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Daily_News_n0._26_del_09.02.2016 - Studio Professionale Lorena

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Daily_News_n0._26_del_09.02.2016 - Studio Professionale Lorena
Le Daily News
N.26
del 09.02.2016
A cura di Fabio Carrirolo
Il riconoscimento delle perdite fiscali in sede di
accertamento
Le perdite fiscali delle imprese – che possono essere differenti rispetto a quelle civilistiche emergenti
nel conto economico dell’esercizio - assumono una valenza particolare in quanto concorrono in
negativo alla determinazione del reddito imponibile, ed entro certi limiti possono essere riportate nei
successivi periodi di imposta o compensate in una dimensione intersoggettiva [in seno al consolidato
fiscale, ovvero per effetto di operazioni straordinarie]. In seguito all’entrata in vigore del D.Lgs.
n.158/2015, che attua le previsioni della legge delega fiscale [L. n. 23/2014] in materia di sanzioni,
tutte le imprese acquistano in campo IRES la facoltà di scomputare le perdite dal maggior imponibile
ricostruito a seguito di accertamenti degli uffici fiscali, precedentemente riconosciuta solamente in
seno al regime di tassazione di gruppo.
Aspetti generali
Le perdite nel regime di impresa sono soggette, per quanto attiene ai soggetti IRES, ad
alcuni vincoli stabiliti, in via generale, dall’art. 84 del TUIR. In presenza di operazioni
straordinarie di fusione e scissione, l’art. 172, comma 7, e l’art. 173, comma 10, del
TUIR, prevedono che le perdite fiscalmente rilevanti sono deducibili solamente entro il
limite rappresentato dal patrimonio netto della società che le utilizza, nonché previa
effettuazione del c.d. test di vitalità.
Nell’ambito della tassazione di gruppo [consolidato fiscale], è preclusa la possibilità di
introdurre delle perdite di provenienza esterna o anteriori all’esercizio dell’opzione, e
devono essere pure applicati gli ordinari vincoli relativi a fusioni e scissioni, anche se tali
operazioni riguardano società appartenenti alla fiscal unit.
1
In applicazione dell'art. 25 del D.Lgs. 24.9.2015 n. 158 [c.d. decreto sanzioni], le perdite
pregresse possono ora essere utilizzate a scomputo del maggior reddito accertato dagli
uffici fiscali se le stesse risultano ancora disponibili.
Tale norma richiede che le perdite siano utilizzabili alla data di chiusura del periodo
d'imposta oggetto di rettifica [non rilevano quindi le perdite maturate in periodi
d'imposta successivi a quello accertato] e che esse non siano state già portate in
diminuzione di redditi dichiarati o accertati nei periodi di imposta successivi a quello
oggetto di accertamento.
A questi fini, dopo aver ricevuto l’avviso di accertamento, occorre produrre – entro i
termini per la proposizione del ricorso - un’istanza all’ufficio competente. La
presentazione dell'istanza sospende i termini di proposizione del ricorso per un periodo
di 60 giorni.
In caso di scomputo di perdite pregresse in sede di accertamento, la sanzione per
infedele dichiarazione si rende applicabile solamente se a seguito del rilievo emerge una
maggiore imposta accertata.
Come l’intero Titolo II del D.Lgs. n. 158/2015, l’art. 25 qui ripreso e commentato
sarebbe dovuto entrare in vigore il primo gennaio 2017 [art. 32, comma 1, D.Lgs. n.
158/2015]. L’intervento della legge di stabilità 2016 – art. 1, comma 133, L. 28
dicembre 2015, n. 208 – ne ha però anticipato la vigenza di un anno, al primo
gennaio dell’anno in corso.
