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foglia - Diesse Firenze
XV edizione
I Colloqui Fiorentini – Nihil Alienum
Giuseppe Ungaretti. “Quel nulla d’inesauribile segreto”
Firenze, Palazzo dei Congressi
25 - 27 febbraio 2016
MENZIONE SPECIALE D'ONORE
SEZIONE TESINA TRIENNIO
FOGLIE, SORELLE FOGLIE
Analisi delle occorrenze del termine “foglia” nella poesia di Ungaretti
Studente: Agnese Del Governatore
Classe V A
Scuola Liceo Scientifico "Marcello Malpighi" Bologna
Docente Referente Prof.ssa Maria Diodati
Motivazione: Al poeta basta un dettaglio da contemplare, per scrutare l'intero universo. Questa splendida
tesina partecipa del medesimo sguardo, ha la stessa concretezza e forza. Chi avrebbe mai potuto dire che una
fragile foglia sul ramo possa farci ripercorrere il cammino degli uomini, da Omero alle trincee della Prima
Guerra Mondiale, in un corpo a corpo con le sfumature, i singoli palpiti dell'animo di Ungaretti, quasi parola
per parola? Uno di quei lavori che fanno venir voglia di correre a rileggere Ungaretti, o ammirare un albero, e
ritrovarci se stessi.
E, al centro, in un campo di forza di correnti
distruttive ed esplosioni, il fragile, minuscolo
corpo umano.
W. Benjamin
Una foglia. Nasce o cade o sverna.1 Fragilità, che comprenda tutte le altre e che non ne dimentichi una:
la foglia. È l’uomo; è l’insieme di corpo, mente e cuore; di brandelli, mistero e pianti impietrati.2 La foglia è
l’uomo. Il sottile filo che li unisce è un barlume di poesia conquistata.3 Conquistata nell’improvvisa strada / di
guerra,4 quella dove l’uomo di pena5 si è ritrovato, dopo esservi stato sbattuto, spogliato d’ogni umanità, dove
ha coronato il cuore di troppe croci, e incontrato la morte in un compagno massacrato. Proprio in quella
strada, quando gli pareva cessasse ogni possibilità di capire, aveva capito, inesprimibilmente capito, troppo
capito. Nessuno sarà mai in grado di intendere la misteriosa fragilità umana senza confondersi perdersi e
annullarsi.6 Non annichilimento d’ogni angolo di realtà, ma di se stessi: la vita non mi è più.7 Foglia secca,
1
G. Ungaretti, Canzone, La Terra Promessa.
In un’autoesegesi del 1917 Ungaretti, riferendosi alla ritirata di Caporetto, scrive: “la ritirata ci ha ucciso il canto. Quando ci
scoppierà questo impietrato?”
3
G. Ungaretti, Ragioni di una poesia, Vita d’un uomo.
4
G. Ungaretti, Perché?, Il porto sepolto.
5
G. Ungaretti, Pellegrinaggio, Il porto sepolto.
6
G. Ungaretti, Ragioni di una poesia, Vita d’un uomo.
2
foglia accartocciata, sorella foglia. Ora sono consapevole della mia fragilità, ora, nudo davanti a me stesso, mi
sono riconosciuto / una docile fibra / dell’universo.8
Il percorso proposto parte dalla suggestione per una particolare immagine che ricorre nella poesia di
Ungaretti, legata all’occorrenza del termine “foglia”. Immagine e termine consacrati da tutta una tradizione
letteraria, ma usati in modo peculiare e pregnante dal poeta, come si tenterà di mostrare nell’analisi.
Antichissima la similitudine omerica che accosta la stirpe umana a quella delle foglie:
Come è la stirpe delle foglie, così è anche quella degli uomini.
Le foglie, alcune il vento ne versa a terra, altre il bosco
in rigoglio ne genera, quando giunge la stagione della primavera:
così una stirpe di uomini nasce, un'altra s'estingue.9
Ciò che emerge è la condizione precaria in cui l’uomo, la foglia, giacciono. È il vento a dominare le
foglie, la primavera a generarle. Lo stesso concetto sarà ripreso da Ungaretti nella poesia Soldati. La
condizione precaria delle foglie sugli alberi è la stessa in cui sta l’uomo sul Carso. La funzione generatrice della
primavera è assente in questa poesia, l’accento è posto sull’autunno. Non così in Fratelli, dove l’immagine
della foglia è associata, come si vedrà nell’analisi, all’idea di nascita, foglia appena nata.
