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Ammortizzatori sociali e tutela giurisdizionale

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Ammortizzatori sociali e tutela giurisdizionale
AMMORTIZZATORI SOCIALI E TUTELA GIURISDIZIONALE
di Domenico GAROFALO
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Ammortizzatori sociali e rapporto di lavoro. – a. Il mutamento dei criteri di
scelta. – b. I limiti interni ed esterni nella scelta dei lavoratori in esubero. – c. La comunicazione preventiva
dei criteri. – d. La rotazione. – 3. Sospensione e obblighi del datore di lavoro interni al rapporto di lavoro. –
a. L’incidenza sugli istituti diversi dalla retribuzione mensile (ferie, permessi ex lege n. 104/1992, festività
infrasettimanali, Tfr, indennità di preavviso; diritti sindacali). – b. Ferie. – c. Permessi ex art. 33, 3° comma,
legge n. 104/1992. – d. Festività infrasettimanali. – e. TFR. – f. Preavviso e/o indennità sostitutiva. – g.
diritti sindacali. – h. Illeciti datoriali di natura permanente preesistenti e incidenza della sospensione. – 4.
Ammortizzatori sociali e contratti formativi. – 5. Le causali di intervento CIGO. – 6. Le causali di intervento
ed i “numeri” della CIGS. – 7. Anticipazione del trattamento vs. pagamento diretto. – 8. Le procedure di
intervento degli ammortizzatori sociali tra verifica sindacale ex ante e giudiziale ex post. – 9. I contratti di
solidarietà difensiva. – 10. La tutela previdenziale della disoccupazione. – a. Il campo di intervento della
Cigs e della indennità di mobilità. – b. L’indennità di disoccupazione. – c. La contribuzione. – d. La tutela
previdenziale a latere praestatoris. – 11. La ricollocazione nel mercato del lavoro.
1. Premessa
In una fase della evoluzione della normativa in materia di ammortizzatori sociali,
caratterizzata da scarsa sistematicità, come ben dimostra il fenomeno degli ammortizzatori
“in deroga”, e dall’attesa della riforma degli stessi1, può essere utile fare il punto sul
contributo della giurisprudenza in materia, privilegiando il versante della tutela della
posizione del percettore dei trattamenti di disoccupazione, ma non trascurando quello della
tutela accordata al datore di lavoro, che fa ricorso agli ammortizzatori sociali. L’obiettivo
è quello di cogliere le linee di tendenza della giurisprudenza sugli ammortizzatori sociali e
tentarne una sistematizzazione, tenendo conto che, come ha giustamente rilevato Michele
Miscione nella sua bella relazione sul tema alle giornate di studio veneziane dell’Aidlass
del 2007, “la disciplina amministrativo-previdenziale ha avuto una sistemazione
compiuta, ai fini dell'erogazione; sul rapporto e sul contratto di lavoro, invece, il
legislatore degli ammortizzatoti sociali s'è astenuto, permettendo e chiedendo ai giudici di
colmare le lacune con norme giurisprudenziali”2.
Affermazione, quella di Michele Miscione, senz’altro condivisibile, anche se va detto che
pure sull'erogazione dei trattamenti la giurisprudenza non ha mancato di fornire il suo
importante contributo.
Della «galassia» degli ammortizzatori sociali, mutuando la ormai famosa espressione
coniata da Franco Liso3, vengono presi in esame i tre ammortizzatori più ricorrenti nelle
aule giudiziarie, e cioè la Cigs, la mobilità e l'indennità di disoccupazione.
Di tutela giurisdizionale in relazione a questi tre ammortizzatori sociali può ragionarsi
sotto quattro angolature, a seconda che si prenda a riferimento: a) il rapporto di lavoro; b)
1
In tema di ammortizzatori sociali è d’obbligo il rinvio allo studio sistematico di Emilio Balletti,
Disoccupazione e lavoro. Profili giuridici della tutela del reddito, Torino, Giappichelli, 2000, nonché al
volume collettaneo, Aa.Vv., Tutela del lavoro e riforma degli ammortizzatori sociali, Torino, Giappichelli,
2002, con contributi di Alleva, Balletti, Carabelli, Di Stasi, Forlani, Liso e Pace.
2
Miscione, Gli ammortizzatori sociali per l’occupabilità, in Disciplina dei licenziamenti e mercato del
lavoro, Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro, Venezia 25-26 maggio 2007, Milano Giuffrè, 2008,
135 ss.
3
Liso, La galassia normativa dopo la legge n. 223/1991, in DLRI, 1997, 1 ss.
1
la procedimentalizzazione dell’intervento; c) la tutela previdenziale; d) la ricollocazione
nel mercato del lavoro.
Il contributo della giurisprudenza viene analizzato, nei limiti del possibile, in trasversale,
specie con riferimento agli ultimi due profili, della tutela previdenziale e della
ricollocazione nel mercato del lavoro.
Delimitati il campo e il metodo di indagine, l'analisi della giurisprudenza viene articolata
in cinque sezioni, dedicandone una ad hoc al contratto di solidarietà difensivo, iniziando
dai problemi che il ricorso agli ammortizzatori sociali, ma in modo specifico alla Cigs,
determina in relazione al rapporto di lavoro e tentando una sistematizzazione degli stessi.
2. Ammortizzatori sociali e rapporto di lavoro
La gran parte delle pronunce che si occupano delle ricadute degli ammortizzatori sociali
sul rapporto di lavoro, hanno ad oggetto i criteri di scelta, e cioè lo strumento attraverso il
quale si individualizzano le scelte collettive del datore di lavoro che abbia un esubero di
personale. È interessante verificare se le soluzioni adottate dalla giurisprudenza siano o
meno coerenti con la matrice collettiva del fenomeno e soprattutto con l’assetto di interessi
realizzato all’interno delle procedure di intervento degli ammortizzatori sociali. Viene in
mente a tale riguardo il famoso caso ALFA degli inizi anni ’80, in relazione al quale il
Tribunale di Milano, allora giudice di appello, ritenne legittimo come criterio di scelta dei
lavoratori da sospendere e collocare in Cigs, l’indice di assenteismo per malattia4. A quel
Tribunale apparve equo, e quindi legittimo, sospendere i lavoratori che spesso e
abitualmente si assentavano per malattia, mantenendo in servizio, a parità di profilo, quelli
sempre presenti, pur se l’Accordo Interconfederale del 1965, sui licenziamenti collettivi
per riduzione di personale, aveva eliminato il criterio di scelta dello scarso rendimento,
previsto dall’Accordo Interconfederale del 1950, non ritenendosi corretto, e quindi
legittimo, consentire al datore di lavoro di approfittare delle riduzioni di personale per
liberarsi degli assenteisti (iper)tutelati dall’art. 2110 c.c.
a. Il mutamento dei criteri di scelta
Principiando dalle pronunce inerenti il mutamento dei criteri di scelta nell’individuazione
dei lavoratori da sospendere e collocare in Cigs, la Suprema Corte ha recentemente
affermato come il coinvolgimento nella materia in esame di interessi a rilevanza pubblica
porti ad escludere la legittimità del mutamento dei criteri di scelta del personale da porre
in cassa integrazione – pur a seguito di accordi tra le parti sociali – attraverso l’adozione,
in sostituzione di quelli originari, di nuovi criteri non congrui rispetto alla causa
integrabile5. Sicché, una volta fissati i criteri selettivi attraverso lo strumento della
concertazione, e passato il vaglio dell’autorizzazione del Ministero, tali criteri non
possono essere più mutati6, pena l’invalidità dell’intera procedura7.
4
Trib. Milano 27 gennaio 1984, in Giur. it., 1984, I, 2, 291 con nota di Miscione, Discriminazioni indirette
nel caso Alfa Romeo ed ivi, 1984, I, 2, 589 con nota di Sotgiu, Cassa integrazione guadagni e poteri
dell’imprenditore.
5
Così Cass. 9 febbraio 2009, n. 3177, in Guida al diritto, 2009, 13, 74.
6
Cfr. Cass, 22 marzo 2010, n. 6841, in Red. Giust. civ. Mass., 2010, 3, secondo cui il criterio di scelta dei
dipendenti da porre in cassa integrazione ed in mobilità, determinato nel rispetto delle procedure previste
dagli art. 4 e 5 l. 23 luglio 1991 n. 223, non può essere successivamente disapplicato o modificato,
travalicando gli ambiti originariamente previsti, non essendo consentito che in tale spazio temporale
l'individuazione dei singoli destinatari dei provvedimenti datoriali venga lasciata all'iniziativa ed al mero
potere discrezionale dell'imprenditore, in quanto ciò pregiudicherebbe l'interesse dei lavoratori ad una
gestione trasparente ed affidabile della mobilità e della riduzione del personale.
7
Cass. 7 gennaio 2009, n. 81, in Giust. Civ. Mass., 2009, 1, 19; idem Cass. 23 maggio 2008, n. 13377
(ibidem, 2008, 5, 796), che enuncia il seguente principio di diritto: «La cassa integrazione straordinaria –
2
b. I limiti interni ed esterni nella scelta dei lavoratori in esubero
Parallelo al tema appena trattato è quello dei limiti nella scelta degli esuberi e da
sospendere o licenziare. A tal riguardo, bisogna tenere distinti i c.d. limiti “interni” da
quelli “esterni”.8 Come è noto, con il primo termine si identifica in negativo un’area più
vasta di scelte per la non corrispondenza di esse a determinati criteri; con il secondo, si
identifica invece un’area più ristretta di scelte individuate in positivo per il loro motivo
illecito (credo politico o fede religiosa, appartenenza ad un sindacato o partecipazione ad
attività sindacali o ancora, motivi razziali, di lingua o di sesso), secondo la definizione di
atto discriminatorio ricavabile dall’art. 15, l. n. 300/1970.
Tale discrimen ha importanti, e quasi naturali, riflessi sulla ripartizione dell’onus
probandi; ed infatti, per costante orientamento giurisprudenziale, l’onere di provare il
mancato rispetto dei limiti grava sul lavoratore per quelli esterni e sul datore di lavoro per
quelli interni9.
c. La comunicazione preventiva dei criteri
I criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere debbono essere oggetto di
comunicazione preventiva alle R.S.U. o in mancanza alle organizzazioni sindacali di
categoria comparativamente più rappresentative operanti nella provincia, pena
l’illegittimità del provvedimento finale di concessione del beneficio10. Per escludere la
sussistenza di tale obbligo non può invocarsi l’art. 2, d.p.r. 218/2000, che rimette
all’esame congiunto la determinazione dei criteri di scelta, non avendo tale ultima norma
prevista in presenza di ristrutturazioni, riorganizzazioni e conversioni aziendali ovvero di crisi aziendali
riguardanti situazioni occupazionali in ambito territoriale o situazioni produttive di settore – viene autorizzata
dal Ministero del Lavoro a seguito dell’approvazione di un programma ed a seguito della valutazione delle
ragioni dell’impresa importanti l’esclusione di meccanismi di rotazione, al fine di rendere l’attuazione del
suddetto programma funzionale all’efficienza produttiva dell’impresa stessa. Ne consegue che nel corso della
sua durata non è consentito – seppure con la copertura negoziale tramite sopravvenuti accordi collettivi sul
punto – pena l’invalidità della intera procedura di messa in cassa integrazione con le consequenziali ricadute
in termini risarcitori, determinare un mutamento dei criteri di scelta del personale da sospendere con
l’abbandono di quelli iniziali previsti nel programma e la contestuale adozione, invece, di criteri di scelta
diversi e privi di razionalità e congruità rispetto alla causa integrabile, potendosi un mutamento delle regole
selettive operare solo a seguito di un decreto di proroga volto ad accertare la compatibilità di tale
cambiamento con la regolare esecuzione del programma stesso ovvero a seguito di una distinta domanda di
integrazione salariale e di un successivo decreto autorizzativi sulla base di un nuovo e distinto programma».
Si veda anche Trib. Milano 19 novembre 2008 (in D&L, 2009, 243), che ritiene che i criteri di scelta stabiliti
nell’accordo sindacale non possano essere derogati dall’impresa, nemmeno qualora un lavoratore abbia
rifiutato un'offerta di assunzione da parte di azienda terza. Merita di essere segnalata anche App. Milano 11
maggio 2001 (in L.G., 2001, 1188), secondo cui ove che ritiene che nel caso il datore di lavoro,
successivamente all’accordo sindacale che stabilisce il numero degli esuberi ed i criteri selettivi, ponga in
essere una scelta gestionale che turbi il concreto funzionamento dei criteri fissati contrattualmente (nel caso di
specie, attraverso il trasferimento di taluni dipendenti ad altro reparto non interessato dal programma di
sospensione), ciò non implicherebbe l’illegittimità dell’intera procedura, ma esclusivamente di quelle
sospensioni, e solo quelle, che non vi sarebbero state in mancanza di tale “elemento di disturbo».
8
Sulla distinzione tra limiti esterni ed interni, si rinvia a Cass. 5 agosto 2005, n. 16537, in Giust. Civ. Mass.,
2005, 6.
9
Ex multis, Cass. 24 agosto 2004, n. 16680, in Giust. Civ. Mass., 2004, 7-8; Cass. 18 gennaio 2001, n. 683,
ibidem, 116, che specifica che tale ripartizione dell’onus probandi vale anche nelle fattispecie cui si applichi il
regime ante legem 223/1991.
10
Trib. Milano 13 novembre 2006, in O.G.L., 2007, 182; Trib. Torino 18 febbraio 2005, in Giur. Piem., 2006,
1, 91.
3
abrogato l’art. 1, comma 7, l. n. 223/1991, che dispone appunto la necessità della previa
comunicazione11.
Ciò in quanto deve ritenersi requisito di legittimità del procedimento il mettere le
organizzazioni sindacali in condizione di interloquire nel corso dell’esame congiunto; e
questo risultato, secondo la giurisprudenza, è raggiungibile solo laddove esse vengano
messe in grado di conoscere, prima dell’apertura delle trattative, quali siano le intenzioni
del datore di lavoro e, in particolare, quali criteri egli intenda adottare per individuare il
personale destinatario della sospensione12.
Ma la funzione della comunicazione, a ben vedere, è duplice13, poiché dal punto di vista
non più collettivo, ma individuale, serve ad assicurare la tutela degli interessi del singolo
lavoratore sospeso che, in mancanza di tale comunicazione, ben potrà convenire in
giudizio il datore allo scopo di conseguire (previo accertamento in via incidentale
dell’illegittimità del decreto ministeriale, con conseguente disapplicazione del
medesimo)14: il pagamento della differenza tra retribuzione spettante ed integrazione
salariale percepita15, che secondo la Cassazione avrebbe natura di risarcimento del danno
da inadempimento contrattuale16.
11
Cfr. Cass. 18 febbraio 2011, n. 4053, in D&G, 2011, con nota di Papaleo; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393, in
Giust. civ. Mass., 2009, fasc 7-8, 1015 e Cass. 9 giugno 2009, n. 13240, ivi, 6, 886 (che escludono qualsiasi
incompatibilità tra il d.P.R. 10 giugno 2000 n. 218 e le disposizioni della l. 23 luglio 1991 n. 223, non avendo
in alcun modo inciso sugli obblighi di rilevanza collettiva di cui all'art. 1, commi settimo ed ottavo, della
legge n. 223 citata); App. Torino 15 gennaio 2008; Trib. Milano 29 luglio 2004, in O.G.L., 2004, 700; contra,
Trib. Torino 27 marzo 2006 (in Giur. Piem., 2006, 3, 411), secondo cui «A seguito dell'entrata in vigore del
d.P.R. n. 218 del 2000 l'obbligo formale di comunicazione dei criteri di scelta sancito dall'art. 1, co. 7, l. n.
223 del 1991 è stato eliminato. Ne consegue che la mancata esplicitazione di criteri di scelta e modalità di
rotazione nella comunicazione al sindacato non può determinare l'illegittimità della intera procedura e del
decreto di concessione della Cigs in cui esso sfocia».
12
La giurisprudenza, comunque, ha stabilito che non ogni comunicazione dei criteri possa essere ritenuta
idonea allo scopo; ed infatti, la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione
salariale assolutamente generica in ordine ai criteri in base ai quali pervenire all'individuazione dei lavoratori
interessati alla sospensione e tale da rendere impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato
e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l'obbligo di comunicazione previsto dall'art. 1 comma 7, l. 23
luglio 1991 n. 223; tale violazione non può ritenersi sanata dall'effettività del confronto con le organizzazioni
sindacali, trovandosi queste ultime a dover interloquire sul tema senza essere a conoscenza del contenuto dei
dati da trattare (nella fattispecie, il datore di lavoro aveva indicato nella comunicazione di apertura quali
criteri di scelta quelli delle "esigenze tecniche, organizzative e produttive" e esigenze professionali e
funzionali). In tal senso Cass. 10 maggio 2010, n. 11254, in D.L. Riv. critica dir. lav., 2010, 3, 79; allo stesso
modo e ancor prima v. Cass. 9 giugno 2009, n. 13240, in Giust. civ. Mass., 2009, 6, 886.
13
Sul doppio piano di tutela ex art. 1, comma 7, l. n. 223 del 1991, in tema di procedimento per la concessione
della c.i.g.s., v. Cass. 3 luglio 2009, n. 15694, in Red. Giust. civ. Mass. 2009, 9, ove si funzionalizza l’obbligo
di comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali e provinciali a carico del datore di lavoro, a tutela sia
delle prerogative sindacali - violate da un'inesistente o inesauriente informativa in sede di apertura della
procedura – sia delle garanzie individuali, violate dall'esistenza di vizi procedimentali che ridondano nella non
corretta individuazione dei lavoratori da porre in cassa integrazione. Ne consegue che la violazione delle
regole del procedimento, a prescindere dall'ottemperanza all'obbligo di comunicazione nei confronti delle
organizzazioni sindacali, incide direttamente sulla legittimità del provvedimento amministrativo di
autorizzazione dell'intervento straordinario di integrazione salariale
14
Cfr. Cass. 4 maggio 2009, n. 10236, in Giust. civ. Mass., 2009, 5, 714. In senso conforme cfr.: Cass. 11
dicembre 2002 n. 15846; Cass. 1 maggio 2000 n. 302.
15
Trib. Roma 17 gennaio 2006, n. 995. Si ritiene altresì in giurisprudenza che «la tardiva contestazione da
parte dei lavoratori delle sospensioni in Cigs per mancanza ovvero genericità della comunicazione dei criteri
di scelta, violazione dell'art. 2 comma 7 l. n. 23 luglio 1991 n. 223, non integra una concausa del danno ex art.
1227 c.c. e quindi non determina una riduzione del risarcimento dovuto» (Trib. Milano 13 marzo 2003, in
D&L, 2003, 724).
16
Così Cass. 4 maggio 2009, n. 10236, cit., secondo cui alle somme spettanti al lavoratore si applica il
cumulo della rivalutazione monetaria e degli interessi, in base all'art. 429, comma 3, c.p.c. (che si applica a
4
A livello sempre individuale, poi, il provvedimento illegittimo di sospensione dall'attività
lavorativa, atto negoziale unilaterale cui segua il rifiuto di accettare la prestazione
lavorativa, determina esso stesso la mora credendi del datore di lavoro, nel senso cioè che
ove la richiesta di intervento della cassa integrazione non sia accolta il datore di lavoro si
trova in mora credendi rispetto ad una sospensione unilateralmente da lui disposta, in
difetto del relativo potere, e con l’effetto di evitare al lavoratore di offrire la propria
prestazione e di imporre al datore medesimo la sopportazione del rischio dell'estinzione
dell'obbligo di esecuzione della prestazione17. L’orientamento giurisprudenziale in
questione, però, non è univoco, essendo rinvenibili anche decisione della Cassazione di
segno praticamente opposto, che prevedono l'offerta della prestazione da parte dei
lavoratori, con la messa a disposizione delle proprie energie, nel caso in cui sia respinta la
richiesta di provvedimento di ammissione alla CIG18.
d. La rotazione
La rotazione rappresenta il criterio di scelta “principe” nella procedura di intervento della
Cigs, nel senso che azzera di fatto il problema della scelta tra più lavoratori aventi il
medesimo profilo professionale, di quali sospendere, ripartendo tra tutti i periodi di
sospensione. Ebbene, ove l’imprenditore non espliciti nella comunicazione di apertura le
modalità di rotazione19, ovvero, nel corso della procedura, non le rispetti, la sospensione
diviene illegittima20. L’obbligo della rotazione tra i lavoratori sospesi trova un limite, ai
sensi dell’art. 1, comma 8, della l. n. 223/1991, nelle esigenze tecnico-organizzative
dell’azienda, nonché nei requisiti di professionalità e fungibilità dei singoli lavoratori, con
la conseguenza che è legittima l’esclusione dalla rotazione di un lavoratore che non abbia
mansioni identiche agli altri dipendenti o che non sia munito della stessa professionalità
degli altri dipendenti a questa interessata21.
Sebbene la norma che stabilisce l’obbligo di rotazione dei lavoratori sospesi sia contenuta
nell’art. 1, comma 7, l. n. 223/1991, che disciplina la Cigs, si ritiene in giurisprudenza che
la medesima disciplina sia da estendere in via analogica alla Cigo, trattandosi di fattispecie
tutti i crediti del lavoratore, anche se di natura risarcitoria), restando esclusa l'applicabilità dell'art. 22, comma
36, l. 23 dicembre 1994 n. 724 (dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte cost. con sentenza n. 459
del 2000, ove riferito ai rapporti di lavoro privati), il quale, comunque, riguarda l'inadempimento di
obbligazioni pecuniarie e non anche di quelle risarcitorie.
17
V. Così Cass. 4 maggio 2009, n. 10236, cit.; Cass. 27 marzo 2009, n. 7524, in Giust. civ. Mass., 2009, 3,
537.
18
V. Cass., sez. lav., 13 marzo 2009, n. 6225, in Guida al diritto, 2009, 17, 52, secondo cui avendo il
provvedimento di ammissione alla cassa integrazione guadagni efficacia costitutiva del rapporto previdenziale
e derogatoria alla disciplina del rapporto di lavoro, in caso di successivo provvedimento che, respingendo la
domanda di rinnovo e prosecuzione del beneficio, dispone la cessazione dello stesso a partire da una
determinata data, il datore di lavoro è esonerato dagli obblighi retributivi per il periodo compreso tra la
cessazione del beneficio e il provvedimento di diniego ove vi sia stata una sospensione del rapporto di lavoro
non addebitabile a colpa del datore di lavoro e sia mancata l'offerta da parte dei lavoratori di riprendere il
proprio lavoro con la messa a disposizione delle proprie energie. In senso conforme, Cass. 19 dicembre 1998
n. 12735, in Riv. it. dir. lav., 1999, II, pp. 741 ss., con nota di G. BOLEGO, Sulla revoca con efficacia
retroattiva del provvedimento di ammissione alla cig.
19
V. Cass. 10 maggio 2010, n. 11254, cit., per la quale la mancata comunicazione alle organizzazioni
sindacali delle ragioni che impediscono di ricorrere al meccanismo della rotazione dei lavoratori comporta
l'illegittimità del provvedimento di sospensione dall'attività lavorativa, con la conseguenza che i lavoratori
interessati possono agire in giudizio per ottenere il pagamento della retribuzione piena e non integrata.
L'inosservanza della suddetta garanzia procedimentale, infatti, implicando la mancata attuazione del principio
di trasparenza, incide direttamente sullo stesso provvedimento finale di concessione del benefico.
20
App. Torino 15 gennaio 2008.
21
Trib. Bolzano 25 maggio 2007, in Redazione Giuffrè, 2007.
5
analoga, ed inoltre perché tale regola è da considerarsi espressione del generale principio
di buona fede e correttezza22.
Come si è detto, la mancata rotazione costituisce un illecito datoriale, da cui consegue il
diritto del lavoratore al risarcimento del danno ex art. 1218 c.c., anche in questo caso
parametrato nel quantum all’entità delle retribuzioni non percepite. Il fatto che la misura
del danno vada così quantificata, non deve però indurre in errore con riguardo al regime
prescrizionale applicabile a tale credito che, avendo natura di risarcimento a titolo di
responsabilità contrattuale, soggiace al termine di prescrizione decennale23.
3. Sospensione e obblighi del datore di lavoro interni al rapporto di lavoro
a. L’incidenza sugli istituti diversi dalla retribuzione mensile (ferie, permessi ex lege
n. 104/1992, festività infrasettimanali, Tfr, indennità di preavviso; diritti sindacali)
La sospensione dell’attività lavorativa, con ricorso alla CIG, si riflette sugli obblighi
datoriali a vario titolo connessi con lo svolgimento dell’attività medesima, potendosi
operare una distinzione tra obblighi connessi al sinallagma funzionale, sospeso per effetto
del ricorso alla CIG, e quelli connessi al sinallagma genetico, insensibile agli eventi
sospensivi24. Ovviamente, fuoriesce dalla presente disamina l’analisi degli istituti
retributivi, diretti e differiti, la cui mancata erogazione per effetto della sospensione è
integrata dalla CIG, come ad esempio le mensilità supplementari (infra)25.
Durante il periodo di CIGS i lavoratori sospesi non possono pretendere dal datore
l’erogazione di quei compensi che debbono considerarsi funzionalmente correlati alla
effettuazione della prestazione lavorativa, mentre conservano e i doveri dipendenti
esclusivamente dalla permanenza del vincolo contrattuale26. Sulla scorta di tale
consolidato principio, la giurisprudenza ha ritenuto, ad esempio, che spetti al lavoratore in
CIGS la corresponsione del “premio di anzianità”, riconoscendo a tale indennità natura
retributiva in funzione non tanto corrispettiva della prestazione, quanto piuttosto
dell’anzianità del lavoratore27.
Problema diverso è quello della quantificazione dei compensi spettanti al lavoratore diversi
dalla retribuzione diretta, e cioè mensilità supplementari, ferie e giorni di permesso
retribuito per riduzione dell’orario di lavoro (comunemente definiti r.o.l.), a seguito della
22
Si veda sul punto, Trib. Milano 30 dicembre 2006, in L.G., 2007, 833.
Cfr. tra le tante, Cass. 13 dicembre 2010, n. 25139, in Red. Giust. civ. Mass., 2010, 12; Cass. 7 febbraio
2006, n. 2555, in Giust. Civ. Mass., 2006, 2; Cass. 9 novembre 2001, n. 13926, ibidem, 2001, 1897; Cass. 4
marzo 2000, n. 2468, ibidem, 2000, 534.
24
Su tutti v. E. GHERA, L’integrazione dei guadagni degli operai dell’industria e la sospensione del rapporto
di lavoro, in Riv. giur. lav., 1965, I, pp. 157 e 265, pp. 270-271.
25
V. Cass. 22 maggio 2000, n. 6665, in Mass. giur. lav., 2000, p. 1090, secondo cui nei casi di CIGS, nel
calcolo dell'integrazione salariale spettante ai lavoratori sospesi dal lavoro, "ex" articolo unico legge 13
agosto 1980 n. 427, vanno computati anche quegli emolumenti che fanno parte della retribuzione
complessiva, pur se corrispondono a specifici periodi lavorati, quali le tredicesime mensilità annuali, tanto più
che il credito avente ad oggetto l'integrazione ha natura previdenziale o anche di garanzia del salario, sicché
l'interpretazione della suddetta disposizione non può discostarsi dal dettato degli artt. 36 e 38 Cost. Tale
orientamento è stato poi messo in discussione dall’art. 44, 6° comma, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv.
con modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 326, contenente una norma interpretativa dell’art. unico,
2° comma, legge n. 427/1980 (infra).
26
Poiché la collocazione in CIG non esclude la possibilità del richiamo in servizio durante la sospensione, il
lavoratore è tenuto, ove medio tempore si ammali, a comunicare e certificare l’assenza per malattia, pena, in
difetto, l’ingiustificatezza dell’assenza. In tal senso App. Torino 18 gennaio 2010, in Giur. piemontese, 2010,
p. 64.
27
Si veda Cass. 20 dicembre 2004, n. 23601, in Guida al lavoro, 2005, n. 8, p. 41.
23
6
rotazione, in quanto questi emolumenti maturano a ratei mensili. Il problema
quantificatorio si pone nello specifico in relazione alla previsione, contenuta nella totalità
dei contratti collettivi, del meccanismo dell’arrotondamento delle frazioni, per cui una
prestazione al di sotto dei 15 giorni determina l’arrotondamento a zero, mentre quella al di
sopra l’arrotondamento al rateo pieno. Non può escludersi un meccanismo di rotazione
congegnato in maniera tale da mantenere la frazione di prestazione sempre al di sotto dei 15
giorni. In tal caso occorre fare una distinzione tra i compensi differiti integrabili, e cioè le
mensilità supplementari, e quelli che fuoriescono dall’integrazione, e cioè ferie e r.o.l.; nel
primo caso, non v’è questione. Nel secondo caso, può verificarsi l’ipotesi che il lavoratore,
pur prestando attività lavorativa nel corso dell’anno per un numero di giorni cospicuo non
maturi mai alcun rateo. La soluzione in questo caso potrebbe essere quella dell’addizione
dei giorni lavorati per tradurli in rateo, adottabile in via preventiva con accordo sindacale,
ad esempio regolamentando la rotazione, ovvero in via successiva, in sede giudiziaria28.
