Verso il voto Perché l`Europa serve più forte Servizi e interviste L
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Verso il voto Perché l`Europa serve più forte Servizi e interviste L
N°6 Gennaio Febbraio 2014 Verso il voto Perché l’Europa serve più forte Servizi e interviste L’Italia e le riforme Intervista a Cesare Mirabelli Paolo Veronese, “il ratto di Europa” Supermercati, all’estero più attenzione per gli anziani Papa Francesco un anno dopo Sommario Gian Guido Folloni è un politico e giornalista italiano, già Ministro della Repubblica per i Rapporti con il Parlamento. E’ stato direttore del quotidiano cattolico Avvenire dal 1983 al 1990. Successivamente ha lavorato alla Rai. Dal 2008 è Presidente di Isiamed (Istituto Italiano per l’Asia e il Mediterraneo). 3 La Fnp per un’Europa politica, democratica e sociale (Attilio Rimoldi) 4 Hanno scritto per noi 5 La Lettera 6 La posta del direttore 8 La memoria come fattore strategico (Giobbe) POLTICA 9 Verso il voto di primavera. Quale Europa? (Guido Bossa) 12 Alberto Martinelli, attenzione all’anti-Europeismo (Mimmo Sacco) 14 La “necessità dell’Europa” (Gianfranco Varvesi) 16 La vera riforma? (Gian Guido Folloni incontra Cesare Mirabelli) ATTUALITA’ E SOCIETA’ 18 Storie di origami (Elettra) 20 Anteas, il grande volontariato dal “cuore”Cisl 22 Rapporto Bankitalia (Marco Pederzoli) 23 Agenda per l’Italia, il lavoro è la priorità (Marco Iasevoli) 24 Quando lo Stato diventa retroattivo (Gianfranco Garancini) 28 Supermercati, all’estero più attenzione per gli anziani (Marco Pederzoli) CULTURA 30 Giuseppina Arista, oggi con il canto posso lenire il dolore (Cristina Petrachi) 32 Papa Francesco, un anno dopo (Aldo Maria Valli) 34 I 60 anni di mamma Rai (Stefano Della Casa) 36 Federal Reserve, la crisi dei 100 anni (Paolo Raimondi) 38 Il significato dello spread (Mario Lettieri) 40 Chissà che queste parole... (Il racconto di Giorgio Torelli) SALUTE 42 Ascoltare il cuore (dr. Alberto Costantini) 44 Antiaging, tutti segreti per invecchiare in salute (dr.ssa Monalisa Ferrari) 46 Il trainer elettronico, l’APP al polso (Pier Domenico Garrone) MAPPAMONDO 47 Ago, filo, stoffe (Umberto Folena) 49 Libri e Web (Marco Pederzoli) 51 Vagabolario (Dino Basili) 2 memoria, attualità, futuro In copertina: il “Ratto d’Europa” di Paolo Veronese, opera del 1530 oggi al Palazzo Ducale di Venezia. Secondo la mitologia classica, Europa, figlia del re di Tiro, Agenore, fu rapita da Zeus, trasformatosi per l’occasione in un toro. Sulla groppa del toro – Zeus, Europa fu condotta fino a Creta. Da lei Zeus ebbe tre figli: Minosse, Sarpedonte e Radamanto. Minosse divenne re di Creta e diede vita alla civiltà cretese, culla della civiltà europea. Il nome Europa, da quel momento, indicò le terre poste a nord del Mar Mediterraneo. Postatarget Magazine - tariffa pagata -DCB Centrale/PT Magazine ed/ aut.n.50/2004 - valida dal 07/04/2004 Contromano Magazine N°6 Febbraio 2014 Aut. Trib. Roma n 40 del 18/02/2013 Prezzo di copertina € 1,80 Abbonamento annuale € 9,048 Direttore responsabile: Gian Guido Folloni Proprietà: Federpensionati S.r.l. sede legale: Via Giovanni Nicotera 29 00195 Roma Editore delegato: Edizioni Della Casa S.r.l. Via Emilia Ovest 1014 41123 Modena Stampa: tipografia ARBE s.p.a Via Emilia Ovest 1014 Modena Redazione Coordinamento grafico: Edizioni Della Casa ArtWork: M. Barbieri Postproduzione immagini: Paolo Pignatti Comitato di redazione: Matteo De Gennaro Dino Della Casa Questo numero è stato chiuso il 15/02/2014 A norma dell’art.7 della legge n.196/2003 il destinatario può avere accesso ai suoi dati chiedendone la modifica o la cancellazione oppure opporsi al loro utilizzo scivendo a: Federpensionati S.r.l. sede amministrativa: Via Castelfidardo, 47 00185 Roma L’editore delegato è pronto a riconoscere eventuali diritti sul materiale fotografico di cui non è stato possibile risalire all’autore Nel prossimo mese di maggio, sembra in un assordante silenzio, si terranno in tutta Europa le elezioni del Parlamento Europeo. La crisi economica ha rafforzato o fatto nascere partiti e movimenti, di protesta, populisti nazionalisti e anti europei, che propongono vari modelli di distruzione dei vincoli di solidarietà e di collaborazione costruiti in 60 anni di storia. Anche in Italia non mancano le proposte di uscire dall’Euro o di rivedere i trattati anche attraverso referendum popolari. L’Italia, ma soprattutto le classi popolari, hanno invece bisogno dell’Europa, perché il nostro Paese, con tutte le debolezze economiche, sociali e istituzionali