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Ammortizzatori sociali e tutela giurisdizionale
AMMORTIZZATORI SOCIALI E TUTELA GIURISDIZIONALE di Domenico GAROFALO SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Ammortizzatori sociali e rapporto di lavoro. – a. Il mutamento dei criteri di scelta. – b. I limiti interni ed esterni nella scelta dei lavoratori in esubero. – c. La comunicazione preventiva dei criteri. – d. La rotazione. – 3. Sospensione e obblighi del datore di lavoro interni al rapporto di lavoro. – a. L’incidenza sugli istituti diversi dalla retribuzione mensile (ferie, permessi ex lege n. 104/1992, festività infrasettimanali, Tfr, indennità di preavviso; diritti sindacali). – b. Ferie. – c. Permessi ex art. 33, 3° comma, legge n. 104/1992. – d. Festività infrasettimanali. – e. TFR. – f. Preavviso e/o indennità sostitutiva. – g. diritti sindacali. – h. Illeciti datoriali di natura permanente preesistenti e incidenza della sospensione. – 4. Ammortizzatori sociali e contratti formativi. – 5. Le causali di intervento CIGO. – 6. Le causali di intervento ed i “numeri” della CIGS. – 7. Anticipazione del trattamento vs. pagamento diretto. – 8. Le procedure di intervento degli ammortizzatori sociali tra verifica sindacale ex ante e giudiziale ex post. – 9. I contratti di solidarietà difensiva. – 10. La tutela previdenziale della disoccupazione. – a. Il campo di intervento della Cigs e della indennità di mobilità. – b. L’indennità di disoccupazione. – c. La contribuzione. – d. La tutela previdenziale a latere praestatoris. – 11. La ricollocazione nel mercato del lavoro. 1. Premessa In una fase della evoluzione della normativa in materia di ammortizzatori sociali, caratterizzata da scarsa sistematicità, come ben dimostra il fenomeno degli ammortizzatori “in deroga”, e dall’attesa della riforma degli stessi1, può essere utile fare il punto sul contributo della giurisprudenza in materia, privilegiando il versante della tutela della posizione del percettore dei trattamenti di disoccupazione, ma non trascurando quello della tutela accordata al datore di lavoro, che fa ricorso agli ammortizzatori sociali. L’obiettivo è quello di cogliere le linee di tendenza della giurisprudenza sugli ammortizzatori sociali e tentarne una sistematizzazione, tenendo conto che, come ha giustamente rilevato Michele Miscione nella sua bella relazione sul tema alle giornate di studio veneziane dell’Aidlass del 2007, “la disciplina amministrativo-previdenziale ha avuto una sistemazione compiuta, ai fini dell'erogazione; sul rapporto e sul contratto di lavoro, invece, il legislatore degli ammortizzatoti sociali s'è astenuto, permettendo e chiedendo ai giudici di colmare le lacune con norme giurisprudenziali”2. Affermazione, quella di Michele Miscione, senz’altro condivisibile, anche se va detto che pure sull'erogazione dei trattamenti la giurisprudenza non ha mancato di fornire il suo importante contributo. Della «galassia» degli ammortizzatori sociali, mutuando la ormai famosa espressione coniata da Franco Liso3, vengono presi in esame i tre ammortizzatori più ricorrenti nelle aule giudiziarie, e cioè la Cigs, la mobilità e l'indennità di disoccupazione. Di tutela giurisdizionale in relazione a questi tre ammortizzatori sociali può ragionarsi sotto quattro angolature, a seconda che si prenda a riferimento: a) il rapporto di lavoro; b) 1 In tema di ammortizzatori sociali è d’obbligo il rinvio allo studio sistematico di Emilio Balletti, Disoccupazione e lavoro. Profili giuridici della tutela del reddito, Torino, Giappichelli, 2000, nonché al volume collettaneo, Aa.Vv., Tutela del lavoro e riforma degli ammortizzatori sociali, Torino, Giappichelli, 2002, con contributi di Alleva, Balletti, Carabelli, Di Stasi, Forlani, Liso e Pace. 2 Miscione, Gli ammortizzatori sociali per l’occupabilità, in Disciplina dei licenziamenti e mercato del lavoro, Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro, Venezia 25-26 maggio 2007, Milano Giuffrè, 2008, 135 ss. 3 Liso, La galassia normativa dopo la legge n. 223/1991, in DLRI, 1997, 1 ss. 1 la procedimentalizzazione dell’intervento; c) la tutela previdenziale; d) la ricollocazione nel mercato del lavoro. Il contributo della giurisprudenza viene analizzato, nei limiti del possibile, in trasversale, specie con riferimento agli ultimi due profili, della tutela previdenziale e della ricollocazione nel mercato del lavoro. Delimitati il campo e il metodo di indagine, l'analisi della giurisprudenza viene articolata in cinque sezioni, dedicandone una ad hoc al contratto di solidarietà difensivo, iniziando dai problemi che il ricorso agli ammortizzatori sociali, ma in modo specifico alla Cigs, determina in relazione al rapporto di lavoro e tentando una sistematizzazione degli stessi. 2. Ammortizzatori sociali e rapporto di lavoro La gran parte delle pronunce che si occupano delle ricadute degli ammortizzatori sociali sul rapporto di lavoro, hanno ad oggetto i criteri di scelta, e cioè lo strumento attraverso il quale si individualizzano le scelte collettive del datore di lavoro che abbia un esubero di personale. È interessante verificare se le soluzioni adottate dalla giurisprudenza siano o meno coerenti con la matrice collettiva del fenomeno e soprattutto con l’assetto di interessi realizzato all’interno delle procedure di intervento degli ammortizzatori sociali. Viene in mente a tale riguardo il famoso caso ALFA degli inizi anni ’80, in relazione al quale il Tribunale di Milano, allora giudice di appello, ritenne legittimo come criterio di scelta dei lavoratori da sospendere e collocare in Cigs, l’indice di assenteismo per malattia4. A quel Tribunale apparve equo, e quindi legittimo, sospendere i lavoratori che spesso e abitualmente si assentavano per malattia, mantenendo in servizio, a parità di profilo, quelli sempre presenti, pur se l’Accordo Interconfederale del 1965, sui licenziamenti collettivi per riduzione di personale, aveva eliminato il criterio di scelta dello scarso rendimento, previsto dall’Accordo Interconfederale del 1950, non ritenendosi corretto, e quindi legittimo, consentire al datore di lavoro di approfittare delle riduzioni di personale per liberarsi degli assenteisti (iper)tutelati dall’art. 2110 c.c. a. Il mutamento dei criteri di scelta Principiando dalle pronunce inerenti il mutamento dei criteri di scelta nell’individuazione dei lavoratori da sospendere e collocare in Cigs, la Suprema Corte ha recentemente affermato come il coinvolgimento nella materia in esame di interessi a rilevanza pubblica porti ad escludere la legittimità del mutamento dei criteri di scelta del personale da porre in cassa integrazione – pur a seguito di accordi tra le parti sociali – attraverso l’adozione, in sostituzione di quelli originari, di nuovi criteri non congrui rispetto alla causa integrabile5. Sicché, una volta fissati i criteri selettivi attraverso lo strumento della concertazione, e passato il vaglio dell’autorizzazione del Ministero, tali criteri non possono essere più mutati6, pena l’invalidità dell’intera procedura7. 4 Trib. Milano 27 gennaio 1984, in Giur. it., 1984, I, 2, 291 con nota di Miscione, Discriminazioni indirette nel caso Alfa Romeo ed ivi, 1984, I, 2, 589 con nota di Sotgiu, Cassa integrazione guadagni e poteri dell’imprenditore. 5 Così Cass. 9 febbraio 2009, n. 3177, in Guida al diritto, 2009, 13, 74. 6 Cfr. Cass, 22 marzo 2010, n. 6841, in Red. Giust. civ. Mass., 2010, 3, secondo cui il criterio di scelta dei dipendenti da porre in cassa integrazione ed in mobilità, determinato nel rispetto delle procedure previste dagli art. 4 e 5 l. 23 luglio 1991 n. 223, non può essere successivamente disapplicato o modificato, travalicando gli ambiti originariamente previsti, non essendo consentito che in tale spazio temporale l'individuazione dei singoli destinatari dei provvedimenti datoriali venga lasciata all'iniziativa ed al mero potere discrezionale dell'imprenditore, in quanto ciò pregiudicherebbe l'interesse dei lavoratori ad una gestione trasparente ed affidabile della mobilità e della riduzione del personale. 7 Cass. 7 gennaio 2009, n. 81, in Giust. Civ. Mass., 2009, 1, 19; idem Cass. 23 maggio 2008, n. 13377 (ibidem, 2008, 5, 796), che enuncia il seguente principio di diritto: «La cassa integrazione straordinaria – 2 b. I limiti interni ed esterni nella scelta dei lavoratori in esubero Parallelo al tema appena trattato è quello dei limiti nella scelta degli esuberi e da sospendere o licenziare. A tal riguardo, bisogna tenere distinti i c.d. limiti “interni” da quelli “esterni”.8 Come è noto, con il primo termine si identifica in negativo un’area più vasta di scelte per la non corrispondenza di esse a determinati criteri; con il secondo, si identifica invece un’area più ristretta di scelte individuate in positivo per il loro motivo illecito (credo politico o fede religiosa, appartenenza ad un sindacato o partecipazione ad attività sindacali o ancora, motivi razziali, di lingua o di sesso), secondo la definizione di atto discriminatorio ricavabile dall’art. 15, l. n. 300/1970. Tale discrimen ha importanti, e quasi naturali, riflessi sulla ripartizione dell’onus probandi; ed infatti, per costante orientamento giurisprudenziale, l’onere di provare il mancato rispetto dei limiti grava sul lavoratore per quelli esterni e sul datore di lavoro per quelli interni9. c. La comunicazione preventiva dei criteri I criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere debbono essere oggetto di comunicazione preventiva alle R.S.U. o in mancanza alle organizzazioni sindacali di categoria comparativamente più rappresentative operanti nella provincia, pena l’illegittimità del provvedimento finale di concessione del beneficio10. Per escludere la sussistenza di tale obbligo non può invocarsi l’art. 2, d.p.r. 218/2000, che rimette all’esame congiunto la determinazione dei criteri di scelta, non avendo tale ultima norma prevista in presenza di ristrutturazioni, riorganizzazioni e conversioni aziendali ovvero di crisi aziendali riguardanti situazioni occupazionali in ambito territoriale o situazioni produttive di settore – viene autorizzata dal Ministero del Lavoro a seguito dell’approvazione di un programma ed a seguito della valutazione delle ragioni dell’impresa importanti l’esclusione di meccanismi di rotazione, al fine di rendere l’attuazione del suddetto programma funzionale all’efficienza produttiva dell’impresa stessa. Ne consegue che nel corso della sua durata non è consentito – seppure con la copertura negoziale tramite sopravvenuti accordi collettivi sul punto – pena l’invalidità della intera procedura di messa in cassa integrazione con le consequenziali ricadute in termini risarcitori, determinare un mutamento dei criteri di scelta del personale da sospendere con l’abbandono di quelli iniziali previsti nel programma e la contestuale adozione, invece, di criteri di scelta diversi e privi di razionalità e congruità rispetto alla causa integrabile, potendosi un mutamento delle regole selettive operare solo a seguito di un decreto di proroga volto ad accertare la compatibilità di tale cambiamento con la regolare esecuzione del programma stesso ovvero a seguito di una distinta domanda di integrazione salariale e di un successivo decreto autorizzativi sulla base di un nuovo e distinto programma». Si veda anche Trib. Milano 19 novembre 2008 (in D&L, 2009, 243), che ritiene che i criteri di scelta stabiliti nell’accordo sindacale non possano essere derogati dall’impresa, nemmeno qualora un lavoratore abbia rifiutato un'offerta di assunzione da parte di azienda terza. Merita di essere segnalata anche App. Milano 11 maggio 2001 (in L.G., 2001, 1188), secondo cui ove che ritiene che nel caso il datore di lavoro, successivamente all’accordo sindacale che stabilisce il numero degli esuberi ed i criteri selettivi, ponga in essere una scelta gestionale che turbi il concreto funzionamento dei criteri fissati contrattualmente (nel caso di specie, attraverso il trasferimento di taluni dipendenti ad altro reparto non interessato dal programma di sospensione), ciò non implicherebbe l’illegittimità dell’intera procedura, ma esclusivamente di quelle sospensioni, e solo quelle, che non vi sarebbero state in mancanza di tale “elemento di disturbo». 8 Sulla distinzione tra limiti esterni ed interni, si rinvia a Cass. 5 agosto 2005, n. 16537, in Giust. Civ. Mass., 2005, 6. 9 Ex multis, Cass. 24 agosto 2004, n. 16680, in Giust. Civ. Mass., 2004, 7-8; Cass. 18 gennaio 2001, n. 683, ibidem, 116, che specifica che tale ripartizione dell’onus probandi vale anche nelle fattispecie cui si applichi il regime ante legem 223/1991. 10 Trib. Milano 13 novembre 2006, in O.G.L., 2007, 182; Trib. Torino 18 febbraio 2005, in Giur. Piem., 2006, 1, 91. 3 abrogato l’art. 1, comma 7, l. n. 223/1991, che dispone appunto la necessità della previa comunicazione11. Ciò in quanto deve ritenersi requisito di legittimità del procedimento il mettere le organizzazioni sindacali in condizione di interloquire nel corso dell’esame congiunto; e questo risultato, secondo la giurisprudenza, è raggiungibile solo laddove esse vengano messe in grado di conoscere, prima dell’apertura delle trattative, quali siano le intenzioni del datore di lavoro e, in particolare, quali criteri egli intenda adottare per individuare il personale destinatario della sospensione12. Ma la funzione della comunicazione, a ben vedere, è duplice13, poiché dal punto di vista non più collettivo, ma individuale, serve ad assicurare la tutela degli interessi del singolo lavoratore sospeso che, in mancanza di tale comunicazione, ben potrà convenire in giudizio il datore allo scopo di conseguire (previo accertamento in via incidentale dell’illegittimità del decreto ministeriale, con conseguente disapplicazione del medesimo)14: il pagamento della differenza tra retribuzione spettante ed integrazione salariale percepita15, che secondo la Cassazione avrebbe natura di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale16. 11 Cfr. Cass. 18 febbraio 2011, n. 4053, in D&G, 2011, con nota di Papaleo; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393, in Giust. civ. Mass., 2009, fasc 7-8, 1015 e Cass. 9 giugno 2009, n. 13240, ivi, 6, 886 (che escludono qualsiasi incompatibilità tra il d.P.R. 10 giugno 2000 n. 218 e le disposizioni della l. 23 luglio 1991 n. 223, non avendo in alcun modo inciso sugli obblighi di rilevanza collettiva di cui all'art. 1, commi settimo ed ottavo, della legge n. 223 citata); App. Torino 15 gennaio 2008; Trib. Milano 29 luglio 2004, in O.G.L., 2004, 700; contra, Trib. Torino 27 marzo 2006 (in Giur. Piem., 2006, 3, 411), secondo cui «A seguito dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 218 del 2000 l'obbligo formale di comunicazione dei criteri di scelta sancito dall'art. 1, co. 7, l. n. 223 del 1991 è stato eliminato. Ne consegue che la mancata esplicitazione di criteri di scelta e modalità di rotazione nella comunicazione al sindacato non può determinare l'illegittimità della intera procedura e del decreto di concessione della Cigs in cui esso sfocia». 12 La giurisprudenza, comunque, ha stabilito che non ogni comunicazione dei criteri possa essere ritenuta idonea allo scopo; ed infatti, la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale assolutamente generica in ordine ai criteri in base ai quali pervenire all'individuazione dei lavoratori interessati alla sospensione e tale da rendere impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l'obbligo di comunicazione previsto dall'art. 1 comma 7, l. 23 luglio 1991 n. 223; tale violazione non può ritenersi sanata dall'effettività del confronto con le organizzazioni sindacali, trovandosi queste ultime a dover interloquire sul tema senza essere a conoscenza del contenuto dei dati da trattare (nella fattispecie, il datore di lavoro aveva indicato nella comunicazione di apertura quali criteri di scelta quelli delle "esigenze tecniche, organizzative e produttive" e esigenze professionali e funzionali). In tal senso Cass. 10 maggio 2010, n. 11254, in D.L. Riv. critica dir. lav., 2010, 3, 79; allo stesso modo e ancor prima v. Cass. 9 giugno 2009, n. 13240, in Giust. civ. Mass., 2009, 6, 886. 13 Sul doppio piano di tutela ex art. 1, comma 7, l. n. 223 del 1991, in tema di procedimento per la concessione della c.i.g.s., v. Cass. 3 luglio 2009, n. 15694, in Red. Giust. civ. Mass. 2009, 9, ove si funzionalizza l’obbligo di comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali e provinciali a carico del datore di lavoro, a tutela sia delle prerogative sindacali - violate da un'inesistente o inesauriente informativa in sede di apertura della procedura – sia delle garanzie individuali, violate dall'esistenza di vizi procedimentali che ridondano nella non corretta individuazione dei lavoratori da porre in cassa integrazione. Ne consegue che la violazione delle regole del procedimento, a prescindere dall'ottemperanza all'obbligo di comunicazione nei confronti delle organizzazioni sindacali, incide direttamente sulla legittimità del provvedimento amministrativo di autorizzazione dell'intervento straordinario di integrazione salariale 14 Cfr. Cass. 4 maggio 2009, n. 10236, in Giust. civ. Mass., 2009, 5, 714. In senso conforme cfr.: Cass. 11 dicembre 2002 n. 15846; Cass. 1 maggio 2000 n. 302. 15 Trib. Roma 17 gennaio 2006, n. 995. Si ritiene altresì in giurisprudenza che «la tardiva contestazione da parte dei lavoratori delle sospensioni in Cigs per mancanza ovvero genericità della comunicazione dei criteri di scelta, violazione dell'art. 2 comma 7 l. n. 23 luglio 1991 n. 223, non integra una concausa del danno ex art. 1227 c.c. e quindi non determina una riduzione del risarcimento dovuto» (Trib. Milano 13 marzo 2003, in D&L, 2003, 724). 16 Così Cass. 4 maggio 2009, n. 10236, cit., secondo cui alle somme spettanti al lavoratore si applica il cumulo della rivalutazione monetaria e degli interessi, in base all'art. 429, comma 3, c.p.c. (che si applica a 4 A livello sempre individuale, poi, il provvedimento illegittimo di sospensione dall'attività lavorativa, atto negoziale unilaterale cui segua il rifiuto di accettare la prestazione lavorativa, determina esso stesso la mora credendi del datore di lavoro, nel senso cioè che ove la richiesta di intervento della cassa integrazione non sia accolta il datore di lavoro si trova in mora credendi rispetto ad una sospensione unilateralmente da lui disposta, in difetto del relativo potere, e con l’effetto di evitare al lavoratore di offrire la propria prestazione e di imporre al datore medesimo la sopportazione del rischio dell'estinzione dell'obbligo di esecuzione della prestazione17. L’orientamento giurisprudenziale in questione, però, non è univoco, essendo rinvenibili anche decisione della Cassazione di segno praticamente opposto, che prevedono l'offerta della prestazione da parte dei lavoratori, con la messa a disposizione delle proprie energie, nel caso in cui sia respinta la richiesta di provvedimento di ammissione alla CIG18. d. La rotazione La rotazione rappresenta il criterio di scelta “principe” nella procedura di intervento della Cigs, nel senso che azzera di fatto il problema della scelta tra più lavoratori aventi il medesimo profilo professionale, di quali sospendere, ripartendo tra tutti i periodi di sospensione. Ebbene, ove l’imprenditore non espliciti nella comunicazione di apertura le modalità di rotazione19, ovvero, nel corso della procedura, non le rispetti, la sospensione diviene illegittima20. L’obbligo della rotazione tra i lavoratori sospesi trova un limite, ai sensi dell’art. 1, comma 8, della l. n. 223/1991, nelle esigenze tecnico-organizzative dell’azienda, nonché nei requisiti di professionalità e fungibilità dei singoli lavoratori, con la conseguenza che è legittima l’esclusione dalla rotazione di un lavoratore che non abbia mansioni identiche agli altri dipendenti o che non sia munito della stessa professionalità degli altri dipendenti a questa interessata21. Sebbene la norma che stabilisce l’obbligo di rotazione dei lavoratori sospesi sia contenuta nell’art. 1, comma 7, l. n. 223/1991, che disciplina la Cigs, si ritiene in giurisprudenza che la medesima disciplina sia da estendere in via analogica alla Cigo, trattandosi di fattispecie tutti i crediti del lavoratore, anche se di natura risarcitoria), restando esclusa l'applicabilità dell'art. 22, comma 36, l. 23 dicembre 1994 n. 724 (dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte cost. con sentenza n. 459 del 2000, ove riferito ai rapporti di lavoro privati), il quale, comunque, riguarda l'inadempimento di obbligazioni pecuniarie e non anche di quelle risarcitorie. 17 V. Così Cass. 4 maggio 2009, n. 10236, cit.; Cass. 27 marzo 2009, n. 7524, in Giust. civ. Mass., 2009, 3, 537. 18 V. Cass., sez. lav., 13 marzo 2009, n. 6225, in Guida al diritto, 2009, 17, 52, secondo cui avendo il provvedimento di ammissione alla cassa integrazione guadagni efficacia costitutiva del rapporto previdenziale e derogatoria alla disciplina del rapporto di lavoro, in caso di successivo provvedimento che, respingendo la domanda di rinnovo e prosecuzione del beneficio, dispone la cessazione dello stesso a partire da una determinata data, il datore di lavoro è esonerato dagli obblighi retributivi per il periodo compreso tra la cessazione del beneficio e il provvedimento di diniego ove vi sia stata una sospensione del rapporto di lavoro non addebitabile a colpa del datore di lavoro e sia mancata l'offerta da parte dei lavoratori di riprendere il proprio lavoro con la messa a disposizione delle proprie energie. In senso conforme, Cass. 19 dicembre 1998 n. 12735, in Riv. it. dir. lav., 1999, II, pp. 741 ss., con nota di G. BOLEGO, Sulla revoca con efficacia retroattiva del provvedimento di ammissione alla cig. 19 V. Cass. 10 maggio 2010, n. 11254, cit., per la quale la mancata comunicazione alle organizzazioni sindacali delle ragioni che impediscono di ricorrere al meccanismo della rotazione dei lavoratori comporta l'illegittimità del provvedimento di sospensione dall'attività lavorativa, con la conseguenza che i lavoratori interessati possono agire in giudizio per ottenere il pagamento della retribuzione piena e non integrata. L'inosservanza della suddetta garanzia procedimentale, infatti, implicando la mancata attuazione del principio di trasparenza, incide direttamente sullo stesso provvedimento finale di concessione del benefico. 20 App. Torino 15 gennaio 2008. 21 Trib. Bolzano 25 maggio 2007, in Redazione Giuffrè, 2007. 5 analoga, ed inoltre perché tale regola è da considerarsi espressione del generale principio di buona fede e correttezza22. Come si è detto, la mancata rotazione costituisce un illecito datoriale, da cui consegue il diritto del lavoratore al risarcimento del danno ex art. 1218 c.c., anche in questo caso parametrato nel quantum all’entità delle retribuzioni non percepite. Il fatto che la misura del danno vada così quantificata, non deve però indurre in errore con riguardo al regime prescrizionale applicabile a tale credito che, avendo natura di risarcimento a titolo di responsabilità contrattuale, soggiace al termine di prescrizione decennale23. 3. Sospensione e obblighi del datore di lavoro interni al rapporto di lavoro a. L’incidenza sugli istituti diversi dalla retribuzione mensile (ferie, permessi ex lege n. 104/1992, festività infrasettimanali, Tfr, indennità di preavviso; diritti sindacali) La sospensione dell’attività lavorativa, con ricorso alla CIG, si riflette sugli obblighi datoriali a vario titolo connessi con lo svolgimento dell’attività medesima, potendosi operare una distinzione tra obblighi connessi al sinallagma funzionale, sospeso per effetto del ricorso alla CIG, e quelli connessi al sinallagma genetico, insensibile agli eventi sospensivi24. Ovviamente, fuoriesce dalla presente disamina l’analisi degli istituti retributivi, diretti e differiti, la cui mancata erogazione per effetto della sospensione è integrata dalla CIG, come ad esempio le mensilità supplementari (infra)25. Durante il periodo di CIGS i lavoratori sospesi non possono pretendere dal datore l’erogazione di quei compensi che debbono considerarsi funzionalmente correlati alla effettuazione della prestazione lavorativa, mentre conservano e i doveri dipendenti esclusivamente dalla permanenza del vincolo contrattuale26. Sulla scorta di tale consolidato principio, la giurisprudenza ha ritenuto, ad esempio, che spetti al lavoratore in CIGS la corresponsione del “premio di anzianità”, riconoscendo a tale indennità natura retributiva in funzione non tanto corrispettiva della prestazione, quanto piuttosto dell’anzianità del lavoratore27. Problema diverso è quello della quantificazione dei compensi spettanti al lavoratore diversi dalla retribuzione diretta, e cioè mensilità supplementari, ferie e giorni di permesso retribuito per riduzione dell’orario di lavoro (comunemente definiti r.o.l.), a seguito della 22 Si veda sul punto, Trib. Milano 30 dicembre 2006, in L.G., 2007, 833. Cfr. tra le tante, Cass. 13 dicembre 2010, n. 25139, in Red. Giust. civ. Mass., 2010, 12; Cass. 7 febbraio 2006, n. 2555, in Giust. Civ. Mass., 2006, 2; Cass. 9 novembre 2001, n. 13926, ibidem, 2001, 1897; Cass. 4 marzo 2000, n. 2468, ibidem, 2000, 534. 24 Su tutti v. E. GHERA, L’integrazione dei guadagni degli operai dell’industria e la sospensione del rapporto di lavoro, in Riv. giur. lav., 1965, I, pp. 157 e 265, pp. 270-271. 25 V. Cass. 22 maggio 2000, n. 6665, in Mass. giur. lav., 2000, p. 1090, secondo cui nei casi di CIGS, nel calcolo dell'integrazione salariale spettante ai lavoratori sospesi dal lavoro, "ex" articolo unico legge 13 agosto 1980 n. 427, vanno computati anche quegli emolumenti che fanno parte della retribuzione complessiva, pur se corrispondono a specifici periodi lavorati, quali le tredicesime mensilità annuali, tanto più che il credito avente ad oggetto l'integrazione ha natura previdenziale o anche di garanzia del salario, sicché l'interpretazione della suddetta disposizione non può discostarsi dal dettato degli artt. 36 e 38 Cost. Tale orientamento è stato poi messo in discussione dall’art. 44, 6° comma, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. con modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 326, contenente una norma interpretativa dell’art. unico, 2° comma, legge n. 427/1980 (infra). 26 Poiché la collocazione in CIG non esclude la possibilità del richiamo in servizio durante la sospensione, il lavoratore è tenuto, ove medio tempore si ammali, a comunicare e certificare l’assenza per malattia, pena, in difetto, l’ingiustificatezza dell’assenza. In tal senso App. Torino 18 gennaio 2010, in Giur. piemontese, 2010, p. 64. 27 Si veda Cass. 20 dicembre 2004, n. 23601, in Guida al lavoro, 2005, n. 8, p. 41. 