberto Gil, esuli nell’Inghilterra dei quegli anni, come è
Milton Nascimento e altri cantautori in
Brasile, rappresentano la storia di un
momento particolare che non è proprio solo al Brasile ma che, con un gioco di rimandi, travalica i continenti in
una dimensione sovranazionale in cui
musica e storia s’intrecciano e raccontano i decenni della contestazione e
della repressione, gli anni della
decolonizzazione e e le buie resistenze degli antichi colonizzatori.
Chico Buarque era già noto a livello
internazionale: Mina aveva cantato la
traduzione italiana di A banda, che
nell’apparente lievità dei contenuti e
nello scanzonato ritmo svela altro: la
mia gente sofferente disse addio al
dolore per vedere passare la banda
cantando cose d’amore[…] ma per il
mio disincanto quello che era dolce finì,
tutto riprese il suo posto dopo che la
banda passò. autore vicino per sensibilità alle storie degli ultimi, Enzo
Jannacci, aveva tradotto Pedro Pedreiro, Sergio Bardotti aveva svolto un
vero lavoro di ponte tra culture musicali. Grazie a questi contatti, in un
gusto che superava il vecchio canto
impostato per scelte stilistiche e
tematiche, Chico aveva inciso Per un
pugno di sambain collaborazione con
Ennio Morricone.
Alla frontiera tra generi, anche il film
e la serie televisiva hanno utilizzato la
canzone di Chico Buarque in stretta
connessione con la storia degli anni ’60
e ’70, in particolare i testi:
Zuzú Angel di Sergio Rezende (2006)
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e Anos rebeldes ( Anni ribelli ) di
Gilberto Braga (1992).
Si tratta di opere diverse, ma in entrambe la canzone entra nelle vicende
storiche, intrecciandosi indissolubilmente con esse. Il primo è un film sulla
stilista brasiliana Azuleika Angel, il
punto di vista è quello di una persona
estranea al coinvolgimento politico diretto e che si trova improvvisamente
situata in esso, ferma nella tenace richiesta di verità sulla sorte del figlio
Stuart, giovane oppositore “desaparecido”. Nell’excipit del film le musiche di Chico entrano nella narrazione in funzione diegetica: Apesar de
você è un’allusione critica al regime,
Cálice la vicenda di Stuart (“Minha
cabeza perder teu juizo / quero cheirar
fumaça de óleo diesel”: il giovane fu
torturato legandolo al tubo di scappamento dell’auto). Tali canzoni saranno
in qualche modo la colonna sonora
della protesta dei più generosi intellettuali che, dopo la promulgazione
dell’Atto istituzionale n. 5 da parte del
governo Médici, subiscono la repressione della dittatura. L’ascolto di Zuzú
della cassetta di Chico Buarque sulla
macchina che la conduce alla morte
s’intreccia alla frequentazione con il
cantautore (che poi le dedicherà il testo Angélica): a lui la stilista aveva
consegnato copia del dossier documentario sulla morte del figlio.
Anos Rebeldes è una miniserie televisiva che rivisita la storia del Brasile
tra il 1964 e il 1979 attraverso le vicende di un gruppo di giovani della
classe media, studenti universitari del
tradizionale Collegio Pedro II a Rio de
Janeiro. L’opera fu proiettata tra luglio e agosto 1992 in Brasile in 14 puntate, in Italia è disponibile per i prestito bibliotecario presso l’Ibrit d Milano
(Istituto Brasile-Italia di via Borgogna)
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dossier
nella versione in 3 Dvd. Propongo due
scene contenute alla fine del secondo
Dvd: nella prima si assiste alla perquisizione poliziesca in casa di un docente universitario mentre la TV trasmette la notizia della promulgazione
dello stesso Atto istituzionale n. 5 di
cui si recita l’art. 12 che segna una
recrudescenza della censura, è il 13
dicembre 1968. A seguire, immagini
del capodanno 1968, dopo le quali si
colloca la seconda scena analizzata
(essa chiude la seconda videocassetta): il gruppo dei nostri studenti assiste al festival della canzone, uno degli
eventi più popolari che coinvolge un
grande pubblico (la TV Record nel 1965
aveva trasmesso La banda di Chico; il
Festival della Música Popular della TV
Excelsior del 1966 si era aperto all’insegna del rinnovamento).
I giovani di Anos Rebeldes si ritrovano a disputare diverse posizioni
estetiche e politiche attraverso le due
canzoni giunte in finale del Festival
Internacional da Canção della TV Globo del 1968: Sabiá di Tom Jobim e
Chico Buarque (che vincerà la rassegna) e Caminhando e cantando di
Geraldo Vandré (che si classificherà
seconda) il cui sottotitolo recita: “per
non dire che non ho parlato dei fiori”.
Mentre la prima riscuote grande successo di pubblico per le sue novità
anche stilistiche e melodiche, la seconda sembra prepararsi a diventare
il nuovo inno nazionale di resistenza
alla dittatura in Brasile: non a caso sarà
vietata e il suo autore costretto all’esilio. Uguale sorte, però, tocca agli apparentemente meno impegnati autori
dell’altro testo, o almeno ad uno di
essi. La storia dei festival in Brasile è
particolarmente importante se si pensa ad altri momenti degni di memoria: nel 1972 José Afonso canta A
morte saiu a rua memoria del pittore
e scultore José Diaz Coelho, membro
del PCP, assassinato in una strada di
Lisbona dalla Pide, la polizia segreta
della dittatura portoghese.
Proprio José Afonso è l’autore scelto per l’area portoghese nella mia ricerca, il cui arco temporale è compreso tra gli anni’60 e ’70 del Novecento
e si concentra in due direzioni: da un
lato le città del Portogallo e quelle del
nuovo continente con un fuoco privilegiato sulla metropoli di Rio de
Janeiro; dall’altra la terra dell’Alentejo
portoghese e del sertão del nord-est
brasiliano, dove le lotte dei contadini
e il fenomeno migratorio verso le grandi aree urbane diventano motivo ricorrente delle canzoni scelte per la
presente ricerca. Zeca, epiteto familiare di José Afonso, è legato alle forme della musica popolare portoghese
e costruisce le sue ballate sulla linea
melodica del fado, che innova al suo
interno abbandonandone la versione
più scontata e commerciale. La città
raccontata dalla canzone di José
Afonso è una trasposizione simbolica
e lirica, ma è anche una chiamata a
raccolta contro gli ultimi rigurgiti della
dittatura (Grandola Vila Morena è il
canto che, trasmesso per la prima volta
alla radio, darà il segno di avvio della
rivoluzione dei garofani del 25 aprile).
La forza di aggregazione della musica e la sua capacità resistenziale s’incarnano in momenti drammatici della
storia dei paesi latino-americani, come
l’atroce conclusione della vita di Victor
Jara. Ma senza arrivare a situazioni
così agghiaccianti, restano nella memoria anche i versi di Cálice di Chico
Buarque (già ricordata per altra ragione) che il regime è riuscito ad immortalare e a rendere icona spegnendo i
microfoni durante il concerto. La canzone, censurata dalla dittatura, giocava sull’ambiguità semantica tra “cálice”
e “cala-se” (“taci”) il cui suono è lo
stesso: il calice amaro da allontanare,
dolorosa preghiera nell’orto del
Gestsemani, si attualizza nel Brasile
contemporaneo a Chico attraverso
l’imposizione al silenzio del regime
militare. Certamente le dittature contribuirono ad approfondire l’instablità
emotiva o l’ipersensibilità di autori
come Zeca Afonso, Geraldo Vandré,
Caetano Veloso attraverso la limitazione della libertà personale, espressiva
e lavorativa (allo stesso José Afonso
viene interdetto l’insegnamento).
Chico, come José Afonso, ha cantato vicende storiche reali, ma i suoi testi mettono in scena anche personaggi di fantasia, a loro volta calati nella
storia e nei giorni di gente reale. ParStrumentiCres ●
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ticolarmente bene riesce all’autore raccontare le vicende dal punto di vista
dei poveri, dei ragazzi della strada,
delle ragazze della notte. Molte storie
sono narrate al femminile, oppure attraverso la focalizzazione di creature
androgine: così Geni e o zeppelin, Mar
e lua rappresentano i marginali, nuovi
untori di fine secolo XX contro i quali
si lanciano le pietre, facili capri
espiatori. La madre di O meu guri non
sa bene e proprio non vuole vedere
cosa fa di mestiere il suo ragazzo che
le riporta orologi e le fa doni, figlio affettuoso e spericolato, ucciso durante
uno dei suoi furti di strada, abitatori
di uno dei tanti quartieri da dimenticare. Nelle vicende di prostitute annegate dal pregiudizio degli uomini, di
ragazze uccise dalla violenza dei maschi come nella storia di Marinella, di
transessuali e lesbiche presi a sassate,
nelle storie “minori” delle periferie di
vernici e cachaça i marginali si somigliano: dall’altro lato del mare il nostro poeta De Andrè li canta nei suoi
dossier
carruggi genovesi, nelle terre di Sardegna, nelle città del nord dove i giovani venuti dal Brasile abitano la strada (Andrea, Princesa, ma ogni canzone di Fabrizio è empaticamente legata
agli esclusi).
Seguendo il ponte tra musica
lusofona e referenti del nostro paese,
torniamo agli interni romani in cui si
raccoglievano gli artisti brasiliani e italiani tra il 1968 e il 1969 durante l’esilio di Chico Buarque de Hollanda. Un
titolo emblematico sintetizza il fermento di idee musicali e lo scambio di esperienze che Sergio Bardotti cerca di
mettere insieme: è il CD di Sergio
Endrigo La vita, amico, è l’arte dell’incontro (Fonit Cetra, 1969, ripubblicato
dalla Warner Music Italia nel 2005).
Da quel contesto ha origine il legame
affettivo tra le due culture che persiste, se pensiamo alle suggestive interpretazioni di testi della Bossa Nova
e della Musica Popular Brasileiria da
parte di Vanoni, Mannoia, Mina (si
ascoltino, ad esempio Valsinha di
Le canzoni come
specchi, testi e fonti
Un approccio integrato
storico-musicale-letterario
Maurizio Gusso*
Una proposta
metodologica nata
da una duplice
esperienza
Fra le varie pratiche didattiche
innovative al confine fra storia, musica, lingue e letterature italiane e straniere, non sembrano essere molto diffusi gli approcci interdisciplinari caratterizzati da una sufficiente attenzione
* Presidente IRIS
StrumentiCres ●
Settembre 2009
all’uso didattico delle canzoni come
fonti storiche.
Come insegnante di italiano e storia del triennio della secondaria di secondo grado ho sperimentato percorsi
curricolari integrati di storia, letteratura, musica, cinema ed ‘educazioni’
(interculturale, alla pace, alla cittadinanza, alle pari opportunità, allo sviluppo sostenibile, al patrimonio, ai
media ecc.)1 .
Come formatore dei docenti delle
scuole di ogni ordine e grado ho partecipato e partecipo alle attività del
Gruppo di ricerca didattica di IRIS
(Insegnamento e ricerca interdisciplinare di storia) Storie e culture musicali in dimensione europea ma non
eurocentrica2 .
Da questa duplice esperienza ricavo una proposta metodologica, condivisa dal Gruppo, che in questa sede,
per limiti di spazio, presento in modo
schematico3 .
Vinicius de Moraes cantata da Chico e
Mina o Samba em preludio di Vinicius
e Tom Jobim), o le efficaci traduzioni
di Ivano Fossati (ricordo, tra tutte O
que será – nelle sue due parti: À flor
da terra, e À flor da pele). Il CD sull’arte dell’incontro vede la collaborazione di Toquinho e si traduce in immagini in un bel video di quegli anni
(trasmesso dalla tv brasiliana) in cui
la voce del cantautore brasiliano si affianca a quella dei grandi poeti dei due
paesi: Giuseppe Ungaretti e Vinicius
de Moraes, senza i pregiudizi di
separatezza tra musica e poesia,
ricomponendo quel legame da cui proprio la poesia è nata, che sta nel ritmo, nella melodia e nelle storie, e i
brasiliani lo sanno1 .
1
Il video in questione è reperibile solo
per gentile omaggio di Monica Paes,
conduttrice della trasmissione di musica
brasiliana Avenida Brasil
Opzioni
e riferimenti
metodologici
A) La consapevolezza della complessità delle canzoni come fenomeni musicali globali o a molte dimensioni (musica, canto, ritmo, recitazione, corporeità, letterarietà dei
testi, rito, performance, spettacolo,
fenomeno mediatico, prodotto dell’industria culturale ecc.), suscettibili di
una pluralità di approcci possibili:
semiologia, semiotica, ermeneutica,
critica musicale, sociologia della musica, storia della musica, storia dei
1
Per un esempio di percorsi curricolari
integrati di ‘educazioni’, storia e letteratura cfr. M.Gusso, L’Italia narrata. Un
percorso integrato di storia e letteratura
del Novecento, in C.Brigadeci (a c. di),
Il laboratorio di italiano. Esperienze, riflessioni, proposte, Unicopli, Milano,
2002, pp.19-43.
2
Cfr. Gruppo di ricerca didattica di
IRIS, Storie e culture musicali in dimensione europea ma non eurocentrica,
scheda aggiornata al 30.6.2009, scaricabile dal sito www.storieinrete.org
3
Cfr. M.Gusso, Storie di canzoni migranti, fra traduzioni, riusi, censure e
meticciati, in M.T.Rabitti – M.Gusso (a c.
di), Storia e musica in laboratorio, “I
Quaderni di Clio ‘92”, 2007, n.8, pp.85127.
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modelli culturali/dell’immaginario/delle
idee/delle mentalità, storia sociale,
economica, politica, ambientale, della
cultura materiale ecc..
B) Un approccio alle canzoni almeno in parte analogo a quello alle altre
opere d’arte, ispirato non al ‘realismo
ingenuo’ della ‘teoria del riflesso’ (l’arte
come riproduzione fedele del reale,
come imitazione, esclusiva o quasi,
della natura o della società), né al ‘formalismo’ o ‘convenzionalismo assoluto’ (l’arte come imitazione esclusiva,
o quasi, dell’arte), ma a forme di
‘convenzionalismo relativo’ o ‘realismo
smaliziato’, ispirate alle teorie dell’arte come ‘rappresentazione’/’interpretazione’ polisemica di aspetti di
realtà (in tensione vitale sia con la
natura, sia con la società, sia con le
eredità musicali, artistiche e culturali)
e convergenti con l’approccio ‘convenzionalista relativo’ ai ‘fatti storici’.
