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l`onnipotente mi ha tanto amareggiata
Mercoledì 1 febbraio 2012 Milano – Teatro Stella (Parrocchia dei Quattro Evangelisti) Itinerario biblico / 3 L’ONNIPOTENTE MI HA TANTO AMAREGGIATA Rut 1,6-22 don Matteo Crimella 0. Introduzione Nei pochi versetti iniziali (1,1-5) il narratore ha raccontato la triste vicenda di una famiglia: la carestia, il trasferimento in terra di Moab, la morte del padre e dei suoi due figli. L’inizio della nuova sezione (1,6-22) segna qualcosa di positivo: dopo la mancanza di pane si profila la fine della carestia. Il cambiamento dello spazio è l’indice del mutamento della situazione: dai campi di Moab Noemi e Rut si trasferiscono a Betlemme. Qui, tuttavia, la grande novità è l’intervento di Dio. Nel rotolo di Rut Dio agisce solo in due occasioni: nel momento in cui “visita il suo popolo dandogli pane” (1,6) e, alla fine del racconto, allorché dona a Rut un figlio (4,13). Tuttavia fra la prima notizia (1,6) e l’ultima (4,13) v’è una notevole differenza. La sezione è interamente dominata dal dialogo fra Noemi e le sue interlocutrici: prima le nuore (Orpa e Rut), poi le donne di Betlemme. I discorsi ci permettono di scoprire l’interiorità dei personaggi, mentre l’azione si riduce semplicemente al ritorno nel territorio di Giuda. 1. La percezione di Noemi Il narratore comunica anzitutto che Noemi ritorna a Betlemme; poi ricorda che nei campi di Moab la donna era venuta a sapere della visita di Dio al suo popolo (1,6). Per mezzo di un’inversione cronologica (all’inizio v’è l’azione di Dio, quindi Noemi lo viene a sapere, infine decide di tornare) si pone l’accento non tanto sulla visita di Dio ma sull’iniziativa di Noemi. Ad essere in primo piano è il punto di vista di Noemi, informata da qualcuno (di cui si ignora l’identità) a proposito dell’azione di Yhwh. Dio è presentato come il Dio d’Israele (“Yhwh” è il suo nome); egli ha un legame con il suo popolo e tale legame si concretizza con una visita. Il tema della “visita” ha un forte senso teologico. Basti ricordare il momento in cui Mosè si presenta al popolo d’Israele in Egitto: Mosè e Aronne andarono e radunarono tutti gli anziani degli Israeliti. Aronne parlò al popolo, riferendo tutte le parole che il Signore aveva detto a Mosè, e 1 compì i segni davanti agli occhi del popolo. Allora il popolo credette. Quando udirono che il Signore aveva visitato gli Israeliti e che aveva visto la loro afflizione, essi si inginocchiarono e si prostrarono (Es 4,29-31). Tuttavia la visita di Dio è presentata secondo il punto di vista di Noemi. La donna si pone indubbiamente in continuità con l’esperienza del suo popolo, ma il primo intervento di Dio è raccontato come riflesso della coscienza di un personaggio. L’azione di Dio passa infatti attraverso il “filtro” della percezione di Noemi, in una parola della sua fede: ad essere sollecitato è il lettore e la sua coscienza di fede. Altri due particolari ricordano la vicenda esodica. Il primo: i dialoghi fra Noemi e le nuore avvengono in cammino, in un luogo non precisato, allorché le tre donne hanno già lasciato le terre di Moab e si stanno avviando verso il paese di Giuda. Questa “terra di nessuno” ricorda il deserto fra l’Egitto e la terra promessa, nel quale Dio ha concluso l’alleanza col suo popolo. Il secondo particolare: come il popolo uscì dall’Egitto, così Noemi partì (letteralmente “uscì”) dai campi di Moab per tornare nella terra di Giuda (1,7). Ne consegue che il viaggio di Noemi ricorda il cammino dell’esodo e insieme il ritorno degli esiliati da Babilonia. 2. Il levirato Quando i fratelli abiteranno insieme e uno di loro morirà senza lasciare figli, la moglie del defunto non si sposerà con uno di fuori, con un estraneo. Suo cognato si unirà a lei e se la prenderà in moglie, compiendo così verso di lei il dovere di cognato. Il primogenito che ella metterà al mondo, andrà sotto il nome del fratello morto, perché il nome di questi non si estingua in Israele (Dt 25,5-6). È questa la legge del levirato (da levir, “cognato” in latino). Due sono i racconti anticotestamentari che ricordano questa usanza: la vicenda di Tamar e Giuda (cfr. Gen 38) e la storia di Rut. L’istituzione del levirato, attestata anche nelle leggi assire e ittite, aveva più finalità: anzitutto permetteva alla donna vedova di continuare a godere della protezione del clan nel quale era entrata a far parte in seguito al matrimonio; inoltre manteneva la stabilità del patrimonio familiare, assicurando anche la continuità della discendenza. È al levirato che Noemi si riferisce quando parla alle nuore di un impossibile terzo figlio da dare a loro come sposo (cfr. 1,12-13). 