23 6 rotazione, in quanto questi emolumenti maturano a ratei mensili. Il problema quantificatorio si pone nello specifico in relazione alla previsione, contenuta nella totalità dei contratti collettivi, del meccanismo dell’arrotondamento delle frazioni, per cui una prestazione al di sotto dei 15 giorni determina l’arrotondamento a zero, mentre quella al di sopra l’arrotondamento al rateo pieno. Non può escludersi un meccanismo di rotazione congegnato in maniera tale da mantenere la frazione di prestazione sempre al di sotto dei 15 giorni. In tal caso occorre fare una distinzione tra i compensi differiti integrabili, e cioè le mensilità supplementari, e quelli che fuoriescono dall’integrazione, e cioè ferie e r.o.l.; nel primo caso, non v’è questione. Nel secondo caso, può verificarsi l’ipotesi che il lavoratore, pur prestando attività lavorativa nel corso dell’anno per un numero di giorni cospicuo non maturi mai alcun rateo. La soluzione in questo caso potrebbe essere quella dell’addizione dei giorni lavorati per tradurli in rateo, adottabile in via preventiva con accordo sindacale, ad esempio regolamentando la rotazione, ovvero in via successiva, in sede giudiziaria28. La permanenza del sinallagma genetico in pendenza di intervento CIG, a prescindere dalla circostanza che soggetto onerato dal pagamento della integrazione salariale, sia l’INPS, ha indotto la giurisprudenza a individuare nell’accettazione della CIGS da parte del lavoratore già licenziato e poi reintegrato per iniziativa del datore di lavoro, un’accettazione tacita della revoca del licenziamento29. i. Ferie Circoscrivendo, quindi, l’analisi agli obblighi connessi al sinallagma funzionale, si è sostenuto, in primo luogo, che la sospensione incide sulla misura delle ferie, riducendole in proporzione, in quanto le stesse sono finalizzate a consentire al lavoratore di recuperare le energie psicofisiche spese nello svolgimento dell’attività lavorativa, il che non accade in conseguenza della sospensione30. Nel caso di sospensione circoscritta ad alcuni giorni del mese potrebbe invocarsi il meccanismo della sommatoria di periodi brevi di sospensione, onde evitare che il diverso sistema dell’arrotondamento delle frazioni, inferiori o superiori a 15 giorni, possa azzerare completamente la maturazione delle ferie. ii. Permessi ex art. 33, 3° comma, legge n. 104/1992 Il principio della riduzione in proporzione alla sospensione opera anche per i 3 giorni di permesso mensili, previsti dall’art. 33, 3° comma, legge 5 febbraio 1992, n. 10431, analogamente al riproporzionamento previsto per il lavoratore in regime di part-time verticale32; ovviamente il riproporzionamento è automatico per il part-time orizzontale, in 28 A mero titolo esemplificativo di calcolo delle sospensioni per addizione delle stesse, si veda la nota Min. lav. 15 ottobre 2010, prot. n. 25/I/0017275 (risposta ad interpello n. 34/2010), sul computo dei periodi di sospensione dell’apprendista. 29 Cass. 3 giugno 2004, n. 10623, in Mass. giur. lav., 2004, pp. 704 ss., con nota di N. DE MARINIS, La fruizione della cassa integrazione guadagni quale manifestazione tacita di accettazione della revoca del licenziamento in precedenza intimato. 30 V. A. MANNA, La cassa integrazione guadagni, Cedam, Padova, 1998, pp. pp. 197 ss., ed ivi dottrina sul tema; contra, e quindi sulla permanenza dell’obbligo di pagare le ferie al dipendente, M. D’ANTONA, Sospensione del lavoro per cause aziendali, mancato godimento delle ferie e diritto alla indennità sostitutiva, in Dir. lav., 1975, II, p. 297. Sulla maturazione del diritto alle ferie nel caso di semplice riduzione dell’orario di lavoro, e non di sospensione a zero ore, v. Cass. 28 maggio 1986, n. 3603, in Giust. civ., 1986, I, c. 2100; adde Pret. Lucca 12 dicembre 1998, in Orient. giur. lav., 1999, p. 819. 31 V. msg. INPS 18 novembre 2009, n. 26411, in Guida al lavoro, 2009, n. 46, p. 15; ancor prima v. nota Min. lav. 3 ottobre 2008, prot. n. 25/I/0013421 (risposta ad interpello n. 46/2008). 32 V. circ. INPS 17 luglio 2000, n. 133. In applicazione di tale principio, i periodi di sospensione per CIGS incidono sul numero di permessi ex art. 33, 3° comma, legge 5 febbraio 1992, n. 104, in analogia con la 7 quanto la retribuzione dei giorni di permesso è pari a quella dei giorni lavorativi a orario ridotto. iii. Festività infrasettimanali Con riferimento, poi, alle festività infrasettimanali, l’art. 2, legge 31 marzo 1954, n. 90, prevede che il trattamento economico di cui all’art. 5, legge 27 maggio 1949, n. 260, debba essere egualmente corrisposto per intero al lavoratore, anche se risulti assente dal lavoro per riduzione dell'orario normale giornaliero o settimanale di lavoro, ovvero, per sospensione dal lavoro, a qualunque causa dovuta, indipendente dalla volontà del lavoratore. Sennonché, la giurisprudenza ha escluso l’operatività di tale disposizione nel caso di sospensione con intervento CIGS (ma non anche CIGO), sostenendosi che quest’ultimo si presenta come rimedio provvisoriamente alternativo al licenziamento collettivo e come strumento, giustificato da eventi di particolare rilevanza sociale, che attua un espediente di formale mantenimento di rapporti di lavoro non più obiettivamente giustificati, con il conseguente difetto di adeguata causa giuridica di ogni pretesa verso l'impresa, da parte dei lavoratori beneficiati da tale eccezionale intervento33. L'ampia incidenza di tale intervento sul rapporto di lavoro è, per la stessa causa integrabile, di natura decisamente assistenziale a difesa dell'occupazione34. È rilevante, d'altra parte, considerare l'effetto sostitutivo della successiva normativa speciale in tema di CIGS, strumento di politica socio-economica del Governo, sulla disciplina ordinaria del rapporto di lavoro nel suo normale svolgimento, della quale fa parte la normativa sulle festività infrasettimanali del lontano 31 marzo 195435. Ed ancora rileva che il datore di lavoro - ove non sia lo stesso I.N.P.S., gestore della Cassa, a provvedere direttamente al pagamento dell'integrazione - quale adiectus solutionis causa36 è tenuto ad anticipare ai lavoratori in "cassa" (salva l'azione diretta del lavoratore, in caso di mancato pagamento da parte del datore, verso l'I.N.P.S.), ai sensi dell'art. 2, legge n. 1115/1968, l'80% della «retribuzione globale che sarebbe loro spettata per le ore previste dai contratti collettivi», e quindi inclusa anche la retribuzione per le festività infrasettimanali, rientrante decurtazione prevista per i lavoratori a part-time verticale (v. nota Min. lav. 3 ottobre 2008, prot. n.25/I/0013421, cit.). 33 Cfr. Cass. 12 marzo 1980, n. 1648, in Mass. giur. lav., 1981, p. 581; Pret. Mestre 31 gennaio 1985, in Orient. giur. lav., 1985, p. 652; Pret. Napoli-Barra 30 novembre 1985, in Giur. merito, 1986, pp. 1084 ss., con nota di C.M. DALMASSO, La causa integrabile come fonte del potere datoriale di sospensione dell’attività produttiva: i suoi riflessi sul rapporto di lavoro e sulla attività amministrativa dell’ente previdenziale erogatore della cassa integrazione; Alle stesse conclusioni giunge anche Pret. Salerno 12 ottobre 1988, in Riv. it. dir. lav., 1989, II, pp. 483 ss., con nota di R. DIAMANTI, Cassa integrazione e festività, sebbene muovendo dall’isolata ricostruzione giuridica della CIG non come sospensione dal lavoro, ma come interruzione del lavoro. 34 Gli scarsi precedenti giurisprudenziali sul punto hanno confermato la tesi della liberazione del datore dagli obblighi retributivi, e quindi l’integrabilità delle feste del 25 aprile e del 1° maggio. In tal senso v. Cass., sez. lav., 19 giugno 1991, n. 6935, in Dir. lav., 1992, II, 88, con nota di C. GATTA, Cassa integrazione straordinaria per le festività nazionali; Cass. 9 dicembre 1991, n. 13229, in Dir. e prat. lav., 1992, p. 440; Cass., sez. lav., 20 marzo 1992, n. 3489, in Riv. it. dir. lav., 1993, II, pp. 198 ss., con nota di D. MANASSERO, Cassa integrazione «assistenziale» e festività infrasettimanali; Cass. 1° giugno 1992, n. 6592, in Riv. it. dir. lav., 1993, II, pp. 306 ss., con nota di O. PAPINI, Cassa integrazioni guadagni e festività infrasettimanali; Cass., sez. lav., 26 giugno 1993, n. 7099, in Mass. Giust. civ., 1993, 1089. In dottrina, adesivamente, A. MANNA, La cassa integrazione guadagni, cit., pp. 167-169. 35 V. Cass., sez. lav., 15 giugno 2010, n. 14334, in Mass. giur. lav., 2010, p. 844, secondo cui il lavoratore collocato in CIG ed utilizzato in lavori socialmente utili, con percezione dell’importo integrativo corrisposto dall’ente pubblico, non ha diritto, con riferimento a quest’ultimo, agli istituti di retribuzione indiretta e differita (13a mensilità, ferie e TFR). 36 Cfr. Cass., sez. lav., 29 dicembre 1998, n. 12867, in Orient. giur. lav., 1999, p. 246; Cass., sez. lav., 22 febbraio 2003, n. 2760, in Mass. Giust. civ., 2003, p. 382. 8 nel salario integrabile, come peraltro si ricava con argomento a contrario, dall'art. 3 d.lgs.lgt. n. 788/1945, secondo cui «l'integrazione non è dovuta agli operai lavoranti ad orario ridotto per le festività non retribuite e per le assenze che non comportino retribuzione»37. iv. TFR Una eccezione alla regola del riproporzionamento della misura dei compensi spettanti al lavoratore, diversi dalla retribuzione diretta, in base alla durata della sospensione dell’attività lavorativa, è rappresentata dalla disposizione in materia relativa al trattamento di fine rapporto. Ed infatti, l’art. 2120, 3° comma, c.c., prevede che: «In caso di sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell'anno per una delle cause di cui all’art. 2120, c.c., nonché in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l'integrazione salariale, deve essere computato nella retribuzione di cui al 1° comma l'equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro»38. L’obbligo del datore di lavoro di corrispondere la quota di TFR in misura piena per i periodi di sospensione, permane anche quando sia stato autorizzato il pagamento diretto ai lavoratori, da parte dell’INPS, delle prestazioni di cassa integrazione guadagni straordinaria, a norma dell'art. 5, 1° comma, legge n. 215/197839. Sennonché, la natura decisamente assistenziale dell’intervento CIGS, a difesa dell'occupazione, ha indotto il legislatore a introdurre una deroga a tale previsione, nel caso in cui al termine della collocazione in CIGS non vi sia ripresa del servizio e segua il licenziamento dei lavoratori sospesi; in questo caso le aziende possono richiedere il rimborso alla Cassa integrazione guadagni del TFR corrisposto agli interessati, limitatamente alla quota maturata durante il periodo predetto. A tale soluzione, costituente oggi una regola di carattere generale, operante in tutti i casi di intervento CIGS, il legislatore è pervenuto attraverso un percorso abbastanza sofferto, nel senso che la possibilità per il datore di lavoro di ottenere il rimborso della quota di TFR in questione è stata collegata a singole causali di intervento CIGS, prima di diventare, come detto, regola generale. Il primo intervento in tal senso, risalente al 1972, riguardava le causali previste dalla legge 1115/1968, istitutiva della CIGS, oltre che l’ipotesi della conversione aziendale40. Un ulteriore intervento, rilevante sotto il profilo finanziario, si ebbe nel 1977, ponendosi a carico del «Fondo per la mobilità della manodopera»41 il rimborso delle quote di indennità di anzianità, maturate durante il periodo di integrazione salariale per ristrutturazione o riconversione aziendale dai lavoratori, che non fossero rioccupati nella stessa azienda al 37 Sul punto v. circ. INPS 21 gennaio 1982, n. 50 G.S., nonché 11 febbraio 1982, n. 38 e msg. INPS 3 dicembre 2003, n. 1076, in Guida al lavoro, 2003, n. 49, p. 18, che ribadisce come le festività del 25 aprile, 1° maggio e 2 giugno sono da includere nel numero delle ore integrabili con il trattamento CIGS quando i lavoratori sono retribuiti in misura fissa. Analogamente il msg. INPS 15 giugno 2009, n. 13552, chiarisce che per i lavoratori retribuiti in misura fissa mensile, le festività civili e religiose non comportano una riduzione della misura settimanale delle integrazioni salariali. 38 Così msg. INPS 28 aprile 2009, n. 9468, nel quale l’Istituto ha precisato che per i lavoratori in CIGS, che cessano dal servizio al termine del periodo di sospensione - fermo restando l’intervento della CIGS per le quote di TFR maturate – è obbligatorio il versamento del contributo al Fondo di Tesoreria anche per tali periodi, salvo il recupero da parte del datore di lavoro come, peraltro, avviene per tutti gli altri dipendenti. 39 V. Cass. 23 marzo 2002, n. 4171, in Mass. giur. lav., 2002, p. 604; Cass. 10 marzo 2004, n. 4922, in Mass. Giust. civ., 2004, fasc. 3; Cass., sez. lav., 11 marzo 2004, n. 5007, in Giust. civ., 2004, c. 1204. 40 V. l’art. 2, 2° comma, legge n. 464/1972, operante per le ipotesi di intervento CIGS richiamate dall’art. 1, 1° e 2° comma, della stessa legge. 41 Il “Fondo per la mobilità della manodopera” è stato istituito dall’art. 28, legge n. 675/1975. 9 termine di detto periodo per l'impossibilità da parte dell'azienda medesima di mantenere il livello occupazionale42. Il diritto al rimborso operava anche in relazione ai lavoratori di aziende industriali fallite, collocati in CIGS a norma dell'art. 25, 7° comma, legge n. 675/197743. Ridisciplinato nel 1991 l’intervento CIGS in relazione alle procedure concorsuali, si è confermata la rimborsabilità della quota maturata nel periodo di intervento per tale causale, presupponendo quest’ultima la continuità dei rapporti di lavoro44. La disposizione del 1977, rilevante solo sotto il profilo finanziario, è stata poi abrogata dall’art. 8, 2° comma, d.l. 21 marzo 1988, n. 86, convertito con modificazioni in legge 20 maggio 1988, n. 160, che espressamente ha mantenuto in vita la previsione relativa al rimborso della quota di TFR, eliminando l’accollo del relativo costo al «Fondo per la mobilità della manodopera», peraltro successivamente soppresso45 Di contrario avviso è il Supremo Collegio, che trascurando la valenza solo finanziaria della disposizione del 1977, sostiene che l’art. 21, 5° comma, citato, è stato abrogato dall'art. 8, 2° comma, legge n. 160/1988, e che, come espressamente disposto dalla disposizione transitoria contenuta nell’8° comma, del predetto art. 8, trova applicazione solo relativamente alle domande di integrazione salariale presentate successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 160/198846. Ne consegue l'applicabilità della disciplina previgente, quanto all'individuazione del soggetto tenuto al pagamento del trattamento di fine rapporto, con riferimento a tutti i periodi di cassa integrazione dipendenti da una iniziale domanda di ammissione alla CIGS antecedente all'entrata in vigore della legge n. 160/1988, poiché la disposizione transitoria persegue lo scopo di assoggettare alla medesima disciplina l'intero rapporto costituito a seguito dell'accoglimento con provvedimento amministrativo della domanda iniziale, e le richieste successive, dirette alla conferma del trattamento, hanno una diversa e minore portata, intervenendo nell'ambito di un rapporto già costituito47. 42 Cfr. Pret. Firenze 3 gennaio 1989, in Giust. civ., 1989, I, c. 1475, con nota di G. CIMINO, Sul trattamento di fine rapporto per i lavoratori licenziati al termine del periodo di cassa integrazione straordinaria da impresa già sottoposta a procedura esecutiva concorsuale. 43 Disposizione inserita dall'art. 2, legge 27 luglio 1979, n. 301, di conversione in legge del d.l. 26 maggio 1979, n. 159. In giurisprudenza, su tale peculiare ipotesi v. Trib. Napoli, sez. fall., 26 giugno 2003, in Dir. merc. lav., 2003, pp. 374 ss., con nota di G. NUCIFERO, Cassa integrazione guadagni, fallimento e T.F.R., e da ultimo Cass., sez. lav., 8 luglio 2009, n. 15978, in Mass. Giust. civ., 2009, p. 1217, secondo cui in materia di TFR, la quota maturata durante il periodo di cassa integrazione, erogata ai sensi della legge n. 301/1979, grava esclusivamente sull'INPS. Ne consegue che, ove sia successivamente intervenuta l'insolvenza del datore di lavoro, l'insinuazione al passivo fallimentare diretta ad ottenere dal Fondo di garanzia, costituito presso l'INPS, le quote maturate in costanza di rapporto di lavoro, non svolge alcun effetto, neppure interruttivo della prescrizione, rispetto al trattamento maturato nel periodo di cassa integrazione, non potendo invocarsi il carattere unitario del TFR, giacché questo si compone di due quote distinte, l'una facente capo al datore, che l'INPS si accolla, e una seconda, che presenta tratti peculiari poiché matura in un periodo in cui non si svolge attività lavorativa, e fa capo direttamente all'INPS. 44 V. circ. INPS 26 maggio 1992, n. 141, paragr. 4, nonché circ. INPS 11 aprile 1995, n. 103, in Dir. e prat. lav., 1995, 1309. 45 Il Fondo per la mobilità della manodopera, come detto istituito dall’art. 28, legge n. 675/1977, è stato soppresso, confluendo la sua gestione nel Fondo di rotazione ex art. 25, legge 21 dicembre 1978, n. 845, dall’art. 16, legge 23 dicembre 1993, n. 559, come interpretato dall’art. 4, 8° comma, legge n. 608/1996. 46 Così Cass., sez. lav., 26 febbraio 1992, n. 2398, in Foro it., 1992, I, cc. 1762 ss.; in senso conforme v. Cass., sez. lav., 5 maggio 1992, n. 5322, in Giust. civ., 1993, I, cc. 1021 ss., con nota di G. BOMMARITO, Trattamento di fine rapporto per i dipendenti da aziende fallite, beneficiari della cigs ex l. n. 301 del 1979, nella disciplina previgente la novella del 1991; lo slalom della suprema corte nella sarabanda delle interpretazioni autentiche. 47 V. Cass. 23 marzo 2002, n. 4171, cit.; Cass., sez. lav., 27 ottobre 2003, n. 16117, in Mass. Giust. civ., 2003, fasc. 10. 10 Un ulteriore tassello del mosaico è stato aggiunto con l’estensione del meccanismo del rimborso alla ipotesi della solidarietà difensiva, pur se quest’ultima esclude il licenziamento dei lavoratori sospesi al termine del periodo di riduzione dell’orario di lavoro48. Il rimborso della quota del TFR da parte dell’INPS in favore del datore di lavoro, connotando la stessa come prestazione previdenziale49, è stato utilizzato come strumento per disincentivare la collocazione in mobilità dei lavoratori sospesi, prima della scadenza della durata massima prevista dalla legge per l’intervento CIGS50. Si tratta di una misura che presenta identità di ratio con quella introdotta nel 1993, che aumenta da sei a nove mensilità il contributo addizionale posto a carico del datore di lavoro che licenzia lavoratori aventi diritto al trattamento di mobilità, nel caso in cui, pur potendo attingere alla CIGS, proceda direttamente al licenziamento51. La differenza tra le due disposizioni è che la prima 48 L’art. 8, 2°-bis comma, d.l. 21 marzo 1988, n. 86, convertito con modificazioni in legge 20 maggio 1988, n. 160, ha modificato il secondo periodo del 5° comma dell'art. 1, d.l. 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, prevedendo che: «Le quote di accantonamento relative alla retribuzione persa a seguito della riduzione dell'orario di lavoro sono a carico della cassa integrazione guadagni». 49 Ed infatti, Cass., sez. lav., 3 aprile 2007, n. 8339, in Guida al diritto, 2007, n. 23, p. 51, ha evidenziato come il credito del lavoratore avente a oggetto il pagamento delle quote del trattamento di fine rapporto maturate durante i periodi di collocamento in cassa integrazione guadagni, pur essendo denominato trattamento di fine rapporto, non ha natura retributiva ma previdenziale. Questo trattamento, infatti, è relativo al periodo di cassa integrazione e non compensativo di prestazioni di lavoro effettivamente rese; esso grava sul sistema previdenziale ed è teso ad assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore temporaneamente e involontariamente disoccupato. Ne consegue, quanto alla prescrizione, che esso è riconducibile non al n. 5 dell'art. 2948 c.c., bensì all'art. 2946 c.c. 50 V. l’art. 5, 6° comma, legge n. 223/1991. L’INPS ha escluso che il datore di lavoro perda il diritto ad ottenere il rimborso della quota di TFR relativa al periodo di CIGS, nella ipotesi di intervento per procedura concorsuale, in quanto la stessa non è ivi richiamata (v. circ. INPS 26 maggio 1992, n. 141, paragr. 4, nonché circ. INPS 11 aprile 1995, n. 103, in Dir. e prat. lav., 1995, p. 1309). Sulla funzione dissuasiva dell’incremento della misura del contributo addizionale previsto dall’art. 5, 6° comma, cit., v. U. CARABELLI, I licenziamenti per riduzione di personale, in Giornale dir. lav. e relazioni ind., 1994, pp. 213 ss., p. 254. Di ricorso sequenziale agli ammortizzatori sociali, con accesso alla mobilità, e quindi ai licenziamenti collettivi, quasi come se essi fossero l’extrema ratio, parla F. LISO, Mercato del lavoro: il ruolo dei poteri pubblici e privati nella legge 223/1991, in Riv. giur. lav., 1993, I, pp. 3 ss., pp. 28-29, il quale ritiene che il legislatore della legge n. 223/1991 sia «artefice di un testo articolato in sequenze che hanno una logica sufficientemente esplicitata», sebbene evidenzi come sia assente un’esplicita connessione tra integrazione salariale e licenziamenti collettivi; v. anche U. CARABELLI, I licenziamenti per riduzione di personale in Italia, cit., pp. 161-164. Per un’impostazione analoga, sebbene prima dell’entrata in vigore della legge n. 223/1991, v. M. MISCIONE, Cassa integrazione e tutela della disoccupazione, Jovene, Napoli, 1978, p. 180. Di sequenzialità meramente statistica e non anche legale parla L. FORLANI – R. TANGORRA, Contributo per il rapporto di valutazione sulla European Employment Strategy, paper, 2001, p. 14. Ovviamente, ciò non toglie che le fattispecie siano e rimangano «fattualmente e giuridicamente distinte», come afferma M. CINELLI, La riforma del mercato del lavoro nella legge n. 223 del 1991 tra razionalizzazione e compromesso, in ID., Il fattore occupazionale nelle crisi di impresa, Giappichelli, Torino, 1993, pp. 3 ss., p. 6. Per l’esistenza del principio di extrema ratio v. F. MAZZIOTTI, Riduzione di personale e sistema di mobilità, in G. FERRARO- F. MAZZIOTTIF. SANTONI, Integrazioni salariali, eccedenze di personale e mercato del lavoro. Commento sistematico alla l. 223/1991, Jovene, Napoli, 1992, ppp. 95 ss., p. 112; contra, M. MISCIONE, I licenziamenti per riduzione di personale e la mobilità, in AA.VV., La disciplina dei licenziamenti, dopo le leggi 108/1990 e 223/1991, Jovene, Napoli, p. 328; G. FERRARO, Le integrazioni salariali, in G. FERRARO- F. MAZZIOTTI- F. SANTONI, Integrazioni salariali, eccedenze di personale e mercato del lavoro. Commento sistematico alla l. 223/1991, p. 9. In giurisprudenza qualifica il ricorso alla CIGS come “extrema ratio” Trib. Milano 18 ottobre 1986, cit. 51 V. l’art. 24, 3° comma, legge n. 223/1991, come modificato dall’art. 8, 1° comma, d.l. n. 148/1993, conv. in legge n. 236/1993. Sul punto v. U. CARABELLI, I licenziamenti per riduzione di personale in Italia, cit., p. 121, che ricollega la “sovracontribuzione” ad «esigenze sociali di responsabilizzazione dell’impresa stessa», ponendo a suo carico «corposi oneri economici per i lavoratori espulsi». Sembra ipotizzare una sorta di alleggerimento del costo a carico del datore di lavoro, attraverso il mancato versamento della contribuzione 11 scoraggia la minore utilizzazione della CIGS rispetto a quella consentita; la seconda, invece, la mancata utilizzazione52. Si è discusso, poi, se sussista la condizione per ottenere il rimborso della quota di TFR nell’ipotesi del licenziamento al termine dell’intervento CIGS, ove tra i due eventi si collochi un periodo di intervento CIGS in deroga, che non dà diritto al rimborso. In base ad orientamenti precedenti, l’INPS aveva precisato che la possibilità di rimborso delle quote di TFR è preclusa in caso di soluzione della continuità cronologica tra sospensione dal lavoro e licenziamento, e che le quote rimborsabili sono soltanto quelle dei periodi integrati immediatamente precedenti il licenziamento, non ascrivendo ad eventi interruttivi l'astensione per maternità, le festività, la rioccupazione a tempo determinato presso altra impresa se regolarmente comunicata53. Altrettanto non può essere considerato evento interruttivo della continuità cronologica la sospensione per CIG in deroga, in quanto il finanziamento della misura è attribuito ad un fondo di natura non contributiva. Infine, va segnalata la soluzione prospettata dal Supremo Collegio che esclude la necessità della procedura di anticipazione, da parte del datore di lavoro, con successivo rimborso in favore di quest’ultimo, riconoscendo una legittimazione diretta dei lavoratori nei confronti del Fondo54. v. Preavviso e/o indennità sostitutiva Sempre in relazione alla cessazione del rapporto di lavoro, si è discusso circa la cumulabilità tra sospensione con collocazione in CIGS e preavviso, ovvero tra integrazione salariale e indennità sostitutiva del mancato preavviso. La soluzione, ovviamente, non coincide per le due ipotesi. Con riferimento al preavviso va esclusa la cumulabilità con la sospensione in CIGS, in quanto il primo presuppone l’effettuazione dell’attività lavorativa, ovvero il rifiuto della stessa da parte del datore di lavoro, entrambi incompatibili con la sospensione. A soluzione opposta, e quindi in favore della cumulabilità, potrebbe pervenirsi con riferimento all’indennità sostitutiva del mancato preavviso; ma a ben guardare in questo caso non si pone un problema di cumulo, in quanto l’indennità sostitutiva del mancato preavviso presuppone la cessazione del rapporto e quindi, anche quella della sospensione55. Conferma di tale soluzione promana da un intervento della Cassazione a Sezioni Unite56 che, in relazione ad intervento CIGS successivo a provvedimenti di maggiorata, in assenza di un termine per l’adempimento, D. GOTTARDI, Legge e sindacato nelle crisi occupazionali, Cedam, Padova, 1995, p. 115. 52 Secondo D. GOTTARDI, Legge e sindacato nelle crisi occupazionali, cit., p. 114, qualunque tentativo di individuare un incentivo al ricorso alla CIGS, prima di procedere al licenziamento collettivo, contrasta con la diversa platea di destinatari dei due istituti e cioè, lavoratori solo temporaneamente da sospendere, nel primo caso, e definitivamente eccedentari, nel secondo caso. 53 Cfr. msg. INPS 23 ottobre 2009, n. 23953. 54 Così Cass., sez. lav., 26 febbraio 1992, n. 2398, cit. 55 A favore della cumulabilità v. Cass. 25 agosto 1990, n. 8717, in Giust. civ., 1991, I, cc. 317 ss., con nota di R. DIAMANTI, Indennità sostitutiva del preavviso e integrazione salariale; Cass. 28 maggio 1992, n. 6406, in Dir. e prat. lav., 1992, p. 2154; Cass. 19 agosto 1993, n. 8766, ivi, 1993, p. 2857; con riferimento specifico alla cumulabilità dell'indennità sostitutiva del mancato preavviso con il trattamento di integrazione salariale erogato, ai sensi dell'art. 2, legge 27 luglio 1979, n. 301, in favore dei dipendenti delle aziende fallite, v. Cass. 4 dicembre 1990, n. 11637, in Riv. it. dir. lav., 1991, II, pp. 685 ss., con nota di A. AVIO, Il cumulo tra l’indennità sostitutiva di preavviso e le prestazioni della cigs; Trib. Alba 15 giugno 1993, in Mass. giur. lav., 1994, pp. 220 ss., con nota di A. CAIAFA, In tema di cumulabilità dell’indennità sostitutiva del preavviso con il trattamento di integrazione salariale straordinaria. 