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tarkaan - Dreamfarm
IL POPOLO DI
TARKAAN
Pierdomenico Baccalario
IL POPOLO DI
TARKAAN
Progetto e realizzazione editoriale: Dreamfarm s.r.l.
I Edizione 2009
© 2009 - EDIZIONI PIEMME Spa
20145 Milano - Via Tiziano, 32
www.edizpiemme.it - [email protected]
È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro, così come
l’inserimento in circuiti informatici, la trasmissione sotto qualsiasi forma e con
qualunque mezzo elettronico, meccanico, attraverso fotocopie, registrazione o altri
metodi, senza il permesso scritto dei titolari del copyright.
Stampa: Mondadori Printing S.p.A. - Stabilimento NSM - Cles (Trento)
I personaggI
La cLasse scomparsa
Mariano, detto Udinì, vestito da Harry Potter (per un errore
della mamma, lui voleva un vestito da mago)
Paolo, il ragazzino con i capelli a caschetto, vestito da cowboy
C, lo spilungone suo migliore amico, vestito da indiano
Mafalda, vestita da principessa
Massimo, il ripetente, vestito da arabo
Raffaella, la bella della classe, vestita da Lara Croft
Il perfido Giacomo, vestito da Indiana Jones
E poi:
I tre calciatori con la maglia della Nazionale
Le quattro moschettiere, vestite da moschettieri del re
Il bambino con il casco giallo, vestito da motociclista
Il bambino con il casco rosso, vestito da pilota di Formula
Uno
Il bambino vestito da Batman
La bambina vestita da Uomo Ragno
Le due bambine che piangono sempre, vestite da ballerine
Il bambino vestito da Jack Sparrow
La bambina vestita anche lei da Jack Sparrow
Tutti gli altri, vestiti da ciurma di Jack Sparrow
gLI eroI deL paese
Marchino, detto il Maestro, l’idraulico che ha letto più di
settemila libri
Stefano, il proprietario del bar Lume
Il Cinz, il figlio del proprietario degli impianti di risalita
Sergio, il parroco
Leila Lolli e la signora Lolli, due appassionate frequentatrici
del fantastico
Daniela, la capo scout
gLI InvasorI deLLe montagne
Urtgarten e Lut, due guerrieri Colossi che volevano andare
a caccia di piovre delle nevi
Machan, il capo dei Clan dei guerrieri
Cuore che Canta, lo sciamano veggente che vuole conquistare il mondo
Ispuspes l’Astuto, lo sfortunato ladro inviato fra le montagne
La responsabILe
Apollonia J. Brennan, nata a Roma da famiglia irlandese,
la più acclamata scrittrice fantasy del momento, autrice dei
cinque bestseller della Saga della Stella Cadente (1. L’artiglio di
fiamma; 2. Brazinger; 3. La signora dei coltelli; 4. Il ladro del reame
perduto; 5. L’ombra del vulcano). Sta scrivendo il sesto e ultimo,
attesissimo, titolo
Antonello, detto Ape, il ragazzo che non voleva leggere
Michele, detto Mix, suo fratello meccanico
Rebecca, detta Range, la guida forestale
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5
…Mia via,
non avvi; e mille son que’ monti, e tutti
erti, nudi, tremendi, inabitati,
se non da spirti, ed uom mortal giammai
non li varcò.
Alessandro Manzoni, Adelchi
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La torre
Questa storia è per i nonni,
e per la nostra casa in montagna:
grazie per avermi permesso
di invaderla di esseri fantastici
L’unica cosa di cui Antonello era sicuro era che non sarebbe
mai andato alla festa di carnevale degli scout.
Non che avesse qualcosa contro il carnevale (anche se
detestava le maschere), o contro gli scout (anche se detestava i
pantaloni corti). Il problema era l’evento speciale attorno a cui
ruotava la festa: l’incontro con una famosissima scrittrice.
Non ne aveva voglia. Nessuna voglia. Perché trascorrere
tutto il pomeriggio ad ascoltare una barbosissima scrittrice
che raccontava del suo libro? Lui non lo aveva letto, quel
libro. Non aveva nessuna intenzione di leggerlo. E non si
ricordava nemmeno come si chiamava la scrittrice.