La permanenza del sinallagma genetico in pendenza di intervento CIG, a prescindere dalla
circostanza che soggetto onerato dal pagamento della integrazione salariale, sia l’INPS, ha
indotto la giurisprudenza a individuare nell’accettazione della CIGS da parte del lavoratore
già licenziato e poi reintegrato per iniziativa del datore di lavoro, un’accettazione tacita
della revoca del licenziamento29.
i.
Ferie
Circoscrivendo, quindi, l’analisi agli obblighi connessi al sinallagma funzionale, si è
sostenuto, in primo luogo, che la sospensione incide sulla misura delle ferie, riducendole in
proporzione, in quanto le stesse sono finalizzate a consentire al lavoratore di recuperare le
energie psicofisiche spese nello svolgimento dell’attività lavorativa, il che non accade in
conseguenza della sospensione30.
Nel caso di sospensione circoscritta ad alcuni giorni del mese potrebbe invocarsi il
meccanismo della sommatoria di periodi brevi di sospensione, onde evitare che il diverso
sistema dell’arrotondamento delle frazioni, inferiori o superiori a 15 giorni, possa azzerare
completamente la maturazione delle ferie.
ii.
Permessi ex art. 33, 3° comma, legge n. 104/1992
Il principio della riduzione in proporzione alla sospensione opera anche per i 3 giorni di
permesso mensili, previsti dall’art. 33, 3° comma, legge 5 febbraio 1992, n. 10431,
analogamente al riproporzionamento previsto per il lavoratore in regime di part-time
verticale32; ovviamente il riproporzionamento è automatico per il part-time orizzontale, in
28
A mero titolo esemplificativo di calcolo delle sospensioni per addizione delle stesse, si veda la nota Min.
lav. 15 ottobre 2010, prot. n. 25/I/0017275 (risposta ad interpello n. 34/2010), sul computo dei periodi di
sospensione dell’apprendista.
29
Cass. 3 giugno 2004, n. 10623, in Mass. giur. lav., 2004, pp. 704 ss., con nota di N. DE MARINIS, La
fruizione della cassa integrazione guadagni quale manifestazione tacita di accettazione della revoca del
licenziamento in precedenza intimato.
30
V. A. MANNA, La cassa integrazione guadagni, Cedam, Padova, 1998, pp. pp. 197 ss., ed ivi dottrina sul
tema; contra, e quindi sulla permanenza dell’obbligo di pagare le ferie al dipendente, M. D’ANTONA,
Sospensione del lavoro per cause aziendali, mancato godimento delle ferie e diritto alla indennità sostitutiva,
in Dir. lav., 1975, II, p. 297. Sulla maturazione del diritto alle ferie nel caso di semplice riduzione dell’orario
di lavoro, e non di sospensione a zero ore, v. Cass. 28 maggio 1986, n. 3603, in Giust. civ., 1986, I, c. 2100;
adde Pret. Lucca 12 dicembre 1998, in Orient. giur. lav., 1999, p. 819.
31
V. msg. INPS 18 novembre 2009, n. 26411, in Guida al lavoro, 2009, n. 46, p. 15; ancor prima v. nota Min.
lav. 3 ottobre 2008, prot. n. 25/I/0013421 (risposta ad interpello n. 46/2008).
32
V. circ. INPS 17 luglio 2000, n. 133. In applicazione di tale principio, i periodi di sospensione per CIGS
incidono sul numero di permessi ex art. 33, 3° comma, legge 5 febbraio 1992, n. 104, in analogia con la
7
quanto la retribuzione dei giorni di permesso è pari a quella dei giorni lavorativi a orario
ridotto.
iii. Festività infrasettimanali
Con riferimento, poi, alle festività infrasettimanali, l’art. 2, legge 31 marzo 1954, n. 90,
prevede che il trattamento economico di cui all’art. 5, legge 27 maggio 1949, n. 260, debba
essere egualmente corrisposto per intero al lavoratore, anche se risulti assente dal lavoro per
riduzione dell'orario normale giornaliero o settimanale di lavoro, ovvero, per sospensione
dal lavoro, a qualunque causa dovuta, indipendente dalla volontà del lavoratore.
Sennonché, la giurisprudenza ha escluso l’operatività di tale disposizione nel caso di
sospensione con intervento CIGS (ma non anche CIGO), sostenendosi che quest’ultimo si
presenta come rimedio provvisoriamente alternativo al licenziamento collettivo e come
strumento, giustificato da eventi di particolare rilevanza sociale, che attua un espediente di
formale mantenimento di rapporti di lavoro non più obiettivamente giustificati, con il
conseguente difetto di adeguata causa giuridica di ogni pretesa verso l'impresa, da parte dei
lavoratori beneficiati da tale eccezionale intervento33. L'ampia incidenza di tale intervento
sul rapporto di lavoro è, per la stessa causa integrabile, di natura decisamente assistenziale a
difesa dell'occupazione34.
È rilevante, d'altra parte, considerare l'effetto sostitutivo della successiva normativa speciale
in tema di CIGS, strumento di politica socio-economica del Governo, sulla disciplina
ordinaria del rapporto di lavoro nel suo normale svolgimento, della quale fa parte la
normativa sulle festività infrasettimanali del lontano 31 marzo 195435. Ed ancora rileva che
il datore di lavoro - ove non sia lo stesso I.N.P.S., gestore della Cassa, a provvedere
direttamente al pagamento dell'integrazione - quale adiectus solutionis causa36 è tenuto ad
anticipare ai lavoratori in "cassa" (salva l'azione diretta del lavoratore, in caso di mancato
pagamento da parte del datore, verso l'I.N.P.S.), ai sensi dell'art. 2, legge n. 1115/1968,
l'80% della «retribuzione globale che sarebbe loro spettata per le ore previste dai contratti
collettivi», e quindi inclusa anche la retribuzione per le festività infrasettimanali, rientrante
decurtazione prevista per i lavoratori a part-time verticale (v. nota Min. lav. 3 ottobre 2008, prot.
n.25/I/0013421, cit.).
33
Cfr. Cass. 12 marzo 1980, n. 1648, in Mass. giur. lav., 1981, p. 581; Pret. Mestre 31 gennaio 1985, in
Orient. giur. lav., 1985, p. 652; Pret. Napoli-Barra 30 novembre 1985, in Giur. merito, 1986, pp. 1084 ss., con
nota di C.M. DALMASSO, La causa integrabile come fonte del potere datoriale di sospensione dell’attività
produttiva: i suoi riflessi sul rapporto di lavoro e sulla attività amministrativa dell’ente previdenziale
erogatore della cassa integrazione; Alle stesse conclusioni giunge anche Pret. Salerno 12 ottobre 1988, in
Riv. it. dir. lav., 1989, II, pp. 483 ss., con nota di R. DIAMANTI, Cassa integrazione e festività, sebbene
muovendo dall’isolata ricostruzione giuridica della CIG non come sospensione dal lavoro, ma come
interruzione del lavoro.
34
Gli scarsi precedenti giurisprudenziali sul punto hanno confermato la tesi della liberazione del datore dagli
obblighi retributivi, e quindi l’integrabilità delle feste del 25 aprile e del 1° maggio. In tal senso v. Cass., sez.
lav., 19 giugno 1991, n. 6935, in Dir. lav., 1992, II, 88, con nota di C. GATTA, Cassa integrazione
straordinaria per le festività nazionali; Cass. 9 dicembre 1991, n. 13229, in Dir. e prat. lav., 1992, p. 440;
Cass., sez. lav., 20 marzo 1992, n. 3489, in Riv. it. dir. lav., 1993, II, pp. 198 ss., con nota di D. MANASSERO,
Cassa integrazione «assistenziale» e festività infrasettimanali; Cass. 1° giugno 1992, n. 6592, in Riv. it. dir.
lav., 1993, II, pp. 306 ss., con nota di O. PAPINI, Cassa integrazioni guadagni e festività infrasettimanali;
Cass., sez. lav., 26 giugno 1993, n. 7099, in Mass. Giust. civ., 1993, 1089. In dottrina, adesivamente, A.
MANNA, La cassa integrazione guadagni, cit., pp. 167-169.
35
V. Cass., sez. lav., 15 giugno 2010, n. 14334, in Mass. giur. lav., 2010, p. 844, secondo cui il lavoratore
collocato in CIG ed utilizzato in lavori socialmente utili, con percezione dell’importo integrativo corrisposto
dall’ente pubblico, non ha diritto, con riferimento a quest’ultimo, agli istituti di retribuzione indiretta e
differita (13a mensilità, ferie e TFR).
36
Cfr. Cass., sez. lav., 29 dicembre 1998, n. 12867, in Orient. giur. lav., 1999, p. 246; Cass., sez. lav., 22
febbraio 2003, n. 2760, in Mass. Giust. civ., 2003, p. 382.
8
nel salario integrabile, come peraltro si ricava con argomento a contrario, dall'art. 3
d.lgs.lgt. n. 788/1945, secondo cui «l'integrazione non è dovuta agli operai lavoranti ad
orario ridotto per le festività non retribuite e per le assenze che non comportino
retribuzione»37.
iv. TFR
Una eccezione alla regola del riproporzionamento della misura dei compensi spettanti al
lavoratore, diversi dalla retribuzione diretta, in base alla durata della sospensione
dell’attività lavorativa, è rappresentata dalla disposizione in materia relativa al trattamento
di fine rapporto. Ed infatti, l’art. 2120, 3° comma, c.c., prevede che: «In caso di
sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell'anno per una delle cause di cui all’art.
2120, c.c., nonché in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista
l'integrazione salariale, deve essere computato nella retribuzione di cui al 1° comma
l'equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale
svolgimento del rapporto di lavoro»38.
L’obbligo del datore di lavoro di corrispondere la quota di TFR in misura piena per i
periodi di sospensione, permane anche quando sia stato autorizzato il pagamento diretto ai
lavoratori, da parte dell’INPS, delle prestazioni di cassa integrazione guadagni
straordinaria, a norma dell'art. 5, 1° comma, legge n. 215/197839.
Sennonché, la natura decisamente assistenziale dell’intervento CIGS, a difesa
dell'occupazione, ha indotto il legislatore a introdurre una deroga a tale previsione, nel caso
in cui al termine della collocazione in CIGS non vi sia ripresa del servizio e segua il
licenziamento dei lavoratori sospesi; in questo caso le aziende possono richiedere il
rimborso alla Cassa integrazione guadagni del TFR corrisposto agli interessati,
limitatamente alla quota maturata durante il periodo predetto. A tale soluzione, costituente
oggi una regola di carattere generale, operante in tutti i casi di intervento CIGS, il
legislatore è pervenuto attraverso un percorso abbastanza sofferto, nel senso che la
possibilità per il datore di lavoro di ottenere il rimborso della quota di TFR in questione è
stata collegata a singole causali di intervento CIGS, prima di diventare, come detto, regola
generale.
Il primo intervento in tal senso, risalente al 1972, riguardava le causali previste dalla legge
1115/1968, istitutiva della CIGS, oltre che l’ipotesi della conversione aziendale40.
Un ulteriore intervento, rilevante sotto il profilo finanziario, si ebbe nel 1977, ponendosi a
carico del «Fondo per la mobilità della manodopera»41 il rimborso delle quote di indennità
di anzianità, maturate durante il periodo di integrazione salariale per ristrutturazione o
riconversione aziendale dai lavoratori, che non fossero rioccupati nella stessa azienda al
37
Sul punto v. circ. INPS 21 gennaio 1982, n. 50 G.S., nonché 11 febbraio 1982, n. 38 e msg. INPS 3
dicembre 2003, n. 1076, in Guida al lavoro, 2003, n. 49, p. 18, che ribadisce come le festività del 25 aprile, 1°
maggio e 2 giugno sono da includere nel numero delle ore integrabili con il trattamento CIGS quando i
lavoratori sono retribuiti in misura fissa. Analogamente il msg. INPS 15 giugno 2009, n. 13552, chiarisce che
per i lavoratori retribuiti in misura fissa mensile, le festività civili e religiose non comportano una riduzione
della misura settimanale delle integrazioni salariali.
38
Così msg. INPS 28 aprile 2009, n. 9468, nel quale l’Istituto ha precisato che per i lavoratori in CIGS, che
cessano dal servizio al termine del periodo di sospensione - fermo restando l’intervento della CIGS per le
quote di TFR maturate – è obbligatorio il versamento del contributo al Fondo di Tesoreria anche per tali
periodi, salvo il recupero da parte del datore di lavoro come, peraltro, avviene per tutti gli altri dipendenti.
39
V. Cass. 23 marzo 2002, n. 4171, in Mass. giur. lav., 2002, p. 604; Cass. 10 marzo 2004, n. 4922, in Mass.
Giust. civ., 2004, fasc. 3; Cass., sez. lav., 11 marzo 2004, n. 5007, in Giust. civ., 2004, c. 1204.
40
V. l’art. 2, 2° comma, legge n. 464/1972, operante per le ipotesi di intervento CIGS richiamate dall’art. 1,
1° e 2° comma, della stessa legge.
41
Il “Fondo per la mobilità della manodopera” è stato istituito dall’art. 28, legge n. 675/1975.
9
termine di detto periodo per l'impossibilità da parte dell'azienda medesima di mantenere il
livello occupazionale42.
Il diritto al rimborso operava anche in relazione ai lavoratori di aziende industriali fallite,
collocati in CIGS a norma dell'art. 25, 7° comma, legge n. 675/197743.
Ridisciplinato nel 1991 l’intervento CIGS in relazione alle procedure concorsuali, si è
confermata la rimborsabilità della quota maturata nel periodo di intervento per tale causale,
presupponendo quest’ultima la continuità dei rapporti di lavoro44.
La disposizione del 1977, rilevante solo sotto il profilo finanziario, è stata poi abrogata
dall’art. 8, 2° comma, d.l. 21 marzo 1988, n. 86, convertito con modificazioni in legge 20
maggio 1988, n. 160, che espressamente ha mantenuto in vita la previsione relativa al
rimborso della quota di TFR, eliminando l’accollo del relativo costo al «Fondo per la
mobilità della manodopera», peraltro successivamente soppresso45
Di contrario avviso è il Supremo Collegio, che trascurando la valenza solo finanziaria della
disposizione del 1977, sostiene che l’art. 21, 5° comma, citato, è stato abrogato dall'art. 8,
2° comma, legge n. 160/1988, e che, come espressamente disposto dalla disposizione
transitoria contenuta nell’8° comma, del predetto art. 8, trova applicazione solo
relativamente alle domande di integrazione salariale presentate successivamente alla data di
entrata in vigore della legge n. 160/198846. Ne consegue l'applicabilità della disciplina
previgente, quanto all'individuazione del soggetto tenuto al pagamento del trattamento di
fine rapporto, con riferimento a tutti i periodi di cassa integrazione dipendenti da una
iniziale domanda di ammissione alla CIGS antecedente all'entrata in vigore della legge n.
160/1988, poiché la disposizione transitoria persegue lo scopo di assoggettare alla
medesima disciplina l'intero rapporto costituito a seguito dell'accoglimento con
provvedimento amministrativo della domanda iniziale, e le richieste successive, dirette alla
conferma del trattamento, hanno una diversa e minore portata, intervenendo nell'ambito di
un rapporto già costituito47.
42
Cfr. Pret. Firenze 3 gennaio 1989, in Giust. civ., 1989, I, c. 1475, con nota di G. CIMINO, Sul trattamento di
fine rapporto per i lavoratori licenziati al termine del periodo di cassa integrazione straordinaria da impresa
già sottoposta a procedura esecutiva concorsuale.
43
Disposizione inserita dall'art. 2, legge 27 luglio 1979, n. 301, di conversione in legge del d.l. 26 maggio
1979, n. 159. In giurisprudenza, su tale peculiare ipotesi v. Trib. Napoli, sez. fall., 26 giugno 2003, in Dir.
merc. lav., 2003, pp. 374 ss., con nota di G. NUCIFERO, Cassa integrazione guadagni, fallimento e T.F.R., e da
ultimo Cass., sez. lav., 8 luglio 2009, n. 15978, in Mass. Giust. civ., 2009, p. 1217, secondo cui in materia di
TFR, la quota maturata durante il periodo di cassa integrazione, erogata ai sensi della legge n. 301/1979,
grava esclusivamente sull'INPS. Ne consegue che, ove sia successivamente intervenuta l'insolvenza del datore
di lavoro, l'insinuazione al passivo fallimentare diretta ad ottenere dal Fondo di garanzia, costituito presso
l'INPS, le quote maturate in costanza di rapporto di lavoro, non svolge alcun effetto, neppure interruttivo della
prescrizione, rispetto al trattamento maturato nel periodo di cassa integrazione, non potendo invocarsi il
carattere unitario del TFR, giacché questo si compone di due quote distinte, l'una facente capo al datore, che
l'INPS si accolla, e una seconda, che presenta tratti peculiari poiché matura in un periodo in cui non si svolge
attività lavorativa, e fa capo direttamente all'INPS.
44
V. circ. INPS 26 maggio 1992, n. 141, paragr. 4, nonché circ. INPS 11 aprile 1995, n. 103, in Dir. e prat.
lav., 1995, 1309.
45
Il Fondo per la mobilità della manodopera, come detto istituito dall’art. 28, legge n. 675/1977, è stato
soppresso, confluendo la sua gestione nel Fondo di rotazione ex art. 25, legge 21 dicembre 1978, n. 845,
dall’art. 16, legge 23 dicembre 1993, n. 559, come interpretato dall’art. 4, 8° comma, legge n. 608/1996.
46
Così Cass., sez. lav., 26 febbraio 1992, n. 2398, in Foro it., 1992, I, cc. 1762 ss.; in senso conforme v.
Cass., sez. lav., 5 maggio 1992, n. 5322, in Giust. civ., 1993, I, cc. 1021 ss., con nota di G. BOMMARITO,
Trattamento di fine rapporto per i dipendenti da aziende fallite, beneficiari della cigs ex l. n. 301 del 1979,
nella disciplina previgente la novella del 1991; lo slalom della suprema corte nella sarabanda delle
interpretazioni autentiche.
47
V. Cass. 23 marzo 2002, n. 4171, cit.; Cass., sez. lav., 27 ottobre 2003, n. 16117, in Mass. Giust. civ., 2003,
fasc. 10.
10
Un ulteriore tassello del mosaico è stato aggiunto con l’estensione del meccanismo del
rimborso alla ipotesi della solidarietà difensiva, pur se quest’ultima esclude il licenziamento
dei lavoratori sospesi al termine del periodo di riduzione dell’orario di lavoro48.
Il rimborso della quota del TFR da parte dell’INPS in favore del datore di lavoro,
connotando la stessa come prestazione previdenziale49, è stato utilizzato come strumento
per disincentivare la collocazione in mobilità dei lavoratori sospesi, prima della scadenza
della durata massima prevista dalla legge per l’intervento CIGS50. Si tratta di una misura
che presenta identità di ratio con quella introdotta nel 1993, che aumenta da sei a nove
mensilità il contributo addizionale posto a carico del datore di lavoro che licenzia lavoratori
aventi diritto al trattamento di mobilità, nel caso in cui, pur potendo attingere alla CIGS,
proceda direttamente al licenziamento51. La differenza tra le due disposizioni è che la prima
48
L’art. 8, 2°-bis comma, d.l. 21 marzo 1988, n. 86, convertito con modificazioni in legge 20 maggio 1988, n.
160, ha modificato il secondo periodo del 5° comma dell'art. 1, d.l. 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con
modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, prevedendo che: «Le quote di accantonamento relative
alla retribuzione persa a seguito della riduzione dell'orario di lavoro sono a carico della cassa integrazione
guadagni».
49
Ed infatti, Cass., sez. lav., 3 aprile 2007, n. 8339, in Guida al diritto, 2007, n. 23, p. 51, ha evidenziato
come il credito del lavoratore avente a oggetto il pagamento delle quote del trattamento di fine rapporto
maturate durante i periodi di collocamento in cassa integrazione guadagni, pur essendo denominato
trattamento di fine rapporto, non ha natura retributiva ma previdenziale. Questo trattamento, infatti, è relativo
al periodo di cassa integrazione e non compensativo di prestazioni di lavoro effettivamente rese; esso grava
sul sistema previdenziale ed è teso ad assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore
temporaneamente e involontariamente disoccupato. Ne consegue, quanto alla prescrizione, che esso è
riconducibile non al n. 5 dell'art. 2948 c.c., bensì all'art. 2946 c.c.
50
V. l’art. 5, 6° comma, legge n. 223/1991. L’INPS ha escluso che il datore di lavoro perda il diritto ad
ottenere il rimborso della quota di TFR relativa al periodo di CIGS, nella ipotesi di intervento per procedura
concorsuale, in quanto la stessa non è ivi richiamata (v. circ. INPS 26 maggio 1992, n. 141, paragr. 4, nonché
circ. INPS 11 aprile 1995, n. 103, in Dir. e prat. lav., 1995, p. 1309). Sulla funzione dissuasiva
dell’incremento della misura del contributo addizionale previsto dall’art. 5, 6° comma, cit., v. U. CARABELLI,
I licenziamenti per riduzione di personale, in Giornale dir. lav. e relazioni ind., 1994, pp. 213 ss., p. 254. Di
ricorso sequenziale agli ammortizzatori sociali, con accesso alla mobilità, e quindi ai licenziamenti collettivi,
quasi come se essi fossero l’extrema ratio, parla F. LISO, Mercato del lavoro: il ruolo dei poteri pubblici e
privati nella legge 223/1991, in Riv. giur. lav., 1993, I, pp. 3 ss., pp. 28-29, il quale ritiene che il legislatore
della legge n. 223/1991 sia «artefice di un testo articolato in sequenze che hanno una logica sufficientemente
esplicitata», sebbene evidenzi come sia assente un’esplicita connessione tra integrazione salariale e
licenziamenti collettivi; v. anche U. CARABELLI, I licenziamenti per riduzione di personale in Italia, cit., pp.
161-164. Per un’impostazione analoga, sebbene prima dell’entrata in vigore della legge n. 223/1991, v. M.
MISCIONE, Cassa integrazione e tutela della disoccupazione, Jovene, Napoli, 1978, p. 180. Di sequenzialità
meramente statistica e non anche legale parla L. FORLANI – R. TANGORRA, Contributo per il rapporto di
valutazione sulla European Employment Strategy, paper, 2001, p. 14. Ovviamente, ciò non toglie che le
fattispecie siano e rimangano «fattualmente e giuridicamente distinte», come afferma M. CINELLI, La riforma
del mercato del lavoro nella legge n. 223 del 1991 tra razionalizzazione e compromesso, in ID., Il fattore
occupazionale nelle crisi di impresa, Giappichelli, Torino, 1993, pp. 3 ss., p. 6. Per l’esistenza del principio di
extrema ratio v. F. MAZZIOTTI, Riduzione di personale e sistema di mobilità, in G. FERRARO- F. MAZZIOTTIF. SANTONI, Integrazioni salariali, eccedenze di personale e mercato del lavoro. Commento sistematico alla l.
223/1991, Jovene, Napoli, 1992, ppp. 95 ss., p. 112; contra, M. MISCIONE, I licenziamenti per riduzione di
personale e la mobilità, in AA.VV., La disciplina dei licenziamenti, dopo le leggi 108/1990 e 223/1991,
Jovene, Napoli, p. 328; G. FERRARO, Le integrazioni salariali, in G. FERRARO- F. MAZZIOTTI- F. SANTONI,
Integrazioni salariali, eccedenze di personale e mercato del lavoro. Commento sistematico alla l. 223/1991,
p. 9. In giurisprudenza qualifica il ricorso alla CIGS come “extrema ratio” Trib. Milano 18 ottobre 1986, cit.
51
V. l’art. 24, 3° comma, legge n. 223/1991, come modificato dall’art. 8, 1° comma, d.l. n. 148/1993, conv. in
legge n. 236/1993. Sul punto v. U. CARABELLI, I licenziamenti per riduzione di personale in Italia, cit., p.
121, che ricollega la “sovracontribuzione” ad «esigenze sociali di responsabilizzazione dell’impresa stessa»,
ponendo a suo carico «corposi oneri economici per i lavoratori espulsi». Sembra ipotizzare una sorta di
alleggerimento del costo a carico del datore di lavoro, attraverso il mancato versamento della contribuzione
11
scoraggia la minore utilizzazione della CIGS rispetto a quella consentita; la seconda,
invece, la mancata utilizzazione52.
Si è discusso, poi, se sussista la condizione per ottenere il rimborso della quota di TFR
nell’ipotesi del licenziamento al termine dell’intervento CIGS, ove tra i due eventi si
collochi un periodo di intervento CIGS in deroga, che non dà diritto al rimborso.
In base ad orientamenti precedenti, l’INPS aveva precisato che la possibilità di rimborso
delle quote di TFR è preclusa in caso di soluzione della continuità cronologica tra
sospensione dal lavoro e licenziamento, e che le quote rimborsabili sono soltanto quelle dei
periodi integrati immediatamente precedenti il licenziamento, non ascrivendo ad eventi
interruttivi l'astensione per maternità, le festività, la rioccupazione a tempo determinato
presso altra impresa se regolarmente comunicata53.
Altrettanto non può essere considerato evento interruttivo della continuità cronologica la
sospensione per CIG in deroga, in quanto il finanziamento della misura è attribuito ad un
fondo di natura non contributiva.
Infine, va segnalata la soluzione prospettata dal Supremo Collegio che esclude la necessità
della procedura di anticipazione, da parte del datore di lavoro, con successivo rimborso in
favore di quest’ultimo, riconoscendo una legittimazione diretta dei lavoratori nei confronti
del Fondo54.
v. Preavviso e/o indennità sostitutiva
Sempre in relazione alla cessazione del rapporto di lavoro, si è discusso circa la
cumulabilità tra sospensione con collocazione in CIGS e preavviso, ovvero tra
integrazione salariale e indennità sostitutiva del mancato preavviso. La soluzione,
ovviamente, non coincide per le due ipotesi.
Con riferimento al preavviso va esclusa la cumulabilità con la sospensione in CIGS, in
quanto il primo presuppone l’effettuazione dell’attività lavorativa, ovvero il rifiuto della
stessa da parte del datore di lavoro, entrambi incompatibili con la sospensione.
A soluzione opposta, e quindi in favore della cumulabilità, potrebbe pervenirsi con
riferimento all’indennità sostitutiva del mancato preavviso; ma a ben guardare in questo
caso non si pone un problema di cumulo, in quanto l’indennità sostitutiva del mancato
preavviso presuppone la cessazione del rapporto e quindi, anche quella della
sospensione55. Conferma di tale soluzione promana da un intervento della Cassazione a
Sezioni Unite56 che, in relazione ad intervento CIGS successivo a provvedimenti di
maggiorata, in assenza di un termine per l’adempimento, D. GOTTARDI, Legge e sindacato nelle crisi
occupazionali, Cedam, Padova, 1995, p. 115.
52
Secondo D. GOTTARDI, Legge e sindacato nelle crisi occupazionali, cit., p. 114, qualunque tentativo di
individuare un incentivo al ricorso alla CIGS, prima di procedere al licenziamento collettivo, contrasta con la
diversa platea di destinatari dei due istituti e cioè, lavoratori solo temporaneamente da sospendere, nel primo
caso, e definitivamente eccedentari, nel secondo caso.
53
Cfr. msg. INPS 23 ottobre 2009, n. 23953.
54
Così Cass., sez. lav., 26 febbraio 1992, n. 2398, cit.
55
A favore della cumulabilità v. Cass. 25 agosto 1990, n. 8717, in Giust. civ., 1991, I, cc. 317 ss., con nota di
R. DIAMANTI, Indennità sostitutiva del preavviso e integrazione salariale; Cass. 28 maggio 1992, n. 6406, in
Dir. e prat. lav., 1992, p. 2154; Cass. 19 agosto 1993, n. 8766, ivi, 1993, p. 2857; con riferimento specifico
alla cumulabilità dell'indennità sostitutiva del mancato preavviso con il trattamento di integrazione salariale
erogato, ai sensi dell'art. 2, legge 27 luglio 1979, n. 301, in favore dei dipendenti delle aziende fallite, v. Cass.
4 dicembre 1990, n. 11637, in Riv. it. dir. lav., 1991, II, pp. 685 ss., con nota di A. AVIO, Il cumulo tra
l’indennità sostitutiva di preavviso e le prestazioni della cigs; Trib. Alba 15 giugno 1993, in Mass. giur. lav.,
1994, pp. 220 ss., con nota di A. CAIAFA, In tema di cumulabilità dell’indennità sostitutiva del preavviso con
il trattamento di integrazione salariale straordinaria.