che ha accumulato negli ultimi 20 anni, da solo, nei mercati globalizzati, sarebbe facilmente stritolato dalla spietata speculazione finanziaria internazionale, forte di masse di danaro che superano i bilanci di molti stati e con un potere talmente forte da portare rapidamente al “fallimento” dello Stato italiano. Ciò colpirebbe drammaticamente tutti ma in particolare i lavoratori, i pensionati e i ceti popolari più poveri. Uscire dall’Euro sarebbe pertanto un suicidio. E’ comprensibile, tuttavia, che le sirene degli anti europeisti trovino ascoltatori e cresca in Europa e in Italia lo scetticismo per l’ambigua responsabilità delle leadership nazionali ed europee mostrata nella crisi economica, gestita, fin qui, a colpi di rigore e sacrifici e senza prospettive di sviluppo. Per combattere questo pericolo è necessaria una mobilitazione popolare, che discuta e contribuisca a creare una maggioranza di forze che perseguano un futuro federale dell’Unione. Un obiettivo che fin dalla sua nascita è stato un punto fermo della CISL. I veri sostenitori dell’Europa sono quelli che la vogliono più vicina ai cittadini, legittimata da elezioni democratiche, meno burocratica e tecnocratica, meno spostata verso le questioni di bilancio monetarie e finanziarie, più rivolta allo sviluppo economico e occupazionale, alla difesa dei diritti sociali e a combattere la crescente povertà, rilanciando, anche in Italia, una chiara politica di economia sociale di mercato secondo la tradizione democratica europea. Di questi tre termini, peraltro fortemente interdipendenti, il sociale è Editoriale La Fnp per un’Europa politica, democratica e sociale quello che viene più ignorato, se non per sacrificarlo alle esigenze di un’economia del risparmio, della rigidità dei bilanci pubblici e della logica del più forte. E’ emblematica la vicenda dell’iniziativa di ICE (Iniziativa dei Cittadini Europei) promossa dalla FERPA che avrebbe ottenuto il sostegno di milioni di firme raccolte in diversi paesi europei, per ottenere dalla Commissione Europea una direttiva che potesse servire da riferimento legislativo uniforme sulle Cure a Lungo Termine per tutti gli Stati. La Commissione ha respinto l’ICE burocraticamente, affermando che non era sua competenza, nonostante fosse riferita ad un chiaro principio della “Carta dei Diritti fondamentali dell’Europa” e soprattutto all’art. 23 (2° capoverso, lettera b) della Carta dei diritti sociali, la quale afferma il diritto delle persone anziane ad avere garantite “le cure medico-sanitarie e i servizi eventualmente richiesti dal loro stato”. Altri principi della Carta sociale non hanno subito nel passato la stessa sorte presso la Commissione. E’ necessario pertanto un rilancio dello spirito originario della costruzione dell’Europa, basata su democrazia, solidarietà, sviluppo e coesione, che renda comuni tutte le politiche essenziali, che istituisca una vera e propria politica economica comune favorevole alla crescita e creatrice di lavoro, garantisca la coesione economica sociale e territoriale, si proponga una gestione unitaria e solidale delle migrazioni ed infine elimini il voto all’unanimità del Consiglio. I pensionati saranno determinanti per selezionare i rappresentanti italiani nel Parlamento, a condizione che siano informati e consapevoli che nelle prossime elezioni si gioca il nostro futuro e quello dell’Europa. Attilio Rimoldi Seduta del Parlamento Europeo a Strasburgo 3 Hanno scritto per noi 4 Attilio Rimoldi Segretario nazionale Fnp Cisl, Dipartimento politiche socio-sanitarie, famiglia, economia sociale, fisco, prezzi, tariffe e politiche migratorie Guido Bossa Giornalista professionista.Presidente dell’Unione nazionale giornalisti pensionati Mimmo Sacco Giornalista RAI TV. Condirettore de Il Domani d’Italia, mensile di politica e cultura. Gianfranco Varvesi Diplomatico, ha ricoperto incarichi in Italia e all’estero. Ha prestato servizio nell’ufficio stampa del Quirinale. Marco Iasevoli inviato del quotidiano L’Avvenire Marco Pederzoli Giornalista e collaboratore di diverse testate. Scrive per La Gazzetta di Modena, Il Sole 24 ore. Gianfranco Garancini professore di storia del diritto Italiano all’Università di Milano.Consigliere dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani. Cristina Petrachi Giornalistapubblicista. Public Relations Officer presso l’Istituto Italiano per l’Asia ed il Mediterraneo. Aldo Maria Valli Giornalista e scrittore, dal 2007 è vaticanista per il TG1 Stefano Della Casa Giornalista Freelance e Direttore della rivista Jag