C) Un approccio interdisciplinare alle
opere musicali come ‘specchi’ su cui
proiettare domande esistenziali e ‘orizzonti di attesa’, testi caratterizzati da
una pluralità di codici, fonti storiche,
agenti di storia e strumenti di narrazione storica.
D) Un passaggio graduale dal piano
dell’intratestualità (analisi del singolo testo-fonte) a quelli dell’intertestualità (analisi comparata di serie di
testi-fonti) e della contestualizzazione storica, nei suoi diversi piani
(contestualizzazione nei rapporti fra
canzoni e loro autori, nella storia dei
modelli culturali, delle rappresentazioni
simboliche e della musica, e nella storia socio-economico-politica, ambientale e della cultura materiale).
E) La consapevolezza delle diverse
funzioni delle differenti modalità
d’uso didattico delle canzoni e, più
in generale, di ogni traccia nella didattica della storia: come ‘specchio’;
come icebreaker/rompighiaccio evocativo; come illustrazione/traduzione in
altri linguaggi di informazioni contenute in altre fonti, soprattutto ‘secondarie’; come elemento di problematizzazione; come fonte storica.
F) La necessità di confrontare/intrecciare le canzoni con altri prodotti musicali e con altri tipi di fonti.
G) L’ancoraggio a una progettazione curricolare, flessibile e modulare, per ‘nuclei fondanti’, operatori
cognitivi, conoscenze significative,
competenze, temi/problemi, tipologie/
casi e blocchi/filoni ricorrenti di finalità e una ‘solidarietà reciproca’ fra
discipline ed ‘educazioni trasversali’4 .
H) Un approccio globale, integrato
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dossier
(cognitivo, socio-affettivo-emozionalerelazionale e psicomotorio), intersoggettivo, euristico, interattivo,
laboratoriale, ludico, multimediale
alla didattica storico-interdisciplinare,
incentrato sulla mediazione didattica
e sul percorso presente – passato –
presente/futuro.
I) Un percorso graduale dal predisciplinare al disciplinare e a forme
di interdisciplinarità e trasversalità.
Un esempio
di scheda sul
percorso fonte –
serie – contestualizzazione storica
1. Individuazione di un tema/
problema di ricerca ‘strategico’
nella progettazione curricolare
storico-letterario-musicale
2. Analisi di una canzone (piano
della ‘intratestualità’)
2.1 Breve presentazione della canzone e del motivo della sua scelta.
2.2 Fruizione della sua versione originale, se possibile, o di quella più
vecchia disponibile (in forma audioregistrata o possibilmente audiovideoregistrata).
2.3 Analisi globale (linguistico-comunicativa, letteraria, musicografica, storica, sociologica ecc.) della versione
considerata della canzone attraverso
analisi più specifiche
a) del testo scritto pubblicato/ufficiale: struttura metrica e narrativa,
sistema dei personaggi, ambientazione
spaziale, temporale/storica e sociale
ecc.;
b) delle eventuali varianti apportate
dalla versione effettivamente ascoltata al testo scritto pubblicato/ufficiale;
c) della parte specificamente musicale (vocale e strumentale);
d) degli aspetti materiali/visivi/corporei/gestuali dell’eventuale videoregistrazione della performance;
e) del contesto globale (culturale/
artistico, sociale, politico-istituzionale, economico, tecnologico ecc.) di produzione della canzone (autori di versi
e musica, interpreti, data e luogo di
registrazione, casa discografica; storia della canzone);
f) del contesto globale di ricezione/
fruizione/consumo della canzone (dati
sugli ascolti e sui pubblici specifici delle
varie versioni/performance ecc.).
Per quanto riguarda la storia, ecco
alcune domande-chiave: per quali
obiettivi formativi/competenze e temi/
problemi specificamente storici e per
quali forme di storia questa canzone
può essere considerata una fonte storica rilevante? quali sono le informazioni storiche inscritte nei vari codici
(linguistico, letterario, musicale, tecnologico ecc.) della canzone e del suo
contesto globale di produzione e
fruizione? qual è la storia della canzone?
Per quel che concerne lingue e letterature, ecco alcuni esempi di domande chiave: per quali obiettivi formativi/competenze e temi/problemi specificamente linguistici e letterari questa canzone può essere considerata
significativa? quali sono gli aspetti linguistici e letterari peculiari di questa
canzone? come si inserisce nella storia della lingua e della letteratura?
Quanto a musica, ecco alcune domande-chiave: per quali obiettivi formativi/competenze e temi/problemi
specificamente musicali questa canzone può essere considerata significativa? Quali aspetti musicali caratterizzano tale canzone? Come si inserisce
nella storia della musica?
2.4 Eventuali confronti globali fra più
versioni della stessa canzone attraverso le stesse analisi specifiche di cui al
punto 2.3.
3. Analisi di una serie di canzoni
e di altre fonti (piano della ‘intertestualità’)
3.1 Analisi globale (v. punto 2.3) col
‘metodo contrastivo’ (ricerca di analogie e differenze rilevanti, fra regolarità ed eccezionalità) di una coppia/
serie di canzoni significativamente
comparabili.
3.2 Confronto fra la canzone/serie
di canzoni considerate e altre fonti.
4. Contestualizzazione storica
(piano della ‘contestualizzazione’)
4.1 Contestualizzazione biografica.
4.2 Contestualizzazione nella storia
dell’immaginario/dei modelli culturali/delle mentalità/delle idee.
4.3 Contestualizzazione nella storia
delle forme (storie ‘non storicistiche’
delle lingue/letterature/musiche e/o
delle altre forme di arte, cultura e simbolico).
4.4 Contestualizzazione nelle altre
storie (ambientale, demografica, tecnologica, economica, sociale, politicoistituzionale ecc.).
4
Cfr. M.Gusso, Educazioni e area
geostorico-sociale: una solidarietà reciproca, in Aa.Vv., Scienze geostorico-sociali per un curricolo verticale. Dalla Ricerca-Azione alla Sperimentazione Assistita, Irrsae Lombardia, Milano, 1998,
pp.29-38.
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Settembre 2009
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dossier
Identità e differenza:
un percorso
Enrico Strobino*
Ladeiscuola
laboratori
Penso che la scuola dovrebbe diventare sempre più una Scuola di Laboratori. Mi rendo conto che nel momento
in cui scrivo parlare di Scuola dei laboratori è per lo meno anacronistico, visto che i vari interventi sulla scuola
pubblica non potranno che portare alla
loro quasi totale scomparsa. Rimane in
me la convinzione che sia necessario
continuare a parlarne, a teorizzarli e a
sperimentarli, là dove è ancora possibile, aspettando nuove primavere.
Nella scuola dei laboratori tra il dire
e il fare non c’è di mezzo il mare. Al contrario ci sono numerosi ponti che mettono in comunicazione conoscenza e
operatività, lavoro individuale e collettivo, informazione e ricerca, teoria e
prassi. Questi ponti a volte sono strumenti di lavoro, altre volte sono tattiche, altre ancora percorsi attrezzati.
La scuola dei laboratori è più vicina
a una visione didattica interdisciplinare
e metacognitiva piuttosto che ad una
visione strettamente disciplinare e
monocognitiva, più tipica della lezione
in classe.
In questa direzione mi sembra importante individuare aree, zone, percorsi in cui abitano pratiche e concetti
federatori , 1 capaci di oltrepassare il
confine di pensieri monocordi, verso il
molteplice, il polimorfo, il polivalente.
percorso:
Un
identità
e differenza
Queste due parole, identità e differenza, sono molto importanti nel mon* Musicista, insegnante, ricercatore di
didattica della musica
StrumentiCres ●
Settembre 2009
do di oggi, e lo saranno ancora di più in
futuro. Sempre di più diventerà decisiva la capacità degli uomini e delle donne di far incontrare e convivere questi
due concetti, che sintetizzano moltissimi aspetti della realtà e delle relazioni
fra persone, paesaggi, pensieri e culture.2
Noi, nel nostro piccolo, possiamo intanto giocare con queste parole: possiamo esplorarle, interpretarle, dar forma
a piccole costruzioni in cui identità e
differenza sappiano convivere, arricchendosi vicendevolmente. Possiamo
fare esercizi di co-esistenza.
Il nome
Pensando al concetto di identità personale una delle prime cose che viene
in mente è senza dubbio il nome: il
Il nome
nome è il primo elemento che, all’interno della comunità in cui siamo arrivati,
definisce la nostra singolarità. Possiamo quindi inventare attività che riguardano questo aspetto.
•
Andiamo alla scoperta dell’origine del nostro nome: che significato
ha? Perché siamo stati chiamati così?
Ci sono nomi ricorrenti nella nostra famiglia?
•
Per qualche tempo (qualche ora
o per un giorno intero) proviamo a
scambiarci i nomi. Ognuno di noi risponderà al nuovo nome. Alcuni temi
di discussione: quanto è importante il
nostro nome per l’immagine che ognuno di noi ha di se stesso? Quanto ci sentiremmo diversi se ci chiamassimo,
d’ora in poi, con un altro nome? Desidereremmo avere un altro nome? Perché?
Gianni Rodari, Mario Piatti
Vorrei chiamarmi Dante
E scrivere un bel poema
Vorrei chiamarmi Euclide
E inventare un teorema
Vorrei chiamarmi Giotto
E far belle pitture
Vorrei essere il più bravo
In tutte le bravure
Vorrei chiamarmi…..
Come mi chiamo e sono
Per diventare ogni giorno
Almeno un po’ più buono
31
•
Possiamo anche dare visibilità
alla nostra piccola comunità realizzando una forma simbolica che metta in
scena tutti i nostri nomi: un gruppo di
ragazzi e ragazze di scuola media ha
realizzato l’installazione Difference
Stones, che vedete nella foto. è un esempio di opera che mette in scena la
compresenza di identità e differenze,
verso un’idea di molteplicità, di polifonia, di moltitudine, come vedremo
più avanti.
Uguaglianze
•
Quali sono i tratti comuni fra gli
uomini e le donne del pianeta Terra?
Provate a farne un elenco. Quindi leggete e commentate quello che ha fatto
Umberto Eco, importante studioso e
scrittore italiano:
Siamo animali a postura eretta, per
cui è faticoso rimanere a lungo a testa
in giù, e pertanto abbiamo una nozione comune dell’alto e del basso, tendendo a privilegiare il primo sul secondo.
Parimenti abbiamo nozioni di destra e
di sinistra, dello star fermi o del camminare, dello star ritti o sdraiati, dello
strisciare o del saltare, della veglia e
del sonno. Siccome abbiamo degli arti,
sappiamo tutti cosa significhi battere
una materia resistente, penetrare una
sostanza molle o liquida, spappolare,
tamburellare, pestare, prendere a calci, forse anche danzare. La lista potrebbe durare a lungo, e comprende il vedere, l’udire, mangiare o bere, ingurgitare o espellere. E certamente ogni
uomo ha nozioni su cosa significhi percepire, ricordare, avvertire desiderio,
paura, tristezza o sollievo, piacere o
dolore, ed emettere suoni che esprimano questi sentimenti. Pertanto (e già si
entra nella sfera del diritto) si hanno
concezioni universali circa la costrizione: non si desidera che qualcuno ci
impedisca di parlare, vedere, ascoltare, dormire, ingurgitare o espellere,
andare dove vogliamo; soffriamo che
qualcuno ci leghi o ci costringa in segregazione, ci percuota, ferisca o uccida, ci assoggetti a torture fisiche o
psichiche che diminuiscano o annullino la nostra capacità di pensare. [...]
Dobbiamo anzitutto rispettare i diritti
della corporalità altrui, tra i quali anche il diritto di parlare e pensare. Se i
nostri simili avessero rispettato questi
“diritti del corpo” non avremmo avuto
la strage degli Innocenti, i cristiani nel
circo, la notte di San Bartolomeo, il
rogo per gli eretici, i campi di sterminio, la censura, i bambini in miniera,
gli stupri della Bosnia.3
32
Differenze
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dossier
• Proviamo a scrivere tutto ciò che ci
viene in mente pensando alla parola
Differenza: ecco un esempio di mappa
costruita tramite un brainstorming.
Cultura
Ambiente
Cambiamento
Colore
Gusto
Carattere
Difesa
Sesso
DIFFERENZA È...
Religione
Pensiero
Linguaggio
Confronto
Umanità
Bellezza
Pericolo
Solidarietà
Moltitudini
Il concetto di moltitudine rimanda a
tutte quelle entità definibili anche con
aggettivi come plurale , molteplice ,
polifonico. Tutte quelle situazioni in cui
uguaglianze e differenze sanno convivere; tutte quelle situazioni in cui un
insieme di elementi sta insieme condividendo tratti comuni ma mantenendo
anche tratti individuali e individuabili.
La moltitudine è molto diversa dalla
massa, in cui l’insieme cancella le singolarità a favore dell’uniformità, dell’omogeneità e dell’omologazione.
• Andiamo alla ricerca di forme che
mettano in scena, che rendano visibile
o ascoltabile questo concetto, in modo
da comprenderlo meglio. Alcuni esempi.
Giochi di bambini
Bruegel Il Vecchio, in un suo famoso
dipinto, fa convivere moltissime scene
di giochi di bambini nello stesso quadro, senza che nessuna di esse assuma
una particolare rilevanza ma in cui ogni
gioco è identificabile.
• Cercate altri quadri di Bruegel concepiti allo stesso modo.
• Cercate altre immagini, tratte dalla storia dell’arte o da altri contesti, che
mettano in scena il concetto di moltitudine .
• Componete un brano musicale ispirato al quadro di Bruegel. Potreste utilizzare conte, giochi cantati, filastrocche ecc… che vanno a formare una molStrumentiCres ●
Settembre 2009
Il paradiso dei calzini
Il paradiso dei calzini è una canzone
di Vinicio Capossela. Ne proponiamo
testo e musica.
Dove vanno a finire i calzini
quando perdono i loro vicini
dove vanno a finire beati
i perduti con quelli spaiati
quelli a righe mischiati
con quelli a pois
dove vanno nessuno lo sa
Dove va chi rimane smarrito
in un’alba d’albergo scordato
chi è restato impigliato in un letto
chi ha trovato richiuso il cassetto
chi si butta alla cieca nel mucchio
della biancheria
dove va chi ha smarrito la via
Nel paradiso dei calzini
si ritrovano tutti vicini
nel paradiso dei calzini..
