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Buca in autostrada: se la velocità è eccessiva, niente risarcimento

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Buca in autostrada: se la velocità è eccessiva, niente risarcimento
Giurisprudenza
Buca in autostrada: se la velocità
è eccessiva, niente risarcimento
L’automobilista supera il limite di velocità? Allora
non ha diritto al risarcimento danni causati alla sua
vettura da una grossa buca. In più, l’ANAS era stata
avvertita della presenza del pericolo solo poche ora
prima. La velocità eccessiva rispetto allo stato dei luoghi
realizza una condotta imprudente: niente risarcimento
per l’automobilista che si ritrova l’auto danneggiata
dopo essere finito in una grossa buca. Lo ha deciso
la Corte di Cassazione, con la sentenza 10220/12.
Il caso
L’Autostrada Salerno – Reggio Calabria è famosa per
i lavori in corso e per le lunghe code che si creano. Un
automobilista, su quel tratto di autostrada, si è ritrovato
il veicolo danneggiato a seguito di un incidente stradale
provocato proprio da una grossa buca presente sul manto
stradale. È la società ANAS che viene chiamata in giudizio
per il risarcimento danni a favore dell’automobilista.
Risarcimento che non viene riconosciuto in nessuno
dei due gradi di giudizio. Infatti, i giudici di merito
hanno affermato che l’incidente debba essere ascritto
alla responsabilità esclusiva dell’automobilista, «che
procedeva a velocità eccessiva rispetto allo stato dei
luoghi (70 Km/h, essendovi il limite di 40 Km orari)».
Buca non percepibile? Nel ricorso per cassazione
proposto dal danneggiato, viene dedotto che la Corte
territoriale avrebbe trascurato la circostanza che il cartello
con il limite di velocità è stato apposto dopo l’incidente,
che non è stata elevata nessuna contravvenzione nei suoi
confronti e che lo stato della strada non era percepibile
dagli utenti.
Velocità troppo elevata. La Suprema Corte, ritenendo
il ricorso inammissibile, sottolinea la correttezza
della decisione dei giudici di merito. Infatti, il sinistro
stradale – precisa la Cassazione – è da ascrivere alla
«condotta imprudente ed alla velocità eccessiva tenuta
dall’automobilista; velocità che deve essere in ogni caso
adeguata allo stato dei luoghi, anche a prescindere dalle
specifiche indicazioni stradali».
da lastampa.it
Revisione della patente per chi
soffre di apnee notturne
Una recente sentenza,
destinata a fare testo, mira
ad arginare il fenomeno
dei colpi di sonno durante
la guida, in particolare in
presenza di determinate
patologie. Il Tar del Lazio
(Sez. III del 5 settembre
scorso), infatti, ha respinto
il ricorso di un automobilista
a cura di Franco Corvino
sorpreso dalla Polizia Stradale in autostrada mentre
dormiva nell’auto, in sosta nella corsia di emergenza,
con notevoli rischi per la sicurezza stradale. Agli agenti
aveva giustificato il suo comportamento dichiarando di
soffrire di apnee notturne. Proprio per questo motivo era
stato obbligato alla revisione della patente e sottoporsi
a una visita medica.
Sentenza storica. La prospettiva di questa sentenza è
davvero storica, innovativa e rivoluzionaria, ha dichiarato
il prof. Francesco Peverini, direttore scientifico della
Fondazione per la Ricerca e la Cura dei Disturbi del
Sonno Onlus, ricordando che il nostro ordinamento non
contempera alcuna specifica azione per prevenire e
accertare, come invece avviene per l’alcool e le droghe,
le altrettanto pericolose conseguenze dei colpi di sonno
al volante, anche di giorno, per chi è affetto da Osas
(sigla con la quale si identifica la Sindrome delle apnee
ostruttive in sonno, ndr). In base a questo pronunciamento
del Tar d’ora in poi l’autorità avrà il diritto di disporre la
revisione della patente e, in particolare, la verifica della
sussistenza del requisiti psichici e fisici di chi guida e soffre
di apnee notturne, la subdola sindrome alla base anche
dei colpi di sonno al volante. Ne soffrono due milioni di
italiani. La Sindrome delle apnee notturne è un frequente
disturbo respiratorio caratterizzato dalla presenza durante
il sonno di ripetute ostruzioni temporanee del flusso
d’aria (apnee) in grado di determinare sonnolenza diurna
e disfunzione cardiopolmonare. È una condizione di
cui soffrono almeno 2 milioni di italiani, il 95% dei quali
non sa neppure di esserne affetto. Morire di sonno - ha
sottolineato il prof. Peverini - non è solo un modo di dire
quando gli occhi non ce la fanno più a stare aperti e si
è al volante. Mentre alcool e droghe si accertano con
le analisi del sangue e con test specifici, la sonnolenza
da apnee non può essere verificata su strada. Numeri
allarmanti. Secondo i dati dell’Aci e del Centro nazionale
di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute
dell’Istituto Superiore di sanità, nel 2010 i morti sulle
strade italiane sono stati 4.237 mentre i feriti ben 307.248;
inoltre, più della metà dei decessi è avvenuta fuori dai
centri urbani. Almeno il 22% degli incidenti è legato a
sonnolenza e colpi di sonno e il 12% di questi ha avuto
esiti mortali. In definitiva, dall’analisi dei dati si può
affermare che almeno un incidente stradale su cinque è
stato causato da un colpo di sonno. L’indice di mortalità
aumenta considerevolmente di notte, in particolare dalle
20 alle 7 del mattino, raggiungendo il valore massimo
intorno alle 4 (5,7 decessi ogni 100 incidenti).