56 Cass., Sez. Un., 29 settembre 1994, n. 7914, con nota di G. CIMINO, Problemi di incumulabilità tra Cassa integrazione guadagni straordinaria e indennità sostitutiva del preavviso, in Giust. civ., 1995, c. 3099 ss.; in 12 licenziamento, sospesi onde consentire l’intervento (v. art. 2, legge n. 301/1979), ha escluso il cumulo 57, richiamando la natura stessa della integrazione salariale58, il fatto che l’erogazione della CIG, ai sensi dell’art. 3, d.lgs.lgt. n. 788/1945, presuppone un rapporto in atto, la qualificazione retributiva della indennità sostitutiva59 ed infine l’irrilevanza ai fini della decorrenza della pensione di anzianità del periodo coperto dalla indennità sostitutiva. L’intervento CIG non costituisce, secondo la giurisprudenza di merito, giusta causa di recesso da parte del lavoratore, che, in caso di dimissioni, resta obbligato al preavviso, ovvero, in mancanza, al pagamento dell’indennità sostitutiva60. vi. diritti sindacali Infine, ci si chiede se la sospensione può riflettersi sull’esercizio dei diritti sindacali, sanciti nello Statuto dei lavoratori, da parte dei soggetti collocati in CIG, concludendosi in senso negativo61, salva l’ipotesi dell’incompatibilità di tale esercizio con la sospensione62. Tale tematica va, invero, oggi ripensata in relazione alla condizionalità, ponendosi il diverso e antitetico interrogativo se il lavoratore sospeso ed avviato ad un corso di formazione professionale possa, in relazione alla partecipazione a quest’ultimo, esercitare le prerogative previste dallo Statuto dei lavoratori, ad esempio in tema di permessi sindacali retribuiti. Si è dell’opinione che la risposta debba essere affermativa, col limite del raggiungimento dell’obiettivo formativo63 b. Illeciti datoriali di natura permanente preesistenti e incidenza della sospensione Fallimento, 1995, pp. 382 ss., con nota di V. CARBONE, È cumulabile l’indennità di preavviso con il trattamento di cigs? Adesivamente, A. MANNA, La cassa integrazione guadagni, cit., pp. 199 ss., secondo il quale diversamente «si verificherebbe un’ingiustificata duplicazione lato sensu retributiva per il medesimo periodo, in contrasto con la finalità della c.i.g.». 57 Cfr. G. CIMINO, Problemi di incumulabilità tra Cassa integrazione guadagni straordinaria e indennità sostitutiva del preavviso, cit. 58 V. Cass., Sez. Un., 20 giugno 1987, n. 5456, in Informazione previd., 1987, pp. 1011 ss. 59 Così Cass. 21 marzo 1990, n. 2328, in Mass. giur. lav., 1990, p. 193; Cass. 22 febbraio 1993, n. 2114, in Riv. it. dir. lav., 1993, II, p. 803; Cass. 12 ottobre 1993, n. 10086, in Foro it., 1994, I, c. 1493, tutte sulla base del presupposto che essa «inerisce istituzionalmente al rapporto di lavoro, ponendosi in connessione con la retribuzione cui il dipendente avrebbe avuto diritto in caso di normale preavviso». 60 V. Pret. Brescia 22 maggio 1984, in Giust. civ., 1984, I, c. 3198; Trib. Bari 18 aprile 2007, in Giurisprudenzabarese.it, 2007. Si segnala che la Cassazione ha escluso che le dimissioni di un lavoratore in CIG legittimino il datore alla sospensione di un altro lavoratore in sostituzione del dimissionario; in questo senso cfr. Cass. 2 agosto 1996, n. 6991, in Mass. giur. lav., 1996, pp. 756 ss., con nota di M.A. ROSSI, «Garantismo» della procedura di consultazione sindacale per Cigs; ivi, 1997, pp. 235 ss., con nota di E. MINALE COSTA, Limiti procedurali e tutela dell’occupazione nella cig. 61 M. PERSIANI, Cassa integrazione, poteri dell’imprenditore e scelta dei lavoratori, in Giornale dir. lav. e relazioni ind., 1983, pp. 341 ss., p 356. 62 V. A. MANNA, La Cassa Integrazione Guadagni, cit., pp. 212 ss. 63 Quanto alla legittimità dell’accesso al locale sindacale (ma non anche a quelli adibiti all’attività produttiva) da parte degli RSA, fuori servizio o in CIGS, v. Pret. Cassino (decr.) 11 dicembre 1995, in Foro it., 1996, I, c. 721 ss., spec. 735. Del pari, parte della dottrina è favorevole all’uso del locale sindacale, a maggior ragione, durante lo sciopero, per la valenza di momento catalizzatore dell’attività sindacale (ed ancor più in occasione della serrata); in tal senso v. N. CRISCI, Art. 27. Locali delle rappresentanze sindacali aziendali, in U. PROSPERETTI (diretto da), Commentario dello Statuto dei lavoratori, Giuffrè, Milano, 1975, II, pp. 882 ss., p. 894; ID., Art. 27, l. 20 maggio 1970, n. 300, in P. PERLINGERI (a cura di), La legislazione civile annotata con la dottrina e la giurisprudenza, Rapporti di lavoro e loro tutela, Esi, Roma, vol. 9, 1985, pp. 578 ss., p. 582; U. CARABELLI, Art. 27 (Locali delle rappresentanze sindacali aziendali), in G. GIUGNI (diretto da), Lo statuto dei lavoratori. Commentario, Giuffrè, Milano, 1979, pp. 441 ss., p. 450; M. MEUCCI, Sul locale per le r.s.a., nota a Cass. 1 marzo 1986, n. 1321, in Mass. giur. lav., 1986, pp. 359 ss., p. 360; da ultimo v. V. LAMONACA, Il locale sindacale, ivi, 2010, 112 ss. 13 L’effetto sospensivo degli obblighi contrattuali, determinato dal ricorso alla CIG, nei limiti di cui innanzi, non incide, nel senso che non la elide, sulla violazione di taluni obblighi, perpetrata dal datore di lavoro prima dell’inizio della sospensione dell’attività lavorativa, come recentemente statuito dalla Suprema Corte, secondo la quale ove il datore di lavoro abbia, unilateralmente e ingiustificatamente, rifiutato la prestazione del lavoratore non adibendolo ad alcuna attività, con conseguente sua dequalificazione professionale, la successiva sospensione del rapporto per CIGS non determina - qualora sia stata accertata l'illegittimità della condotta - la cessazione della permanenza dell'illecito, lasciando inalterato l'inadempimento del datore di lavoro dell'obbligo di attivarsi per consentire l'esecuzione della prestazione medesima64. 4. Ammortizzatori sociali e contratti formativi Un ulteriore aspetto che sembra interessante trattare è quello dell’applicabilità della normativa in tema di licenziamenti collettivi e di ammortizzatori sociali, ai lavoratori assunti con i contratti formativi. Con riferimento alla Cigs, si registrano due soluzioni diverse, ritenendosi ammissibile l’intervento per i lavoratori assunti con il contratto di formazione e lavoro e non anche per quelli assunti con il contratto di apprendistato. Con riferimento al c.f.l., l’INPS65, recependo l’orientamento unanimemente espresso dalla giustizia amministrativa e ordinaria66, ha ritenuto applicabile la Cigs ai lavoratori assunti con tale contratto, sulla base del rilievo che il legislatore ha affermato la sostanziale identità della disciplina del contratto “di formazione e lavoro” con quella del contratto “di lavoro subordinato” in senso stretto. Ancorché i tempi e le modalità di svolgimento dell’attività di formazione e lavoro possano essere differenti (dato che sono stabiliti mediante progetti predisposti dagli Enti pubblici economici, dalle imprese e loro consorzi), non vi sarebbero reali ragioni per negare la sostanziale identità della causa (civilisticamente intesa) del contratto, da individuarsi nello scambio “lavoro contro retribuzione”. Si è quindi ritenuto legittimo, non ricorrendo specifici divieti, applicare ai rapporti di formazione e lavoro l’identico regime delle integrazioni sociali, che è valido per i rapporti di lavoro ordinari. Viceversa, per quanto riguarda gli apprendisti, il Ministero del Lavoro, con circolare del 5 novembre 2007, n. 32, ha escluso la possibilità di estendere a questa categoria di lavoratori l’orientamento innanzi richiamato per i c.f.l., sulla base del rilievo che la sospensione dell’attività mal si concilia col fine formativo. Tuttavia, deve rilevarsi che, al fine di fronteggiare la crisi economica, il d.l. 29 novembre 2008, n. 185, conv. in l. 28 gennaio 2009, n. 2, ha disposto all’art. 19, comma 1, lett. c), in via sperimentale per il triennio 2009-2011, in caso di sospensione per crisi aziendali o occupazionali, ovvero in caso di licenziamento, la corresponsione agli apprendisti dell’indennità di disoccupazione ordinaria con requisiti normali, per la durata massima di 90 giornate nell’arco del rapporto, subordinatamente ad un intervento integrativo, pari almeno al 20% dell’indennità, a carico degli enti bilaterali operanti nel settore. Ove sia cessato tale intervento, ovvero non sia possibile in mancanza dell’intervento integrativo degli enti bilaterali, il Ministero del lavoro ha sostenuto l’ammissibilità, ai 64 Cass. 7 maggio 2008, n. 11142, in Lav. giur., 2008, p. 954. Circ. Inps 6 ottobre 2006, n. 107, in http://www.inps.it/Circolari/Circolare%20numero%20107%20del%206-10-2006.htm 66 T.A.R. Lazio 10 ottobre 2005, n. 8138, in FA-T.A.R., 2005, 3221; Cons. Stato 25 ottobre 1996, n. 1412, in FA, 1996, 2946; Cass. 23 dicembre 2002, n. 18296, in Giust. Civ. Mass., 2002, 2241; Cass. 13 aprile 1995, n. 4227, in O.G.L., 1995, 486; Cass, 1 marzo 1993, n. 2510, in Giust. Civ. Mass., 1993, 409. 65 14 sensi del successivo comma 867, del ricorso in favore degli apprendisti alla Cigs in deroga, anche in contemporanea ad una domanda volta ad ottenere la Cigo o la Cigs68. Riflettendo su questo materiale giurisprudenziale, in funzione della domanda posta all’inizio, e cioè se le soluzioni giurisprudenziali potessero dirsi coerenti rispetto al fenomeno collettivo, si può affermare che la giurisprudenza esaminata appare poco attenta al fenomeno collettivo, privilegiando la tutela del singolo lavoratore: e ciò anche quando si approcci a questioni inerenti fasi della procedura di intervento che poco hanno a che fare con la posizione del singolo lavoratore (si pensi alla fase di comunicazione preventiva alle organizzazione sindacali) e molto con gli interessi collettivi e generali. Le linee di tendenza, che emergono nelle pronunce esaminate, sembrano dunque andare nella direzione di un’individualizzazione, talvolta eccessiva, di un fenomeno che è innanzitutto collettivo/pubblicistico. La tematica degli esuberi di personale è di evidente e drammatica attualità, sicché non può non auspicarsi un ripensamento nella soluzione dei singoli casi che contemperi in maniera più equilibrata gli interessi pubblici, collettivi e privati coinvolti nelle procedure in esame, in cui emerge la tensione tra libertà d’impresa, diritto all’occupazione e interesse pubblico al buon governo del mercato del lavoro. Oltretutto, il disallineamento tra le linee guida dettate dall’evoluzione legislativa e contrattuale (che tendono ad estendere l’ambito applicativo dei benefici in esame, al fine di fronteggiare la situazione di crisi che coinvolge un numero sempre più considerevole di aziende), rispetto a pronunciamenti della magistratura del lavoro talvolta troppo “ingessate”, introduce un ulteriore elemento di instabilità nel mercato, economico e del lavoro, che non può sottovalutarsi, ingenerando nei datori di lavoro sempre maggior incertezza nella definizione di criteri di gestione degli esuberi di personale in grado di superare il vaglio del sindacato giudiziale. 5. Le causali di intervento CIGO Per avere un primo elenco dei casi in cui è dovuta l’integrazione salariale in favore degli operai dipendenti da imprese industriali, con sospensione totale o parziale delle prestazioni di lavoro, bisogna attendere il 1975. Infatti, la legge n. 164/1975 prevede che la CIGO per contrazione o sospensione dell'attività produttiva sia erogata per situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all'imprenditore69 (per tali dovendosi intendere tutti 67 L’art. 19, co. 8, d.l. n. 185/2008, prevede che «Le risorse finanziarie destinate agli ammortizzatori sociali in deroga alla vigente normativa (…) possono essere utilizzate con riferimento a tutte le tipologie di lavoro subordinato, compresi i contratti di apprendistato e di somministrazione (…)». 68 Nota Min. lav. 5 giugno 2009, prot. n. 25/I/0008318, interpello n. 52/2009, in http://www.lavoro.gov.it/NR/ rdonlyres/E3613D6A-87C1-4D34-9869-7AD89892BEF9/0/522009.pdf 69 Per TAR Piemonte, Torino, sez. II, 14 novembre 2008, n. 2877, in Foro amm. – TAR, 2008, p. 2968, la CIGO presuppone una situazione di temporanea crisi produttiva, connessa ad una situazione transitoria e contingente, sostanzialmente avulsa dalle possibilità di controllo dell'imprenditore, e il riconoscimento di tali presupposti dipende da un apprezzamento dell'amministrazione caratterizzato da ampia discrezionalità, pertanto non censurabile se non per manifesta illogicità. Cfr. anche TAR Campania, Napoli, sez. III, 4 aprile 2002, n. 1863, in Foro amm. – TAR, 2002, p. 1354, che annovera nell’evento integrabile la difficoltà di approvvigionamento delle scorte, l'interruzione di fornitura di energia elettrica, l'ordine di sospensione dell'attività emesso dall'autorità sanitaria, l'occupazione dello stabilimento compiuta da terzi. Da ultimo si segnalano TAR, Puglia, Lecce, sez. I, 3 dicembre 2009, n. 2976, in Foro amm. - TAR, 2009, p. 3602, cha ha ritenuto imputabile al datore e quindi non integrabile, la sospensione dell'attività produttiva derivante da condotte dell'imprenditore, che possano anche acquisire rilevanza sotto il profilo della responsabilità penale, costituendo evento direttamente imputabile a quest’ultimo e ricadendo esclusivamente nella sua sfera giuridica e patrimoniale. La valutazione negativa dell’evento, poi, non cambia anche nel caso di successiva archiviazione dell’indagine penale, essendosi interrotta l'attività lavorativa in conseguenza di scelte imprenditoriali sostanzialmente errate (TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste, 9 marzo 2006, n. 177, in Foro 15 quei fatti strettamente connessi all'attività produttiva, ma indipendenti dalla reale volontà dell'imprenditore e dal normale andamento dell'azienda)70, o agli operai71 (es. sciopero)72, ovvero determinate da situazioni temporanee di mercato73 (es. calo di commesse74), riconducibili anche alla mera difficultas75. A fronte delle due causali, enunciate nella legge n. 164/1975 (art. 1, n. 1), quest’ultima decreta la non obbligatorietà dell’esame congiunto (art. 5, 1° comma), e la non operatività del limite massimo e dell’intervallo minimo (art. 6, 5° comma), nonché la non obbligatorietà del contributo addizionale (art. 12, n. 2), nei casi di intervento determinato da «eventi oggettivamente non evitabili», che rendano non differibile la contrazione o la sospensione dell'attività produttiva», utilizzando in tutti e tre i casi un’espressione non perfettamente coincidente con quella sub art. 1, n. 1, lett. a), ove è enunciata l’ipotesi degli «eventi transitori e non imputabili all’imprenditore e agli operai»76. Secondo una certa teoria, nell’art. 6, 5° comma, sarebbe enunciata una terza causa integrabile, di portata più ristretta rispetto a quelle enunciate nell’art. 1, n. 1, produttiva, come visto, di effetti diversi77 Secondo Maria Vittoria Ballestrero l’ipotesi in questione costituirebbe una species del più ampio genus degli eventi non imputabili78. amm. TAR, 2006, p. 923). A sua volta Cons. Stato 22 novembre 2010, n. 8129, in D&G, 2010, esclude l’integrabilità nel caso di l’interruzione del ciclo di lavoro dovuto alla presenza di linee elettriche e telefoniche in interferenza con il tracciato stradale da realizzare costituisce un fatto prevedibile con l’ordinaria diligenza sia nella fase di progettazione, che in quella di esecuzione dei lavori. In tal caso non si versa a fronte di un rischio di impresa per fatti che sfuggono con carattere di non eludibilità al controllo dell’appaltatore e della stessa committenza. 70 Così TAR Campania, Napoli, sez. III, 4 aprile 2002, n. 1863, cit.; TAR Campania, Napoli, sez. III, 8 maggio 2008, n. 3670, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 2002, n. 1844, cit.; Cass., Sez. Un., 10 agosto 2005, n. 16780, cit. 71 V. circ. INPS 29 ottobre 2003, n. 169, in Dir. e prat. Lav., 2003, p. 2959. 72 Cfr. M.V. BALLESTRERO, Cassa integrazione guadagni e contratto di lavoro, Giuffrè. Milano, 1985, pp. 40-41; M. MISCIONE, Il trattamento della cassa integrazione guadagni ordinaria (anche in rapporto alle varie vicende del rapporto di lavoro), in M. MISCIONE (a cura di), Il rapporto di lavoro subordinato: garanzie del reddito, estinzione e tutela dei diritti, in F. CARINCI (diretto da), Diritto del lavoro, Commentario, Utet, Torino, 2007, III, p. 66. In giurisprudenza v. Cass., sez. lav., 28 aprile 1983, n. 2945, in Mass. Giust. civ., 1983, fasc. 4; Cass., sez. lav., 27 gennaio 1984, n. 666, in Riv. giur. lav., 1984, II, p. 84; per la giurisprudenza di merito v. Pret. Milano 3 giugno 1983, in Orient. giur. lav., 1983, p. 1328; Pret. Milano 17 giugno 1983, in Tributi, 1983, p. 969. 73 V. l’art. 1, 1° comma, n. 1, lett. b), legge n. 164/1975. Sul punto v. Corte cost. 9 dicembre 1991, n. 439, in Riv. it. dir. lav., 1992, II, pp. 511 ss., con nota di L. MARRA, La cassa integrazione al vaglio della corte costituzionale, e in Dir. giur., 1992, pp. 569, con nota di P. CARRANO, La disciplina della cig ordinaria al vaglio della corte costituzionale, che ha rigettato la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli art. 3, 2° comma, 36, 1° comma, 38, 2° comma, 41, 1° e 2° comma, 97, 1° comma, Cost., con riferimento all'art. 1, n. 1, lett. b, della legge 20 maggio 1975 n. 164, nella parte in cui consente l'ammissione delle imprese al beneficio dell'integrazione salariale ordinaria in caso di sospensione o contrazione dell'attività produttiva, dovuta a temporanee situazioni di mercato. 74 Cfr. Trib. Frosinone 2 luglio 1999, in Guida al lavoro, 1999, n. 45, p. 26. 75 V. M. CINELLI, voce Retribuzione dei dipendenti privati, in Noviss. Dig. It., app. VI, Utet, Torino, 1986, pp. 652 ss., p. 679. 76 Cfr. TAR Lecce – Puglia, sez. I, 21 dicembre 2006, nn. 6034 e 6035, in Foro amm. - TAR, 2006, p. 3981. 77 È l’opinione di M. MISCIONE, Cassa integrazione e tutela della disoccupazione, cit., pp. 158 ss., secondo cui gli «eventi oggettivamente non evitabili» di cui all’art. 5, legge n. 164/1975, costituirebbero una terza causa integrabile, estremamente restrittiva rispetto alle due precedenti di cui all’art. 1, e produttiva di effetti diversi, con riferimento agli aspetti procedurali (art. 5), al superamento dei limiti di durata dell’intervento (art. 6) e all’esonero dal contributo addizionale. 78 Cfr. M.V. BALLESTRERO, Cassa integrazione guadagni e contratto di lavoro, cit., p. 189. Tale tesi sembra aver ricevuto l’avallo dell’INPS, secondo cui sono oggettivamente non evitabili gli eventi «determinati da cause di forza maggiore e caso fortuito e quindi esterni all’azienda, improvvisi, non prevedibili e non 16 Entrambe le soluzioni non sono accettabili in quanto non sono in grado di superare l’argomento letterale fornito dall’art. 5, legge n. 164/1975, ove, dopo aver disciplinato ai commi 1°, 2°, e 3°, la procedura da seguire «nei casi di eventi oggettivamente non evitabili», disciplina nei commi 4° e seguenti la procedura da applicare «negli altri casi di contrazione o sospensione dell’attività produttiva di cui all’art. 1», in tal modo ricomprendendo l’ipotesi disciplinata nei commi precedenti tra i casi di cui all’art. 1. Ove si fosse trattata di un’ipotesi terza, rispetto a quelle previste nell’art. 1, il legislatore avrebbe omesso l’aggettivo indefinito «altri». In conclusione, la seconda espressione utilizzata dal legislatore è esplicativa della prima. 6. Le causali di intervento ed i “numeri” della CIGS L’integrazione salariale straordinaria è uno dei tanti istituti lavoristico-previdenziali assoggettati alla tecnica dei “numeri”, e cioè ad una disciplina differenziata in base al numero dei dipendenti, però con una differenza di rilievo rispetto alle normative che impongono obblighi solo ai datori di lavoro che superano una certa soglia numerica79. Ed infatti, nel caso dell’integrazione salariale, la condizione di occupare più di quindici lavoratori come media del semestre antecedente la data di presentazione della richiesta80, introdotta ai fini dell’intervento CIGS81 con l’art. 1, 1° comma, legge n. 223/199182 e valida anche per il licenziamento collettivo per riduzione di personale83, consente l’accesso a facoltà e/o tutele viceversa negate alle aziende che si attestano al di sotto di tale soglia, rappresentando in ultima analisi una sorta di compensazione dei vincoli ad esse imposti, specie se si considera la non casuale coincidenza della soglia numerica84. Meccanismo di compensazione pienamente operante per le imprese industriali, ma solo parzialmente per quelle commerciali, considerato che queste ultime per poter attingere alla rientranti nel rischio di impresa», non determinati, lato sensu, dal comportamento dell’imprenditore (circ. INPS 27 giugno 1975, n. 57684 G.S.). 79 Per una breve rassegna degli istituti “attivabili” solo al superamento della fatidica soglia delle 15 unità lavorative v. G. FERRARO, Le integrazioni salariali, cit., pp. 41-43, che adombra a riguardo sospetti di illegittimità costituzionale. In generale, sull’onere della prova dell’esistenza del requisito occupazionale a carico del datore di lavoro v. A. MANNA, La Cassa Integrazione Guadagni, cit., p. 59. Con specifico riferimento, invece, al rapporto tra soglia dimensionale e CIG v. A. ALLAMPRESE – G. NACCARI, Diritti e ammortizzatori sociali per i lavoratori delle imprese sopra e sotto la soglia dei 15 dipendenti omogeneità e differenze di trattamento, in Riv. giur. lav., 2004, I, pp. 231 ss. 80 Adombra dubbi di legittimità costituzionale su questo limite dimensionale, generalizzato discrimine per la fruizione di una serie di discipline protettive in favore dei lavoratori coinvolti, M. CINELLI, La riforma del mercato del lavoro nella legge n. 223 del 1991 tra razionalizzazione e compromesso, cit., pp. 11-12. 81 Va ricordato che il limite dimensionale calcolato con riferimento alla media di un determinato arco temporale era già previsto dall’art. 13, legge n. 164/1975, ma con riferimento alla determinazione della misura del contributo ordinario e addizionale, sicchè la novità, introdotta con la legge n. 223/1991, riguarda il campo di intervento dell’integrazione salariale straordinaria. Sul meccanismo di misurazione della dimensione aziendale che utilizza il criterio della «media» v. C. DE MARTINO, La Cassazione torna sul requisito dimensionale per l’accesso agli ammortizzatori sociali nel settore commerciale, nota a Cass. 30 dicembre 2009, n. 27764, in Riv. giur. lav., 2010, II, pp. 476 ss., pp. 478 ss. 82 Come evidenzia U. CARABELLI, I licenziamenti per riduzione di personale, cit., p. 342, trattasi di requisito assolutamente nuovo; allo stesso modo G. FERRARO, Le integrazioni salariali, cit., p. 39. Sul punto v. circ. INPS n. 211/1991, cit. 83 V. gli artt. 4 e 24, legge n. 223/1991. Per l’operatività della media anche per le fattispecie disciplinate da queste due norme v. P. CHIECO, I licenziamenti per riduzione di personale nelle procedure concorsuali in Italia, in AA.VV., I licenziamenti per riduzione di personale in Europa, Cacucci, Bari, 2001, pp. 225 ss. 84 Un’eccezione al limite numerico dei sedici addetti è rinvenibile per i lavoratori occupati in imprese che utilizzano ovvero estraggono amianto, nell’art. 13, 1° comma, legge n. 257/1992, a seguito della modifica ad esso apportata dall’art. 4, 20° comma, legge n. 608/1996. 17 CIGS, restando totalmente escluse dalla CIGO, devono superare una soglia numerica molto elevata (più di 200 dipendenti)85 rispetto alle prime (più di 15 dipendenti)86. Un’altra caratteristica delle soglie numeriche in tema di CIGS riguarda, per un verso, i lavoratori computabili87, e per altro verso, il meccanismo di computo dell’organico, considerato che, con riferimento ai primi, quelli esclusi in relazione alle normative vincolistiche sono invece inclusi in relazione al campo di intervento dell’integrazione salariale (si fa riferimento in modo specifico ai lavoratori assunti con contratti formativi)88. Per quanto riguarda, poi, il meccanismo di computo, il legislatore utilizza, in modo esplicito, la media semestrale89, che la giurisprudenza, sia pure in modo non sempre matematico, ha poi esteso alla materia dei licenziamenti individuali, per ovviare a fittizi decrementi in prossimità del recesso90. Peculiare, poi, è la gestione delle richieste presentate prima che siano trascorsi sei mesi dal trasferimento di azienda, visto che tale requisito deve sussistere, per il datore di lavoro subentrante, «nel periodo decorrente alla data del predetto trasferimento»91. Il meccanismo di computo previsto dall’art. 1, 1° comma, legge n. 223/1991, per le imprese del settore industriale, va applicato anche a quelle commerciali, pur in presenza di una diversa formulazione della norma, che ha esteso a queste ultime l’intervento CIGS, e cioè l’art. 12, 3° comma, della stessa legge, dovendosi ritenere implicito il rinvio di quest’ultima disposizione alla prima92. 85 Sull’utilizzabilità della media semestrale anche per le imprese commerciali v. F. DI NUNZIO, Commento all’art. 12, Commento all’art. 12, in M. PERSIANI (a cura di), Commentario alla l. 23 luglio 1991, n. 223, cit., pp. 1011 ss., p. 1014 e di recente Cass. 30 dicembre 2009, n. 27764, cit. 86 V. A. MANNA, La Cassa Integrazione Guadagni, cit., pp. 52 ss. 87 Cfr. Circ. INPS n. 211/1991, cit. In giurisprudenza, sul punto, Cass. 10 maggio 2003, n. 7170, in Mass. giur. lav., 2003, p. 752. 88 Sulla computabilità di questi lavoratori, anche nei settori artigianato e commercio, ai quali è stato esteso l’intervento CIGS, ex art. 12, legge n. 223/1991, v. F. DI NUNZIO, Commento all’art. 12, cit., p. 1014. Originariamente di avviso contrario, con riferimento al commercio, v. circ. INPS n. 211/1991. 89 Circ. INPS n. 211/1991, cit., prevede che nel determinare la media occupazionale bisogna tener conto anche dei periodi di sosta di attività e di sospensioni stagionali nel semestre considerato. Quanto alle aziende di nuova costituzione, il semestre, analogamente ai casi di trasferimento d’azienda, si determinerà in relazione ai mesi di attività, se inferiori al semestre. Successivamente, circ. INPS 7 novembre 1991, n. 256, ha precisato che il computo del limite dimensionale deve essere effettuato con riferimento all’unità produttiva alla quale siano addetti i lavoratori per i quali si richiede l’intervento. Va segnalato che sino al 2010, in forza della diversa formulazione della norma che prevedeva la soglia dimensionale per le imprese commerciali (art. 12, 3° comma, legge n. 223/1991), rispetto a quella che fissava il limite per le imprese industriali (art. 1, 1° comma, legge n. 223/1991), si riteneva da parte dell’INPS non operante per le prime né l’inclusione dei lavoratori assunti con contratto di apprendistato e formazione e lavoro, né il riferimento alla media del semestre precedente la data di presentazione della richiesta di intervento CIGS (in questo senso v. circ. 25 gennaio 1991, n. 19; n. 211/1991, cit.). La differenziazione era stata poi estesa alle imprese commerciali con più di 50 dipendenti, ammesse in via transitoria all’intervento (v. circ. INPS 20 aprile 1993, n. 93). Anche per il sopravvenire della CIG in deroga il Ministero ha ritenuto di superare tale differenziazione, sostenendo che il meccanismo di computo sub art. 1, 1° comma, legge n. 223/119, abbia una valenza generale per tutte le imprese ammesse al trattamento CIGS (nota Min. lav. 19 maggio 2009, prot. n. 8727); tale posizione è stata, come si anticipava, recepita dall’INPS che, a partire dal 2010, utilizza, come criterio di computo, per stabilire l’ammissibilità o meno dell’intervento CIGS, quello enunciato nell’art. 1, 1° comma 1, cit. (circ. INPS 18 febbraio 2010, n. 25). Tale generalizzazione del criterio di computo, ex art. 1, 1° comma legge n. 223/1991, elimina l’effetto distorsivo collegato ad un computo a base mensile ben presente nel settore del commercio dove esistono periodi di lavoro caratterizzati dai c.d. picchi, meno ricorrenti nel settore industriale, che, quindi, alteravano la reale consistenza organica delle aziende commerciali. 