2 3. Uno strano ragionamento Allorché Noemi si alza per tornare nella sua terra natale, le nuore Orpa e Rut prendono l’iniziativa di andare con lei (1,7). La suocera le incoraggia a lasciarla sola (1,8-9), ma Rut decide fermamente di rimanere con lei (1,16-17). E tuttavia, considerando da vicino il discorso di Noemi alle nuore (1,11-13), v’è qualcosa di strano. L’argomento addotto pare essere quello della vecchiaia. In realtà il discorso rivela il personaggio di Noemi e quanto la preoccupa. Malgrado le apparenze, Noemi non dimostra un vero interesse nei confronti delle nuore. Se la prima domanda che pone sembra essere aperta («Perché voi dovreste venire con me?» – 1,11), la seconda domanda (1,13) orienta la risposta su un impossibile matrimonio secondo le leggi del levirato. In altre parole: Noemi pensa alle nuore solo come a potenziali spose di figli che non potrà mai più avere. Pare cioè che Noemi sia premurosa verso Rut e Orpa; di fatto la infastidisce l’impossibilità di generare ancora dei figli da sposare alle nuore. Nell’eccesso del dolore il discorso della donna è concentrato solo su se stessa. La riprova l’abbiamo in una duplice occasione: allorché Noemi rimanda le nuore, utilizza un’espressione singolare; dice: «Andate, tornate ciascuna alla casa di vostra madre» (1,8). Il riferimento alla «casa della madre» proietta sulle nuore e sulle loro famiglie la situazione di Noemi, una donna senza marito. Inoltre quando giunge a Betlemme con Rut e la città s’interessa a loro (1,19), Noemi parla solo di se stessa e non fa alcun riferimento alla nuora. 4. Noemi come Giobbe Le parole di Noemi ricordano il grido di Giobbe. L’uno e l’altra reagiscono di fronte alla loro sorte. Giobbe si lamenta e urla contro Dio. Implora: «Pietà, pietà di me, almeno voi, amici miei, perché la mano di Dio mi ha percosso!» (Gb 19,21); poi aggiunge: «Anche oggi il mio lamento è amaro e la sua mano pesa sopra i miei gemiti» (Gb 23,2). Anche Noemi attribuisce direttamente al Signore l’origine delle proprie sofferenze: «Il Signore si è dichiarato contro di me e l’Onnipotente mi ha resa infelice» (1,21). Giobbe e Noemi accusano Dio e confrontano il loro passato col presente. Afferma la donna: «Piena me n’ero andata, ma il Signore mi fa tornare vuota» (1,21). Sono parole amare, che ricordano quanto diceva Giobbe: «Per la vita di Dio, che mi ha privato del mio diritto, per l’Onnipotente che mi ha amareggiato l’animo!» (27,2). Tornata a Betlemme, quando le donne la riconoscono, Noemi dichiara tutta la sua angoscia e attribuisce l’origine dei suoi mali al severo intervento divino. Dio è chiamato alternativamente “l’Onnipotente” e “il Signore” (1,2021). Nel testo originale v’è l’opposizione fra Shaddaj (tradotto in greco 3 “Pantocratore”, in latino e in italiano “Onnipotente”) e Yhwh (tradotto solitamente “Signore”). Il nome Shaddaj ha un’affinità con una radice ebraica (šdd) che indica la distruzione, l’azione violenta. Nelle parole di Noemi si rimanda alla severità di Dio che le ha reso la vita amara. E tuttavia nei racconti patriarcali della Genesi, ai quali il libro di Rut fa sovente allusione, tale denominazione di Dio è sempre legata alla benedizione e alla fecondità (cfr. Gen 17,1; 28,3-4; 35,11; 43,14; 48,3; 49,25). Da qui la sottile ironia: la donna dà voce al dramma di un’impossibile posterità, ma chiamando Dio col nome di Shaddaj, testimonia paradossalmente che l’Onnipotente è colui che donerà ancora fecondità. Noemi ha perso marito e figli. Ora anziana e nell’impossibilità di generare nuovi figli si sente vuota. Ogni speranza per lei è perduta malgrado l’esempio di Sara che ha generato quando il suo grembo era morto (cfr. Gen 18,13). Paradossalmente la presenza di Rut non cambia la situazione della donna. Anche in sua compagnia Noemi rimane “vuota”, priva di ogni conforto. Quando giunge a Betlemme (1,20) chiede che non la si chiami più Noemi (“dolce, piacevole”) bensì Mara (“amareggiata”). 