LA CHIESA, CASA DI RELAZIONI Rosanna Virgili Vorrei presentarvi
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LA CHIESA, CASA DI RELAZIONI Rosanna Virgili Vorrei presentarvi
Centro Nazareth Roma - Corso sposi 29 gennaio/1 febbraio 2015 LA CHIESA, CASA DI RELAZIONI Rosanna Virgili (Trascrizione dalla registrazione non rivista dall’autore) Vorrei presentarvi quattro quadretti di casa-chiesa. Prima c’è casa; perché? La parola chiesa deriva dal latino ecclesia e significa assemblea; all’inizio l’assemblea si riuniva nelle case; il primo nome della chiesa nel Nuovo Testamento è casa. Gli ebrei avevano il tempio; all’inizio del Vangelo di Luca leggiamo che l’angelo Gabriele va prima nel tempio: aveva portato a Zaccaria un messaggio da parte di Dio, ma il sacerdote non crede ed esce muto dal tempio. Allora l’angelo va in una casa. Da Gerusalemme, città santa, dove c’era il tempio, luogo sacro e incontaminato, a Nazareth, in Galilea, regione impura e contaminata, regione di pubblicani, di prostitute e di stranieri. Dal tempio in una casa. La casa è un luogo laico; in quella casa c’è una ragazza, sposata, ma le nozze non sono state ancora consumate. Nel mondo antico una donna, quando non aveva figli, non aveva alcuna autorità: o era madre, oppure poteva essere una profetessa, e questo le conferiva una certa autorevolezza e dignità. Ma Maria non è né questo né quello; è una ragazza ordinaria, normalissima, che vive in una casa, che è però meta del volo dell’angelo che viene dal tempio. Quindi questa casa di Maria diventa simbolicamente la chiesa. Luca è autore del terzo Vangelo e del libro degli Atti degli Apostoli: immaginiamo la sua opera come un dittico. La storia della nostra fede inizia nel tempio con l’annuncio dell’angelo Gabriele a Zaccaria e il libro degli Atti finisce a Roma, in un piccolo appartamento preso in affitto da Paolo, che aspettava di essere giudicato dal tribunale romano. Paolo era agli arresti domiciliari a causa del vangelo, accusato dagli ebrei di sostenere che esiste la resurrezione dei morti: il cuore dell’annuncio cristiano non veniva accettato. La sua prigionia non gli impediva di annunciare il Vangelo e una comunità si riuniva in questo piccolo appartamento. Questa è la chiesa: un’uscita dai luoghi sacri. La Chiesa nasce nella casa. Il primo quadro lo trarremo dalle parole che Paolo rivolge a Timoteo (2Tm 1, 1-5): “1Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, per annunziare la promessa della vita in Cristo Gesù, 2al diletto figlio Timoteo: grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e di Gesù Cristo Signore nostro”. 1 “Paolo, (…) al diletto figlio Timoteo”: Paolo non ha figli, Timoteo non è figlio suo nella carne. Dobbiamo imparare una nuova grammatica e un nuovo dizionario, non nel senso delle parole, ma nel loro significato: la Chiesa, infatti, assume tutte le parole che descrivono la famiglia e la casa e le riempie di un significato più esteso, nuovo, diverso. Quando Paolo dice “al diletto figlio Timoteo”, noi non dobbiamo pensare che avesse un figlio, ma che parlasse di un rapporto nuovo con Timoteo, che per lui era come un figlio. Le parole disponibili erano quelle che riguardavano i legami familiari, e quelle si utilizzavano per esprimere un legame molto più forte. La Chiesa primitiva si è costituita prima come una casa, quindi laica, poi come un luogo dove i legami sono più forti dei legami del sangue. Questo è il problema di noi famiglie cattoliche, perché non è facile uscire da una concezione di sangue della famiglia. Ma è qui il passaggio: il sacramento non ci lega nel sangue, ma nella Chiesa; noi siamo sposati nell’amore di Cristo per la Chiesa e questo lo dobbiamo insegnare ai nostri figli. “Paolo, apostolo di Cristo Gesù”: come dire, il fondamento di questa casa è Gesù e quindi io, come apostolo di Cristo Gesù, per volontà di Dio, per annunciare la promessa della vita, io prometto la vita; quindi io sono un genitore. Ecco chi è il genitore: colui che è radicato nella vita, in quest’albero della vita che è Cristo, e porta la promessa della vita. I nostri figli sono loro stessi la promessa della vita e noi consegniamo ad essi il loro essere promessa, così come noi l’abbiamo ricevuta e fondata in Cristo. Paolo quindi può chiamare Timoteo “amato figlio”, perché lui porta la promessa della vita e ogni volta la rinnova. “…grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e di Gesù Cristo Signore nostro”: i genitori sono canali di vita, non sono la fonte della vita. La vita, la pace, la misericordia vengono da Dio. Dobbiamo pregare perché diventiamo canali di grazia, di pace, di misericordia. “3Ringrazio