Se ne stava immobile, accanto alla torre saracena, a guardare
il gatto spelacchiato che come lui amava stare fermo in quel
posto. Da lì, poi, si dominava tutta la vallata.
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capItoLo 1
La torre
Era un gelido pomeriggio di febbraio, di quelli che
promettono neve. Lontano, molto sotto la torre, file di
camion diretti alla frontiera percorrevano l’autostrada e
riempivano l’aria di un sordo brontolio. Un groviglio di
ponti e di curve d’asfalto si perdeva dentro il traforo che
passava sotto le montagne. Macchine, moto e giganteschi
camion passavano da una parte all’altra, e non si fermavano mai.
Antonello li guardò con sufficienza, poi risalì con lo
sguardo dalla parte opposta all’autostrada, dove la vallata
si stringeva in un canalone di pietra, la roccia veniva
punteggiata dalle abetaie e i contrafforti delle montagne
si innalzavano in ripidi pendii coperti di neve.
«Altro che incontro con la scrittrice» pensò.
C’erano molte altre cose da fare. Per esempio restare lì
tutto il pomeriggio in compagnia del gatto, dove a nessuno
sarebbe mai venuto in mente di cercarlo. Oppure arrampicarsi su quei contrafforti. Andare in esplorazione!
Ecco: quest’idea era ancora migliore. A restare alla torre,
alla lunga, si sarebbe annoiato: quel gatto non sembrava
poi molto vispo, anche se era comunque più interessante
dell’incontro con la scrittrice.
Antonello aveva lo zaino pieno di inutili libri di scuola,
molti dei quali barbaramente sottolineati da suo fratello.
Al solo pensiero di cantare sotto un tendone di plastica
nel cortile dietro la scuola, si sentì mancare.
Si accovacciò sui talloni e appoggiò la schiena alla parete
della torre medievale, come per ricevere qualche consiglio
da quelle antiche pietre, e continuò a pensare, rapidamente,
alla soluzione migliore per non presentarsi.
A pochi passi da lui, il gatto russava pacificamente.
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Controllò il suo orologio da sopravvivenza, con altimetro
e barometro incorporati, nonché filtro per purificare l’acqua,
ago e filo per suturare le ferite, amo da pesca, lenza di nylon
da cinque metri, minitorcia, bussola, calendario perpetuo
e fuso orario di New York, Parigi e Shanghai.
Le tre meno cinque.
Sotto la torre partiva un ripido sentiero che scendeva
fino al vecchio mulino. Mettendosi in marcia all’istante,
sarebbe potuto arrivare al tendone in tempo per sentire
gli applausi di accoglienza a quella famosa scrittrice di cui
non ricordava nemmeno il nome.
Paola qualcosa. Paola o Appuleia qualcos’altro.
– No! – borbottò, facendo sobbalzare il gatto. – Appuleia
proprio no.
Vide passare in lontananza una corriera azzurra. Durante
la mattinata tre corriere identiche a quella erano partite
dalla piazza principale del paese e si erano dirette verso il
mare.Tutte per la stessa grande festa: i bambini festeggiavano
il carnevale con la scrittrice, mentre gli adulti andavano
in gita in riviera.
Ogni cosa era stata organizzata dal comune per celebrare
i cento anni dalla nascita di un cittadino famoso. O forse
capItoLo 1
i cento anni dalla morte. In ogni caso, i cento anni di
qualcosa.
Niente da fare: Antonello non se lo ricordava. A scuola
l’avevano detto, ma lui stava pensando a quando sarebbe
suonata la campanella.
La cosa bella era che quasi tutte le famiglie del paese
erano partite per la Gita Sociale lasciando le case del borgo
in balia dei vecchietti, dei bambini e degli scout.
Erano partiti anche i suoi genitori.
Avevano indossato il cappellino d’obbligo per tutti i
partecipanti, quello con la scritta AGENZIA VIAGGI MIRAMONTI - Piazza Aldo Garambois, 11 - Oulx (To), Italia,
e si erano alzati alle quattro del mattino per finire le valigie.