di Roberto Barone
da quattroruote.it
Mandare agenti “a quel paese”
per la Cassazione non è reato
GIUSTIZIA. Sentenza della Suprema Corte per una
vicenda che risale al 2005. Scaturita da un banale
controllo: «Invece di fermare me andate a rompere i c...
a chi spaccia in stazione», disse al carabiniere. Ma per i
giudici la frase «non raggiunge i tratti dell’offesa»
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Giurisprudenza
Invece di fermare me andate a rompere i c.... a quelli
che spacciano in stazione non integra il reato di ingiuria.
Anche se detto a un carabiniere. Due giorni fa la Corte
di Cassazione ha stabilito che «cafone» non è un’offesa,
ma solo se viene utilizzato in mezzo al traffico per
mandare «a quel paese» un automobilista che blocca
la strada, ieri invece ha stabilito non è reato la reazione
«indubbiamente vivace di un automobilista» che dopo un
primo scatto d’ira pronunciò quella la frase. Era l’aprile
del 2005, il signor R. era in auto e telefonava, una volta
fermato il militare gli chiese i documenti contestandogli
l’infrazione. L’automobilista chiese se fosse possibile
limitare i danni, che quella telefonata era importante
per il suo lavoro e la risposta negativa lo fece alterare.
Nel frattempo l’altro brigadiere aveva controllato l’auto
e la dotazione di bordo, aveva notato che il tagliando
dell’assicurazione era scaduto da una settimana e lo
disse al collega. Che contestò anche questa violazione.
Quando fu il momento di firmare il verbale il signor R.
chiese che venisse verbalizzato: Mi avete trattato come
un delinquente non capisco questo accanimento. E a
quel punto il primo carabiniere chiese di ispezionare per
la seconda volta la dotazione di bordo. L’automobilista
perse le staffe, disse che sarebbe andato al comando per
protestare e una volta ricevuto dai superiori si lamentò
anche con loro (in cinque ascoltarono le sue rimostranze).
In quell’occasione disse che il carabiniere scelto che lo
aveva multato si era accanito contro di lui» e lo definì
«un invasato con la divisa, uno scorretto, un arrogante
maleducato. La denuncia per ingiuria la prese per la prima
esternazione, quella per diffamazione per la seconda. In
primo grado il giudice di Pace lo condannò per entrambi
i reati a 800 euro di multa oltre che al pagamento dei
danni (1000 euro) e delle spese. Difeso dall’avvocato
Simone Franceschini appellò la sentenza e in secondo
grado il giudice di Brescia lo assolse con formula piena
sottolineando che il signor R., parlando con i superiori
del carabiniere, aveva lamentato di essere stato trattato
in modo inadeguato ma alla luce di quanto riferito dal
collega in pattuglia deve escludersi che, alla luce del
contesto, le frasi (cioè «andate a rompere i c.... a quelli che
spacciano in stazione) valgano ad integrare l’elemento
oggettivo del reato di ingiuria». Frase che «appare
espressiva di un disappunto correlato al rigore serbato
nell’applicazione della legge. Ma per quanto formulata
in termini volgari e inurbani, risulta priva di valenza lesiva
dell’onore del pubblici ufficiali». La Procura generale
impugnò, lo fece anche la parte civile e il signor R.
(assistito in questo grado anche dall’avvocato Massimo
Leva) si spostò a Roma. E la Corte ha dato ragione
al signor R. Volgare la frase «non rompetemi i c... ma
per la Corte non raggiunge i tratti dell’offesa. Si pone
l’attenzione, prosegue, «sulla condotta contrassegnata
dallo zelo del carabiniere interpretato come atteggiamento
puntigliosamente vessatorio. L’indagine (legittima) sul
contrassegno assicurativo dimostra tuttavia l’estensione
dell’interesse repressivo del pubblico ufficiale. Un profilo
di severità indubbia. Il signor R. chiese di parlare con
i superiori preannunciando che avrebbe espresso le
sue rimostranze a riguardo della condotta considerata
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a cura di Franco Corvino
quantomeno impropria. E per la Corte è diritto di critica.