Le perdite nel
regime di
impresa
Nell’ambito del sistema del reddito d’impresa, le perdite costituiscono componenti di
reddito negativi che a determinate condizioni risultano «spendibili» per ridurre o
azzerare l’imponibile. Esse rappresentano quindi, in un certo senso, un «bene fiscale»
che può essere gestito, amministrato o alienato dall’impresa, con fenomeni di utilizzo
all’interno di una situazione intersoggettiva che ha trovato la sua «codificazione» con
l’introduzione del regime della tassazione di gruppo.
La disposizione normativa generale di riferimento è costituita dall’art. 84 del TUIR, il cui
comma 1 stabilisce che:
 «la perdita di un periodo d'imposta, determinata con le stesse norme valevoli per la
determinazione del reddito, può essere computata in diminuzione del reddito dei
periodi d'imposta successivi in misura non superiore all'ottanta per cento del reddito
imponibile di ciascuno di essi e per l'intero importo che trova capienza in tale
ammontare. Per i soggetti che fruiscono di un regime di esenzione dell'utile la
perdita è riportabile per l'ammontare che eccede l'utile che non ha concorso alla
formazione del reddito negli esercizi precedenti. La perdita è diminuita dei proventi
esenti dall'imposta diversi da quelli di cui all' articolo 87, per la parte del loro
ammontare che eccede i componenti negativi non dedotti ai sensi dell'articolo 109,
comma 5. Detta differenza potrà tuttavia essere computata in diminuzione del
reddito complessivo in misura tale che l'imposta corrispondente al reddito imponibile
2
risulti compensata da eventuali crediti di imposta, ritenute alla fonte a titolo di
acconto, versamenti in acconto, e dalle eccedenze di cui all'articolo 80».
Il comma 2 dell’articolo si occupa di una tipologia di perdite «speciale», che non è
soggetta al vincolo dell’80% del reddito ed è comunque illimitatamente riportabile:
 «le perdite realizzate nei primi tre periodi d'imposta dalla data di costituzione
possono, con le modalità previste al comma 1, essere computate in diminuzione del
reddito complessivo dei periodi d'imposta successivi entro il limite del reddito
imponibile di ciascuno di essi e per l'intero importo che trova capienza nel reddito
imponibile di ciascuno di essi a condizione che si riferiscano ad una nuova attività
produttiva».
Ai sensi del comma 3 dell’articolo, le disposizioni sopra riportate «non si applicano nel
caso in cui la maggioranza delle partecipazioni aventi diritto di voto nelle assemblee
ordinarie del soggetto che riporta le perdite venga trasferita o comunque acquisita da
terzi, anche a titolo temporaneo e, inoltre, venga modificata l'attività principale in fatto
esercitata nei periodi d'imposta in cui le perdite sono state realizzate. La modifica
dell'attività assume rilevanza se interviene nel periodo d'imposta in corso al momento
del trasferimento od acquisizione ovvero nei due successivi od anteriori. La limitazione
non si applica qualora:
a) [lettera abrogata];
b) le partecipazioni siano relative a società che nel biennio precedente a quello di
trasferimento hanno avuto un numero di dipendenti mai inferiore alle dieci unità e per le
quali dal conto economico relativo all'esercizio precedente a quello di trasferimento
risultino un ammontare di ricavi e proventi dell'attività caratteristica, e un ammontare
delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all'articolo
2425 del codice civile, superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media degli
ultimi due esercizi anteriori. Al fine di disapplicare le disposizioni del presente comma il
contribuente interpella l'amministrazione ai sensi dell'articolo 11, comma 2, della legge
27 luglio 2000, n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente».
La disposizione del comma 3, che ricalca quella dell’art. 172, comma 7, del TUIR, in
materia di perdite nelle operazioni di fusione [e scissione, in virtù del rinvio contenuto
nell’art. 173, comma 10], può quindi essere oggetto di interpello disapplicativo secondo
le previsioni dell’art. 11, comma 2, dello Statuto del contribuente, come introdotto dal
D.Lgs. 24.9.2015, n. 156 in attuazione della delega fiscale del 2014 [L. 11.3.2014, n.
