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Bruciare rami e ramaglie è reato, ma non per tutti
24 Terra e Vita [ LEGGI, LAVORO E FISCO ] n. 17/2014 29 aprile 2014 Bruciare rami e ramaglie è reato, ma non per tutti Se dagli enti locali arrivano norme “diverse” da quelle nazionali [ DI FRANCESCO MARIO AGNOLI ] L’ antica pratica agricola di bru ciare nei campi stoppie, rama glie, avanzi di potature, residui vegetali in genere, è stata sempre circon data da alcune cautele per il timore che, sfuggendo al controllo, potesse divenire causa d’incendi. Ma la si è sempre ritenuta un’attività lecita. Da qualche anno non è più que stione del pericolo d’incendio, perché la stessa pratica ha assunto, di per sé, in quanto tale, rilevanza penale, dapprima come contravvenzione, comunque san zionata anche (in via alternativa) con pe na detentiva, per divenire poi, in un cre scendo wagneriano, un vero e proprio delitto, che comporta la reclusione da due a cinque anni. [ RIFIUTI O MATERIA PRIMA SECONDARIA? Il problema è se i residui provenienti da attività di disboscamento, potatura, rac colta, pulizia di boschi, campi, giardini, aree verdi ecc. integrino la nozione di “rifiuto” di cui all’art. 183, co. 1, lett. a) del Dlgs. n. 152/2006 (“qualsiasi sostan za od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”) e vadano come tali trattati. La risposta positiva è contenuta nel cosiddetto “Codice ambientale” (Dlgs. n. 152/2006), che all’art. 184 classifica come “urbani” i “rifiuti vegetali prove nienti da aree verdi, quali giardini, par chi e aree cimiteriali” (comma 2/lettera e) e come “speciali” “i rifiuti da attività agricole e agroindustriali ai sensi e per gli effetti dell’art. 2135 cod. civ.” (comma cenere fra i “prodotti secon dari”, che l’art. 181bis escludeva dall’ambito dei rifiuti, purché in possesso delle caratteristiche da de terminarsi con decreto del ministro dell’Ambiente di concerto con la Salute e lo Sviluppo economico. [ LA GIURISPRUDENZA 3/lettera a). Dal momento che viene ri chiamato l’art. 2135 del codice civile, che disciplina le attività agricole, non vi è dubbio a quali residui di lavorazione si faccia riferimento. In via di principio si tratta, quindi, di “rifiuti” nel senso proprio del termine, che debbono essere smaltiti secondo le apposite procedure previste, a seconda della loro classificazione (urbani o spe ciali), che nel caso si fonda, più che sulla loro natura, sulla loro provenienza (giar dini, aree verdi urbane, parchi, cimiteri oppure imprese agricole). Da parte dei produttori agricoli con travvenzionati per avere bruciato stop pie e ramaglie sui loro campi con l’inten to poi di utilizzare la cenere per la conci mazione dei campi si è tentato di fare ricorso o all’art. 183 del Codice ambien tale, che fra le altre cose prevede la possi bilità della prevenzione, cioè di misure adottate per evitare che “una sostanza, un materiale o un prodotto diventi rifiu to” ad esempio “attraverso il riutilizzo dei prodotti o l’estensione del loro ciclo di vita”, o, più spesso, di includere la L’art. 181 bis è stato abroga to dal Dlgs. n. 205/2010, ma già nella sua vigenza la giurisprudenza, nella scelta fra la quali ficazione di “rifiuto” e quella di “materia prima secondaria riutilizzata in settori produttivi diversi senza pregiudizio per l’ambiente”, propendeva per il rifiuto con conseguente definizione dell’abbru ciamento di stoppie e ramaglie quale re ato di smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali non pericolosi di cui al l’art. 256, co. 1, lett. a), Dlgs. n. 152/2006. In tal senso, in un caso di taglio di alberi con conseguente bruciatura di rami, si è pronunciata, confermando la decisione dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello di Trento) con la sentenza n. 46213/2008 la Corte di Cassazione, che, per escludere la riutilizzabilità delle ce neri in un processo produttivo, si è data cura di precisare che la loro utilizzazione come concime naturale non trova riscon tro nelle attuali tecniche di coltivazione. Con il Dlgs. n. 205/2010 il legislatore intendeva forse venire incontro a una parte delle istanze dei produttori agrico li attraverso una più puntuale distinzio ne fra rifiuto e sottoprodotto o materia prima secondaria di provenienza agrico n. 17/2014 29 aprile 2014 la. È stato così introdotto nel “Codice ambientale” un nuovo articolo (184/bis) ed è stato modificato il testo dell’art. 185 per escludere dalle procedure di smalti mento rifiuti “paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o foresta le naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non dan neggino l’ambiente né mettono in peri colo la salute umana”. Ne è risultato però un aggravamento per quanto riguarda la pratica dell’ab bruciamento, in quanto ne deriva, al contrario, che in questo caso paglia, ra maglia