Generation Paolo Raimondi Economista Scrittore Mario Lettieri Sottosegretario all’Economia nel Governo Prodi. Giorgio Torelli per 40 anni inviato speciale dei più importanti quotidiani e settimanali italiani. Fondatore con Indro Montanelli de “Il Giornale” Alberto Costantini Cardiologo.Ex medico cardiologo della Camera dei Deputati. Monalisa Ferrari Specializzata in chirurgia pedriatica e in medicina anti invecchiamento Pier Domenico Garrone Professionista Fe.R.P.I. Responsabile comunicazione de Il Comunicatore Italiano Umberto Folena Editorialista del quotidiano L’Avvenire. Consulente della CEI Dino Basili Giornalista e scrittore, Direttore di Rai 2 e Capo ufficio Stampa del Senato Tutti addosso al povero pensionato Egregio direttore, avrei dovuto, e forse dovrei, scrivere questa lettera a chi, per il pubblico ufficio che ricopre, ne è il naturale destinatario: al nostro presidente del Consiglio dei Ministri, ai titolari di alcuni dei suoi più importanti dicasteri, a chi siede in Parlamento quale rappresentante dell’intera nazione e, almeno per conoscenza, certamente alla signora Fornero. Non ne ho avuto la forza, lo confesso. Ero pronto a farlo. Al dunque, mi ha trattenuto solo un pensiero. Quel che sto per scrivere è così noto e ovvio che tutte le autorevoli persone che avrei dovuto mettere in indirizzo conoscono già il mio disagio. Sanno già tutto e fanno spallucce. Così, mi sono detto: a che servirebbe far arrivare sulla loro scrivania la voce di uno dei milioni di italiani pensionati che potrebbero con me firmare queste parole? Scrivo invece a lei, nella certezza che almeno non sarà archiviata con tanto di numero di protocollo da un solerte collaboratore che sa sempre dove far finire la carta che arriva ogni giorno. Scrivo a lei per condividere, anche attraverso “Contromano” il non più tollerabile senso di sopraffazione – sì, di sopraffazione – che vedo montare verso la nostra categoria. Ma perché, caro direttore, tanto accanimento verso i pensionati? Perché lo Stato ci considera poco più di uno zerbino silenzioso? Ho esagerato: dovevo dire un vecchio salvadanaio (se non un bancomat) da cui trarre, ad ogni necessità, quel tanto di liquidità che serve? Perché le pensioni di chi ha lavorato una vita sono, al pari delle sigarette, la scorciatoia d’ogni raschiatura di barile? Perché tutto si rivaluta, ma le pensioni no? Perché l’inflazione che punge tutti, punge di più i pensionati? Come tutti essi pagano il prezzo dell’aumento del costo della vita, ma in aggiunta fanno i conti sull’ulteriore erosione del potere di acquisto del loro assegno per il mancato, nemmeno parziale, adeguamento. la Lettera Non parlo ovviamente di quelle cosiddette pensioni d’oro. Quello è un mondo che i milioni di miei colleghi che viaggiano nella media del poco più di mille euro al mese (facciamo mille e cinquecento) ignora. Ed è da me così lontano che nemmeno voglio entrarci, e ragionarne. Le sembra che si debba accettare il battere cassa ogni volta al nostro portafoglio, che da tempo ormai si vuota ben prima che arrivi la mensilità successiva? Che nel rapporto Stato – cittadini i pensionati, sottoposti a questa limatura perpetua, possano conservare fiducia e senso d’appartenenza verso la Comunità nazionale? O che invece, al contrario, lo Stato guardi a noi come a un peso di cui sgravarsi? Un puro costo? La buccia di un limone spremuto da cui, peraltro, per anni s’è estratto il succo? Esagero? Il pensionato da millecinquecento euro è uno che alla comunità ha dato gli anni più vigorosi della sua vita. C’è chi ha i calli alle mani e chi no, ma gran parte di loro già timbravano il cartellino quando esplodeva l’Italia del boom economico. Perché, caro direttore, prendersela con i pensionati? Perché considerarli un fardello improduttivo? Hanno prodotto, eccome! E con maggiore intelligenza si potrebbe (anzi si dovrebbe!) considerali una risorsa. Nella tirata di cinghia che la crisi chiede a tutti, non è giusto, non è equo e non serve nemmeno all’Italia che venga chiesto ai pensionati di stringere un buco più degli altri. Mariolina Gregori 5 la posta del Direttore Dalla nuova “geopolitica” ai conti in rosso dell’Inps, dalle elezioni della Regione Piemonte al tema dell’indulto, fino al maltempo che ha sconvolto tante aree della Penisola, sono diverse le sollecitazioni che anche in questo numero sono pervenute dai lettori di “Contromano”. A tale scopo, si ricorda che le proprie “lettere al direttore”, contenenti considerazioni su temi politici o d’attualità, possono essere inviate o via mail all’indirizzo info@ studiodellacasa.it, specificando nell’oggetto “Contromano lettere al Direttore”, o via fax al numero 059 8396082, o per posta ordinaria all’indirizzo della casa editrice di Contromano: “Edizioni Della Casa, via Emilia Ovest 1014, 41123 Modena”. Si ricorda che, per esigenze di archiviazione, l’eventuale materiale inviato non sarà restituito. 