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Cavalieri, mamelucchi e samurai Armature di guerrieri d`Oriente e d

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Cavalieri, mamelucchi e samurai Armature di guerrieri d`Oriente e d
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Cavalieri, mamelucchi e samurai
Armature di guerrieri d’Oriente e d’Occidente
Dalla collezione del Museo Stibbert di Firenze
SALA 1
La mostra intende presentare tre mondi a confronto: quello europeo, quello medio orientale e
quello altrettanto raffinato dei samurai giapponesi, attraverso l’esposizione dell’arte delle
armature. Il percorso illustra le differenze tra il guerriero europeo, rigido entro la sua armatura
modellata in modo statuario quasi robotico, il combattente mediorientale rivestito di maglie
metalliche, rinforzate con piastre d’acciaio nei soli punti vitali per meglio muoversi in
combattimento, e il samurai giapponese, che privilegia nel suo armamento difensivo una
figurazione fantastica che riduce ad una astrazione forzosa le proporzioni umane.
Le armature selezionate, provenienti dalla collezione del Museo Stibbert di Firenze con alcuni
significativi confronti dell’Armeria Reale di Torino, condividono il gusto dell’ornato prezioso e
delicato mescolando decorazioni e vanità, bellezza e funzionalità: si tratta di opere di grande
importanza storico artistica le cui tipologie spaziano dal Cinquecento all’Ottocento,
documentando la costante ricerca da parte degli artigiani e degli artisti impegnati nella loro
fabbricazione ad inventare forme e decorazioni sempre nuove e variate.
CAVALIERI: SALE 1 – 4
MAMELUCCHI: SALE 5 – 6
SAMURAI: SALE 7 - 10
IL MUSEO STIBBERT DI FIRENZE
Il Museo Stibbert, aperto al pubblico nel 1908, è uno dei luoghi più affascinanti e inaspettati di
Firenze. In una casa-museo realizzata dal suo proprietario, Frederick Stibbert (1838-1906), sono
raccolte e disposte secondo un allestimento emozionante e scenografico, le collezioni da lui
lasciate alla città di Firenze: la famosa collezione di armi, ma anche oggetti d’arte e di vita
quotidiana della civiltà europea, islamica e dell’estremo Oriente, in particolare giapponese.
Stibbert trasforma la villa alle pendici dei colli fiorentini in un castello neogotico, con vasti
ambienti al piano terreno pensati per ospitare le collezioni. Nel grande salone i cavalieri
cinquecenteschi, chiusi nelle loro armature, danno vita ad una imponente ‘Cavalcata’, in cui le
pose dei guerrieri e dei cavalli si ispirano ai grandi monumenti equestri o ai personaggi storici,
come Emanuele Filiberto di Savoia o l’Imperatore Massimiliano d’Austria. L’altra parte dell’edificio
accoglie gli sfarzosi appartamenti privati, arredati e decorati dedicando ogni ambiente alla
rievocazione di uno stile.
Stibbert trovò ispirazione, per l’allestimento del suo museo, soprattutto nelle armerie reali. Nel
corso dei suoi frequenti viaggi visitò più volte l’Armeria Reale di Torino, che divenne uno dei
maggiori riferimenti per la creazione della sua ‘Cavalcata’, in cui è evidente l’attenzione del
collezionista a disporre le armature come elementi dinamici di un’evoluzione dei costumi militari
attraverso i secoli.