90 V. Cass. 3 novembre 1989, n. 4579, in Foro it., 1989, I, c. 3420. 91 V. l’art. 1, 1° comma, legge n. 223/1991. Sulla finalità, contemporaneamente incentivante/disincentivante della disposizione in questione, v. F. LISO, La gestione del mercato del lavoro: un primo commento alla l. n. 223 del 1991, in Lav. inf., 1992, suppl. n. 12, pp. 7 – 8. 92 V. Cass. 30 dicembre 2009, n. 27764, cit. 18 Interessante è il meccanismo di computo dell’organico aziendale in relazione all’intervento di integrazione salariale in favore dei lavoratori appartenenti al settore dell’agricoltura, accordato solo alle imprese che occupino almeno sei lavoratori con contratto a tempo indeterminato (anche in questo caso soglia numerica perfettamente coincidente con quella prevista per l’applicazione della tutela reale)93, ovvero che ne occupino quattro con contratto a tempo indeterminato «e nell’anno precedente abbiano impiegato manodopera agricola per un numero di giornate non inferiore a milleottanta». Il legislatore nella ipotesi dell’intervento dell’integrazione nel settore agricolo ha fatto uso sostanzialmente del criterio comunitario per il computo degli organici, denominato U.L.A. (unità lavoro anno)94, in funzione estensiva del campo di intervento della CIGS, il che non lo rende applicabile tout court alla normativa in tema di licenziamenti individuali, il cui limite di applicabilità va individuato in relazione all’organico standard, depurato cioè di quegli incrementi connessi ad esigenze straordinarie ed eccezionali. Nessuna valenza sistematica hanno i c.d. “numeri fotografia”, cioè quelli utilizzati dal legislatore per accordare l’intervento dell’integrazione salariale a specifiche realtà aziendali95, ovvero l’intervento “senza numeri”, accordato a prescindere dal livello occupazionale96. I “numeri” vengono, poi, in rilievo ai fini della misura del contributo addizionale97, praticamente raddoppiato oltre una certa soglia numerica98. Anche in relazione a quest’ultimo profilo il legislatore utilizza il criterio «del numero medio di dipendenti in forza nell’anno precedente dichiarato dall’impresa (…)» ivi computandosi «tutti i lavoratori, compresi i lavoratori a domicilio, che prestano la propria opera con vincolo di subordinazione, sia all’interno che all’esterno dell’azienda». Per le aziende di nuova costituzione il riferimento temporale è al primo mese di attività99. La determinazione della misura dei contributi in base al requisito occupazionale diventa problematica nel caso in cui il datore di lavoro eserciti attività plurime, discutendosi se bisogna considerare il numero globale dei dipendenti, a prescindere dai settori di attività nei quali siano occupati, ovvero tenendo distinti gli organici in relazione ad ognuna delle attività, anche se articolata in più cantieri, stabilimenti o filiali, dislocati nella stessa provincia o in province diverse. Può condividersi la soluzione adottata dall’INPS che esclude la sommatoria, in quanto ciò determinerebbe una fittizia alterazione in relazione alle attività ammesse all’intervento dell’integrazione salariale100. 93 Invero il punto di contatto tra i “numeri” della CIGS e quelli relativi alla disciplina del licenziamento è stato evidenziato da M. PAPALEONI, Introduzione, in M. PAPALEONI– M. MARIANI– R. DEL PUNTA (a cura di), La nuova Cassa Integrazioni Guadagni e la mobilità, Cedam, Padova, 1993, pp. 3 ss., p. 21 ss., pur se i “numeri” non sono perfettamente sovrapposti e sovrapponibili, col rischio, quindi, di avere lavoratori che possono aver accesso al sostegno del reddito, ma non alla tutela reale. 94 Attinge sostanzialmente al criterio comunitario, pur senza farvi esplicitamente riferimento, A. MANNA, La Cassa Integrazione Guadagni, cit., p. 62. Adesivamente G. FERRARO, Le integrazioni salariali, cit., p. 40; contra M. PAPALEONI, La cassa integrazioni guadagni, in M. PAPALEONI– M. MARIANI– R. DEL PUNTA (a cura di), La nuova Cassa Integrazioni Guadagni e la mobilità, Cedam, Padova, 1993, p. 84, nota 60. 95 Si richiama, ad esempio, l’art. 8, 5° comma, d.l. n. 148/1993, modificato in sede di conversione dalla legge n. 236/1993. 96 V. per il settore editoria e per i giornali periodici, radiotelevisioni private ed aziende funzionalmente collegate, gli artt. 35-37, legge n. 416/1981, nonché circ. Min. lav. n. 33/1994. 97 V. l’art. 13, legge n. 164/1975. 98 V. l’art. 12, 2° comma, legge n. 164/1975, che prevede un contributo addizionale pari al 4% per cento a carico delle imprese fino a cinquanta dipendenti, e all’8% per quelle oltre i cinquanta dipendenti; tali misure sono state rispettivamente ridotte al 3% e al 4,5% dall’art. 8, 1° comma, legge n. 160/1988. 99 V. l’art. 13, legge n. 164/1975. 100 A riguardo v. circ. INPS 28 ottobre 1988, n. 218, in Dir. e prat. lav., 1988, p. 3319; n. 211/1991, cit., p. 2233; 15 febbraio 1995, n. 44, in Dir. e prat. lav., 1995, p. 846. 19 A differenza della stabilità, quanto a causali di intervento, che caratterizza gli eventi integrabili con la CIGO, l’intervento straordinario è caratterizzato da un progressivo arricchimento delle causali, potendosene allo stato individuare ben sette, sintomo della necessità avvertita dal legislatore di adattare questo ammortizzatore alle situazioni che caratterizzano un mutevole mercato del lavoro. Le prime due sono state individuate all’atto dell’istituzione dell’intervento CIGS, con l’art. 2, legge n. 1115/1968, ivi prevedendosi le ipotesi di sospensione determinata da «crisi economiche settoriali o locali delle attività industriali», nonchè di «ristrutturazione e riorganizzazione aziendale»101. La terza causale, introdotta con l’art. 1, legge n. 464/1972, è quella della «conversione aziendale». Questa terza causale viene accorpata a quella relativa a ristrutturazioni e riorganizzazioni dall’art. 1, n. 2, lett. b), legge n. 164/1975, che d’ora innanzi costituiscono, quanto a disciplina, una causale unica. Nel 1988 viene eliminata l’altra causale, introdotta nel 1968, e cioè quella delle crisi economiche settoriali o locali delle attività industriali102. Tra le pieghe delle disposizioni emanate con la legge n. 675/1977 emerge la seconda causale (ovviamente, già espungendo dal novero delle causali, quella abrogata nel 1988), prevedendosi all’art. 21 che il trattamento straordinario va assicurato anche nei casi previsti dal precedente art. 2, 5° comma, lett. c), e cioè per specifici casi di crisi aziendale che presentino particolare rilevanza sociale in relazione alla situazione occupazionale locale ed alla situazione produttiva del settore103. Tra i casi di non ricorrenza di quest’ultima causale v’era quello della cessazione dell’attività produttiva; sennonché si è ritenuta non operante l’esclusione ove le imprese avessero presentato piani di gestione dei lavoratori in esubero, finalizzati a ridurre il ricorso alla mobilità, configurandosi una fattispecie autonoma rispetto a quella della crisi aziendale di particolare rilevanza sociale. Dopo un’iniziale disciplina affidata alla decretazione ministeriale104, la causale è stata giuridificata a partire dall’ottobre 2004 con l’art. 1, legge n. 291/2004, che ha confermato con norma primaria la separazione105 di questa causale da quella della crisi aziendale106. La quarta ipotesi, per le imprese assoggettate a procedure concorsuali, e cioè fallimento, liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo consistente nella cessione dei 101 Secondo G. FERRARO, Le integrazioni salariali, cit., p. 18, si tratta di formule generiche ed in buona parte fungibili; adesivamente A. MANNA, La Cassa Integrazione Guadagni, cit., p. 37, che evidenzia come spesso le causali concorrano tra di loro, combinandosi. 102 L’ipotesi è venuta meno in quanto l'art. 8, 2° comma, legge n. 160/1988 ha abrogato l’art. 1, n. 2, lett. a), legge n. 164/1975. 103 V. gli artt. 2, 5° comma, legge n. 675/1977 e 1, 5° e 6° comma, legge n. 223/1991; sulla «nebulosità» del concetto di «crisi aziendale» v. A. MANNA, La Cassa Integrazione Guadagni, cit., p. 36. A riguardo M. CINELLI, voce Retribuzione dei dipendenti privati, cit., p. 680, ritiene che questa ipotesi di intervento CIGS segni una «frattura» rispetto alla evoluzione complessiva dell’istituto, poiché per la prima volta l’erogazione della misura è legittimata da un evento che non presuppone il risanamento e la ripresa dell’attività produttiva. Adesivamente, M. MAGNANI, Imprese in crisi nel diritto del lavoro, in Dig. it. – sez. comm., vol. VII, Utet, Torino, 1992, pp. 236 ss., p. 238, secondo la quale con questa disposizione fa ingresso nell’ordinamento il trattamento di integrazione salariale sine die. Per ulteriori riflessioni su questa ipotesi di CIG e più in generale sulla legge n. 675/1977 v. L. MARIUCCI, I licenziamenti «impossibili»: crisi aziendale e mobilità del lavoro, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1979, pp. 1392 ss. 104 V. d.m. 18 dicembre 2002, n. 31826. 105 Nota Min. lav. 19 maggio 2008, n. 6416, in Guida al lavoro, 2008, n. 22, p. 49, parla di “tertium genus”. 106 Sul punto v. anche il d.m. 15 dicembre 2004, n. 35302, che modifica opportunamente il d.m. 18 dicembre 2002, n. 31826; la circ. Min. lav. 28 ottobre 2004, n. 42, in Guida al lavoro, 2004, n. 44, 43, nonché la nota Min. lav. 19 maggio 2008, n. 6416, cit. 20 beni, ed infine sottoposizione all’amministrazione straordinaria, è stata introdotta dall’art. 3, legge n. 223/1991, con abrogazione dell’art. 2, legge n. 301/1979107. Da questa quarta causale è possibile scorporare l’ipotesi dell’assoggettamento all’amministrazione straordinaria, che si può considerare la quinta causale, in quanto l’art. 7, comma 10-ter, legge n. 236/1993, ha previsto che la durata dell’intervento della CIGS è equiparata al termine previsto per l’attività del commissario. Una sesta causale è stata introdotta con l’art. 2, legge 7 marzo 1996, n. 109, che ha aggiunto nell’art. 3, della legge n. 223/1991, il comma 5-bis, prevedendo l’estensione dell’intervento CIGS per le imprese assoggettate a procedure concorsuali alle aziende sottoposte a sequestro o confisca ai sensi della legislazione antimafia (legge n. 575/1965). In questo caso si applica anche l’intervento per l’edilizia ex art. 10, 1° comma legge n. 223/1991. Giova, comunque, precisare che il sequestro de quo è fattispecie specifica e distinta dagli altri provvedimenti di sequestro pur adottabili dall’autorità Giudiziaria108. La settima ed ultima causale è quella collegata alla stipulazione di un contratto di solidarietà difensivo, ex art. 1, d.l. 30 ottobre 1984, n. 726, conv. in legge 18 dicembre 1984, n. 863. 7. Anticipazione del trattamento vs. pagamento diretto Una interessante problematica, sulla quale si è soffermata specie in passato la giurisprudenza, è quella relativa all’anticipazione della integrazione salariale, indifferentemente per CIGO e CIGS, per la quale il legislatore ha dettato la scarna disposizione contenuta nell’art. 12, d.lgs.lgt. n. 788/1945. Ivi si prevede che il datore di lavoro deve effettuare il pagamento della integrazione agli aventi diritto alla fine di ogni periodo di paga (1° comma)109, recuperando poi quanto pagato, secondo le norme per il conguaglio tra contributi dovuti e prestazioni corrisposte (2° comma)110. Ovviamente, il riferimento operato dal legislatore alla «integrazione» presuppone che sia stato adottato da parte del soggetto competente il provvedimento di ammissione, sicchè si è posto un primo quesito con riferimento al periodo che va dall’inizio della sospensione sino all’adozione di tale provvedimento, che, giova subito anticipare, ha natura costitutiva del diritto dei lavoratori all’integrazione salariale e previdenziale e retroagisce fino al momento della sospensione del lavoro, ove il datore di lavoro abbia rispettato il termine di inoltro della domanda di ammissione111. 107 A riguardo v. G. CIMINO, Tutela previdenziale del lavoratore licenziato in caso di fallimento: cassa integrazione guadagni straordinaria e pensionamento anticipato, nota a Cass., sez. lav., 12 luglio 1991, n. 7752, in Giust. Civ., 1992, I, cc. 100 ss. 108 V. M. MISCIONE, Cause di intervento, in ID. (a cura di), Il rapporto di lavoro subordinato: garanzie del reddito, estinzione e tutela dei diritti, pp. 45 ss., p. 51, ed ivi riferimenti giurisprudenziali. 109 Cfr. Cass., sez. lav., 10 aprile 2000, n. 4531, in Mass. Giust. civ., 2000, p. 771, che ritiene ammissibile in sede di gravame la richiesta di interessi e rivalutazione sulle anticipazioni del trattamento di CIGS dovute dal datore di lavoro, dopo che in primo grado sia stato fatto valere l'obbligo di quest'ultimo di corrispondere le retribuzioni ordinarie. Infatti l'obbligo del datore di lavoro consiste, fin dall'inizio, nel pagare tempestivamente alla scadenza o la retribuzione o l'anticipazione del trattamento di cassa integrazione, sicché l'evento che muta il titolo dell'obbligazione non incide sulla sua derivazione dal rapporto di lavoro e sull'essenza retributiva in senso lato (o funzionale), lasciando inalterata la “causa petendi”, poiché il fatto costitutivo resta identico e si è in presenza di un'ipotesi sostanzialmente equivalente alla diversa qualificazione giuridica del rapporto controverso operata dalle parti o dal giudice. 110 A. MANNA, La cassa integrazione guadagni, cit., p. 170. 111 In effetti Trib. Siena 27 ottobre 1999, in Riv. critica dir. lav., 2000, p. 158, addossa al datore di lavoro che abbia provveduto unilateralmente alla sospensione dei lavoratori il rischio dell'operazione, permanendo, nelle more del procedimento amministrativo, il suo obbligo alla erogazione della retribuzione in favore dei lavoratori sospesi. Nel caso in cui intervenga il provvedimento ammissivo, detta retribuzione assume retroattivamente la natura di anticipazione di trattamento previdenziale. 21 In tal periodo non sussiste, quindi, l’obbligo del datore di anticipare il trattamento di integrazione, ponendosi, quindi, l’interrogativo se, quanto e a che titolo, il datore debba corrispondere ai lavoratori sospesi, in attesa dell’emanazione del provvedimento di autorizzazione. Secondo il consolidato orientamento del Supremo Collegio, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere quanto meno una somma equivalente all’integrazione salariale, la cui giuridica qualificazione è consentita solo all’esito del procedimento di ammissione, fino al quale momento costituisce una percentuale (non necessariamente l’80 per cento) della retribuzione, al cui pagamento il datore di lavoro continua ad essere interamente obbligato in base alla disciplina generale delle obbligazioni e dei contratti con prestazioni corrispettive112. Ove intervenga il provvedimento di ammissione, la somma erogata costituirà anticipazione dell’integrazione; viceversa costituirà un acconto sulla retribuzione dovuta, ovvero un risarcimento in favore del lavoratore, ove la mancata concessione dell’integrazione sia imputabile ad un comportamento negligente ovvero omissivo posto in essere dal datore di lavoro113. Invero, tale orientamento contrasta con la qualificazione della sospensione disposta dal datore di lavoro all’esito della procedura che precede la presentazione della domanda di intervento CIG, individuandosi in tale ipotesi una fase di quiescenza del rapporto regolata dalla normativa speciale in tema di CIG, che viene meno solo ove quest’ultima venga negata. La conferma di tale tesi proviene dalla prassi assolutamente invalsa che lega l’anticipazione anche in tale periodo all’eventuale accordo con le organizzazioni sindacali, raggiunto in sede di procedura di consultazione, non essendo affatto rara l’ipotesi che in questa sede venga esclusa qualunque erogazione, ovvero previsto il pagamento di una somma inferiore all’integrazione, in alcuni casi imputato ad anticipo sul TFR. Tale soluzione trova un’ulteriore conferma nell’ipotesi di pagamento diretto, che viene ammesso a condizione che il datore di lavoro adduca e comprovi una grave situazione di illiquidità e/o di dissesto finanziario, per cui non v’è neanche l’obbligo di anticipazione una volta adottato il provvedimento di ammissione. Orbene, se fosse fondata la tesi sostenuta dalla Cassazione, il datore di lavoro che non sia in condizione di anticipare l’integrazione sarebbe invece paradossalmente obbligato a corrispondere ai dipendenti sospesi quanto meno l’80 per cento della retribuzione fintanto che intervenga il provvedimento di ammissione, perché opererebbero in questa fase i principi generali in tema di contratti a prestazioni corrispettive. Del resto non è casuale che non è dato reperire una giurisprudenza che si sia occupata, in applicazione del principio di diritto enunciato dal Supremo Collegio, degli obblighi del datore di lavoro nella fase antecedente al provvedimento di ammissione o in caso di rigetto della domanda di CIG. Una volta intervenuto il provvedimento di ammissione, scatta l’obbligo per il datore di lavoro di anticipare il trattamento di integrazione salariale, secondo la statuizione contenuta 112 V. Cass. 10 ottobre 1994, n. 8275, in Dir. e prat. lav., 1995, p. 529; Cass., sez. lav., 13 novembre 2000, n. 14670, in Mass. Giust. civ., 2000, p. 2305; Cass., sez. lav., 16 giugno 2003, n. 9635, in Mass. Giust. civ., 2003, fasc. 6; Trib. Grosseto 19 febbraio 2004, in Lav. giur., 2004, p. 707. 113 Cfr. Cass., sez. lav., 13 novembre 2000, n. 14670, cit. Giova, però, sul punto richiamare anche quella giurisprudenza, che ha analizzato i rapporti tra lavoratori, datore e INPS, secondo cui, ove all’intervento CIG con trattamento erogato dall'INPS, succeda un provvedimento giudiziale di ripristino ab initio del rapporto di lavoro, con conseguente diritto dei lavoratori alla retribuzione, l'ente previdenziale sarebbe l'unico soggetto legittimato ad agire nei confronti dei medesimi per la ripetizione delle somme che risultano indebitamente erogate (essendo venuto meno il titolo giuridico del pagamento); a tale controversia resta pertanto estraneo il datore di lavoro, il cui obbligo di anticipazione dell'integrazione concerne esclusivamente il rapporto interno con l'Istituto (cfr. Cass., sez. III, 10 febbraio 2003, n. 1932, in Mass. Giust. civ., 2003, p. 286). 22 nell’art. 12, cit., originariamente circoscritta all’intervento ordinario, ma successivamente operante anche per quello straordinario. Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte114, quest’ultima disposizione non stabilisce un rapporto diretto tra il datore di lavoro ed i lavoratori posti in CIG, in quanto il mandato ex lege scaturente dalla citata normativa esaurisce i propri effetti nel rapporto tra datore di lavoro e INPS; ed infatti, operando una ipotesi di delegazione di pagamento, ex art. 1269 c.c.115, va escluso che il soggetto delegato sia obbligato ad effettuare il pagamento anche nei confronti del terzo creditore (il lavoratore). Peraltro, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 7, 1° e 2° comma, d.lgs. c.p.s. 12 agosto 1947 n. 869 e dell’art. 7, legge n. 164/1975, il provvedimento amministrativo che dispone l’ammissione alla CIG ha natura costitutiva del diritto dei lavoratori all’integrazione salariale previdenziale e retroagisce fino al momento della sospensione del lavoro, ove il datore di lavoro ottemperi al dovere di inoltrare la domanda di ammissione entro 25 giorni dalla fine del periodo di paga in corso al termine della settimana in cui ha avuto inizio la sospensione o la riduzione del lavoro. Ciò significa che il provvedimento amministrativo di ammissione alla CIG, conforme alla domanda, costitutivo del diritto dei lavoratori all’integrazione salariale previdenziale, fonda, dalla sua emanazione, l'obbligo dell'ente previdenziale alla erogazione della prestazione, obbligo, che per legge, senza nessuna discrezionalità, retroagisce naturalmente fino al momento della sospensione di fatto del lavoro e determina simmetricamente l'obbligo del datore di lavoro di pagare, quale delegato ex lege dell'I.N.P.S. (art. 12 cit.), le anticipazioni salariali fin dalla data della sospensione. L'inadempimento di tale obbligo esporrà, quindi, il datore di lavoro a rispondere di tutte le conseguenze dannose derivanti dall'inadempimento stesso - per violazione del mandato ad anticipare le integrazioni salariali - nei confronti dell'I.N.P.S., responsabile diretto della prestazione previdenziale verso i lavoratori116. Ulteriore conseguenza di tale impostazione è che in caso di mancato pagamento delle anticipazioni da parte del datore di lavoro, i lavoratori debbono agire nei confronti dell’INPS e non anche del primo, in quanto comunque obbligato al pagamento dell’integrazione resta l’ente previdenziale117. Come già detto, la somma anticipata ai lavoratori è rimborsata dall’INPS all'impresa, attingendo al modello del conguaglio fra contributi dovuti e prestazioni corrisposte, ferma restando la non rimborsabilità delle integrazioni salariali ordinarie, la cui richiesta di rimborso sia stata presentata trascorsi sei mesi118 dalla fine del periodo di paga in corso alla 114 V. Cass. 28 aprile 1983, n. 2938, in Giust. civ., 1983, I, c. 2649; Cass. 28 aprile 1983, n. 2940, in Mass. Giust. civ., 1983, fasc. 4; Cass. 30 agosto 1983, n. 5508, ivi, fasc. 8; Cass. 16 maggio 1984, n. 3005, in Foro it., 1984, I, c. 2790; Cass. 27 marzo 1986, n. 2193, in Mass. Giust. civ., 1983, fasc. 3; Cass. 23 giugno 1986, n. 4176, ivi, 1986, fasc, 6; Cass. 3 novembre 1987, n. 8083, ivi, 1987, fasc. 11; Cass. 17 settembre 1988, n. 5179, ivi, 1988, fasc. 2. 115 Così S. NAPPI, Sulla prescrizione della domanda di erogazione del trattamento di cassa integrazione guadagni ordinaria, nota a Cass. 11 dicembre 2002, n. 17675, in Riv. it. dir. lav., 2003, II, pp. 571 ss., p. 572. In dottrina identificava il datore quale mandatario ex lege con riferimento al pagamento dell’integrazione per conto dell’INPS già E. GHERA, L’integrazione dei guadagni degli operai dell’industria e la sospensione del rapporto di lavoro, cit., p. 277; v. anche M. CINELLI, Diritto della previdenza sociale, Giappichelli, Torino, 2007, pp. 307 ss. 116 V. Cass. 18 febbraio 1992, n. 1958, in Informazione previd., 1992, p. 445. 117 Così Cass. 18 aprile 2002, n. 5608, in Mass. giur. lav., 2002, p. 605. Per l’irrilevanza della domanda giudiziale proposta nei confronti del datore di lavoro ai fini interruttivi della prescrizione della pretesa nei confronti dell’INPS, titolare del rapporto previdenziale, e quindi unico soggetto obbligato al pagamento dell’integrazione salariale, v. Cass. 11 dicembre 2002, n. 17675, cit. 118 Cfr. l’art. 16, legge n. 164/1975, che ha elevato a sei il termine di tre mesi fissato dall’art. 9, d.lgs.c.p.s. n. 869/1947. V. circ. INPS 25 maggio 2001, n. 116, in Guida al lavoro, 2001, n. 22, p. 9. In giurisprudenza cfr. 23 scadenza del termine di durata della concessione119. Tale termine di decadenza non è operante quando l’autorizzazione a corrispondere l’integrazione è stata notificata al datore in data successiva alla scadenza dell’intervento, applicandosi in tale ipotesi i principi generali sulla prescrizione120. Per la CIGS non è reperibile una norma decadenziale analoga, ritenendosi, pertanto, operante solo il termine prescrizionale121. Il meccanismo del conguaglio tra integrazione salariale autorizzata e già anticipata e contribuzione dovuta, non azzera il diritto del datore di lavoro di ottenere gli interessi sulle somme anticipate in caso di conguaglio oltre il termine di legge122. A tal fine nel 2001 sono state fissate le modalità di presentazione delle relative denunce a credito dei datori di lavoro, ma non anche i termini, entro cui l'azienda procede alle operazioni di conguaglio del trattamento straordinario di integrazione salariale123. Eccezion fatta per l’integrazione salariale in agricoltura124, il pagamento diretto della prestazione ai lavoratori da parte dell’INPS125, senza passare per il tramite del datore di lavoro, costituisce una ipotesi eccezionale, peraltro circoscritta sino a poco tempo fa alla CIGS126, operando solo per le situazione di insolvenza dei datori di lavoro giuridicamente Cass., sez. lav., 30 aprile 2010, n. 10512, in Guida al diritto, 2010, n. 24, p. 76, secondo cui ove il datore di lavoro abbia anticipato ai lavoratori somme di importo superiore a quelle che è possibile conguagliare con i contributi dovuti all'INPS nel periodo di riferimento ai sensi dell'art. 12 d.lgs.lgt. n. 788/1945, è tenuto a effettuare la richiesta di rimborso delle integrazioni corrisposte ai lavoratori (nell'ammontare eccedente la parte conguagliata con i contributi) nel termine decadenziale di sei mesi dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del termine di durata della concessione. La decadenza, poi, non è impedita dall'invio del modello Dm/10 nel quale venga indicato, non già l'importo complessivo delle somme anticipate, ma solo quello dei contributi da conguagliare, anche se il suddetto Dm/10 contenga un esplicito riferimento ai provvedimenti autorizzatori dell'intervento della cassa integrazione ordinaria in base ai quali sono state effettuate le anticipazioni salariali. Sulla ripetibilità delle somme eccedenti i limiti massimi di legge, anticipate dal datore di lavoro, qualificabili come indebito oggettivo, v. Trib. Cuneo 2 maggio 2008, in Giur. piemontese, 2008, p. 218. 119 Invero, più correttamente, l’art. 9, d.lgs.c.p.s. n. 869/1947, prevede l’inammissibilità della richiesta di rimborso delle integrazioni corrisposte ai lavoratori trascorsi sei mesi dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del termine di durata della concessione. 120 Sul punto v. circ. INPS 1° ottobre 2002, n. 155, in Guida al lavoro, 2002, n. 40, p. 22, che, modificando quanto in passato affermato da circ. INPS 23 ottobre 1992, n. 246, ritiene inoperante il termine decadenziale quando l’autorizzazione a corrispondere l’integrazione CIGO è stata notificata al datore in data successiva al termine della durata della concessione, applicandosi in tale ipotesi i principi generali sulla prescrizione. Per un commento operativo v. L. VANNONI, Cassa integrazione guadagni: limiti all’accesso e richiesta di rimborso, in Guida al lavoro, 2002, n. 40, p. 18. 121 Così Cass. 2 aprile 1999, n. 3175, cit.; Cass., sez. lav., 26 aprile 1999, n. 4189, in Orient. giur. lav., 1999, p. 533; Cass. 20 marzo 2001, n. 3964, ivi, 2002, p. 103. In dottrina v. C.M. CAMMALLERI, Rimborso di anticipazioni cigs: decadenza o prescrizione?, cit., p. 778. 122 V. l’art. 1, 5° comma, d.l. n. 663/1979, conv. in legge 29 febbraio 1980, n. 33. Sul diritto del datore di lavoro ad ottenere gli interessi si è pronunciato Trib. Taranto 14 novembre 2005, in Mass. giur. lav., 2006, pp. 598 ss., con nota di L. SURDI, Decorrenza dei termini ex art. 1, co. 5, d.l. n. 663/1979 e cassa integrazione guadagni straordinaria: l’inversione dell’onere della prova. 123 V. la delibera CdA INPS 10 aprile 2001, emanata ai sensi dell’art. 12, d.p.r. n. 218/2000; v. anche circ. INPS 24 maggio 2001, n. 116. 