23].
In tale contesto ogni contribuente può interpellare «l'amministrazione finanziaria per la
disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi,
limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto
passivo altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, fornendo la dimostrazione che
3
nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi. Nei casi in cui non
sia stata resa risposta favorevole, resta comunque ferma la possibilità per il contribuente
di fornire la dimostrazione di cui al periodo precedente anche ai fini dell'accertamento in
sede amministrativa e contenziosa».
Ai sensi del comma 3 del medesimo art. 11, la risposta deve essere resa al contribuente
entro il termine di 120 giorni dalla proposizione del quesito.
Le perdite
nell’ambito del
consolidato
Attraverso il modello IPEC, emanato con provvedimento direttoriale del 29.10.2010, con
effetti decorrenti dal 1° gennaio 2011 le società aderenti al consolidato fiscale
sottoposte a controllo o accertamento possono richiedere all’Agenzia delle Entrate di
utilizzare le perdite disponibili portandole a scomputo dei maggiori imponibili accertati o
accertabili, sia ai fini degli accertamenti ordinari e con adesione, sia nel contesto delle
procedure di adesione agli inviti al contraddittorio e ai processi verbali di constatazione).
Esse devono a tal fine compilare il modello IPEC; la comunicazione deve essere
trasmessa per via telematica nei termini e con modalità variabili a seconda del tipo di
procedimento in atto [atto unico di rettifica; accertamento con adesione; adesione
all'invito al contraddittorio o al processo verbale di constatazione].
Il modello deve essere presentato dalla società consolidante intenzionata a fruire delle
perdite del consolidato a fronte delle rettifiche del reddito complessivo proprio di ciascun
soggetto che partecipa al consolidato.
La circolare 15.2.2011, n. 4/E si è espressa relativamente all'accertamento sul
consolidato fiscale, precisando tra l'altro che il legislatore ha inteso eliminare la
compensazione automatica del maggior reddito complessivo globale accertato con le
perdite del consolidato non utilizzate, come disciplinata dall'abrogato comma 2 dell'art. 9
del D.M. 9.6.2004. Occorre, infatti, presentare a tal fine un'apposita istanza, che
sospende il termine per l'impugnazione dell'atto, sia per la consolidata sia per la
consolidante, per un periodo di 60 giorni. Entro i successivi 60 giorni dalla presentazione
dell'istanza, l'ufficio fiscale – previo riscontro dell'utilizzabilità delle perdite – procede al
ricalcolo dell'eventuale maggiore imposta dovuta, degli interessi e delle sanzioni
correlate, e comunica l'esito alla consolidata ed alla consolidante.
Le disposizioni
del 2015
Secondo quanto previsto dall’art. 25, comma 1, del D.Lgs. n. 158/2015, vigente dal
primo gennaio 20161, l’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973 è innovato con l’aggiunta di un
nuovo comma 4, ai sensi del quale, fatte salve le previsioni dell’art. 40-bis [relativo
all’accertamento del consolidato, per il quale si rendono applicabili le regole di
compensazione viste sopra]:
1 Con riferimento ai periodi di imposta per i quali a tale data sono ancora pendenti i termini per l’attività di
accertamento: cfr. il comma 5 del medesimo art. 25 in rassegna.
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 «sono computate in diminuzione dei maggiori imponibili di cui al secondo comma le
perdite relative al periodo d'imposta oggetto di accertamento, fino a concorrenza del
loro importo. Dai maggiori imponibili che residuano dall'eventuale computo in
diminuzione di cui al periodo precedente, il contribuente ha facoltà di chiedere che
siano computate in diminuzione le perdite pregresse non utilizzate, fino a
concorrenza del loro importo. A tal fine, il contribuente deve presentare un'apposita
istanza all'ufficio competente all'emissione dell'avviso di accertamento di cui al
secondo comma, entro il termine di proposizione del ricorso. In tale caso il termine
per l'impugnazione dell'atto è sospeso per un periodo di sessanta giorni. L'ufficio
procede al ricalcolo dell'eventuale maggiore imposta dovuta, degli interessi e delle
sanzioni correlate, e comunica l'esito al contribuente, entro sessanta giorni dalla
presentazione dell'istanza. Ai fini del presente comma per perdite pregresse devono
intendersi quelle che erano utilizzabili alla data di chiusura del periodo d'imposta
oggetto di accertamento ai sensi dell'articolo 8 e dell'articolo 84 del decreto del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917».