Il lirico greco Mimnermo parla della giovinezza dell’uomo, che è come una foglia:
Come le foglie che fa germogliare la stagione di primavera
ricca di fiori, appena cominciano a crescere ai raggi del sole,
noi, simili ad esse, per un tempo brevissimo godiamo
i fiori della giovinezza, né il bene né il male conoscendo
dagli dèi. Oscure sono già vicine le Kere,
l'una avendo il termine della penosa vecchiaia,
l'altra della morte. Breve vita ha il frutto
della giovinezza, come la luce del sole che si irradia sulla terra.
E quando questa stagione è trascorsa,
subito allora è meglio la morte che vivere.10
Finché la foglia rimane attaccata ad un ramo gode, ma quando l’età della consapevolezza raggiunge
l’uomo, insieme con la coscienza della sua fragilità, subito allora è meglio la morte che vivere. Nessuna via di
scampo per l’uomo. Una volta che questi arde della consapevolezza della propria caducità, non può far altro
che desiderare di morire. Ungaretti canta lo stesso rimpianto per la gioventù nella poesia O notte. Anche qui
la giovinezza è l’età della dolcezza che, con l’incombere di dolorosi risvegli, si spegne, per celarsi dietro
oceanici silenzi: l’età adulta.
Il mio lavoro ha preso le mosse dall’approfondimento di antiche suggestioni, una lettura attenta di Vita
di un uomo, poi, mi ha permesso di andare a fondo nell’analisi di ogni poesia che contenesse il termine in
questione e di notare che questo ha una rilevanza umana e non solo poetica nel cuore di Ungaretti. Una volta
7
G. Ungaretti, Lontano, L’Allegria.
G. Ungaretti, I Fiumi, Il porto sepolto.
9
Il., VI, 146-149.
10
Mimnermo, fr. 8.
8
individuati i testi, è stato inevitabile compiere una selezione.11 Ho scelto di analizzare le poesie in cui il
termine “foglia” riveste un significato più urgente e decisivo ed ho provato poi a far dialogare tra loro i testi,
peraltro appartenenti a diverse raccolte dell’autore. Ne è nato un percorso, un filo che mi ha permesso di
accostare più da vicino la sensibilità di un uomo, di un poeta, di un incorreggibile generoso verso il suo
prossimo.12
1. Come sugli alberi le foglie: Soldati
SOLDATI
Bosco di Courton luglio 1918
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie
‘Si sta’. Condizione universale: tutti stanno allo stesso modo. Il soggetto cade a fine strofa, come foglia
d’autunno. Una presa di coscienza: ora è fragile. Una ‘confessione’: ora è foglia.
Una poesia, una similitudine. Brevità. Permette di racchiudere l’intero componimento nella più ancestrale
delle figure retoriche: la poesia è una similitudine. Il soggetto cade a fine verso, questo procedimento non ha
il fine di annichilirlo, piuttosto di rievocare il movimento della foglia: cadere, in autunno. Ed è proprio l’unico
suggerimento temporale, l’autunno. Le foglie d’autunno stanno in una condizione precaria: un moto lieve di
vento manterrà sui rami le più forti, le più fortunate, moti poco men lievi13 faranno giacere a terra le altre. Ma
l’autunno non è solo la stagione temuta dalle foglie: è la guerra. E la foglia non è solo la preda dell’autunno: è
l’uomo, in guerra. Il componimento è privo di richiami al titolo Soldati. È in questa assenza, in questo silenzio,
che emerge la presa di coscienza dell’uomo. Si sta come / d’autunno. C’è, misteriosamente, ciò che le foglie
non avranno mai, una presa di coscienza, una malinconica presa di coscienza, terribile al punto che il verbo
con il quale si apre il sipario della poesia reifica la condizione umana: ora è fragile. Sugli alberi / le foglie. Una
confessione, una definitiva rinuncia dell’uomo alla propria presunzione: ora è foglia. E a un uomo, che ora è
foglia, che ora è nulla, non resta che ricercare quel ramo che ancora lo tiene attaccato al tronco, alla vita.