5. La scelta di Rut Quando le nuore prendono l’iniziativa di seguirla, Noemi vede nel loro gesto un segno di bontà (l’ebraico usa qui il pregnante termine hesed che significa “bontà, amore, lealtà”) che supera quanto esigerebbero i legami parentali (1,8). Noemi augura a Orpa e a Rut che il Signore faccia lo stesso con loro, cioè che estenda la sua bontà fedele anche su di loro, donne moabite che non appartengono al popolo d’Israele. Di fronte all’insistenza di Noemi (1,11-13) Orpa si accomiata dalla suocera (1,14). Rut invece «non si staccò da lei» (letteralmente: “s’attaccò a lei”). In risposta alle sollecitazioni della suocera che la invitava a tornare alla casa di sua madre (1,8) e a trovare riposo (1,9), Rut decide di rimanere con la madre del suo defunto marito (1,16). La sua casa sarà quella della suocera: «Dove morirai tu, morirò anch’io e lì sarò sepolta» (1,17). Il riposo sembra evocare quello della morte. In realtà la scelta radicale di Rut la condurrà a trovare riposo nella casa di Booz, ma Rut ignora il suo futuro. Rifiutandosi di abbandonare sua suocera, Rut non compie solo un “ritorno” ma pure una “conversione” (in ebraico il verbo šûb indica l’una e l’altra cosa). La donna sceglie un popolo dove sarà straniera e si converte ad un Dio di cui conosce, per ora, solo il volto oscuro e minaccioso. L’unico orizzonte che si presenta ai suoi occhi è la morte e la sepoltura nella terra della suocera 4 (1,17). Se Noemi cerca di fuggire dalla terra che l’ha privata del marito e dei figli, Rut abbandona la sua terra e i suoi parenti. Sceglie liberamente di stare con la suocera, al di là di ogni dovere che sia la consuetudine come pure la Legge d’Israele le imponeva. La svolta di Rut è tutta nelle sue parole: «Dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio» (1,16-17). Si tratta di una dichiarazione molto solenne, una vera e propria professione di fede nel Dio d’Israele. Tale dichiarazione ricorda la formula dell’alleanza, così come è espressa dal profeta Geremia: «Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni - oracolo del Signore -: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo» (31,33). Nonostante l’esplicita dichiarazione della Torah (cfr. Dt 23,4) che escludeva tutti i Moabiti dal popolo di Dio, Rut fa una chiara professione di fede in Dio e diventa parte integrante del popolo d’Israele. Legandosi a Noemi Rut aderisce all’alleanza d’Israele al punto che può invocare il Signore come garante della promessa di fedeltà al suo nuovo popolo. Yhwh ormai è il suo Dio. Il Targum, ben conscio dell’importanza di questa svolta, pone sulle labbra di Noemi una serie di domande che assomigliano ad un vero e proprio esame della neoconvertita: Disse Rut: «Non insistere con me affinché io ti abbandoni per ritornare indietro, perché io desidero essere proselita». Disse Noemi: «Ci è stato comandato di osservare i sabati e i giorni festivi, senza camminare per più di duemila cubiti». Rispose Rut: «Dovunque tu andrai io andrò». Disse Noemi: «Ci è stato comandato di non passare la notte insieme ai gentili». Rispose Rut: «In ogni luogo nel quale risiederai, abiterò». Disse Noemi: «Ci è stato comandato di osservare seicentotredici precetti». Rispose Rut: «Ciò che osserva il tuo popolo lo osserverò anch’io, come fosse il mio popolo da sempre». Disse Noemi: «Ci è stato comandato di non praticare un culto straniero». Rispose Rut: «Il tuo Dio è il mio Dio» (1,16). 6. Un finale aperto Il finale (1,22) apre uno spiraglio di luce. La mietitura dell’orzo introduce un tempo nuovo, non più caratterizzato da carestia e fame. Il lettore inizia a percepire qualcosa di positivo. Inoltre il narratore dà conto in un sommario di quanto è avvenuto: Noemi è tornata dai campi di Moab insieme alla nuora. Rut, per la prima volta, è definita la Moabita (1,22). Fino a quel momento era stata chiamata semplicemente “Rut” (1,4.14.16), o “nuora” (1,6.7.8), o “figlia” (1,11.12.13). Nonostante la decisione di abbandonare la sua terra per andare a 5 Betlemme con la suocera e nonostante la sua professione di fede nel Dio d’Israele, il suo status non è cambiato. Ella rimane la “Moabita”, una straniera. 6