124 V. l’art. 14, legge n. 457/1972. 125 Circ. INPS 22 aprile 2009, n. 61, in materia di trattamenti di sostegno al reddito, ha escluso la possibilità di effettuare i pagamenti mediante assegni circolari, imponendo l’accredito sul conto corrente o sul libretto, bancario o postale, ovvero tramite bonifici domiciliati presso uffici postali; ovviamente, tale prassi opera anche in relazione al pagamento diretto della CIGS. 126 Cfr. l’art. 2, 6° comma, legge n. 223/1991. In dottrina v. M. CINELLI, Diritto della previdenza sociale, Giappichelli, Torino, 2007, p. 308. 24 rilevanti, e cioè, in caso di sottoposizione a procedure concorsuali, cessazione, ed infine comprovata crisi finanziaria127. In effetti, l’art. 2, 6° comma, legge n. 223/1991, ha previsto la facoltà del Ministero del lavoro di disporre il pagamento diretto ai lavoratori128, da parte dell'INPS, del trattamento straordinario di integrazione salariale, con il connesso assegno per il nucleo familiare, ove spettante, quando per l'impresa ricorrano comprovate difficoltà di ordine finanziario accertate dalla Direzione Regionale del lavoro129. Restano fermi gli obblighi del datore di lavoro in ordine alle comunicazioni prescritte nei confronti dell'INPS130. Il pagamento diretto ai lavoratori è disposto contestualmente all'autorizzazione del trattamento di integrazione salariale straordinaria, fatta salva la successiva revoca nel caso in cui il servizio competente accerti l'assenza di difficoltà di ordine finanziario dell'impresa131. Il pagamento diretto è stato poi esteso dalla legge n. 223/1991 (art. 10, comma 2-bis) alle aziende del settore edile, che facciano richiesta di proroga. Tale eccezionale modalità di corresponsione dell’integrazione salariale, è stata ulteriormente estesa, con il pacchetto anticrisi, innanzi tutto agli ammortizzatori in deroga (art. 7-ter, 2° comma, d.l. n. 5/2009, conv. in legge n. 33/2009), per le sospensioni successive alla data del 1° aprile 2009132, prevedendosi addirittura un pagamento diretto ancor prima dell’emanazione del provvedimento di autorizzazione133. 127 V. msg. INPS 19 novembre 2009, n. 26622, che integra msg. INPS 7 ottobre 2005, n. 33735 (in Guida al lavoro, 2005, n. 42, pp. 16 ss.), col quale l’Istituto aveva precisato che il pagamento diretto dell’integrazione salariale è autorizzato in caso di procedure concorsuali (fallimento ecc.); cessazione dell’attività; comprovata crisi finanziaria. 128 P. LAMBERTUCCI, Commento all’art. 2, in M. PERSIANI (a cura di), Commentario alla l. 23 luglio 1991, n. 223, cit., pp. 898 ss., p. 901, segnala l’esistenza di una prassi amministrativa, che, nonostante la norma abbastanza restrittiva della legge n. 223/1991, ha «largheggiato» con la concessione dei pagamenti diretti. Il pagamento diretto, quanto meno per la CIGS, poi, come ricorda M. MISCIONE, Cassa integrazione e tutela della disoccupazione, cit., p. 99, era già previsto dall’art. 5, 1° comma, legge n. 215/1978; disposizione, questa, che nel testo del decreto legge, prima della sua conversione, stabiliva invece la “regola” del pagamento diretto per tutte le integrazioni salariali. 129 G. FERRARO, Le integrazioni salariali, cit., p. 34, evidenzia l’importanza delle sole difficoltà di ordine finanziario per l’anticipazione, essendo irrilevanti difficoltà produttive, che potrebbero essere anche preclusive dell’intervento di sostegno al reddito. 130 In materia di contributi associativi, l’art. 18, 3° comma, legge n. 223/1991, ha previsto che nei casi di pagamento diretto dei trattamenti di integrazione salariale, il datore di lavoro è tenuto a dare comunicazione all'INPS dell'avvenuto rilascio della delega secondo le modalità previste dalla legge, a conservare tale delega ai fini di eventuali verifiche ed a fornire ogni altro elemento che dovesse rendersi necessario per l'effettuazione del pagamento; sul punto v. le circ. INPS 12 gennaio 2007, n. 11, 29 gennaio 2007, n. 27, e 12 febbraio 2007, n. 38. 131 Cass. 15 marzo 1993, n. 3074, in Dir. e prat. lav., 1993, p. 1349, ha sancito che il credito avente ad oggetto l’integrazione salariale, pur avendo natura previdenziale, è suscettibile di rivalutazione monetaria ex art. 442 c.p.c. nel testo risultante a seguito di Corte cost. n. 156/1991. 132 Circ. INPS 26 maggio 2009, n. 75; v. anche L. VICHI, CIG in deroga: per la richiesta di pagamento diretto solo un termine ordinatorio, in Guida al lavoro, 2010, n. 35, p. 15 133 V. circ. INPS n. 75/2009, cit. Inoltre, con msg INPS 19 novembre 2009, n. 26622, l’Istituto ha precisato che, come stabilito nelle convenzioni sottoscritte con le Regioni (art. 3 del modello standard di convenzione), l'Istituto effettua l'anticipazione dei trattamenti di CIG in deroga per un periodo massimo di 4 (quattro) mesi dall'inizio della sospensione/riduzione dell'attività lavorativa, imputando, provvisoriamente, l'intero trattamento ed i contributi figurativi sul fondo nazionale. Decorsi 4 mesi, senza che sia pervenuto alcun provvedimento autorizzatorio della Regione, o in caso di reiezione, l'INPS, dandone comunicazione alla Regione, procede al recupero nei confronti dell'azienda delle somme anticipate. A tal proposito si fa presente che possono essere pagate le anticipazioni richieste solo quando l'azienda dimostri di avere presentato, contestualmente, la domanda alla Regione di competenza per ottenere l'autorizzazione alla CIG in deroga. Tale condizione risulta, spesso, ignorata, con la conseguenza che la Regione non riconoscerà mai la spesa 25 Con riferimento, poi, agli ammortizzatori a regime, va segnalata l’estensione del pagamento diretto ai contratti di solidarietà difensiva134, nonché all’intervento ordinario per difficoltà aziendali dovute a carenze di liquidità135. 8. Le procedure di intervento degli ammortizzatori sociali tra verifica sindacale ex ante e giudiziale ex post Per “procedimentalizzazione” della gestione degli esuberi, si intende che, specie a seguito della l. n. 223/1991, ed in particolare degli artt. 4 e 5 della stessa, l'iniziativa imprenditoriale di ridimensionare l'azienda è sottoposta a un controllo non più giurisdizionale a posteriori ma sindacale a priori, con la conseguenza che il rispetto delle regole procedurali previste dalla legge, sempre che la procedura si sia conclusa con un accordo sindacale, impedisce di mettere in discussione la realtà della trasformazione e della riduzione dell'attività, nonché l'impossibilità di un utile impiego dei lavoratori licenziati, restando a questo punto riservato al giudice solo il potere di verificare il corretto rispetto dei criteri di scelta136 e la ricorrenza delle esigenze tecnico-produttive e organizzative che giustificano la scelta di quei lavoratori137. Le prescrizioni procedurali, che mirano appunto ad un controllo di legittimità ed opportunità della procedura, a monte, da parte delle organizzazioni sindacali, sono di stretta cogenza ed interpretate dalla giurisprudenza in maniera abbastanza rigida e formale. Si pensi alle conseguenze, già esaminate, della mancata osservanza degli obblighi di comunicazione preventiva, il cui mancato rispetto sostanziale, e non solo formale, può determinare l'inefficacia dei licenziamenti, nonostante la stipulazione di un accordo sindacale di riduzione del personale che contempli un criterio di scelta dei lavoratori da licenziare138. A tal fine, si segnala che la Cassazione ha censurato l’adozione di “frasi di stile” sui motivi dell'eccedenza per la comunicazione di apertura dell'iter di riduzione del all’INPS e quest’ultima non potrà rivalersi sull'azienda. Pertanto le domande di anticipazioni pagate e non, che non siano state contestualmente inoltrate alle Regioni per le relative autorizzazioni, debbono essere immediatamente trasmesse alle Regioni stesse, e da tale termine decorreranno i quattro mesi di attesa dell'autorizzazione regionale. 134 V. l’art. 7-ter, 1° comma, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33. In tale ipotesi, l'istanza è contemporaneamente presentata, oltre che al competente Ufficio del lavoro, anche al servizio ispezione del lavoro delle direzioni provinciali del lavoro territorialmente competenti in base alla ubicazione delle unità aziendali interessate dall'intervento stesso. 135 Cfr. msg. INPS 15 dicembre 2009, n. 29223. Invero, la possibilità del pagamento diretto della CIGO è alquanto risalente nel tempo, v. circ. INPS 10 agosto 1966, n. 1408 G.S., nonché msg. INPS 30 marzo 1996, n. 18541, in Dir. e prat. lav., 1996, p. 1218, secondo cui nel caso di richiesta di pagamento diretto della CIGO, da un lato, le Commissioni provinciali devono procedere ad un riesame di quei provvedimenti concessori del suddetto trattamento fondato su previsioni di ripresa produttiva rivelatesi poi infondate; dall’altro lato, che il lavoratore richiedente non deve avere prestato attività lavorativa remunerata durante il periodo di integrazione salariale; v. inoltre msg. INPS 7 ottobre 2005, n. 33735. Per una ricostruzione storica delle istruzioni operative emanate dall’INPS a riguardo v. A. FORTE, Cig ordinaria: pagamento diretto da parte dell’Inps, in Guida al lavoro, 2005, n. 42, pp. 14 ss. 136 V. Cass. 12 ottobre 1999, n. 11455, in D&L, 2000, 123, con nota di Muggia, Licenziamenti collettivi: tutto ai sindacati, niente ai giudici. 137 Di conseguenza, Cass. 2 dicembre 2009, n. 25353, in D.L. Riv. critica dir. lav., 2009, 4, 1046, con nota di Bernini, ha consentito la delimitazione dell'ambito di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da porre in mobilità a un solo settore o reparto aziendale, in quanto dipendente dalle ragioni produttive e organizzative tratte dalle indicazioni contenute nella comunicazione di cui all'art. 4, comma 3, l. 23 luglio 1991 n. 223, quando cioè gli esposti motivi dell'esubero, le ragioni per le quali esso non può essere assorbito, conducono coerentemente a limitare la platea dei lavoratori ai quali applicare i criteri di scelta concordati o legali. 138 V. Cass. 2 marzo 2009, n. 5034, in Foro it., 2009, 4, 1011, che ha stabilito che la mancata indicazione nella comunicazione di avvio della procedura di tutti gli elementi previsti dall’art. 4, l. n. 223/1991, determina, insanabilmente, l'inefficacia dei successivi licenziamenti ed il lavoratore è legittimato a far valere l'incompletezza della comunicazione ed il conseguente vizio del licenziamento. 26 personale139; ovvero l’assenza, sempre in tema di procedura di mobilità, del rispetto dell'obbligo datoriale di dare una “puntuale indicazione” delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, non soddisfatto dalla mera trasmissione dell'elenco dei lavoratori licenziati e dalla comunicazione dei criteri di scelta concordati con le organizzazioni sindacali, essendo necessario verificare l'infungibilità della posizione del singolo lavoratore licenziato rispetto a quella degli altri dipendenti interessati dalla procedura di ristrutturazione140; oppure, la mancata specificazione nella comunicazione preventiva delle modalità di attuazione dell’unico criterio di scelta, effettuando una comparazione tra le professionalità dei lavoratori in servizio al fine di chiarire quali di esse possa meglio garantire lo svolgimento delle attività di liquidazione141. Analoga rigida posizione è stata adottata dalla giurisprudenza di legittimità in relazione alla “qualità” dell’esame congiunto, da svolgersi con incontri o consultazioni che si realizzino sotto forma di confronto, scambio di opinioni e dialogo tra rappresentanti dei lavoratori e datore di lavoro su questioni attinenti all’attività di imprese, non surrogabili attraverso meri contatti telefonici tra le parti142. Un altro aspetto interessante, sempre sotto il profilo della procedimentalizzazione, è il nesso tra Cigs e Cigo e tra Cigs e mobilità. Con riferimento al primo aspetto, la recente giurisprudenza amministrativa ha stabilito che l'emanazione di un decreto ministeriale concessivo dell'intervento straordinario va valutato in linea generale come elemento non preclusivo del riconoscimento del quadro previsionale di ripresa dell'attività lavorativa (da valutare ex ante e non ex post)143 ai fini della concessione dell'intervento ordinario, dovendosi valutare, nel caso concreto, se sussistano, all'atto della domanda, fondati presupposti per una effettiva ripresa dell'attività produttiva144. Quanto al nesso tra Cigs e mobilità, sebbene sovente il ricorso alla prima, nella realtà dei fatti, sfoci poi con l’avvio alla seconda del personale che non sia stato interessato dall’eventuale riammissione al lavoro145, la mobilità non è diretta e necessaria 139 In tal senso v. Cass. 30 novembre 2009, n. 25235, in D&G, 2010, che ha ritenuto inefficaci i licenziamenti così intimati. La comunicazione "reticente", infatti, non è conforme a quella dell'art. 4 l. n. 223/91, essendo compromesso l'interesse primario del singolo lavoratore all'individuazione trasparente e verificabile dei dipendenti da licenziare. 140 Cfr. Cass. 16 marzo 2009, n. 6342, in Foro it., 2010, 1, 184. 141 V. Cass. 19 dicembre 2008, n. 29831, in Giust. civ. Mass., 2008, 12, 1814. 142 Così Cass. 4 febbraio 2009, n. 2682, in Diritto & Giustizia, 2009. Tuttavia, il giudice di legittimità ha altresì precisato, che se è dimostrato che gli incontri programmati sono stati fissati, ma rinviati per impedimenti del rappresentante sindacale, non è onere dell’azienda richiederne degli altri se il tutto si è risolto in informali contatti telefonici. 143 Cfr. TAR Basilicata, Potenza, sez. I, 3 agosto 2009, n. 485, in Foro amm. TAR, 2009, 7-8, 2267. Come, poi, a sua volta affermato da TAR Abruzzo, Pescara, sez. I, 20 giugno 2009, n. 440, in Foro amm. TAR, 2009, 6, 1819, ciò implica l'imprescindibile necessità che il provvedimento di diniego delle prestazioni contenga una congrua motivazione, che menzioni gli elementi di fatto presi in considerazione e le ragioni del convincimento in ordine all'improbabile ripresa della attività, senza tener conto, essendo un giudizio prognostico, delle vicende successivamente intervenute. In questo senso, ancor prima, v. Cons. Stato, sez. VI, 23 gennaio 2007 n. 229, in Foro amm. C.d.S., 2007, 174. 144 Così TAR Sicilia – Palermo, sez. II, 23 dicembre 2009, n. 2262, in Red. amm. TAR, 2009, 12. 145 Ovviamente, non sempre l’impresa che ha fatto ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria è in grado di riammettere al lavoro tutti i dipendenti sospesi. In tal caso, può procedere alla messa in mobilità del personale in esubero senza essere vincolata al limite numerico stabilito dall'art. 24 l. n. 223/1991 e cioè quello dei cinque licenziamenti in centoventi giorni per ciascuna unità produttiva. Pertanto, come evidenzia Cass. 8 febbraio 2010, n. 2734, in D&G, 2010, una procedura di Cigs seguita dalla mobilità ben può concludersi con la riassunzione di tutti i dipendenti sospesi tranne cinque, la ricollocazione di quattro e il licenziamento di un dipendente su cinque. 27 conseguenza della Cigs: l’ambito della verifica da effettuare per disporre la collocazione in mobilità può estendersi anche a posizioni lavorative non attinte dal trattamento di integrazione salariale. Conseguentemente, dall’eventuale illegittimità della collocazione del singolo lavoratore in Cassa Integrazione non deriva ipso iure anche l’illegittimità del successivo collocamento in mobilità146. Sotto il profilo della procedimentalizzazione, ciò comporta significative conseguenze: si pensi ad esempio al caso in cui venga avviata una procedura di mobilità, poi sostituita dalla scelta di procedere alla sospensione in Cigs dei dipendenti in esubero. In questo caso, la giurisprudenza ritiene che l'accordo raggiunto nell'ambito della consultazione sindacale conseguente all'avvio di una mobilità, in forza del quale l’esubero strutturale è sostituito da sospensioni con ricorso alla Cigs per un numero di lavoratori superiore a quello previsto per la riduzione di personale, non è sostitutivo delle comunicazioni e dell'esame congiunto, previsti dall’art. 1, comma 7, l. n. 223/1991 (ora art. 2, comma 5, d.p.r. 218/2000) per la definizione dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonché delle modalità della rotazione. Da ciò deriverebbe l’illegittimità delle attuate sospensioni e l’obbligo di reintegrazione in servizio e di pagamento della differenza tra retribuzioni ed integrazioni salariali147. Va segnalato, poi, che la giurisprudenza ha configurato quale condotta antisindacale, la violazione di taluni degli obblighi procedurali imposti dalla l. n. 223/1991: si è ritenuto, ad esempio, sanzionabile ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 28 Stat. Lav. la condotta del datore di lavoro che, senza preventiva consultazione delle OO.SS., disponga l'anticipato rientro in servizio solo di alcuni dei lavoratori precedentemente sospesi in Cigs148, o la mancata comunicazione dei criteri di scelta149. Ciò perché, come si è più volte rimarcato, il tema degli ammortizzatori sociali involge una pluralità di interessi, generali, collettivi e individuali: sicché impedire al sindacato di svolgere l’importante ruolo assegnatogli dalla legge 223/1991 significa non soltanto elidere una garanzia a tutela degli interessi dei singoli lavoratori – data dall’intervento nella procedura di chi ne rappresenta le istanze – ma anche, ledere il ruolo e l’immagine del sindacato stesso150. 9. I contratti di solidarietà difensiva Qualche riflessione meritano gli orientamenti in materia di contratti di solidarietà difensiva, facendo riferimento ad entrambe le tipologie, e cioè sia a quelli con intervento Cigs, previsti dall’art. 1, l. n. 863/1984, che a quelli disciplinati dall’art. 5, comma 5, della l. n. 236/1993, rivolti unicamente alle imprese artigiane e non, che non rientrino nel campo di applicazione della Cigs151. 146 Cass. 18 dicembre 2001, n. 15993, in Giust. Civ. Mass., 2001, 2179. Trib. Milano 5 marzo 2002, in L.G., 2002, 1209. 148 Trib. Milano 3 aprile 2007, in D&L, 2007, 702. 149 Trib. Milano 22 luglio 2004, in O.G.L., 2004, 706; idem Trib. Milano 26 luglio 2003, ibidem, 2003, 638; Trib. Milano 13 febbraio 2003, in D&L, 2003, 302. 150 Trib. Milano (decr.) 10 febbraio 2009, in DRI, 2009, 421 ss., con nota di Malandrini, Vincolatività degli impegni aziendali nel ricorso alla Cassa integrazione ordinaria e condotta antisindacale; Trib. Milano 23 gennaio 2006, in D&L, 2006, 425. Per contro, Trib. Bergamo 19 febbraio 2009 (in L.G., 2009, 604 ss., con commento di Minervini) ha escluso che la collocazione in Cigs di un dirigente sindacale configuri una lesione dei diritti del sindacato in assenza di indicazione da parte di quest’ultimo di criteri di rotazione più consoni. 151 Piace ricordare che uno dei primi commenti all’art. 1, l. n. 863/1984 è di Curzio, I contratti di solidarietà, in Garofalo M.G. (a cura di), Crisi, occupazione, legge (commento alla l. n. 863/1984), Bari, Cacucci, 1985, 19 ss.; viceversa, l’ultimo contributo sistematico è di Miscione, I contratti di solidarietà, in Idem (a cura di), Il rapporto di lavoro subordinato: garanzie del reddito, estinzione e tutela dei diritti, in Carinci F. (diretto da), Diritto del lavoro. Commentario, Torino Utet, 2007, vol. III, 159 ss. 147 28 I contratti di solidarietà difensiva, in generale, mirano ad evitare il licenziamento di lavoratori in esubero, mediante la riduzione dell’orario di lavoro, concordata con le OO. SS., per un certo numero di lavoratori e lavoratrici. La stipulazione del contratto del primo tipo comporta, per i lavoratori, la concessione del trattamento di integrazione salariale per compensare la parte di retribuzione persa a seguito della riduzione dell'orario di lavoro, mentre, a favore dei datori di lavoro è prevista una riduzione dei contributi previdenziali ed assistenziali. Viceversa, per i contratti del secondo tipo, in assenza di intervento Cigs, la legge prevede in favore dei lavoratori e a carico del Fondo per l’occupazione (comma 5), ovvero dei Fondi bilaterali, nel caso di imprese artigiane (comma 8), un contributo pari ad un quarto del monte retributivo non dovuto a seguito della riduzione di orario; solo alle imprese non artigiane spetta identico contributo. Il contratto disciplinato dall’art. 1 l. n. 863/1984 può essere stipulato per un periodo non superiore a 24 mesi, prorogabile per ulteriori 24 mesi, elevati a 36 nelle aree del Mezzogiorno (d.p.r. 6 marzo 1978, n. 218 e successive modificazioni)152. A seguito dell’emanazione del d.m. 10 luglio 2009, n. 46448, di semplificazione delle modalità di accesso alla Cigs per solidarietà, a decorrere dal 3 agosto 2009, la riduzione dell’orario non può superare il 60% dell'orario settimanale dei lavoratori coinvolti. Tale riduzione può essere stabilita come riduzione dell'orario giornaliero, settimanale o mensile. Come si è detto, tale tipologia di contratto collettivo aziendale si applica a tutte le imprese che rientrino nel campo di applicazione della normativa Cigs, con le seguenti specificazioni: le imprese devono avere più di 15 dipendenti nel semestre precedente la presentazione della domanda (compresi i contratti formativi); tale limite dimensionale non trova applicazione nel caso di imprese editrici di giornali quotidiani, agenzie di stampa a diffusione nazionale, nonché editrici e/o stampatrici di giornali periodici, considerata la specialità della normativa sancita per il settore dell’editoria (art. 7, comma 3, l. n. 236/1993); ancora sino al 31 dicembre 2011, possono stipulare il contratto di solidarietà le imprese commerciali in senso stretto, nonché le agenzie di viaggio e turismo, compresi gli operatori turistici, che occupano più di 50 unità153; le imprese edili possono utilizzare il contratto di solidarietà difensiva limitatamente al personale inserito nelle strutture stabili dell'impresa (ad es. amministrazione si, cantieri no). Il decreto ministeriale citato precisa che il contratto può essere attivato da imprese che, pur se ammesse ad una procedura concorsuale, proseguono l'esercizio dell'attività. Con riferimento ai soggetti beneficiari, possono beneficiare della solidarietà tutti i dipendenti che abbiano maturato un'anzianità aziendale superiore ai 90 giorni, con esclusione dei dirigenti, dei lavoratori a domicilio, e degli apprendisti, che possono, però, essere ammessi alla solidarietà senza Cigs a seguito dell'emanazione dei provvedimenti anticrisi (art 19, comma 8, d.l. n. 185/2008, conv. in l. 2/2009, e d.l. 1 luglio 2009, n. 78, conv. in l. 3 agosto 2009, n. 102), come esplicitato nella risposta ad interpello del 10 settembre 2009 del Ministero del lavoro. Sono, altresì, ammessi al beneficio i lavoratori part-time, «qualora sia dimostrato il carattere strutturale del part-time nella preesistente organizzazione del lavoro». Sulla 152 V. l’art. 7, co. 4, l. n. 48/1988. Ai sensi dell’art. 6, co. 2, d.m. 10 luglio 2009, n., 46448, un nuovo contratto di solidarietà, una volta raggiunta la durata massima, può essere stipulato decorsi 12 mesi. 153 V. l’art. 1, comma 32, l. 13 dicembre 2010, n. 220 (c.d. legge di stabilità). 29 nozione di “strutturalità” del part-time, in assenza di precisazioni di fonte amministrativa, può assumersi la stessa misura prevista per l’anzianità aziendale necessaria per beneficiare della Cigs,poc’anzi richiamata, e cioè più di 90 giorni. L'ammontare del trattamento di integrazione salariale, determinato dalla predetta legge nella misura del 50% del trattamento retributivo perso a seguito della riduzione di orario, è stato elevato al 60% dall’art. 6, comma 3, l. n. 608/1996; successivamente, l’art. 1, comma 6, d.l. 1 luglio 2009, n. 78, conv. in l. 3 agosto 2009, n. 102, ha previsto in via sperimentale per gli anni 2009 e 2010 l’elevazione dell’integrazione dal 60% all'80%, nei limiti delle risorse stanziate, rinviandosi l’operatività dell’aumento all’emanazione di successivi provvedimenti attuativi. E’ noto che la stipulazione di tale tipologia di contratto precluda, durante la sua vigenza, il licenziamento collettivo. Secondo la dottrina maggioritaria, il contratto di solidarietà appartiene al genus dei contratti collettivi gestionali154, per i quali «non si pone il problema di una loro efficacia normativa sui rapporti individuali di lavoro e, dunque, dell’estensione o meno erga omnes della stessa», in quanto «l’accordo costituisce un momento (eventuale) del procedimento che l’imprenditore deve seguire per esercitare un proprio potere sul piano del rapporto individuale di lavoro; ciò che spiegherà effetto su quest’ultimo non è l’accordo, bensì l’atto (negoziale) con il quale il datore esercita il suo potere»155. Durante la vigenza del vincolo solidaristico al datore di lavoro sarebbe posto un divieto di licenziamento collettivo del personale interessato dal contratto per implicita rinuncia manifestata con la stipula dell’accordo sindacale156. Il licenziamento intimato in violazione degli impegni assunti col contratto di solidarietà potrebbe comportare anche l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 28, l. n. 300/1970, in quanto la stipula del contratto poi violato dal datore di lavoro ha impegnato la rappresentatività e la credibilità del sindacato in azienda157. La giurisprudenza ha precisato che non deve invece considerarsi escluso il ricorso al licenziamento individuale, ancorché plurimo, per giustificato motivo oggettivo158. Il contratto di solidarietà ex art. 1, l. n. 863/1984 - che opera nei confronti di tutti i lavoratori e si iscrive all'interno di una fattispecie complessa comprensiva del contratto di solidarietà e del provvedimento ministeriale di ammissione all'integrazione salariale - non è valido e non legittima la riduzione di orario e di retribuzione ove non segua l'effettiva concessione della cassa integrazione guadagni159. La Giustizia Amministrativa fornisce un’interessante risposta al quesito inerente le modalità di riduzione dell’orario160, evidenziandosi come lo strumento del contratto di solidarietà risponda alla precisa finalità di salvaguardare i livelli occupazionali, mentre la 154 Sulla problematica qualificatoria dei contratti aziendale c.d. “gestionali” si segnala un’interessante decisione di merito, avente ad oggetto l'accordo fra un'azienda in crisi con avvio di procedura di mobilità volto al ritiro di questa, alla decadenza di tutti gli accordi sindacali in essere con conseguente estinzione di vari premi e indennità, nonché ad un nuovo inquadramento in perdita - e organizzazioni sindacali non rappresentanti tutti i laboratori. In questa occasione la corte giudicante ha stabilito che questo non può qualificarsi come “contratto gestionale” e non può pertanto avere efficacia anche nei confronti di lavoratori iscritti a sindacato diverso da quelli stipulanti, rimanendo dunque applicabile il precedente contratto aziendale con tutte le relative conseguenze economiche (App. Brescia 7 marzo 2009, in Foro it., 2010, 2, 623). 155 V. Giugni, Diritto sindacale, Bari, Cacucci, 2006, 149 – 150. 156 Pret. Frosinone 11 maggio 1987, in O.G.L., 1988, 224. 157 Cfr. Ballestrero, Cassa integrazione e contratto di lavoro, Milano, Franco Angeli, 1985, 275. 