Poi le avevano trascinate fino alla corriera ed erano partiti.
Appoggiato alla torre, Antonello ridacchiò.
– Io non ci vado – decise.
E il campanile della chiesa di San Rocco rintoccò le tre.
Salutò il gatto e imboccò il sentiero che conduceva al
vecchio mulino. Scese veloce per il bosco, puntellandosi con
i talloni per non scivolare sul terreno ghiacciato, e si ritrovò
a ripercorrere le stesse impronte che aveva lasciato nei giorni
precedenti. Balzellò sulla neve e, una volta al mulino, invece
di puntare verso la piazza, scelse un secondo sentiero che
serpeggiava lungo il torrente ghiacciato fino al cimitero.
Vide svettare un’ultima volta la torre saracena in mezzo
agli alberi.
E si chiese chi mai fossero stati questi saraceni.
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2
I guerrIerI
La neve cadeva fitta e pesante sulle colline a nord dell’Impero.
Le vette più alte delle montagne di Tarkaan scomparivano
nel nulla, inghiottite dalle nuvole grigie. I guerrieri che le
abitavano da tempi immemorabili le chiamavano Montagne
del Dio del Fuoco, per il colore che assumevano all’alba e al
tramonto: un rosso fuoco, simile a quello della lava, che ad
altri viaggiatori ricordava invece il colore del sangue. E che
quindi le chiamavano, con timore, Lame Insanguinate.
In quei mesi, ogni roccia e ogni spuntone affilato erano
ricoperti da una spessa coltre bianca. Ogni roccia tranne
la capitale del regno dei Colossi, la Città Nascosta, che
in molti avevano cercato e in pochi avevano trovato. La
Città Nascosta era una rocca grigia e bianca, più simile
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capItoLo 2
I guerrIerI
a un pinnacolo montano che a una autentica città, ma
il suo cuore era caldo e temperato, e le case riscaldate e
con l’acqua corrente. Le nevi erano tenute fuori da un
antico incantesimo, che impediva al vento di soffiare tra
le sue strade e alle tempeste di oltrepassare il piccolo solco
protettivo tracciato tutt’intorno alla città.
All’arrivo di ogni inverno, i Colossi cessavano di combattere con chiunque avesse il coraggio di combattere, si
rintanavano nella Città Nascosta con le loro mogli e trascorrevano serenamente il tempo delle nevi, impegnandosi
in attività riposanti: cacciare, dormire, bere generosamente,
lucidare le spade e le corazze, confrontarsi le nuove cicatrici
e raccontare come se le erano procurate. Era sempre stato
così, dai tempi dei tempi.
Ma ora i tempi erano cambiati: c’era un cupo silenzio, per
le vie della Città Nascosta. E pochi guerrieri che avessero
voglia di raccontare le loro imprese. Con il passare degli
anni, infatti, gli invincibili guerrieri delle montagne avevano
scoperto di essere condannati a una lenta scomparsa. Le
loro donne si erano inaridite e nella Città Nascosta erano
nati sempre meno bambini. Sempre meno.
E, alla fine, nessun bambino.
Quel giorno in particolare, Machan, il capo dei Clan dei
guerrieri, aveva indetto una speciale assemblea per dibattere la
questione. Nella Casa della Guerra si erano ritrovati i dodici
più forti guerrieri dei Clan, sedendo in una sala circolare a
cui si poteva accedere solo dopo essersi purificati con una
lunga sauna di vapori e dopo aver indossato, sulla pelle nuda,
le sacre armature dell’Ordine del Vulcano.
– È come se fossimo già morti! – esordì Machan, alzandosi in piedi e mulinando entrambi i pugni sul tavolo
di legno scuro. Le placche metalliche della sua divisa da
cerimonia vibrarono.
Gli altri dodici nella stanza si zittirono.
Erano seduti a un grande tavolo di legno spaccato da un
fulmine, su massicci seggi di pelle di bufalo delle pianure,
inspiegabilmente pitturate di viola.