+ FOTO CAVALCATA
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L’ARMERIA REALE DI TORINO
L’“Armeria antica e moderna” fu inaugurata nel 1837, per volontà del re Carlo Alberto di
Savoia, nella Galleria Beaumont, sontuoso ambiente progettato da Filippo Juvarra per collegare il
Palazzo Reale di Torino con le Segreterie di Stato (oggi Prefettura). La raccolta, formata con
l’intento di celebrare la dinastia sabauda, nasceva dall’unione delle armi e delle armature
conservate negli arsenali di Torino e di Genova e nel Museo di Antichità di Torino con altre
reperite sul mercato antiquario; in particolare, Carlo Alberto acquisì la collezione di Alessandro
Sanquirico, scenografo della Scala di Milano, e della famiglia bresciana dei Martinengo della
Fabbrica. Lo spettacolare allestimento era improntato al gusto troubadour, allusivo a un Medioevo
eroico che celebrava le origini di casa Savoia. La collezione continuò ad essere incrementata
attraverso le collezioni personali dei sovrani fino a Vittorio Emanuele III. Riallestita secondo i criteri
ottocenteschi dopo i restauri conclusi nel 2005, oggi l’Armeria comprende oltre cinquemila pezzi
tra armi, armature e bandiere. + FOTO
+ TAVOLA SINOTTICA BATTAGLIE
+ FOTO STIBBERT IN BIANCO E NERO CON CAVALLO E ARMATURA
CAVALIERI Guerrieri scintillanti
Sala 2
CAVALIERI Guerrieri scintillanti
Armi e armature accompagnano la storia dell'umanità fin dagli albori della civiltà. Sebbene
quindi si tratti di strumenti molto antichi, che vanno evolvendosi di pari passo con le innovazioni
tecniche e le conoscenze scientifiche, quando si parla di armi e armature l'immaginario collettivo
corre alla figura del ‘cavaliere medioevale’ nella sua armatura d'acciaio scintillante. In realtà
questa concezione non è molto precisa, infatti le armature in piastra d'acciaio, che caratterizzano
il guerriero occidentale, si trovano nella loro forma definitiva soltanto dal Quattrocento,
pertanto è più corretto parlare di “cavaliere rinascimentale”.
Sala 2
All'inizio del Quattrocento assistiamo al sorgere della differenziazione stilistica fra le grandi aree di
produzione delle armature. La più precoce e importante fu quella centrata in Italia, nell'area
lombarda, e in particolare nelle città di Brescia e Milano, l'altra fu nella Germania meridionale, in
particolare nelle città di Augusta e Norimberga, che sotto l'influsso dell'estetica tardo-gotica
produssero armature eleganti dalle superfici ondulate e i bordi appuntiti. In questa sala possiamo
ammirare a confronto due corsaletti provenienti da Brescia (guardia medicea e guardia papalina) e
uno da Norimberga. Il corsaletto della guardia medicea, con le incisioni a trofei e parti d'armatura,
rappresenta la produzione bresciana standard del pieno Cinquecento, mentre quello della guardia
papale, con le superfici patinate e le decorazioni dorate, esemplifica la produzione più tarda.
Corsaletti anneriti, decorati da bande e figure geometriche, sono tipici invece della produzione di
Norimberga.
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Sala 3
Fino all'inizio del Cinquecento la decorazione delle armature era molto limitata, bordi sagomati,
linee sbalzate, bordure d'ottone e poco altro erano ritenuti sufficienti a conferire all'insieme quel
senso di eleganza che era l'obbiettivo principale dei committenti. Nel Cinquecento si inizia ad usare
in modo massiccio l'incisione, in larga maggioranza usando la tecnica dell'acquaforte. Molto spesso
i disegni incisi venivano fatti risaltare mediante dorature e contrasto su fondo annerito. Fu così che
all'eleganza delle linee del secolo precedente, si preferì la spettacolarità coloristica delle nuove
tecniche che, secondo il gusto rinascimentale, riversò sulle superfici delle armature un
campionario sterminato di mascheroni, animali fantastici, grottesche, trionfi di armi, vegetali e
strumenti musicali. Sempre al Cinquecento risale l'uso della decorazione a sbalzo. Quest'ultima
rappresenta senz'altro la tecnica più caratteristica delle cosiddette ‘armature da parata’.
Sala 4
Fin dal Medioevo l'attività di addestramento militare passava anche attraverso giostre e tornei.
Inizialmente venivano impiegate armi e armature da guerra ma dal Trecento si iniziarono ad
adottare pezzi costruiti espressamente. Venne stabilito l'obbligo di usare pezze di rinforzo sempre
più efficaci e venne proibito l'uso della lancia da guerra, in favore di una a punta tripla che non
perforasse le protezioni dell'avversario. Nel Cinquecento vennero di moda le guarniture, cioè set
completi di armatura dotata di parti interscambiabili per adattarla ai vari giochi, così la protezione
completa, che si usava a cavallo, veniva alleggerita togliendo dei pezzi, per i giochi a piedi.
In questa sala, oltre a due esempi di armature da cavaliere e due di armature da giostra, viene
presentata una selezione dei ‘ferri del mestiere delle armi’. Spade, pugnali, mazze e
successivamente armi da fuoco, rappresentano gli strumenti necessari al guerriero per svolgere il
proprio compito.