158 Cass. 15 dicembre 2008, n. 29306, in D&G, 2008; in senso conforme cfr. Cass. 23 gennaio 1998, n. 637, in RGL, 1998, II, 493, con nota di Allamprese, Osservazioni in tema di licenziamento e contratto di solidarietà, nonchè App. Bari 14 aprile 2005, n. 910, in Redazione Giuffrè, 2009. 159 Cass. 28 novembre 2007, n. 24706, in Giust. Civ. Mass., 2007, 11. 160 Cons. Stato 16 settembre 2004, n. 5987, in FA-C.St., 2004, 2634. 30 riduzione dell'orario di lavoro, stabilita contrattualmente, serva ad «evitare, in tutto o in parte, la riduzione o la dichiarazione di esuberanza del personale anche attraverso un suo più razionale impiego», facendo discendere da ciò che tale riduzione dell'orario di lavoro, se vuole essere conforme allo spirito della legge, deve essere ripartita tra i dipendenti in modo che "il monte ore in eccedenza" venga distribuito tra tutti i dipendenti (ad eccezione dei dirigenti, apprendisti, lavoratori a domicilio, e assunti con contratto di formazione e lavoro), piuttosto che essere concentrato (come avveniva con la sospensione a zero ore mensili degli operai interessati) sui soli dipendenti in esubero161. Sono previsti, quali incentivi alla stipulazione dei predetti contratti, una serie di incentivi a favore delle imprese, che qui si vengono brevemente a delineare. Ai datori di lavoro che attivano i contratti di solidarietà è riconosciuta uno sgravio del 25% dei contributi assistenziali e previdenziali dovuti nei casi in cui la riduzione di orario sia superiore al 20% dell'orario contrattuale; lo sgravio sale al 35%, ove la riduzione di orario sia superiore al 30%. Per le imprese operanti nel Mezzogiorno. tale sgravio sale rispettivamente al 30 e 40%. Per godere di tali agevolazioni il datore deve essere in possesso del DURC. Inoltre, l'attivazione dei contratti di solidarietà sospende, per tutta la loro durata gli obblighi occupazionali previsti dalla disciplina delle assunzioni obbligatorie (art. 3, legge n. 68/1999). L’art. 5, l. n. 236/1993, come anticipato, ha introdotto nell’ordinamento una nuova tipologia di contratto di solidarietà difensivo, rivolto alle imprese che non rientrano nel campo di applicazione del trattamento Cigs. Il contributo è pari al 50% della retribuzione persa ed è diviso in uguale misura tra il lavoratore e l'azienda. Il contratto non può superare i 24 mesi. Per quanto attiene al campo di applicazione, la tipologia contrattuale di cui all’art. 5, comma 5, l. n. 236/1993 trova applicazione per le imprese escluse dalla normativa in materia di Cigs che abbiano avviato la procedura di licenziamento collettivo per riduzione di personale o intendano effettuare licenziamenti individuali plurimi, per giustificato motivo oggettivo162. A tale contratto di solidarietà possono fare ricorso, altresì, le imprese alberghiere e le aziende termali pubbliche e private operanti in località termali con gravi crisi occupazionali, individuate con il d.p.c.m. 1 ottobre 1993 (art. 5, comma 7). Infine, col supporto dei Fondi bilaterali, possono attingere alla solidarietà difensiva anche le imprese artigiane non rientranti nel campo di applicazione della Cigs, anche se occupino meno di 16 dipendenti, a condizione che i lavoratori interessati alla riduzione dell’orario di lavoro percepiscano, dai fondi bilaterali istituiti dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro, prestazioni di entità non inferiore alla metà del contributo pubblico destinato ai lavoratori (art. 5, comma 8). 161 V. Cons. Stato 16 settembre 2004, n. 5987, che si colloca nel solco già tracciato dalla giurisprudenza di merito, si veda per tutte Trib. Busto Arsizio 6 novembre 1999, in D.L., 2000, 403, secondo cui: «Benché la normativa che disciplina il contratto di solidarietà - art. 1 l. 19 dicembre 1984 n. 863 - nulla preveda al riguardo, la scelta dei lavoratori sui quali lo stesso debba ricadere deve ispirarsi ai principi di buona fede e correttezza sottesi al rapporto di lavoro subordinato e alla "ratio" stessa dell'istituto in esame che richiede un sacrificio economico dei lavoratori finalizzato alla salvaguardia dei posti di lavoro, con la conseguenza che tale pregiudizio deve essere il più possibile distribuito tra tutti i lavoratori o, comunque, giustificato alla luce di effettive esigenze tecnico-organizzative». 162 L’estensione della possibilità di attivare la solidarietà anche nelle ipotesi di licenziamenti individuali plurimi per giustificato motivo oggettivo è stata prevista, modificando l’art. 5, co. 5, l. n. 236/1993, dall’art. 19, co. 14, d.l. n. 185/2008, conv. in l. 2/2009, a sua volta modificato dall’art. 7-ter, co. 9, lett. d), d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, conv. in l. 9 aprile 2009, n. 33. 31 A decorrere dal 12 aprile 2009, in ragione delle modifiche apportate all’art. 5, comma 5, l. n. 236/1993, dall’art. 19, d.l. n. 185/2008, convertito nella l. n. 2/2009, il contratto di solidarietà difensiva de quo può essere stipulato, oltre che nel corso di una procedura di licenziamento collettivo, anche per evitare licenziamenti plurimi individuali per giustificato motivo oggettivo. Il Ministero del Lavoro ha fornito istruzioni operative in ordine ai contratti di solidarietà difensiva, anche ai fini degli accertamenti ispettivi sul corretto utilizzo degli stessi163. L’istanza dell’impresa richiedente il contributo di solidarietà ex art. 5 deve essere presentata alla DPL territorialmente competente unitamente ad una serie di documenti allegati, tra cui, il dettaglio dell’orario ridotto secondo uno schema settimanale. Tale indicazione restrittiva potrebbe togliere al contratto quella necessaria flessibilità di cui, soprattutto in alcuni settori, avrebbero bisogno le imprese per adeguarsi alle esigenze del mercato nei momenti di crisi. In questo senso una gestione della contrazione dell’orario anche su base mensile potrebbe sicuramente consentire, così come previsto per la fattispecie dettata dall’art. 1 della legge n. 863/1984, un maggiore “appeal” dell’utilizzo di questa soluzione negoziata. Tuttavia, una mitigazione della asserita rigidità contrattuale potrebbe essere individuata nell’indicazione fornita dal Ministero nella citata circolare n. 20/2004, che consente una riduzione dell’orario di lavoro su base sia orizzontale che verticale: scegliendo tra queste la soluzione più congeniale al caso concreto, e tenendo altresì presente che il comma 10 dell’articolo 1 prevede la possibilità di una deroga in aumento dell’orario ridotto, per fronteggiare temporanee esigenze di maggior lavoro, l’istituto potrebbe raggiungere un adeguato livello di flessibilità, e con esso, maggiore convenienza per le imprese che avessero necessità di procedere ad un licenziamento collettivo. Una forma di incentivo all’utilizzo dei contratti di solidarietà senza Cigs ex art. 5, comma 5, l. 236/1993 è poi rappresentata dalla non operatività del divieto sub art. 3, comma 1, lett. c), d.lgs. 368/2001, in forza della interpretazione autentica di tale ultima norma contenuta nell’art. 3-bis, l. n. 172/2002, per cui le imprese in solidarietà possono assumere a tempo determinato. Come affermato in giurisprudenza, il contratto di solidarietà senza Cigs assume una funzione strategica per il superamento della crisi aziendale essendo caratterizzato dallo scambio tra riduzione dell’orario e della retribuzione contro l’effettività e la certezza dell’occupazione164; sotto una diversa angolazione si potrebbe affermare che, con esso, il legislatore abbia colmato una lacuna nell’ordinamento, consentendo alle imprese interessate, prive della possibilità di ricorrere alla Cigs, di fruire di adeguate chances volte ad evitare o ridurre i licenziamenti durante la gestione degli esuberi di personale. A questa filosofia sono ispirate le misure anticrisi varate col d.l. n. 185/2008, conv. in l. 2/2009, che anzi utilizzano l’intervento della bilateralità come condizione per quello previdenziale, con tutti i problemi di legittimità costituzionale evidenziati da Franco Liso165. 10. La tutela previdenziale della disoccupazione Il campo elettivo di intervento della giurisprudenza in materia di ammortizzatori sociali è senza dubbio quello della tutela previdenziale, suscitando la domanda di quale sia l’obiettivo da essa perseguito in tale ambito. 163 V. circ. Min. lav. n. 20/2004 e nota Min. lav. 15 giugno 2009, prot. n. 25/SEGR/0008781; con riferimento specifico alla base di calcolo su cui calcolare la percentuale del contributo ex art. 5, co. 5, l. n. 236/1993, v. nota Min. lav. 3 ottobre 2008, prot. n. 25/I/00013425, risposta ad interpello n. 42/2008. 164 Cass. 16 febbraio 2005, n. 3050, in DRI, 2005, 1142, con nota di Pozzaglia. 165 V. Liso, Un profilo critico della recente legge in materia di ammortizzatori sociali, in http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=636&Itemid=145 32 a. Il campo di intervento della Cigs e della indennità di mobilità Preliminarmente, sembra opportuno fornire una breve panoramica dei più interessanti arresti giurisprudenziali, inerenti il campo di intervento della Cigs e dell’indennità di mobilità. Si ritiene, ad esempio, requisito imprescindibile per la concessione dell’integrazione la continuità produttiva, salvo i casi particolarmente rilevanti sotto il profilo delle ricadute occupazionali, che interessino oltre cento lavoratori166. Da ciò, tuttavia, la giurisprudenza non fa discendere ipso iure l’esclusione dell’intervento per le aziende sottoposte a procedure concorsuali: la pendenza di procedure concorsuali può risultare ostativa alla concessione del trattamento straordinario d'integrazione salariale solo in presenza di circostanze che escludano concretamente la possibilità di recupero produttivo e occupazionale dell'azienda167. Il provvedimento di rigetto della richiesta di integrazione da parte del Ministero del Lavoro, deve essere motivato. La Giustizia Amministrativa ritiene, peraltro, che sia sufficiente una motivazione per relationem, purché l’atto da cui risultino le ragioni del diniego venga puntualmente richiamato nel provvedimento di rigetto e posto nella disponibilità dell’interessato. Il TAR Lombardia ha, ad esempio, ritenuto sufficiente a fondare e legittimare la determinazione del Ministero, il richiamo ad un articolato giudizio espresso dal comitato tecnico, correttamente messo a disposizione del ricorrente per garantire l'esercizio del suo diritto di difesa168. Si è già detto che, sebbene sovente alla Cigs consegua la mobilità, ciò non comporta una stretta consequenzialità o una sovrapposizione delle procedure: ebbene, ciò si riflette anche sull’individuazione dei beneficiari della mobilità a latere datoris. Emblematica, in tal senso, è la pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite del dicembre 2004169. Il caso sottoposto al vaglio dei Giudici di Legittimità ineriva l’estensione, mediante normativa speciale170, del beneficio previsto dall’art. 16, comma 3, l. n. 223/1991 per i giornalisti, anche ai dipendenti delle imprese radiotelevisive private; si discuteva, cioè, se, esteso a tale categoria l’istituto della Cigs, si potesse ritenere che tali lavoratori, nel silenzio della legge, potessero beneficiare anche dell’indennità di mobilità. Le Sezioni Unite hanno fornito risposta negativa al quesito, risolvendo il contrasto formatosi all’interno della Sezione Lavoro. Nel 2003, infatti, si erano succedute due pronunce di segno contrario: la prima171 si era espressa in senso negativo, osservando che: a) la normativa che aveva esteso l’ambito di applicazione della Cigs era norma eccezionale e temporanea rispetto al sistema della l. n. 223/1991 e perciò di stretta interpretazione; b) se all'estensione della cassa integrazione, ivi prevista, il legislatore avesse voluto 166 T.A.R. Lombardia – Brescia, 29 marzo 2004, n. 362, in FA-T.A.R., 2004, 606 (s.m.). La decisione precisa, poi, testualmente che «Nella fattispecie l'azienda, che occupava cinquanta dipendenti, al momento dell'esame della domanda aveva già inoltrato la proposta di concordato preventivo, la quale aveva anche avuto buon esito: una tale circostanza preclude di ritenere soddisfatto il requisito della continuità produttiva, imprescindibile ai fini del riconoscimento del beneficio della C.I.G.S. Né ulteriore sostegno può essere ricavato dalla circostanza della prosecuzione di una parte dell'attività, dal momento che alcuni mesi dopo l'azienda ha interrotto la produzione, ed è lo stesso ricorrente ad ammettere che le perizie e gli accertamenti svolti dopo l'incendio dalla compagnia assicuratrice hanno di fatto impedito la ristrutturazione causando il blocco dell'attività». 167 Cons. Stato sez. VI, 23 febbraio 1999, n. 189, in FA, 1999, 402. 168 T.A.R. Lombardia – Brescia, 29 marzo 2004, n. 362, cit. 169 Cass. S.U. 10 dicembre 2004, n. 23078, in O.G.L., 2005, 184. 170 V. artt. 7, d.l. 20 maggio 1993, n. 148 (conv. in l. 19 luglio 1993, n. 236) e 2, d.l. 14 giugno 1996, n. 318 (conv. in l. 29 luglio 1996, n. 402). 171 Cass. 11 gennaio 2003, n. 450, in Giust. Civ. Mass., 2003, 84. 33 aggiungere il beneficio dell'indennità di mobilità, esso avrebbe disposto anche in ordine alla relativa provvista economica, ossia alla relativa e specifica contribuzione, così come ha fatto con l'art. 16, l. n. 223/1991. La seconda sentenza172 si era invece espressa in senso positivo, postulando una "esigenza di carattere generale" ed una "maggior coerenza", che non consentirebbe di limitare il riconoscimento dell'indennità di mobilità ai soli dipendenti di quelle imprese che accedano al trattamento di Cigs attraverso l'iter della legge n. 223/1991. Se così fosse, prosegue la sentenza, neppure ai giornalisti di cui all'art. 35, l. n. 416/1981 spetterebbe l'indennità dì mobilità, giacché per essi il ricorso alla Cigs è disciplinato in modo speciale; per contro, l'indennità per loro è espressamente prevista dalla legge. Le Sezioni unite hanno aderito al primo orientamento, osservando che la cassa integrazione guadagni soddisfa l'esigenza di assicurare il reddito a persone allontanate dal lavoro necessariamente ma temporaneamente, per sospensione o riduzione dell'attività dell'impresa dovute ad impossibilità sopravvenuta. Essa fronteggia perciò una disoccupazione temporanea, accompagnata dalla prospettiva di ripresa del lavoro. L'indennità di mobilità è corrisposta, per contro, a causa della perdita del posto di lavoro e segue il trattamento di integrazione salariale di regola, ma non sempre: essa è infatti riconosciuta (art. 16, l. n. 223/1991) anche in caso di licenziamento per riduzione di personale, effettuato senza il preventivo passaggio attraverso un periodo di cassa integrazione. In sostanza, l'indennità di mobilità è un trattamento di disoccupazione, dovuto ai lavoratori licenziati collettivamente da imprese di determinate dimensioni, di determinati settori e con determinate caratteristiche, anche se non vi sia stato il previo intervento della cassa integrazione173. Essa "sostituisce ogni altra prestazione di disoccupazione" (art. 7, comma 8, l. n. 223 del 1991) e spetta in quanto espressamente prevista dal legislatore, quale beneficio previdenziale di non generale applicazione. Da ciò consegue che la previsione legislativa dell'intervento di integrazione salariale per una certa categoria non comporta la successiva spettanza dell'indennità di mobilità automaticamente, ossia in difetto di espressa estensione e ciò, come si è visto, è motivato dalla diversa funzione dei due istituti. Alla eccezionalità (e pertanto, al divieto di loro applicazione in via analogica) delle norme che estendono l’ambito di applicazione della Cigs, si richiama anche Cass. 2 marzo 2005, n. 4375, che esclude la possibilità di accedere a tale beneficio per le imprese di produzione di servizi, considerando che l’art. 7, comma 7, l. n. 223/1991 fa espresso riferimento solo alle imprese che esercitino attività di intermediazione nella circolazione dei beni174. 172 Cass. 26 agosto 2003, n. 12507, in Giust. Civ. Mass., 2003, 7-8. A tal proposito, Cass. 30 dicembre 2009, n. 27764, in Guida al diritto, 2010, 5, 69, ha stabilito che ai fini della concessione del trattamento di mobilità per le imprese commerciali, per effetto dell’estensione di quello concesso ai dipendenti delle imprese industriali ed artigiane, ex artt. 1, comma 1 e 12, comma 3, l. n. 223/1991 (così come modificato dall'art. 7, comma 7, d.l. n. 148/1993, conv. in l. n. 236/1993), la verifica del requisito occupazionale deve essere effettuata non al momento dell'apertura della procedura di mobilità ma sulla media del semestre precedente la stessa apertura, atteso che detto criterio tende ad identificare con effettività il requisito numerico, che, invece, ove sia verificato con riferimento alla data di apertura della procedura stessa, avrebbe carattere aleatorio. In senso sostanzialmente conforme cfr. Cass. 30 agosto 2005 n. 17517; Cass. 25 agosto 2005 n. 17332. 174 L'art. 49, l. n. 88/1989, innovando rispetto a quanto stabilito dall'art. 2195 c.c. (Imprenditori soggetti a registrazione), ha previsto l'inquadramento delle imprese, a tutti i fini previdenziali e assistenziali, in cinque distinti settori (industria, artigianato, agricoltura, terziario, credito e assicurazioni); in particolare ha previsto l'inquadramento nel settore terziario delle imprese che svolgono le seguenti attività: a) commerciale, b) di produzione e prestazione di servizi, c) professionali e artistiche, d) ausiliarie delle predette. Alle imprese inquadrate, ai sensi dell'art. 49 della legge n. 88 del 1989, ai fini previdenziali e assistenziali, nel settore terziario, e all'interno di esso tra le imprese che svolgono attività di produzione e prestazione di servizi, non è 173 34 Richiama invece il principio di specialità, rispetto alla norma generale sull’inquadramento previdenziale ex art. 49, l. n. 88/1989, Cass. 5 marzo 2004, n. 4535, la quale ritiene che, ai fini della concessione dell’indennità di mobilità, l’individuazione dei soggetti destinatari di tale beneficio deve essere operata alla stregua della legislazione sulla integrazione salariale che si pone in rapporto di specialità rispetto alla normativa del 1989, relativa all’inquadramento delle imprese ai fini previdenziali, restando quindi determinante, per accertare il carattere industriale dell’attività, la definizione dell’art. 2195 n. 1 c.c., in base al quale è industriale l’attività produttiva non solo di beni ma anche di servizi, purché l’attività produttiva sia finalizzata alla costituzione di una nuova utilità. b. L’indennità di disoccupazione Un altro interessante filone giurisprudenziale è quello relativo alle pronunce in materia di indennità di disoccupazione, ordinaria o con requisiti ridotti. Grazie al contributo della giurisprudenza sono state puntualizzate alcune differenze tra le due prestazioni, si pensi alla modalità per l’accesso all'erogazione del trattamento con requisiti contributivi ridotti, costituita dalla sola presentazione di apposita domanda corredata da una dichiarazione rilasciata dal datore di lavoro attestante il numero delle giornate prestate nell'anno con la retribuzione corrisposta175, restando salva, peraltro, la possibilità di fornire la prova contraria in quanto la dichiarazione del datore di lavoro non ha valore ed efficacia di prova legale, mentre va escluso, in mancanza di qualsiasi rinvio, che si estendano all'indennità in questione le prescrizioni previste per l'indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti normali, quali l'iscrizione all'ufficio di collocamento e la soggezione al controllo dello stato di disoccupazione176. Sempre l’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti è stato precisato che non può essere erogata a favore dei soggetti espressamente indicati come beneficiari dalla legislazione vigente, escludendosi, quindi, quelli individuabili per via interpretativa dalla modulistica predisposta dall'Inps per la presentazione delle relative domande, atteso che, vertendosi in materia sottratta alla disponibilità delle parti, in nessun caso tale modulistica potrebbe estendere la platea degli assicurati oltre l'ambito delle leggi che la disciplinano. È il caso della pretesa dei lavoratori dello spettacolo all'indennità di disoccupazione con requisiti ridotti, da negarsi in considerazione dell'espressa esclusione dell'indennità di disoccupazione involontaria prevista dall'art. 40 n. 5, r.d.l. n. 1827 del 1935, conv. in l. n. 1155 del 1936 per il personale artistico, teatrale e cinematografico177. Sussistono, poi, alcuni principi giurisprudenziali validi per entrambe le indennità di disoccupazione. applicabile il disposto di cui all'art. 7, co. 7, d.l. n. 148/1993 (conv. in l. n. 236/1993) secondo cui le disposizioni in materia di integrazione salariale (comprensive del trattamento di mobilità) si estendono anche alle imprese esercenti "attività commerciale" che occupino oltre 50 addetti, in quanto trattasi di norma eccezionale, insuscettibile di interpretazione analogica, che fa riferimento alle sole imprese che esercitino attività di intermediazione nella circolazione dei beni. Una siffatta regolamentazione della materia, peraltro, non fa sorgere dubbi di legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, posto che rientra nel potere discrezionale del legislatore regolare in modo differente situazioni di fatto diverse, in considerazione delle specifiche esigenze di ciascuna realtà economico sociale, e considerato che le imprese commerciali e quelle di produzione e prestazione di servizi presentano innegabilmente delle peculiarità settoriali che ne impediscono l'equiparazione. 175 Nei limiti previsti dall'art. 7, comma 5, l. n. 160 del 1988, come autenticamente interpretato dall'art. 3, comma 4, del d.l. n. 108 del 1991, conv. nella l. n. 169 del 1991. 176 V. Cass. 18 maggio 2010, n. 12102, in Giust. civ. Mass., 2010, 5, 772. In senso conforme cfr. Cass. 11 giugno 2008, n. 15523. 177 Cfr. Cass. 20 maggio 2010, n. 12355, in Giust. civ. Mass., 2010, 5, 789, che ha confermato la sentenza di merito, che aveva escluso il diritto del lavoratore dello spettacolo all'indennità di disoccupazione con requisiti ridotti, in considerazione delle motivazioni sopra riportate. 35 In primo luogo, si segnala che diversamente dal credito avente ad oggetto l’integrazione salariale 178, il ritardo nel pagamento del sussidio di disoccupazione non dà luogo alla maturazione di rivalutazione ed interessi per la semplice decorrenza del tempo, in quanto, essendo il pagamento della prestazione principale subordinato alla presentazione della dichiarazione del lavoratore di conferma della continuità della disoccupazione nei quindici giorni precedenti il periodo di riferimento della indennità, il diritto agli accessori matura solo ove il disoccupato abbia posto in essere tutti gli oneri a suo carico per ottenere l'erogazione dell'indennità179. Inoltre, il riconoscimento della titolarità dell'assegno ordinario di invalidità impedisce la corresponsione di quello di disoccupazione involontaria, ricorrendo un'incompatibilità "ex lege", che comporta il divieto di cumulo tra le due prestazioni. L'assegno ordinario di invalidità costituisce un trattamento pensionistico, perché si tratta di un'erogazione a fronte dell'assicurazione obbligatoria contro l'invalidità, vecchiaia e superstiti, calcolata secondo le norme dell'assicurazione stessa e convertita "ex lege" in pensione di vecchiaia al compimento dell'età prevista per il normale pensionamento. Di conseguenza, è applicabile l'art. 6 comma 7 del d.l. n. 148/93 in virtù del quale l'indennità di disoccupazione è incompatibile con i trattamenti pensionistici dell'assicurazione invalidità, vecchiaia e superstiti180. Con un arresto assolutamente condivisibile, poi, la Cassazione ha stabilito che per le lavoratrici gestanti ammesse al godimento dell'indennità di maternità e che siano divenute disoccupate entro sessanta giorni dall'inizio del periodo di congedo per maternità, il termine di sessanta giorni previsto dall'art. 129, comma 5, del r.d.l. n. 1827 del 1935 per la presentazione della domanda di disoccupazione resta sospeso durante il periodo di congedo per maternità ed in pendenza dell'erogazione della relativa indennità181. Infine, si segnala un interessante pronuncia della Cassazione, che si è concentrata su un profilo eminentemente processuale, e cioè quello relativo alla qualificazione di titolo esecutivo della sentenza di condanna dell’INPS al pagamento di una determinata somma, che nel caso di specie è rappresentata dalle differenze spettanti a titolo di indennità di disoccupazione. La decisione ha stabilito che la sentenza costituisce valido titolo esecutivo, e non richiede ulteriori interventi del giudice diretti all'esatta quantificazione del credito, solo se tale credito risulti da operazioni meramente aritmetiche eseguibili sulla base dei dati contenuti nella sentenza; se, invece, dalla medesima sentenza di condanna non risulta (come nella specie) il numero delle giornate non lavorate nelle quali sia maturata l'indennità giornaliera, così da rendersi necessari per la determinazione esatta dell'importo elementi estranei al giudizio concluso e non predeterminati per legge, la sentenza non costituisce idoneo titolo esecutivo ma è utilizzabile solo come idonea prova scritta per ottenerlo nei confronti del debitore in un successivo giudizio182. c. La contribuzione Venendo ora ad esaminare l’aspetto della contribuzione, si rileva come, per costante orientamento, le imprese sono tenute a versare il contributo addizionale a loro carico solo 178 V. Cass. 15 marzo 1993, n. 3074, in Dir. e prat. lav., 1993, p. 1349, che qualifica questo credito come previdenziale, e lo ritiene suscettibile di rivalutazione monetaria ex art. 442 c.p.c. 179 V. Cass. 15 giugno 2010, n. 14332, in Giust. civ. Mass., 2010, 6, 908. In senso conforme cfr. Cass. 9 febbraio 2009, n. 3188, in Giust. civ. Mass., 2009, 2, 203; Cass. 6 giugno 2008, n. 15066. 180 Cass. 8 marzo 2010, n. 5544, in D&G, 2010. 181 Cass. 23 dicembre 2009, n. 27167, in Red. Giust. civ. Mass., 2009, 12. 182 Cass. 2 aprile 2009, n. 8067, in Giust. civ. Mass., 2009, 4, 573. 