6 Se l’INPS va in rosso non è colpa dei pensionati Caro direttore, dopo un anno di Contromano, desidero ringraziare lei e la FNP per l’iniziativa. Il magazine è diventato un strumento utile di approfondimento. Anche se è bimestrale tiene il passo con l’evolversi dei problemi italiani. Apprezzabili, in particolare, sono gli approfondimenti sulle politiche sociali, non solo degli anziani. Ho trovato interessanti anche i servizi dedicati ai cambiamenti della geopolitica, causa di tante difficoltà per il lavoro italiano. Ho letto che l’Unione europea ha criticato l’Italia per la pensioni minime inadeguate. Ma è un po’ tutta la politica del governo verso i pensionati a essere carente. L’INPS va in rosso per la cassa integrazione e non per l’erogazione pensionistica. Uno stato serio dovrebbe cercare soluzioni al problema senza caricare su chi ha lavorato l’onere materiale e morale delle difficoltà produttive della nazione. Ulderico Valenti – Napoli Possiamo sapere prima se le urne sono valide? Due recenti sentenze della Magistratura mettono in evidenza una stortura grave del nostro sistema istituzionale. La prima è l’annullamento delle elezioni per la Regione Piemonte, con un verdetto arrivato a quattro anni dal voto. La seconda è al sentenza della Corte che ha dichiarato anticostituzionale la legge elettorale, abrogandola in parte. Peccato che per ben due legislature quella legge sia stata usata per eleggere i membri della Camera dei Deputati: dal 2005 al 2014, insomma, abbiamo avuto elezioni costituzionalmente irregolari. Nella vita di una nazione nove anni non sono poca cosa. A sentenza emessa, tra l’altro, il Parlamento fuori legge è stato (non poteva essere diversamente) conservato in carica. Nell’uno e nell’altro caso siamo stati obbligati a constatare che si corre, secondo un antico detto, a chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. Ora il Porcellum, così fu definita la legge per le elezioni politiche, sta per essere cambiato con l’Italicum. E’ troppo chiedere che i cittadini possano sapere prima del prossimo voto se quella nuova è costituzionale o no? Per non essere gabbati un’altra volta. Pierfranco Moi - Padova L’indulto è la giusta soluzione? Gentile Direttore, negli ultimi giorni ho sentito che si ritorna a parlare di indulto per i carcerati. Non le nascondo che questa proposta mi trova nettamente contrario, perché il messaggio che viene lanciato all’esterno è molto chiaro: il sistema giudiziario italiano è a pezzi e, se commetti un crimine in Italia, difficilmente sconterai non solo tutta la pena prevista per quel determinato crimine, ma molto spesso nemmeno la metà. E più uno la fa grossa, più sembra che la Giustizia (una parola ormai da fare seguire da un grande punto interrogativo) applichi clemenza e comprensione. Mi spiego meglio, con un ni che ha provocato il maltempo in diverse regioni esempio assai recente: ho letto alcuni giorni fa del caso di Francesco Salerno, 55enne pluriomicida d’Italia. Mi riferisco in particolare all’Emilia, dove condannato in contumacia a quattro ergastoli pernei pressi di Modena è esondato il fiume Secchia ché in Uruguay. Il suo rientro in Italia, da quanto facendo rimanere sott’acqua diversi centri abitaho appreso, è stato condizionato alla concessione ti, ma anche al Veneto, alla Toscana, alla stessa da parte del Ministero della Giustizia di un formacapitale, alla Campania e alla Sicilia. Non dimenle impegno a non applicare la condanna al carcere tichiamoci mai, inoltre, di quanto avvenuto rea vita. Così, intanto si dovrà fare un nuovo procescentemente in Sardegna. In altri termini, l’inverso, i 4 ergastoli sono stati annullati e il rischio per no 2013/2014 passerà probabilmente agli annali l’impuntato sono al massimo 30 anni di carcere. come uno tra i più piovosi e più difficili da gestire, Intanto, il pluriomicida è a piede libero con il solo visti appunto i danni che ha provocato in mezza obbligo di firma. E questo è solo uno dei macroscoItalia. A questo punto, mi pongo una domanda che pici esempi di mala giustizia che si possono citare. tanti altri milioni di italiani probabilmente si stanIo credo che con un po’ di buona volontà e investino ponendo, ma che