Sala 4.2
Le armature accompagnano, con differenti evoluzioni, la storia della guerra fino all'introduzione di
quell'elemento destinato a cancellarle pressoché completamente dal campo di battaglia: l'arma da
fuoco. Il perfezionamento e il conseguimento di una maggior efficacia, conferirono alle nuove armi
un ruolo sempre più preponderante nella strategia militare. Per contrastarle le piastre delle
armature dovettero aumentare di spessore sempre di più, fino a raggiungere pesi proibitivi. In
questo periodo alcuni corazzai erano soliti testare le loro opere con un colpo di pistola per
dimostrare all'acquirente l'efficacia della protezione. Nonostante tutti gli sforzi però l'età
dell'armatura era destinata a finire, e dopo la seconda metà del Seicento nessuno degli eserciti
europei ne fece più uso.
MAMELUCCHI Guerrieri tra Oriente e Occidente
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Sala 5A
MAMELUCCHI Guerrieri tra Oriente e Occidente
La sezione dedicata agli armamenti medio-orientali mostra un mondo completamente
differente. Il concetto di difesa, basato su principi diversi dal mondo occidentale, prediligeva la
libertà di movimenti e la relativa leggerezza dei corredi. Il guerriero medio-orientale sviluppò,
tenendo conto delle situazioni climatiche e territoriali del suo habitat, le soluzioni ottimali per
combattere, ideando protezioni all’altezza delle esigenze operative, creandone di nuove, o
modificandone altre con grande spirito di adattamento. In queste aree geografiche la cotta di
maglia, di antica tradizione, era la soluzione migliore per una valida difesa, veloce da indossare e
sopportabile nonostante il clima caldo. Tale scelta era dettata anche dal carattere nomade,
tipico di molte popolazioni.
Sala 5A
L’armatura mamelucca o araba era caratterizzata da un giaco o cotta in maglia di ferro,
generalmente aperto sul davanti e a maniche corte, con anelli chiusi detti ‘a grano d’orzo’, poichè
caratterizzati da un piccolo rigonfiamento dovuto alla ribattitura, e da piastre di acciaio disposte a
proteggere il petto, la schiena ed i fianchi. In questo modo il guerriero in pochi attimi era in grado
di equipaggiarsi di tutto punto. Quella persiana o indo-persiana, oltre che dalla cotta era costituita
da quattro (o più) grandi piastre, per questo erano conosciute come “corazze a specchio”. Gli elmi
erano indossati direttamente sopra i turbanti (da qui la loro dizione distintiva migfer, cioè elmo a
turbante), ed erano realizzati generalmente da un’unica piastra d’acciaio; il nasale scorrevole
permetteva di proteggere le parti più esposte del volto, mentre il camaglio proteggeva il collo. La
qualità degli acciai usati per le armi e le armature era superba; molti degli acciai impiegati erano
policarburati, cioè a differente tenore di carbonio, conosciuti anche come acciai ‘damasceni’, che
rendevano i corredi persiani, o indo-persiani, di grandissima qualità.
Sala 5B
Le armature indo-persiane e turche erano accomunate dall’uso solo parziale di elementi omogenei
di acciaio, cioè piastre o lamelle, facendo affidamento principalmente sulla cotta di maglia come
base protettiva. Un aspetto distintivo delle armature di area musulmana era la qualità delle
decorazioni presenti. Grande enfasi veniva data alla decorazioni celebrative religiose a sottolineare
il forte e diretto legame tra l’uomo ed Allah. Venivano realizzate a foglia d’argento o d’oro,
secondo la tecnica conosciuta come koftgari o ‘falsa agemina’.
Una differenza strutturale tra le armature indo-persiane e quelle turche è la forma della corazza
(chahār-āyene per la prima e korazin per la seconda) e degli elmi (khola-khud per la prima e ciçak
per la seconda). Invece le armature della regione indiana del Sind si discostano totalmente dalle
due precedenti, avvicinandosi a quelle occidentali cioè al cavaliere europeo. In questo caso il volto
risulta totalmente protetto da una maschera antropomorfa sollevabile.
Sala 6
Le sciabole o scimitarre medio-orientali si possono raggruppare in tre tipologie, tutte esposte in
sala: kilij turca, shamshir persiana e talwar indiana. Tutte hanno la caratteristica curvatura della
lama e sono costituite dal tipico acciaio damasceno, cioè a vario tenore di carbonio. La curvatura
della lama era la migliore soluzione per l’uso da cavallo; la sciabola imponeva una scherma diversa
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da quella usata per le spade diritte. Le yataghan, invece, erano coltellacci o spade corte con lame
la cui curva era leggermente rientrante e contraria rispetto a quelle delle sciabole; erano
generalmente impiegate dai guerrieri appiedati di area ottomana o d’influenza ottomana.