Uomo che speri senza pace,14 l’inverno seguirà presto la focosa stagione, non restano che le parole a
sostentarti.
I quattro versi di Soldati sono la sintesi del percorso intrapreso nell’analisi delle occorrenze della parola
foglia. Perché la necessità di usare più e più volte lo stesso termine, a quale scopo? Il primo passaggio del
cammino che l’immagine della foglia fa nelle poesie di Ungaretti è suggerito proprio da quanto fin qui si è
provato a dire sul componimento. La tematica emergente, nel caso specifico di Soldati, è la precarietà della
11
Per completezza di analisi, si indicano di seguito i titoli delle poesie, contenute in Vita di un uomo, in cui ricorre il termine
“foglia”: Fratelli, Dolina notturna, Soldati (ne L’Allegria); O notte, Stelle, Dove la luce, La pietà, Canto quinto, Senza più peso (in
Sentimento del tempo); Giorno per giorno (ne Il Dolore); Canzone; Cori descrittivi di stati d’animo di Didone (ne La Terra Promessa);
Ultimi cori per la terra promessa (ne Il Taccuino del Vecchio).
12
G.Ungaretti, Da una lastra di deserto, Lettere dal fronte a Gherardo Marone, 19.9.1916.
13
G. Leopardi, La Ginestra.
14
G. Ungaretti, Ombra, Sentimento del Tempo.
vita in trincea, della vita dell’uomo. Non solo il topos della fragilità, piuttosto lo scoprirsi fragili, riconoscere la
propria condizione di precarietà: ‘si sta’. Questo, come si tenterà di esplicitare in seguito, non preclude una
positiva accettazione della caducità della vita, per quanto dolorosa.
2. Come una foglia accartocciata: Dolina notturna
DOLINA NOTTURNA
Napoli il 26 dicembre 1916
Il volto
di stanotte
è secco
come una
pergamena
Questo nomade
adunco
morbido di neve
si lascia
come una foglia
accartocciata
L’interminabile
tempo
mi adopera
come un
fruscio
‘Si lascia’. Paura primordiale dell’uomo: essere abbandonato. Fanciullo, adolescente, adulto, vecchio. Da paura
di essere abbandonati ad abbandonarsi. ’Si lascia / come una foglia / accartocciata’. Sentimento di abbandono
di chi ‘sta’.
Un climax ascendente di similitudini accompagna lo sgretolarsi d’ogni certezza. Il volto dell’uomo di
pena è una pergamena, ma, a dispetto del tempo, questo rimarrà intatto; è foglia accartocciata,15 ha perso
tutto il flusso vitale, ma è ancora capace di sopravvivere alle intemperie, ha ancora l’aggettivo ad sostentarla;
infine è un fruscio. Eccolo, un esile segno di vita destinato a concludersi in silenzio, quasi sul nascere. Il tempo
avvolge, come il vento le foglie, stimolando il fruscio, il soldato rattrappito, fino ad adoperarlo. Il suono, la
parola che suona, nascono dall’unione di due strumenti, vento e foglia, tempo e soldato. Il vento cerca la
foglia per dare segno della propria esistenza, allo stesso modo il tempo ha bisogno dell’uomo per essere. Qui
Ungaretti fa un passo avanti rispetto al si sta in cui si era scoperto vulnerabile: il distico che corona il
componimento, come un fruscio, è una richiesta di aiuto. Prima è una foglia sola, ora ha bisogno del vento. Un
15
L’immagine della foglia associata ad un aggettivo collegato nel senso ad ‘accartocciata’ ritorna in un’altra bella poesia del 1928, La
Pietà, in cui Ungaretti scrive: “o foglie secche, / Anima portata qua e là… (…) è folle e usata, l’anima.”
uomo, solo con la sua fragilità, ora ha bisogno di altro. La supplica è accentuata anche dalla presenza esplicita
dell’io dell’autore nell’ultima strofa: mi adopera. Quest’entità non si svela mai in tutto il componimento, se
non quando la similitudine si scioglie radicalmente: come un / fruscio. La prima identificazione non rimane
unità metrica intatta: uno spazio bianco spezza il verso come una / pergamena; nella seconda ancora qualcosa
si incrina: l’aggettivo diventa parola-verso come una foglia/ accartocciata; nella terza similitudine, al contrario
di quanto suggerirebbe la parola fruscio, regna il silenzio. Ecco lo sgretolarsi di ogni certezza, ecco la fragilità.