36 per i dipendenti posti in mobilità che abbiano diritto all’indennità e non anche per quelli che invece non ne hanno diritto183. Ciò si spiega in ragione della funzione del contributo, che è quella di porre parzialmente a carico del datore di lavoro l’onere economico connesso all’erogazione dell’indennità di mobilità da parte dell’Inps. Da un lato, il datore di lavoro trae dall’operazione un “oggettivo vantaggio”, che risiede nella possibilità di liberarsi della manodopera eccedente e, dall’altro, è interesse del sistema prevenire possibili abusi nel ricorso alla procedura. Quello di mobilità non è, dunque, un contributo “di carattere generale”, destinato a finanziare l’intera gestione della mobilità e neppure quella specifica operazione di mobilità posta in essere dall’azienda beneficiaria, ma piuttosto “un contributo specifico funzionale al singolo trattamento di mobilità erogato al singolo lavoratore”. Ciò significa che sussiste un rapporto diretto tra l’onere a carico dell’azienda ed il trattamento erogato dall’Istituto assicuratore ai singoli lavoratori, per cui, a contrario, qualora il lavoratore per qualunque motivo non abbia diritto all’indennità di mobilità non sussiste neppure l’onere di versare il contributo a carico dell’azienda. Un primo aspetto interessante in tema di contribuzione, riguarda la sussistenza o meno dell’obbligo di corrispondere i contributi per Cigo, Cigs e mobilità da parte delle cd. società miste. Con riferimento alle società costituite dagli enti pubblici locali – ai sensi dell’art. 113, lett. e), d.lgs. n. 76/2000 – il presupposto per l’esclusione dal campo di applicazione della Cigo non è da ricercare nell’esclusività dell’appartenenza pubblica, ma nell’assoggettamento al controllo totale e incondizionato degli enti pubblici, da una parte, e nella considerazione della natura dell’attività esercitata, dall’altra; ovvero nel fatto che si tratti di imprese che operano in ambiti difficilmente comparabili con quelli nei quali può farsi ricorso alla Cigo184. A tanto conduce una corretta esegesi ed applicazione dell’art. 3, comma 1, d.lgs. 12 agosto 1947, n. 869, il quale esclude espressamente dalla CIG (ed esonera, quindi, dal pagamento dei relativi contributi), tra le altre, “le imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate e dello Stato”. Invero, sulla base di tale disposizione, parte della giurisprudenza ritiene che se non vi è difficoltà ad escludere dal campo di applicazione della CIG le imprese a totale partecipazione pubblica, qualificate senz’altro come “imprese industriali degli enti pubblici”, non sarebbero escluse le società a prevalente partecipazione pubblica185. Ad avviso di una recente pronuncia del Tribunale di Ravenna (che nel suo iter motivazionale appare condivisibile) sussistono, invece, una serie di ragioni logiche e giuridiche che portano a preferire l’interpretazione estensiva della norma. Anzitutto, poiché non vi è alcuna ratio che sorregga e motivi tale diverso regime per le imprese a totale o a prevalente partecipazione pubblica. In secondo luogo, perché se se volge lo sguardo ad altri istituti e fenomeni giuridici che riguardano le società partecipate (si pensi alla formazione della volontà, alla disciplina della concorrenza, alla sottoposizione al controllo della Corte di Conti, ecc.) la loro regolamentazione giuridica non cambia affatto a seconda della quota partecipativa detenuta dall’ente pubblico. Le stesse considerazioni valgono per la mobilità, la cui area d’intervento coincide, tendenzialmente, con quella della Cigs ai sensi dell’art. 16, l. n. 223/1991. Una soluzione diversa viene data, invece, in tema di contributi per la disoccupazione. 183 V. Cass. 20 giugno 2007, n. 14307. Trib. Ravenna 7 febbraio 2007, in L.G.., 2007, 928 ss., con commento di Bellumat. 185 Cass. 20 aprile 1993, n. 4600, in Giust. Civ. Mass., 1993, 696. 184 37 Una società a capitale pubblico prevalente non è automaticamente esentata dall’obbligo contributivo per disoccupazione, in ragione della sua natura di esercente di pubblici servizi, «ma si tratta di verificare, caso per caso, se essa goda del requisito della “stabilità”, desumibile dal combinato disposto dell’art. 40, R.D.L. n. 1935/1827 e dell’art. 36 D.P.R. 818/1957 per l’applicazione del suddetto esonero. Tale requisito di stabilità deve essere riconosciuto dal provvedimento ministeriale ex art. 36 D.P.R. 818/1957 in relazione al sistema di garanzie in concreto previste nella disciplina del CCNL sul licenziamento e in considerazione del fatto che si tratta di servizi pubblici per i quali effettivamente non è facile ipotizzare il rischio della disoccupazione»186. In linea con tale soluzione si colloca anche l’orientamento delle Sezioni Unite187, secondo cui la stabilità deve essere accertata secondo i parametri pubblicistici e riconosciuta solo in presenza di norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale dipendente da pubbliche amministrazioni, aziende pubbliche o aziende esercenti pubblici servizi, che prevedano la possibilità per il datore di lavoro di far cessare il rapporto esclusivamente in presenza di concrete ipotesi di carattere oggettivo, tassativamente predeterminate (anche in forza di atti negoziali) ovvero quando la stabilità stessa sia riscontrata con provvedimento del Ministro del lavoro e la previdenza sociale. Quanto meno, però, con riferimento alla CIG, una recente pronuncia della Cassazione ha negato la validità dell’interpretazione estensiva pur proposta dalla giurisprudenza di merito (supra), con la conseguenza che le società per azioni a prevalente capitale pubblico aventi ad oggetto l'esercizio di attività industriali sono tenute al pagamento dei relativi contributi, non potendo trovare applicazione l'esonero previsto dall'art. 3 d.lg.C.p.S. 12 agosto 1947 n. 869, come sostituito dall'art. 4, comma 1, l. 12 luglio 1988 n. 270, in quanto l'art. 23 l. 8 giugno 1990 n. 142 (applicabile "ratione temporis") non ricomprende le società a capitale misto tra gli organismi aventi natura strumentale dell'ente locale per il perseguimento delle finalità pubbliche, dovendosi escludere, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, che la mera partecipazione maggioritaria da parte dell'ente titolare sia idonea a determinare la natura dell'organismo attraverso cui la gestione del servizio pubblico viene attuata188. Un secondo aspetto interessante in tema di contribuzione riguarda il diritto alla riduzione contributiva di cui all’art. 5, comma 5, l. n. 223/1991, per le imprese che, secondo le procedure determinate dalla Commissione regionale per l'impiego, procurino offerte di lavoro a tempo indeterminato aventi le caratteristiche di cui al successivo art. 9, comma 1, lettera b)189. Sul punto la Cassazione ha precisato che è carico del datore di lavoro che contesti la pretesa dell'Inps a ricevere nella sua interezza il contributo collegato alla messa in mobilità, deducendo di aver diritto alla riduzione predetta, l’onere di dimostrare che ricorrono le condizioni richieste dalla legge per averne diritto190. d. La tutela previdenziale a latere praestatoris Venendo a trattare la tematica della tutela previdenziale del lavoratore, si è già riferito, nella prima parte del presente contributo, degli orientamenti in tema di applicabilità degli 186 Cfr. Tribunale di Ravenna, 7 febbraio 2007, cit. Cass. S.U. 14 ottobre 1988, n. 5570, in Inf. Prev., 1988, 1818 188 Cass. 24 giugno 2009, n. 14847, in Giust. civ. Mass., 2009, 6, 975. 189 L’art. 5, comma 5, l. n. 223/1991, prevede che l’impresa non è tenuta al pagamento delle rate mensili di cui al precedente comma 4, relativamente ai lavoratori che perdano il diritto al trattamento di mobilità in conseguenza del rifiuto di tali offerte ovvero per tutto il periodo in cui essi, accettando le offerte procurate dalla impresa, abbiano prestato lavoro. Il predetto beneficio è escluso per le imprese che si trovano, nei confronti dell'impresa disposta ad assumere, nei rapporti di cui all'art. 8, comma 4-bis. 190 Cass. 4 febbraio 2010, n. 2616, in Guida al diritto, 2010, 13, 70. 187 38 ammortizzatori sociali ai lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro o di apprendistato. Quanto invece ai lavoratori a termine, va richiamata la giurisprudenza comunitaria che ha escluso che il lavoratore, alla scadenza del contratto a tempo determinato, si trovi automaticamente in stato di disoccupazione volontaria. La Corte di Giustizia191 ha avuto modo di osservare che, se è vero che un contratto di lavoro è normalmente il risultato di negoziazioni, non è men vero che non sono rari i casi in cui il lavoratore non esercita alcuna influenza sulla durata e sul tipo di contratto di lavoro che può stipulare con un datore di lavoro. E’ noto come in alcuni settori di attività viene fatto sovente ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato per diverse ragioni, quali il carattere stagionale del lavoro, il fatto che il mercato considerato è sensibile alla congiuntura o l’eventuale rigidità della normativa nazionale in materia di lavoro. Pertanto, la Corte di Giustizia ritiene che, nell’esame del carattere volontario o involontario dello stato di disoccupazione, il giudice nazionale debba prendere in considerazione circostanze quali “gli usi del settore di attività economica considerato, le possibilità di trovare in tale settore un lavoro che non sia a tempo determinato, l’esistenza di un interesse ad impegnarsi soltanto in un rapporto di lavoro a tempo determinato o l’esistenza di una possibilità di rinnovo del contratto di lavoro”. Si deve altresì tener conto, nell’analisi della questione, di quanto statuito dalla clausola 4 dell’accordo quadro comunitario in materia di contratti a tempo determinato, recepito nella Direttiva 1999/70/CE, la quale dispone che, “per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”. La Corte di Giustizia192 ha avuto modo di precisare che tale clausola è incondizionata e sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale. Altro problema che si è posto all’attenzione della giurisprudenza, questa volta nazionale, concerne la sussistenza del diritto a percepire la prestazione in capo ai lavoratori impiegati con contratto part-time verticale a base annua, in relazione ai periodi di non attività. La giurisprudenza ha posto un principio fermo con la sentenza della Cass S.U. n. 1732/2003 che ha escluso tale diritto motivando tale decisione con l’insussistenza del requisito della involontarietà dello stato di disoccupazione nei suddetti periodi di inattività. La successiva giurisprudenza ha riaffermato tale principio, evidenziando come la stipulazione di questo tipo di contratto, dipendendo dalla libera volontà del lavoratore contraente, non dà luogo a disoccupazione involontaria nei periodi di pausa, con la conseguenza che a tali lavoratori non può estendersi, neanche in via analogica, in mancanza di una eadem ratio, la disciplina della disoccupazione involontaria. Il principio vale anche nei casi in cui il modello del tempo parziale verticale non sia il frutto di una scelta, ma il portato delle caratteristiche obiettive del tipo di lavoro, sicché la fattispecie sotto il profilo in questione risulti analoga all'ipotesi della prestazione di lavoro stagionale193. La sentenza da ultimo richiamata fa rinvio alla pronuncia della Corte costituzionale n. 121 del 2006, la quale ha convalidato l'interpretazione della Cassazione, osservando che 191 CGCE sez. VI, 6 novembre 2003, causa C-413/01 (Ninni – Orasche), pt. 44, in D&G, 2004, 9, 122. Sul punto, v., ampiamente, De Michele, Contratto a termine e precariato, Milano, Ipsoa, 2009, 100. 192 CGCE, sez. II, 13 settembre 2007, causa C-307/05 (Del Cerro Alonso c. Osakidetza), in D&L, 2007, 1013; CGCE, Grande Sezione, 15 aprile 2008, causa C-268/06 (Impact c. Minister for Agriculture and Food e altro), in DRI, 2008, 854, con nota di Cosio. 193 V. da ultimo, Cass. 9 febbraio 2009, n. 3105, in Guida al dir., 2009, 17, 53. 39 "rispetto al lavoro stagionale (...) il tipo contrattuale del tempo parziale verticale presenta sicuri elementi di differenziazione. In particolare, nel lavoro stagionale il rapporto cessa a fine stagione, sia pure in vista di una probabile nuova assunzione stagionale; nel lavoro a tempo parziale verticale invece il rapporto prosegue anche durante il periodo di sosta, pur con la sospensione delle corrispettive prestazioni, in attesa dell'inizio della nuova fase lavorativa. Pertanto il lavoratore stagionale non può contare sulla retribuzione derivante dall'eventuale nuovo contratto, mentre il lavoratore a tempo parziale può fare affidamento sulla retribuzione per il lavoro che presterà dopo il periodo di pausa". La Corte costituzionale ha quindi concluso che "l'esclusione del diritto all'indennità di disoccupazione per i periodi di mancata prestazione dell'attività lavorativa nei rapporti di lavoro a tempo parziale verticale su base annua non viola quindi l'art. 3 Cost., per le differenze esistenti tra le due situazioni poste a confronto. Né viola l'art. 38 Cost., perchè nel tempo parziale verticale il rapporto di lavoro perdura anche nei periodi di sosta, assicurando al lavoratore una stabilità ed una sicurezza retributiva, che impediscono di considerare costituzionalmente obbligata una tutela previdenziale (integrativa della retribuzione) nei periodi di pausa della prestazione"194. Sempre con riferimento al requisito dell’involontarietà della disoccupazione, ai fini dell’erogazione del relativo trattamento, la giurisprudenza afferma il principio di territorialità, per cui è necessario che tale requisito sussista nello Stato italiano, giacché il sistema assicurativo nazionale è pur sempre improntato, in assenza di convenzioni internazionali di sicurezza sociale, al principio della territorialità, nel senso che gli eventi rilevanti per il rapporto assicurativo, e cioè sia il periodo di espletamento dell'attività lavorativa, sia il periodo di mancanza involontaria di lavoro, sono quelli trascorsi nel territorio nazionale, restando ininfluente ogni evento che occorra in periodo trascorso all'estero195. Venendo alla disamina degli orientamenti giurisprudenziali inerenti i requisiti per l’accesso ai trattamenti di disoccupazione e mobilità, con riferimento al requisito dell’anzianità per l’accesso al trattamento di disoccupazione la Suprema Corte ha precisato che tale periodo non è inciso da qualsivoglia causa di interruzione del rapporto di lavoro che non azzeri l’anzianità aziendale196. Di conseguenza, nel caso di recesso del datore di lavoro dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con esonero per il lavoratore dalla relativa prestazione ed immediata risoluzione del rapporto di lavoro a tutti gli effetti giuridici, si impedisce che il periodo di preavviso non lavorato sia computato ai fini del raggiungimento del requisito dei due anni d'iscrizione nell'Ago contro la disoccupazione involontaria per la corresponsione dell'indennità ordinaria di disoccupazione, danneggiando così il lavoratore197! In tema di riconoscimento dell’indennità di mobilità ai lavoratori licenziati, la Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi sui criteri di computo dell’anzianità di almeno 12 mesi “di cui almeno sei mesi di lavoro effettivamente prestato”, ex art. 16, l. n. 223/1991, ritenendo che non è consentito equiparare al lavoro effettivamente prestato il periodo di continuità 194 Sulla problematica della esclusione dei lavoratori con part-time verticale dalla tutela della disoccupazione, v. Lagala (a cura di), Part-time e disoccupazione nella riforma degli ammortizzatori sociali, Milano, Giuffrè, 2004 e ivi, in particolare, i contributi di Riverso e Russo. 195 Cass. 3 settembre 2008, n. 22151, in Giust. Civ. Mass., 2008, 9, 1309. Nella specie, la S.C., enunciando l'anzidetto principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittima la trattenuta effettuata dall'Inps sull'indennità di disoccupazione, per taluni agricola e per altri ordinaria, in corrispondenza delle giornate coincidenti con il ritorno degli assicurati, cittadini stranieri, nei loro Paesi di origine, non legati da convenzioni di sicurezza sociale. 196 Cass. 15 settembre 2008, n. 23703, in Giust. Civ. Mass., 2008, 9, 1366. 197 Cass. 16 giugno 2009, n. 13959, in Riv. it. dir. lav., 2010, 1, 49, con nota di Lattanzio. 40 del lavoro che sia conseguenza della declaratoria di illegittimità del licenziamento, giacché gli effetti risarcitori di tale declaratoria sono soltanto quelli specificatamente previsti dall’art. 18, Stat. Lav., non suscettibili di sommarsi con l’indennità di mobilità. Quanto al computo del requisito dei ventotto anni di contribuzione, richiesto dall’art. 7, comma 7, l. n. 223/1991 per accedere alla c.d. mobilità lunga, la Suprema Corte a Sezioni Unite198, nel dirimere il contrasto insorto in seno alla Sezione Lavoro, ha ritenuto che tale requisito contributivo possa ritenersi conseguito al momento della cessazione dell'attività lavorativa, in caso di contributi accreditati nelle diverse gestioni dei lavoratori dipendenti e autonomi, sia mediante il cumulo automatico dei contributi versati nella gestione generale dei lavoratori dipendenti con quelli versati nella gestione del lavoratori autonomi - che consentirà, poi, di ottenere la pensione di anzianità in quest'ultima gestione - sia attraverso la ricongiunzione dei diversi periodi assicurativi nella gestione dei lavoratori dipendenti, ai sensi della l. n. 7 febbraio 1979, n. 29, al fine di ottenere l'erogazione della pensione in questa stessa gestione, restando peraltro esclusa, quando non si faccia ricorso alla suddetta ricongiunzione, la possibilità di cumulare nell'assicurazione dei lavoratori dipendenti i contributi versati nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi al fine di ottenere la pensione nella gestione dei lavoratori dipendenti. La giurisprudenza di legittimità ha avuto recentemente modo di chiarire quale sia la ratio della norma di cui all'art. 7, comma 4, della legge n. 223 del 1991 - che stabilisce che l'indennità di mobilità non può essere corrisposta per un periodo superiore all'anzianità maturata dal lavoratore alle dipendenze dell'impresa che abbia attivato la procedura di cui all'art. 4 della stessa legge – evidenziando come essa sia finalizzata ad evitare il rischio di programmate precostituzioni di anzianità lavorative volte al godimento di una maggiore indennità di mobilità 199. Passando ad esaminare i problemi connessi al calcolo del quantum di prestazione, si parte da quello della computabilità delle mensilità aggiuntive nella base di calcolo della Cigs. Sul punto, la giurisprudenza si è assestata sul principio di diritto secondo cui l’indennità di Cigs spetta per sole dodici mensilità; tuttavia ciascuna di esse è comprensiva dei ratei di mensilità aggiuntive, purché il totale non superi i massimali prefissati. E’ conseguentemente esclusa una diversa e ulteriore incidenza delle mensilità aggiuntive sul trattamento di integrazione salariale200. Merita di essere segnalata la pronuncia Cass. 14 gennaio 2005 n. 635, la quale estende la base di computo ai fini del calcolo dell’integrazione salariale anche a tutte le altre erogazioni di natura retributiva che, pur facendo parte della retribuzione complessiva, non si riferiscono al tempo delle specifiche prestazioni lavorative; quindi non solo le mensilità aggiuntive201, ma anche, ad esempio, i ratei di ferie maturate e non fruibili, i premi di 198 Cass. S.U. 21 luglio 2006, n. 16749, in D&G, 2006, 40, 29; idem Cass. 2 settembre 2008, n. 22099. Cass. 16 maggio 2008, n. 12406, in Giust. Civ. Mass., 2008, 5, 740. Sulla scorta di tale interpretazione, la Cassazione riteneva nel caso di specie che la norma di cui all’art. 7, co. 4, l. n. 223/1991, dovesse trovare applicazione anche nei confronti di un lavoratore che, a seguito di trasferimento di azienda, fosse transitato alle dipendenze della cessionaria, la quale avesse poi attivato la procedura di mobilità. 200 Cass. 6 aprile 2009, n. 8205, in DRI, 2009, II, 416 (s.m.), con nota di Carminati, Il computo delle mensilità aggiuntive nella base di calcolo per i trattamenti di integrazione salariale. Più recentemente, Cass. 9 novembre 2010, n. 22760, in D&G, 2010, ha stabilito che l'incidenza concreta della tredicesima ai fini del calcolo dell'indennità di cassa integrazione guadagni straordinaria può essere nulla nel caso in cui il massimale mensile fissato dalla legge per la base di calcolo risulta raggiunto per effetto delle altre voci retributive. 201 V. da ultimo Cass. 15 aprile 2009, n. 8919, in DRI, 2009, II, 416 (s.m.), con nota di Carminati, op. ult. cit.; Cass. 15 aprile 2009, n. 8918, in D.L. Riv. critica dir. lav., 2009, 2, 549; Cass. 8 aprile 2009, n. 8521, in Guida al diritto, 2009, 23, 74 (s.m.); Cass. 23 marzo 2009, n. 6962, in Giust. civ. Mass., 2009, 3, 505. 199 41 anzianità, o altre erogazioni di natura retributiva destinate a maturare anche nel caso di sospensione dell’attività lavorativa non incidente sull’anzianità aziendale. Quanto al calcolo dell’indennità di mobilità, essendo la stessa soggetta - secondo quanto dispone la l. n. 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, comma 12 - alla disciplina prevista per la disoccupazione involontaria "in quanto applicabile" e non essendo riscontrabile, nelle disposizioni del medesimo art. 7, la previsione di un meccanismo di calcolo ragguagliato "al mese", sulla scorta dei criteri di computo valevoli per la Cigs, l'indennità deve essere corrisposta con riferimento alle singole giornate di effettiva disoccupazione202. La durata massima della mobilità diverge a seconda che il “luogo permanente di lavoro” sia situato al Centro-Nord o nelle aree del Mezzogiorno: se nel primo caso essa spetta per 12 mesi, elevati a 24 per i lavoratori che hanno compiuto i quaranta anni e a 36 per gli ultracinquantenni, nel Mezzogiorno tale durata è prorogata di 12 mesi, per ciascuna categoria di lavoratore203. Con riferimento alla nozione di “luogo permanente di lavoro”, Cass. Sez. Un. 30 maggio 2005, n. 11326, ha risolto il contrasto sorto all’interno della Sezione Lavoro. L’interpretazione di tale norma aveva infatti dato vita a due diversi orientamenti: il primo204, riteneva che per luogo permanente di lavoro dovesse intendersi il luogo in cui il lavoratore ha svolto la propria attività e si è iscritto, una volta licenziato, nelle liste di mobilità, piuttosto che il luogo in cui l'impresa ha la propria sede o la propria struttura produttiva principale e dove la procedura di mobilità è stata attivata. Tale orientamento si fonda sulla considerazione, ritenuta decisiva, che destinatari dell'apprestato beneficio sono i singoli lavoratori, non l'impresa in crisi, e che "ratio" della disposizione di favore è quella di approntare una più lunga assistenza ai lavoratori medesimi in ragione della maggiore difficoltà che essi incontrano per la ricollocazione nel mercato del lavoro. Per l’orientamento di segno opposto205, l’indennità di mobilità è destinata ad operare come ammortizzatore delle tensioni sociali che derivano dai processi di espulsione di manodopera" e, in fondo, più come ausilio all'impresa in crisi che come garanzia di tutela economica dal bisogno del lavoratore disoccupato nelle more della ricerca di una nuova occupazione", conseguendone che la più lunga durata della prestazione varrebbe esclusivamente a favore dei lavoratori dipendenti da impresa o unità produttiva ubicate in territorio disagiato. 202 Sebbene sul punto sia stata più volte sollevata questione di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 38 Cost., la giurisprudenza di legittimità e della Consulta ritiene che tale modalità di calcolo sia costituzionalmente legittima, per il fatto che il lavoratore in mobilità riceva in tale mese un trattamento mensilmente inferiore a quello che avrebbe ricevuto se fosse stato (o rimasto) in cassa integrazione, atteso che il trattamento garantito dalla legge non è quello che il lavoratore avrebbe ricevuto "in quel mese" se fosse stato in cassa integrazione, ma è costituito dall'indennizzo di ogni giorno di disoccupazione con riferimento all'importo mensile massimo dell'integrazione salariale "spettante nel periodo precedente la risoluzione del rapporto di lavoro", e ciò in coerenza con la funzione propriamente previdenziale della prestazione e con il sistema generale delle assicurazioni sociali, che - ancorché riferite a particolari categorie di lavoratori - non corrispondono mai all'effettiva diminuzione della capacità retributiva subita dal singolo, non potendosi, neanche indirettamente, considerare vantaggioso per l'individuo il godimento delle prestazioni assicurative rispetto allo svolgimento di un'attività lavorativa, sia pure ridotta o sospesa" (così Corte Cost. 26 gennaio 2007, n. 18, in Giur. Cost., 2007, 1; Cass. 29 gennaio 2009, n. 2159; Cass. 26 novembre 2008, n. 28269; Cass. 20 maggio 2008, n. 12747, in Giust. Civ. Mass., 2008, 5, 764; Cass. 19 novembre 2008, n. 27466, in D&G, 2008). 203 V. l’art. 7, co. 2, l. n. 223/1991, che disciplina la durata del periodo di godimento dell’indennità di mobilità nelle aree del Mezzogiorno (di cui al d.p.r. 218/1978). 204 Sostenuto da Cass. 8 luglio 2004, n. 12630; Cass. 22 ottobre 2003, n. 15822, in Giust. Civ. Mass., 2003, 10; Cass. 27 novembre 2002, n. 16798, ibidem, 2002, 2064. 205 Cass. 9 febbraio 2004, n. 2409, in Giust. Civ. Mass., 2004, 2. 42 Le Sezioni Unite fondano la propria interpretazione sulla ratio delle norme relative alla indennità di mobilità, evidenziando come esse, per un verso, appartengono alla regolazione "promozionale" del mercato del lavoro, sotto altro profilo, sono da ricondurre alla categoria degli interventi di politica sociale funzionali al "sostegno" sul piano economico della personale condizione di disoccupazione del lavoratore, piuttosto che quale "ausilio all'impresa in crisi". Le Sezioni Unite pongono altresì in luce la stretta connessione funzionale esistente tra la percezione della indennità e le ramificate conseguenze discendenti dalla iscrizione nelle liste di mobilità, sicché diviene determinante, ai fini dell’erogazione della mobilità lunga, la circostanza che in una delle zone "svantaggiate" l'impresa abbia scelto di organizzare stabilmente la prestazione lavorativa di alcuni (o, al limite, anche di uno solo) dei suoi dipendenti, in funzione del raggiungimento dei propri obiettivi di produzione. Si è visto come, nel computo della base di calcolo per l’indennità di mobilità, la sua disciplina si avvicini più a quella del trattamento di disoccupazione, che a quello della Cigs. Lo stesso vale con riferimento all’applicabilità del criterio di adeguamento automatico posto dall'art. 1, comma 5, d.l. 16 maggio 1994 n. 299, conv. in l. 19 luglio 1994, n. 451, il quale, secondo l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità206, riguarda unicamente il trattamento straordinario di integrazione salariale e solo indirettamente, quanto alla rivalutabilità dei massimali del relativo trattamento, incide anche sull'indennità di mobilità, secondo una scelta di politica sociale del legislatore, che ha inteso offrire al lavoratore collocato in cassa integrazione una tutela leggermente maggiore rispetto a quella assicurata al lavoratore in mobilità, la cui compatibilità costituzionale è stata affermata da Corte cost. n. 184 del 2000207 ed emerge anche dalla assimilabilità dell'indennità di mobilità ai trattamenti di disoccupazione più che al trattamento Cigs. Di segno opposto, la sentenza del Tribunale di Foggia del 20 settembre 2007208, che riconosce per l’adeguamento dell’indennità di mobilità l’applicabilità dei criteri previsti per la Cigs, ritenendo che «il meccanismo di adeguamento automatico annuale alle variazioni dell’indice ISTAT, previsto per la CIGS dall’art. unico, l.427/1980 (nel testo modificato dall’art. 1, d.l. 299/1994, conv. nella l. 451/1994), si applica anche all’indennità di mobilità, in quanto espressamente previsto per l’indennità di disoccupazione involontaria, dall’art. 3, d.l. 299/1994, conv. nella l. 451/1994, per il richiamo diretto dell’art. 7, co. 12, della l. 223/1991 e di tutta la normativa in materia di DSO, ove applicabile». 206 Da ultimo, Cass. 19 ottobre 2010, n. 21410, in D&G, 2010, secondo cui l’indennità di mobilità, dopo la sua iniziale quantificazione, non è più incrementabile in conseguenza delle variazioni dell’indice Istat; adde Cass. 4 novembre 2009, n. 23364, in D&G, 2009; Cass. 29 aprile 2009, n. 9972, in D&G, 2009; Cass. 25 marzo 2009, n. 7186; Cass. 13 gennaio 2009, n. 525, in D&G, 2009. 