Dio, che io servo con coscienza pura come i miei antenati, …”: la famiglia non è un frammento. Paolo porta quello che i suoi antenati gli hanno insegnato (i suoi antenati non sono suo padre e sua madre, ma sono quelli da cui ha ricevuto questo messaggio). “… ricordandomi sempre di te nelle mie preghiere, notte e giorno;”: questa è la comunione dei santi. Anche se ognuno di noi tornerà a casa, ricorderà l’altro nella preghiera. Tu fai parte della mia vita: ecco il legame che si crea nella comunione dentro la chiesa tra Paolo e Timoteo. Nella casa, che è la Chiesa, il sangue è la comunione. “4mi tornano alla mente le tue lacrime e sento la nostalgia di rivederti per essere pieno di gioia”: le lacrime sono il luogo della sofferenza, dell’impotenza, il segno della debolezza, il cuore là dove ci siamo amati. La nostalgia è dolore del ritorno, il desiderio di tornare dove c’è l’intimità; non importa se non abbiamo lo stesso sangue, importano i legami del cuore. “5Mi ricordo della tua fede schietta”: la fede schietta si ha quando due persone guardano nella stessa direzione, anche se poi vivono in tante direzioni. Questa è la fede ideale: credere in quest’amore, che è memoria e futuro allo stesso tempo; credere che si possa vivere un amore incondizionato, che non dipende da nessuna prestazione. Talvolta tante nostre famiglie possono essere un luogo dove c’è un condizionamento, che può essere tacito. “Io faccio questo per te, 2 tu devi fare questo per me”: questa è la logica che cancella la fede, perché è la logica della prestazione. Qualche volta si maschera di virtù e crea una schiavitù, perché più noi abbiamo il bisogno di fare (anche per i nostri figli) più accumuliamo crediti. La fede è credere che ci si possa amare aldilà di ogni prestazione, aldilà di ogni condizionamento, aldilà del fatto che siamo ebrei o che abbiamo la sapienza dei Greci (noi occidentali abbiamo un senso di superiorità). È credere che si possa costruire un mondo di fratelli aldilà di ogni muro e si possa far progredire la terra. Questa fede non viene da te, è una “fede che fu prima nella tua nonna Loide, poi in tua madre Eunice e ora, ne sono certo, anche in te”. Versetto importantissimo per noi famiglie, perché intreccia la famiglia della fede, degli antenati (per noi i catechisti, le comunità …), con la famiglia di sangue. Il secondo quadro si trova nel libro degli Atti, nella casa di Aquila e Priscilla (At 18, 1-5). “1Dopo questi fatti Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto. 2Qui trovò un Giudeo oriundo del Ponto, arrivato poco prima dall’Italia con la moglie Priscilla, in seguito all’ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei”. Paolo lascia Atene e si reca a Corinto; viene da una sconfitta: non è riuscito a convincere i filosofi di Atene, che non avevano creduto nella resurrezione del corpo (“ti ascolteremo un’altra volta”); Aquila e Priscilla sono cacciati dalla città dove vivevano da tanto tempo. E cosa fanno? Vanno ad abitare insieme. Questa casa si forma da due fallimenti, questa chiesa si forma da due viaggi, da due storie diverse, quella di Paolo e la storia di Aquila e Priscilla: sono persone che non hanno una casa. La Chiesa è la casa dove si trovano gli scarti della società, i respinti. In questa chiesa si forma un legame di fede e un legame esistenziale. “Paolo si recò da loro e 3poiché erano del medesimo mestiere, si stabilì nella loro casa e lavorava”. Il lavoro è la dimensione più laica, è questa la chiesa: il luogo dove arrivano gli scarti, ma dove si vive insieme lavorando. Il lavoro diventa un sacramento che nutre la comunità. “Erano infatti di mestiere fabbricatori di tende”. Non possiamo non pensare al valore teologico della tenda. La tenda è la prima casa di Dio (cfr. Es). Poi, quando gli ebrei vogliono a tutti i costi costruire un tempio (cfr. 2Sam), Dio dice: “Ma io non ho abitato in una casa da quando ho fatto uscire gli Israeliti dall’Egitto … sono andato vagando sotto una tenda … sono stato con te ovunque sei andato...”. La tenda significa che Dio è il Dio con noi; è il Dio che si abbassa, è il Dio che abita a casa nostra, che abita insieme con noi. La chiesa è il luogo dove la famiglia è ospite di Dio. Noi famiglie siamo fabbricatori di tende perché Dio ci abiti. “4Ogni sabato poi discuteva nella sinagoga e cercava di persuadere Giudei e Greci”: è l’attività di evangelizzazione. Paolo non sta a casa tutto il giorno, discute nella sinagoga. Anche noi famiglie cristiane siamo chiamate ad evangelizzare: se noi siamo chiesa, dobbiamo impegnarci nell’annuncio della Parola, dobbiamo, dobbiamo conoscere e rendere ragione della nostra fede a quanti incontriamo. 