Se la prima poesia analizzata, Soldati, era metafora della presa di coscienza di Ungaretti, questa è
l’emblema del passo subito successivo nel cuore di un uomo: il sentimento di abbandono. La paura che trivella
la mente, la fragilità che la assorda, affievoliscono l’attaccamento alla vita, il distacco da sé stessi aumenta.
Un distacco che raggiunge l’apice nello scoprirsi soli, in un tempo interminabile; ma la solitudine non è ancora
l’accezione massima del sentimento, l’abbandonarsi lo è. Ecco che il verbo lascia, che in terza persona
nasconde l’entità poetica, gioca il ruolo determinante nel componimento: consapevolezza della caducità della
vita, unita all’abbandono. A questo punto, è inevitabile mettere a confronto il si sta da cui ha preso le mosse
la nostra analisi e il si lascia con cui prosegue. Entrambi verbi retti dal si, svelano due posizioni estremamente
diverse: il primo verbo, quello di Soldati, è indice di una passività davanti alla progressiva presa di coscienza
della precarietà dell’uomo e insieme, di una condizione universale, testimoniata dall’uso della forma
impersonale. L’altro, anche se è il verbo dell’abbandono, non ha più un valore passivo, piuttosto testimonia
una decisione, una volontà. Il poeta ha deciso di abbandonarsi, come suggerisce il coinvolgimento del
soggetto sotteso dall’uso dell’intransitivo pronominale.
3. Foglie, sorelle foglie: O notte
O NOTTE
1919
Dall’ampia ansia dell’alba
Svelata alberatura.
Dolorosi risvegli.
Foglie, sorelle foglie,
Vi ascolto nel lamento.
Autunni,
moribonde dolcezze.
O gioventù,
Passata è appena l’ora del distacco.
Cieli alti della gioventù,
Libero slancio.
E già sono deserto.
Perso in questa curva malinconia.
Ma la notte sperde le lontananze.
Oceanici silenzi,
astrali nidi d’illusione,
O notte.
‘Foglie, / vi ascolto nel lamento’. Ecco il rimpianto che risucchia ciò che un tempo era stato amabilissimo, un
‘libero slancio’ in quello che ora è il deserto di una ‘curva malinconia’. ‘Oceanici silenzi’ soggiogano l’animo:
ora sa quanto può essere fragile, l’uomo. E mentre guarda una pace passata, i pensieri tessono ‘nidi
d’illusione’. Ed è già notte.
Gioventù: con la presunzione d’essere onnipossenti, la spensieratezza di una mente vivace. Non ci sono
autunno o deserto quando vige gioventù. Non c’è foglia. L’ansia dell’alba, l’attesa fervida del giorno che nasce;
e poi dolorosi risvegli, ecco l’età adulta. Ecco l’uomo in ascoltazione accorata della sua fragilità. E subito
diventano care le foglie, sorelle foglie: di affine condizione, stessa caducità della vita, ne ascolta il lamento.
Sono sorelle del poeta, un’umanizzazione non banale: istituisce un legame prossimo a quello familiare, di
sangue. E, con lo stesso procedimento, il fruscio diventa lamento, ma il lamento è un carattere dell’uomo, non
della foglia, altra umanizzazione. E poi l’autunno, che si oppone all’alba iniziale, con i suoi colori simili a favole,
ma sempre prossimi a svanire: ecco le moribonde dolcezze. In questo ossimoro sembra scomparire il distacco
tra l’età primaverile e quella in cui il poeta si trova quando scrive. Questo è possibile grazie ai nidi d’illusione
che la mente è intenta a tessere durante l’ora della curva malinconia. Malinconia, dal greco mèlas, nero.
Notte, nera. L’incupirsi dell’animo trova il suo completamento nell’aggettivo curva. Lo sguardo della gioventù
invece è puntato verso l’alto: cieli alti, ansia dell’alba; l’età scivola via con il tempo e l’animo del poeta è già
deserto, più radicalmente ancora, è già curvo sulla propria fragilità: è perso in uno sguardo che non è più
disposto a sperare in un’alba nuova.