Chi non ha mai trovato il compagno
fabbricato soltanto nel sogno
chi si è lasciato cadere sul fondo
chi non ha mai trovato il ritorno
chi ha inseguito testardo un rattoppo
chi si è fatto trovare sul fatto
chi ha abusato di napisan o di cloritina
chi si è sfatto con la candeggina
Nel paradiso dei calzini..
nel paradiso dei calzini
non c’è pena se non sei con me
Dov’è andato a finire il tuo amore
quando si è perso lontano dal mio
dov’è andato a finire nessuno lo sa
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Settembre 2009
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titudine musicale.
• Utilizzate il quadro di Bruegel come
stimolo per comporre un’azione scenica.
dossier
ma di certo si troverà la.
Nel paradiso dei calzini
si ritrovano uniti e vicini
nel paradiso dei calzini
non c’è pena se non sei con me
non c’è pena se non sei con me
Vinicio Capossela, Da Solo, Warner
Music, 2008
• Anche la canzone di Capossela può
darci lo spunto per realizzare una composizione ispirata all’idea di moltitudine, di compresenza tra uguaglianza e
diversità, utilizzando come materiale
proprio i calzini abbandonati.
Abi-Tanti e Mu-Tanti
• Un’altra idea per mettere in scena
l’idea di moltitudine ci è data dagli Abi-
Tanti. La moltitudine migrante, un’installazione curata dal Museo D’Arte
Contemporanea di Rivoli.
ABI-TANTI. La moltitudine migrante è un laboratorio di assemblaggio
polimaterico che parte da una base
lignea, comune, ecologica e quindi etica, quasi un primitivo DNA.
Scarti industriali, astine, sfere e
semisfere, quadrelle e cubotti – da
assemblare e rivestire con infiniti materiali, colori, segni grafici, alfabeti –
diventano braccia, gambe, corpi, teste,
piedi di giocattoli, piccoli oggetti che
assumono la forma di umanoidi/robot
(h. 30 cm).
Gli ABI-TANTI si caratterizzano in
tantissime varianti, a costruire una
moltitudine composita di esseri apparentati per famiglie contraddistinte da
differente aspetto esteriore, frutto di
decori, cromie e vari materiali organizzati in modo sempre diverso e originale.
33
Museo D’Arte Contemporanea di
Rivoli, Dipartimento Educazione, A.S.
2007-2008
• Prendiamo in prestito l’idea degli ABI-TANTI per progettare un’installazione simile. Alcuni ragazzi e ragazze
di scuola media hanno realizzato i MUTANTI, in cui la base di partenza è costituita da bottiglie d’acqua di varie dimensioni.
Abi-Tanti e Mu-Tanti sono tutti diversi pur avendo qualcosa in comune.
Pensando alla musica, e quindi a qualcosa che si svolge nel tempo, i concetti
di identità e differenza si trasformano
in permanenza e trasformazione: è
permanente ciò che rimane costante nel
tempo, al contrario di ciò che cambia,
di ciò che si trasforma. Possiamo anche interpretare il concetto di permanenza come stabilità, prevedibilità,
stasi, predeterminazione, ecc…; e quello
di trasformazione come instabilità, agi-
tazione, imprevedibilità, turbolenza,
aleatorietà, ecc…
•
Andiamo alla ricerca di musiche
RACCONTI MUSICALI
Carlo Boccadoro (a cura di), Racconti Musicali, Einaudi,
Torino, 2009
Compositore e direttore d’orchestra, musicologo e divulgatore, Carlo Boccadoro ha raccolto in questo testo i
racconti di ventidue autori, diversi tra loro stilisticamente
e cronologicamente ma tutti “raccontano dell’effetto indelebile e ineludibile che la musica ha sui personaggi che
abitano le loro storie; in certi casi per loro tutto cambia
dopo che sono stati esposti al mondo dei suoni, il baricentro
stesso dell’esistenza viene spostato e non è più possibile
ritornare allo stato precedente a quello dell’ascolto” come
sottolinea lui stesso, nell’introduzione in cui denuncia anche la situazione drammatica dell’Italia, da sempre considerata patria della musica e che invece presenta un grado
medio di alfabetizzazione musicale vicino allo zero a causa, tra l’altro, di programmi scolastici assolutamente inadeguati. D’altronde nell’Italia del dopoguerra – prosegue
Boccadoro – “un’intera generazione di intellettuali di
prim’ordine (da Pasolini a Pavese, da Moravia a Tobino,
dalla Ginzburg a Levi, da Bassani a Vittorini), pur impegnata allo spasimo su diversi fronti culturali, non ha sentito mai il bisogno di dedicare alla musica praticamente nulla di significativo all’interno della propria produzione.”
I 22 racconti della raccolta spaziano in un arco temporale che va dall’Ottocento ad oggi, da Cechov a Nabokov, da
James Baldwin a Murakami Haruki, da Julio Cortazar a
Truman Capote, da Carlo Emilio Gadda a Heinrich Boell
per citarne solo alcuni.
Al centro di molti racconti si ritrova la figura di un compositore, di un musicista. di uno strumento: Liszt nel racconto di Roald Dahl si reincarna in un gatto; Paganini è al
centro dei racconti di Achille Campanile e Robert Walser
mentre Stradivari rivive nel racconto di Alberto Savinio;
Stefan Zweig ricostruisce la notte in cui Claude Joseph
34
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dossier
in cui queste due idee siano compresenti. Molti esempi saranno rintracciabili in brani di stampo jazzistico, in
cui una parte ordinata e predefinita
incontra l’improvvisazione, imprevedibile ed estemporanea.
• Componiamo musiche (storie,
video, performance, installazioni…)
ispirate alla compresenza di questi due
concetti.4
1
Edgar Morin, Il vivo del soggetto ,
Moretti & Vitali, Bergamo, 1998, p.72.
2
Il percorso è tratto da: Enrico Strobino,
Tra il dire e il fare, Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro, 2009.
3
Umberto Eco, “Che cosa crede chi non
crede?”, in Cinque scritti morali, Milano:
Bompiani, 1997, pp. 83-84 4 Un videoclip
realizzato con i MU-TANTI da studenti di
scuola media è visibile su youtube, digitando
Ospiti della terra.
Rouget de Lisle “misconosciuto
creatore di un inno immortale”,
compone la Marsigliese; il violino è di scena nel racconto di
Cechov, il piano e il blues nel
racconto di James Baldwin:
“Toccò qualcosa dentro ognuno
di loro e toccò qualcosa dentro
di me, e la musica si fece tesa e
profonda, e l’atmosfera nella
sala si riempì di inquietitudine.
Creole iniziò a spiegarci il blues,
a spiegarci di cosa si trattava. Il blues, a dire il vero, non
era nulla di nuovo. Erano lui ed i suoi ragazzi a cercare di
mantenerne la freschezza, che rischiavano di cadere, distruggersi, impazzire o anche morire per trovare nuovi modi
di farcelo ascoltare; perchè anche se il racconto della nostra sofferenza, di come possiamo essere felici e delle nostre possibilità di trionfare non è mai nuovo, è pur sempre
necessario ascoltarlo. Non ci sono altre storie da raccontare: è questa l’unica luce che ci è concessa in tanta oscurità.” (p. 167).
La Tosca e un omicidio sono al centro del racconto di
Agata Christie, Michel Tournier rilegge la Genesi in chiave
musicale per cui Adamo ed Eva devono guardarsi dalla
tentazione di mangiare il frutto dell’albero della musica
perché – ammonisce Dio - “conoscendo le note, smettereste subito di sentire la grande sinfonia delle sfere celesti,
e, credetemi, niente è più triste del silenzio eterno degli
spazi infiniti!” (p. 251). Racconti lunghi si alternano a racconti brevi o brevissimi come Finestra sulla musica di
Eduardo Galeano o Bic di Vitaliano Trevisan, ma in tutti la
musica è la vera protagonista. La raccolta si conclude con
L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello di Oliver
Sacks e Una nota biobliografica.
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dossier
Danza e intercultura
Un’esperienza decennale presso la Scuola Trentina
Rosa Tapia*
Premessa
Le ondate migratorie a noi contemporanee hanno cambiato il volto delle
nostre/vostre città italiane e il cambiamento non è superficiale. Oggi lo
straniero chiede tanto all’Europa. Chiede di modificare se stessa, di stabilire
con lui un dialogo continuo per re-inventare una cultura: l’intercultura. In
questo dialogo s’inserisce la mia proposta educativa.
L’intercultura quindi intesa come un
processo in divenire che non ha (non
può avere) contorni netti e definitivi.
E’ una continua ricerca che porta verso il cuore dei mondi che vengono in
contatto, per poi uscire e agire nella
zona in cui questi mondi s’incontrano.
Questo processo avviene a più livelli e
richiede di grande curiosità e apertura
mentale che permettano di rimanere
nella zona di contatto fra i mondi. Agire “sulla soglia” intesa come spazio in
cui avviene il contatto per creare o
favorire le condizioni del dialogo.
I percorsi di Danza/Intercultura in
questa mia accezione sono nati come
proposte rivolte a tutta la classe. Succede infatti che bambini e ragazzi stranieri “metabolizzino” i pregiudizi diffusi; essere stranieri diventa una “colpa” – anche a livello inconscio -, una
parte della loro persona da nascondere. Per questo servono i percorsi d’educazione interculturale per la classe.
Bisogna aguzzare lo sguardo e vedere
oltre la soglia: da una parte aiutare lo
studente straniero a riconoscere le
proprie radici, sentirsi parte di una
cultura forte della sua musica, le danze, le lingue, la letteratura. Ma bisogna anche creare le occasioni per far
sì che gli alunni italiani riconoscano l’altro, lo guardino al di là dell’immagine
carica di pregiudizi e luoghi comuni
imposta dai mass-media.
Il mio desiderio è di dare contenuto
e metodo all’intercultura. Immaginare e programmare percorsi educativi
* Danzatrice e mediatrice culturale
Settembre 2009
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che permettano di uscire da una posizione passiva, contemplativa di ciò che
accade attorno a noi per dare agli studenti la possibilità di agire nella diversità.
Corpo
Il veicolo principale della mia proposta educativa è il corpo. Nell’incontro di culture è in primo luogo il corpo
ad essere interpellato. Incontriamo
quotidianamente persone con tratti di
storia addosso, cioè gesti e atteggiamenti “altri”, persone che portano in
sé tratti riconoscibili di diversità. La
scelta di utilizzare la danza non è casuale. La danza intesa come disciplina
del movimento, il cui strumento fondamentale è il corpo, permette di leggere l’espressione corporea dei popoli. Essa permette di confrontare somiglianze/differenze, riflettere sul significato del gesto altrui, apprezzare il
senso e la natura di un movimento all’interno di una determinate cultura.
Inoltre, lavorare con la danza vuole
dire proporre esperienze emozionali,
relazionali e creative, oltre che
l’acquisizione di contenuti specifici.
Offrire esperienze che si radicano in
un’approccio positivo verso la diversità attraverso un linguaggio non verbale.
Non di meno la danza è importante
perché diventa uno strumento neutra-
le, un foglio da scrivere e in quanto
tale permette di reinterpretare le tante manifestazioni delle culture altrui:
cogliere la bellezza delle musiche, le
lingue, le letterature, le idee, per poi
fare un qualcosa di nuovo che “ci” appartiene.
Questa peculiarità di poter rielaborare o reinterpretare una determinata
caratteristica culturale è fondamentale per la mia didattica che non si limita ad informare, o copiare un particolare tratto culturale, ma a produrre un
discorso creolizzato attraverso la creazione di un lavoro artistico.
Contesto
L’intercultura è per sua natura sperimentale ed è proprio questa caratteristica che mi ha permesso di sviluppare la mia proposta all’interno
della Scuola Trentina, essa stessa alla
ricerca di soluzioni e strade per una
educazione interculturale.
I miei percorsi ebbero inizio all’interno della Scuola Media, ma subito
dopo si sono estesi a tutti gli ordini di
scuola. In questa ormai decennale
avventura didattica, iniziata appunto
nel 1998, ho avuto modo di attuare
moltissimi percorsi e di valutare gli
aspetti positivi e negativi di ognuno di
essi.
Nel complesso devo sottolineare
positivamente la possibilità di lavorare in stretta collaborazione con gli insegnanti dai quali vengo chiamata a
intervenire. Insegnanti in genere molto
motivati e con una grande esperienza
didattica che hanno integrato le mie
proposte. Inoltre il loro intervento in
relazione ai miei percorsi permette agli
studenti di avere una prospettiva più
completa, in quanto integrata al
curriculum, e di cogliere il lavoro
motorio con la serietà necessaria.
Sento di essere un animatore
dell’intercultura. Attraverso i laboratori di Danza/Intercultura propongo,
suggerisco, attuo percorsi interessanti, coinvolgenti. Ma la buona riuscita
dell’impresa educativa sta sempre nel
lavoro collettivo.
Metodologia
Il metodo utilizzato offre una visione analitica del movimento in genera-
35
le, perciò fa sperimentare agli studenti
nozioni base come il rapporto con lo
spazio e il tempo, il gesto, il ritmo, la
coordinazione di gruppo, i livelli e le
dinamiche, i percorsi e le forme.
In seguito introduce il tema specifico del laboratorio (argomento concordato con gli insegnanti) e a partire da
questo argomento centrale, la classe
inizia a “immaginare” assieme. A indagare dentro le proprie possibilità
espressive; questa è una fase importante e direi la più affascinante sia per
me che per gli studenti, va condotta
con molta attenzione e metodo, è una
indagine guidata attraverso la tecnica
dell’improvvisazione.
La scelta del tema del laboratorio è
fondamentale. In questa fase si definisce la possibilità di rendere un percorso “interculturale”. Il tema deve
essere trasversale, intendo dire condiviso da più culture, per esempio: Le
maschere del mondo e non la maschera Africana, oppure “L’acqua, leggende, poesie, storie” e non il fiume Adige.
Si tratta di uno spostamento del punto di vista, non sempre facile perché
richiede documentazione e studi.
Parte importante della metodologia
è la creazione di un lavoro collettivo
che non vuol dire fare grandi spettacoli o saggi, ma dare una forma plurale al lavoro d’indagine personale e permette di agire in prima persona su un
tema specifico facendo esperienza
della possibilità di re/interpretazione
della cultura in questo caso attraverso l’azione.
Naturalmente la mia didattica si basa
su tecniche ben consolidate che ho
avuto modo d’approfondire: la Danza
Contemporanea e la Danza Educativa
o Comunity Dance. La prima è una
tecnica che guarda appunto allo studio dei principi del movimento in ge-
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dossier
nerale; la seconda è un filone della
danza che si occupa appunto dell’educazione complessiva dell’allievo e non
solo di tramandare una tecnica di movimento.