non ha ancora trovato una menti anche contenuti, il modo per aumentare i risposta adeguata a livello istituzionale. Questo posti in carcere esista. Non posso pensare che stati stato cronico di emergenza in cui si trova il nostro molto meno ricchi e sviluppati dell’Italia mandino Paese è evitabile? Se sì, come? Il primo concetto comunque all’esterno il messaggio che la certezza che mi viene in mente è quello della prevenzione, della pena c’è e che la giustizia è uguale per tutti. invocata ed evocata da tanti. Ma secondo me non Il primo esempio che mi viene in mente a tal risi tratta solo di prevenzione, né tanto meno solo di guardo? Non è certamente dei più eclatanti, ma è mancanza di fondi. Certo, questi sono fattori imparadigmatico. Mi riferisco alla carcerazione per prescindibili per evitare di vivere in una situazioalcuni giorni dei tifosi laziali durante una trasferta ne di continua emergenza; tuttavia, io credo che a della loro squadra in Polonia. Ebbene, il messagtutto ciò vada associato anche il concetto di “capagio che ha mandato questo Paese, recentemente cità”. Chi presiede i cosiddetti “organi competenunitosi all’Europa, è stato chiaro: qui, chi sbaglia ti”, dovrebbe essere davvero “competente”, ovvero paga. Perché in Italia non può essere lo stesso? in grado di capire e/o interpretare una potenziale situazione di pericolo con largo anticipo. E’ vero Bruno Micheli, Viterbo che il clima della Terra è mutato, ma è altrettanto vero che spesso, secondo me, mancano le competenze necessarie per fronteggiare situazioni potenzialmente pericolose. La mia intima speranza, Un territorio in continua emergenza ovviamente, è di essermi sbagliato. Egregio Direttore, Ernesto Biagini - Parma nei giorni scorsi ho avuto modo di vedere alla televisione e di leggere sui quotidiani riguardo ai dan7 La memoria come fattore strategico Il fatto: nella trasmissione televisiva “L’eredità” erano state poste a quattro giovani alcune facili domande su date relative a vicende riguardanti Hitler e Mussolini. La facilità delle domande consisteva nel fatto che le date proposte consentivano ai concorrenti risposte sostanzialmente sicure, in quanto alcune superavano largamente la cronologia della morte dei due personaggi, permettendo di escludere soluzioni decisamente sbagliate. Invece non è stato così. Le opinioni. Le risposte sbagliate dei quattro giovani, dai 20 ai 30 anni, di fatto rappresentativi di una categoria, dimostrano che le date proposte si collocavano in un vero e proprio “appiattimento del passato”, in contrasto con la memoria dei tempi e con il potenziale di informazioni che è possibile rintracciare su Internet. Umberto Eco, nella sua bustina di Minerva, sostiene che questa “malattia generazionale”, basata sull’assenza di memoria, che colpisce soprattutto i giovani, ha delle cause che concorrono alla sua determinazione: le carenze della scuola, della famiglia, dei vari centri educativi che, nel loro insieme, non si curano della memoria. Eugenio Scalfari, nel suo vetro soffiato, condividendo l’analisi di Eco, precisa che la conoscenza del passato di molti giovani si è contratta in un “eterno presente” anche a causa dell’indebolirsi della memoria che non viene più esercitata obbligatoriamente come un tempo, tenendo in esercizio le mappe cerebrali dove la memoria meccanica ha la sua sede. A questo punto però le analisi dei due autorevoli scrittori si divaricano. Eco considera la memoria artificiale, affidata alla tecnologia di Internet, una risorsa per stimolare i giovani (e secondo noi anche gli anziani), mettendo a loro disposizione una massa enorme di informazioni. A suo parere si può usare benissimo Internet, abituandosi a farne un uso criti8 Nella foto: “Notte dei cristalli” 9-10 novembre 1938 co, e coltivare, nel contempo, la memoria, cercando persino di ricordare quanto si è appreso da Internet stesso, ragionando con la propria testa e costituendo una propria memoria personale. Scalfari esprime una linea di larvato pessimismo e sottolinea come la tecnologia della memoria artificiale sia la causa prima, o almeno la causa principale, dell’appiattimento sul presente, perché esonera i frequentatori della Rete da ogni responsabilità. Anzi sarà la stessa Rete, con l’illusione di inserire i fruitori in una folla di contatti e di compagnie, che confinerà gli stessi nella solitudine. Del resto, molti utenti della Rete hanno smesso di attivare e coltivare i rapporti di prossimità e stanno ritirati in casa a “navigare” sulle onde della nuova tecnologia. Conclusione. Coloro che seguono