Le armi da fuoco furono sempre un fiore all’occhiello degli eserciti ottomani che seppero
organizzare prima di altri reparti altamente addestrati: i Giannizzeri ad esempio ne erano
largamente equipaggiati. La qualità degli acciai impiegati, sia nelle armi bianche che in quelle da
fuoco, fu sempre ai massimi livelli ed in moltissimi casi assai superiore a quelli impiegati in ambito
occidentale.
SAMURAI Guerrieri dell’assoluto
SALA 7
SAMURAI Guerrieri dell’assoluto
Lo spirito guerriero del samurai attrae ancora oggi perché coinvolge aspetti ricorrenti, presenti
nell’uomo di sempre: il coraggio, la volontà, la giustizia e il senso del bello.
Nel Giappone del XII e XIII secolo le guerre venivano combattute seguendo consuetudini
accettate, come una sorta di rito; il combattimento si svolgeva di fronte ai due eserciti schierati,
all’insegna del coraggio e dell’abilità. I migliori samurai di entrambi gli schieramenti si sfidavano
a ‘singolar tenzone’. Quando uno dei due avversari stava per soccombere i gregari accorrevano
in suo aiuto, coinvolgendo gli altri nello scontro. Anche se questo tipo di combattimento
sopravvisse pochi decenni fu di tale valore da favorire l’idealizzazione della figura del samurai, i
cui princìpi sono codificati nel Bushidō, la Via del guerriero: Giustizia, Coraggio, Compassione,
Cortesia, Sincerità, Onore, Lealtà.
SALA 7
Gli emakimono sono rotoli orizzontali figurati e si leggono da destra a sinistra, secondo il modo
tradizionale di leggere i libri e osservare le opere d'arte tipico dell’ Asia Orientale.
Il rotolo Bamōdōizu è un’opera straordinaria e unica, qui eccezionalmente esposta per la prima
volta dopo il restauro eseguito presso l’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro di
Roma (ISCR). Realizzato probabilmente nel 1641, è frutto della maestria pittorica di Kanō Sansetsu,
esponente della scuola Kanō del ramo di Kyoto, la scuola-famiglia di pittura più prestigiosa e
potente del Giappone degli ultimi cinque secoli. Si sviluppa in circa 8 metri di lunghezza e ritrae 33
potenti cavalli da combattimento, caccia o esercizio, ritratti in tutta libertà senza finimenti, né
indicazioni di luogo. Destinata senza dubbio ad un membro dell’aristocrazia, poiché alle altre classi
sociali non era all’epoca concesso di montare a cavallo, l’opera contiene anche un’iscrizione del
celebre filosofo neo-confuciano Nawa Kassho (1595-1648), amico fraterno di Sansetsu.
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SALA 8
Il rotolo raffigura il nuovo quartiere Yoshiwara, inaugurato nel 1657 in una zona a nord di Edo
(Tokyo). Dopo l’incendio del 1656, che distrusse il vecchio quartiere all’interno della città, le
autorità decisero di spostare il quartiere di piacere (yūkaku) in una zona fuori dall’area abitata, più
controllabile dalle autorità e meno a contatto con la vita cittadina.
Shin Yoshiwara si sviluppava in lunghezza per circa 234 metri ed in larghezza per circa 324 metri. Il
rotolo, lungo circa 16 metri e suddiviso in 13 pannelli, ritrae il quartiere al completo: dall’accesso,
alla via principale Nakenochō, alle vie laterali. L’autore Furuyama Moromasa, rappresentante del
movimento culturale e artistico del ‘Mondo Fluttuante’, fondato da Ishikawa Moronobu
(1618‑1694), ha voluto descrivere con estrema cura ogni attività legata al quartiere. Si possono
così osservare i vari negozi, le botteghe artigiane, le attività lavorative, le case da tè, frammisti a
decine di personaggi d’ogni età e ceto sociale: samurai, vecchi, servi, venditori ambulanti,
cortigiane.