In definitiva, inserire i percorsi nel
filoni dell’educazione interculturale è
accogliere al suo interno la dimensione fondamentale d’apertura al mondo, ma più importante ancora è il tentativo di tornare nel nostro stretto contesto e quindi tentare assieme agli studenti di disegnare i singoli tasselli del
mosaico dell’intercultura. Non un mondo lontano e distante, ma il nostro presente condiviso.
popolari
Danze
a Pietramurata
Forse un esempio può aiutare a chiarire ciò che tento di fare. Mi soffermo
sul progetto “Viaggio attraverso la
danza e musica dell’America Latina”
che ho realizzato con le classi 4° e 5°
della scuola elementare di Pietramurata nell’anno 2008/09.
Un percorso che parte dalle danze
popolari (laboratorio molto richiesto,
forse perché semplice e immediato).
Infatti, la danza popolare, praticamente morta in Italia, rientra oggi con forza e nuova energia attraverso l’immigrazione. Un enorme patrimonio culturale a portata di mano, o meglio a
portata di corpo che però, spesso non
siamo in grado di utilizzare in tutta la
sua potenzialità.
“Viaggio attraverso la danza…” permette di assaggiare la diversità di un
continente e fare nostro una parte di
questo patrimonio, Come? Dal mio
punto di vista non interessa tanto la
forma delle danze in sè, (spesso difficili per i ragazzi), ma i meccanismi che
stanno dietro. Ad esempio per insegnare il “Merengue”(danza di Santo
Domingo), inizio dal passo base del
merengue, ma mi soffermo sul meccanismo dell’imitazione a specchio -in
coppia e in gruppo. Attraverso questa
tecnica loro inventano tanti nuovi movimenti da fare a ritmo di Merengue
entrando nel cuore di ciò che significa
ballare in America Latina. Alla fine con
queste classi era difficile chiudere l’attività, perché avevano scoperto la gioia
di danzare e di giocare con la propria
fantasia motoria. Ecco perché la danza può permettere di reinterpretare il
patrimonio altrui, farlo “nostro”, e
quindi necessariamente diverso da
quello di partenza.
In questo stesso percorso includo la
danza del Tucuman. Danza durante la
quale si intrecciano dei nastri di vari
colori attorno a un asse; è una danza
con molteplici versioni praticamente in
tutto il mondo. Io insegno la variante
dell’Ecuador, ma sottolineando l’importanza del lavoro collettivo, dove ognuno deve fare la propria piccola parte
nel modo migliore per portare a termine un lavoro, la tessitura finale del
“Tucuman” .
Ad ogni modo nei miei percorsi
interagisco spesso con la letteratura,
con le immagini, con le lingue, con le
narrazioni personali, con la fotografia,
con le geografie… Le possibilità di lavoro sono infinite come è infinito il patrimonio culturale. “Ricchezza della diversità” non sono solo due parole retoriche e vuote, ma un’inebriante risorsa da cui attingere a piene mani.
A questo punto mi sento però di
spendere qualche parola per condividere la mia tristezza e preoccupazione riguardo la situazione attuale nei
confronti dell’immigrante.
Quando ero ragazza e vivevo in
Ecuador studiando l’Olocausto Ebreo
rimanevo sconcertata dalla possibilità
che un genocidio fosse accaduto in
seno a una società “civile”. Mi chiedevo dov’erano le persone comuni, come
avevano potuto non vedere, tacere,
riconoscersi in un pensiero così disgustosamente negativo. Oggi mi rattrista la constatazione di quest’odio diffuso verso lo straniero. Penso che annulla in sè tutto il mio piccolo lavoro.
Noi stranieri allora non siamo stati in
grado di far sentire la nostra voce? Di
lavorare per la costruzione di una società di pace con regole giuste e condivise? Forse oppressi dal “sopravvivere” e con scarse o infinitamente precarie risorse non siamo riusciti a “comunicare”? Mi viene da pensare che
ha più peso una “locandina diffamatoria” di tanti momenti condivisi in armonia.
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Settembre 2009
TESTI DI SUPPORTO
Identità e violenza
Amartya Sen - Ed. Laterza, 2006.
a cura di Elena La Rocca
Negli ultimi anni il dibattito sul problema dell’identità individuale e collettiva si è fatto ossessivo; un tema che
sembrava interessare poco ha acquistato sempre più spazio: ognuno si muove
all’insegna della propria identità per
preservarla dagli altri, difenderla, trasmetterla e al caso imporla.
Mi sono domandata spesso perché il
problema abbia assunto una tale importanza e credo che vari fattori abbiano
un ruolo fondamentale in proposito, tra
questi metterei in primo piano l’accelerazione della globalizzazione che ci ha
spinto a sentirci sperduti nel mondo, la
caduta del muro di Berlino con relativa
crisi dell’ideologia di sinistra. In Italia
ha pesato in particolar modo anche
l’immigrazione “extracomunitaria” e
per tutto il mondo “occidentale” l’affacciarsi alla ribalta del terrorismo qaedista: al qaeda, infatti, definendoci “cristiani/crociati”, ci spinge a percepirci
come tali, noi a nostra volta accettiamo
il gioco trattando da “estremisti islamici” due miliardi e mezzo di persone e
le spingiamo a sentirsi esclusivamente
tali.
Infatti, dato che è difficile definire
l’identità di un popolo o di una cultura,
si finisce con l’appiattire il tutto sulla
religione ufficiale del popolo stesso,
anche quando quest’ultima è poco praticata come nei paesi europei , o quando le minoranze religiose sono numerose e consistenti. Ognuno di noi sembra costretto ad accettare un’identità
che gli proviene dall’esterno, per esempio un povero milanese deve essere “cristiano/padano” a tutti i costi.
In questo clima, per certi aspetti culturalmente torbido, il saggio di Amartya Sen appare come una ventata d’aria
fresca. Scritto in modo molto chiaro e
scorrevole il ragionamento di Sen si
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muove intorno a due assi fondamentali: l’idea dell’identità plurale ed il rifiuto di qualsiasi ideologia che “appiattisca” l’individuo sulla sola dimensione
comunitaria, in altri termini che veda
l’individuo come espressione di una
comunità di appartenenza.
Secondo A. Sen ognuno di noi appartiene contemporaneamente a tante diverse categorie e la nostra identità, plurale ed inclusiva, è la somma di queste
diverse realtà
“Io posso essere al tempo stesso un
asiatico, un cittadino indiano, un
bengalese con antenati del Bangladesh, residente in America e in Gran
Bretagna, economista, filosofo a tempo perso, scrittore, sanscritista, convinto assertore del laicismo e della democrazia, uomo, femminista, eterosessuale, difensore dei diritti dei gay e
delle lesbiche, con uno stile di vita non
religioso, di famiglia induista, non
bramino, che non crede nella vita dopo
la morte (e nemmeno, nel caso vogliate saperlo, in una vita prima della morte)” (p. 20/21)
Nella vita ci muoviamo quindi scegliendo in continuazione “sul peso relativo da attribuire alle rispettive identità” (p.21) secondo i momenti ed i con-
testi specifici, ma nell’analisi sociale si
tende a due diversi tipi di “riduzionismo”: uno quello economico che nega
qualsiasi importanza all’identità come
se ogni individuo fosse “completo in sé”
e l’altro “di segno opposto e che potremmo chiamare dell’affiliazione unica”;
quest’ultimo “parte dal presupposto
che qualsiasi persona appartenga prevalentemente, a tutti i fini pratici, a
una collettività soltanto, niente di più
e niente di meno”. (p.22)
Dopo avere spiegato brevemente le
teorie economiche Sen si dedica a criticare il concetto di “affiliazione unica”,
che gli sembra attualmente troppo diffuso e fonte di troppi problemi: contesta infatti l’idea che l’identità sia un fatto naturale, quasi eredità immutabile
della comunità in cui si è nati. Secondo
lui la posizione comunitarista, che tende a preservare le varie comunità presenti sul territorio trattandole come
interlocutrici privilegiate, anche se piena di buone intenzioni, interpreta in
senso univoco l’identità individuale e
collettiva e nei fatti parte dagli stessi
presupposti di coloro che teorizzano lo
scontro di civiltà, ne è in un certo senso
l’altra faccia della medaglia.
Se la mia identità è univoca e coincide in un certo senso con la mia comunità di appartenenza (magari comunità religiosa), anche la tua è univoca e
coincide con la tua comunità di appartenenza, tutto ciò costituisce la base per
teorizzare lo scontro di civiltà. Una teoria che viene propugnata in nome della tolleranza e del rispetto reciproco,
senza volere, accredita la tesi dello
scontro di civiltà sostenuta da Samuel
Huntington nel suo famoso saggio, “ Lo
scontro delle civiltà e il nuovo ordine
mondiale” . Contro questa tesi Sen
polemizza con forza: gli sembra infatti
sia una teoria semplicista e riduzionista, perché non tiene conto che ogni
“civiltà” ha al suo interno un’enorme
varietà di atteggiamenti e posizioni e
che non è affatto un tutto compatto,
sempre identico a se stesso immutato
ed immutabile nel tempo. A questo proposito, per esempio, Sen fa notare come
sia riduttivo definire l’India una civiltà
induista dal momento che vi sono in
India oltre ad una serie di minoranze
religiose, più di 150 milioni di mussulmani, tanto che l’India è il terzo paese mussulmano del mondo dopo l’Indonesia e il Pakistan. Anche all’interno
della stessa religione le differenze pos-
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sono essere forti, uomini diversi
in momenti diversi possono agire in modo molto differente reputandosi ugualmente buoni cristiani o buoni mus-sulmani Il
Gran Moghul Akbar (fine XVI
secolo) era favorevole alla tolleranza religiosa e pensava fosse
dovere dello stato fare in modo
che “nessuno si intrometta nelle
faccende altrui in riferimento
alla religione, e che a ciascuno
sia consentito di accostarsi alla
religione che gli aggrada .”
(p.65), mentre suo nipote Aurangzeb (seconda metà XVII secolo) negava i diritti delle minoranze e perseguitava i non mussulmani: il punto è che né la politica pluralista e liberale di
Akbar, né quella rigida e intollerante di Aurangzeb fanno parte
delle prescrizioni o delle proibizioni dell’Islam.
Ridurre l’identità individuale alla sua
affiliazione religiosa gli sembra una
semplificazione arbitraria e pericolosa:
distinguere gli esseri umani in quanto
cristiani/mussulmani/induisti non solo
mortifica la nostra libertà individuale,
ma finisce anche col favorire le divisioni. Su questa strada si dà sempre più
spazio ai capi religiosi, si cercano per
esempio come interlocutori gli “islamici
moderati”, domandandosi qual è “il
vero Islam”, invece di puntare sui valori comuni. Proprio a proposito di valori
comuni Sen sottolinea la povertà dell’analisi storica sottesa all’idea dello
scontro di civiltà: secondo questa analisi non solo democrazia/libertà, ma
anche scienza/razionalità sono valori
esclusivamente “occidentali”, presenti
ab origine nella cultura europea. Sen
dimostra come questo mito sia fallace
ed in definitiva provinciale, dato che la
cultura europea è cresciuta anche assimilando contributi di società non occidentali: “Deve essere dato pieno merito all’Occidente, per le conquiste realizzate durante il Rinascimento, l’Illuminismo e la Rivoluzione industriale, che hanno trasformato la natura
della civiltà umana. Ma presumere che
tutto ciò sia il risultato di una “civiltà
occidentale” completamente avulsa dal
resto del mondo, sviluppatasi in uno
splendido isolamento, sarebbe davvero un inganno.” (p.58)
Impostato solidamente il discorso nei
primi tre capitoli, l’autore riprende poi
le proprie considerazioni con integrazioni ed approfondimenti specifici. Particolare attenzione dedica al mondo
mussulmano di cui dimostra lo spessore umano e la ricchezza storica per
smontare la tesi che l’identità islamica
sia un monolito compatto, un universo
indifferenziato.
Dopo aver criticato qualsiasi teoria
voglia presentare la cultura occidentale come unica portatrice di valori positivi, nel quinto capitolo Sen riprende il
discorso e critica anche il sentimento
antioccidentale che deriva da un complesso di inferiorità: è naturale che un
colonialismo predatorio ed arrogante
abbia lasciato dietro di sé dei forti risentimenti, ma rifiutare per questo tutto ciò che si presume provenga dall’Occidente, in nome di una presunta
alterità è in definitiva una forma di
subordinazione psicologica, un modo di
guardare se stessi attraverso gli occhi
dei colonizzatori. Esemplare il caso dell’India che aveva una forte tradizione
scientifico/matematica, ma la negazione coloniale operata dagli Inglesi “ha
contribuito ad un’autopercezione
“adattata” che ha scelto il “proprio terreno” di competizione con l’Occidente
enfatizzando il vantaggio comparato
dell’India nelle questioni “spirituali.”
(p.90)
Questo atteggiamento porta a rifiutare idee globali (come la democrazia e
la libertà personale), perché vissute
come “occidentali”, a dare “una lettura
distorta della storia intellettuale e
scientifica del pianeta” (p.90) ed infine ad avere un atteggiamento di simpatia per il fondamentalismo religioso,
se non addirittura per il terrorismo internazionale. Particolarmente interessante la critica ad un certo multiculturalismo, che con la pretesa di far
convivere comunità contrapposte in
seno alla società, finisce col trasformarla in una federazione di religioni. Sen
punta la propria attenzione soprattutto sulla Gran Bretagna ed il suo modello di integrazione, di cui vede con chiarezza i limiti, proprio partendo dall’esperienza dell’India coloniale:
“C’è una straordinaria similitudine
tra i problemi che si trova di fronte la
Gran Bretagna di
oggi e i problemi
con cui doveva fare i conti l’India
britannica, e che,
secondo il Mahatma Ghandi, erano direttamente
incoraggiati dal
Raj.” Ghandi criticava in particolare la visione ufficiale dell’India
come un insieme
di comunità religiose.” (p.168)
Il metodo quindi, anche se attuato con le migliori
intenzioni, gli pare portare ad una
vivisezione/dissoluzione della società. Nell’ultimo
capitolo infine l’autore riassume le proprie tesi e chiarisce anche sulla base di
esperienze personali il nesso tra identità e violenza:
“Il mio primo contatto con l’omicidio
avvenne all’età di undici anni. Era il
1944, nel corso degli scontri intercomunitari che caratterizzarono gli ultimi anni del Raj britannico, terminato
nel 1947. Vidi una persona sconosciuta, che sanguinava copiosamente, attraversare barcollando il cancello del
nostro giardino, chiedendo aiuto e un
poco d’acqua. Io chiamai i miei genitori e andai a prendere l’acqua. Mio
padre lo portò di corsa in ospedale,
dove l’uomo morì, a causa delle ferite
riportate. Si chiamava Kader Mia.” (p.