ecc. continuano a essere conside rati “rifiuti” o comunque a essere sotto posti ai processi di smaltimento per que sti previsti dal momento che ardendoli non si produce energia (nel senso voluto dalla legge, anche se il fuoco è indubbia mente una forma spesso terribile – di energia) e nemmeno si ottiene un pro dotto utilizzabile in agricoltura se si ac cede alla tesi della Cassazione (per il ve ro molto discutibile), che esclude dalla buona tecnica agraria l’impiego delle ce neri come concimante naturale. [ LEGGI, LAVORO E FISCO ] [ TERRITORIO Regioni e Comuni Vale il fai da te Terra e Vita 25 L a gravità delle sanzioni che colpiscono in tal modo gli agricoltori rimasti fedeli a una pratica supportata da una secola re tradizione ha determinato già prima del provvedimento “Terra dei fuochi” e in misura ancora maggiore dopo la sua entrata in vigo re, l’intervento degli enti locali, in particolare Regioni e Comuni. Così in Lombardia si è ribadito che la combustione all’aperto di materiale di origine vegetale è vietata nel periodo che va dal 15 ottobre al 15 aprile (periodo di maggiore criticità per l’inquinamento atmosferico), così impli citamente, ma necessariamente ammettendola negli altri periodi. La Ligu ria ha espressamente escluso che i residui vegetali vadano classificati come rifiuti e ne ha consentito l’“abbruciamento controllato, nel rispetto delle norme per la prevenzione degli incendi”. Dopo il varo del decreto “Terra dei fuochi”, sono intervenute la Regione Sicilia per consentire, con determinate cautele, la bruciatura dei residui vegetali, e la Regione Veneto con un apposito disegno di legge, che affida ai Comuni il compito di disciplinare con i propri regolamenti di polizia rurale “la combustione controllata sul luogo di produzione dei residui vegetali”. In altri casi si è proseguito nell’ap plicazione dei regolamenti locali. È il caso, in Toscana, del Comune di Massa, il cui Regolamento del verde pubblico e privato prevede che per bruciare scarti derivanti da attività agricole e di giardinaggio si debba richiedere al Sin daco un’autorizzazione con domanda in carta semplice. nF.M.A. [ IL DECRETO TERRA DEI FUOCHI Su questa situazione si è innestato, ag gravandola per quanto riguarda la natu ra del reato (da contravvenzione a delit to) e la misura della pena, il Dl. n. 136/2013 (convertito con L. n. 6/2014). Questo provvedimento, nell’intento di reprimere le vicende criminose e danno se dal punto di vista ambientale, della cosiddetta “Terra dei fuochi”, in Cam pania, ha introdotto nel Codice ambien tale il nuovo reato di “Combustione ille cita di rifiuti” che, nella sua ipotesi base (sono previste aggravanti e +sanzionate altre attività connesse), punisce con la reclusione da due a cinque anni “chiun que appicca il fuoco a rifiuti abbandona ti ovvero depositati in maniera incon trollata in aree non autorizzate” (va me glio per i rifiuti vegetali “urbani”, provenienti cioè da giardini, aree verdi, cimiteri, che se la cavano con una pur robusta sanzione pecuniaria di natura amministrativa). [ CONFLITTI DI COMPETENZA I produttori agricoli e le loro associazioni hanno accolto con favore gli interventi di alcuni enti locali, Regioni e Comuni, che hanno cercato di venire incontro alle esi genze degli agricoltori (vedi box). Rimane tuttavia il contrasto, indub biamente grave sotto vari profili a comin ciare dalla certezza del diritto, fra questi provvedimenti regionali e una legge na zionale, che deve necessariamente preva lere tanto più che nella maggioranza dei casi i provvedimenti locali hanno natura amministrativa. Problema che comunque permane, anzi si aggrava per la maggiore difficoltà di individuare la normativa ef fettivamente applicabile, quando, come nel caso del Veneto, la Regione interviene con una propria legge. Difatti l’art. 117 della Costituzione attribuisce sì alle Re gioni la potestà legislativa in materia agricola, ma provvedimenti di questo ge nere (in particolare quello della “Terra dei fuochi”) coinvolgono anche aspetti di le gislazione concorrente StatoRegioni (sa lute e sanità) o addirittura di competenza esclusiva dello Stato. Basti pensare, per quest’ultimo punto, al provvedimento ri guardante la “Terra dei fuochi”, che ha motivazioni, oltre che ambientali, di ordi ne pubblico e sicurezza, e alla conseguen te difficoltà di ammettere la legittimità di un intervento modificativo della Regione più di ogni altra interessata, la Campania, alla quale tuttavia non potrebbe essere negata la relativa competenza legislativa qualora la si riconosca alle altre Regioni. Se n’è mostrato perfettamente consa pevole il governatore del Veneto, Luca Zaia, che, pur promuovendo il varo di una legge regionale, si è augurato che il governo si affretti a «proporre una legge nazionale per evitare di complicare inu tilmente la vita alla gente». n