Analoga possibilità è offerta in sede di accertamento con adesione, mediante
l’inserimento del nuovo comma 1-ter dell’art. 7 del D.Lgs. n. 218/1997, il quale stabilisce
che:
 «fatte salve le previsioni di cui all'articolo 9-bis del presente decreto [simile all’art.
40-bis del D.P.R. n. 600/1973 perché riguardante lo scomputo delle perdite nelle
adesioni in presenza di consolidato nazionale], il contribuente ha facoltà di chiedere
che siano computate in diminuzione dai maggiori imponibili le perdite di cui al
quarto comma dell'articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600, non utilizzate, fino a concorrenza del loro importo».
La liquidazione delle imposte ai sensi dell’art. 36-bis è adeguata al nuovo contesto
normativo in quanto, per diretto intervento degli uffici procedenti, vengono ridotte le
perdite riportabili dai contribuenti nelle dichiarazioni dei redditi [in quanto siano già state
impiegate a scomputo dei maggiori imponibili in sede di accertamento o di adesione,
anche nell’ambito del consolidato fiscale]: si veda al riguardo il nuovo comma 3 del
richiamato art. 25 del decreto sanzioni.
Il comma 4 dell’art. 25 dispone che entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto
[22.10.2015] dovrà essere emanato il provvedimento attuativo del direttore dell’Agenzia
delle Entrate.
Alcune
spiegazioni
Qualche opportuno chiarimento in merito alla portata e alle modalità di funzionamento
del nuovo regime di scomputo delle perdite può ricavarsi dai dossier predisposti dagli
uffici studi parlamentari.
Ripercorrendo la formulazione delle nuove norme, è in essi precisato che:
 l'ufficio fiscale scomputa automaticamente dal maggiore imponibile accertato le
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perdite di periodo, cioè le perdite del periodo di imposta oggetto di accertamento
fino a concorrenza del loro importo;
 per quanto riguarda le perdite pregresse, ovvero le perdite maturate in periodi
d'imposta antecedenti a quello oggetto di accertamento, la disposizione prevede che
esse siano computate in diminuzione su richiesta del contribuente, che deve
presentare un'apposita istanza all'ufficio competente all'emissione dell'avviso di
accertamento entro il termine di proposizione del ricorso;
 dallo scomputo delle perdite discende la rideterminazione delle sanzioni per infedele
dichiarazione, le quali sono commisurate [ai sensi dell'art. 11 del D.Lgs. n.471/1997]
alla maggiore imposta che eventualmente residua dopo la rideterminazione dei
redditi nell'anno oggetto di accertamento;
 considerando anche la nuova definizione di «imposta evasa» nell’ambito del D.Lgs.n.
74/2000, operata dall’art. 1 dello stesso decreto sanzioni [per cui non si considera
imposta evasa quella teorica collegata sia a una rettifica in diminuzione di perdite
dell'esercizio sia all'utilizzo di perdite pregresse spettanti e utilizzabili], la disciplina in
esame comporta un minore ambito di applicazione dei reati tributari per i quali sono
previste delle soglie di punibilità collegate all’imposta evasa [soglie che peraltro sono
state elevate dal provvedimento in esame].