173)
Era costui un bracciante mussulmano, che si avventurava nei quartieri
indù per lavorare in cambio di una paga
esigua, accoltellato per strada da fanatici, che non lo conoscevano neppure.
Spingere una comunità a chiudersi
nel culto della propria “identità singolare”, vuol dire prepararla a combattere contro chiunque sia diverso, abbia
un’altra “identità singolare”:
“Gli istigatori politici che spingevano al massacro (in nome di quella che
ognuna delle parti in campo definiva
“la nostra gente”) riuscirono a convincere molti pacifici individui di entrambe le comunità a trasformarsi in criminali accaniti, inducendoli a concepire se stessi soltanto e solamente come
induisti o come mussulmani (che avevano il dovere di scatenare la vendetta “sull’altra comunità”)” p.175
La vera soluzione è puntare sui valori comuni (razionalità, democrazia, libertà personale) e su quella che potremmo definire un’identità globale “anche
se i solitaristi urleranno minacciosi al
cancello” (p.188)
StrumentiCres Settembre 2009
Zygmut Bauman, Ed; laterza, Bari, 2008
a cura di Michele Crudo
Bauman, noto sociologo e pensatore,
docente nelle Università di Leeds e
Varsavia, è autore di numerosi libri in
cui ha esposto una tesi di successo ricorrendo alla metafora della liquidità.
Una metafora che racchiude in un’immagine la fragilità della società contemporanea afflitta dalla progressiva scomparsa di solidi punti di riferimento. Una
metafora che esprime la frenetica rapidità e fluidità del vivere quotidiano, su
cui si abbatte l’imponderabilità di eventi non più attutiti dalla robustezza dei
legami sociali e interpersonali. Una
metafora che denuncia la disperata e
inconsolabile solitudine dei cittadini
ridotti a nuclei individuali vaganti nell’indistinto e disorientante amalgama
della globalizzazione.
Gli aspetti della modernità liquida,
che investono e influenzano sia la sfera
sociale sia quella personale, sono stati
analizzati in volumi che si lasciano apprezzare per il lucido disincanto con il
quale Bauman fa emergere una dimensione esistenziale contrassegnata dalla
contraddizione tra la spinta del singolo
a garantirsi le libertà individuali e il bisogno di non sganciarsi dal centro
gravitazionale dell’appartenenza comunitaria, che è l’ancora a cui aggrapparsi
per affrontare e superare vicissitudini
giornaliere altrimenti devastanti. Questa conflittuale contrapposizione, che
convive e si dibatte nell’individuo con
esiti incerti ma comunque destabilizzanti, è così pervasiva da modellare persino la gestione delle relazioni affettive. Secondo Bauman, infatti, l’amore
liquido racchiude in sé la necessità di
un legame forte e indissolubile, assicurato dalla fedeltà dei partners, contro il
quale sopraggiunge l’usura quotidiana
della relazione e l’intermittenza a rinnovare il desiderio amoroso con un
nuovo partner.
Procedendo sulla scia delineata dall’applicazione della sua chiave interpretativa della realtà contemporanea,
Bauman, prendendo in esame il tema
della paura liquida, s’interroga sul perché gli abitanti delle aree più ricche e
più tecnologicamente avanzate del pianeta si sentono così minacciati da sacrificare preziose porzioni di libertà individuali in nome di una presunta
incolumità. Il quesito consente a Bauman di indagare e mettere in luce le
manifestazioni schizofreniche della
modernità liquida. Da una parte è eviStrumentiCres Settembre 2009
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Paura liquida
dente il benessere assicurato dal prolungamento della vita media, dall’accesso ai beni di consumo e ai comfort, dalla fruizione di un lungo periodo privo
di conflitti armati diretti, dal potenziamento della tecnologia grazie al quale sono state quasi del tutto domate le
sovrumane forze della natura. Dall’altra è incontestabile la percezione di
esposizione alla vulnerabilità che
è subentrata negli ultimi decenni in seguito a eventi di fronte ai quali le famiglie, i lavoratori, le istituzioni locali hanno amaramente constatato la loro impotenza.
Bauman, chiedendosi come sia potuto accadere tutto ciò, risponde con una
investigazione eminentemente antropologica, ma strettamente interconnessa con accadimenti politici ed economici. Il macrofenomeno da prendere in considerazione è l’extraterritorialità del capitale, una condizione di
inafferabilità che consente di eludere il
controllo sui flussi finanziari, e di ignorare le infiltrazioni di ingenti somme di
denaro immesse dalla criminalità organizzata nella liquidità bancaria e nelle
imprese commerciali. La mancanza di
controllo sulle attività finanziarie da
parte degli Stati nazionali ha quindi facilitato la deterritorializzazione di interi
settori industriali, che ha provocato la
perdita di posti di lavoro in ampie aree
geografiche dei paesi sviluppati. Infatti, il trasferimento della produzione di
automobili, tessuti, computer e di tanti
altri prodotti in aree sottosviluppate
con un basso costo del lavoro ha fatto
crescere il tasso di disoccupazione tra
gli operai del primo mondo, esponendoli all’incertezza del presente e all’imprevedibilità del futuro.
Un futuro che si prospetta traumatico dopo la crisi finanziaria seguita al
crollo delle Borse dell’autunno scorso,
causata dall’insolvibilità delle banche
che avevano colpevolmente gonfiato la
bolla sui mutui delle case. Il libro di
Bauman è stato scritto prima del fallimento di note banche internazionali,
ma in esso erano già stati tracciati i contorni di una situazione che attualmen-
te vede organismi dello Stato far fatica
ad arginare le catastrofiche ripercussioni su un tessuto sociale lacerato dalla
recessione economica. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: i successi ottenuti
nel secolo scorso con la costruzione di
una rete di protezioni e la creazione del
welfare, dopo la lenta ma inesorabile
erosione dovuta alla deregolamentazione della Thatcher e di Bush, sono
stati annullati da una cronica instabilità che ha fatto precipitare la società
nell’insicurezza.
La perdita del posto di lavoro o la probabilità di vederlo svanire; la difficoltà
nel pagare le rate sui beni acquistati;
l’incremento dei costi per non perdere
l’aggancio con servizi dignitosi (sanità,
trasporti, istruzione per i figli) abbandonati dallo Stato a favore di aziende
private; le spese assicurative per integrare una pensione ormai evanescente
hanno contribuito a creare un ossessivo
stato di ansia contro cui lo Stato sociale contrappone deboli contromisure. Il
dissesto della società, accelerato dalle
crisi periodiche e dalle frequenti insolvenze bancarie, hanno prodotto secondo Bauman una fragilità senza precedenti dei legami umani, con una crescente sfiducia tra i cittadini e lo Stato,
da un alto, e tra gli stessi cittadini, dall’altro lato, i quali, concentrati nel rendere meno disagevoli le proprie condizioni di vita, si comportano non più
come collaborativi conviventi bensì
come spietati concorrenti. Ne sta scaturendo il dissolvimento delle fedeltà
collettive, alimentato dalla friabilità
della solidarietà e dalla revocabilità degli impegni; ovvero: la base
consensuale su cui si regge il contratto
fra cittadini e Stato, che legittima l’operato delle istituzioni e l’applicabilità/
osservanza delle leggi.
Ad accelerare un tale dissolvimento
è la visione propagandata dai mezzi di
comunicazione di massa, che Bauman,
prendendo in prestito una definizione
della studiosa R. Surette, sintetizza nell’immagine della cittadinanza-gregge
che esige la protezione di poliziotti-cani
pastore contro l’insidia dei criminalilupi. Una società invasa dalla paura,
insomma, in cui si sta sbriciolando
l’affidabilità dell’ordine sociale da
cui dipende la certezza della nostra sopravvivenza (reddito, cure sanitarie,
pensione). Al suo posto, per compensare la dilagante precarietà esistenziale, si sta surrettiziamente diffondendo
l’irrigidimento dell’appartenenza
identitaria, (etnica, religiosa, ideologica, ecc.). Se il quadro della realtà è
quello appena tracciato, diventano credibili i reality shows, dove si vedono
persone che ricorrono a sleali sotterfugi e volgari furberie per annullare i propri avversari.
Giunto a questo punto del libro, l’au-
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pessimismo. Anche perché, come lui
stesso afferma: “La via che porta
all’individuazione delle radici del problema, e conduce al loro sradicamento,
è lunga e tortuosa, e compiere il primo
passo non assicura affatto che quella
via venga percorsa fino in fondo” (pag.
217). Ma delle sue circostanziate argomentazioni e dei suoi organizzatori concettuali si ha bisogno per allenarsi
cognitivamente a decodificare e comprendere processi complessi. La sua
critica radicale necessita inoltre ai governanti come Obama, cui è toccata la
responsabilità di porre rimedio alle
storture e ai guasti di un modello di vita
fondato sullo spreco e l’iniquità morale. L’odierno presidente degli Stati Uniti
è stato eletto qualche anno dopo la stesura del libro di Bauman, ma la sua elezione si può ritenere sia anche la risultante delle istanze di cambiamento sollecitate dall’autore e da altri pensatori,
che hanno rilevato la deplorevole
persistenza di uno squilibrio tra l’insistente esigenza di agiatezza e la dispendiosa quantità di risorse utilizzata per
appagarla, in cui è da includere l’esorbitante massa di scarti e di rifiuti.
Di quest’ultimo tema l’autore ha approfondito i risvolti socio-psicologici in
un libro successivo, dal titolo” Consumo, dunque sono” (Laterza, 2008), di
cui si consiglia la lettura per avere una
visione complessiva sulle relazioni tra
l’ipertrofica produzione di merci, che
istiga all’acquisto, e l’ansia dell’acquirente che è spinto a comprare sia per
affermare se stesso attraverso ciò che
possiede, sia per comunicare agli altri
il desiderio di ciò che vorrebbe essere.
Tuttavia, sostiene Bauman, la nevrosi
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tore prosegue con un’indagine sociologica impietosa ma efficace, nel corso
della quale associa gli scambi relazionali rappresentati in televisione alle
pratiche comportamentali della vita
quotidiana, il cui scenario di aggressiva competitività riflette i modelli sociali
vigenti, che, avallati dall’inerzia delle
istituzioni, favoriscono l’egoismo dei
ricchi e la prepotenza dei più forti. Nell’ultimo scorcio del secolo passato, infatti, è venuta a profilarsi la cessione di
settori significativi della sfera pubblica, una volta amministrata direttamente dagli apparati dello Stato. Per colmare il vuoto si sono fatte avanti le istituzioni private che, in cambio di costose
remunerazioni, hanno supplito le agenzie statali nella cura degli individui.
Bauman evidenzia che, rinunciando
al proprio ruolo di garante, lo Stato governato dai politici con orientamento
liberista ha prima deteriorato l’ottimismo dei cittadini nel risolvere collettivamente i problemi dell’esistenza, per
poi dilapidare il patrimonio comune
senza del quale vengono a mancare le
risorse per prospettare un futuro migliore. Ardua si fa dunque la risoluzione dei problemi quando scompare la
figura equilibratrice di un arbitro che,
come è avvenuto dall’istituzionalizzazione del welfare in avanti, ha l’autorevole compito di intervenire per utilizzare il progresso scientifico e la crescita economica al fine di ridistribuire la
ricchezza prodotta dalla nazione, estendendo a tutte le classi sociali l’opportunità di ridurre i disagi materiali.
L’autore conclude coerentemente la
ricostruzione del contesto sulla pervasività delle paure contemporanee annunciando l’incipiente crepuscolo
della democrazia nei paesi in cui malauguratamente la figura dello Stato nazionale, sopraffatta da sfuggenti e dispotiche entità sovranazionali, dovesse rinunciare a difendere la libertà, i diritti,
la giustizia sociale e il benessere economico dei cittadini, che si vedrebbero
di conseguenza costretti ad arrangiarsi
istintivamente in una lotta di tutti contro tutti. Egli ammette che l’Occidente
si è da tempo avviato su questa strada
e, con il suo inventario sulle radici della paura, in questo libro individua nella fallace ricerca del capro espiatorio (gli
immigrati, il fanatismo religioso degli
islamici, il terrorismo internazionale) il
pericoloso segnale della deriva verso
una svolta autoritaria. Ciò nonostante,
senza lasciarsi prendere dalla rassegnazione, non rinuncia ad offrire spunti di
riflessione utili a smascherare il groviglio delle dinamiche che, in concomitanza con l’inasprimento della lotta
per la sopravvivenza, forniscono pretestuosi motivi ai conservatori per consolidare la loro leadership.
Certo: l’analisi di Bauman induce al
dell’accumulo dei beni di consumo si
rivela una logorante corsa verso l’illusione, perché la promessa dell’appagamento difficilmente viene mantenuta.
Anzi, differentemente dalle precedenti forme di vita, la società dei consumi non mira alla durevole soddisfazione dei bisogni, quanto piuttosto a
incrementare la smania di ottenere la
versione più aggiornata e seducente del
prodotto messo in vendita. L’industria
del consumo senza freni, per non fermarsi, ha quindi inaugurato sia l’obsolescenza programmata dei beni
offerti che la speculare insaziabilità dei
consumatori, i quali vengono costantemente stimolati a eccedere nel desiderare, scegliere, spendere.
In altri termini: a elevarsi all’entusiasmante rango di prodighi clienti, organicamente inseriti in una successione
edonistica di opzioni che regala gratificazioni momentanee, cui subentra la
frustrazione quando all’appropriazione
non corrisponde la suggestione simbolica e immaginifica della pubblicità.
Si tratta di un esito paradossale ma
verosimile, che emerge dal prospetto
configurato da Bauman e si abbina in
maniera complementare alla sua tesi
esposta nel libro sulla paura liquida,
perché il mancato raggiungimento del
traguardo, ingannevolmente prospettato dal modello consumistico, concorre
a mantenere un febbrile stato di tensione nell’acquirente, che lo rende inquieto e lo avvicina a quello stato di apprensione temibilmente prossimo alla condizione di individuo emotivamente
smarrito, pronto perciò a fidarsi incautamente di consigli astutamente eterodiretti.