l’andamento dei processi di senescenza hanno un’attenzione tutta particolare per la questione della memoria, nei suoi molteplici aspetti, e si impegnano a superare tendenzialmente il gap digitale che caratterizza il rapporto intergenerazionale. L’utilizzo razionale del web, nel consentire il ritrovato gusto del rapporto e del confronto fra persone, impone, tuttavia, di evitare la deriva dei “dannati della Rete”, attratti dal fascino solitario e fascinatorio dello schermo, anche per sottrarsi a una di quelle forme degenerative a cui ogni società deve responsabilmente fare fronte. Del resto l’espansione esponenziale dell’uso della Rete tende a incidere sul pensiero (ricordiamo i pericoli del pensiero unico) e a ridurre al minimo la parola scritta, a leggere giornali e libri, con effetti nefasti sulla capacità di elaborazione, sul linguaggio e, quindi, sulla memoria. La patologia generale che ne deriva, pertanto, va oltre l’ipotesi riduttiva di una malattia generazionale. Giobbe Andremo alle urne tra il 22 e il 25 maggio. Sarà il primo Parlamento (751 deputati) con poteri sulla scelta dei vertici della Commissione. Occorre riprendere il dinamismo della costruzione comune. di Guido Bossa Verso il voto di primavera. Quale Europa? Le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo che si terranno fra il 22 e il 25 maggio nei 28 Paesi dell’Unione (in Italia domenica 25) sono il primo di una serie di appuntamenti cruciali per i governi e i popoli del Vecchio Continente, e precisamente quello in cui più direttamene saranno chiamati in causa i cittadini, che dovranno esprimersi su un interrogativo di fondo: quale Europa vogliono per sé e per i loro figli? Non si tratterà, infatti, solo di eleggere, con modalità diverse da stato a stato (e questo è già un limite cui bisognerebbe porre rimedio), i 751 eurodeputati che andranno a sedere sugli scranni di Bruxelles-Strasburgo, ma di avviare un percorso che entro la fine dell’anno vedrà completamente rinnovate – nei leader e nei programmi – le principali istituzioni comunitarie, che troveranno in maniera diretta o indiretta la loro legittimazione nel consenso dell’unico organismo eletto col voto popolare, appunto il Parlamento. La sequenza delle scadenze è serrata: il mandato del Presidente della Commissione, il portoghese Josè Manuel Barroso, si conclude il 31 ottobre, e con lui dovranno essere sostituiti i 27 Commissari (ministri), tra i quali bisognerà trovare il nuovo 9 UE e Svizzera ai ferri corti LA LEGA VOTA A BERNA A meno di quattro mesi dalle elezioni europee, il referendum svizzero che ha ripristinato il contingentamento dell’immigrazione nella Confederazione Elvetica, ripristinando tetti e quote di ingresso, ha fatto suonare un campanello d’allarme in tutte le cancellerie e a Bruxelles. Non solo perché ora si renderà necessario aprire un complesso negoziato con Berna per riformare i trattati sulla libera circolazione delle persone (ci sono tre anni di tempo), ma soprattutto perché si teme che l’effetto moltiplicatore del voto gonfi le vele dei partiti xenofobi ed antieuropei che già puntavano a raccogliere un buon successo alle europee ed ora si avvicinano all’appuntamento ancor più galvanizzati. Al giubilo dei nazionalisti francesi, inglesi e tedeschi, si è aggiunto quello dei leghisti italiani, incuranti del fatto che la chiusura delle frontiere elvetiche potrà danneggiare anche i loro elettori delle province di Como, Sondrio e Varese. Matteo Salvini vota a Berna. gb 10 I parlamentari europei che nel 2007 siglarono il Trattato di Lisbona capo della diplomazia comunitaria (sia l’uscente Ashton, sia lo stesso Barroso lasciano un’eredità tutt’altro che fulgida); a novembre, poi, si libera il posto del belga Herman van Rompuy, presidente permanente del Consiglio europeo; per non parlare di altre nomine di minore importanza che dovranno riempire le caselle di organismi vecchi e nuovi di zecca, moltiplicatisi nel tempo grazie all’inesauribile fantasia istituzionale degli euroburocrati e anche all’esigenza di non lasciare nessuno stato membro senza una poltrona da occupare. Dal punto di vista della legittimazione democratica, la novità di quest’anno sarà l’obbligo – che deriva dal Trattato di Lisbona (2007) per la prima volta attuato su questo punto – di tener conto del voto espresso dagli elettori dell’Unione nella designazione del nuovo presidente della Commissione e dei suoi commissari, i quali, tutti, dovranno poi ottenere il voto di fiducia dell’assemblea parlamentare. Novità non da poco, anche se è scontato che