Il resto della stanza era spoglio e privo di orpelli, fatta
eccezione per alcuni trofei appesi alla parete: dodici teste di
Putch giocolieri, il cui spettacolo non aveva evidentemente
incantato uno dei vecchi capi del Clan, e un’enorme zampa
di Yalatu con artigli lunghi e affilati come un aratro. Dopo
il lungo silenzio che seguì l’esclamazione di Machan,
uno dei dodici guerrieri sollevò una mano e domandò il
motivo di tanta furia.
– Perché gli anni avanzano e nessuno ci sostituisce! –
ringhiò il capo dei Clan.
– Parla per te, Machan! – replicò allora uno dei guerrieri
più giovani, uno di quelli che era da poco tornato alla
città. – Io mi sento ancora giovane e forte! E ho una gran
voglia di affettare Flix!
Qualcuno ridacchiò, ma il capo della congrega non si placò.
– A quale scopo? Senza bambini la nostra fine è segnata!
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capItoLo 2
I guerrIerI
– È la maledizione di Moltrhon! – urlò allora un guerriero grande e grosso alzando il braccio in aria come per
attirare un fulmine di punizione.
Era noto a tutti, anche ai meno avvezzi al culto degli dei,
che Moltrhon era l’imprevedibile Signore della Sfortuna,
che si divertiva a lanciare a casaccio i suoi lampi punitivi.
Poiché il vecchio guerriero non venne incenerito,
Machan lo fissò dritto negli occhi. – Usa il tuo braccio per
combattere, Fraskius! Non attirare su di noi altre sofferenze.
E cosa importa di chi è la colpa? Solo le femmine vogliono
sempre sapere perché arrivano i problemi. Noi i problemi
li annientiamo.
Fraskius rimase immobile, incapace di abbassare il
braccio.
– Annientare il problema – ripeté qualcuno.
– Sì – borbottò un altro. – È giusto.
– Non importa di chi è la colpa!
– Femminuccia! – bisbigliò qualcuno a Fraskius, rischiando di dare il via a una rissa.
– Annientiamoli!
– Distruggiamo i problemi!
– E come?
– Già, come?
– Ascoltatemi! – tuonò Machan. – Se i Colossi delle
montagne di Tarkaan non hanno più cuccioli dalle loro
mogli, allora significa che i Colossi delle montagne di
Tarkaan si procureranno dei cuccioli in un altro modo. Ci
ritroveremo in questa sala domani, alla stessa ora. E ognuno
di voi presenterà la propria soluzione.
Dopodiché si slacciò l’armatura e se ne andò. Dodici
guerrieri rimasero sbigottiti a fissare il vuoto. Poi cominciarono a poco a poco a discutere sul da farsi. Non sembrava
un’impresa facile, e c’era un solo giorno di tempo. Certe
cose si dovevano affrontare con più calma, obiettò qualcuno.
Era un problema non da poco trovare dei bambini con quel
freddo alle porte. Un paio di guerrieri annunciarono di
avere già un’idea, ma non dissero altro per paura che venisse
loro rubata. E i rimanenti si limitarono a minacciare grugni
spaccati a destra e a manca, in puro stile colossico.
A un tratto il più minuto e agile dei guerrieri, seduto
in un angolo in disparte, disse: – Io me ne vado a caccia.
Mi aiuterà a pensare.
– Buona idea, Lut! – si aggregò il suo vicino di tavolo,
il feroce Urtgarten, sempre pronto a stanare qualche animaletto. Sollevò dal seggio viola il suo corpo massiccio e
tarchiato e, con l’entusiasmo di un bambino davanti a un
nuovo giocattolo, corse a raccogliere le sue armi.
– Ci si vede, ragazzi – salutò Lut, seguendo il compagno
fuori dalla Casa della Guerra. – Io e Urt andiamo a caccia
di piovre.
I Colossi rimasti intorno al tavolo si guardarono soddisfatti: anche se non avessero trovato alcuna soluzione
valida entro il giorno successivo, quantomeno avrebbero
gustato un’ottima zuppa di piovra delle nevi.
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