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Il lontano presente:
l’esperienza coloniale italiana
Storia e Letteratura tra passato e presente
Anna Di Sapio - Marina Medi, EMI, Bologna 2009
a cura di Gianluca Bocchinfuso
C’è da sempre un approccio buonista
e limitativo nell’insegnamento della
storia coloniale italiana in tutti gli ordini scolastici. A questo si unisce la superficialità con cui l’epopea coloniale
del nostro paese è stata affrontata in
discussioni televisive e sui giornali. Non
è un caso che, in appendice a questo libro, Anna di Sapio e Marina Medi (entrambe formatrici del Cres di Manitese) pubblicano i risultati di un questionario somministrato ad un campione di studenti di scuole di Milano e i
numeri sottolineano la confusione di
tempi, di modalità e di luoghi che caratterizza l’apprendimento riguardo a
questi temi e a queste problematiche.
Se non si parte da questa base oggettiva, non si riesce a capire la metodologia con cui le due autrici hanno
costruito questo libro, in cui la letteratura dialoga con la storia ed entrambe
ci permettono di capire cosa non va
nell’insegnamento di questi periodi storici e nel modo in cui si ragiona sulle
conseguenze che l’occupazione italiana
ha determinato.
Tenere in un unico volume un’indagine letteraria (aperta, romanzata e legata alla soggettività degli autori) e
un’indagine storiografica (oggettiva e
basata su fonti riscontrabili) non è operazione da poco perché spinge a pensare a “due libri” legati insieme per forza.
Invece, c’è un filo rosso che unisce tutte le parti del libro in modo coerente e
lineare: la letteratura permette di stimolare l’immaginario e la fantasia che
trovano poi riscontro nell’oggettività
dei fatti storici, delle loro cause, delle
loro conseguenze e dei protagonisti.
Non è un caso che i testi letterari (che
tengono insieme, su un piano comparativo, le voci di scrittori migranti provenienti da quei paesi e autori di origine italiana) sono stati presentati con
ampi stralci mirati che permettono
un’idea ampia e il più possibile varia di
queste storie e di questi contenuti, permettendo di avere un proprio punto di
vista. In alcuni di questi brani c’è la visione dell’epopea coloniale italiana caStrumentiCres Settembre 2009
povolta: “gli italiani brava gente” vengono sostituiti da storie ed episodi crudi, da vite spezzate, da famiglie separate, da sentimenti deformati. Un ribaltamento del punto di vista che permette a noi italiani di interrogarci su
quelle pagine di storia mai lette nella
loro complessità; un approccio diverso
che serve a disegnare in modo più corretto quello che è accaduto e come è
accaduto.
Alle pagine di letteratura si uniscono
quelle di ricostruzione storica che, tra
Ottocento e Novecento, prendono in
esame tutti i momenti dell’avventura
coloniale italiana (prefascista - fascista
- postfascista). In questi capitoli vengono evidenziate ampiamente le censure
e le polemiche che dalla seconda metà
del Novecento hanno caratterizzato la
ricerca storica sul colonialismo italiano in Africa: uno stato dell’arte che fa
di quei diversi periodi storici momenti
ancora da studiare ed analizzare in
modo ampio e completo. Questo presa
di posizione permette alle autrici di sottolineare i limiti dell’insegnamento della storia riguardo a questi temi. Una
dimensione molto limitata e spesso
fuorviante che lascia spesso ampio spazio a stereotipi e a un immaginario in
cui l’italiano è stato artefice di civilizzazione e di modernizzazione di quelle
terre senza mai procurare dolore e morte, anche durante l’epoca fascista.
Un vuoto storico che è presente in
molti libri di testo e, di conseguenza,
nello studio di molti studenti che ignorano una parte della storia del nostro
paese.
Perché è importante conoscere pienamente questa storia? Innanzitutto,
avere la possibilità di una nuova visione del tempo e della storia, anche in
relazione al fatto che oggi il nostro è un
paese di forte immigrazione e conoscere quello che siamo stati e cosa abbiamo fatto permetterebbe un ribaltamento anche del nostro modo di relazionarci verso l’immigrato e verso i suoi
bisogni, nel momento in cui arriva nel
nostro paese. Inoltre, la conoscenza piena di questi fatti storici ci dà consapevolezza del nostro passato per leggere
correttamente il presente, sempre cangiante e confuso nella sua comprensione globale.
Le due autrici tracciano anche delle
piste di cambiamento dell’insegnamento-apprendimento della storia, sottolineando l’importanza della messa in discussione del canone, tutto centrato
sull’Europa (o almeno una parte di
essa) con un’esagerata sottolineatura
dell’elemento nazionale in chiave positiva. È una pratica di insegnamento che
tratta il presente come logica conseguenza del passato, come se quello che
è successo dovesse giustificare (per forza e positivamente) l’oggi. «Nella realtà attuale - scrivono le autrici - non di
nazionalismi c’è bisogno, ma di un’ottica interculturale che permetta di riflettere sull’identità personale e collettiva, sulle somiglianze e differenze tra
le culture, sui risultati degli incontri e
scontri tra gruppi umani e popoli; che
insegni a riconoscere che la realtà è
plurale e che in ciò risiede una grande
ricchezza; che dimostri che le culture
non sono statiche, ma il prodotto storico di molteplici scambi; che metta in
guardia sui risultati che derivano dall’insistere su una presunta purezza etnica e culturale, così come dal travestire da “scontro di civiltà” le tensioni
sociali derivanti dagli squilibri socioeconomici globali del nostro tempo.
Questo comporta la necessità di rivedere i contenuti del canone, centrati
sulla nazione o sul mondo occidentale,
per imparare a leggere il passato in
dimensione mondiale, utilizzando tra
l’altro anche le storiografie non occidentali, per arrivare a letture incrociate di fatti e processi» (pag. 263).
Questo ragionamento porta alla proposta delle due autrice: insegnare la storia attraverso la didattica per temi e
problemi che permette di riflettere su
un argomento che abbia implicazioni
nel presente in chiave storica utilizzando strumenti e approcci diversi.
Per quanto riguarda il tema del
colonialismo, nella parte finale del libro, insieme ad bibliografia e sitografia,
sono proposte delle indicazione per un
percorso didattico da sviluppare in una
classe.
41
Anna Di Sapio
Avevo appena finito di leggere Pellegrinaggi persiani: viaggi attraverso l’
Iran di Afshin Molavi quando in libreria ho notato La casa della moschea di
Kader Abdolah. Ricordando il piacere
provato nel leggere Il viaggio delle bottiglie vuote (primo romanzo di questo
autore tradotto in italiano da Iperborea)
l’ho comprato, ho iniziato a leggerlo rimanendone subito catturata.
Entrambi questi libri mi hanno non
solo permesso di capire meglio questo
paese e la sua storia, ma me lo hanno
reso famigliare tanto che, quando a
Teheran hanno iniziato a manifestare
per contestare l’esito delle elezioni, mi
sono sentita coinvolta in modo più diretto e partecipe rispetto al passato, mi
sembrava di riconoscere in quei giovani, in quelle donne e uomini scesi in
piazza, i personaggi di Abdolah e Molavi. Due libri, due autori che ci raccontano un paese lacerato tra l’aspirazione
alla libertà e il potere religioso degli
ayatollah. Ma andiamo con ordine.
Molavi, giornalista americano arrivato negli Stati Uniti dall’Iran nella prima infanzia, tra il 1999 e il 2000 va alla
scoperta delle sue origini, e lo fa in
modo originale decidendo di vivere nel
paese per più di un anno,scegliendo
come tappe del suo viaggio, luoghi cari
agli iraniani perché sede di santuari o
sede di monumenti a uomini illustri del
passato millenario della Persia. Un
anno d’incontri, favoriti dalla conoscenza della lingua farsi e della cultura
iraniana, che Molavi racconta con la
precisione del cronista e la passione
dell’innamorato.
“Questo libro – scrive Molavi – parla dell’Iran e degli iraniani. Per oltre
un anno ho viaggiato attraverso questa terra antica, sofisticata e tormentata per osservare, ascoltare, discutere, pensare e scrivere. Ho percorso migliaia di chilometri e visitato oltre venti
città e villaggi. Alle migliaia di iraniani
che incontravo rivolgevo una sola richiesta. “Raccontatemi la vostra storia” domandavo, e loro mi accontentavano. Le storie erano edificanti,
istruttive, irritanti, esilaranti, tragiche, trionfali, tristi, meravigliose o terribili. (…)
Come giornalista ho osservato con
42
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NARRATIVA
Miniature persiane
attenzione la politica, come viaggiatore, scrittore e cultore della storia
iraniana ho seguito il sentiero della
cultura, perché sebbene la politica abbia la capacità di dominare il presente, la cultura mi appare una guida migliore per il futuro. La storia dell’Iran
è costellata da imprese politiche che si
sono risolte in altrettanti fallimenti,
ma la sua cultura ha dato frutti duraturi. Chi studia la cultura iraniana, in
effetti, ne ricava una visione del paese
diversa da quella di chi ne osserva la
politica: spesso è più ottimista, più
speranzoso.”
Assieme a Molavi il lettore si trova a
visitare città e località mete di pellegrinaggi: la tomba di Ciro il Grande a
Pasargade, il sacrario del poeta Firdusi
a Tus, la tomba del poeta Hafiz a
Shiraz, il sacrario di Nishapur che ricorda i caduti della disastrosa guerra
contro l’Iraq tra il 1980 e il 1988, il
mausoleo di Khomeini lungo l’autostrada che da Teheran porta a Qom, “l’antico centro religioso dell’Iran, sede dei
seminari sciiti più prestigiosi del paese”.
Molavi viaggia da Nord a Sud, da Est
a Ovest. Ogni tappa gli permette di entrare in contatto con iraniani di diversa
estrazione sociale e culturale (tassisti,
commercianti, giornalisti, politici
integralisti e riformatori, abitanti dei
quartieri poveri delle città, agricoltori,
veterani e invalidi della guerra, studenti, teenager, giovani smaniosi di emigrare in occidente) di ascoltare le storie che
gli raccontano a cuore aperto, con linguaggio franco, che spaziano dalla disoccupazione alla politica, dalla libertà
alla religione, dalla poesia alla storia,
dalla politica alla religione, da internet
alla rivoluzione islamica, ai rapporti con
l’Occidente. Parlano liberamente e
apertamente perché avvertono in Molavi il desiderio di conoscere e la disponibilità ad ascoltare, senza pregiudizi e
senza la voglia di emettere giudizi.
Nel corso del viaggio e dei tanti incontri che fa, Molavi rintraccia la storia millenaria della Persia e offre un
quadro della realtà attuale nelle sue
varie sfaccettature. “Al terminal Hossein e io ci salutammo. (…) Ci dicemmo semplicemente addio. Lui sapeva
che l’Iran mi aveva stregato. Sapeva
che sarei tornato.”. Un libro che riesce
a penetrare l’anima dell’Iran di ieri e di
oggi offrendo al lettore la possibilità di
compiere il viaggio di scoperta assieme
al suo autore, trasmettendogli tutta la
sua carica emotiva e l’amore che nutre
per il paese.
Kader Abdolah è uno pseudonimo,
formato dai nomi di due amici uccisi
negli anni della repressione komeinista.
Nato ad Arak nel 1954, avrebbe voluto
fare studi letterari ma “in Iran quando
si hanno dei buoni voti si viene orientati verso la fisica o la matematica. Ho
pianto quando ho dovuto iniziare la fisica. Ma quando ho terminato gli studi vedevo il mondo in un altro modo e
non li ho mai rimpianti”. Nel 1972 inizia a studiare fisica all’università di
Teheran e ben presto diventa militante
del movimento studentesco di rivolta,
che combatte prima lo scià e poi il regime degli ayatollah. Nel 1985 è costretto a lasciare il Paese, si rifugia in Turchia fino a quando una delegazione
olandese delle Nazioni Unite approda
ad Ankara e l’Olanda lo accoglie come
rifugiato politico. “Per un anno mezzo
ho traversato la Turchia un po’ spaesato senza sapere dove andare. Non
riuscivo a credere di essere un espatriato. Non pensavo che a rientrare al
mio paese, ossessionato dal mio sogno
di diventare scrittore.” Il suo amore per
la letteratura nato negli anni della preadolescenza è influenzato dal ricordo
del bisnonno, Hossein Sadjadi Ghaemmaghami Farahani, poeta e uomo politico assassinato nel 1875 dallo scià.
La casa della moschea, uscito nel
2005, preceduto da Il viaggio delle bottiglie vuote, Scrittura cuneiforme,
Calila e Dimna, Ritratti e un vecchio
sogno, è stato votato dai lettori olandesi come secondo miglior romanzo mai
scritto nella loro lingua.
“Alef Lam Mim. C’era una volta una
casa, una casa antica, che si chiamava “la casa della moschea”. Era una
grande casa, con trenta-cinque stanze. Lì, per secoli, famiglie dello stesso
sangue avevano vissuto al servizio della moschea. Ogni stanza aveva una
funzione e un nome corrispondente a
StrumentiCres Settembre 2009
prima in Irak e poi in Francia, attende
la sua ora.
All’interno della grande casa i vari
membri assumono posizioni diverse, a
volte contrapposte, i legami familiari
che sembravano indistruttibili si lacerano. Di fronte agli sconvolgimenti rapidi, brutali, tragici che investono il suo
mondo Aga Jan, uomo saggio ed equilibrato, vede crollare tutto quello in cui
crede eppure non perde la sua visione
serena della fede, non cede alla follia
integralista, conserva la propria integrità morale, quella di un uomo pieno di
comprensione e di umanità che resiste
anche quando è costretto a vagare una
notte intera alla ricerca di una tomba
dove seppellire suo figlio Javad, uno
degli studenti arrestati dalle guardie
della rivoluzione e condannato a morte. Nessuno trova il coraggio di offrire
una tomba a chi ha osato sfidare il potere degli ayatollah.
In una prosa “limpida e poetica”
Abdolah ci mostra dall’interno la vita
privata degli iraniani, la realtà nelle sue
mille sfaccettature. Un Iran prerivoluzionario quello della prima parte del
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quella funzione, come la stanza della
cupola, la stanza dell’oppio, la stanza
dei racconti, la stanza dei tappeti, la
stanza dei malati, la stanza delle nonne, la biblioteca e la stanza del corvo.”