56
Cass., Sez. Un., 29 settembre 1994, n. 7914, con nota di G. CIMINO, Problemi di incumulabilità tra Cassa
integrazione guadagni straordinaria e indennità sostitutiva del preavviso, in Giust. civ., 1995, c. 3099 ss.; in
12
licenziamento, sospesi onde consentire l’intervento (v. art. 2, legge n. 301/1979), ha
escluso il cumulo 57, richiamando la natura stessa della integrazione salariale58, il fatto che
l’erogazione della CIG, ai sensi dell’art. 3, d.lgs.lgt. n. 788/1945, presuppone un rapporto
in atto, la qualificazione retributiva della indennità sostitutiva59 ed infine l’irrilevanza ai
fini della decorrenza della pensione di anzianità del periodo coperto dalla indennità
sostitutiva.
L’intervento CIG non costituisce, secondo la giurisprudenza di merito, giusta causa di
recesso da parte del lavoratore, che, in caso di dimissioni, resta obbligato al preavviso,
ovvero, in mancanza, al pagamento dell’indennità sostitutiva60.
vi. diritti sindacali
Infine, ci si chiede se la sospensione può riflettersi sull’esercizio dei diritti sindacali, sanciti
nello Statuto dei lavoratori, da parte dei soggetti collocati in CIG, concludendosi in senso
negativo61, salva l’ipotesi dell’incompatibilità di tale esercizio con la sospensione62. Tale
tematica va, invero, oggi ripensata in relazione alla condizionalità, ponendosi il diverso e
antitetico interrogativo se il lavoratore sospeso ed avviato ad un corso di formazione
professionale possa, in relazione alla partecipazione a quest’ultimo, esercitare le
prerogative previste dallo Statuto dei lavoratori, ad esempio in tema di permessi sindacali
retribuiti. Si è dell’opinione che la risposta debba essere affermativa, col limite del
raggiungimento dell’obiettivo formativo63
b. Illeciti datoriali di natura permanente preesistenti e incidenza della sospensione
Fallimento, 1995, pp. 382 ss., con nota di V. CARBONE, È cumulabile l’indennità di preavviso con il
trattamento di cigs? Adesivamente, A. MANNA, La cassa integrazione guadagni, cit., pp. 199 ss., secondo il
quale diversamente «si verificherebbe un’ingiustificata duplicazione lato sensu retributiva per il medesimo
periodo, in contrasto con la finalità della c.i.g.».
57
Cfr. G. CIMINO, Problemi di incumulabilità tra Cassa integrazione guadagni straordinaria e indennità
sostitutiva del preavviso, cit.
58
V. Cass., Sez. Un., 20 giugno 1987, n. 5456, in Informazione previd., 1987, pp. 1011 ss.
59
Così Cass. 21 marzo 1990, n. 2328, in Mass. giur. lav., 1990, p. 193; Cass. 22 febbraio 1993, n. 2114, in
Riv. it. dir. lav., 1993, II, p. 803; Cass. 12 ottobre 1993, n. 10086, in Foro it., 1994, I, c. 1493, tutte sulla base
del presupposto che essa «inerisce istituzionalmente al rapporto di lavoro, ponendosi in connessione con la
retribuzione cui il dipendente avrebbe avuto diritto in caso di normale preavviso».
60
V. Pret. Brescia 22 maggio 1984, in Giust. civ., 1984, I, c. 3198; Trib. Bari 18 aprile 2007, in
Giurisprudenzabarese.it, 2007. Si segnala che la Cassazione ha escluso che le dimissioni di un lavoratore in
CIG legittimino il datore alla sospensione di un altro lavoratore in sostituzione del dimissionario; in questo
senso cfr. Cass. 2 agosto 1996, n. 6991, in Mass. giur. lav., 1996, pp. 756 ss., con nota di M.A. ROSSI,
«Garantismo» della procedura di consultazione sindacale per Cigs; ivi, 1997, pp. 235 ss., con nota di E.
MINALE COSTA, Limiti procedurali e tutela dell’occupazione nella cig.
61
M. PERSIANI, Cassa integrazione, poteri dell’imprenditore e scelta dei lavoratori, in Giornale dir. lav. e
relazioni ind., 1983, pp. 341 ss., p 356.
62
V. A. MANNA, La Cassa Integrazione Guadagni, cit., pp. 212 ss.
63
Quanto alla legittimità dell’accesso al locale sindacale (ma non anche a quelli adibiti all’attività produttiva)
da parte degli RSA, fuori servizio o in CIGS, v. Pret. Cassino (decr.) 11 dicembre 1995, in Foro it., 1996, I, c.
721 ss., spec. 735. Del pari, parte della dottrina è favorevole all’uso del locale sindacale, a maggior ragione,
durante lo sciopero, per la valenza di momento catalizzatore dell’attività sindacale (ed ancor più in occasione
della serrata); in tal senso v. N. CRISCI, Art. 27. Locali delle rappresentanze sindacali aziendali, in U.
PROSPERETTI (diretto da), Commentario dello Statuto dei lavoratori, Giuffrè, Milano, 1975, II, pp. 882 ss., p.
894; ID., Art. 27, l. 20 maggio 1970, n. 300, in P. PERLINGERI (a cura di), La legislazione civile annotata con
la dottrina e la giurisprudenza, Rapporti di lavoro e loro tutela, Esi, Roma, vol. 9, 1985, pp. 578 ss., p. 582;
U. CARABELLI, Art. 27 (Locali delle rappresentanze sindacali aziendali), in G. GIUGNI (diretto da), Lo statuto
dei lavoratori. Commentario, Giuffrè, Milano, 1979, pp. 441 ss., p. 450; M. MEUCCI, Sul locale per le r.s.a.,
nota a Cass. 1 marzo 1986, n. 1321, in Mass. giur. lav., 1986, pp. 359 ss., p. 360; da ultimo v. V. LAMONACA,
Il locale sindacale, ivi, 2010, 112 ss.
13
L’effetto sospensivo degli obblighi contrattuali, determinato dal ricorso alla CIG, nei limiti
di cui innanzi, non incide, nel senso che non la elide, sulla violazione di taluni obblighi,
perpetrata dal datore di lavoro prima dell’inizio della sospensione dell’attività lavorativa,
come recentemente statuito dalla Suprema Corte, secondo la quale ove il datore di lavoro
abbia, unilateralmente e ingiustificatamente, rifiutato la prestazione del lavoratore non
adibendolo ad alcuna attività, con conseguente sua dequalificazione professionale, la
successiva sospensione del rapporto per CIGS non determina - qualora sia stata accertata
l'illegittimità della condotta - la cessazione della permanenza dell'illecito, lasciando
inalterato l'inadempimento del datore di lavoro dell'obbligo di attivarsi per consentire
l'esecuzione della prestazione medesima64.
4. Ammortizzatori sociali e contratti formativi
Un ulteriore aspetto che sembra interessante trattare è quello dell’applicabilità della
normativa in tema di licenziamenti collettivi e di ammortizzatori sociali, ai lavoratori
assunti con i contratti formativi.
Con riferimento alla Cigs, si registrano due soluzioni diverse, ritenendosi ammissibile
l’intervento per i lavoratori assunti con il contratto di formazione e lavoro e non anche per
quelli assunti con il contratto di apprendistato.
Con riferimento al c.f.l., l’INPS65, recependo l’orientamento unanimemente espresso dalla
giustizia amministrativa e ordinaria66, ha ritenuto applicabile la Cigs ai lavoratori assunti
con tale contratto, sulla base del rilievo che il legislatore ha affermato la sostanziale
identità della disciplina del contratto “di formazione e lavoro” con quella del contratto “di
lavoro subordinato” in senso stretto. Ancorché i tempi e le modalità di svolgimento
dell’attività di formazione e lavoro possano essere differenti (dato che sono stabiliti
mediante progetti predisposti dagli Enti pubblici economici, dalle imprese e loro consorzi),
non vi sarebbero reali ragioni per negare la sostanziale identità della causa
(civilisticamente intesa) del contratto, da individuarsi nello scambio “lavoro contro
retribuzione”. Si è quindi ritenuto legittimo, non ricorrendo specifici divieti, applicare ai
rapporti di formazione e lavoro l’identico regime delle integrazioni sociali, che è valido
per i rapporti di lavoro ordinari.
Viceversa, per quanto riguarda gli apprendisti, il Ministero del Lavoro, con circolare del 5
novembre 2007, n. 32, ha escluso la possibilità di estendere a questa categoria di lavoratori
l’orientamento innanzi richiamato per i c.f.l., sulla base del rilievo che la sospensione
dell’attività mal si concilia col fine formativo.
Tuttavia, deve rilevarsi che, al fine di fronteggiare la crisi economica, il d.l. 29 novembre
2008, n. 185, conv. in l. 28 gennaio 2009, n. 2, ha disposto all’art. 19, comma 1, lett. c), in
via sperimentale per il triennio 2009-2011, in caso di sospensione per crisi aziendali o
occupazionali, ovvero in caso di licenziamento, la corresponsione agli apprendisti
dell’indennità di disoccupazione ordinaria con requisiti normali, per la durata massima di
90 giornate nell’arco del rapporto, subordinatamente ad un intervento integrativo, pari
almeno al 20% dell’indennità, a carico degli enti bilaterali operanti nel settore.
Ove sia cessato tale intervento, ovvero non sia possibile in mancanza dell’intervento
integrativo degli enti bilaterali, il Ministero del lavoro ha sostenuto l’ammissibilità, ai
64
Cass. 7 maggio 2008, n. 11142, in Lav. giur., 2008, p. 954.
Circ.
Inps
6
ottobre
2006,
n.
107,
in
http://www.inps.it/Circolari/Circolare%20numero%20107%20del%206-10-2006.htm
66
T.A.R. Lazio 10 ottobre 2005, n. 8138, in FA-T.A.R., 2005, 3221; Cons. Stato 25 ottobre 1996, n. 1412, in
FA, 1996, 2946; Cass. 23 dicembre 2002, n. 18296, in Giust. Civ. Mass., 2002, 2241; Cass. 13 aprile 1995, n.
4227, in O.G.L., 1995, 486; Cass, 1 marzo 1993, n. 2510, in Giust. Civ. Mass., 1993, 409.
65
14
sensi del successivo comma 867, del ricorso in favore degli apprendisti alla Cigs in deroga,
anche in contemporanea ad una domanda volta ad ottenere la Cigo o la Cigs68.
Riflettendo su questo materiale giurisprudenziale, in funzione della domanda posta
all’inizio, e cioè se le soluzioni giurisprudenziali potessero dirsi coerenti rispetto al
fenomeno collettivo, si può affermare che la giurisprudenza esaminata appare poco attenta
al fenomeno collettivo, privilegiando la tutela del singolo lavoratore: e ciò anche quando si
approcci a questioni inerenti fasi della procedura di intervento che poco hanno a che fare
con la posizione del singolo lavoratore (si pensi alla fase di comunicazione preventiva alle
organizzazione sindacali) e molto con gli interessi collettivi e generali.
Le linee di tendenza, che emergono nelle pronunce esaminate, sembrano dunque andare
nella direzione di un’individualizzazione, talvolta eccessiva, di un fenomeno che è
innanzitutto collettivo/pubblicistico.
La tematica degli esuberi di personale è di evidente e drammatica attualità, sicché non può
non auspicarsi un ripensamento nella soluzione dei singoli casi che contemperi in maniera
più equilibrata gli interessi pubblici, collettivi e privati coinvolti nelle procedure in esame,
in cui emerge la tensione tra libertà d’impresa, diritto all’occupazione e interesse pubblico
al buon governo del mercato del lavoro.
Oltretutto, il disallineamento tra le linee guida dettate dall’evoluzione legislativa e
contrattuale (che tendono ad estendere l’ambito applicativo dei benefici in esame, al fine
di fronteggiare la situazione di crisi che coinvolge un numero sempre più considerevole di
aziende), rispetto a pronunciamenti della magistratura del lavoro talvolta troppo
“ingessate”, introduce un ulteriore elemento di instabilità nel mercato, economico e del
lavoro, che non può sottovalutarsi, ingenerando nei datori di lavoro sempre maggior
incertezza nella definizione di criteri di gestione degli esuberi di personale in grado di
superare il vaglio del sindacato giudiziale.
5. Le causali di intervento CIGO
Per avere un primo elenco dei casi in cui è dovuta l’integrazione salariale in favore degli
operai dipendenti da imprese industriali, con sospensione totale o parziale delle prestazioni
di lavoro, bisogna attendere il 1975. Infatti, la legge n. 164/1975 prevede che la CIGO per
contrazione o sospensione dell'attività produttiva sia erogata per situazioni aziendali dovute
ad eventi transitori e non imputabili all'imprenditore69 (per tali dovendosi intendere tutti
67
L’art. 19, co. 8, d.l. n. 185/2008, prevede che «Le risorse finanziarie destinate agli ammortizzatori sociali in
deroga alla vigente normativa (…) possono essere utilizzate con riferimento a tutte le tipologie di lavoro
subordinato, compresi i contratti di apprendistato e di somministrazione (…)».
68
Nota Min. lav. 5 giugno 2009, prot. n. 25/I/0008318, interpello n. 52/2009, in http://www.lavoro.gov.it/NR/
rdonlyres/E3613D6A-87C1-4D34-9869-7AD89892BEF9/0/522009.pdf
69
Per TAR Piemonte, Torino, sez. II, 14 novembre 2008, n. 2877, in Foro amm. – TAR, 2008, p. 2968, la
CIGO presuppone una situazione di temporanea crisi produttiva, connessa ad una situazione transitoria e
contingente, sostanzialmente avulsa dalle possibilità di controllo dell'imprenditore, e il riconoscimento di tali
presupposti dipende da un apprezzamento dell'amministrazione caratterizzato da ampia discrezionalità,
pertanto non censurabile se non per manifesta illogicità. Cfr. anche TAR Campania, Napoli, sez. III, 4 aprile
2002, n. 1863, in Foro amm. – TAR, 2002, p. 1354, che annovera nell’evento integrabile la difficoltà di
approvvigionamento delle scorte, l'interruzione di fornitura di energia elettrica, l'ordine di sospensione
dell'attività emesso dall'autorità sanitaria, l'occupazione dello stabilimento compiuta da terzi. Da ultimo si
segnalano TAR, Puglia, Lecce, sez. I, 3 dicembre 2009, n. 2976, in Foro amm. - TAR, 2009, p. 3602, cha ha
ritenuto imputabile al datore e quindi non integrabile, la sospensione dell'attività produttiva derivante da
condotte dell'imprenditore, che possano anche acquisire rilevanza sotto il profilo della responsabilità penale,
costituendo evento direttamente imputabile a quest’ultimo e ricadendo esclusivamente nella sua sfera
giuridica e patrimoniale. La valutazione negativa dell’evento, poi, non cambia anche nel caso di successiva
archiviazione dell’indagine penale, essendosi interrotta l'attività lavorativa in conseguenza di scelte
imprenditoriali sostanzialmente errate (TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste, 9 marzo 2006, n. 177, in Foro
15
quei fatti strettamente connessi all'attività produttiva, ma indipendenti dalla reale volontà
dell'imprenditore e dal normale andamento dell'azienda)70, o agli operai71 (es. sciopero)72,
ovvero determinate da situazioni temporanee di mercato73 (es. calo di commesse74),
riconducibili anche alla mera difficultas75.
A fronte delle due causali, enunciate nella legge n. 164/1975 (art. 1, n. 1), quest’ultima
decreta la non obbligatorietà dell’esame congiunto (art. 5, 1° comma), e la non operatività
del limite massimo e dell’intervallo minimo (art. 6, 5° comma), nonché la non
obbligatorietà del contributo addizionale (art. 12, n. 2), nei casi di intervento determinato da
«eventi oggettivamente non evitabili», che rendano non differibile la contrazione o la
sospensione dell'attività produttiva», utilizzando in tutti e tre i casi un’espressione non
perfettamente coincidente con quella sub art. 1, n. 1, lett. a), ove è enunciata l’ipotesi degli
«eventi transitori e non imputabili all’imprenditore e agli operai»76. Secondo una certa
teoria, nell’art. 6, 5° comma, sarebbe enunciata una terza causa integrabile, di portata più
ristretta rispetto a quelle enunciate nell’art. 1, n. 1, produttiva, come visto, di effetti
diversi77
Secondo Maria Vittoria Ballestrero l’ipotesi in questione costituirebbe una species del più
ampio genus degli eventi non imputabili78.
amm. TAR, 2006, p. 923). A sua volta Cons. Stato 22 novembre 2010, n. 8129, in D&G, 2010, esclude
l’integrabilità nel caso di l’interruzione del ciclo di lavoro dovuto alla presenza di linee elettriche e telefoniche
in interferenza con il tracciato stradale da realizzare costituisce un fatto prevedibile con l’ordinaria diligenza
sia nella fase di progettazione, che in quella di esecuzione dei lavori. In tal caso non si versa a fronte di un
rischio di impresa per fatti che sfuggono con carattere di non eludibilità al controllo dell’appaltatore e della
stessa committenza.
70
Così TAR Campania, Napoli, sez. III, 4 aprile 2002, n. 1863, cit.; TAR Campania, Napoli, sez. III, 8
maggio 2008, n. 3670, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 2002, n. 1844, cit.; Cass., Sez. Un., 10 agosto 2005,
n. 16780, cit.
71
V. circ. INPS 29 ottobre 2003, n. 169, in Dir. e prat. Lav., 2003, p. 2959.
72
Cfr. M.V. BALLESTRERO, Cassa integrazione guadagni e contratto di lavoro, Giuffrè. Milano, 1985, pp.
40-41; M. MISCIONE, Il trattamento della cassa integrazione guadagni ordinaria (anche in rapporto alle
varie vicende del rapporto di lavoro), in M. MISCIONE (a cura di), Il rapporto di lavoro subordinato: garanzie
del reddito, estinzione e tutela dei diritti, in F. CARINCI (diretto da), Diritto del lavoro, Commentario, Utet,
Torino, 2007, III, p. 66. In giurisprudenza v. Cass., sez. lav., 28 aprile 1983, n. 2945, in Mass. Giust. civ.,
1983, fasc. 4; Cass., sez. lav., 27 gennaio 1984, n. 666, in Riv. giur. lav., 1984, II, p. 84; per la giurisprudenza
di merito v. Pret. Milano 3 giugno 1983, in Orient. giur. lav., 1983, p. 1328; Pret. Milano 17 giugno 1983, in
Tributi, 1983, p. 969.
73
V. l’art. 1, 1° comma, n. 1, lett. b), legge n. 164/1975. Sul punto v. Corte cost. 9 dicembre 1991, n. 439, in
Riv. it. dir. lav., 1992, II, pp. 511 ss., con nota di L. MARRA, La cassa integrazione al vaglio della corte
costituzionale, e in Dir. giur., 1992, pp. 569, con nota di P. CARRANO, La disciplina della cig ordinaria al
vaglio della corte costituzionale, che ha rigettato la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli
art. 3, 2° comma, 36, 1° comma, 38, 2° comma, 41, 1° e 2° comma, 97, 1° comma, Cost., con riferimento
all'art. 1, n. 1, lett. b, della legge 20 maggio 1975 n. 164, nella parte in cui consente l'ammissione delle
imprese al beneficio dell'integrazione salariale ordinaria in caso di sospensione o contrazione dell'attività
produttiva, dovuta a temporanee situazioni di mercato.
74
Cfr. Trib. Frosinone 2 luglio 1999, in Guida al lavoro, 1999, n. 45, p. 26.
75
V. M. CINELLI, voce Retribuzione dei dipendenti privati, in Noviss. Dig. It., app. VI, Utet, Torino, 1986, pp.
652 ss., p. 679.
76
Cfr. TAR Lecce – Puglia, sez. I, 21 dicembre 2006, nn. 6034 e 6035, in Foro amm. - TAR, 2006, p. 3981.
77
È l’opinione di M. MISCIONE, Cassa integrazione e tutela della disoccupazione, cit., pp. 158 ss., secondo
cui gli «eventi oggettivamente non evitabili» di cui all’art. 5, legge n. 164/1975, costituirebbero una terza
causa integrabile, estremamente restrittiva rispetto alle due precedenti di cui all’art. 1, e produttiva di effetti
diversi, con riferimento agli aspetti procedurali (art. 5), al superamento dei limiti di durata dell’intervento (art.
6) e all’esonero dal contributo addizionale.
78
Cfr. M.V. BALLESTRERO, Cassa integrazione guadagni e contratto di lavoro, cit., p. 189. Tale tesi sembra
aver ricevuto l’avallo dell’INPS, secondo cui sono oggettivamente non evitabili gli eventi «determinati da
cause di forza maggiore e caso fortuito e quindi esterni all’azienda, improvvisi, non prevedibili e non
16
Entrambe le soluzioni non sono accettabili in quanto non sono in grado di superare
l’argomento letterale fornito dall’art. 5, legge n. 164/1975, ove, dopo aver disciplinato ai
commi 1°, 2°, e 3°, la procedura da seguire «nei casi di eventi oggettivamente non
evitabili», disciplina nei commi 4° e seguenti la procedura da applicare «negli altri casi di
contrazione o sospensione dell’attività produttiva di cui all’art. 1», in tal modo
ricomprendendo l’ipotesi disciplinata nei commi precedenti tra i casi di cui all’art. 1. Ove si
fosse trattata di un’ipotesi terza, rispetto a quelle previste nell’art. 1, il legislatore avrebbe
omesso l’aggettivo indefinito «altri». In conclusione, la seconda espressione utilizzata dal
legislatore è esplicativa della prima.
6. Le causali di intervento ed i “numeri” della CIGS
L’integrazione salariale straordinaria è uno dei tanti istituti lavoristico-previdenziali
assoggettati alla tecnica dei “numeri”, e cioè ad una disciplina differenziata in base al
numero dei dipendenti, però con una differenza di rilievo rispetto alle normative che
impongono obblighi solo ai datori di lavoro che superano una certa soglia numerica79. Ed
infatti, nel caso dell’integrazione salariale, la condizione di occupare più di quindici
lavoratori come media del semestre antecedente la data di presentazione della richiesta80,
introdotta ai fini dell’intervento CIGS81 con l’art. 1, 1° comma, legge n. 223/199182 e valida
anche per il licenziamento collettivo per riduzione di personale83, consente l’accesso a
facoltà e/o tutele viceversa negate alle aziende che si attestano al di sotto di tale soglia,
rappresentando in ultima analisi una sorta di compensazione dei vincoli ad esse imposti,
specie se si considera la non casuale coincidenza della soglia numerica84.
Meccanismo di compensazione pienamente operante per le imprese industriali, ma solo
parzialmente per quelle commerciali, considerato che queste ultime per poter attingere alla
rientranti nel rischio di impresa», non determinati, lato sensu, dal comportamento dell’imprenditore (circ.
INPS 27 giugno 1975, n. 57684 G.S.).
79
Per una breve rassegna degli istituti “attivabili” solo al superamento della fatidica soglia delle 15 unità
lavorative v. G. FERRARO, Le integrazioni salariali, cit., pp. 41-43, che adombra a riguardo sospetti di
illegittimità costituzionale. In generale, sull’onere della prova dell’esistenza del requisito occupazionale a
carico del datore di lavoro v. A. MANNA, La Cassa Integrazione Guadagni, cit., p. 59. Con specifico
riferimento, invece, al rapporto tra soglia dimensionale e CIG v. A. ALLAMPRESE – G. NACCARI, Diritti e
ammortizzatori sociali per i lavoratori delle imprese sopra e sotto la soglia dei 15 dipendenti omogeneità e
differenze di trattamento, in Riv. giur. lav., 2004, I, pp. 231 ss.
80
Adombra dubbi di legittimità costituzionale su questo limite dimensionale, generalizzato discrimine per la
fruizione di una serie di discipline protettive in favore dei lavoratori coinvolti, M. CINELLI, La riforma del
mercato del lavoro nella legge n. 223 del 1991 tra razionalizzazione e compromesso, cit., pp. 11-12.
81
Va ricordato che il limite dimensionale calcolato con riferimento alla media di un determinato arco
temporale era già previsto dall’art. 13, legge n. 164/1975, ma con riferimento alla determinazione della misura
del contributo ordinario e addizionale, sicchè la novità, introdotta con la legge n. 223/1991, riguarda il campo
di intervento dell’integrazione salariale straordinaria. Sul meccanismo di misurazione della dimensione
aziendale che utilizza il criterio della «media» v. C. DE MARTINO, La Cassazione torna sul requisito
dimensionale per l’accesso agli ammortizzatori sociali nel settore commerciale, nota a Cass. 30 dicembre
2009, n. 27764, in Riv. giur. lav., 2010, II, pp. 476 ss., pp. 478 ss.
82
Come evidenzia U. CARABELLI, I licenziamenti per riduzione di personale, cit., p. 342, trattasi di requisito
assolutamente nuovo; allo stesso modo G. FERRARO, Le integrazioni salariali, cit., p. 39. Sul punto v. circ.
INPS n. 211/1991, cit.
83
V. gli artt. 4 e 24, legge n. 223/1991. Per l’operatività della media anche per le fattispecie disciplinate da
queste due norme v. P. CHIECO, I licenziamenti per riduzione di personale nelle procedure concorsuali in
Italia, in AA.VV., I licenziamenti per riduzione di personale in Europa, Cacucci, Bari, 2001, pp. 225 ss.
84
Un’eccezione al limite numerico dei sedici addetti è rinvenibile per i lavoratori occupati in imprese che
utilizzano ovvero estraggono amianto, nell’art. 13, 1° comma, legge n. 257/1992, a seguito della modifica ad
esso apportata dall’art. 4, 20° comma, legge n. 608/1996.
17
CIGS, restando totalmente escluse dalla CIGO, devono superare una soglia numerica molto
elevata (più di 200 dipendenti)85 rispetto alle prime (più di 15 dipendenti)86.
Un’altra caratteristica delle soglie numeriche in tema di CIGS riguarda, per un verso, i
lavoratori computabili87, e per altro verso, il meccanismo di computo dell’organico,
considerato che, con riferimento ai primi, quelli esclusi in relazione alle normative
vincolistiche sono invece inclusi in relazione al campo di intervento dell’integrazione
salariale (si fa riferimento in modo specifico ai lavoratori assunti con contratti formativi)88.
Per quanto riguarda, poi, il meccanismo di computo, il legislatore utilizza, in modo
esplicito, la media semestrale89, che la giurisprudenza, sia pure in modo non sempre
matematico, ha poi esteso alla materia dei licenziamenti individuali, per ovviare a fittizi
decrementi in prossimità del recesso90. Peculiare, poi, è la gestione delle richieste presentate
prima che siano trascorsi sei mesi dal trasferimento di azienda, visto che tale requisito deve
sussistere, per il datore di lavoro subentrante, «nel periodo decorrente alla data del predetto
trasferimento»91.
Il meccanismo di computo previsto dall’art. 1, 1° comma, legge n. 223/1991, per le imprese
del settore industriale, va applicato anche a quelle commerciali, pur in presenza di una
diversa formulazione della norma, che ha esteso a queste ultime l’intervento CIGS, e cioè
l’art. 12, 3° comma, della stessa legge, dovendosi ritenere implicito il rinvio di quest’ultima
disposizione alla prima92.
85
Sull’utilizzabilità della media semestrale anche per le imprese commerciali v. F. DI NUNZIO, Commento
all’art. 12, Commento all’art. 12, in M. PERSIANI (a cura di), Commentario alla l. 23 luglio 1991, n. 223, cit.,
pp. 1011 ss., p. 1014 e di recente Cass. 30 dicembre 2009, n. 27764, cit.
86
V. A. MANNA, La Cassa Integrazione Guadagni, cit., pp. 52 ss.
87
Cfr. Circ. INPS n. 211/1991, cit. In giurisprudenza, sul punto, Cass. 10 maggio 2003, n. 7170, in Mass.
giur. lav., 2003, p. 752.
88
Sulla computabilità di questi lavoratori, anche nei settori artigianato e commercio, ai quali è stato esteso
l’intervento CIGS, ex art. 12, legge n. 223/1991, v. F. DI NUNZIO, Commento all’art. 12, cit., p. 1014.
Originariamente di avviso contrario, con riferimento al commercio, v. circ. INPS n. 211/1991.