i governi non mancheranno di far valere le proprie ragioni. Il Presidente del Consiglio europeo, invece, sarà scelto all’unanimità dai capi di stato e di governo, in un bilanciamento di cariche nel quale devono adeguatamente essere rappresentati i popoli (parlamento), l’Europa (commissione) e, appunto, i governi degli stati membri. Architettura complicata, insomma, nella quale si rischia di perdere di vista l’obiettivo e di smarrire il senso di marcia di un’Europa da costruire insieme, al di là di differenze e di specificità regionali che hanno sempre minor senso in un mondo che si sta globalizzando a una velocità molto più elevata – lo abbiamo visto proprio negli ultimi anni – di quella del nostro processo d’integrazione. Un percorso che era iniziato con grande slancio e grandi ambizioni quasi sessant’anni fa (Trattati di Roma, 1957). Esso si è arrestato e quasi ripiegato su se stesso dal momento in cui, con il varo della moneta unica (1999-2002) e il rapido allargamento, prima a 22 poi a 25 e infine a 28 soci, che segnava la fine della secolare divisione geopolitica dell’Europa, l’obiettivo di un’unione politica prefigurato dalla Conferenza intergovernativa (Roma, 1990) sembrava quasi a portata di mano. Ora, l’appuntamento di questa primavera deve essere l’occasione non solo, com’è ovvio, per misurare le forze in campo, ma anche, e forse ancor di più, per riflettere sui successi (che non mancano) e sui limiti dell’Europa che c’è e di quella che resta da costruire, nella consapevolezza che la domanda “quale Europa?” riguarda tutti. Uno sguardo retrospettivo è indispensabile se non altro per misurare il cammino percorso e assume- re la consapevolezza delle difficoltà da affrontare oggi. E allora non si può non rilevare che il primo obiettivo che i Padri fondatori avevano indicato a se stessi e ai loro popoli è stato raggiunto: l’Europa, nata su quella frontiera franco-tedesca che aveva conosciuto decenni di guerre sanguinose, è oggi un continente di pace, e la pace le ha consentito uno sviluppo economico impressionante e un allargamento soddisfacente della sfera dei diritti e del campo della democrazia politica. Vedremo subito che proprio su questo terreno l’Europa comunitaria ha registrato una pesante battuta d’arresto, ma intanto rileviamo che è stata l’attrazione esercitata dallo sviluppo economico e democratico del cosiddetto “campo occidentale” a rompere la frontiera innalzata dai regimi totalitari che aveva diviso in due il continente subito dopo la sconfitta del nazifascismo. Un successo dell’Europa, dunque: è innegabile; ma di questo successo è figlio anche il ripiegamento successivo con il conseguente appannamento degli ideali. Il raggiungimento del traguardo più ambizioso – l’Euro – è avvenuto a scapito dell’altro obiettivo: l’integrazione politica, la marcia verso il federalismo europeo. Il processo costituente iniziato alla fine del secolo scorso e affidato alla Convenzione europea presieduta da Valéry Giscard d’Estaing, è stato azzoppato dal risorgere degli egoismi nazionali; il deficit di democrazia che il fallimento ha lasciato dietro di sé ha prodotto un deficit di legittimità, di partecipazione e di fiducia; e così, quando la crisi economico-finanziaria nata oltre oceano si è trasferita in Europa, la risposta è stata all’insegna della rinazionalizzazione dei problemi e delle soluzioni. E poiché, soprattutto in periodi di crisi, il nazionalismo produce il populismo con un determinismo perverso che la storia europea ben conosce, ecco che ora la minaccia dei partiti della destra nazionalista uniti a quelli dell’ultrasinistra incombe sulle prossime elezioni. Non a caso l’“Economist” ha dedicato la sua prima copertina del nuovo anno alla nascita dei “tea parties” europei. Questa è dunque la sfida democratica delle elezioni di primavera: riprendere il dinamismo della costruzione comune, conciliare rigore economico, crescita, solidarietà sociale, convergenza fiscale (il caso Electrolux è una sconfitta dell’Europa); smentire con i fatti i numerosi detrattori e le cassandre che purtroppo non mancano mai. La sede del Parlamento Europeo di Strasburgo Gli europei al voto Saranno oltre 500 milioni i cittadini europei che, alla fine di maggio, verranno chiamati a rinnovare i seggi del Parlamento europeo. In Italia si voterà domenica 25 maggio. Ognuno dei 28 stati membri avrà il diritto di eleggere un numero determinato di deputati, sulla base del principio della “proporzionalità degressiva”. Ovvero, i paesi con una popolazione più elevata avranno più seggi rispetto