L’incipit del romanzo trasporta subito il lettore nella storia di questa vasta
dimora secolare abitata da tre cugini,
Aga Jan, ricco mercante e capo del bazar di Senjan, Alsaberi, l’imam della
moschea e Aga Shoja il muezzin; sullo
sfondo la storia dell’Iran degli anni ’60
alla vigilia dello sbarco dell’uomo sulla
luna quando lo Scià intraprende l’opera di modernizzare il paese e occidentalizzare i costumi. La vita scorre
tranquilla nella grande casa, dove sembrano riecheggiare atmosfere da Mille
e una notte, le tradizioni sembrano ben
radicate, il corso del tempo sembra immutabile. Ma la Storia conoscerà una
brutale accelerazione, tutto comincia a
cambiare, gli ayatollah cominciano ad
infiammare gli animi contro lo Scià e
l’americanizzazione della società, mentre la sua temibile polizia segreta vigila, sorveglia, spia, imprigiona e uccide
gli oppositori. Intanto Khomeini, esule
IRAN AL FEMMINILE
Goli Taraghi, Tre donne, traduzione di Anna Vanzan, Edizioni Lavoro
Figlia della borghesia agiata e colta Goli Taraghi ci offre uno spaccato
della condizione umana, e di quella femminile in particolare, nel periodo
più buio del regime khomeinista. L’autrice, che scrive in prima persona,
vive con la famiglia momenti di grande crisi quando si insediano al potere i rivoluzionari. Nella sua casa lavoreranno come domestiche tre donne, le cui storie sono esemplari del clima di proibizione e di terrore che
da allora incombe sulla società iraniana.
a cura di A. Vanzan, Figlie di Shahrazàd, storia antologica delle
scrittrici dell’Iran dal XIX ad oggi, Bruno Mondadori
Le donne d’Iran scrivono da tempi lontani e non hanno mai abbandonato questa vocazione.
Nonostante i successi internazionali di scrittrici iraniane esuli poco si
sa delle colleghe rimaste a vivere e a scrivere – in lingua persiana – nel
loro paese.
Eppure, dall’instaurazione della Repubblica Islamica a oggi, la produzione femminile supera quella degli uomini, almeno per la narrativa. E il
dibattito intellettuale si arricchisce quotidianamente anche grazie all’apporto delle pensatrici impegnate a vario livello nella vita sociale e politica
Vanna Vannuccini, Rosa è il colore della Persia Il sogno perduto
di una democrazia islamica, Feltrinelli
Vanna Vannuccini, da anni corrispondente dall’Iran, ci conduce in molti
dei misteri di questo paese giovane e sterminato, in un viaggio sempre
delicatamente in equilibrio tra riflessione politica e curiosità culturale e
sociologica.
La Rivoluzione khomeinista nel 1979 ha cambiato per sempre gli equilibri geopolitici non solo dell’area mediorientale ma addirittura dell’intero
globo e ha innescato la nascita di un radicalismo islamico che si è diffuso
velocemente. Eppure è anche una nazione con una forte dinamica elettorale e aspirazione alla democrazia.
StrumentiCres Settembre 2009
racconto, in cui la religione è vissuta in
modo personale, intimo, che niente ha
a che vedere con l’esasperazione fondamentalista che assumerà poi la rivoluzione khomeinista, oggetto della seconda parte. Un racconto che oscilla tra finzione e realtà, tra notazione etnografica
e reportage giornalistico, presentandoci
una miriade di personaggi, le due nonne arrivate a servizio della grande casa
poco più che bambine, che sognano di
poter fare il viaggio alla Mecca; Kazem
Khan il poeta amato dalle donne; Faqri
la moglie di Aga Jan esperta nel catturare gli uccelli per esaminarne il piumaggio e riprodurne nei tappeti i colori e i disegni; Ghalgal l’imam rivoluzionario che, nominato giudice da Khomeini, manda a morte anche i parenti
più stretti; Alsaberi il vecchio imam
della moschea tutto spiritualità e preghiera, sempre immerso nella lettura,
sua moglie Zeynat e poi i giovani della
casa, Shabbal, Javad, Ahmad, Nasrin,
Ensi, il piccolo Lucertola, Qodsi...
Anna Vanzan pensa che l’aspetto
cronachistico e alcune ricostruzioni storiche finiscono per appesantire la seconda parte, mentre per Elisabetta Svaluto Moreolo, con questo romanzo
Abdolah si conferma “non solo autore
di grande raffinatezza espressiva, impegno etico-politico (...) ma anche fine
tessitore di trame che avvicinano popoli
e culture, visioni e linguaggi, in nome
di valori universali e in una stimolante
contaminazione di sensibilità e di
sguardi.”.
“Ho scritto questo libro per l’Occidente. Ho scostato il velo per mostrare
l’Islam come modo di vivere… un Islam
moderato, domestico, non quello radicale.” si legge nella quarta di copertina,
e spesso nelle interviste Abdolah parla
della sua scrittura come di un ponte che
ci invita ad attraversare per “venire nei
nostri villaggi, assaggiare il nostro
cibo, ascoltare le nostre poesie. Vi porto a casa mia, (...) vi mostro la mia eredità persiana”, ma anche come mezzo
per dare voce a chi non può farsi sentire. “In questi tempi difficili e duri,
quando si combatte, quando si è divisi, quando si ha paura degli stranieri,
nel tempo in cui c’è la guerra e il terrorismo, c’è solo un linguaggio per capirsi gli uni con gli altri, per raggiungerci, ed è la poesia e la letteratura.
Solo con la letteratura, la poesia e le
storie posso raggiungervi e voi potete
capirmi.”.
Riesce ad Abdolah - scrive Fofi - “il
miracolo di raccontare in persiano e
di scrivere in europeo” toccando nel lettore “le corde di una sensibilità artistica ed etica che è ‘politica’ in senso molto lato, ma pur sempre concreto, e di
conquistarlo, di affascinarlo, di commuoverlo come capita a pochi scrittori contemporanei”.
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Boris Pahor - Fazi Editore, 2009
a cura di Elisabetta Assorbi
L’Autore, nato a Trieste nel 1913, è
purtroppo poco noto in Italia. Nel 2008
è stato tradotto in italiano il suo capolavoro “Necropoli”, relativo alla tragica
esperienza autobiografica di internamento nei lager tedeschi: per questo
motivo, sull’onda delle mode letterarioeditoriali, capaci di creare best seller a
tavolino, sulla quarta di copertina del
romanzo di cui ci occupiamo oggi, ci
sono ben sei giudizi critici giornalistici
su “Necropoli” e non una parola su questo romanzo, scritto a Trieste nel 1963
ed uscito in prima edizione italiana solo
nel gennaio 2009, per la traduzione di
Martina Clerici.
Si tratta di una storia d’amore e di ribellione, delicatamente descritta con
una prosa ricca di descrizioni, pudica
quando si sofferma sui rapporti amorosi, ed evocativa di luoghi e di sentimenti affettuosi, sicuramente autobiografici, verso il destino di uomini e donne segnati dall’ingiustizia.
“…dicono di volerli sterminare come
cimici che infestano gli appartamenti… Il fatto che questi parassiti si moltiplichino in questa città da dodici secoli non ha alcun valore.”. (pag. 100),
scrive relativamente agli sloveni.
È una pagina di storia d’Italia
ignorata da tutti, anche dalla storiografia: una vera e propria pulizia etnica perpetrata dal fascismo alla fine degli anni Trenta nei confronti degli
sloveni abitanti a Trieste e nelle zone
di confine, “italiane e fasciste”, che costituì la prova generale delle fascistissime leggi razziali del 1938.
Potrebbe essere chiamata “assimilazione forzata”, ma è diventata prima del
secondo conflitto mondiale, l’annichilimento di tutto ciò che era sloveno,
nelle istituzioni, nei villaggi e nelle
scuole, nella lingua, che divenne clandestina perseguitata in tutte le sue forme.
Ema, la protagonista, è figlia di un
ferroviere trasferito da Trieste a Milano, come in una sorta d’esilio, perché
non se ne era andato spontaneamente
e che dice, senza capacità di rassegnazione “Gli sloveni, che al fronte avevano gettato le armi rifiutandosi di continuare a morire per l’impero austriaco, venivano ora cacciati dalle loro
case; quanti invece sceglievano di rimanere vedevano bruciare le loro case
di cultura e le biblioteche, sicchè stavano peggio di quanti erano stati co-
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Qui è proibito parlare
stretti ad emigrare” (pag. 145).
Vicende molto tragiche della sua vita
rendono Ema orfana e sola: anche la
sorella, fascista ed incinta muore, col
neomarito, proprio di ritorno dal proprio matrimonio, travolta dall’Orient
Express.
Quando Ema incontra l’uomo della
sua vita, il resistente Danilo, costretto
per legge a cambiare il suo nome in
quello di Giordano, è già pronta psicologicamente ad entrare nell’organizzazione clandestina che cerca di contrastare la censura fascista: frequenta le
messe clandestine in sloveno nella
catacombale chiesa armena, canta nei
cori sloveni a bassa voce organizzati in
remote aule di un liceo, frequenta le lezioni, sempre segrete, di un gruppo di
cultori della lingua, scrive copiandole,
storie slovene su un foglio proibito.
Ma è proprio Danilo, con i suoi discorsi ed il suo garbato affetto, che dà
impulso alla sua larvata ribellione, che
sfocia nella partecipazione all’azione
rischiosa di consegnare anonimamente, per Natale, ai bambini sloveni dei
villaggi di confine, dei libri di racconti
e fiabe, perché possano segretamente
mantenere la propria identità.
I libri proibiti diventano la sua compagnia ed Ema conosce, anche attraverso la biblioteca segreta di Danilo, i poeti come Kosovel, chiamato “il cantore
del Carso”.
Quando, pur non volente, Danilo parte per il servizio militare nel sud Italia,
Ema dimostra a se stessa e ai compagni di lotta un inatteso coraggio, “una
responsabilità che le avrebbe permesso di intervenire nel cuore degli eventi” (pag. 259).
Ad un certo punto, di fronte ai capolavori di Giotto della padovana cappella degli Scrovegni, raggiunta durante
una missione clandestina di collegamento con la resistenza, accade ad Ema
di pensare che “fosse un peccato che gli
sloveni debbano provare sentimenti
ostili nei confronti di gente la cui patria è così fittamente disseminata di
cose stupende” (pag.271).
In effetti, Ema è un animo romantico, che si rammarica che la Slovenia
non abbia mai avuto dei capi capaci di
un’azione unificatrice della comunità
nazionale. Il suo coraggio le permette
di affrontare l’inevitabile interrogatorio, seguito dalla detenzione nel carcere triestino, (tra le prostitute perché non
c’è altro posto), con grande dignità e
determinazione, che la spingono fino ad
irridere il poliziotto che sfascia i libri
sloveni, con un atteggiamento inaspettato forse anche a lei stessa. La consapevolezza raggiunta è poi anche speranza: prima o poi anche il fascismo, che
ha distrutto la convivenza multietnica
costruita dall’impero asburgico, come
quest’ultimo, finirà.
Nel testo sono state inserite note sui
personaggi citati, sconosciuti al pubblico, come pure note sulla toponomastica, con la traduzione in italiano.
Chissà se, sulla scia di eventuali curiosità d’approfondimento dei lettori su
questa storia, relativamente recente,
qualcuno si farà delle domande ulteriori, sul senso di questa (come di tante
altre) “lingua tagliata”…
La squadra fascista che occupò il palazzo del governo di Fiume (l’odierna Rjieka) nel 1923.
StrumentiCres Settembre 2009
Africa tra identità
e integrazione
Il Festival del Cinema Africano, che
si svolge annualmente a Milano, da alcuni anni riserva una sezione ai cortometraggi, che vengono presentati al
pubblico, selezionati e premiati.
Si tratta spesso di piccoli gioielli della durata di 20, 30 minuti il cui formato impone un linguaggio sintetico di
grande suggestione narrativa, proprio
per questo capaci di evocare atmosfere
autentiche e raccontare piccole storie
rarefatte in cui ogni dettaglio è significativo.
Per queste caratteristiche possono
essere utilmente proposti anche ad un
pubblico di studenti italiani che abbiano scarsa consuetudine con la cinematografia africana o asiatica. I filmati che
proponiamo sono in lingua originale
francese e araba, sottotitolati in italiano, distribuiti in DVD dal C.O.E. (Centro Orientamento Educativo) che organizza il Festival.
C’est dimanche!
Francia /Algeria 2007
Regia: Samir Guesmi
Versione: francese
con sottotitoli in italiano
E’ la prima domenica dalla fine della
scuola per Ibrahim che vive solo con il
padre in Francia. Il ragazzo ha frequentato, con scarso profitto, la seconda
media, l’insegnante lo informa che non
sarà ammesso in terza e dovrà orientarsi verso un corso professionale.
Il ragazzo appare disorientato e preoccupato soprattutto per la reazione del
padre: si chiude in sé stesso e, nel tentativo di rimuovere la frustrazione per
l’insuccesso scolastico, preferisce il silenzio.
Al parco incontra una coetanea da cui
è attratto e incuriosito, le dà un appuntamento per il pomeriggio e torna a casa
dove il padre vuole festeggiare… lo accompagna dal barbiere e gli acquista un
vestito nuovo. Ibrahim capisce che il
padre è orgoglioso di lui ed è convinto
che sia stato promosso, non se la sente
di deluderlo, sa che ha riposto in lui
molte speranze. Dall’inganno nascono
una serie di equivoci, ma alla fine l’uoStrumentiCres Settembre 2009
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CINEMA E TEATRO
mo comprende la verità… Ibrahim
scompare in cerca dell’amica: ha bisogno di confidarsi con qualcuno e le racconta l’accaduto. La ragazza si rivela
matura e comprensiva, lo induce a riflettere sul suo comportamento e gli
consiglia di chiedere perdono al padre.
Fra i due si stabilisce una tenera intesa,
Ibrahim prova amicizia e affetto, impara a conoscere e rispettare l’amica. Anche il rapporto con il padre si evolve:
dal silenzio timoroso e imbarazzato al
dialogo e alla fiducia. La domenica si
conclude con la riconciliazione e l’inizio di una nuova consapevolezza che
lo aiuterà a crescere e comunicare con
gli altri.
Francia dal 1965.
Ha lavorato nel servizio di nettezza
urbana e ora si trova alle soglie della
pensione. Lo incontriamo proprio mentre va a comperarsi un abito nuovo per
recarsi in Comune dove il Sindaco gli
assegna un riconoscimento e una medaglia per la dedizione e costanza nel
lavoro dimostrata in tanti anni di servizio.
Con discrezione entriamo nella quotidianità di Ahmed. Lo seguiamo nei
preparativi per la cerimonia: acquistato l’abito nuovo passa a salutare i compagni di lavoro con cui non condividerà più il tempo e la fatica quotidiana;
prepara, davanti allo specchio, un breve discorso di ringraziamento; si fa ritrarre, indossando il vestito nuovo, in
una foto che invierà al suo paese d’origine.