89
Circ. INPS n. 211/1991, cit., prevede che nel determinare la media occupazionale bisogna tener conto anche
dei periodi di sosta di attività e di sospensioni stagionali nel semestre considerato. Quanto alle aziende di
nuova costituzione, il semestre, analogamente ai casi di trasferimento d’azienda, si determinerà in relazione ai
mesi di attività, se inferiori al semestre. Successivamente, circ. INPS 7 novembre 1991, n. 256, ha precisato
che il computo del limite dimensionale deve essere effettuato con riferimento all’unità produttiva alla quale
siano addetti i lavoratori per i quali si richiede l’intervento. Va segnalato che sino al 2010, in forza della
diversa formulazione della norma che prevedeva la soglia dimensionale per le imprese commerciali (art. 12,
3° comma, legge n. 223/1991), rispetto a quella che fissava il limite per le imprese industriali (art. 1, 1°
comma, legge n. 223/1991), si riteneva da parte dell’INPS non operante per le prime né l’inclusione dei
lavoratori assunti con contratto di apprendistato e formazione e lavoro, né il riferimento alla media del
semestre precedente la data di presentazione della richiesta di intervento CIGS (in questo senso v. circ. 25
gennaio 1991, n. 19; n. 211/1991, cit.). La differenziazione era stata poi estesa alle imprese commerciali con
più di 50 dipendenti, ammesse in via transitoria all’intervento (v. circ. INPS 20 aprile 1993, n. 93). Anche per
il sopravvenire della CIG in deroga il Ministero ha ritenuto di superare tale differenziazione, sostenendo che il
meccanismo di computo sub art. 1, 1° comma, legge n. 223/119, abbia una valenza generale per tutte le
imprese ammesse al trattamento CIGS (nota Min. lav. 19 maggio 2009, prot. n. 8727); tale posizione è stata,
come si anticipava, recepita dall’INPS che, a partire dal 2010, utilizza, come criterio di computo, per stabilire
l’ammissibilità o meno dell’intervento CIGS, quello enunciato nell’art. 1, 1° comma 1, cit. (circ. INPS 18
febbraio 2010, n. 25). Tale generalizzazione del criterio di computo, ex art. 1, 1° comma legge n. 223/1991,
elimina l’effetto distorsivo collegato ad un computo a base mensile ben presente nel settore del commercio
dove esistono periodi di lavoro caratterizzati dai c.d. picchi, meno ricorrenti nel settore industriale, che,
quindi, alteravano la reale consistenza organica delle aziende commerciali.
90
V. Cass. 3 novembre 1989, n. 4579, in Foro it., 1989, I, c. 3420.
91
V. l’art. 1, 1° comma, legge n. 223/1991. Sulla finalità, contemporaneamente incentivante/disincentivante
della disposizione in questione, v. F. LISO, La gestione del mercato del lavoro: un primo commento alla l. n.
223 del 1991, in Lav. inf., 1992, suppl. n. 12, pp. 7 – 8.
92
V. Cass. 30 dicembre 2009, n. 27764, cit.
18
Interessante è il meccanismo di computo dell’organico aziendale in relazione all’intervento
di integrazione salariale in favore dei lavoratori appartenenti al settore dell’agricoltura,
accordato solo alle imprese che occupino almeno sei lavoratori con contratto a tempo
indeterminato (anche in questo caso soglia numerica perfettamente coincidente con quella
prevista per l’applicazione della tutela reale)93, ovvero che ne occupino quattro con
contratto a tempo indeterminato «e nell’anno precedente abbiano impiegato manodopera
agricola per un numero di giornate non inferiore a milleottanta».
Il legislatore nella ipotesi dell’intervento dell’integrazione nel settore agricolo ha fatto uso
sostanzialmente del criterio comunitario per il computo degli organici, denominato U.L.A.
(unità lavoro anno)94, in funzione estensiva del campo di intervento della CIGS, il che non
lo rende applicabile tout court alla normativa in tema di licenziamenti individuali, il cui
limite di applicabilità va individuato in relazione all’organico standard, depurato cioè di
quegli incrementi connessi ad esigenze straordinarie ed eccezionali.
Nessuna valenza sistematica hanno i c.d. “numeri fotografia”, cioè quelli utilizzati dal
legislatore per accordare l’intervento dell’integrazione salariale a specifiche realtà
aziendali95, ovvero l’intervento “senza numeri”, accordato a prescindere dal livello
occupazionale96.
I “numeri” vengono, poi, in rilievo ai fini della misura del contributo addizionale97,
praticamente raddoppiato oltre una certa soglia numerica98.
Anche in relazione a quest’ultimo profilo il legislatore utilizza il criterio «del numero
medio di dipendenti in forza nell’anno precedente dichiarato dall’impresa (…)» ivi
computandosi «tutti i lavoratori, compresi i lavoratori a domicilio, che prestano la propria
opera con vincolo di subordinazione, sia all’interno che all’esterno dell’azienda». Per le
aziende di nuova costituzione il riferimento temporale è al primo mese di attività99.
La determinazione della misura dei contributi in base al requisito occupazionale diventa
problematica nel caso in cui il datore di lavoro eserciti attività plurime, discutendosi se
bisogna considerare il numero globale dei dipendenti, a prescindere dai settori di attività nei
quali siano occupati, ovvero tenendo distinti gli organici in relazione ad ognuna delle
attività, anche se articolata in più cantieri, stabilimenti o filiali, dislocati nella stessa
provincia o in province diverse. Può condividersi la soluzione adottata dall’INPS che
esclude la sommatoria, in quanto ciò determinerebbe una fittizia alterazione in relazione
alle attività ammesse all’intervento dell’integrazione salariale100.
93
Invero il punto di contatto tra i “numeri” della CIGS e quelli relativi alla disciplina del licenziamento è stato
evidenziato da M. PAPALEONI, Introduzione, in M. PAPALEONI– M. MARIANI– R. DEL PUNTA (a cura di), La
nuova Cassa Integrazioni Guadagni e la mobilità, Cedam, Padova, 1993, pp. 3 ss., p. 21 ss., pur se i “numeri”
non sono perfettamente sovrapposti e sovrapponibili, col rischio, quindi, di avere lavoratori che possono aver
accesso al sostegno del reddito, ma non alla tutela reale.
94
Attinge sostanzialmente al criterio comunitario, pur senza farvi esplicitamente riferimento, A. MANNA, La
Cassa Integrazione Guadagni, cit., p. 62. Adesivamente G. FERRARO, Le integrazioni salariali, cit., p. 40;
contra M. PAPALEONI, La cassa integrazioni guadagni, in M. PAPALEONI– M. MARIANI– R. DEL PUNTA (a
cura di), La nuova Cassa Integrazioni Guadagni e la mobilità, Cedam, Padova, 1993, p. 84, nota 60.
95
Si richiama, ad esempio, l’art. 8, 5° comma, d.l. n. 148/1993, modificato in sede di conversione dalla legge
n. 236/1993.
96
V. per il settore editoria e per i giornali periodici, radiotelevisioni private ed aziende funzionalmente
collegate, gli artt. 35-37, legge n. 416/1981, nonché circ. Min. lav. n. 33/1994.
97
V. l’art. 13, legge n. 164/1975.
98
V. l’art. 12, 2° comma, legge n. 164/1975, che prevede un contributo addizionale pari al 4% per cento a
carico delle imprese fino a cinquanta dipendenti, e all’8% per quelle oltre i cinquanta dipendenti; tali misure
sono state rispettivamente ridotte al 3% e al 4,5% dall’art. 8, 1° comma, legge n. 160/1988.
99
V. l’art. 13, legge n. 164/1975.
100
A riguardo v. circ. INPS 28 ottobre 1988, n. 218, in Dir. e prat. lav., 1988, p. 3319; n. 211/1991, cit., p.
2233; 15 febbraio 1995, n. 44, in Dir. e prat. lav., 1995, p. 846.
19
A differenza della stabilità, quanto a causali di intervento, che caratterizza gli eventi
integrabili con la CIGO, l’intervento straordinario è caratterizzato da un progressivo
arricchimento delle causali, potendosene allo stato individuare ben sette, sintomo della
necessità avvertita dal legislatore di adattare questo ammortizzatore alle situazioni che
caratterizzano un mutevole mercato del lavoro.
Le prime due sono state individuate all’atto dell’istituzione dell’intervento CIGS, con l’art.
2, legge n. 1115/1968, ivi prevedendosi le ipotesi di sospensione determinata da «crisi
economiche settoriali o locali delle attività industriali», nonchè di «ristrutturazione e
riorganizzazione aziendale»101.
La terza causale, introdotta con l’art. 1, legge n. 464/1972, è quella della «conversione
aziendale».
Questa terza causale viene accorpata a quella relativa a ristrutturazioni e riorganizzazioni
dall’art. 1, n. 2, lett. b), legge n. 164/1975, che d’ora innanzi costituiscono, quanto a
disciplina, una causale unica.
Nel 1988 viene eliminata l’altra causale, introdotta nel 1968, e cioè quella delle crisi
economiche settoriali o locali delle attività industriali102.
Tra le pieghe delle disposizioni emanate con la legge n. 675/1977 emerge la seconda
causale (ovviamente, già espungendo dal novero delle causali, quella abrogata nel 1988),
prevedendosi all’art. 21 che il trattamento straordinario va assicurato anche nei casi previsti
dal precedente art. 2, 5° comma, lett. c), e cioè per specifici casi di crisi aziendale che
presentino particolare rilevanza sociale in relazione alla situazione occupazionale locale ed
alla situazione produttiva del settore103.
Tra i casi di non ricorrenza di quest’ultima causale v’era quello della cessazione
dell’attività produttiva; sennonché si è ritenuta non operante l’esclusione ove le imprese
avessero presentato piani di gestione dei lavoratori in esubero, finalizzati a ridurre il ricorso
alla mobilità, configurandosi una fattispecie autonoma rispetto a quella della crisi aziendale
di particolare rilevanza sociale. Dopo un’iniziale disciplina affidata alla decretazione
ministeriale104, la causale è stata giuridificata a partire dall’ottobre 2004 con l’art. 1, legge
n. 291/2004, che ha confermato con norma primaria la separazione105 di questa causale da
quella della crisi aziendale106.
La quarta ipotesi, per le imprese assoggettate a procedure concorsuali, e cioè fallimento,
liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo consistente nella cessione dei
101
Secondo G. FERRARO, Le integrazioni salariali, cit., p. 18, si tratta di formule generiche ed in buona parte
fungibili; adesivamente A. MANNA, La Cassa Integrazione Guadagni, cit., p. 37, che evidenzia come spesso
le causali concorrano tra di loro, combinandosi.
102
L’ipotesi è venuta meno in quanto l'art. 8, 2° comma, legge n. 160/1988 ha abrogato l’art. 1, n. 2, lett. a),
legge n. 164/1975.
103
V. gli artt. 2, 5° comma, legge n. 675/1977 e 1, 5° e 6° comma, legge n. 223/1991; sulla «nebulosità» del
concetto di «crisi aziendale» v. A. MANNA, La Cassa Integrazione Guadagni, cit., p. 36. A riguardo M.
CINELLI, voce Retribuzione dei dipendenti privati, cit., p. 680, ritiene che questa ipotesi di intervento CIGS
segni una «frattura» rispetto alla evoluzione complessiva dell’istituto, poiché per la prima volta l’erogazione
della misura è legittimata da un evento che non presuppone il risanamento e la ripresa dell’attività produttiva.
Adesivamente, M. MAGNANI, Imprese in crisi nel diritto del lavoro, in Dig. it. – sez. comm., vol. VII, Utet,
Torino, 1992, pp. 236 ss., p. 238, secondo la quale con questa disposizione fa ingresso nell’ordinamento il
trattamento di integrazione salariale sine die. Per ulteriori riflessioni su questa ipotesi di CIG e più in generale
sulla legge n. 675/1977 v. L. MARIUCCI, I licenziamenti «impossibili»: crisi aziendale e mobilità del lavoro, in
Riv. trim. dir. e proc. civ., 1979, pp. 1392 ss.
104
V. d.m. 18 dicembre 2002, n. 31826.
105
Nota Min. lav. 19 maggio 2008, n. 6416, in Guida al lavoro, 2008, n. 22, p. 49, parla di “tertium genus”.
106
Sul punto v. anche il d.m. 15 dicembre 2004, n. 35302, che modifica opportunamente il d.m. 18 dicembre
2002, n. 31826; la circ. Min. lav. 28 ottobre 2004, n. 42, in Guida al lavoro, 2004, n. 44, 43, nonché la nota
Min. lav. 19 maggio 2008, n. 6416, cit.
20
beni, ed infine sottoposizione all’amministrazione straordinaria, è stata introdotta dall’art.
3, legge n. 223/1991, con abrogazione dell’art. 2, legge n. 301/1979107.
Da questa quarta causale è possibile scorporare l’ipotesi dell’assoggettamento
all’amministrazione straordinaria, che si può considerare la quinta causale, in quanto l’art.
7, comma 10-ter, legge n. 236/1993, ha previsto che la durata dell’intervento della CIGS è
equiparata al termine previsto per l’attività del commissario.
Una sesta causale è stata introdotta con l’art. 2, legge 7 marzo 1996, n. 109, che ha aggiunto
nell’art. 3, della legge n. 223/1991, il comma 5-bis, prevedendo l’estensione dell’intervento
CIGS per le imprese assoggettate a procedure concorsuali alle aziende sottoposte a
sequestro o confisca ai sensi della legislazione antimafia (legge n. 575/1965). In questo
caso si applica anche l’intervento per l’edilizia ex art. 10, 1° comma legge n. 223/1991.
Giova, comunque, precisare che il sequestro de quo è fattispecie specifica e distinta dagli
altri provvedimenti di sequestro pur adottabili dall’autorità Giudiziaria108.
La settima ed ultima causale è quella collegata alla stipulazione di un contratto di
solidarietà difensivo, ex art. 1, d.l. 30 ottobre 1984, n. 726, conv. in legge 18 dicembre
1984, n. 863.
7. Anticipazione del trattamento vs. pagamento diretto
Una interessante problematica, sulla quale si è soffermata specie in passato la
giurisprudenza, è quella relativa all’anticipazione della integrazione salariale,
indifferentemente per CIGO e CIGS, per la quale il legislatore ha dettato la scarna
disposizione contenuta nell’art. 12, d.lgs.lgt. n. 788/1945. Ivi si prevede che il datore di
lavoro deve effettuare il pagamento della integrazione agli aventi diritto alla fine di ogni
periodo di paga (1° comma)109, recuperando poi quanto pagato, secondo le norme per il
conguaglio tra contributi dovuti e prestazioni corrisposte (2° comma)110.
Ovviamente, il riferimento operato dal legislatore alla «integrazione» presuppone che sia
stato adottato da parte del soggetto competente il provvedimento di ammissione, sicchè si è
posto un primo quesito con riferimento al periodo che va dall’inizio della sospensione sino
all’adozione di tale provvedimento, che, giova subito anticipare, ha natura costitutiva del
diritto dei lavoratori all’integrazione salariale e previdenziale e retroagisce fino al momento
della sospensione del lavoro, ove il datore di lavoro abbia rispettato il termine di inoltro
della domanda di ammissione111.
107
A riguardo v. G. CIMINO, Tutela previdenziale del lavoratore licenziato in caso di fallimento: cassa
integrazione guadagni straordinaria e pensionamento anticipato, nota a Cass., sez. lav., 12 luglio 1991, n.
7752, in Giust. Civ., 1992, I, cc. 100 ss.
108
V. M. MISCIONE, Cause di intervento, in ID. (a cura di), Il rapporto di lavoro subordinato: garanzie del
reddito, estinzione e tutela dei diritti, pp. 45 ss., p. 51, ed ivi riferimenti giurisprudenziali.
109
Cfr. Cass., sez. lav., 10 aprile 2000, n. 4531, in Mass. Giust. civ., 2000, p. 771, che ritiene ammissibile in
sede di gravame la richiesta di interessi e rivalutazione sulle anticipazioni del trattamento di CIGS dovute dal
datore di lavoro, dopo che in primo grado sia stato fatto valere l'obbligo di quest'ultimo di corrispondere le
retribuzioni ordinarie. Infatti l'obbligo del datore di lavoro consiste, fin dall'inizio, nel pagare
tempestivamente alla scadenza o la retribuzione o l'anticipazione del trattamento di cassa integrazione, sicché
l'evento che muta il titolo dell'obbligazione non incide sulla sua derivazione dal rapporto di lavoro e
sull'essenza retributiva in senso lato (o funzionale), lasciando inalterata la “causa petendi”, poiché il fatto
costitutivo resta identico e si è in presenza di un'ipotesi sostanzialmente equivalente alla diversa
qualificazione giuridica del rapporto controverso operata dalle parti o dal giudice.
110
A. MANNA, La cassa integrazione guadagni, cit., p. 170.
111
In effetti Trib. Siena 27 ottobre 1999, in Riv. critica dir. lav., 2000, p. 158, addossa al datore di lavoro che
abbia provveduto unilateralmente alla sospensione dei lavoratori il rischio dell'operazione, permanendo, nelle
more del procedimento amministrativo, il suo obbligo alla erogazione della retribuzione in favore dei
lavoratori sospesi. Nel caso in cui intervenga il provvedimento ammissivo, detta retribuzione assume
retroattivamente la natura di anticipazione di trattamento previdenziale.
21
In tal periodo non sussiste, quindi, l’obbligo del datore di anticipare il trattamento di
integrazione, ponendosi, quindi, l’interrogativo se, quanto e a che titolo, il datore debba
corrispondere ai lavoratori sospesi, in attesa dell’emanazione del provvedimento di
autorizzazione.
Secondo il consolidato orientamento del Supremo Collegio, il datore di lavoro è tenuto a
corrispondere quanto meno una somma equivalente all’integrazione salariale, la cui
giuridica qualificazione è consentita solo all’esito del procedimento di ammissione, fino al
quale momento costituisce una percentuale (non necessariamente l’80 per cento) della
retribuzione, al cui pagamento il datore di lavoro continua ad essere interamente obbligato
in base alla disciplina generale delle obbligazioni e dei contratti con prestazioni
corrispettive112. Ove intervenga il provvedimento di ammissione, la somma erogata
costituirà anticipazione dell’integrazione; viceversa costituirà un acconto sulla retribuzione
dovuta, ovvero un risarcimento in favore del lavoratore, ove la mancata concessione
dell’integrazione sia imputabile ad un comportamento negligente ovvero omissivo posto in
essere dal datore di lavoro113.
Invero, tale orientamento contrasta con la qualificazione della sospensione disposta dal
datore di lavoro all’esito della procedura che precede la presentazione della domanda di
intervento CIG, individuandosi in tale ipotesi una fase di quiescenza del rapporto regolata
dalla normativa speciale in tema di CIG, che viene meno solo ove quest’ultima venga
negata. La conferma di tale tesi proviene dalla prassi assolutamente invalsa che lega
l’anticipazione anche in tale periodo all’eventuale accordo con le organizzazioni sindacali,
raggiunto in sede di procedura di consultazione, non essendo affatto rara l’ipotesi che in
questa sede venga esclusa qualunque erogazione, ovvero previsto il pagamento di una
somma inferiore all’integrazione, in alcuni casi imputato ad anticipo sul TFR.
Tale soluzione trova un’ulteriore conferma nell’ipotesi di pagamento diretto, che viene
ammesso a condizione che il datore di lavoro adduca e comprovi una grave situazione di
illiquidità e/o di dissesto finanziario, per cui non v’è neanche l’obbligo di anticipazione una
volta adottato il provvedimento di ammissione. Orbene, se fosse fondata la tesi sostenuta
dalla Cassazione, il datore di lavoro che non sia in condizione di anticipare l’integrazione
sarebbe invece paradossalmente obbligato a corrispondere ai dipendenti sospesi quanto
meno l’80 per cento della retribuzione fintanto che intervenga il provvedimento di
ammissione, perché opererebbero in questa fase i principi generali in tema di contratti a
prestazioni corrispettive.
Del resto non è casuale che non è dato reperire una giurisprudenza che si sia occupata, in
applicazione del principio di diritto enunciato dal Supremo Collegio, degli obblighi del
datore di lavoro nella fase antecedente al provvedimento di ammissione o in caso di rigetto
della domanda di CIG.
Una volta intervenuto il provvedimento di ammissione, scatta l’obbligo per il datore di
lavoro di anticipare il trattamento di integrazione salariale, secondo la statuizione contenuta
112
V. Cass. 10 ottobre 1994, n. 8275, in Dir. e prat. lav., 1995, p. 529; Cass., sez. lav., 13 novembre 2000, n.
14670, in Mass. Giust. civ., 2000, p. 2305; Cass., sez. lav., 16 giugno 2003, n. 9635, in Mass. Giust. civ.,
2003, fasc. 6; Trib. Grosseto 19 febbraio 2004, in Lav. giur., 2004, p. 707.
113
Cfr. Cass., sez. lav., 13 novembre 2000, n. 14670, cit. Giova, però, sul punto richiamare anche quella
giurisprudenza, che ha analizzato i rapporti tra lavoratori, datore e INPS, secondo cui, ove all’intervento CIG
con trattamento erogato dall'INPS, succeda un provvedimento giudiziale di ripristino ab initio del rapporto di
lavoro, con conseguente diritto dei lavoratori alla retribuzione, l'ente previdenziale sarebbe l'unico soggetto
legittimato ad agire nei confronti dei medesimi per la ripetizione delle somme che risultano indebitamente
erogate (essendo venuto meno il titolo giuridico del pagamento); a tale controversia resta pertanto estraneo il
datore di lavoro, il cui obbligo di anticipazione dell'integrazione concerne esclusivamente il rapporto interno
con l'Istituto (cfr. Cass., sez. III, 10 febbraio 2003, n. 1932, in Mass. Giust. civ., 2003, p. 286).
22
nell’art. 12, cit., originariamente circoscritta all’intervento ordinario, ma successivamente
operante anche per quello straordinario.
Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte114, quest’ultima disposizione non
stabilisce un rapporto diretto tra il datore di lavoro ed i lavoratori posti in CIG, in quanto il
mandato ex lege scaturente dalla citata normativa esaurisce i propri effetti nel rapporto tra
datore di lavoro e INPS; ed infatti, operando una ipotesi di delegazione di pagamento, ex
art. 1269 c.c.115, va escluso che il soggetto delegato sia obbligato ad effettuare il pagamento
anche nei confronti del terzo creditore (il lavoratore).
Peraltro, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 7, 1° e 2° comma, d.lgs. c.p.s. 12 agosto 1947
n. 869 e dell’art. 7, legge n. 164/1975, il provvedimento amministrativo che dispone
l’ammissione alla CIG ha natura costitutiva del diritto dei lavoratori all’integrazione
salariale previdenziale e retroagisce fino al momento della sospensione del lavoro, ove il
datore di lavoro ottemperi al dovere di inoltrare la domanda di ammissione entro 25 giorni
dalla fine del periodo di paga in corso al termine della settimana in cui ha avuto inizio la
sospensione o la riduzione del lavoro.
Ciò significa che il provvedimento amministrativo di ammissione alla CIG, conforme alla
domanda, costitutivo del diritto dei lavoratori all’integrazione salariale previdenziale,
fonda, dalla sua emanazione, l'obbligo dell'ente previdenziale alla erogazione della
prestazione, obbligo, che per legge, senza nessuna discrezionalità, retroagisce naturalmente
fino al momento della sospensione di fatto del lavoro e determina simmetricamente
l'obbligo del datore di lavoro di pagare, quale delegato ex lege dell'I.N.P.S. (art. 12 cit.), le
anticipazioni salariali fin dalla data della sospensione.
L'inadempimento di tale obbligo esporrà, quindi, il datore di lavoro a rispondere di tutte le
conseguenze dannose derivanti dall'inadempimento stesso - per violazione del mandato ad
anticipare le integrazioni salariali - nei confronti dell'I.N.P.S., responsabile diretto della
prestazione previdenziale verso i lavoratori116.
Ulteriore conseguenza di tale impostazione è che in caso di mancato pagamento delle
anticipazioni da parte del datore di lavoro, i lavoratori debbono agire nei confronti
dell’INPS e non anche del primo, in quanto comunque obbligato al pagamento
dell’integrazione resta l’ente previdenziale117.
Come già detto, la somma anticipata ai lavoratori è rimborsata dall’INPS all'impresa,
attingendo al modello del conguaglio fra contributi dovuti e prestazioni corrisposte, ferma
restando la non rimborsabilità delle integrazioni salariali ordinarie, la cui richiesta di
rimborso sia stata presentata trascorsi sei mesi118 dalla fine del periodo di paga in corso alla
114
V. Cass. 28 aprile 1983, n. 2938, in Giust. civ., 1983, I, c. 2649; Cass. 28 aprile 1983, n. 2940, in Mass.
Giust. civ., 1983, fasc. 4; Cass. 30 agosto 1983, n. 5508, ivi, fasc. 8; Cass. 16 maggio 1984, n. 3005, in Foro
it., 1984, I, c. 2790; Cass. 27 marzo 1986, n. 2193, in Mass. Giust. civ., 1983, fasc. 3; Cass. 23 giugno 1986,
n. 4176, ivi, 1986, fasc, 6; Cass. 3 novembre 1987, n. 8083, ivi, 1987, fasc. 11; Cass. 17 settembre 1988, n.
5179, ivi, 1988, fasc. 2.
115
Così S. NAPPI, Sulla prescrizione della domanda di erogazione del trattamento di cassa integrazione
guadagni ordinaria, nota a Cass. 11 dicembre 2002, n. 17675, in Riv. it. dir. lav., 2003, II, pp. 571 ss., p. 572.
In dottrina identificava il datore quale mandatario ex lege con riferimento al pagamento dell’integrazione per
conto dell’INPS già E. GHERA, L’integrazione dei guadagni degli operai dell’industria e la sospensione del
rapporto di lavoro, cit., p. 277; v. anche M. CINELLI, Diritto della previdenza sociale, Giappichelli, Torino,
2007, pp. 307 ss.
116
V. Cass. 18 febbraio 1992, n. 1958, in Informazione previd., 1992, p. 445.
117
Così Cass. 18 aprile 2002, n. 5608, in Mass. giur. lav., 2002, p. 605. Per l’irrilevanza della domanda
giudiziale proposta nei confronti del datore di lavoro ai fini interruttivi della prescrizione della pretesa nei
confronti dell’INPS, titolare del rapporto previdenziale, e quindi unico soggetto obbligato al pagamento
dell’integrazione salariale, v. Cass. 11 dicembre 2002, n. 17675, cit.
118
Cfr. l’art. 16, legge n. 164/1975, che ha elevato a sei il termine di tre mesi fissato dall’art. 9, d.lgs.c.p.s. n.
869/1947. V. circ. INPS 25 maggio 2001, n. 116, in Guida al lavoro, 2001, n. 22, p. 9. In giurisprudenza cfr.
23
scadenza del termine di durata della concessione119. Tale termine di decadenza non è
operante quando l’autorizzazione a corrispondere l’integrazione è stata notificata al datore
in data successiva alla scadenza dell’intervento, applicandosi in tale ipotesi i principi
generali sulla prescrizione120.
Per la CIGS non è reperibile una norma decadenziale analoga, ritenendosi, pertanto,
operante solo il termine prescrizionale121.
Il meccanismo del conguaglio tra integrazione salariale autorizzata e già anticipata e
contribuzione dovuta, non azzera il diritto del datore di lavoro di ottenere gli interessi sulle
somme anticipate in caso di conguaglio oltre il termine di legge122. A tal fine nel 2001 sono
state fissate le modalità di presentazione delle relative denunce a credito dei datori di
lavoro, ma non anche i termini, entro cui l'azienda procede alle operazioni di conguaglio del
trattamento straordinario di integrazione salariale123.
Eccezion fatta per l’integrazione salariale in agricoltura124, il pagamento diretto della
prestazione ai lavoratori da parte dell’INPS125, senza passare per il tramite del datore di
lavoro, costituisce una ipotesi eccezionale, peraltro circoscritta sino a poco tempo fa alla
CIGS126, operando solo per le situazione di insolvenza dei datori di lavoro giuridicamente
Cass., sez. lav., 30 aprile 2010, n. 10512, in Guida al diritto, 2010, n. 24, p. 76, secondo cui ove il datore di
lavoro abbia anticipato ai lavoratori somme di importo superiore a quelle che è possibile conguagliare con i
contributi dovuti all'INPS nel periodo di riferimento ai sensi dell'art. 12 d.lgs.lgt. n. 788/1945, è tenuto a
effettuare la richiesta di rimborso delle integrazioni corrisposte ai lavoratori (nell'ammontare eccedente la
parte conguagliata con i contributi) nel termine decadenziale di sei mesi dalla fine del periodo di paga in corso
alla scadenza del termine di durata della concessione. La decadenza, poi, non è impedita dall'invio del
modello Dm/10 nel quale venga indicato, non già l'importo complessivo delle somme anticipate, ma solo
quello dei contributi da conguagliare, anche se il suddetto Dm/10 contenga un esplicito riferimento ai
provvedimenti autorizzatori dell'intervento della cassa integrazione ordinaria in base ai quali sono state
effettuate le anticipazioni salariali. Sulla ripetibilità delle somme eccedenti i limiti massimi di legge,
anticipate dal datore di lavoro, qualificabili come indebito oggettivo, v. Trib. Cuneo 2 maggio 2008, in Giur.
piemontese, 2008, p. 218.
119
Invero, più correttamente, l’art. 9, d.lgs.c.p.s. n. 869/1947, prevede l’inammissibilità della richiesta di
rimborso delle integrazioni corrisposte ai lavoratori trascorsi sei mesi dalla fine del periodo di paga in corso
alla scadenza del termine di durata della concessione.