Circa il superamento del principio di continenza: la
doglianza era greve ma finalizzata a ricreare il quadro
dell’offesa patita per il comportamento solerte e zelante
del carabiniere. Confermata la sentenza di secondo
grado: assolto perchè il fatto non costituisce reato.
di Fabiana Marcolini
da larena.it
Scoppia la gomma, no al
risarcimento se è l’unica causa
dell’incidente
Se lo scoppio del pneumatico non è l’unica causa
del sinistro stradale, ma
il conducente con la sua
condotta ha concorso nella
causazione dell’evento,
non può parlarsi di caso
fortuito. Con la sentenza
14959/12, la Cassazione
ha ribadito tale consolidato
principio.
Il caso
Scoppia una gomma e l’auto finisce fuori strada. A
rimetterci la vita è uno dei trasportati, il figlio minorenne
di una donna, anch’essa trasportata, e rimasta ferita
nell’incidente. La donna chiede un risarcimento danni
al conducente dell’auto e alla compagnia assicurativa. Il
risarcimento, però, arriva solo dopo il giudizio di appello,
e non è nemmeno così scontato che la donna riceva i
quasi 150mila euro che la Corte d’appello ha stabilito
come risarcimento. Infatti, la compagnia assicurativa
ricorre per cassazione Non si può rispondere per colpa
extracontrattuale di un fatto non preveduto e non
prevedibile. La S.C. non ha dubbi nell’affermare che, in
tema di risarcimento danni derivanti dalla circolazione
stradale, lo scoppio di un pneumatico può costituire anche
causa unica ed incolpevole dell’incidente ascrivibile al cd.
caso fortuito. Che vuol dire? Che se questo rappresenta
l’unica causa che abbia determinato l’evento dannoso, fa
venir meno la presunzione di colpa stabilita dall’art. 2054
c.c.. E se esistono altre cause ascrivibili al conducente
del veicolo? Nel caso di specie, in effetti, sottolinea la
Cassazione, non si può trascurare che il conducente
aveva comunque perso il controllo dell’autovettura, così
uscendo dalla sede stradale e cagionando il sinistro.
Pertanto, non potendosi considerare lo scoppio della
gomma unica e imprevedibile causa del sinistro stradale,
la Corte di legittimità ritiene infondato il ricorso della
compagnia assicurativa e lo rigetta.
da lastampa.it
Giurisprudenza
a cura di Franco Corvino
Massimario di Legittimità e di Merito
Limiti alla circolazione - Veicolo munito di contrassegno
invalidi - Utilizzo indebito da parte di persona non
titolare del contrassegno - Reati di sostituzione di
persona e di truffa – Configurabilità - Esclusione.
Non integra il delitto di sostituzione di persona, né quello
di truffa ai danni dell’ente territoriale che esercita la
vigilanza della viabilità, la condotta di colui che al fine di
accedere all’interno di una zona a traffico limitato, esponga
sul parabrezza dell’auto un contrassegno per invalidi,
rilasciato ad altra persona che non si trova a bordo del
veicolo. (Cass. Pen., Sez. II, 29 febbraio 2012, n. 7966)
[RIV1205P417] Art. 188
Limiti alla circolazione - Zone a traffico limitato - Veicolo
munito di contrassegno invalidi - Utilizzo indebito
parte di persona non titolare del contrassegno - Reati
sostituzione di persona e di truffa - Configurabilità Esclusione - Illecito amministrativo ex art. 188, comma
4, c.s. - Sussistenza.
Non dà luogo alla configurabilità dei reati, neppure tentati,
di sostituzione di persona e di truffa, ma soltanto all’illecito
amministrativo di cui all’art. 188, comma 4, cod. strad.
il solo fatto che taluno, al fine di accedere all’interno di
zone a traffico limitato (ancorché presidiate da “telepass”)
o percorrere corsie preferenziali, esponga sul parabrezza
dell’autovettura da lui condotta un contrassegno per
invalidi rilasciato ad altra persona che non si trova a bordo
del veicolo, quando a tale condotta non si accompagni,
in caso di controlli, quella di spacciarsi per il soggetto a
nome del quale il detto contrassegno sia stato rilasciato
e neppure risulti che l’agente abbia utilizzato parcheggi
a pagamento fruendo indebitamente della esenzione dal
“ticket”. (Cass. Pen., Sez. II, 2 febbraio 2012, n. 4490)
[RIV1205P417] Art. 188
Limiti alla circolazione - Veicolo munito di contrassegno
invalidi - Utilizzo indebito da parte di persona non
titolare del contrassegno - Reati di sostituzione di
persona e di truffa - Configurabilità - Esclusione.