Secondo una criticità che era stata rilevata dalle Commissioni parlamentari interessate,
l’esistenza di una facoltà di chiedere che le perdite pregresse siano scomputate dai
maggiori imponibili accertati significa escludere l’esistenza di un diritto incondizionato
allo scomputo dei risultati reddituali di segno negativo, in contraddizione con le regole
desumibili dal sistema che impediscono al contribuente di scegliere il periodo di imposta
di impiego.
Sottolineano inoltre i dossier che l'art. 25 in rassegna si fonda, con alcune peculiarità,
sui principi relativi al computo in diminuzione delle perdite contenuti nella disciplina del
consolidato nazionale [art. 40-bis, D.P.R. n. 600/1973].
La scelta operata dal legislatore tiene in considerazione l'opportunità di dettare regole
uniformi per l'utilizzo delle perdite pregresse, con riferimento ai soggetti aderenti al
consolidato e ai soggetti che non vi partecipano.
Lo scomputo automatico previsto dal legislatore in sede di accertamento solo per le
perdite di periodo – e non anche per le perdite pregresse - ha lo scopo di ripristinare il
risultato di periodo che si sarebbe ottenuto se il contribuente avesse dichiarato
correttamente il proprio reddito. Ciò giustifica lo scomputo prioritario delle perdite di
periodo rispetto alle perdite pregresse, il cui utilizzo, invece, viene lasciato alla piena
facoltà del contribuente.
Riscontri
giurisprudenziali
Nonostante la normativa sanzionatoria sia incardinata sulla maggiore imposta derivante
dall’accertamento, la giurisprudenza di legittimità ha talvolta affermato che le sanzioni
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amministrative devono ritenersi applicabili in conseguenza del semplice scostamento tra
l’imponibile dichiarato e quello rettificato dall’ufficio.
È stata quindi richiamata la sentenza della Cassazione n. 13014 del 14.6.2011, secondo
la quale – appunto - le sanzioni di natura amministrativa vanno ricondotte al semplice
dato obiettivo della dichiarazione di un reddito inferiore, sicché le sanzioni sono dovute
a prescindere dal fatto che l’imposta, non dichiarata, venga poi effettivamente riscossa2.
A parere di chi scrive, dato che le perdite non vanno effettivamente a incidere su un
reddito imponibile dal quale generi una maggiore o minore imposta nel periodo, sarebbe
opportuno rinviare l’applicazione della sanzione al momento nel quale effettivamente
questa sia ricollegata alla materia imponibile recuperata a tassazione.
Nel contesto della normativa in esame, la facoltà di ridurre i maggiori imponibili accertati
utilizzando le perdite pregresse potrebbe essere intesa ampliativamente come facoltà
anche di incrementare le perdite parzialmente o totalmente disconosciute dall’ufficio in
un dato periodo di imposta, pur senza dar luogo ad alcun maggiore imponibile [ma
solamente, appunto, a minori perdite].
I periodi di
imposta
compresi
La normativa qui ripresa e commentata consente l’utilizzo delle perdite con riferimento a
tutti i periodi di imposta per i quali sono ancora pendenti i termini di accertamento
all’entrata in vigore del provvedimento [22.10.2015, ma, dato che la vigenza del Titolo
II – comprensivo dell’art. 25 del D.Lgs. n. 158/2015 – è fissata al primo gennaio 2016,
forse si dovrebbe far riferimento a tale ultima data].
Si osserva al riguardo che la disciplina dei termini di accertamento è stata oggetto di
revisione a opera della stessa legge di stabilità 2016, ma con decorrenza differita.
In via ordinaria, gli avvisi di accertamento ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, e
gli avvisi di rettifica ai fini dell’IVA, dovevano essere effettuati entro il 31dicembre del
quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione3.
Questo termine valeva per le ipotesi di infedele dichiarazione, cioè quando la
rappresentazione fornita dal contribuente nella dichiarazione fiscale era difforme rispetto
a quanto accertato dall'ufficio fiscale.
Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione
nulla (ai fini IRES-IRPEF/IRAP/IVA), l’avviso di accertamento poteva essere invece
notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione
avrebbe dovuto essere presentata.
2 Cfr. «Più certezza sullo scomputo delle perdite in accertamento», di Antonio Mastroberti [Il fisco n. 43 del
2015, pag. 1-4115]. E inoltre «Infedele dichiarazione: confermata anche se le imposte sono azzerate», di
Romina Morrone [FiscoOggi 7.4.2014].
3 Cfr., per le imposte sui redditi, l’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973, come modificato dal D.Lgs. 9.7.1997 n.
241, e per l’IVA l’art. 57 del D.P.R. n. 633/1972.
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Si riportano di seguito le disposizioni normative di riferimento in materia di ampliamento
dei termini concessi agli uffici per procedere ad accertamento fiscale, fino al recente
intervento della L. n. 208/2015.
Il raddoppio dei
termini
L’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 venne integrato a opera dall’art. 37, comma 24, del
D.L. n. 223/ 2006, convertito in L. n. 248/2006, con la previsione che, in caso di
violazione comportante l’obbligo di denuncia per reati tributari a norma dell’art. 331 del
c.p.p., i termini ordinari «sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è
stata commessa la violazione». L’identica previsione è stata inserita nel testo dell’art.
57, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972, relativamente ai termini valevoli in ambito
IVA.
Questa disposizione aveva il dichiarato fine di garantire all’amministrazione finanziaria, a
fronte di fattispecie che assumono rilevanza penale, l'utilizzabilità degli elementi
istruttori per un periodo di tempo più ampio rispetto a quello previsto a pena di
decadenza per l'accertamento.
In tali ipotesi l'amministrazione poteva notificare gli avvisi di accertamento:
 in caso di dichiarazione infedele, entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a
quello in cui è stata presentata la dichiarazione;
 in caso di omessa presentazione o di presentazione di dichiarazione nulla, fino al 31
dicembre del decimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto
essere presentata.
L'ampliamento dei termini valeva solamente per il periodo d’imposta in cui è stata
commessa la violazione penale, mentre non si estendeva ad altri periodi d'imposta, per i
quali continuavano ad applicarsi gli ordinari termini per l'accertamento.
I termini già
decorsi
La Corte Costituzionale era intervenuta in materia con la sentenza n. 247 del
25.7.2011, la quale sostanzialmente aveva chiarito che il raddoppio dei termini
conseguente alla presenza di violazioni penali doveva ritenersi legittimo anche se gli
elementi integranti il fumus di reato fossero emersi in un momento in cui gli ordinari
termini per l’accertamento erano già decaduti.
In forza di quanto disposto dall'art. 2 del D.Lgs. 5.8.2015, n. 128 [ «Modifiche alla
disciplina del raddoppio dei termini per l'accertamento»], con entrata in vigore il
2.9.2015, veniva in seguito escluso il raddoppio dei termini per le rettifiche in caso di
reato tributario se la denuncia da parte dell’amministrazione finanziaria era stata
presentata o trasmessa all'autorità giudiziaria oltre la scadenza ordinaria dei termini.
La norma richiamata esplicitava tuttavia che venivano fatti salvi gli effetti degli atti
impositivi notificati alla data di entrata in vigore del medesimo D.Lgs. n. 128/2015.
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Secondo quanto veniva posto in luce in dottrina4, l'innovazione normativa del 2015 si
poneva in aperto contrasto, superandolo, rispetto all'orientamento espresso dalla
Consulta con la citata sentenza n. 247/2011, la quale aveva ritenuto compresenti,
nell’ambito della disciplina sulla decadenza dell’azione impositiva, due termini autonomi
ed indipendenti: quello breve e quello lungo ab origine, a seconda dell’esistenza o meno
dell’obbligo di denuncia.