120
Sul punto v. circ. INPS 1° ottobre 2002, n. 155, in Guida al lavoro, 2002, n. 40, p. 22, che, modificando
quanto in passato affermato da circ. INPS 23 ottobre 1992, n. 246, ritiene inoperante il termine decadenziale
quando l’autorizzazione a corrispondere l’integrazione CIGO è stata notificata al datore in data successiva al
termine della durata della concessione, applicandosi in tale ipotesi i principi generali sulla prescrizione. Per un
commento operativo v. L. VANNONI, Cassa integrazione guadagni: limiti all’accesso e richiesta di rimborso,
in Guida al lavoro, 2002, n. 40, p. 18.
121
Così Cass. 2 aprile 1999, n. 3175, cit.; Cass., sez. lav., 26 aprile 1999, n. 4189, in Orient. giur. lav., 1999,
p. 533; Cass. 20 marzo 2001, n. 3964, ivi, 2002, p. 103. In dottrina v. C.M. CAMMALLERI, Rimborso di
anticipazioni cigs: decadenza o prescrizione?, cit., p. 778.
122
V. l’art. 1, 5° comma, d.l. n. 663/1979, conv. in legge 29 febbraio 1980, n. 33. Sul diritto del datore di
lavoro ad ottenere gli interessi si è pronunciato Trib. Taranto 14 novembre 2005, in Mass. giur. lav., 2006, pp.
598 ss., con nota di L. SURDI, Decorrenza dei termini ex art. 1, co. 5, d.l. n. 663/1979 e cassa integrazione
guadagni straordinaria: l’inversione dell’onere della prova.
123
V. la delibera CdA INPS 10 aprile 2001, emanata ai sensi dell’art. 12, d.p.r. n. 218/2000; v. anche circ.
INPS 24 maggio 2001, n. 116.
124
V. l’art. 14, legge n. 457/1972.
125
Circ. INPS 22 aprile 2009, n. 61, in materia di trattamenti di sostegno al reddito, ha escluso la possibilità di
effettuare i pagamenti mediante assegni circolari, imponendo l’accredito sul conto corrente o sul libretto,
bancario o postale, ovvero tramite bonifici domiciliati presso uffici postali; ovviamente, tale prassi opera
anche in relazione al pagamento diretto della CIGS.
126
Cfr. l’art. 2, 6° comma, legge n. 223/1991. In dottrina v. M. CINELLI, Diritto della previdenza sociale,
Giappichelli, Torino, 2007, p. 308.
24
rilevanti, e cioè, in caso di sottoposizione a procedure concorsuali, cessazione, ed infine
comprovata crisi finanziaria127.
In effetti, l’art. 2, 6° comma, legge n. 223/1991, ha previsto la facoltà del Ministero del
lavoro di disporre il pagamento diretto ai lavoratori128, da parte dell'INPS, del trattamento
straordinario di integrazione salariale, con il connesso assegno per il nucleo familiare, ove
spettante, quando per l'impresa ricorrano comprovate difficoltà di ordine finanziario
accertate dalla Direzione Regionale del lavoro129.
Restano fermi gli obblighi del datore di lavoro in ordine alle comunicazioni prescritte nei
confronti dell'INPS130.
Il pagamento diretto ai lavoratori è disposto contestualmente all'autorizzazione del
trattamento di integrazione salariale straordinaria, fatta salva la successiva revoca nel caso
in cui il servizio competente accerti l'assenza di difficoltà di ordine finanziario
dell'impresa131.
Il pagamento diretto è stato poi esteso dalla legge n. 223/1991 (art. 10, comma 2-bis) alle
aziende del settore edile, che facciano richiesta di proroga.
Tale eccezionale modalità di corresponsione dell’integrazione salariale, è stata
ulteriormente estesa, con il pacchetto anticrisi, innanzi tutto agli ammortizzatori in deroga
(art. 7-ter, 2° comma, d.l. n. 5/2009, conv. in legge n. 33/2009), per le sospensioni
successive alla data del 1° aprile 2009132, prevedendosi addirittura un pagamento diretto
ancor prima dell’emanazione del provvedimento di autorizzazione133.
127
V. msg. INPS 19 novembre 2009, n. 26622, che integra msg. INPS 7 ottobre 2005, n. 33735 (in Guida al
lavoro, 2005, n. 42, pp. 16 ss.), col quale l’Istituto aveva precisato che il pagamento diretto dell’integrazione
salariale è autorizzato in caso di procedure concorsuali (fallimento ecc.); cessazione dell’attività; comprovata
crisi finanziaria.
128
P. LAMBERTUCCI, Commento all’art. 2, in M. PERSIANI (a cura di), Commentario alla l. 23 luglio 1991, n.
223, cit., pp. 898 ss., p. 901, segnala l’esistenza di una prassi amministrativa, che, nonostante la norma
abbastanza restrittiva della legge n. 223/1991, ha «largheggiato» con la concessione dei pagamenti diretti. Il
pagamento diretto, quanto meno per la CIGS, poi, come ricorda M. MISCIONE, Cassa integrazione e tutela
della disoccupazione, cit., p. 99, era già previsto dall’art. 5, 1° comma, legge n. 215/1978; disposizione,
questa, che nel testo del decreto legge, prima della sua conversione, stabiliva invece la “regola” del
pagamento diretto per tutte le integrazioni salariali.
129
G. FERRARO, Le integrazioni salariali, cit., p. 34, evidenzia l’importanza delle sole difficoltà di ordine
finanziario per l’anticipazione, essendo irrilevanti difficoltà produttive, che potrebbero essere anche
preclusive dell’intervento di sostegno al reddito.
130
In materia di contributi associativi, l’art. 18, 3° comma, legge n. 223/1991, ha previsto che nei casi di
pagamento diretto dei trattamenti di integrazione salariale, il datore di lavoro è tenuto a dare comunicazione
all'INPS dell'avvenuto rilascio della delega secondo le modalità previste dalla legge, a conservare tale delega
ai fini di eventuali verifiche ed a fornire ogni altro elemento che dovesse rendersi necessario per
l'effettuazione del pagamento; sul punto v. le circ. INPS 12 gennaio 2007, n. 11, 29 gennaio 2007, n. 27, e 12
febbraio 2007, n. 38.
131
Cass. 15 marzo 1993, n. 3074, in Dir. e prat. lav., 1993, p. 1349, ha sancito che il credito avente ad oggetto
l’integrazione salariale, pur avendo natura previdenziale, è suscettibile di rivalutazione monetaria ex art. 442
c.p.c. nel testo risultante a seguito di Corte cost. n. 156/1991.
132
Circ. INPS 26 maggio 2009, n. 75; v. anche L. VICHI, CIG in deroga: per la richiesta di pagamento diretto
solo un termine ordinatorio, in Guida al lavoro, 2010, n. 35, p. 15
133
V. circ. INPS n. 75/2009, cit. Inoltre, con msg INPS 19 novembre 2009, n. 26622, l’Istituto ha precisato
che, come stabilito nelle convenzioni sottoscritte con le Regioni (art. 3 del modello standard di convenzione),
l'Istituto effettua l'anticipazione dei trattamenti di CIG in deroga per un periodo massimo di 4 (quattro) mesi
dall'inizio della sospensione/riduzione dell'attività lavorativa, imputando, provvisoriamente, l'intero
trattamento ed i contributi figurativi sul fondo nazionale. Decorsi 4 mesi, senza che sia pervenuto alcun
provvedimento autorizzatorio della Regione, o in caso di reiezione, l'INPS, dandone comunicazione alla
Regione, procede al recupero nei confronti dell'azienda delle somme anticipate. A tal proposito si fa presente
che possono essere pagate le anticipazioni richieste solo quando l'azienda dimostri di avere presentato,
contestualmente, la domanda alla Regione di competenza per ottenere l'autorizzazione alla CIG in deroga.
Tale condizione risulta, spesso, ignorata, con la conseguenza che la Regione non riconoscerà mai la spesa
25
Con riferimento, poi, agli ammortizzatori a regime, va segnalata l’estensione del pagamento
diretto ai contratti di solidarietà difensiva134, nonché all’intervento ordinario per difficoltà
aziendali dovute a carenze di liquidità135.
8. Le procedure di intervento degli ammortizzatori sociali tra verifica sindacale ex
ante e giudiziale ex post
Per “procedimentalizzazione” della gestione degli esuberi, si intende che, specie a seguito
della l. n. 223/1991, ed in particolare degli artt. 4 e 5 della stessa, l'iniziativa
imprenditoriale di ridimensionare l'azienda è sottoposta a un controllo non più
giurisdizionale a posteriori ma sindacale a priori, con la conseguenza che il rispetto delle
regole procedurali previste dalla legge, sempre che la procedura si sia conclusa con un
accordo sindacale, impedisce di mettere in discussione la realtà della trasformazione e
della riduzione dell'attività, nonché l'impossibilità di un utile impiego dei lavoratori
licenziati, restando a questo punto riservato al giudice solo il potere di verificare il corretto
rispetto dei criteri di scelta136 e la ricorrenza delle esigenze tecnico-produttive e
organizzative che giustificano la scelta di quei lavoratori137.
Le prescrizioni procedurali, che mirano appunto ad un controllo di legittimità ed
opportunità della procedura, a monte, da parte delle organizzazioni sindacali, sono di
stretta cogenza ed interpretate dalla giurisprudenza in maniera abbastanza rigida e formale.
Si pensi alle conseguenze, già esaminate, della mancata osservanza degli obblighi di
comunicazione preventiva, il cui mancato rispetto sostanziale, e non solo formale, può
determinare l'inefficacia dei licenziamenti, nonostante la stipulazione di un accordo
sindacale di riduzione del personale che contempli un criterio di scelta dei lavoratori da
licenziare138. A tal fine, si segnala che la Cassazione ha censurato l’adozione di “frasi di
stile” sui motivi dell'eccedenza per la comunicazione di apertura dell'iter di riduzione del
all’INPS e quest’ultima non potrà rivalersi sull'azienda. Pertanto le domande di anticipazioni pagate e non,
che non siano state contestualmente inoltrate alle Regioni per le relative autorizzazioni, debbono essere
immediatamente trasmesse alle Regioni stesse, e da tale termine decorreranno i quattro mesi di attesa
dell'autorizzazione regionale.
134
V. l’art. 7-ter, 1° comma, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile
2009, n. 33. In tale ipotesi, l'istanza è contemporaneamente presentata, oltre che al competente Ufficio del
lavoro, anche al servizio ispezione del lavoro delle direzioni provinciali del lavoro territorialmente competenti
in base alla ubicazione delle unità aziendali interessate dall'intervento stesso.
135
Cfr. msg. INPS 15 dicembre 2009, n. 29223. Invero, la possibilità del pagamento diretto della CIGO è
alquanto risalente nel tempo, v. circ. INPS 10 agosto 1966, n. 1408 G.S., nonché msg. INPS 30 marzo 1996,
n. 18541, in Dir. e prat. lav., 1996, p. 1218, secondo cui nel caso di richiesta di pagamento diretto della
CIGO, da un lato, le Commissioni provinciali devono procedere ad un riesame di quei provvedimenti
concessori del suddetto trattamento fondato su previsioni di ripresa produttiva rivelatesi poi infondate;
dall’altro lato, che il lavoratore richiedente non deve avere prestato attività lavorativa remunerata durante il
periodo di integrazione salariale; v. inoltre msg. INPS 7 ottobre 2005, n. 33735. Per una ricostruzione storica
delle istruzioni operative emanate dall’INPS a riguardo v. A. FORTE, Cig ordinaria: pagamento diretto da
parte dell’Inps, in Guida al lavoro, 2005, n. 42, pp. 14 ss.
136
V. Cass. 12 ottobre 1999, n. 11455, in D&L, 2000, 123, con nota di Muggia, Licenziamenti collettivi: tutto
ai sindacati, niente ai giudici.
137
Di conseguenza, Cass. 2 dicembre 2009, n. 25353, in D.L. Riv. critica dir. lav., 2009, 4, 1046, con nota di
Bernini, ha consentito la delimitazione dell'ambito di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da porre
in mobilità a un solo settore o reparto aziendale, in quanto dipendente dalle ragioni produttive e organizzative
tratte dalle indicazioni contenute nella comunicazione di cui all'art. 4, comma 3, l. 23 luglio 1991 n. 223,
quando cioè gli esposti motivi dell'esubero, le ragioni per le quali esso non può essere assorbito, conducono
coerentemente a limitare la platea dei lavoratori ai quali applicare i criteri di scelta concordati o legali.
138
V. Cass. 2 marzo 2009, n. 5034, in Foro it., 2009, 4, 1011, che ha stabilito che la mancata indicazione nella
comunicazione di avvio della procedura di tutti gli elementi previsti dall’art. 4, l. n. 223/1991, determina,
insanabilmente, l'inefficacia dei successivi licenziamenti ed il lavoratore è legittimato a far valere
l'incompletezza della comunicazione ed il conseguente vizio del licenziamento.
26
personale139; ovvero l’assenza, sempre in tema di procedura di mobilità, del rispetto
dell'obbligo datoriale di dare una “puntuale indicazione” delle modalità con le quali sono
stati applicati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, non soddisfatto dalla mera
trasmissione dell'elenco dei lavoratori licenziati e dalla comunicazione dei criteri di scelta
concordati con le organizzazioni sindacali, essendo necessario verificare l'infungibilità
della posizione del singolo lavoratore licenziato rispetto a quella degli altri dipendenti
interessati dalla procedura di ristrutturazione140; oppure, la mancata specificazione nella
comunicazione preventiva delle modalità di attuazione dell’unico criterio di scelta,
effettuando una comparazione tra le professionalità dei lavoratori in servizio al fine di
chiarire quali di esse possa meglio garantire lo svolgimento delle attività di
liquidazione141.
Analoga rigida posizione è stata adottata dalla giurisprudenza di legittimità in relazione
alla “qualità” dell’esame congiunto, da svolgersi con incontri o consultazioni che si
realizzino sotto forma di confronto, scambio di opinioni e dialogo tra rappresentanti dei
lavoratori e datore di lavoro su questioni attinenti all’attività di imprese, non surrogabili
attraverso meri contatti telefonici tra le parti142.
Un altro aspetto interessante, sempre sotto il profilo della procedimentalizzazione, è il
nesso tra Cigs e Cigo e tra Cigs e mobilità.
Con riferimento al primo aspetto, la recente giurisprudenza amministrativa ha stabilito che
l'emanazione di un decreto ministeriale concessivo dell'intervento straordinario va valutato
in linea generale come elemento non preclusivo del riconoscimento del quadro
previsionale di ripresa dell'attività lavorativa (da valutare ex ante e non ex post)143 ai fini
della concessione dell'intervento ordinario, dovendosi valutare, nel caso concreto, se
sussistano, all'atto della domanda, fondati presupposti per una effettiva ripresa dell'attività
produttiva144.
Quanto al nesso tra Cigs e mobilità, sebbene sovente il ricorso alla prima, nella realtà dei
fatti, sfoci poi con l’avvio alla seconda del personale che non sia stato interessato
dall’eventuale riammissione al lavoro145, la mobilità non è diretta e necessaria
139
In tal senso v. Cass. 30 novembre 2009, n. 25235, in D&G, 2010, che ha ritenuto inefficaci i licenziamenti
così intimati. La comunicazione "reticente", infatti, non è conforme a quella dell'art. 4 l. n. 223/91, essendo
compromesso l'interesse primario del singolo lavoratore all'individuazione trasparente e verificabile dei
dipendenti da licenziare.
140
Cfr. Cass. 16 marzo 2009, n. 6342, in Foro it., 2010, 1, 184.
141
V. Cass. 19 dicembre 2008, n. 29831, in Giust. civ. Mass., 2008, 12, 1814.
142
Così Cass. 4 febbraio 2009, n. 2682, in Diritto & Giustizia, 2009. Tuttavia, il giudice di legittimità ha
altresì precisato, che se è dimostrato che gli incontri programmati sono stati fissati, ma rinviati per
impedimenti del rappresentante sindacale, non è onere dell’azienda richiederne degli altri se il tutto si è risolto
in informali contatti telefonici.
143
Cfr. TAR Basilicata, Potenza, sez. I, 3 agosto 2009, n. 485, in Foro amm. TAR, 2009, 7-8, 2267. Come,
poi, a sua volta affermato da TAR Abruzzo, Pescara, sez. I, 20 giugno 2009, n. 440, in Foro amm. TAR, 2009,
6, 1819, ciò implica l'imprescindibile necessità che il provvedimento di diniego delle prestazioni contenga una
congrua motivazione, che menzioni gli elementi di fatto presi in considerazione e le ragioni del
convincimento in ordine all'improbabile ripresa della attività, senza tener conto, essendo un giudizio
prognostico, delle vicende successivamente intervenute. In questo senso, ancor prima, v. Cons. Stato, sez. VI,
23 gennaio 2007 n. 229, in Foro amm. C.d.S., 2007, 174.
144
Così TAR Sicilia – Palermo, sez. II, 23 dicembre 2009, n. 2262, in Red. amm. TAR, 2009, 12.
145
Ovviamente, non sempre l’impresa che ha fatto ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria è in
grado di riammettere al lavoro tutti i dipendenti sospesi. In tal caso, può procedere alla messa in mobilità del
personale in esubero senza essere vincolata al limite numerico stabilito dall'art. 24 l. n. 223/1991 e cioè quello
dei cinque licenziamenti in centoventi giorni per ciascuna unità produttiva. Pertanto, come evidenzia Cass. 8
febbraio 2010, n. 2734, in D&G, 2010, una procedura di Cigs seguita dalla mobilità ben può concludersi con
la riassunzione di tutti i dipendenti sospesi tranne cinque, la ricollocazione di quattro e il licenziamento di un
dipendente su cinque.
27
conseguenza della Cigs: l’ambito della verifica da effettuare per disporre la collocazione in
mobilità può estendersi anche a posizioni lavorative non attinte dal trattamento di
integrazione salariale. Conseguentemente, dall’eventuale illegittimità della collocazione
del singolo lavoratore in Cassa Integrazione non deriva ipso iure anche l’illegittimità del
successivo collocamento in mobilità146.
Sotto il profilo della procedimentalizzazione, ciò comporta significative conseguenze: si
pensi ad esempio al caso in cui venga avviata una procedura di mobilità, poi sostituita
dalla scelta di procedere alla sospensione in Cigs dei dipendenti in esubero. In questo caso,
la giurisprudenza ritiene che l'accordo raggiunto nell'ambito della consultazione sindacale
conseguente all'avvio di una mobilità, in forza del quale l’esubero strutturale è sostituito
da sospensioni con ricorso alla Cigs per un numero di lavoratori superiore a quello
previsto per la riduzione di personale, non è sostitutivo delle comunicazioni e dell'esame
congiunto, previsti dall’art. 1, comma 7, l. n. 223/1991 (ora art. 2, comma 5, d.p.r.
218/2000) per la definizione dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere
nonché delle modalità della rotazione. Da ciò deriverebbe l’illegittimità delle attuate
sospensioni e l’obbligo di reintegrazione in servizio e di pagamento della differenza tra
retribuzioni ed integrazioni salariali147.
Va segnalato, poi, che la giurisprudenza ha configurato quale condotta antisindacale, la
violazione di taluni degli obblighi procedurali imposti dalla l. n. 223/1991: si è ritenuto, ad
esempio, sanzionabile ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 28 Stat. Lav. la condotta del
datore di lavoro che, senza preventiva consultazione delle OO.SS., disponga l'anticipato
rientro in servizio solo di alcuni dei lavoratori precedentemente sospesi in Cigs148, o la
mancata comunicazione dei criteri di scelta149.
Ciò perché, come si è più volte rimarcato, il tema degli ammortizzatori sociali involge una
pluralità di interessi, generali, collettivi e individuali: sicché impedire al sindacato di
svolgere l’importante ruolo assegnatogli dalla legge 223/1991 significa non soltanto
elidere una garanzia a tutela degli interessi dei singoli lavoratori – data dall’intervento
nella procedura di chi ne rappresenta le istanze – ma anche, ledere il ruolo e l’immagine
del sindacato stesso150.
9. I contratti di solidarietà difensiva
Qualche riflessione meritano gli orientamenti in materia di contratti di solidarietà
difensiva, facendo riferimento ad entrambe le tipologie, e cioè sia a quelli con intervento
Cigs, previsti dall’art. 1, l. n. 863/1984, che a quelli disciplinati dall’art. 5, comma 5, della
l. n. 236/1993, rivolti unicamente alle imprese artigiane e non, che non rientrino nel campo
di applicazione della Cigs151.
146
Cass. 18 dicembre 2001, n. 15993, in Giust. Civ. Mass., 2001, 2179.
Trib. Milano 5 marzo 2002, in L.G., 2002, 1209.
148
Trib. Milano 3 aprile 2007, in D&L, 2007, 702.
149
Trib. Milano 22 luglio 2004, in O.G.L., 2004, 706; idem Trib. Milano 26 luglio 2003, ibidem, 2003, 638;
Trib. Milano 13 febbraio 2003, in D&L, 2003, 302.
150
Trib. Milano (decr.) 10 febbraio 2009, in DRI, 2009, 421 ss., con nota di Malandrini, Vincolatività degli
impegni aziendali nel ricorso alla Cassa integrazione ordinaria e condotta antisindacale; Trib. Milano 23
gennaio 2006, in D&L, 2006, 425. Per contro, Trib. Bergamo 19 febbraio 2009 (in L.G., 2009, 604 ss., con
commento di Minervini) ha escluso che la collocazione in Cigs di un dirigente sindacale configuri una lesione
dei diritti del sindacato in assenza di indicazione da parte di quest’ultimo di criteri di rotazione più consoni.
151
Piace ricordare che uno dei primi commenti all’art. 1, l. n. 863/1984 è di Curzio, I contratti di solidarietà,
in Garofalo M.G. (a cura di), Crisi, occupazione, legge (commento alla l. n. 863/1984), Bari, Cacucci, 1985,
19 ss.; viceversa, l’ultimo contributo sistematico è di Miscione, I contratti di solidarietà, in Idem (a cura di),
Il rapporto di lavoro subordinato: garanzie del reddito, estinzione e tutela dei diritti, in Carinci F. (diretto
da), Diritto del lavoro. Commentario, Torino Utet, 2007, vol. III, 159 ss.
147
28
I contratti di solidarietà difensiva, in generale, mirano ad evitare il licenziamento di
lavoratori in esubero, mediante la riduzione dell’orario di lavoro, concordata con le OO.
SS., per un certo numero di lavoratori e lavoratrici.
La stipulazione del contratto del primo tipo comporta, per i lavoratori, la concessione del
trattamento di integrazione salariale per compensare la parte di retribuzione persa a seguito
della riduzione dell'orario di lavoro, mentre, a favore dei datori di lavoro è prevista una
riduzione dei contributi previdenziali ed assistenziali. Viceversa, per i contratti del
secondo tipo, in assenza di intervento Cigs, la legge prevede in favore dei lavoratori e a
carico del Fondo per l’occupazione (comma 5), ovvero dei Fondi bilaterali, nel caso di
imprese artigiane (comma 8), un contributo pari ad un quarto del monte retributivo non
dovuto a seguito della riduzione di orario; solo alle imprese non artigiane spetta identico
contributo.
Il contratto disciplinato dall’art. 1 l. n. 863/1984 può essere stipulato per un periodo non
superiore a 24 mesi, prorogabile per ulteriori 24 mesi, elevati a 36 nelle aree del
Mezzogiorno (d.p.r. 6 marzo 1978, n. 218 e successive modificazioni)152.
A seguito dell’emanazione del d.m. 10 luglio 2009, n. 46448, di semplificazione delle
modalità di accesso alla Cigs per solidarietà, a decorrere dal 3 agosto 2009, la riduzione
dell’orario non può superare il 60% dell'orario settimanale dei lavoratori coinvolti. Tale
riduzione può essere stabilita come riduzione dell'orario giornaliero, settimanale o
mensile.
Come si è detto, tale tipologia di contratto collettivo aziendale si applica a tutte le imprese
che rientrino nel campo di applicazione della normativa Cigs, con le seguenti
specificazioni:

le imprese devono avere più di 15 dipendenti nel semestre precedente la
presentazione della domanda (compresi i contratti formativi);

tale limite dimensionale non trova applicazione nel caso di imprese editrici di
giornali quotidiani, agenzie di stampa a diffusione nazionale, nonché editrici e/o
stampatrici di giornali periodici, considerata la specialità della normativa sancita
per il settore dell’editoria (art. 7, comma 3, l. n. 236/1993);

ancora sino al 31 dicembre 2011, possono stipulare il contratto di solidarietà le
imprese commerciali in senso stretto, nonché le agenzie di viaggio e turismo,
compresi gli operatori turistici, che occupano più di 50 unità153;

le imprese edili possono utilizzare il contratto di solidarietà difensiva limitatamente
al personale inserito nelle strutture stabili dell'impresa (ad es. amministrazione si,
cantieri no).
Il decreto ministeriale citato precisa che il contratto può essere attivato da imprese che, pur
se ammesse ad una procedura concorsuale, proseguono l'esercizio dell'attività.
Con riferimento ai soggetti beneficiari, possono beneficiare della solidarietà tutti i
dipendenti che abbiano maturato un'anzianità aziendale superiore ai 90 giorni, con
esclusione dei dirigenti, dei lavoratori a domicilio, e degli apprendisti, che possono, però,
essere ammessi alla solidarietà senza Cigs a seguito dell'emanazione dei provvedimenti
anticrisi (art 19, comma 8, d.l. n. 185/2008, conv. in l. 2/2009, e d.l. 1 luglio 2009, n. 78,
conv. in l. 3 agosto 2009, n. 102), come esplicitato nella risposta ad interpello del 10
settembre 2009 del Ministero del lavoro.
Sono, altresì, ammessi al beneficio i lavoratori part-time, «qualora sia dimostrato il
carattere strutturale del part-time nella preesistente organizzazione del lavoro». Sulla
152
V. l’art. 7, co. 4, l. n. 48/1988. Ai sensi dell’art. 6, co. 2, d.m. 10 luglio 2009, n., 46448, un nuovo contratto
di solidarietà, una volta raggiunta la durata massima, può essere stipulato decorsi 12 mesi.
153
V. l’art. 1, comma 32, l. 13 dicembre 2010, n. 220 (c.d. legge di stabilità).
29
nozione di “strutturalità” del part-time, in assenza di precisazioni di fonte amministrativa,
può assumersi la stessa misura prevista per l’anzianità aziendale necessaria per beneficiare
della Cigs,poc’anzi richiamata, e cioè più di 90 giorni.
L'ammontare del trattamento di integrazione salariale, determinato dalla predetta legge
nella misura del 50% del trattamento retributivo perso a seguito della riduzione di orario, è
stato elevato al 60% dall’art. 6, comma 3, l. n. 608/1996; successivamente, l’art. 1, comma
6, d.l. 1 luglio 2009, n. 78, conv. in l. 3 agosto 2009, n. 102, ha previsto in via
sperimentale per gli anni 2009 e 2010 l’elevazione dell’integrazione dal 60% all'80%, nei
limiti delle risorse stanziate, rinviandosi l’operatività dell’aumento all’emanazione di
successivi provvedimenti attuativi. E’ noto che la stipulazione di tale tipologia di contratto
precluda, durante la sua vigenza, il licenziamento collettivo.
Secondo la dottrina maggioritaria, il contratto di solidarietà appartiene al genus dei
contratti collettivi gestionali154, per i quali «non si pone il problema di una loro efficacia
normativa sui rapporti individuali di lavoro e, dunque, dell’estensione o meno erga omnes
della stessa», in quanto «l’accordo costituisce un momento (eventuale) del procedimento
che l’imprenditore deve seguire per esercitare un proprio potere sul piano del rapporto
individuale di lavoro; ciò che spiegherà effetto su quest’ultimo non è l’accordo, bensì
l’atto (negoziale) con il quale il datore esercita il suo potere»155.
Durante la vigenza del vincolo solidaristico al datore di lavoro sarebbe posto un divieto di
licenziamento collettivo del personale interessato dal contratto per implicita rinuncia
manifestata con la stipula dell’accordo sindacale156. Il licenziamento intimato in violazione
degli impegni assunti col contratto di solidarietà potrebbe comportare anche l’applicazione
delle sanzioni previste dall’art. 28, l. n. 300/1970, in quanto la stipula del contratto poi
violato dal datore di lavoro ha impegnato la rappresentatività e la credibilità del sindacato
in azienda157.
La giurisprudenza ha precisato che non deve invece considerarsi escluso il ricorso al
licenziamento individuale, ancorché plurimo, per giustificato motivo oggettivo158.
Il contratto di solidarietà ex art. 1, l. n. 863/1984 - che opera nei confronti di tutti i
lavoratori e si iscrive all'interno di una fattispecie complessa comprensiva del contratto di
solidarietà e del provvedimento ministeriale di ammissione all'integrazione salariale - non è
valido e non legittima la riduzione di orario e di retribuzione ove non segua l'effettiva
concessione della cassa integrazione guadagni159.