3 “5(…) Paolo si dedicò tutto alla predicazione”. Paolo era itinerante. Anche la famiglia cristiana deve avere una certa mobilità, che non vuol dire sempre lasciare la propria casa, ma piuttosto essere casa aperta. Il terzo quadro lo trarremo dal vangelo di Giovanni (Gv 12, 1-8). È una scena di casa, dove Gesù impara da una donna. Gesù a Nazareth aveva imparato nella sinagoga, ma anche la sua famiglia gli aveva insegnato tutta la Legge. Gesù ha imparato da qualcuno, anche la lavanda dei piedi. “1Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. 2E qui gli fecero una cena …” Altro elemento della famiglia è la tavola: casa e mensa. La donna è terra, casa e mensa. Chi fa servizio è la diaconessa Marta. Gesù si definisce diacono: reservo. È una famiglia: Marta, Lazzaro e Maria. “…Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento”: è il rito di una lavanda dei piedi. Quello che fa Maria è un gesto sponsale. Maria celebra le nozze sui piedi. I piedi sono il primo grande luogo dove si pratica l’ospitalità nel mondo antico, dove l’ospite era come Dio. Lavare e ungere i piedi significava dire all’ospite: Dio mi ha visitato. Con questo gesto Maria dice a Gesù: Tu sei il mio sposo. È un atto coniugale, è l’atto dell’alleanza. Con il matrimonio celebriamo le nozze di Dio con la Chiesa. Ecco perché la casa diventa la famiglia: il matrimonio è il primo sacramento della Chiesa. A un certo punto arriva Giuda, l’economo della prima comunità. “4Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo disse: Perché quest’olio profumato non è stato venduto per trecento denari per poi darli ai poveri? (…): Giuda è l’economo e ancora non ha fatto niente di male. La sua motivazione è buona: dare quel denaro ai poveri. E Gesù non è povero. La comunità di Gesù è chiesa. Chi è chiesa: Maria o Giuda? Maria che sciupa e che spreca o Giuda che si preoccupa dei poveri? Da una parte c’è sciupio, spreco, eccesso, dall’altra parte c’è razionalità. “7Gesù allora disse: Lasciala fare...”. Gesù si lascia ungere i piedi, si lascia amare, si lascia accarezzare da quel tutto. L’amore non si può interrompere, è infinità. L’amore non si può contare, non si può dividere, o è tutto o è niente. “8I poveri, infatti, li avete sempre con voi, ma non sempre avete me”. È giusto pensare ai poveri, ma è come se Gesù dicesse: perché io non posso essere un povero? Gesù nella sua comunità cerca di annoverarsi tra i poveri, perché chi non è povero non sperimenta l’amore. Solo il povero sperimenta l’amore. Questo è la Chiesa: un luogo in cui si spreca per l’altro, o tutto o niente. Giuda non è uscito da una mentalità che precede quella della fede e che è questa: Gesù non vale 300 denari, ne vale 10 volte meno e infatti venderà il suo corpo per 30 denari. Giuda non sbagliava dal punto di vista di un’economia mercantile: nel mercato ogni cosa ha un prezzo. Ma nella fede la vita non può essere computata: questa è l’economia della grazia. Nella gratuità non c’è prezzo: questo significa amare fino alla fine. 4 A casa, nella famiglia bisogna imparare la gratuità. Il quarto quadro si trova nel vangelo di Luca (Lc 1, 40-56): “41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!” Papa Francesco, nel messaggio del 23 gennaio per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, parla di famiglia e dice che la comunicazione è l’anima della fede. Il luogo della chiesa è proprio la famiglia, perché lì c’è un linguaggio del corpo. Elisabetta è incinta, ode il saluto, questo dall’orecchio arriva al grembo e il bambino sussulta. Il primo modo di comunicare è il sussulto. Giovanni già parla perché sussulta, parla perché ha ricevuto dall’orecchio della madre la voce di Maria. Il grembo è luogo di comunicazione. Il bambino che sta nel grembo di una donna che ascolta, il cui orecchio è aperto, è capace di sentire quello che viene dal di fuori e di rispondere con un sussulto. Elisabetta, da quell’ascolto, da quell’incontro con Maria fu piena di Spirito Santo. È una catena: Maria ascolta l’angelo, poi va di corsa da Elisabetta perché l’angelo le aveva detto che anche lei aspettava un figlio, ed Elisabetta fu piena di Spirito Santo. È tutto un intreccio. Le nostre famiglie si devono intrecciare altrimenti moriamo tutti, diventiamo dei cadaveri conservati. La comunicazione ci rende vasi comunicanti. Questa è la fede. La fede è il luogo dove l’amore è tutto, fino alla fine, dove i legami di sangue vengono vitalizzati dal volo dello Spirito. I legami di sangue ci esaltano, ma anche ci catturano, ci possono rendere schiavi. Lo Spirito è ciò che rende questo sangue, un sangue d’amore e di vita. 5