Non integra né il delitto di sostituzione di persona, né
quello di truffa ai danni dell’ente territoriale che esercita
la vigilanza della viabilità la condotta di colui che esponga
sul parabrezza dell’auto un contrassegno per invalidi,
rilasciato ad altra persona che non si trovi a bordo del
veicolo. (Cass. Pen., Sez. II, 6 dicembre 2011, n. 45328)
[RIV1205P417] Art. 188
Velocità - Limiti fissi - Superamento - Centro abitato Assenza di specifico segnale di “fine centro abitato”
- Interpretazione come equivalente al suddetto segnale
un cartello recante la dicitura “Arrivederci a” - Errore
scusabile - Esclusione.
In tema di colpa specifica costituita dall’inosservanza
del limite di velocità stabilito per i centri abitati, non
può ritenersi scusabile, in base alla declaratoria di
parziale incostituzionalità dell’art. 5 c.p. pronunciata
dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 364/1988,
la condotta di chi, in assenza dello specifico segnale
di “fine centro abitato”, quale previsto dall’art. 131,
comma 6, del Regolamento di esecuzione ed attuazione
del c.s. emanato con d.p.r. 16 dicembre 1992 n. 495,
superi il limite in questione avendo interpretato come
equivalente al suddetto segnale un cartello recante la
dicitura “Arrivederci a” seguita dall’indicazione della
località attraversata. (Cass. Pen., Sez. IV, 16 febbraio
2012, n. 6405) [RIV1205P427] Artt. 141, 142, 143 cs
Sosta, fermata o parcheggio - Sosta - Titolari di
contrassegno invalidi - Sosta sulle isole di traffico
- Divieto.
Ai titolari del cd. Contrassegno invalidi è consentito sostare
nelle apposite strutture loro riservate e debitamente
segnalate, al di fuori delle quali anche essi sono tenuti a
rispettare i divieti prescritti per la generalità dei conducenti
salvo che non sia per loro espressamente consentito,
giusta apposito segnale. (Nella fattispecie un veicolo
addetto al trasporto di soggetto disabile aveva sostato
di “isola di traffico” realizzata mediante segnaletica
orizzontale, zona interdetta in via assoluta alla sosta e
alla fermata). (Cass. Civ., Sez. VI, ord.11 gennaio 2012,
n. 168) [RIV1205P429] Artt. 146, 188 cs
Strade - Cartelli pubblicitari - Apposizione di cartelli
pubblicitari in vista dell’autostrada – Art. 23 cs. - Illecito
a “consumazione prolungata” - Sanzionabilità in base
alla legge vigente al momento dell’accertamento -I
Sussistenza - Conseguenze - Applicazione del più
sfavorevole trattamento sopravvenuto al tempo di
commissione dell’illecito.
In tema di sanzioni amministrative, nei confronti del
proprietario del suolo che consenta a pubblicità in vista
dell’autostrada, in violazione dell’art. 28 comma 7, del
codice della strada, è applicabile, quale normativa vigente
al momento dell’accertamento, perché in tale momento
è comunque in atto la violazione, il sopravvenuto e più
sfavorevole trattamento sanzionatorio introdotto dall’art.
1 del d.l. 27 giugno 2003, n.151 (convertito in legge 10
agosto 2003, n 214), tenuto conto che la violazione
contestata costituisce un’ipotesi di illecito amministrativo
a “consumazione prolungata”, che si connota per la
protrazione nel tempo della situazione antigiuridica in
conseguenza di una corrispondente condotta continuativa
del trasgressore, dalla cui volontà dipende la cessazione o
il mantenimento della stato di illiceità. (Cass. Civ., Sez. II,
28 dicembre 2011, n. 29355) [RIV1205P430] Art. 23 c.s.
Obblighi di comportamento verso la polizia Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità - Esercizio
abusivo dell’attività di parcheggiatore - Reato Esclusione - Illecito amministrativo - Sussistenza.
L’esercizio abusivo dell’attività di parcheggiatore integra
l’illecito amministrativo previsto dall’art. 7, comma
quindicesimo-bis, c.d.s., e non il reato di inosservanza
dei provvedimenti dell’autorità previsto dall’art. 650 c.p.,
stante l’operatività del principio di specialità di cui all’art.
9 della L. n. 6 del 1981. (Cass. Pen., Sez. I, 22 dicembre
2011, n. 47886) [RIV1205P431] Artt. 7 c.s., 650 c.p.
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