La Giustizia Amministrativa fornisce un’interessante risposta al quesito inerente le
modalità di riduzione dell’orario160, evidenziandosi come lo strumento del contratto di
solidarietà risponda alla precisa finalità di salvaguardare i livelli occupazionali, mentre la
154
Sulla problematica qualificatoria dei contratti aziendale c.d. “gestionali” si segnala un’interessante
decisione di merito, avente ad oggetto l'accordo fra un'azienda in crisi con avvio di procedura di mobilità volto al ritiro di questa, alla decadenza di tutti gli accordi sindacali in essere con conseguente estinzione di
vari premi e indennità, nonché ad un nuovo inquadramento in perdita - e organizzazioni sindacali non
rappresentanti tutti i laboratori. In questa occasione la corte giudicante ha stabilito che questo non può
qualificarsi come “contratto gestionale” e non può pertanto avere efficacia anche nei confronti di lavoratori
iscritti a sindacato diverso da quelli stipulanti, rimanendo dunque applicabile il precedente contratto aziendale
con tutte le relative conseguenze economiche (App. Brescia 7 marzo 2009, in Foro it., 2010, 2, 623).
155
V. Giugni, Diritto sindacale, Bari, Cacucci, 2006, 149 – 150.
156
Pret. Frosinone 11 maggio 1987, in O.G.L., 1988, 224.
157
Cfr. Ballestrero, Cassa integrazione e contratto di lavoro, Milano, Franco Angeli, 1985, 275.
158
Cass. 15 dicembre 2008, n. 29306, in D&G, 2008; in senso conforme cfr. Cass. 23 gennaio 1998, n. 637,
in RGL, 1998, II, 493, con nota di Allamprese, Osservazioni in tema di licenziamento e contratto di
solidarietà, nonchè App. Bari 14 aprile 2005, n. 910, in Redazione Giuffrè, 2009.
159
Cass. 28 novembre 2007, n. 24706, in Giust. Civ. Mass., 2007, 11.
160
Cons. Stato 16 settembre 2004, n. 5987, in FA-C.St., 2004, 2634.
30
riduzione dell'orario di lavoro, stabilita contrattualmente, serva ad «evitare, in tutto o in
parte, la riduzione o la dichiarazione di esuberanza del personale anche attraverso un suo
più razionale impiego», facendo discendere da ciò che tale riduzione dell'orario di lavoro,
se vuole essere conforme allo spirito della legge, deve essere ripartita tra i dipendenti in
modo che "il monte ore in eccedenza" venga distribuito tra tutti i dipendenti (ad eccezione
dei dirigenti, apprendisti, lavoratori a domicilio, e assunti con contratto di formazione e
lavoro), piuttosto che essere concentrato (come avveniva con la sospensione a zero ore
mensili degli operai interessati) sui soli dipendenti in esubero161.
Sono previsti, quali incentivi alla stipulazione dei predetti contratti, una serie di incentivi a
favore delle imprese, che qui si vengono brevemente a delineare.
Ai datori di lavoro che attivano i contratti di solidarietà è riconosciuta uno sgravio del 25%
dei contributi assistenziali e previdenziali dovuti nei casi in cui la riduzione di orario sia
superiore al 20% dell'orario contrattuale; lo sgravio sale al 35%, ove la riduzione di orario
sia superiore al 30%. Per le imprese operanti nel Mezzogiorno. tale sgravio sale
rispettivamente al 30 e 40%.
Per godere di tali agevolazioni il datore deve essere in possesso del DURC. Inoltre,
l'attivazione dei contratti di solidarietà sospende, per tutta la loro durata gli obblighi
occupazionali previsti dalla disciplina delle assunzioni obbligatorie (art. 3, legge n.
68/1999).
L’art. 5, l. n. 236/1993, come anticipato, ha introdotto nell’ordinamento una nuova
tipologia di contratto di solidarietà difensivo, rivolto alle imprese che non rientrano nel
campo di applicazione del trattamento Cigs.
Il contributo è pari al 50% della retribuzione persa ed è diviso in uguale misura tra il
lavoratore e l'azienda. Il contratto non può superare i 24 mesi.
Per quanto attiene al campo di applicazione, la tipologia contrattuale di cui all’art. 5,
comma 5, l. n. 236/1993 trova applicazione per le imprese escluse dalla normativa in
materia di Cigs che abbiano avviato la procedura di licenziamento collettivo per riduzione
di personale o intendano effettuare licenziamenti individuali plurimi, per giustificato
motivo oggettivo162.
A tale contratto di solidarietà possono fare ricorso, altresì, le imprese alberghiere e le
aziende termali pubbliche e private operanti in località termali con gravi crisi
occupazionali, individuate con il d.p.c.m. 1 ottobre 1993 (art. 5, comma 7).
Infine, col supporto dei Fondi bilaterali, possono attingere alla solidarietà difensiva anche le
imprese artigiane non rientranti nel campo di applicazione della Cigs, anche se occupino
meno di 16 dipendenti, a condizione che i lavoratori interessati alla riduzione dell’orario di
lavoro percepiscano, dai fondi bilaterali istituiti dalla contrattazione collettiva nazionale di
lavoro, prestazioni di entità non inferiore alla metà del contributo pubblico destinato ai
lavoratori (art. 5, comma 8).
161
V. Cons. Stato 16 settembre 2004, n. 5987, che si colloca nel solco già tracciato dalla giurisprudenza di
merito, si veda per tutte Trib. Busto Arsizio 6 novembre 1999, in D.L., 2000, 403, secondo cui: «Benché la
normativa che disciplina il contratto di solidarietà - art. 1 l. 19 dicembre 1984 n. 863 - nulla preveda al
riguardo, la scelta dei lavoratori sui quali lo stesso debba ricadere deve ispirarsi ai principi di buona fede e
correttezza sottesi al rapporto di lavoro subordinato e alla "ratio" stessa dell'istituto in esame che richiede un
sacrificio economico dei lavoratori finalizzato alla salvaguardia dei posti di lavoro, con la conseguenza che
tale pregiudizio deve essere il più possibile distribuito tra tutti i lavoratori o, comunque, giustificato alla luce
di effettive esigenze tecnico-organizzative».
162
L’estensione della possibilità di attivare la solidarietà anche nelle ipotesi di licenziamenti individuali
plurimi per giustificato motivo oggettivo è stata prevista, modificando l’art. 5, co. 5, l. n. 236/1993, dall’art.
19, co. 14, d.l. n. 185/2008, conv. in l. 2/2009, a sua volta modificato dall’art. 7-ter, co. 9, lett. d), d.l. 10
febbraio 2009, n. 5, conv. in l. 9 aprile 2009, n. 33.
31
A decorrere dal 12 aprile 2009, in ragione delle modifiche apportate all’art. 5, comma 5, l.
n. 236/1993, dall’art. 19, d.l. n. 185/2008, convertito nella l. n. 2/2009, il contratto di
solidarietà difensiva de quo può essere stipulato, oltre che nel corso di una procedura di
licenziamento collettivo, anche per evitare licenziamenti plurimi individuali per giustificato
motivo oggettivo.
Il Ministero del Lavoro ha fornito istruzioni operative in ordine ai contratti di solidarietà
difensiva, anche ai fini degli accertamenti ispettivi sul corretto utilizzo degli stessi163.
L’istanza dell’impresa richiedente il contributo di solidarietà ex art. 5 deve essere presentata
alla DPL territorialmente competente unitamente ad una serie di documenti allegati, tra cui,
il dettaglio dell’orario ridotto secondo uno schema settimanale. Tale indicazione restrittiva
potrebbe togliere al contratto quella necessaria flessibilità di cui, soprattutto in alcuni
settori, avrebbero bisogno le imprese per adeguarsi alle esigenze del mercato nei momenti
di crisi. In questo senso una gestione della contrazione dell’orario anche su base mensile
potrebbe sicuramente consentire, così come previsto per la fattispecie dettata dall’art. 1
della legge n. 863/1984, un maggiore “appeal” dell’utilizzo di questa soluzione negoziata.
Tuttavia, una mitigazione della asserita rigidità contrattuale potrebbe essere individuata
nell’indicazione fornita dal Ministero nella citata circolare n. 20/2004, che consente una
riduzione dell’orario di lavoro su base sia orizzontale che verticale: scegliendo tra queste la
soluzione più congeniale al caso concreto, e tenendo altresì presente che il comma 10
dell’articolo 1 prevede la possibilità di una deroga in aumento dell’orario ridotto, per
fronteggiare temporanee esigenze di maggior lavoro, l’istituto potrebbe raggiungere un
adeguato livello di flessibilità, e con esso, maggiore convenienza per le imprese che
avessero necessità di procedere ad un licenziamento collettivo.
Una forma di incentivo all’utilizzo dei contratti di solidarietà senza Cigs ex art. 5, comma 5,
l. 236/1993 è poi rappresentata dalla non operatività del divieto sub art. 3, comma 1, lett. c),
d.lgs. 368/2001, in forza della interpretazione autentica di tale ultima norma contenuta
nell’art. 3-bis, l. n. 172/2002, per cui le imprese in solidarietà possono assumere a tempo
determinato.
Come affermato in giurisprudenza, il contratto di solidarietà senza Cigs assume una
funzione strategica per il superamento della crisi aziendale essendo caratterizzato dallo
scambio tra riduzione dell’orario e della retribuzione contro l’effettività e la certezza
dell’occupazione164; sotto una diversa angolazione si potrebbe affermare che, con esso, il
legislatore abbia colmato una lacuna nell’ordinamento, consentendo alle imprese
interessate, prive della possibilità di ricorrere alla Cigs, di fruire di adeguate chances volte
ad evitare o ridurre i licenziamenti durante la gestione degli esuberi di personale.
A questa filosofia sono ispirate le misure anticrisi varate col d.l. n. 185/2008, conv. in l.
2/2009, che anzi utilizzano l’intervento della bilateralità come condizione per quello
previdenziale, con tutti i problemi di legittimità costituzionale evidenziati da Franco
Liso165.
10. La tutela previdenziale della disoccupazione
Il campo elettivo di intervento della giurisprudenza in materia di ammortizzatori sociali è
senza dubbio quello della tutela previdenziale, suscitando la domanda di quale sia
l’obiettivo da essa perseguito in tale ambito.
163
V. circ. Min. lav. n. 20/2004 e nota Min. lav. 15 giugno 2009, prot. n. 25/SEGR/0008781; con riferimento
specifico alla base di calcolo su cui calcolare la percentuale del contributo ex art. 5, co. 5, l. n. 236/1993, v.
nota Min. lav. 3 ottobre 2008, prot. n. 25/I/00013425, risposta ad interpello n. 42/2008.
164
Cass. 16 febbraio 2005, n. 3050, in DRI, 2005, 1142, con nota di Pozzaglia.
165
V. Liso, Un profilo critico della recente legge in materia di ammortizzatori sociali, in
http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=636&Itemid=145
32
a. Il campo di intervento della Cigs e della indennità di mobilità
Preliminarmente, sembra opportuno fornire una breve panoramica dei più interessanti
arresti giurisprudenziali, inerenti il campo di intervento della Cigs e dell’indennità di
mobilità.
Si ritiene, ad esempio, requisito imprescindibile per la concessione dell’integrazione la
continuità produttiva, salvo i casi particolarmente rilevanti sotto il profilo delle ricadute
occupazionali, che interessino oltre cento lavoratori166.
Da ciò, tuttavia, la giurisprudenza non fa discendere ipso iure l’esclusione dell’intervento
per le aziende sottoposte a procedure concorsuali: la pendenza di procedure concorsuali
può risultare ostativa alla concessione del trattamento straordinario d'integrazione salariale
solo in presenza di circostanze che escludano concretamente la possibilità di recupero
produttivo e occupazionale dell'azienda167.
Il provvedimento di rigetto della richiesta di integrazione da parte del Ministero del
Lavoro, deve essere motivato. La Giustizia Amministrativa ritiene, peraltro, che sia
sufficiente una motivazione per relationem, purché l’atto da cui risultino le ragioni del
diniego venga puntualmente richiamato nel provvedimento di rigetto e posto nella
disponibilità dell’interessato. Il TAR Lombardia ha, ad esempio, ritenuto sufficiente a
fondare e legittimare la determinazione del Ministero, il richiamo ad un articolato giudizio
espresso dal comitato tecnico, correttamente messo a disposizione del ricorrente per
garantire l'esercizio del suo diritto di difesa168.
Si è già detto che, sebbene sovente alla Cigs consegua la mobilità, ciò non comporta una
stretta consequenzialità o una sovrapposizione delle procedure: ebbene, ciò si riflette
anche sull’individuazione dei beneficiari della mobilità a latere datoris.
Emblematica, in tal senso, è la pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite del dicembre
2004169. Il caso sottoposto al vaglio dei Giudici di Legittimità ineriva l’estensione,
mediante normativa speciale170, del beneficio previsto dall’art. 16, comma 3, l. n.
223/1991 per i giornalisti, anche ai dipendenti delle imprese radiotelevisive private; si
discuteva, cioè, se, esteso a tale categoria l’istituto della Cigs, si potesse ritenere che tali
lavoratori, nel silenzio della legge, potessero beneficiare anche dell’indennità di mobilità.
Le Sezioni Unite hanno fornito risposta negativa al quesito, risolvendo il contrasto
formatosi all’interno della Sezione Lavoro. Nel 2003, infatti, si erano succedute due
pronunce di segno contrario: la prima171 si era espressa in senso negativo, osservando che:
a) la normativa che aveva esteso l’ambito di applicazione della Cigs era norma eccezionale
e temporanea rispetto al sistema della l. n. 223/1991 e perciò di stretta interpretazione; b)
se all'estensione della cassa integrazione, ivi prevista, il legislatore avesse voluto
166
T.A.R. Lombardia – Brescia, 29 marzo 2004, n. 362, in FA-T.A.R., 2004, 606 (s.m.). La decisione
precisa, poi, testualmente che «Nella fattispecie l'azienda, che occupava cinquanta dipendenti, al momento
dell'esame della domanda aveva già inoltrato la proposta di concordato preventivo, la quale aveva anche
avuto buon esito: una tale circostanza preclude di ritenere soddisfatto il requisito della continuità
produttiva, imprescindibile ai fini del riconoscimento del beneficio della C.I.G.S. Né ulteriore sostegno può
essere ricavato dalla circostanza della prosecuzione di una parte dell'attività, dal momento che alcuni mesi
dopo l'azienda ha interrotto la produzione, ed è lo stesso ricorrente ad ammettere che le perizie e gli
accertamenti svolti dopo l'incendio dalla compagnia assicuratrice hanno di fatto impedito la ristrutturazione
causando il blocco dell'attività».
167
Cons. Stato sez. VI, 23 febbraio 1999, n. 189, in FA, 1999, 402.
168
T.A.R. Lombardia – Brescia, 29 marzo 2004, n. 362, cit.
169
Cass. S.U. 10 dicembre 2004, n. 23078, in O.G.L., 2005, 184.
170
V. artt. 7, d.l. 20 maggio 1993, n. 148 (conv. in l. 19 luglio 1993, n. 236) e 2, d.l. 14 giugno 1996, n. 318
(conv. in l. 29 luglio 1996, n. 402).
171
Cass. 11 gennaio 2003, n. 450, in Giust. Civ. Mass., 2003, 84.
33
aggiungere il beneficio dell'indennità di mobilità, esso avrebbe disposto anche in ordine
alla relativa provvista economica, ossia alla relativa e specifica contribuzione, così come
ha fatto con l'art. 16, l. n. 223/1991. La seconda sentenza172 si era invece espressa in senso
positivo, postulando una "esigenza di carattere generale" ed una "maggior coerenza", che
non consentirebbe di limitare il riconoscimento dell'indennità di mobilità ai soli dipendenti
di quelle imprese che accedano al trattamento di Cigs attraverso l'iter della legge n.
223/1991. Se così fosse, prosegue la sentenza, neppure ai giornalisti di cui all'art. 35, l. n.
416/1981 spetterebbe l'indennità dì mobilità, giacché per essi il ricorso alla Cigs è
disciplinato in modo speciale; per contro, l'indennità per loro è espressamente prevista
dalla legge.
Le Sezioni unite hanno aderito al primo orientamento, osservando che la cassa
integrazione guadagni soddisfa l'esigenza di assicurare il reddito a persone allontanate dal
lavoro necessariamente ma temporaneamente, per sospensione o riduzione dell'attività
dell'impresa dovute ad impossibilità sopravvenuta. Essa fronteggia perciò una
disoccupazione temporanea, accompagnata dalla prospettiva di ripresa del lavoro.
L'indennità di mobilità è corrisposta, per contro, a causa della perdita del posto di lavoro e
segue il trattamento di integrazione salariale di regola, ma non sempre: essa è infatti
riconosciuta (art. 16, l. n. 223/1991) anche in caso di licenziamento per riduzione di
personale, effettuato senza il preventivo passaggio attraverso un periodo di cassa
integrazione. In sostanza, l'indennità di mobilità è un trattamento di disoccupazione,
dovuto ai lavoratori licenziati collettivamente da imprese di determinate dimensioni, di
determinati settori e con determinate caratteristiche, anche se non vi sia stato il previo
intervento della cassa integrazione173.
Essa "sostituisce ogni altra prestazione di disoccupazione" (art. 7, comma 8, l. n. 223 del
1991) e spetta in quanto espressamente prevista dal legislatore, quale beneficio
previdenziale di non generale applicazione.
Da ciò consegue che la previsione legislativa dell'intervento di integrazione salariale per
una certa categoria non comporta la successiva spettanza dell'indennità di mobilità
automaticamente, ossia in difetto di espressa estensione e ciò, come si è visto, è motivato
dalla diversa funzione dei due istituti.
Alla eccezionalità (e pertanto, al divieto di loro applicazione in via analogica) delle norme
che estendono l’ambito di applicazione della Cigs, si richiama anche Cass. 2 marzo 2005,
n. 4375, che esclude la possibilità di accedere a tale beneficio per le imprese di produzione
di servizi, considerando che l’art. 7, comma 7, l. n. 223/1991 fa espresso riferimento solo
alle imprese che esercitino attività di intermediazione nella circolazione dei beni174.
172
Cass. 26 agosto 2003, n. 12507, in Giust. Civ. Mass., 2003, 7-8.
A tal proposito, Cass. 30 dicembre 2009, n. 27764, in Guida al diritto, 2010, 5, 69, ha stabilito che ai fini
della concessione del trattamento di mobilità per le imprese commerciali, per effetto dell’estensione di quello
concesso ai dipendenti delle imprese industriali ed artigiane, ex artt. 1, comma 1 e 12, comma 3, l. n.
223/1991 (così come modificato dall'art. 7, comma 7, d.l. n. 148/1993, conv. in l. n. 236/1993), la verifica del
requisito occupazionale deve essere effettuata non al momento dell'apertura della procedura di mobilità ma
sulla media del semestre precedente la stessa apertura, atteso che detto criterio tende ad identificare con
effettività il requisito numerico, che, invece, ove sia verificato con riferimento alla data di apertura della
procedura stessa, avrebbe carattere aleatorio. In senso sostanzialmente conforme cfr. Cass. 30 agosto 2005 n.
17517; Cass. 25 agosto 2005 n. 17332.
174
L'art. 49, l. n. 88/1989, innovando rispetto a quanto stabilito dall'art. 2195 c.c. (Imprenditori soggetti a
registrazione), ha previsto l'inquadramento delle imprese, a tutti i fini previdenziali e assistenziali, in cinque
distinti settori (industria, artigianato, agricoltura, terziario, credito e assicurazioni); in particolare ha previsto
l'inquadramento nel settore terziario delle imprese che svolgono le seguenti attività: a) commerciale, b) di
produzione e prestazione di servizi, c) professionali e artistiche, d) ausiliarie delle predette. Alle imprese
inquadrate, ai sensi dell'art. 49 della legge n. 88 del 1989, ai fini previdenziali e assistenziali, nel settore
terziario, e all'interno di esso tra le imprese che svolgono attività di produzione e prestazione di servizi, non è
173
34
Richiama invece il principio di specialità, rispetto alla norma generale sull’inquadramento
previdenziale ex art. 49, l. n. 88/1989, Cass. 5 marzo 2004, n. 4535, la quale ritiene che, ai
fini della concessione dell’indennità di mobilità, l’individuazione dei soggetti destinatari
di tale beneficio deve essere operata alla stregua della legislazione sulla integrazione
salariale che si pone in rapporto di specialità rispetto alla normativa del 1989, relativa
all’inquadramento delle imprese ai fini previdenziali, restando quindi determinante, per
accertare il carattere industriale dell’attività, la definizione dell’art. 2195 n. 1 c.c., in base
al quale è industriale l’attività produttiva non solo di beni ma anche di servizi, purché
l’attività produttiva sia finalizzata alla costituzione di una nuova utilità.
b. L’indennità di disoccupazione
Un altro interessante filone giurisprudenziale è quello relativo alle pronunce in materia di
indennità di disoccupazione, ordinaria o con requisiti ridotti.
Grazie al contributo della giurisprudenza sono state puntualizzate alcune differenze tra le
due prestazioni, si pensi alla modalità per l’accesso all'erogazione del trattamento con
requisiti contributivi ridotti, costituita dalla sola presentazione di apposita domanda
corredata da una dichiarazione rilasciata dal datore di lavoro attestante il numero delle
giornate prestate nell'anno con la retribuzione corrisposta175, restando salva, peraltro, la
possibilità di fornire la prova contraria in quanto la dichiarazione del datore di lavoro non
ha valore ed efficacia di prova legale, mentre va escluso, in mancanza di qualsiasi rinvio,
che si estendano all'indennità in questione le prescrizioni previste per l'indennità ordinaria
di disoccupazione con requisiti normali, quali l'iscrizione all'ufficio di collocamento e la
soggezione al controllo dello stato di disoccupazione176.
Sempre l’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti è stato precisato che non può
essere erogata a favore dei soggetti espressamente indicati come beneficiari dalla
legislazione vigente, escludendosi, quindi, quelli individuabili per via interpretativa dalla
modulistica predisposta dall'Inps per la presentazione delle relative domande, atteso che,
vertendosi in materia sottratta alla disponibilità delle parti, in nessun caso tale modulistica
potrebbe estendere la platea degli assicurati oltre l'ambito delle leggi che la disciplinano. È
il caso della pretesa dei lavoratori dello spettacolo all'indennità di disoccupazione con
requisiti ridotti, da negarsi in considerazione dell'espressa esclusione dell'indennità di
disoccupazione involontaria prevista dall'art. 40 n. 5, r.d.l. n. 1827 del 1935, conv. in l. n.
1155 del 1936 per il personale artistico, teatrale e cinematografico177.
Sussistono, poi, alcuni principi giurisprudenziali validi per entrambe le indennità di
disoccupazione.
applicabile il disposto di cui all'art. 7, co. 7, d.l. n. 148/1993 (conv. in l. n. 236/1993) secondo cui le
disposizioni in materia di integrazione salariale (comprensive del trattamento di mobilità) si estendono anche
alle imprese esercenti "attività commerciale" che occupino oltre 50 addetti, in quanto trattasi di norma
eccezionale, insuscettibile di interpretazione analogica, che fa riferimento alle sole imprese che esercitino
attività di intermediazione nella circolazione dei beni. Una siffatta regolamentazione della materia, peraltro,
non fa sorgere dubbi di legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, posto
che rientra nel potere discrezionale del legislatore regolare in modo differente situazioni di fatto diverse, in
considerazione delle specifiche esigenze di ciascuna realtà economico sociale, e considerato che le imprese
commerciali e quelle di produzione e prestazione di servizi presentano innegabilmente delle peculiarità
settoriali che ne impediscono l'equiparazione.
175
Nei limiti previsti dall'art. 7, comma 5, l. n. 160 del 1988, come autenticamente interpretato dall'art. 3,
comma 4, del d.l. n. 108 del 1991, conv. nella l. n. 169 del 1991.
176
V. Cass. 18 maggio 2010, n. 12102, in Giust. civ. Mass., 2010, 5, 772. In senso conforme cfr. Cass. 11
giugno 2008, n. 15523.
177
Cfr. Cass. 20 maggio 2010, n. 12355, in Giust. civ. Mass., 2010, 5, 789, che ha confermato la sentenza di
merito, che aveva escluso il diritto del lavoratore dello spettacolo all'indennità di disoccupazione con requisiti
ridotti, in considerazione delle motivazioni sopra riportate.
35
In primo luogo, si segnala che diversamente dal credito avente ad oggetto l’integrazione
salariale 178, il ritardo nel pagamento del sussidio di disoccupazione non dà luogo alla
maturazione di rivalutazione ed interessi per la semplice decorrenza del tempo, in quanto,
essendo il pagamento della prestazione principale subordinato alla presentazione della
dichiarazione del lavoratore di conferma della continuità della disoccupazione nei quindici
giorni precedenti il periodo di riferimento della indennità, il diritto agli accessori matura
solo ove il disoccupato abbia posto in essere tutti gli oneri a suo carico per ottenere
l'erogazione dell'indennità179.
Inoltre, il riconoscimento della titolarità dell'assegno ordinario di invalidità impedisce la
corresponsione di quello di disoccupazione involontaria, ricorrendo un'incompatibilità "ex
lege", che comporta il divieto di cumulo tra le due prestazioni. L'assegno ordinario di
invalidità costituisce un trattamento pensionistico, perché si tratta di un'erogazione a fronte
dell'assicurazione obbligatoria contro l'invalidità, vecchiaia e superstiti, calcolata secondo
le norme dell'assicurazione stessa e convertita "ex lege" in pensione di vecchiaia al
compimento dell'età prevista per il normale pensionamento. Di conseguenza, è applicabile
l'art. 6 comma 7 del d.l. n. 148/93 in virtù del quale l'indennità di disoccupazione è
incompatibile con i trattamenti pensionistici dell'assicurazione invalidità, vecchiaia e
superstiti180.
Con un arresto assolutamente condivisibile, poi, la Cassazione ha stabilito che per le
lavoratrici gestanti ammesse al godimento dell'indennità di maternità e che siano divenute
disoccupate entro sessanta giorni dall'inizio del periodo di congedo per maternità, il
termine di sessanta giorni previsto dall'art. 129, comma 5, del r.d.l. n. 1827 del 1935 per la
presentazione della domanda di disoccupazione resta sospeso durante il periodo di
congedo per maternità ed in pendenza dell'erogazione della relativa indennità181.
Infine, si segnala un interessante pronuncia della Cassazione, che si è concentrata su un
profilo eminentemente processuale, e cioè quello relativo alla qualificazione di titolo
esecutivo della sentenza di condanna dell’INPS al pagamento di una determinata somma,
che nel caso di specie è rappresentata dalle differenze spettanti a titolo di indennità di
disoccupazione. La decisione ha stabilito che la sentenza costituisce valido titolo
esecutivo, e non richiede ulteriori interventi del giudice diretti all'esatta quantificazione del
credito, solo se tale credito risulti da operazioni meramente aritmetiche eseguibili sulla
base dei dati contenuti nella sentenza; se, invece, dalla medesima sentenza di condanna
non risulta (come nella specie) il numero delle giornate non lavorate nelle quali sia
maturata l'indennità giornaliera, così da rendersi necessari per la determinazione esatta
dell'importo elementi estranei al giudizio concluso e non predeterminati per legge, la
sentenza non costituisce idoneo titolo esecutivo ma è utilizzabile solo come idonea prova
scritta per ottenerlo nei confronti del debitore in un successivo giudizio182.
c. La contribuzione
Venendo ora ad esaminare l’aspetto della contribuzione, si rileva come, per costante
orientamento, le imprese sono tenute a versare il contributo addizionale a loro carico solo
178
V. Cass. 15 marzo 1993, n. 3074, in Dir. e prat. lav., 1993, p. 1349, che qualifica questo credito come
previdenziale, e lo ritiene suscettibile di rivalutazione monetaria ex art. 442 c.p.c.
179
V. Cass. 15 giugno 2010, n. 14332, in Giust. civ. Mass., 2010, 6, 908. In senso conforme cfr. Cass. 9
febbraio 2009, n. 3188, in Giust. civ. Mass., 2009, 2, 203; Cass. 6 giugno 2008, n. 15066.
180
Cass. 8 marzo 2010, n. 5544, in D&G, 2010.
181
Cass. 23 dicembre 2009, n. 27167, in Red. Giust. civ. Mass., 2009, 12.
182
Cass. 2 aprile 2009, n. 8067, in Giust. civ. Mass., 2009, 4, 573.
36
per i dipendenti posti in mobilità che abbiano diritto all’indennità e non anche per quelli
che invece non ne hanno diritto183.
Ciò si spiega in ragione della funzione del contributo, che è quella di porre parzialmente a
carico del datore di lavoro l’onere economico connesso all’erogazione dell’indennità di
mobilità da parte dell’Inps. Da un lato, il datore di lavoro trae dall’operazione un
“oggettivo vantaggio”, che risiede nella possibilità di liberarsi della manodopera eccedente
e, dall’altro, è interesse del sistema prevenire possibili abusi nel ricorso alla procedura.