Come è facile desumere dalla tentata analisi della poesia O notte, un terzo passaggio che va sottolineato
nel nostro percorso è la tematica del rimpianto, o meglio del lamento. Se, dopo la presa di coscienza della
propria fragilità, Ungaretti aveva avvertito in Dolina notturna un sentimento di abbandono, ora ciò che si
compie nell’animo di quest’uomo è il rimpianto dell’età in cui la precarietà è assente; non in quanto non ci sia,
piuttosto in quanto la gioventù non è avvezza a prendere in considerazione la fragilità. La gioventù è ardere
d’inconsapevolezza. L’unico momento d’illusione che l’autore suggerisce è la notte, nella quale viene meno il
distacco tra le due età, passata e presente; purtroppo, però, la notte presto finisce e, ancora una volta, la
fragilità riemergerà.
4. Sei la donna che passa come una foglia: Canto quinto
CANTO QUINTO
1932
Hai chiuso gli occhi.
Nasce una notte
Piena di finte buche,
Di suoni morti
Come di sugheri
Di reti calate sull’acqua.
Le tue mani si fanno come un soffio
D’inviolabili lontananze,
Inafferrabili come le idee,
E l’equivoco della luna
E il dondolio, dolcissimi,
Se vuoi posarmele sugli occhi,
Toccano l’anima.
Sei la donna che passa
Come una foglia
E lasci sugli alberi un fuoco d’autunno.
‘Tutto al mondo passa,/ e quasi orma non lascia’. Cose ‘inafferrabili’ come il ‘tempo’. Il breve autunno che
prima dipingeva ‘focoso’ ogni ramo, in un ‘soffio’ lascia ora soltanto ‘inviolabili lontananze’.
Una poesia di complessa interpretazione, inserita in una sezione di Sentimento del tempo intitolata La morte
meditata. Nella prima parte, il poeta parla dell’arrivo inesorabile della morte, un arrivo silenzioso, in sordina.
Ho incentrato la mia analisi sui versi finali, di difficile interpretazione. Chi è la donna che passa come una
foglia? Faticoso stabilirlo. Eppure, gli ultimi versi hanno aperto in me giuste domande, e un’ipotesi di lettura.
Inevitabile innanzitutto il confronto con l’autore ottocentesco Giacomo Leopardi. Gli ultimi tre versi
della poesia ungarettiana sono imperniati sui verbi passa e lasci, come quelli celebri del poeta recanatese:
tutto al mondo passa, / e quasi orma non lascia.16 Negli ultimi tre versi il componimento si configura quasi
come una poesia d’amore. C’è una dissonanza grammaticale tra il verbo passa, che in terza persona si riferisce
proprio a donna, e lasci nell’ultimo verso. È in questo passaggio che l’entità del tu viene rivelata: il referente è
una donna? Lo sia oppure no, l’amore per lei, nella poesia, è visto con gli occhi della fragilità: persino la donna
è destinata a lasciare un fuoco, o un’orma, che, come il colore vivo delle foglie in autunno, perderà la sua forza
in breve tempo. Scaldano il cuore come un fuoco d’autunno e inaspettatamente scompaiono come le foglie:
sono le cose precarie della vita dell’uomo che accrescono la consapevolezza di una fragilità comune.
Se nella poesia O notte era l’io del poeta ad identificarsi con la foglia, con la fragilità, improvvisamente, in
Canto Quinto, ogni gocciola di universo è foglia. Il percorso che Ungaretti propone poeticamente altro non è
che la presa di coscienza di questo. L’intera poesia è l’emblema della fragilità: finché il poeta è curvo su se
stesso, come nella poesia O notte, è l’unico a vivere in uno stato precario, quando rivolge lo sguardo sulla
realtà, la fragilità diventa amaramente universale, come in Soldati. Ma se la caducità della vita non è propria
solamente della nostra essenza di uomini, ma tratto comune dell’esistenza di ogni creatura, a cosa vale un
cielo stellato?
5. Cadranno colle foglie al primo vento: Stelle
16
G. Leopardi, La sera del dì di festa
STELLE
1927
Tornano in alto ad ardere le favole.
Cadranno colle foglie al primo vento.
Ma venga un altro soffio,
Ritornerà scintillamento nuovo.
‘Favole’. La speranza in una vita di ‘liberi slanci’. La certezza di un finale non privo di ‘scintillamento’. E tornano
in cielo ad ardere le stelle.