La novella legislativa chiariva invece che doveva ritenersi esistente un solo termine, che
poteva essere eventualmente prorogato [raddoppiato], ma solo prima della sua
consumazione.
La legge di
stabilità 2016
La legge di stabilità 2016 – art. 1, commi 131–132, L. 28.12.2015, n. 208 – ha
riformulato l’art. 57 del D.P.R. n. 633/1972 sull’IVA e l’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973
relativamente alle imposte sui redditi, modificando i termini per l’accertamento in
relazione alle diverse fattispecie.
I nuovi termini generali sono i seguenti, in relazione alle differenti ipotesi:
 dichiarazione infedele: 5 anni anziché 4 successivi a quello di presentazione della
dichiarazione [per il periodo di imposta 2010, con dichiarazione prodotta nel 2011,
ciò significa che l’accertamento può essere notificato entro il 31.12.2016];
 dichiarazione omessa o nulla: 7 anni anziché 5 decorrenti dall’anno in cui la
dichiarazione si sarebbe dovuta presentare.
Entro i termini previsti l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento
mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi
elementi da parte dell’Agenzia delle entrate.
I nuovi termini di accertamento si applicano agli atti impositivi relativi al periodo di
imposta in corso alla data del 31.12.2016 e ai periodi successivi; per i periodi di imposta
precedenti rimangono invece in vigore le disposizioni vigenti che prevedono la notifica
degli avvisi di accertamento entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in
cui è stata presentata la dichiarazione, ovvero - nei casi di omessa presentazione della
dichiarazione o della nullità della stessa - entro il 31 dicembre del quinto anno
successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto esser presentata.
Ciò significa che la concreta applicazione della disciplina in esame, con attinenza, nello
specifico, alla possibilità di impiegare le perdite a rettifica dei risultati accertati
dall’Agenzia delle Entrate, potrà aversi entro l’arco temporale più ampio solamente per
le perdite generatesi nel 2016 [in caso di dichiarazione infedele, le perdite di tale anno
potranno essere utilizzate in sede di accertamento fino al 31.12.2022 anziché fino al
4 Cfr. D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 - Profili di criticità e dubbi di opportunità nella revisione del raddoppio
dei termini, di Andrea Carinci e Dario Deotto (in “il fisco” n. 36 del 28 settembre 2015, pag. 3407)].
9
31.12.2021, in linea con il nuovo termine operante per la rettifica dell’imponibile da
parte degli uffici].
Sempre a partire dal periodo di imposta 2016, e quindi con effetto ampiamente differito,
è stata disposta l’abrogazione della norma che raddoppiava i termini per l’accertamento
in caso di violazione comportante l’obbligo di denuncia per reati tributari.
In sintesi, per poter verificare la possibilità da parte del fisco di procedere ad
accertamento, e conseguentemente la facoltà dei contribuenti di far ricorso alle perdite
di impresa per compensare i valori emergenti dalle rettifiche, è necessario orientarsi tra i
termini decadenziali, avendo ben presente che la linea di confine è rappresentata dal
periodo di imposta 2016. Se, ad esempio, la fattispecie ha rilevanza penale, il periodo di
imposta 2015 potrà essere oggetto di accertamento per 4 anni + 4 a partire dal periodo
di presentazione della dichiarazione, cioè fino al 31.12.2024.
Se, invece, la fattispecie è relativa al 2016, sempre in presenza di reato tributario,
l’accertamento potrà essere notificato solamente entro 5 anni a partire dal periodo di
imposta di presentazione della dichiarazione, cioè entro il 31.12.2022.
È tuttavia chiaro che anche la ricorrenza o meno delle ipotesi di reato dovrà essere
determinata alla luce delle nuove disposizioni del D.Lgs. n. 158/2015 [titolo I], sicché ciò
che era reato nel periodo di imposta 2015 potrebbe non esserlo più nel successivo
periodo di imposta 2016.
Copyright© La Lente sul Fisco
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