Quello di mobilità non è, dunque, un contributo “di carattere generale”, destinato a
finanziare l’intera gestione della mobilità e neppure quella specifica operazione di mobilità
posta in essere dall’azienda beneficiaria, ma piuttosto “un contributo specifico funzionale
al singolo trattamento di mobilità erogato al singolo lavoratore”.
Ciò significa che sussiste un rapporto diretto tra l’onere a carico dell’azienda ed il
trattamento erogato dall’Istituto assicuratore ai singoli lavoratori, per cui, a contrario,
qualora il lavoratore per qualunque motivo non abbia diritto all’indennità di mobilità non
sussiste neppure l’onere di versare il contributo a carico dell’azienda.
Un primo aspetto interessante in tema di contribuzione, riguarda la sussistenza o meno
dell’obbligo di corrispondere i contributi per Cigo, Cigs e mobilità da parte delle cd.
società miste.
Con riferimento alle società costituite dagli enti pubblici locali – ai sensi dell’art. 113, lett.
e), d.lgs. n. 76/2000 – il presupposto per l’esclusione dal campo di applicazione della Cigo
non è da ricercare nell’esclusività dell’appartenenza pubblica, ma nell’assoggettamento al
controllo totale e incondizionato degli enti pubblici, da una parte, e nella considerazione
della natura dell’attività esercitata, dall’altra; ovvero nel fatto che si tratti di imprese che
operano in ambiti difficilmente comparabili con quelli nei quali può farsi ricorso alla
Cigo184.
A tanto conduce una corretta esegesi ed applicazione dell’art. 3, comma 1, d.lgs. 12 agosto
1947, n. 869, il quale esclude espressamente dalla CIG (ed esonera, quindi, dal pagamento
dei relativi contributi), tra le altre, “le imprese industriali degli enti pubblici, anche se
municipalizzate e dello Stato”.
Invero, sulla base di tale disposizione, parte della giurisprudenza ritiene che se non vi è
difficoltà ad escludere dal campo di applicazione della CIG le imprese a totale
partecipazione pubblica, qualificate senz’altro come “imprese industriali degli enti
pubblici”, non sarebbero escluse le società a prevalente partecipazione pubblica185.
Ad avviso di una recente pronuncia del Tribunale di Ravenna (che nel suo iter
motivazionale appare condivisibile) sussistono, invece, una serie di ragioni logiche e
giuridiche che portano a preferire l’interpretazione estensiva della norma.
Anzitutto, poiché non vi è alcuna ratio che sorregga e motivi tale diverso regime per le
imprese a totale o a prevalente partecipazione pubblica. In secondo luogo, perché se se
volge lo sguardo ad altri istituti e fenomeni giuridici che riguardano le società partecipate
(si pensi alla formazione della volontà, alla disciplina della concorrenza, alla
sottoposizione al controllo della Corte di Conti, ecc.) la loro regolamentazione giuridica
non cambia affatto a seconda della quota partecipativa detenuta dall’ente pubblico.
Le stesse considerazioni valgono per la mobilità, la cui area d’intervento coincide,
tendenzialmente, con quella della Cigs ai sensi dell’art. 16, l. n. 223/1991.
Una soluzione diversa viene data, invece, in tema di contributi per la disoccupazione.
183
V. Cass. 20 giugno 2007, n. 14307.
Trib. Ravenna 7 febbraio 2007, in L.G.., 2007, 928 ss., con commento di Bellumat.
185
Cass. 20 aprile 1993, n. 4600, in Giust. Civ. Mass., 1993, 696.
184
37
Una società a capitale pubblico prevalente non è automaticamente esentata dall’obbligo
contributivo per disoccupazione, in ragione della sua natura di esercente di pubblici
servizi, «ma si tratta di verificare, caso per caso, se essa goda del requisito della
“stabilità”, desumibile dal combinato disposto dell’art. 40, R.D.L. n. 1935/1827 e dell’art.
36 D.P.R. 818/1957 per l’applicazione del suddetto esonero. Tale requisito di stabilità
deve essere riconosciuto dal provvedimento ministeriale ex art. 36 D.P.R. 818/1957 in
relazione al sistema di garanzie in concreto previste nella disciplina del CCNL sul
licenziamento e in considerazione del fatto che si tratta di servizi pubblici per i quali
effettivamente non è facile ipotizzare il rischio della disoccupazione»186.
In linea con tale soluzione si colloca anche l’orientamento delle Sezioni Unite187, secondo
cui la stabilità deve essere accertata secondo i parametri pubblicistici e riconosciuta solo in
presenza di norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale
dipendente da pubbliche amministrazioni, aziende pubbliche o aziende esercenti pubblici
servizi, che prevedano la possibilità per il datore di lavoro di far cessare il rapporto
esclusivamente in presenza di concrete ipotesi di carattere oggettivo, tassativamente
predeterminate (anche in forza di atti negoziali) ovvero quando la stabilità stessa sia
riscontrata con provvedimento del Ministro del lavoro e la previdenza sociale.
Quanto meno, però, con riferimento alla CIG, una recente pronuncia della Cassazione ha
negato la validità dell’interpretazione estensiva pur proposta dalla giurisprudenza di merito
(supra), con la conseguenza che le società per azioni a prevalente capitale pubblico aventi
ad oggetto l'esercizio di attività industriali sono tenute al pagamento dei relativi contributi,
non potendo trovare applicazione l'esonero previsto dall'art. 3 d.lg.C.p.S. 12 agosto 1947
n. 869, come sostituito dall'art. 4, comma 1, l. 12 luglio 1988 n. 270, in quanto l'art. 23 l. 8
giugno 1990 n. 142 (applicabile "ratione temporis") non ricomprende le società a capitale
misto tra gli organismi aventi natura strumentale dell'ente locale per il perseguimento delle
finalità pubbliche, dovendosi escludere, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto
a quella propria dello schema societario, che la mera partecipazione maggioritaria da parte
dell'ente titolare sia idonea a determinare la natura dell'organismo attraverso cui la
gestione del servizio pubblico viene attuata188.
Un secondo aspetto interessante in tema di contribuzione riguarda il diritto alla riduzione
contributiva di cui all’art. 5, comma 5, l. n. 223/1991, per le imprese che, secondo le
procedure determinate dalla Commissione regionale per l'impiego, procurino offerte di
lavoro a tempo indeterminato aventi le caratteristiche di cui al successivo art. 9, comma 1,
lettera b)189. Sul punto la Cassazione ha precisato che è carico del datore di lavoro che
contesti la pretesa dell'Inps a ricevere nella sua interezza il contributo collegato alla messa
in mobilità, deducendo di aver diritto alla riduzione predetta, l’onere di dimostrare che
ricorrono le condizioni richieste dalla legge per averne diritto190.
d. La tutela previdenziale a latere praestatoris
Venendo a trattare la tematica della tutela previdenziale del lavoratore, si è già riferito,
nella prima parte del presente contributo, degli orientamenti in tema di applicabilità degli
186
Cfr. Tribunale di Ravenna, 7 febbraio 2007, cit.
Cass. S.U. 14 ottobre 1988, n. 5570, in Inf. Prev., 1988, 1818
188
Cass. 24 giugno 2009, n. 14847, in Giust. civ. Mass., 2009, 6, 975.
189
L’art. 5, comma 5, l. n. 223/1991, prevede che l’impresa non è tenuta al pagamento delle rate mensili di cui
al precedente comma 4, relativamente ai lavoratori che perdano il diritto al trattamento di mobilità in
conseguenza del rifiuto di tali offerte ovvero per tutto il periodo in cui essi, accettando le offerte procurate
dalla impresa, abbiano prestato lavoro. Il predetto beneficio è escluso per le imprese che si trovano, nei
confronti dell'impresa disposta ad assumere, nei rapporti di cui all'art. 8, comma 4-bis.
190
Cass. 4 febbraio 2010, n. 2616, in Guida al diritto, 2010, 13, 70.
187
38
ammortizzatori sociali ai lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro o di
apprendistato.
Quanto invece ai lavoratori a termine, va richiamata la giurisprudenza comunitaria che ha
escluso che il lavoratore, alla scadenza del contratto a tempo determinato, si trovi
automaticamente in stato di disoccupazione volontaria.
La Corte di Giustizia191 ha avuto modo di osservare che, se è vero che un contratto di
lavoro è normalmente il risultato di negoziazioni, non è men vero che non sono rari i casi
in cui il lavoratore non esercita alcuna influenza sulla durata e sul tipo di contratto di
lavoro che può stipulare con un datore di lavoro. E’ noto come in alcuni settori di attività
viene fatto sovente ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato per diverse ragioni,
quali il carattere stagionale del lavoro, il fatto che il mercato considerato è sensibile
alla congiuntura o l’eventuale rigidità della normativa nazionale in materia di lavoro.
Pertanto, la Corte di Giustizia ritiene che, nell’esame del carattere volontario o
involontario dello stato di disoccupazione, il giudice nazionale debba prendere in
considerazione circostanze quali “gli usi del settore di attività economica considerato, le
possibilità di trovare in tale settore un lavoro che non sia a tempo determinato, l’esistenza
di un interesse ad impegnarsi soltanto in un rapporto di lavoro a tempo determinato o
l’esistenza di una possibilità di rinnovo del contratto di lavoro”.
Si deve altresì tener conto, nell’analisi della questione, di quanto statuito dalla clausola 4
dell’accordo quadro comunitario in materia di contratti a tempo determinato, recepito nella
Direttiva 1999/70/CE, la quale dispone che, “per quanto riguarda le condizioni di
impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno
favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un
contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni
oggettive”. La Corte di Giustizia192 ha avuto modo di precisare che tale clausola è
incondizionata e sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo dinanzi
ad un giudice nazionale.
Altro problema che si è posto all’attenzione della giurisprudenza, questa volta nazionale,
concerne la sussistenza del diritto a percepire la prestazione in capo ai lavoratori impiegati
con contratto part-time verticale a base annua, in relazione ai periodi di non attività. La
giurisprudenza ha posto un principio fermo con la sentenza della Cass S.U. n. 1732/2003
che ha escluso tale diritto motivando tale decisione con l’insussistenza del requisito della
involontarietà dello stato di disoccupazione nei suddetti periodi di inattività.
La successiva giurisprudenza ha riaffermato tale principio, evidenziando come la
stipulazione di questo tipo di contratto, dipendendo dalla libera volontà del lavoratore
contraente, non dà luogo a disoccupazione involontaria nei periodi di pausa, con la
conseguenza che a tali lavoratori non può estendersi, neanche in via analogica, in
mancanza di una eadem ratio, la disciplina della disoccupazione involontaria. Il principio
vale anche nei casi in cui il modello del tempo parziale verticale non sia il frutto di una
scelta, ma il portato delle caratteristiche obiettive del tipo di lavoro, sicché la fattispecie
sotto il profilo in questione risulti analoga all'ipotesi della prestazione di lavoro
stagionale193.
La sentenza da ultimo richiamata fa rinvio alla pronuncia della Corte costituzionale n. 121
del 2006, la quale ha convalidato l'interpretazione della Cassazione, osservando che
191
CGCE sez. VI, 6 novembre 2003, causa C-413/01 (Ninni – Orasche), pt. 44, in D&G, 2004, 9, 122. Sul
punto, v., ampiamente, De Michele, Contratto a termine e precariato, Milano, Ipsoa, 2009, 100.
192
CGCE, sez. II, 13 settembre 2007, causa C-307/05 (Del Cerro Alonso c. Osakidetza), in D&L, 2007, 1013;
CGCE, Grande Sezione, 15 aprile 2008, causa C-268/06 (Impact c. Minister for Agriculture and Food e altro),
in DRI, 2008, 854, con nota di Cosio.
193
V. da ultimo, Cass. 9 febbraio 2009, n. 3105, in Guida al dir., 2009, 17, 53.
39
"rispetto al lavoro stagionale (...) il tipo contrattuale del tempo parziale verticale presenta
sicuri elementi di differenziazione. In particolare, nel lavoro stagionale il rapporto cessa a
fine stagione, sia pure in vista di una probabile nuova assunzione stagionale; nel lavoro a
tempo parziale verticale invece il rapporto prosegue anche durante il periodo di sosta, pur
con la sospensione delle corrispettive prestazioni, in attesa dell'inizio della nuova fase
lavorativa. Pertanto il lavoratore stagionale non può contare sulla retribuzione derivante
dall'eventuale nuovo contratto, mentre il lavoratore a tempo parziale può fare affidamento
sulla retribuzione per il lavoro che presterà dopo il periodo di pausa". La Corte
costituzionale ha quindi concluso che "l'esclusione del diritto all'indennità di
disoccupazione per i periodi di mancata prestazione dell'attività lavorativa nei rapporti di
lavoro a tempo parziale verticale su base annua non viola quindi l'art. 3 Cost., per le
differenze esistenti tra le due situazioni poste a confronto. Né viola l'art. 38 Cost., perchè
nel tempo parziale verticale il rapporto di lavoro perdura anche nei periodi di sosta,
assicurando al lavoratore una stabilità ed una sicurezza retributiva, che impediscono di
considerare costituzionalmente obbligata una tutela previdenziale (integrativa della
retribuzione) nei periodi di pausa della prestazione"194.
Sempre con riferimento al requisito dell’involontarietà della disoccupazione, ai fini
dell’erogazione del relativo trattamento, la giurisprudenza afferma il principio di
territorialità, per cui è necessario che tale requisito sussista nello Stato italiano, giacché il
sistema assicurativo nazionale è pur sempre improntato, in assenza di convenzioni
internazionali di sicurezza sociale, al principio della territorialità, nel senso che gli eventi
rilevanti per il rapporto assicurativo, e cioè sia il periodo di espletamento dell'attività
lavorativa, sia il periodo di mancanza involontaria di lavoro, sono quelli trascorsi nel
territorio nazionale, restando ininfluente ogni evento che occorra in periodo trascorso
all'estero195.
Venendo alla disamina degli orientamenti giurisprudenziali inerenti i requisiti per
l’accesso ai trattamenti di disoccupazione e mobilità, con riferimento al requisito
dell’anzianità per l’accesso al trattamento di disoccupazione la Suprema Corte ha precisato
che tale periodo non è inciso da qualsivoglia causa di interruzione del rapporto di lavoro
che non azzeri l’anzianità aziendale196. Di conseguenza, nel caso di recesso del datore di
lavoro dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con esonero per il lavoratore dalla
relativa prestazione ed immediata risoluzione del rapporto di lavoro a tutti gli effetti
giuridici, si impedisce che il periodo di preavviso non lavorato sia computato ai fini del
raggiungimento del requisito dei due anni d'iscrizione nell'Ago contro la disoccupazione
involontaria per la corresponsione dell'indennità ordinaria di disoccupazione,
danneggiando così il lavoratore197!
In tema di riconoscimento dell’indennità di mobilità ai lavoratori licenziati, la Cassazione
ha avuto modo di pronunciarsi sui criteri di computo dell’anzianità di almeno 12 mesi “di
cui almeno sei mesi di lavoro effettivamente prestato”, ex art. 16, l. n. 223/1991, ritenendo
che non è consentito equiparare al lavoro effettivamente prestato il periodo di continuità
194
Sulla problematica della esclusione dei lavoratori con part-time verticale dalla tutela della disoccupazione,
v. Lagala (a cura di), Part-time e disoccupazione nella riforma degli ammortizzatori sociali, Milano, Giuffrè,
2004 e ivi, in particolare, i contributi di Riverso e Russo.
195
Cass. 3 settembre 2008, n. 22151, in Giust. Civ. Mass., 2008, 9, 1309. Nella specie, la S.C., enunciando
l'anzidetto principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittima la trattenuta effettuata
dall'Inps sull'indennità di disoccupazione, per taluni agricola e per altri ordinaria, in corrispondenza delle
giornate coincidenti con il ritorno degli assicurati, cittadini stranieri, nei loro Paesi di origine, non legati da
convenzioni di sicurezza sociale.
196
Cass. 15 settembre 2008, n. 23703, in Giust. Civ. Mass., 2008, 9, 1366.
197
Cass. 16 giugno 2009, n. 13959, in Riv. it. dir. lav., 2010, 1, 49, con nota di Lattanzio.
40
del lavoro che sia conseguenza della declaratoria di illegittimità del licenziamento, giacché
gli effetti risarcitori di tale declaratoria sono soltanto quelli specificatamente previsti
dall’art. 18, Stat. Lav., non suscettibili di sommarsi con l’indennità di mobilità.
Quanto al computo del requisito dei ventotto anni di contribuzione, richiesto dall’art. 7,
comma 7, l. n. 223/1991 per accedere alla c.d. mobilità lunga, la Suprema Corte a Sezioni
Unite198, nel dirimere il contrasto insorto in seno alla Sezione Lavoro, ha ritenuto che tale
requisito contributivo possa ritenersi conseguito al momento della cessazione dell'attività
lavorativa, in caso di contributi accreditati nelle diverse gestioni dei lavoratori dipendenti e
autonomi, sia mediante il cumulo automatico dei contributi versati nella gestione generale
dei lavoratori dipendenti con quelli versati nella gestione del lavoratori autonomi - che
consentirà, poi, di ottenere la pensione di anzianità in quest'ultima gestione - sia attraverso
la ricongiunzione dei diversi periodi assicurativi nella gestione dei lavoratori dipendenti, ai
sensi della l. n. 7 febbraio 1979, n. 29, al fine di ottenere l'erogazione della pensione in
questa stessa gestione, restando peraltro esclusa, quando non si faccia ricorso alla suddetta
ricongiunzione, la possibilità di cumulare nell'assicurazione dei lavoratori dipendenti i
contributi versati nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi al fine di ottenere la
pensione nella gestione dei lavoratori dipendenti.
La giurisprudenza di legittimità ha avuto recentemente modo di chiarire quale sia la ratio
della norma di cui all'art. 7, comma 4, della legge n. 223 del 1991 - che stabilisce che
l'indennità di mobilità non può essere corrisposta per un periodo superiore all'anzianità
maturata dal lavoratore alle dipendenze dell'impresa che abbia attivato la procedura di cui
all'art. 4 della stessa legge – evidenziando come essa sia finalizzata ad evitare il rischio di
programmate precostituzioni di anzianità lavorative volte al godimento di una maggiore
indennità di mobilità 199.
Passando ad esaminare i problemi connessi al calcolo del quantum di prestazione, si parte
da quello della computabilità delle mensilità aggiuntive nella base di calcolo della Cigs.
Sul punto, la giurisprudenza si è assestata sul principio di diritto secondo cui l’indennità di
Cigs spetta per sole dodici mensilità; tuttavia ciascuna di esse è comprensiva dei ratei di
mensilità aggiuntive, purché il totale non superi i massimali prefissati. E’
conseguentemente esclusa una diversa e ulteriore incidenza delle mensilità aggiuntive sul
trattamento di integrazione salariale200.
Merita di essere segnalata la pronuncia Cass. 14 gennaio 2005 n. 635, la quale estende la
base di computo ai fini del calcolo dell’integrazione salariale anche a tutte le altre
erogazioni di natura retributiva che, pur facendo parte della retribuzione complessiva, non
si riferiscono al tempo delle specifiche prestazioni lavorative; quindi non solo le mensilità
aggiuntive201, ma anche, ad esempio, i ratei di ferie maturate e non fruibili, i premi di
198
Cass. S.U. 21 luglio 2006, n. 16749, in D&G, 2006, 40, 29; idem Cass. 2 settembre 2008, n. 22099.
Cass. 16 maggio 2008, n. 12406, in Giust. Civ. Mass., 2008, 5, 740. Sulla scorta di tale interpretazione, la
Cassazione riteneva nel caso di specie che la norma di cui all’art. 7, co. 4, l. n. 223/1991, dovesse trovare
applicazione anche nei confronti di un lavoratore che, a seguito di trasferimento di azienda, fosse transitato
alle dipendenze della cessionaria, la quale avesse poi attivato la procedura di mobilità.
200
Cass. 6 aprile 2009, n. 8205, in DRI, 2009, II, 416 (s.m.), con nota di Carminati, Il computo delle mensilità
aggiuntive nella base di calcolo per i trattamenti di integrazione salariale. Più recentemente, Cass. 9
novembre 2010, n. 22760, in D&G, 2010, ha stabilito che l'incidenza concreta della tredicesima ai fini del
calcolo dell'indennità di cassa integrazione guadagni straordinaria può essere nulla nel caso in cui il
massimale mensile fissato dalla legge per la base di calcolo risulta raggiunto per effetto delle altre voci
retributive.
201
V. da ultimo Cass. 15 aprile 2009, n. 8919, in DRI, 2009, II, 416 (s.m.), con nota di Carminati, op. ult. cit.;
Cass. 15 aprile 2009, n. 8918, in D.L. Riv. critica dir. lav., 2009, 2, 549; Cass. 8 aprile 2009, n. 8521, in
Guida al diritto, 2009, 23, 74 (s.m.); Cass. 23 marzo 2009, n. 6962, in Giust. civ. Mass., 2009, 3, 505.
199
41
anzianità, o altre erogazioni di natura retributiva destinate a maturare anche nel caso di
sospensione dell’attività lavorativa non incidente sull’anzianità aziendale.
Quanto al calcolo dell’indennità di mobilità, essendo la stessa soggetta - secondo quanto
dispone la l. n. 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, comma 12 - alla disciplina prevista per la
disoccupazione involontaria "in quanto applicabile" e non essendo riscontrabile, nelle
disposizioni del medesimo art. 7, la previsione di un meccanismo di calcolo ragguagliato
"al mese", sulla scorta dei criteri di computo valevoli per la Cigs, l'indennità deve essere
corrisposta con riferimento alle singole giornate di effettiva disoccupazione202.
La durata massima della mobilità diverge a seconda che il “luogo permanente di lavoro”
sia situato al Centro-Nord o nelle aree del Mezzogiorno: se nel primo caso essa spetta per
12 mesi, elevati a 24 per i lavoratori che hanno compiuto i quaranta anni e a 36 per gli
ultracinquantenni, nel Mezzogiorno tale durata è prorogata di 12 mesi, per ciascuna
categoria di lavoratore203.
Con riferimento alla nozione di “luogo permanente di lavoro”, Cass. Sez. Un. 30 maggio
2005, n. 11326, ha risolto il contrasto sorto all’interno della Sezione Lavoro.
L’interpretazione di tale norma aveva infatti dato vita a due diversi orientamenti: il
primo204, riteneva che per luogo permanente di lavoro dovesse intendersi il luogo in cui il
lavoratore ha svolto la propria attività e si è iscritto, una volta licenziato, nelle liste di
mobilità, piuttosto che il luogo in cui l'impresa ha la propria sede o la propria struttura
produttiva principale e dove la procedura di mobilità è stata attivata. Tale orientamento si
fonda sulla considerazione, ritenuta decisiva, che destinatari dell'apprestato beneficio sono
i singoli lavoratori, non l'impresa in crisi, e che "ratio" della disposizione di favore è quella
di approntare una più lunga assistenza ai lavoratori medesimi in ragione della maggiore
difficoltà che essi incontrano per la ricollocazione nel mercato del lavoro.
Per l’orientamento di segno opposto205, l’indennità di mobilità è destinata ad operare come
ammortizzatore delle tensioni sociali che derivano dai processi di espulsione di
manodopera" e, in fondo, più come ausilio all'impresa in crisi che come garanzia di tutela
economica dal bisogno del lavoratore disoccupato nelle more della ricerca di una nuova
occupazione", conseguendone che la più lunga durata della prestazione varrebbe
esclusivamente a favore dei lavoratori dipendenti da impresa o unità produttiva ubicate in
territorio disagiato.
202
Sebbene sul punto sia stata più volte sollevata questione di illegittimità costituzionale per violazione degli
artt. 3 e 38 Cost., la giurisprudenza di legittimità e della Consulta ritiene che tale modalità di calcolo sia
costituzionalmente legittima, per il fatto che il lavoratore in mobilità riceva in tale mese un trattamento
mensilmente inferiore a quello che avrebbe ricevuto se fosse stato (o rimasto) in cassa integrazione, atteso che
il trattamento garantito dalla legge non è quello che il lavoratore avrebbe ricevuto "in quel mese" se fosse
stato in cassa integrazione, ma è costituito dall'indennizzo di ogni giorno di disoccupazione con riferimento
all'importo mensile massimo dell'integrazione salariale "spettante nel periodo precedente la risoluzione del
rapporto di lavoro", e ciò in coerenza con la funzione propriamente previdenziale della prestazione e con il
sistema generale delle assicurazioni sociali, che - ancorché riferite a particolari categorie di lavoratori - non
corrispondono mai all'effettiva diminuzione della capacità retributiva subita dal singolo, non potendosi,
neanche indirettamente, considerare vantaggioso per l'individuo il godimento delle prestazioni assicurative
rispetto allo svolgimento di un'attività lavorativa, sia pure ridotta o sospesa" (così Corte Cost. 26 gennaio
2007, n. 18, in Giur. Cost., 2007, 1; Cass. 29 gennaio 2009, n. 2159; Cass. 26 novembre 2008, n. 28269; Cass.
20 maggio 2008, n. 12747, in Giust. Civ. Mass., 2008, 5, 764; Cass. 19 novembre 2008, n. 27466, in D&G,
2008).
203
V. l’art. 7, co. 2, l. n. 223/1991, che disciplina la durata del periodo di godimento dell’indennità di mobilità
nelle aree del Mezzogiorno (di cui al d.p.r. 218/1978).
204
Sostenuto da Cass. 8 luglio 2004, n. 12630; Cass. 22 ottobre 2003, n. 15822, in Giust. Civ. Mass., 2003,
10; Cass. 27 novembre 2002, n. 16798, ibidem, 2002, 2064.
205
Cass. 9 febbraio 2004, n. 2409, in Giust. Civ. Mass., 2004, 2.
42
Le Sezioni Unite fondano la propria interpretazione sulla ratio delle norme relative alla
indennità di mobilità, evidenziando come esse, per un verso, appartengono alla
regolazione "promozionale" del mercato del lavoro, sotto altro profilo, sono da ricondurre
alla categoria degli interventi di politica sociale funzionali al "sostegno" sul piano
economico della personale condizione di disoccupazione del lavoratore, piuttosto che
quale "ausilio all'impresa in crisi".
Le Sezioni Unite pongono altresì in luce la stretta connessione funzionale esistente tra la
percezione della indennità e le ramificate conseguenze discendenti dalla iscrizione nelle
liste di mobilità, sicché diviene determinante, ai fini dell’erogazione della mobilità lunga,
la circostanza che in una delle zone "svantaggiate" l'impresa abbia scelto di organizzare
stabilmente la prestazione lavorativa di alcuni (o, al limite, anche di uno solo) dei suoi
dipendenti, in funzione del raggiungimento dei propri obiettivi di produzione.
Si è visto come, nel computo della base di calcolo per l’indennità di mobilità, la sua
disciplina si avvicini più a quella del trattamento di disoccupazione, che a quello della
Cigs.
Lo stesso vale con riferimento all’applicabilità del criterio di adeguamento automatico
posto dall'art. 1, comma 5, d.l. 16 maggio 1994 n. 299, conv. in l. 19 luglio 1994, n. 451, il
quale, secondo l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità206, riguarda
unicamente il trattamento straordinario di integrazione salariale e solo indirettamente,
quanto alla rivalutabilità dei massimali del relativo trattamento, incide anche sull'indennità
di mobilità, secondo una scelta di politica sociale del legislatore, che ha inteso offrire al
lavoratore collocato in cassa integrazione una tutela leggermente maggiore rispetto a
quella assicurata al lavoratore in mobilità, la cui compatibilità costituzionale è stata
affermata da Corte cost. n. 184 del 2000207 ed emerge anche dalla assimilabilità
dell'indennità di mobilità ai trattamenti di disoccupazione più che al trattamento Cigs.
Di segno opposto, la sentenza del Tribunale di Foggia del 20 settembre 2007208, che
riconosce per l’adeguamento dell’indennità di mobilità l’applicabilità dei criteri previsti
per la Cigs, ritenendo che «il meccanismo di adeguamento automatico annuale alle
variazioni dell’indice ISTAT, previsto per la CIGS dall’art. unico, l.427/1980 (nel testo
modificato dall’art. 1, d.l. 299/1994, conv. nella l. 451/1994), si applica anche
all’indennità di mobilità, in quanto espressamente previsto per l’indennità di
disoccupazione involontaria, dall’art. 3, d.l. 299/1994, conv. nella l. 451/1994, per il
richiamo diretto dell’art. 7, co. 12, della l. 223/1991 e di tutta la normativa in materia di
DSO, ove applicabile».
206
Da ultimo, Cass. 19 ottobre 2010, n. 21410, in D&G, 2010, secondo cui l’indennità di mobilità, dopo la
sua iniziale quantificazione, non è più incrementabile in conseguenza delle variazioni dell’indice Istat; adde
Cass. 4 novembre 2009, n. 23364, in D&G, 2009; Cass. 29 aprile 2009, n. 9972, in D&G, 2009; Cass. 25
marzo 2009, n. 7186; Cass. 13 gennaio 2009, n. 525, in D&G, 2009.