207 Corte Cost. 9 giugno 2000, n. 184, in Giur. Cost., 2000, 1602, secondo cui «Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3 e 38 comma 2, Cost., degli artt. 7 comma 3 l. 23 luglio 1991 n. 223, 1 comma 5, 2 e 3 comma 2, del d.l. 16 maggio 1994 n. 299, conv. in l. con modificazioni dall'art. 1 comma 1 l. 19 luglio 1994 n. 451, e dell'art. 54 comma 12 l. 27 dicembre 1997 n. 449, che prevedono che l'indennità di mobilità venga adeguata annualmente "in misura pari all'aumento della indennità di contingenza", meccanismo ormai inoperativo. Il trattamento di integrazione salariale straordinaria, infatti, non costituisce un idoneo tertium comparationis, stante la diversità strutturale dei due istituti, e atteso che la cassa integrazione non implica, come l'iscrizione nelle liste di mobilità, lo scioglimento del rapporto di lavoro (sent. n. 337 del 1992). Dalla garanzia posta dall'art. 38 cost., poi, non discende come conseguenza costituzionalmente necessaria che sia costantemente adeguato un emolumento finalizzato a dare un aiuto al lavoratore in un momento di difficoltà, e per un tempo limitato». 208 Conformemente, v. De Michele, La riforma degli ammortizzatori sociali e l’indennità di mobilità, in L.G., 2007, 869. 43 Altro tema interessante è quello della sospensione/decadenza dal trattamento di mobilità, in cui l’apporto della giurisprudenza è stato determinante per rimarcare la diversità delle fattispecie previste rispettivamente al comma 4 ed al comma 5 dell’art. 8, l. n. 160/1988. Ed invero, il comma 4 stabilisce la perdita da parte del lavoratore, che presta attività lavorativa durante il periodo di cassa integrazione, del diritto alla relativa integrazione per tutto il periodo lavorativo in ragione della cessata funzione sociale del trattamento integrativo (quindi, si tratta di una mera sospensione del trattamento). Come ha ben sottolineato la Consulta, con ordinanza n. 190 del 1996, il comma 4 non prevede una sanzione di decadenza dal beneficio, ma solo l’incompatibilità tra attività lavorativa retribuita e fruizione del trattamento di integrazione salariale209. Il successivo comma stabilisce invece la decadenza "dal diritto al trattamento di integrazione salariale" a carico del lavoratore che - diversamente da quanto in precedenza previsto – ometta di comunicare all'INPS lo stato di occupazione210. Un’interpretazione letterale dell'art. 8, comma 5., induce a ritenere che l'espressione "diritto al trattamento di integrazione salariale" faccia riferimento al globale trattamento salariale, senza alcuna distinzione all'interno del periodo di cassa integrazione o rilievo, ai fini della decadenza, della collocazione temporale dell'attività di lavoro svolta dal cassintegrato, in coerenza con la "ratio legis" della disposizione, volta ad assicurare la massima efficacia ai controlli dell'Inps al fine di ridurre l'area del lavoro nero e garantire l'effettiva destinazione a sostegno dei disoccupati delle risorse disponibili. Siffatta conclusione è stata avallata dall'indirizzo dei giudici di legittimità211. L’eventuale decadenza dal trattamento, ai sensi e per gli effetti del citato comma 5, non legittima tuttavia, la sospensione dell’erogazione della retribuzione, in mancanza dei presupposti per la collocazione in Cigs 212. In caso di indebito pagamento da parte dell’INPS del trattamento, si ritiene che l’Ente Previdenziale possa ricorrere allo strumento giudiziale della ripetizione di indebito oggettivo, ex art. 2033 c.c.213 Sicché, il diritto alla ripetizione prescinde dall'accertamento della scusabilità o meno dell'errore che aveva dato luogo all'erronea corresponsione della prestazione previdenziale (laddove invece la scusabilità dell’errore è richiesta per la 209 Giova comunque precisare che Cass. 19 marzo 2010, n. 6741, in Red. Giust. civ. Mass., 2010, 3, in tema di cassa integrazione guadagni, e con riferimento all'art. 3 del d.lg.lt. n. 788 del 1945, applicabile "ratione temporis", preferisce parlare di decadenza dal diritto al trattamento integrativo salariale, ove il lavoratore svolga una attività lavorativa suscettibile di produrre reddito, restando irrilevante che si tratti di attività non retributiva o che l'attività sia qualificabile come autonoma o subordinata, atteso che la ratio della disposizione è quella di evitare l'erogazione del trattamento integrativo in concomitanza con lo svolgimento di un'attività sostitutiva di quella sospesa. Sull'incompatibilità del trattamento di integrazione salariale con qualunque attività lavorativa suscettibile di produrre reddito per chi la svolge, anche se in concreto non ne risulti l'effettivo conseguimento, v. anche Cass. 10 marzo 2009, n. 5720, in Giust. civ. Mass., 2009, 3, 419, sebbene con riferimento all'art. 8, commi 4 e 5, d.l. 21 marzo 1988 n. 86, convertito, con modificazioni, nella l. 20 maggio 1988 n. 160. 210 V. Cass. 17 febbraio 2009, n. 3776 (in Guida al lav., 2009, 16, 41 ss.), secondo cui la comunicazione all’INPS da parte del lavoratore è tempestiva non solo se effettuata prima dell’assunzione del nuovo impiego, ma, anche se successiva a questo momento, purché comunque preceda la liquidazione dell’indennità riferita al periodo di reimpiego. Sulla decadenza dal diritto alle integrazioni salariali, comminata per l'omissione, da parte dei lavoratori beneficiari del trattamento, della comunicazione preventiva - rispetto allo svolgimento - di qualsiasi attività lavorativa, in funzione dello scopo di consentire all'Inps la verifica circa la compatibilità dell'attività con il perdurare del rapporto di lavoro, presupposto delle stesse integrazioni salariali, v. Cass. 14 giugno 2010, n. 14196, in Guida al diritto, 2010, 29, 65. 211 Ex multis, Cass. 21 febbraio 2007, n. 4004, in RGL, 2007, II, 763, con nota di Cutrera; Cass. S.U. 5 maggio 1999 n. 30, in Giust. Civ. Mass., 1999, 267; Cass. 10 marzo 2004, n. 4922, ibidem, 2004, 3; Cass. 27 ottobre 2003, n. 16117, ibidem, 2003, 10. 212 Cass. 19 agosto 2003, n. 12137, in Giust. Civ. Mass., 2003, 7-8. 213 Cass. 17 novembre 2003, n. 17404, in Giust. Civ. Mass., 2003, 11. 44 ripetizione in caso di indebito soggettivo, di cui all’art.2036 c.c.), se si accerta che il lavoratore che ne ha beneficiato non aveva diritto a tale trattamento. Di recente, la Cassazione ha affermato che in caso di restituzione all’INPS dell’indennità di mobilità indebitamente percepita, non possa applicarsi in via analogica la riduzione di cui all’art. 1, comma 260, l. n. 662/1960, valida per le prestazioni pensionistiche214. A proposito di restituzione del trattamento di disoccupazione indebitamente percepito, va segnalato il consolidato orientamento secondo cui dal risarcimento spettante al lavoratore, in caso di violazione delle regole inerenti i criteri di scelta per la collocazione in mobilità o per il licenziamento collettivo per riduzione di personale, ex artt. 4, 5 e 24, l. n. 223/1991, non vanno dedotti i trattamenti di disoccupazione percepiti dal lavoratore licenziato e poi reintegrato, in quanto quest’ultimo è obbligato alla loro restituzione, essendo venuto meno, con l’annullamento del licenziamento, il presupposto della mancanza di lavoro alla cui esistenza è subordinato il diritto alle prestazioni di disoccupazione. Stesso discorso vale ovviamente, per i trattamenti pensionistici, anch’essi ancorati al presupposto della mancanza di lavoro215. Si conclude l’analisi del contributo della giurisprudenza in tema di tutela previdenziale, esaminando gli ultimi approdi inerenti il procedimento amministrativo o giudiziale per ottenere, su istanza del lavoratore, il riconoscimento del diritto al trattamento. La domanda amministrativa è soggetta ai termini di decadenza fissati ex lege; nel caso dell’indennità di mobilità, le Sezioni Unite216 ritengono che debba osservarsi il termine prescritto per il trattamento di disoccupazione, in forza del richiamo operato dall’art. 7, comma 2, l. n. 223/1991; in caso di plurime prestazioni, debbono presentarsi, nei termini, distinte domande; per fare un esempio, nel caso dei lavoratori agricoli, la presentazione della domanda amministrativa per il pagamento del trattamento ordinario non è idonea ad evitare la decadenza dal diritto per il pagamento del trattamento speciale. In caso di rifiuto della prestazione, e di rigetto (o mancata pronuncia) del successivo ricorso in via amministrativa, la domanda giudiziale va presentata al giudice ordinario217 entro un anno dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell'Istituto Previdenziale218. Con riferimento invece alla fase antecedente all’ammissione dell’azienda richiedente al trattamento integrativo, le Sezioni Unite ritengono che la giurisdizione spetti al giudice amministrativo, poiché l’attività procedimentale prodromica al predetto provvedimento rientra nel campo della discrezionalità amministrativa e non tecnica219. Analoga 214 Cass. 1 dicembre 2008, n. 28517. V. Garofalo R., Tutela previdenziale, proposizione dell’azione giudiziaria e risarcimento del danno, nota a Cass. 23 gennaio 2009, n. 1707, in L.G., 2009, 589 ss. 216 Cass. S.U. 6 dicembre 2002, n. 17389, in Giust. Civ. Mass., 2002, 2137. 217 Cass. S.U. 10 agosto 2005, n. 16780, in Giust. Civ. Mass., 2005, 6. 218 Cass. 11 aprile 2008, n. 9560, in Giust. Civ. Mass., 2008, 4, 568; Cass. 6 marzo 2004, n. 4636, ibidem, 2004, 3. 219 Cass. S.U. 11 aprile 2006, n. 8376, secondo cui «Sia in materia di CIGS, che di CIGO, vi è discrezionalità amministrativa e non tecnica della p.a. nell’adozione del provvedimento di ammissione dell’azienda richiedente il trattamento integrativo salariale. Pertanto, fino all’adozione del provvedimento di ammissione alla CIGS o alla CIGO, l’azienda si trova nella posizione di interesse legittimo e la competenza nel caso di mancata concessione è del TAR e non dell’A.G.O. Ciò vale anche nel caso in cui il mancato riconoscimento della CIGO sia dipeso da un errato inquadramento dell’azienda da parte dell’INPS, la cui delibazione invece è di competenza del giudice specializzato». Contra, Cons. Stato, sez. VI, 8 settembre 2009, n. 5251, in Foro amm. CDS, 2009, 9, 2071, che conferma Tar Abruzzo, Pescara, 6 marzo 2004 n. 242, secondo cui in applicazione di generali principi, l'Amministrazione ha il compito di vagliare in concreto la sussistenza dei criteri di valutazione (nonché la rilevanza ai fini dell'ammissione agli interventi di Cigs) attraverso un esercizio di discrezionalità tecnica che potrà essere fatta oggetto di censure in sede giurisdizionale solo in caso di palesi travisamenti in fatto ovvero di valutazioni inattendibili. 215 45 conclusione è stata raggiunta dai giudici di legittimità qualora, dopo l’adozione del provvedimento di ammissione dell'impresa alla CIG, intervengano atti amministrativi di annullamento o di revoca di tale provvedimento, trattandosi di atti che sono espressione del potere discrezionale esercitato dall'Amministrazione nell'ambito della tutela dell'interesse pubblico ad essa affidato, con la conseguenza che posizioni di diritto soggettivo nascenti, a favore dei privati, dal provvedimento di ammissione dell'impresa alla CIG degradano, di nuovo, a posizioni di interesse legittimo220. Non sussiste, invece, la giurisdizione del giudice amministrativo laddove non sia in discussione la valutazione discrezionale dell'amministrazione in ordine all'ammissione dell'azienda alla CIGS, ma il diritto di un dipendente della stessa a goderne, avuto riguardo alle condizioni che la legge impone, id est, al comprovato impegno del lavoratore nei progetti di lavoro socialmente utili221. Al termine di questa disamina si può rispondere alla domanda di quale sia l’obiettivo della giurisprudenza in questo specifico ambito, sostenendo che essa si muove tendenzialmente nell’ottica di un contenimento della spesa pubblica222. Pare emblematico, a tale riguardo, l’orientamento di cui si è detto, inerente la decadenza dall’indennità di mobilità ex art. 8, comma 5, della l. n. 160/1988, così come quello relativo al computo dell’indennità di mobilità in ragione dei singoli giorni non lavorati, e non già su base mensile223, o ancora, l’orientamento maggioritario che esclude la rivalutazione automatica dell’indennità di mobilità. 11. La ricollocazione nel mercato del lavoro. Trattando di quest’ultimo profilo, ci si chiede quale sia la finalità principale degli strumenti di ricollocazione approntati dall’ordinamento. Il primo aspetto da esaminare riguarda la conservazione e la perdita dello stato di disoccupazione. È noto che il 220 Cass. 16 novembre 2009, n. 24194, in Diritto & Giustizia, 2009. Cfr. TAR Calabria , Reggio Calabria, sez. I, 20 maggio 2009, n. 336, in Foro amm. TAR, 2009, 5, 1589. 222 In linea, sostanzialmente, con l’orientamento tendenziale della Corte Costituzionale, cfr. D’Onghia, La giustizia costituzionale in materia di previdenza sociale: diritti sociali ed equilibrio finanziario, in DLRI, 2000, 81 ss. 223 Cass. 14 gennaio 2010, n. 507, in D&G, 2010, stabilisce che l'indennità di mobilità, pur essendo determinata, alla stregua della disciplina dell'indennità di disoccupazione, su base giornaliera, deve essere corrisposta con cadenza mensile, attese le peculiarità della relativa disciplina che si riferisce ad una ripartizione in mesi con riguardo alla durata massima del trattamento (dodici mesi, prorogabili in relazione a fasce di età o aree territoriali e suddivisibile in due periodi, pure indicati in mesi), alla commisurazione della misura della prestazione (sulla base dell'integrazione salariale spettante, determinata per ogni mese ai sensi della l. n. 427/80), alla possibilità di sospensione e cumulo con i redditi da lavoro nel caso di svolgimento di una attività lavorativa (prevedendosi, ai sensi dell'art. 9, comma 5, l. 223/91, in caso di nuova occupazione con retribuzione inferiore a quella di provenienza, la corresponsione di un assegno mensile per la differenza), nonché alla detraibilità delle mensilità già godute nel caso di erogazione in conto capitale per i lavoratori che intraprendono una attività autonoma o in cooperativa, risolvendosi, per questo aspetto, in una regolamentazione specifica che rende inapplicabile, in quanto incompatibile, il sistema di pagamento previsto per il trattamento di disoccupazione involontaria, fissato dall'art. 32 d.P.R. n. 818/57 in due scadenze, il giorno 15 e l'ultimo giorno del mese. La determinazione su base giornaliera dell’indennità di mobilità, nonostante il suo pagamento mensile, ha indotto Cass. 2 novembre 2009, n. 23149, in Red. Giust. civ. Mass., 2009, 11, a stabilire che, per il mese di febbraio, l'indennità spetta per i ventotto o ventinove giorni compresi in tale mese, mediante divisione per trenta dell'importo commisurato all'integrazione salariale e moltiplicazione del risultato per ventotto o per ventinove; né tale modalità di calcolo suscita dubbi di illegittimità costituzionale, per il fatto che il lavoratore in mobilità riceva in tale mese un trattamento mensilmente inferiore a quello che avrebbe ricevuto se fosse stato (o rimasto) in cassa integrazione, atteso che il trattamento garantito dalla legge non è quello che il lavoratore avrebbe ricevuto "in quel mese" se fosse stato in cassa integrazione, ma è costituito dall'indennizzo di ogni giorno di disoccupazione con riferimento all'importo mensile massimo dell'integrazione salariale "spettante nel periodo precedente la risoluzione del rapporto di lavoro". 221 46 legislatore ha definito con il d.lgs 181/2000, e successive modificazioni, i casi nei quali si perde lo stato di disoccupato. Tralasciando l’esame dei singoli casi, merita una segnalazione, considerando che è stata oggetto di una interessante pronuncia della Corte Costituzionale, la legge della Regione Puglia n. 4 del 9 febbraio 2006, che aveva previsto alcune ipotesi di conservazione dello stato di disoccupazione, in deroga alla disciplina nazionale, prima richiamata. La Presidenza del Consiglio ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in riferimento sia all’art. 117, comma 2, lett. o), Cost., che prevede la potestà legislativa esclusiva in materia di previdenza, sia all’art. 117, comma 3, Cost., sulla potestà normativa concorrente, che affida al legislatore nazionale la competenza a fissare i principi fondamentali in materia di tutela e sicurezza del lavoro. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 268 del 13 luglio 2007, ha dichiarato l’incostituzionalità della l.r. Puglia n. 4/06 per contrasto con l’art. 117, comma 3, Cost. mentre ha respinto il ricorso in relazione al primo profilo. Questa pronuncia, dunque, iscrive la materia di cui ci occupiamo nella competenza concorrente ex art. 117, comma 3, Cost. Uno dei principali strumenti per la ricollocazione del lavoratore in mobilità è l’anticipazione, prevista dall’art. 7, comma 5, l. n. 223/1991, a mente del quale l'indennità di mobilità può essere anticipata ai lavoratori che ne facciano richiesta, al fine di intraprendere una attività lavorativa autonoma, e ciò, nell’ottica di indirizzare il più possibile il disoccupato in mobilità verso attività autonome, così da ridurre la pressione sul mercato del lavoro subordinato. L’indennità di mobilità, liquidata una tantum, perde la sua connotazione di tipica prestazione di sicurezza sociale, configurandosi non già come funzionale a sopperire ad uno stato di bisogno, ma come un contributo finanziario, destinato a fronteggiare le spese iniziali di un'attività che il lavoratore in mobilità svolge in proprio224. Dalla ratio della norma ex art. 7 comma 5, la giurisprudenza ricava il principio di diritto secondo cui l'anticipazione dell’indennità non deve essere necessariamente richiesta prima dell'inizio dell'attività che si intende esercitare (non ravvisandosi nella legge una precisa indicazione in tal senso), ma può richiedersi anche dopo aver intrapreso la suddetta attività autonoma225. La legge 223/1991 prevede ulteriori benefici a sostegno del lavoratore disoccupato in mobilità che opti per un lavoro autonomo. Se, infatti, l'art. 9, comma 6, lett. a) prevede la cancellazione dalle liste di mobilità solo nel caso di assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato, mentre a mente dell'art. 8, comma 6, il lavoratore iscritto nelle liste di mobilità ha la facoltà di svolgere lavoro subordinato a tempo parziale, ovvero a tempo determinato, mantenendo l'iscrizione nella lista, non è prevista expressis verbis la cancellazione dalle liste di chi svolga lavoro autonomo. Dal silenzio della legge, parte della giurisprudenza desume l'intenzione del legislatore di attribuire l'indennità di mobilità a chi, dopo l'iscrizione nelle liste, abbia intrapreso attività di lavoro autonomo, restando in facoltà del lavoratore determinare la modalità temporale dell'erogazione, chiedendone la corresponsione anticipata, ovvero continuando a percepire l'indennità mensilmente.226 224 V. Cass. 25 maggio 2010, n. 12746, in Giust. civ. Mass., 2010, 5, 810, secondo cui il lavoratore, in caso di rioccupazione alle altrui dipendenze entro 24 mesi dalla corresponsione delle somme è tenuto alla loro restituzione. Più precisamente, in ipotesi di temporanea intervenuta rioccupazione quale lavoratore subordinato durante i ventiquattro mesi successivi all'erogazione dell'anticipazione, le somme percepite dal lavoratore devono essere restituite per intero, e non solo in proporzione alla durata di tale rioccupazione. 225 Cass. 28 gennaio 2004, n. 1587, in R.D.S.S., 2004, 823, con nota di Santini. 226 V. Cass. 1 aprile 2004, n. 6463, in Giust. Civ. Mass., 2004, 4. 47 L’orientamento contrario rimarca, invece. che la permanenza dell’iscrizione nelle liste di mobilità ex art. 6, l. n. 223/1991, non comporta, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla stessa legge, la compatibilità della indennità di mobilità con lo svolgimento di attività lavorativa subordinata o autonoma; vige infatti, al di fuori delle speciali ipotesi di cumulo, il regime delle incompatibilità previsto dalla normativa che disciplina l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria227. E’ noto, inoltre, che la legge del 1991 prevede una serie di benefici, sub art. 8, commi 2, 4 e 4 bis, destinati alle aziende che assumano lavoratori iscritti nelle liste di mobilità. Il diritto alle agevolazioni contributive va tuttavia escluso in caso di "assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell'impresa che assume"; ovvero ove sussista un "rapporto di collegamento o controllo" tra il nuovo datore di lavoro ed il precedente228. Al fine di evitare facili elusioni delle norme in commento, la Corte di Cassazione ha specificato che, in caso di costituzione di nuova azienda, spetti all’imprenditore, al fine di accedere ai predetti sgravi contributivi, provare che si tratti di un'impresa effettivamente nuova anziché di un'impresa solo derivata (sia pure parzialmente) da un'impresa preesistente, assumendo rilevanza determinante, a tali fini, sia la presenza di significativi elementi di permanenza della preesistente struttura aziendale (o di parte di essa o comunque di elementi aziendali funzionalmente collegati), sia la sussistenza di una sostanziale continuità nell'esercizio dell'impresa229 La Cassazione ha, inoltre, univocamente osservato che il riconoscimento del diritto ad usufruire degli sgravi contributivi presuppone che venga accertato che la situazione di esubero del personale posto in mobilità sia effettivamente sussistente e che l'assunzione di detto personale da parte di una nuova impresa risponda a reali esigenze economiche e non concretizzi invece condotte elusive degli scopi legislativi finalizzate al solo godimento degli incentivi, mediante fittizie e preordinate interruzioni dei rapporti lavorativi230. Sulla scorta di tale principio, la Cassazione ha ritenuto, ad esempio, che ove l'azienda abbia continuato o riprenda ad operare, la prosecuzione (o la riattivazione) del rapporto di lavoro presso il datore di lavoro subentrante costituisce non la manifestazione di una libera opzione del datore di lavoro, ma l'effetto di un preciso obbligo previsto dall’art. 2112 c.c., il cui adempimento non giustifica l'attribuzione dei benefici contributivi in oggetto, non traducendosi in un reale incremento occupazionale231. La giurisprudenza ha poi ritenuto di includere, tra le ragioni ostative al godimento degli sgravi, la sussistenza di rapporti tra imprese, che si traducano in condotte costanti e coordinate di collaborazione e di comune agire sul mercato, in ragione di un comune 227 Cass. 1 settembre 2003, n. 12757, in O.G.L., 2003, 973; in applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso che l'inizio di un'attività lavorativa autonoma, non accompagnata dalla percezione della indennità in unica soluzione, comportasse la cancellazione dalle liste di mobilità, ma non aveva considerato la tassatività delle ipotesi di cumulabilità della indennità di mobilità con un reddito di lavoro subordinato o autonomo. 228 V. Trib. Vicenza 2 dicembre 2008, n. 326 (in Guida al lav., 2009, n. 17, 53 ss.), secondo cui i benefici ex art. 8, vanno esclusi qualora sia accertata la mera compartecipazione tra la società che assume e l’azienda che ha collocato il lavoratore in mobilità anche se tale compartecipazione sia di minoranza. 229 Cass. 27 febbraio 2004, n. 4064, in Giust. Civ. Mass., 2004, 4. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva negato il beneficio, avendo accertato che tra l'impresa individuale preesistente e la nuova società vi era un rapporto di derivazione e che non vi era stato alcun incremento occupazionale a seguito della nascita di una nuova azienda, ma solo un passaggio di lavoratori dall'imprenditore individuale). V. anche Cass. 9 marzo 2007, n. 5554. 230 Cass. 3 novembre 2008, n. 26391; in senso conforme, Cass. 3 agosto 2007, n. 17071, in Giust. Civ. Mass., 2007, 7-8; Cass. 4 luglio 2007, n. 15041, ibidem; Cass. 20 gennaio 2005, n. 1113; Cass. 22 gennaio 2004, n. 1112, in Giust. Civ. Mass., 2004, 1; Cass. 28 ottobre 2002, n. 15207, ibidem, 2002, 1852. 231 Cass. 3 novembre 2008, n. 26391. 48 nucleo proprietario o di costanti legami di interessi (di coniugio, di parentela, di affinità o di collaudata e consolidata amicizia tra soci, ecc.)232. Un ulteriore strumento per facilitare la ricollocazione dei lavoratori in mobilità è quello previsto dall'art. 15, comma 6, l. n. 264/1949 e successive modifiche, mediante la previsione, ai fini del collocamento, del diritto di precedenza in capo a tale categoria di lavoratori nell’assunzione presso la medesima azienda, che nei sei mesi successivi al licenziamento proceda a nuove assunzioni per le mansioni dei lavoratori licenziati. La giurisprudenza, dapprima restia a configurare un diritto soggettivo alla precedenza nell'assunzione, oggi invece non nutre alcun dubbio su tale qualificazione dell’interesse tutelato.233 Del resto, nella fattispecie deve farsi applicazione dell'art. 8, l. n. 223/1991, il cui disposto non consente ulteriori dubbi, dal momento che il comma 4 contiene il riferimento ad un vero e proprio obbligo del datore di lavoro in relazione al diritto di precedenza attribuito ai lavoratori in mobilità del comma 1 della stessa disposizione. Tale diritto di precedenza opera, secondo la giurisprudenza, a prescindere dalla tipologia contrattuale della programmata assunzione, e quindi anche nel caso di contratti a termine234. Effettivamente, le fonti legislative sul diritto di precedenza non sembrano autorizzare alcuna lettura restrittiva. Un ulteriore aspetto che merita un cenno, è quello delle conseguenze derivanti dall’inadempimento da parte del datore di lavoro dell’obbligo di assicurare la precedenza. La Suprema Corte fa in questo caso applicazione dei principi generali validi per l'istituto della prelazione negoziale obbligatoria (ancorché di fonte legale), sicché dall'inadempimento del datore di lavoro, che diviene definitivo con l'assunzione di soggetti diversi, non può che scaturire il diritto al risarcimento del danno, in favore dei lavoratori pretermessi235. In conclusione, si può dire che l’approccio della giurisprudenza agli strumenti di ricollocazione nel mercato del lavoro pare in linea con la duplice finalità che ha animato il legislatore: da un lato, agevolare il transito dei disoccupati in mobilità verso il mercato del lavoro autonomo, al fine di ridurre la pressione su quello del lavoro subordinato, dall’altro lato, contrastare ogni utilizzo fraudolento di tali incentivi, in linea con la stessa finalità antielusiva che anima il disposto dell’art. 8, comma 4-bis, l. n. 223/1991. 232 Cass. 25 luglio 2008, n. 20499, in Giust. Civ. Mass., 2008, 7-8, 1212; Cass. 20 aprile 2006, n. 9224, ibidem, 2006, 4; Cass. 22 gennaio 2004, n. 1112, cit.; Cass. 28 ottobre 2002, n. 15207, cit. 233 Cass. 5 maggio 2001, n. 6315, in Inf. Prev., 2001, 1034; Cass. 19 febbraio 2000, n. 1943 e 8 febbraio 2000, n. 1410, in M.G.L., 2000, 663, entrambe con nota di Maretti; Cass. 7 maggio 1997, n. 4008, in Giust. Civ. Mass., 1997, 697; Cass. 24 gennaio 1997, n. 723, in M.G.L., 1997, 424, con nota di Maretti. 234 Cass. 14 dicembre 2001, n. 15820, in Giust. Civ. Mass., 2001, 2156. 235 Cfr. Cass. 7 maggio 1997, n. 4008, in Giust. Civ. Mass., 1997, 697. 49