Tornano: presente dell’istante; cadranno: un’oggettività nel futuro; venga: congiuntivo ottativo. I passi che i
tempi verbali compiono nella poesia Stelle sono gli stessi che l’uomo fa davanti al reale che torna, ancora una
volta, a dare speranza. Il presente dell’istante racconta quello che il poeta vede quando scrive, un presente
che come soggetto ha il reale; il futuro è un secondo passo compiuto: il poeta è certo di quello che sta
asserendo, di quello che avverrà; da ultimo il congiuntivo ottativo, il modo del desiderio, della speranza. Il
verbo venga svela una richiesta, e il ma che lo precede fa della richiesta un’implorazione. Dopo venga
compare di nuovo il verbo tornare, questa volta in un’accezione diversa, preceduto dal prefisso ri-: ecco la
speranza. Un’attenta analisi accorda un’importanza rilevante a questo verbo che, infatti, chiude il
componimento. Il valore che Ungaretti gli attribuisce completa il titolo della poesia: Stelle. Queste non sono
mai citate nel componimento: scintillamento è l’unica parola riconducibile ad esse. Danno ragione non solo
del verbo ritornerà, ma dell’intera poesia. Che cosa salva l’uomo dalla sua fragilità? La speranza. Questa però
non è sufficiente: l’uomo non può vivere di astrazione. Ci vuole la bellezza. Quella reale però, le stelle, ad
esempio.
Emerge un’ulteriore presa di coscienza da parte dell’autore nel percorso che si sta tentando di delineare.
Si è giunti quasi al termine di questo cammino: il tassello che mancava era proprio il riconoscimento di
qualcosa che va oltre la fragilità a cui tutto nell’universo è soggetto. Si chiama bellezza, si chiamano stelle.
Eterne, ferme e stabili, mentre l’uomo è precario, caduco e fragile, è foglia. La fragilità dell’uomo sta proprio
nel dimenticarsi continuamente di ciò che lo salva dalla sua condizione di vita, c’è bisogno di quell’inesauribile
segreto per il quale le stelle torneranno sempre. Uno scintillamento nuovo.
6. Foglia appena nata: Fratelli
FRATELLI
Mariano, 15 luglio 1916
Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell’aria spasimante
involontaria rivolta
dell’uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli
La versione scelta è l’ultima delle quattro rielaborazioni della poesia Fratelli e risale al 1969. A distanza di più
di cinquanta anni dalla prima stesura, l’autore sente, ancora, il bisogno di rimaneggiare il componimento,
come si fa con una questione rimasta in sospeso nell’animo. Per Ungaretti la poesia è “un dono. (…) o meglio,
essa è il frutto di un momento di grazia, cui non sia stata estranea (…) una paziente, disperata sollecitudine.”17
Sembra che il poeta desideri rimaneggiare il componimento, dopo tanti anni dalla prima stesura, per non
dimenticarsi ciò che aveva imparato in guerra: c’è un modo non scontato di guardare alla fragilità che, proprio
per questa sua natura, si è più propensi a dimenticare. La parola fratelli, nella poesia omonima, percorre un
iter. All’inizio è debole, è accompagnata dal punto di domanda, è un’ipotesi. La prima caratterizzazione che le
viene affidata è l’apposizione parola tremante. I due primi passaggi lasciano immaginare che la domanda, in
posizione iniziale, sia posta con un filo di voce, quasi balbettando. Ad accrescere la precarietà con cui la
domanda è posta contribuisce il buio della notte. A seguire, l’immagine analogica foglia appena nata, riferita
ancora al termine fratelli, enfatizza il concetto di fragilità: porta in sé tutta la novità, la tenerezza di qualcosa
che viene alla luce e vince il buio della notte, ma, insieme, denota anche la fragilità dell’uomo che è appena
stato concepito, appena nata; il sentimento di fratellanza è tenero e fragile come foglia. Nella prima versione,
Ungaretti sceglie il termine fogliolina. Già nella stesura del 1923 gli preferisce il più semplice foglia, che
elimina l’eccessivo patetismo della prima variante. L’analogia acquista nuova forza. C’è un ulteriore
passaggio. La terza apposizione del termine fratelli è involontaria rivolta. La parola rivolta capovolge la
situazione. Rivolta è, per eccellenza, parola della forza d’animo, parola di un uomo che davanti alla sua
caducità non sta, ma agisce. È involontaria: l’animo dell’autore si mette a nudo, è stanco di essere sottomesso
alla fragilità, stanco di essere paragonato ad una foglia, ora si vuole ribellare. E si ribella. Finalmente è
presente alla sua / fragilità, non si lascia / come una foglia / accartocciata, non ascolta più le sorelle foglie nel
lamento. Presente a se stesso ed al suo dolore, accoglie dentro di sé la presa di coscienza della caducità, il
sentimento di abbandono ad essa che subito l’aveva seguita, il rimpianto per una gioventù priva di debolezze,
la consapevolezza che la sua fragilità è fragilità di tutte le cose. Da parola tremante nella notte, a foglia
appena nata, ad involontaria, cioè umana, rivolta: è proprio questo l’iter che la parola fratelli compie nel
componimento.