207
Corte Cost. 9 giugno 2000, n. 184, in Giur. Cost., 2000, 1602, secondo cui «Sono infondate le questioni di
legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3 e 38 comma 2, Cost., degli artt. 7 comma 3 l. 23 luglio
1991 n. 223, 1 comma 5, 2 e 3 comma 2, del d.l. 16 maggio 1994 n. 299, conv. in l. con modificazioni dall'art.
1 comma 1 l. 19 luglio 1994 n. 451, e dell'art. 54 comma 12 l. 27 dicembre 1997 n. 449, che prevedono che
l'indennità di mobilità venga adeguata annualmente "in misura pari all'aumento della indennità di
contingenza", meccanismo ormai inoperativo. Il trattamento di integrazione salariale straordinaria, infatti, non
costituisce un idoneo tertium comparationis, stante la diversità strutturale dei due istituti, e atteso che la cassa
integrazione non implica, come l'iscrizione nelle liste di mobilità, lo scioglimento del rapporto di lavoro (sent.
n. 337 del 1992). Dalla garanzia posta dall'art. 38 cost., poi, non discende come conseguenza
costituzionalmente necessaria che sia costantemente adeguato un emolumento finalizzato a dare un aiuto al
lavoratore in un momento di difficoltà, e per un tempo limitato».
208
Conformemente, v. De Michele, La riforma degli ammortizzatori sociali e l’indennità di mobilità, in L.G.,
2007, 869.
43
Altro tema interessante è quello della sospensione/decadenza dal trattamento di mobilità,
in cui l’apporto della giurisprudenza è stato determinante per rimarcare la diversità delle
fattispecie previste rispettivamente al comma 4 ed al comma 5 dell’art. 8, l. n. 160/1988.
Ed invero, il comma 4 stabilisce la perdita da parte del lavoratore, che presta attività
lavorativa durante il periodo di cassa integrazione, del diritto alla relativa integrazione per
tutto il periodo lavorativo in ragione della cessata funzione sociale del trattamento
integrativo (quindi, si tratta di una mera sospensione del trattamento). Come ha ben
sottolineato la Consulta, con ordinanza n. 190 del 1996, il comma 4 non prevede una
sanzione di decadenza dal beneficio, ma solo l’incompatibilità tra attività lavorativa
retribuita e fruizione del trattamento di integrazione salariale209.
Il successivo comma stabilisce invece la decadenza "dal diritto al trattamento di
integrazione salariale" a carico del lavoratore che - diversamente da quanto in precedenza
previsto – ometta di comunicare all'INPS lo stato di occupazione210.
Un’interpretazione letterale dell'art. 8, comma 5., induce a ritenere che l'espressione
"diritto al trattamento di integrazione salariale" faccia riferimento al globale trattamento
salariale, senza alcuna distinzione all'interno del periodo di cassa integrazione o rilievo, ai
fini della decadenza, della collocazione temporale dell'attività di lavoro svolta dal
cassintegrato, in coerenza con la "ratio legis" della disposizione, volta ad assicurare la
massima efficacia ai controlli dell'Inps al fine di ridurre l'area del lavoro nero e garantire
l'effettiva destinazione a sostegno dei disoccupati delle risorse disponibili.
Siffatta conclusione è stata avallata dall'indirizzo dei giudici di legittimità211.
L’eventuale decadenza dal trattamento, ai sensi e per gli effetti del citato comma 5, non
legittima tuttavia, la sospensione dell’erogazione della retribuzione, in mancanza dei
presupposti per la collocazione in Cigs 212.
In caso di indebito pagamento da parte dell’INPS del trattamento, si ritiene che l’Ente
Previdenziale possa ricorrere allo strumento giudiziale della ripetizione di indebito
oggettivo, ex art. 2033 c.c.213 Sicché, il diritto alla ripetizione prescinde dall'accertamento
della scusabilità o meno dell'errore che aveva dato luogo all'erronea corresponsione della
prestazione previdenziale (laddove invece la scusabilità dell’errore è richiesta per la
209
Giova comunque precisare che Cass. 19 marzo 2010, n. 6741, in Red. Giust. civ. Mass., 2010, 3, in tema di
cassa integrazione guadagni, e con riferimento all'art. 3 del d.lg.lt. n. 788 del 1945, applicabile "ratione
temporis", preferisce parlare di decadenza dal diritto al trattamento integrativo salariale, ove il lavoratore
svolga una attività lavorativa suscettibile di produrre reddito, restando irrilevante che si tratti di attività non
retributiva o che l'attività sia qualificabile come autonoma o subordinata, atteso che la ratio della disposizione
è quella di evitare l'erogazione del trattamento integrativo in concomitanza con lo svolgimento di un'attività
sostitutiva di quella sospesa. Sull'incompatibilità del trattamento di integrazione salariale con qualunque
attività lavorativa suscettibile di produrre reddito per chi la svolge, anche se in concreto non ne risulti
l'effettivo conseguimento, v. anche Cass. 10 marzo 2009, n. 5720, in Giust. civ. Mass., 2009, 3, 419, sebbene
con riferimento all'art. 8, commi 4 e 5, d.l. 21 marzo 1988 n. 86, convertito, con modificazioni, nella l. 20
maggio 1988 n. 160.
210
V. Cass. 17 febbraio 2009, n. 3776 (in Guida al lav., 2009, 16, 41 ss.), secondo cui la comunicazione
all’INPS da parte del lavoratore è tempestiva non solo se effettuata prima dell’assunzione del nuovo impiego,
ma, anche se successiva a questo momento, purché comunque preceda la liquidazione dell’indennità riferita al
periodo di reimpiego. Sulla decadenza dal diritto alle integrazioni salariali, comminata per l'omissione, da
parte dei lavoratori beneficiari del trattamento, della comunicazione preventiva - rispetto allo svolgimento - di
qualsiasi attività lavorativa, in funzione dello scopo di consentire all'Inps la verifica circa la compatibilità
dell'attività con il perdurare del rapporto di lavoro, presupposto delle stesse integrazioni salariali, v. Cass. 14
giugno 2010, n. 14196, in Guida al diritto, 2010, 29, 65.
211
Ex multis, Cass. 21 febbraio 2007, n. 4004, in RGL, 2007, II, 763, con nota di Cutrera; Cass. S.U. 5 maggio
1999 n. 30, in Giust. Civ. Mass., 1999, 267; Cass. 10 marzo 2004, n. 4922, ibidem, 2004, 3; Cass. 27 ottobre
2003, n. 16117, ibidem, 2003, 10.
212
Cass. 19 agosto 2003, n. 12137, in Giust. Civ. Mass., 2003, 7-8.
213
Cass. 17 novembre 2003, n. 17404, in Giust. Civ. Mass., 2003, 11.
44
ripetizione in caso di indebito soggettivo, di cui all’art.2036 c.c.), se si accerta che il
lavoratore che ne ha beneficiato non aveva diritto a tale trattamento.
Di recente, la Cassazione ha affermato che in caso di restituzione all’INPS dell’indennità
di mobilità indebitamente percepita, non possa applicarsi in via analogica la riduzione di
cui all’art. 1, comma 260, l. n. 662/1960, valida per le prestazioni pensionistiche214.
A proposito di restituzione del trattamento di disoccupazione indebitamente percepito, va
segnalato il consolidato orientamento secondo cui dal risarcimento spettante al lavoratore,
in caso di violazione delle regole inerenti i criteri di scelta per la collocazione in mobilità o
per il licenziamento collettivo per riduzione di personale, ex artt. 4, 5 e 24, l. n. 223/1991,
non vanno dedotti i trattamenti di disoccupazione percepiti dal lavoratore licenziato e poi
reintegrato, in quanto quest’ultimo è obbligato alla loro restituzione, essendo venuto meno,
con l’annullamento del licenziamento, il presupposto della mancanza di lavoro alla cui
esistenza è subordinato il diritto alle prestazioni di disoccupazione. Stesso discorso vale
ovviamente, per i trattamenti pensionistici, anch’essi ancorati al presupposto della
mancanza di lavoro215.
Si conclude l’analisi del contributo della giurisprudenza in tema di tutela previdenziale,
esaminando gli ultimi approdi inerenti il procedimento amministrativo o giudiziale per
ottenere, su istanza del lavoratore, il riconoscimento del diritto al trattamento.
La domanda amministrativa è soggetta ai termini di decadenza fissati ex lege; nel caso
dell’indennità di mobilità, le Sezioni Unite216 ritengono che debba osservarsi il termine
prescritto per il trattamento di disoccupazione, in forza del richiamo operato dall’art. 7,
comma 2, l. n. 223/1991; in caso di plurime prestazioni, debbono presentarsi, nei termini,
distinte domande; per fare un esempio, nel caso dei lavoratori agricoli, la presentazione
della domanda amministrativa per il pagamento del trattamento ordinario non è idonea ad
evitare la decadenza dal diritto per il pagamento del trattamento speciale.
In caso di rifiuto della prestazione, e di rigetto (o mancata pronuncia) del successivo
ricorso in via amministrativa, la domanda giudiziale va presentata al giudice ordinario217
entro un anno dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai
competenti organi dell'Istituto Previdenziale218.
Con riferimento invece alla fase antecedente all’ammissione dell’azienda richiedente al
trattamento integrativo, le Sezioni Unite ritengono che la giurisdizione spetti al giudice
amministrativo, poiché l’attività procedimentale prodromica al predetto provvedimento
rientra nel campo della discrezionalità amministrativa e non tecnica219. Analoga
214
Cass. 1 dicembre 2008, n. 28517.
V. Garofalo R., Tutela previdenziale, proposizione dell’azione giudiziaria e risarcimento del danno, nota a
Cass. 23 gennaio 2009, n. 1707, in L.G., 2009, 589 ss.
216
Cass. S.U. 6 dicembre 2002, n. 17389, in Giust. Civ. Mass., 2002, 2137.
217
Cass. S.U. 10 agosto 2005, n. 16780, in Giust. Civ. Mass., 2005, 6.
218
Cass. 11 aprile 2008, n. 9560, in Giust. Civ. Mass., 2008, 4, 568; Cass. 6 marzo 2004, n. 4636, ibidem,
2004, 3.
219
Cass. S.U. 11 aprile 2006, n. 8376, secondo cui «Sia in materia di CIGS, che di CIGO, vi è
discrezionalità amministrativa e non tecnica della p.a. nell’adozione del provvedimento di ammissione
dell’azienda richiedente il trattamento integrativo salariale. Pertanto, fino all’adozione del provvedimento
di ammissione alla CIGS o alla CIGO, l’azienda si trova nella posizione di interesse legittimo e la
competenza nel caso di mancata concessione è del TAR e non dell’A.G.O. Ciò vale anche nel caso in cui il
mancato riconoscimento della CIGO sia dipeso da un errato inquadramento dell’azienda da parte
dell’INPS, la cui delibazione invece è di competenza del giudice specializzato». Contra, Cons. Stato, sez. VI,
8 settembre 2009, n. 5251, in Foro amm. CDS, 2009, 9, 2071, che conferma Tar Abruzzo, Pescara, 6 marzo
2004 n. 242, secondo cui in applicazione di generali principi, l'Amministrazione ha il compito di vagliare in
concreto la sussistenza dei criteri di valutazione (nonché la rilevanza ai fini dell'ammissione agli interventi di
Cigs) attraverso un esercizio di discrezionalità tecnica che potrà essere fatta oggetto di censure in sede
giurisdizionale solo in caso di palesi travisamenti in fatto ovvero di valutazioni inattendibili.
215
45
conclusione è stata raggiunta dai giudici di legittimità qualora, dopo l’adozione del
provvedimento di ammissione dell'impresa alla CIG, intervengano atti amministrativi di
annullamento o di revoca di tale provvedimento, trattandosi di atti che sono espressione
del potere discrezionale esercitato dall'Amministrazione nell'ambito della tutela
dell'interesse pubblico ad essa affidato, con la conseguenza che posizioni di diritto
soggettivo nascenti, a favore dei privati, dal provvedimento di ammissione dell'impresa
alla CIG degradano, di nuovo, a posizioni di interesse legittimo220.
Non sussiste, invece, la giurisdizione del giudice amministrativo laddove non sia in
discussione la valutazione discrezionale dell'amministrazione in ordine all'ammissione
dell'azienda alla CIGS, ma il diritto di un dipendente della stessa a goderne, avuto riguardo
alle condizioni che la legge impone, id est, al comprovato impegno del lavoratore nei
progetti di lavoro socialmente utili221.
Al termine di questa disamina si può rispondere alla domanda di quale sia l’obiettivo della
giurisprudenza in questo specifico ambito, sostenendo che essa si muove tendenzialmente
nell’ottica di un contenimento della spesa pubblica222. Pare emblematico, a tale riguardo,
l’orientamento di cui si è detto, inerente la decadenza dall’indennità di mobilità ex art. 8,
comma 5, della l. n. 160/1988, così come quello relativo al computo dell’indennità di
mobilità in ragione dei singoli giorni non lavorati, e non già su base mensile223, o ancora,
l’orientamento maggioritario che esclude la rivalutazione automatica dell’indennità di
mobilità.
11. La ricollocazione nel mercato del lavoro.
Trattando di quest’ultimo profilo, ci si chiede quale sia la finalità principale degli
strumenti di ricollocazione approntati dall’ordinamento. Il primo aspetto da esaminare
riguarda la conservazione e la perdita dello stato di disoccupazione. È noto che il
220
Cass. 16 novembre 2009, n. 24194, in Diritto & Giustizia, 2009.
Cfr. TAR Calabria , Reggio Calabria, sez. I, 20 maggio 2009, n. 336, in Foro amm. TAR, 2009, 5, 1589.
222
In linea, sostanzialmente, con l’orientamento tendenziale della Corte Costituzionale, cfr. D’Onghia, La
giustizia costituzionale in materia di previdenza sociale: diritti sociali ed equilibrio finanziario, in DLRI,
2000, 81 ss.
223
Cass. 14 gennaio 2010, n. 507, in D&G, 2010, stabilisce che l'indennità di mobilità, pur essendo
determinata, alla stregua della disciplina dell'indennità di disoccupazione, su base giornaliera, deve essere
corrisposta con cadenza mensile, attese le peculiarità della relativa disciplina che si riferisce ad una
ripartizione in mesi con riguardo alla durata massima del trattamento (dodici mesi, prorogabili in relazione a
fasce di età o aree territoriali e suddivisibile in due periodi, pure indicati in mesi), alla commisurazione della
misura della prestazione (sulla base dell'integrazione salariale spettante, determinata per ogni mese ai sensi
della l. n. 427/80), alla possibilità di sospensione e cumulo con i redditi da lavoro nel caso di svolgimento di
una attività lavorativa (prevedendosi, ai sensi dell'art. 9, comma 5, l. 223/91, in caso di nuova occupazione
con retribuzione inferiore a quella di provenienza, la corresponsione di un assegno mensile per la differenza),
nonché alla detraibilità delle mensilità già godute nel caso di erogazione in conto capitale per i lavoratori che
intraprendono una attività autonoma o in cooperativa, risolvendosi, per questo aspetto, in una
regolamentazione specifica che rende inapplicabile, in quanto incompatibile, il sistema di pagamento previsto
per il trattamento di disoccupazione involontaria, fissato dall'art. 32 d.P.R. n. 818/57 in due scadenze, il
giorno 15 e l'ultimo giorno del mese. La determinazione su base giornaliera dell’indennità di mobilità,
nonostante il suo pagamento mensile, ha indotto Cass. 2 novembre 2009, n. 23149, in Red. Giust. civ. Mass.,
2009, 11, a stabilire che, per il mese di febbraio, l'indennità spetta per i ventotto o ventinove giorni compresi
in tale mese, mediante divisione per trenta dell'importo commisurato all'integrazione salariale e
moltiplicazione del risultato per ventotto o per ventinove; né tale modalità di calcolo suscita dubbi di
illegittimità costituzionale, per il fatto che il lavoratore in mobilità riceva in tale mese un trattamento
mensilmente inferiore a quello che avrebbe ricevuto se fosse stato (o rimasto) in cassa integrazione, atteso che
il trattamento garantito dalla legge non è quello che il lavoratore avrebbe ricevuto "in quel mese" se fosse
stato in cassa integrazione, ma è costituito dall'indennizzo di ogni giorno di disoccupazione con riferimento
all'importo mensile massimo dell'integrazione salariale "spettante nel periodo precedente la risoluzione del
rapporto di lavoro".
221
46
legislatore ha definito con il d.lgs 181/2000, e successive modificazioni, i casi nei quali si
perde lo stato di disoccupato.
Tralasciando l’esame dei singoli casi, merita una segnalazione, considerando che è stata
oggetto di una interessante pronuncia della Corte Costituzionale, la legge della Regione
Puglia n. 4 del 9 febbraio 2006, che aveva previsto alcune ipotesi di conservazione dello
stato di disoccupazione, in deroga alla disciplina nazionale, prima richiamata.
La Presidenza del Consiglio ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in
riferimento sia all’art. 117, comma 2, lett. o), Cost., che prevede la potestà legislativa
esclusiva in materia di previdenza, sia all’art. 117, comma 3, Cost., sulla potestà normativa
concorrente, che affida al legislatore nazionale la competenza a fissare i principi
fondamentali in materia di tutela e sicurezza del lavoro.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 268 del 13 luglio 2007, ha dichiarato
l’incostituzionalità della l.r. Puglia n. 4/06 per contrasto con l’art. 117, comma 3, Cost.
mentre ha respinto il ricorso in relazione al primo profilo.
Questa pronuncia, dunque, iscrive la materia di cui ci occupiamo nella competenza
concorrente ex art. 117, comma 3, Cost.
Uno dei principali strumenti per la ricollocazione del lavoratore in mobilità è
l’anticipazione, prevista dall’art. 7, comma 5, l. n. 223/1991, a mente del quale l'indennità
di mobilità può essere anticipata ai lavoratori che ne facciano richiesta, al fine di
intraprendere una attività lavorativa autonoma, e ciò, nell’ottica di indirizzare il più
possibile il disoccupato in mobilità verso attività autonome, così da ridurre la pressione sul
mercato del lavoro subordinato.
L’indennità di mobilità, liquidata una tantum, perde la sua connotazione di tipica
prestazione di sicurezza sociale, configurandosi non già come funzionale a sopperire ad
uno stato di bisogno, ma come un contributo finanziario, destinato a fronteggiare le spese
iniziali di un'attività che il lavoratore in mobilità svolge in proprio224.
Dalla ratio della norma ex art. 7 comma 5, la giurisprudenza ricava il principio di diritto
secondo cui l'anticipazione dell’indennità non deve essere necessariamente richiesta prima
dell'inizio dell'attività che si intende esercitare (non ravvisandosi nella legge una precisa
indicazione in tal senso), ma può richiedersi anche dopo aver intrapreso la suddetta attività
autonoma225.
La legge 223/1991 prevede ulteriori benefici a sostegno del lavoratore disoccupato in
mobilità che opti per un lavoro autonomo. Se, infatti, l'art. 9, comma 6, lett. a) prevede la
cancellazione dalle liste di mobilità solo nel caso di assunzione con contratto di lavoro
subordinato a tempo pieno ed indeterminato, mentre a mente dell'art. 8, comma 6, il
lavoratore iscritto nelle liste di mobilità ha la facoltà di svolgere lavoro subordinato a
tempo parziale, ovvero a tempo determinato, mantenendo l'iscrizione nella lista, non è
prevista expressis verbis la cancellazione dalle liste di chi svolga lavoro autonomo.
Dal silenzio della legge, parte della giurisprudenza desume l'intenzione del legislatore di
attribuire l'indennità di mobilità a chi, dopo l'iscrizione nelle liste, abbia intrapreso attività
di lavoro autonomo, restando in facoltà del lavoratore determinare la modalità temporale
dell'erogazione, chiedendone la corresponsione anticipata, ovvero continuando a percepire
l'indennità mensilmente.226
224
V. Cass. 25 maggio 2010, n. 12746, in Giust. civ. Mass., 2010, 5, 810, secondo cui il lavoratore, in caso di
rioccupazione alle altrui dipendenze entro 24 mesi dalla corresponsione delle somme è tenuto alla loro
restituzione. Più precisamente, in ipotesi di temporanea intervenuta rioccupazione quale lavoratore
subordinato durante i ventiquattro mesi successivi all'erogazione dell'anticipazione, le somme percepite dal
lavoratore devono essere restituite per intero, e non solo in proporzione alla durata di tale rioccupazione.
225
Cass. 28 gennaio 2004, n. 1587, in R.D.S.S., 2004, 823, con nota di Santini.
226
V. Cass. 1 aprile 2004, n. 6463, in Giust. Civ. Mass., 2004, 4.
47
L’orientamento contrario rimarca, invece. che la permanenza dell’iscrizione nelle liste di
mobilità ex art. 6, l. n. 223/1991, non comporta, al di fuori delle ipotesi tassativamente
previste dalla stessa legge, la compatibilità della indennità di mobilità con lo svolgimento
di attività lavorativa subordinata o autonoma; vige infatti, al di fuori delle speciali ipotesi
di cumulo, il regime delle incompatibilità previsto dalla normativa che disciplina
l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria227.
E’ noto, inoltre, che la legge del 1991 prevede una serie di benefici, sub art. 8, commi 2, 4
e 4 bis, destinati alle aziende che assumano lavoratori iscritti nelle liste di mobilità.
Il diritto alle agevolazioni contributive va tuttavia escluso in caso di "assetti proprietari
sostanzialmente coincidenti con quelli dell'impresa che assume"; ovvero ove sussista un
"rapporto di collegamento o controllo" tra il nuovo datore di lavoro ed il precedente228.
Al fine di evitare facili elusioni delle norme in commento, la Corte di Cassazione ha
specificato che, in caso di costituzione di nuova azienda, spetti all’imprenditore, al fine di
accedere ai predetti sgravi contributivi, provare che si tratti di un'impresa effettivamente
nuova anziché di un'impresa solo derivata (sia pure parzialmente) da un'impresa
preesistente, assumendo rilevanza determinante, a tali fini, sia la presenza di significativi
elementi di permanenza della preesistente struttura aziendale (o di parte di essa o
comunque di elementi aziendali funzionalmente collegati), sia la sussistenza di una
sostanziale continuità nell'esercizio dell'impresa229
La Cassazione ha, inoltre, univocamente osservato che il riconoscimento del diritto ad
usufruire degli sgravi contributivi presuppone che venga accertato che la situazione di
esubero del personale posto in mobilità sia effettivamente sussistente e che l'assunzione di
detto personale da parte di una nuova impresa risponda a reali esigenze economiche e non
concretizzi invece condotte elusive degli scopi legislativi finalizzate al solo godimento
degli incentivi, mediante fittizie e preordinate interruzioni dei rapporti lavorativi230.
Sulla scorta di tale principio, la Cassazione ha ritenuto, ad esempio, che ove l'azienda
abbia continuato o riprenda ad operare, la prosecuzione (o la riattivazione) del rapporto di
lavoro presso il datore di lavoro subentrante costituisce non la manifestazione di una libera
opzione del datore di lavoro, ma l'effetto di un preciso obbligo previsto dall’art. 2112 c.c.,
il cui adempimento non giustifica l'attribuzione dei benefici contributivi in oggetto, non
traducendosi in un reale incremento occupazionale231.
La giurisprudenza ha poi ritenuto di includere, tra le ragioni ostative al godimento degli
sgravi, la sussistenza di rapporti tra imprese, che si traducano in condotte costanti e
coordinate di collaborazione e di comune agire sul mercato, in ragione di un comune
227
Cass. 1 settembre 2003, n. 12757, in O.G.L., 2003, 973; in applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato
la sentenza di merito che aveva escluso che l'inizio di un'attività lavorativa autonoma, non accompagnata dalla
percezione della indennità in unica soluzione, comportasse la cancellazione dalle liste di mobilità, ma non
aveva considerato la tassatività delle ipotesi di cumulabilità della indennità di mobilità con un reddito di
lavoro subordinato o autonomo.
228
V. Trib. Vicenza 2 dicembre 2008, n. 326 (in Guida al lav., 2009, n. 17, 53 ss.), secondo cui i benefici ex
art. 8, vanno esclusi qualora sia accertata la mera compartecipazione tra la società che assume e l’azienda che
ha collocato il lavoratore in mobilità anche se tale compartecipazione sia di minoranza.
229
Cass. 27 febbraio 2004, n. 4064, in Giust. Civ. Mass., 2004, 4. (Nella specie, la S.C. ha confermato la
sentenza di merito che aveva negato il beneficio, avendo accertato che tra l'impresa individuale preesistente e
la nuova società vi era un rapporto di derivazione e che non vi era stato alcun incremento occupazionale a
seguito della nascita di una nuova azienda, ma solo un passaggio di lavoratori dall'imprenditore individuale).
V. anche Cass. 9 marzo 2007, n. 5554.
230
Cass. 3 novembre 2008, n. 26391; in senso conforme, Cass. 3 agosto 2007, n. 17071, in Giust. Civ. Mass.,
2007, 7-8; Cass. 4 luglio 2007, n. 15041, ibidem; Cass. 20 gennaio 2005, n. 1113; Cass. 22 gennaio 2004, n.
1112, in Giust. Civ. Mass., 2004, 1; Cass. 28 ottobre 2002, n. 15207, ibidem, 2002, 1852.
231
Cass. 3 novembre 2008, n. 26391.
48
nucleo proprietario o di costanti legami di interessi (di coniugio, di parentela, di affinità o
di collaudata e consolidata amicizia tra soci, ecc.)232.
Un ulteriore strumento per facilitare la ricollocazione dei lavoratori in mobilità è quello
previsto dall'art. 15, comma 6, l. n. 264/1949 e successive modifiche, mediante la
previsione, ai fini del collocamento, del diritto di precedenza in capo a tale categoria di
lavoratori nell’assunzione presso la medesima azienda, che nei sei mesi successivi al
licenziamento proceda a nuove assunzioni per le mansioni dei lavoratori licenziati.
La giurisprudenza, dapprima restia a configurare un diritto soggettivo alla precedenza
nell'assunzione, oggi invece non nutre alcun dubbio su tale qualificazione dell’interesse
tutelato.233
Del resto, nella fattispecie deve farsi applicazione dell'art. 8, l. n. 223/1991, il cui disposto
non consente ulteriori dubbi, dal momento che il comma 4 contiene il riferimento ad un
vero e proprio obbligo del datore di lavoro in relazione al diritto di precedenza attribuito ai
lavoratori in mobilità del comma 1 della stessa disposizione.
Tale diritto di precedenza opera, secondo la giurisprudenza, a prescindere dalla tipologia
contrattuale della programmata assunzione, e quindi anche nel caso di contratti a
termine234. Effettivamente, le fonti legislative sul diritto di precedenza non sembrano
autorizzare alcuna lettura restrittiva.
Un ulteriore aspetto che merita un cenno, è quello delle conseguenze derivanti
dall’inadempimento da parte del datore di lavoro dell’obbligo di assicurare la precedenza.
La Suprema Corte fa in questo caso applicazione dei principi generali validi per l'istituto
della prelazione negoziale obbligatoria (ancorché di fonte legale), sicché
dall'inadempimento del datore di lavoro, che diviene definitivo con l'assunzione di soggetti
diversi, non può che scaturire il diritto al risarcimento del danno, in favore dei lavoratori
pretermessi235.
In conclusione, si può dire che l’approccio della giurisprudenza agli strumenti di
ricollocazione nel mercato del lavoro pare in linea con la duplice finalità che ha animato il
legislatore: da un lato, agevolare il transito dei disoccupati in mobilità verso il mercato del
lavoro autonomo, al fine di ridurre la pressione su quello del lavoro subordinato, dall’altro
lato, contrastare ogni utilizzo fraudolento di tali incentivi, in linea con la stessa finalità
antielusiva che anima il disposto dell’art. 8, comma 4-bis, l. n. 223/1991.
232
Cass. 25 luglio 2008, n. 20499, in Giust. Civ. Mass., 2008, 7-8, 1212; Cass. 20 aprile 2006, n. 9224,
ibidem, 2006, 4; Cass. 22 gennaio 2004, n. 1112, cit.; Cass. 28 ottobre 2002, n. 15207, cit.
233
Cass. 5 maggio 2001, n. 6315, in Inf. Prev., 2001, 1034; Cass. 19 febbraio 2000, n. 1943 e 8 febbraio 2000,
n. 1410, in M.G.L., 2000, 663, entrambe con nota di Maretti; Cass. 7 maggio 1997, n. 4008, in Giust. Civ.
Mass., 1997, 697; Cass. 24 gennaio 1997, n. 723, in M.G.L., 1997, 424, con nota di Maretti.
234
Cass. 14 dicembre 2001, n. 15820, in Giust. Civ. Mass., 2001, 2156.
235
Cfr. Cass. 7 maggio 1997, n. 4008, in Giust. Civ. Mass., 1997, 697.
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