La cerimonia rappresenta un breve
momento di gioia e di pubblico riconoscimento che può essere immortalato
in una fotografia, ma l’immagine che gli
rimanda è effimera ed evanescente, lontana dalla dimessa solitudine delle sue
giornate.
Ahmed si riconosce, in quanto anziano pensionato, non più utile alla società in cui vive, si sente straniero in Francia nonostante i saldi rapporti stabiliti
con i vicini di casa e le relazioni cordiali con i compagni di lavoro. Non sa se
tornerà in Marocco: si sente comunque
ormai lontano da Taroudant, dove forse preferisce non tornare a vivere, ma
essere piuttosto rappresentato da una
fotografia che attesti il successo ottenuto nella sua scelta migratoria.
Questa storia minima, fatta di sguardi e silenzi più che di parole e azioni, è
pervasa di malinconia resa attraverso
un uso lento e intimo della cinepresa,
comunicata allo spettatore con maestria
dall’attore protagonista ripreso in primo piano. Il regista riesce a farci entrare in quell’atmosfera sospesa che appartiene a certi momenti della vita, in bili-
Une place au soleil
Marocco/Francia 2004
Regia: Rachid Boutounes
Versione: francese/arabo
con sottotitoli in italiano
Il film presenta uno dei temi classici della cinematografia magrebina e
più in generale africana, raccontando
una storia di migrazione, legata, in
questo caso, alla tematica della permanenza e al trovarsi, nonostante i molti
anni vissuti all’estero, in bilico tra due
mondi.
Ahmed, il protagonista, è un uomo
di circa sessant’anni, proveniente da
Taroudant (Marocco), che vive in
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La pelote de laine
Algeria-2006
Regia: Fatma Zohra Zamoun
Versione: francese/arabo
con sottotitoli in italiano
Il film della regista algerina Fatma
Zohra Zamoun sviluppa in modo originale il tema della condizione della donna emigrata, in bilico fra sottomissione
ed emancipazione dal potere maschile.
Fathia e Mohamed sono algerini, immigrati in Francia con i loro bambini.
Mentre Mohamed va a lavorare in fabbrica Fathia accudisce i figli e sbriga le
faccende domestiche; è curiosa e aperta alla nuova realtà, ma amaramente
scopre di essere reclusa in casa dal marito che teme possa “perdersi” nel nuovo mondo.
Sulla vita familiare cala un cupo silenzio; lo sguardo di Fathia ci fa capire
che qualcosa è cambiato nella sua relazione con il marito e che nella loro terra d’origine Mohamed era diverso. La
svolta è stata segnata dal loro arrivo in
Francia, dal loro ingresso in un modo
culturale diverso, dal timore che tutto
ciò suscita nel marito, che teme di perdere identità e ruolo. Per Mohamed il
○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○ ○
co fra la nostalgia e il ricordo, momenti
indicibili che pure sono alla base della
percezione di noi stessi e della realtà
presente.
sistema di vita francese si pone come
una minaccia all’integrità del suo equilibrio familiare, Fathia invece non ha
paura, cerca di conoscere le vicine e stabilire quelle relazioni di amicizia che
colmavano la sua vita quotidiana al villaggio.
Grazie allo scambio di piccoli oggetti
e doni riesce a stabilire un rapporto con
la vicina, che si fa tramite con il mondo
esterno. Un gomitolo di lana è l’oggetto simbolo che le permette di essere utile a sé e ad altre mamme che si rivolgono a lei per piccoli lavori. La solidarietà
Persepolis
lo sguardo di un’adolescente
sulla società iraniana ed europea
a cura di Laura Morini
Il racconto a fumetti di Marjianne
Satrapi, da cui è stato tratto l’omonimo
film, è oggi disponibile in DVD e facilmente reperibile.
Narra la storia personale e familiare
dell’autrice costretta, per motivi politici, a lasciare il suo paese appena adolescente e ad affrontare da sola la vita in
vari paesi europei. Di questa straordinario cartoon si è molto parlato, ma il
bel film che ne è stato tratto ha avuto in
Italia una distribuzione assai limitata,
cogliamo dunque l’occasione per riproporlo all’attenzione degli insegnanti.
Persepolis è certamente adatto a
contestualizzare le attuali vicende politiche iraniane che hanno trovato ampia eco sulla nostra stampa.
Le migliaia di giovani che hanno sfi-
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lato per le strade di Teheran denunciando i brogli elettorali avallati dal governo in carica e rivendicando il rispetto dei loro diritti di cittadini, hanno comunicato a tutto il mondo un’immagine del loro paese assai diversa dalle de-
tra vicine nasce dalla condi-visione del
ruolo materno e anche il figlio maggiore Said aiuta la madre e ne condivide il
bisogno di aprirsi e la gioia di nuove
amicizie.
Mohamed, chiuso nel proprio ruolo
e nella propria solitudine, è sempre più
lontano: anche le scene che lo riprendono sono cupe e silenziose mentre le
due donne sono ritratte in inquadrature luminose accompagnate da un delicato e allegro commento musicale.
Il film è giocato su questa decisa
contrapposizione fra i generi: l’universo femminile è creativo, pieno di risorse, generativo di solidarietà e di alleanze. Quello patriarcale è incapace di mediare e foriero di conflittualità.
Una provocazione certamente voluta
dalla regista che si rivolge ad un pubblico magrebino, ma che può essere utile per decostruire stereotipi sulla donna musulmana e si presta ad una lettura trasversale della cultura maschilista.
Il futuro è Said, cresciuto tra le maglie del dialogo e della solidarietà.
Possono essere richiesti a:
Centro Orientamento Educativo
Via Lazzaroni, 8 - 20124 Milano
Tel: 02 6696258
[email protected]
finizioni stereotipate che fino a poco
tempo fa ne offriva la politica internazionale, almeno in occidente.
La stessa cruda foto che ha ritratto
Neda, la ragazza uccisa dal proiettile di
un cecchino “guardiano della rivoluzione islamica” durante una manifestazione, ha smentito ogni stereotipo sul diverso modo di essere donne nel mondo
musulmano. La vicinanza fra gli studenti iraniani in rivolta e milioni di giovani nel mondo globale, appare evidente e significativa. Approfondire la conoscenza delle vicende politiche iraniane
degli ultimi cinquant’anni offre l’occasione per riflettere sull’intersecarsi di
differenze e somiglianze fra giovani che
vivono in mondi un tempo lontani, oggi
contigui e interconnessi.
Per questo la visione di Persepolis
può offrire ad una classe di studenti italiani un’opportunità preziosa per capire i motivi che spingono i giovani
iraniani a ribellarsi, ma anche per guardare a sé stessi, ai propri atteggiamenti
e comportamenti da una prospettiva
diversa.
Persepolis di Marijanne Satrapi,
ed. integrale, Lizard, 2008
Regia: Vincent Paronnaud
Distribuzione DVD: 01 Distribution
StrumentiCres Settembre 2009
QUADERNI DIDATTICI
Nuova collana CRESCENDO CRES - EMI
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LE NOSTRE
PUBBLICAZIONI
1) Arcipelago Mangrovia Narrativa caraibica e intercultura
– Rita Di Gregorio, Anna Di Sapio e Camilla Martinenghi – pagg
256 - euro 12,00
Il quaderno cerca di fornire una panoramica della narrativa caraibica
insulare dell’ultimo secolo per favorire il superamento di stereotipi e
offrire chiavi di lettura e spunti di riflessione per l’educazione alla differenza. Le schede di presentazione degli autori e delle opere sono suddivise per aree linguistiche. Ipotesi di percorsi didattici. e strumenti utili
per gli stessi, completano il testo.
2) All’incrocio dei sentieri I racconti dell’incontro – Kossi
Komla-Ebri – pagg.192 - euro 10,00
I racconti di Kossi Komla-Ebri, ambientati in Africa, in Francia e in
Italia, attingendo al vissuto quotidiano, parlano di amore, di viaggi, di
nostalgia, di fierezza e di dignità e smascherano gli stereotipi con lo
strumento dell’ironia. I temi dei racconti sono approfonditi dall’autore
stesso nelle interviste e nei documenti della seconda parte, completata
da un apparato didattico per un’educazione interculturale.
3) Cittadini under 18 I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza - Daniela Invernizzi - pagg.213 - euro 11,00
Il testo presenta un approccio globale alle problematiche dell’infanzia
e dell’adolescenza e, dopo aver descritto lo scenario culturale generale,
propone esperienze di processi partecipativi locali e globali e suggerisce
stimoli educativi per lo sviluppo di attività di ricerca e di sperimentazione
centrate sulla tutela e la promozione dei diritti delle giovani generazioni.
4) “La tela del ragno” Educare allo sviluppo attraverso
la partecipazione – Michele Dotti, Giuliana Fornaro,
Massimiliano Lepratti – pagg.238 – 2005 - euro 13,00
Questo Manuale pratico-teorico, frutto dell’esperienza sul campo degli animatori e delle animatrici del CRES di Mani Tese, analizza e
decostruisce gli stereotipi più diffusi riguardo alla povertà mondiale e
illustra tecniche di partecipazionee di coinvolgimento attivo utili per accompagnare i ragazzi verso la conoscenza e la comprensione critica delle problematiche attuali.
5) “Terra è libertà” La questione agraria in America
Latina – Luca Martinelli, Annalisa Messina – pagg.144 – 2005
- euro 9,00
Terrà è il punto di partenza per riflettere sui concetti di latifondo,
riforma agraria, migrazione, libero commercio, diversità biologica, risorse naturali, diritti dei popoli indigeni, movimenti sociali, assumendo un
punto di vista interdisciplinare che spazia dall’ambito sociale a quello
politico, economico, culturale.
6. Uno, nessuno, centomila (ir)responsabili. Itinerari
didattici di educazione alla cittadinanza – Michele Crudo –
pagg.160 – euro 12 - 2006
L’Educazione alla cittadinanza, anche in rapporto ai controversi modelli sociali che la nostra società propone, può diventare una pratica
didattica per aiutare lo studente a capire l’universo degli adulti, a mediare tra gli opposti e arrivare ad un proprio punto di vista in un’ottica di
mondialità. Alcune esplorazioni didattiche realizzate attraverso l’uso sistematico dello strumento filmico completano il testo.
7) Ri/conoscersi leggendo Viaggio nelle letterature del mondo. a cura di Rosa Caizzi - pagg. 256 - 2006 - euro 13,00 - NOVITÀ
Un viaggio attraverso le letterature araba, nigeriana, sudafricana, indiana, afroamericana, cinese e la recente letteratura della migrazione
può aiutare ragazzi e ragazze del Nord a stimolare la curiosità nei confronti della diversità, a combattere gli stereotipi sulle altre culture, a
StrumentiCres Settembre 2009
indagare la contemporaneità di altri paesi, a guardare con occhi nuovi
la loro realtà, a relativizzare il proprio punto di vista.
8) Perché l’Europa ha conquistato il mondo? - Massimiliano
Lepratti – pagg. 124 -2006 – euro 10
L’Europa non ha conquistato il mondo per investitura divina, né in
quanto civiltà superiore. Il capitalismo del Nord del mondo affonda le
radici nello sfruttamento economico e nei contributi di pensiero e tecnico-scientifici di aree lontane. Il testo indaga la storia della costruzione
di un sistema di squilibrio internazionale che non esisteva fino ad alcuni
secoli fa, attraverso un approccio che integra i livelli politico, economico
e culturale. A corredo carte storiche e un’appendice didattica.
9) Il cinema per educare all’intercultura - Marina Medi – 2007 –
euro 10
E’ importante che l’educazione all’informazione e ai media trovi spazio in modo organico nella programmazione curricolare diventando strumento di cittadinanza e di comunicazione interculturale.
Il testo suggerisce una serie di riflessioni metodologiche per un uso
critico dei media, che parta da alcune cautele indispensabili quando si
propone agli studenti un lavoro che utilizzi il cinema, e presenta piste di
lavoro da realizzare nelle scuole e percorsi didattici già sperimentati
che possono servire da stimolo.
10) L’economia è semplice - Massimiliano Lepratti
2008 - pag. 125 - offerta minima euro 5
Basta spiegarla con parole non tecniche e diventa comprensibile a
chiunque. L’economia viene scomposta nelle sue parti elementari presentando di ciascuna il funzionamento , il collegamento con gli altri
aspetti della vita, la dimensione globale che coinvolge i paesi del Sud e
le fasce povere della popolazione mondiale. È la conoscenza dell’economia internazionale a farci comprendere più a fondo la realtà di oggi e a
motivare al cambiamento degli stili di vita e delle scelte di consumo.
11) Il lontano presente: l’esperienza coloniale italiana
- Anna Di Sapio, Marina Medi 2009 – pag. 284
TÀ
NOVI
offerta minima euro 5
Storia e letteratura tra presente e passato. Non può esistere futuro
senza memoria. Il testo vuol essere uno strumento per rileggere pagine della nostra storia che abbiamo rimosso. Operazione particolarmente necessaria a scuola. Per coglierne la complessità non ci si può limitare ad un’analisi storiografica ma occorre mettere a confronto punti di
vista diversi e utilizzare anche fonti nuove come romanzi e film.
Collana CRESCENDO CRES - Ed. Lavoro
1)
2)
3)
4)
5)
6)
Le migrazioni a cura di D. Barra e W. Beretta Podini – 1995
Percorsi interculturali e modelli di riferimento M. Crudo - 1995
Educare al cambiamento AA. VV. - 1995
La conoscenza dell’altro tra paura e desiderio M. Crudo - 1996
Lo straniero L. Grossi, R. Rossi - 1997
Letterature d’Africa. percorsi di lettura L. Bottegal, R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C. Martinenghi – 1998
7) Penelope è partita M. Crudo – 1998
8) Portare il mondo a scuola a cura di ONG Lombarde, IRRSAE
Lombardia, Provveditorato agli Studi di Milano – 1999
9) La gatta di maggio R. Abdessemed - 2001
10) La sfida della complessità M. Medi – 2003
Noci di cola, vino di palma. Letteratura dell’Africa subsahariana
L. Bottegal, R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C. Martinenghi – 1997 (fuori
collana)
OFFERTE SPECIALI (spese di spedizione incluse)
● IL VOLUME “NOCI DI COLA, VINO DI PALMA”, pagg. 480 - 5 euro
● 5 VOLUMI A SCELTA A - 10 euro
● 1 VOLUME - 3 euro
RIVISTA
STRUMENTICRES
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