Questa la scoperta che la poesia Fratelli porta con sé sin dal suo concepimento: la fraternità. Ungaretti
stesso racconta l’impressione provata davanti al sorgere di questo sentimento, nel dramma assoluto della
guerra: “fu allora, per in qualche modo guarirci dall’ossessione della fragilità, che nell’anima ci nacque – e
crebbe- una forza maggiore e molto più importante della guerra e della morte, fu allora che riudimmo nascere,
crescere nell’anima la forza vera, quella che può annientare nell’oblio la solitudine (…) era il sentimento ancora
tremulo, ancora cauto, ma, come di solito succede alle voci di scoppio primaverile, già, per l’eccesso della
delicatezza, troppo impetuoso; era il sentimento che ogni uomo è, senza limitazioni né distinzioni, quando non
17
G.Ungaretti, Vita d’un uomo. Saggi e interventi, Milano 1974, a cura di M. Diacono e L. Rebay
tradisce sé stesso, il fratello di qualsiasi altro uomo, fratello come se l’altro non potesse essergli meno simile
d’un altro se stesso”. 18
Sul Carso, Ungaretti scopre che la propria fragilità, motivo di tristezza, motivo di solitudine, lo rende
fratello della fragilità di altri uomini. Solo così la fragilità diventa fratellanza, come testimonia l’omeoarchia
che lega i due termini: fragilità e fratelli. Ed è qui che la foglia non sta, non si lascia, non cade; è questo il ramo
che, tra quelli infiniti di un albero, non la lascia cadere.
Conclusioni
La presa di coscienza della propria precarietà è il primo passo che Ungaretti compie, un passo che fiorisce nel
dramma della guerra. In Soldati la caducità della vita è affidata al verbo si sta che indica l’impotenza dell’uomo
di fronte al proprio sentimento, la coscienza della propria condizione. In Dolina Notturna si aggiunge l’idea di
abbandono: non essere abbandonato, ma abbandonarsi fino a diventare foglia accartocciata, come se non ci
fosse più nessuna speranza nell’interminabile tempo che avvolge la vita. Il velo di malinconia, che sempre la
fragilità porta con sé, appare quando Ungaretti afferma: e già sono deserto. Nella poesia O notte, infatti, il
poeta rimpiange la gioventù, gli anni dei cieli alti, quell’età in cui la fragilità non era insormontabile, piuttosto
un punto di partenza per l’affermarsi della propria forza. Non si tratta appena di rimpianto: in Canto Quinto il
poeta sembra abbandonare ogni aspettativa, si accorge che la fragilità è un tratto comune di tutta la realtà,
persino della sua donna. Ma ecco che, curvo sulla precarietà a causa della quale svanisce la speranza in tutte
le cose, Ungaretti alza lo sguardo verso il cielo e, ancora, sono tornate le Stelle. Come favole, s’appropriano
della sua coscienza di uomo e, facendogli desiderare scintillamenti nuovi, gli ricordano che solo una cosa può
vincere la condizione caduca dell’uomo: la bellezza eterna. Così, assetato della certezza che le stelle ardano
anche la notte seguente, e poi tutte le notti a venire, riconosciuta nell’altro la fragilità che gli è propria, l’uomo
può trovare in essa un punto di forza: Fratelli.
18
G. Ungaretti, Discorso pronunciato il 20 maggio 1966 nella Sala degli Stati Provinciali del Castello di Gorizia-
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