Sala 9
In questa sala sono esposte opere appartenenti alla sfera della tradizione giapponese che
gravitava attorno alla classe guerriera. Vi sono oggetti di uso quotidiano come il marusode, la
veste tradizionale, oggetti sacri di evocazione religiosa, come la statua lignea del Buddha Amida,
ed altri come l’arazzo, il vaso e le due statuine di guerrieri, che comunque hanno nel samurai la
figura di riferimento o d’ispirazione. Vi sono anche oggetti che facevano sicuramente parte del
corredo di un samurai, vale a dire le famose tsuba, le else delle spade giapponesi, e le katana.
Tutte sono espressione di grande talento artistico e di un gusto unico. Costituite da vari tipi di
metalli, lacche e materiali preziosi, le tsuba esposte sono state realizzate durante il periodo di Edo
(1603-1868), certamente per alti committenti della classe guerriera o di quella mercantile che in
quel momento rappresentava un punto di riferimento per la ricchezza dell’intero Paese.
Sala 10
In questa sala è esposta una selezione delle diverse tipologie d’armamento, offensivo e difensivo,
tipico dei samurai, dalla prima metà del Cinquecento alla prima metà dell’Ottocento. L’armamento
difensivo (armature ed elmi) è opera di maestri famosi come Myōchin Muneakira e Saotome
Ietada, membri delle due più note famiglie di armaioli; ugualmente le lame sono opera di alcuni
dei più famosi maestri spadai che il Giappone abbia mai avuto, come Osafune Sukesada e
Norikatsu Katsumura.
Emerge una delle caratteristiche salienti della tradizione giapponese: la duplice valenza degli
oggetti, raffinati e d’estrema eleganza nell’apparato decorativo, ma anche efficaci e pratici
nell’uso, perfetta espressione di potenza guerresca. Ne sono un esempio gli spettacolari elmi
kawari-kabuto, diffusisi alla fine del periodo Muromachi (1392-1568) e nel pieno di quello AzuchiMomoyama (1568-1603). Appaiono caratterizzati da una sovrastruttura decorativa dalle forme
fantasiose, realizzata in cartapesta, in lamina di legno, in cuoio o in ferro. Indossati anche in
battaglia, corrispondevano alla esigenza di visibilità dei samurai, sia nei confronti dei sottoposti
che degli avversari. E’ raro trovare una tale dicotomia tra estetica e funzionalità in altre culture,
ma proprio questa caratteristica affascinava e al tempo stesso intimoriva.
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Sala 10 su totem
Il nome samurai deriva dal verbo suburau, che significa ‘servire’, e chiarisce perfettamente il ruolo
del guerriero, fedele al suo signore fino alla morte.
L’armatura del samurai è sempre stata un mirabile esempio del connubio tra eleganza e
funzionalità ed ebbe uno sviluppo costante fin dalla metà del IX secolo, con i primi esemplari di ōyoroi (grande armatura), caratterizzata da pesanti lamelle, fino ad arrivare alle ultime evoluzioni
delle tosei-gusoku (insieme moderno), realizzate addirittura fino alla seconda metà dell’Ottocento.
All’inizio del Cinquecento l’ingresso nell’arcipelago giapponese delle armi da fuoco costrinse gli
armaioli ad abbandonare la tradizionale armatura a protezione lamellare e a sostituirla con più
compatte e resistenti piastre di acciaio. Il Sakoku, la chiusura totale del Giappone all’esterno,
attuata dal governo militare degli shōgun nel 1635, impedì lo scambio culturale e bloccò il
cambiamento anche degli armamenti difensivi, che rimasero quindi inalterati fino alla seconda
metà dell’Ottocento.
I samurai d’alto rango indossava un’armatura esclusiva, la ō-yoroi; mentre quelli di rango più basso
le più semplici dō-maru, le haramaki, oppure le hara-ate per sola la parte anteriore del busto.
I mutamenti delle tattiche di combattimento provocarono, alla fine del Trecento, una graduale
scomparsa del primo tipo di armatura, pesante e poco maneggevole per i combattimenti a piedi,
in favore delle altre molto più maneggevoli. I colori scelti per le armature erano distintivi della
famiglia guerriera d’appartenenza: alcune tra le più famose famiglie daimyō del Cinquecento gli
Hosokawa e i Sanada prediligevano il colore rosso; i Date, invece, preferivano il nero. Sulle
armature dei samurai di rango spiccavano gli stemmi della famiglia, i mon, disposti in zone ben
visibili del corredo, e tutti, ad eccezione dei ranghi più alti, recavano sulla schiena una piccola
bandiera, il sashimono, con il simbolo della famiglia, ben visibile in battaglia.
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