ai paesi di dimensioni minori. Tuttavia, questi ultimi otterranno un numero di seggi superiore a quello che avrebbero sotto il profilo strettamente proporzionale. In particolare, si andrà da un minimo di 6 deputati espressi da stati come Malta, Lussemburgo, Cipro ed Estonia, ad un massimo di 96 deputati espressi dalla Germania. L’Italia esprimerà 73 deputati, lo stesso numero del Regno Unito. Complessivamente, saranno eletti 751 deputati e, per la prima volta, parteciperanno alle elezioni europee anche i cittadini croati. Quella della prossima primavera, sarà l’ottava volta che i cittadini europei sono chiamati al voto per rinnovare il Parlamento europeo. La prima volta fu nel 1979. Con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona (1° dicembre 2009) il Parlamento europeo è diventato un potente colegislatore e svolge un ruolo determinante nel definire le politiche europee. Per ogni cittadino, votare alle elezioni europee significa quindi avere l’opportunità di influire sulla composizione del Parlamento e sulle decisioni che adotterà nel corso dei cinque anni della sua legislatura. Potranno votare tutti i cittadini europei che abbiano compiuto il 18° anno di età. 11 Europa e populismi, crisi della democrazia e un nazionalismo che può ostacolare la convivenza tra i popoli. Ne abbiamo parlato con Alberto Martinelli, professore emerito di Scienze Politiche e di Sociologia presso l’Università degli studi di Milano, tra i maggiori studiosi italiani e stranieri di queste tematiche. di Mimmo Sacco Alberto Martinelli 12 Attenzione all’anti-europeismo, il futuro è nell’Unione Sacco: Professore, l’edificio europeo mostra preoccupanti lesioni: fuori di metafora, un forte vento di euroscetticismo con conseguente deriva populista sta investendo vari Paesi del nostro continente (in Francia con il Fronte Nazionale di Marine Le Pen, e ancora in Austria, Olanda, Finlandia e Ungheria). E anche noi non ne siamo indenni. Quali le cause? Martinelli: Nella recessione economica si va alla ricerca di comodi capri espiatori: l’euro e le istituzioni europee sono ritenute responsabili della crisi, mentre le cose non stanno esattamente così. I processi di globalizzazione hanno prodotto un’erosione di sovranità nazionale e messo in difficoltà le politiche sociali. La crisi, poi, ha ulteriormente accentuato questo. Le persone, quindi, si trovano ad avere gravi problemi di occupazione, più timori sul loro futuro e trovano anche, a volte, dei Governi che sono limitati nella loro azione. Da qui, l’insorgere di fenomeni di tipo nazional-populista. Un esempio è quello che è stato definito lo sciovinismo del welfare state, e cioè la richiesta che la protezione sociale sia limitata ai cittadini: è un tipico esempio che riflette queste paure, ed è una nuova forma di egoismo. La globalizzazione in generale e la recessione economica in particolare alimentano queste tendenze nazional-populiste. Nel momento in cui ci sono timori e incertezze, allora l’identità nazionale diventa un elemento importante. Sacco: Deriva populista e “mal di nazione” (per mutuare una sua felice intuizione) non sono due aspetti dello stesso fenomeno negativo? Martinelli: Direi di sì. Riconosco ovviamente che l’ideologia nazionalista abbia avuto i suoi meriti quando ha favorito processi di unificazione nazionale, come nel caso dell’Italia e della Germania. Peraltro, indubbiamente, il nazionalismo ha fatto anche gravissimi danni. E oggi veder riaffiorare tendenze nazionalistiche con una retorica, con un linguaggio, con un modo di fare di tipo populista è preoccupante, anche perché nel mio libro “Mal di nazione” cerco di dimostrare che il nazionalismo e il populismo finiscono di trovare un punto di coagulo, s’incontrano proprio sul terreno dell’antieuropeismo. Sacco: Tra i guasti del populismo non c’è anche il rifiuto della democrazia rappresentativa che può sfociare in spinte autoritarie? Martinelli: Senza dubbio. Da un lato i movimenti populisti affermano di essere autentici interpreti della democrazia, ma intendono la democrazia cosiddetta “diretta”. Cioè non rispettano e sono contro gli istituti della democrazia rappresentativa, siano essi il Parlamento oppure quegli strumenti fondamentali di ogni democrazia contemporanea che sono i partiti politici. Inoltre non sono assolutamente liberali, cioè non rispettano lo Stato di diritto e le garanzie costituzionali, perché ritengono che il voto della maggioranza possa decidere quello che vuole. Sacco: La disaffezione, e ancor più lo spirito antieuropeista, che si notano anche in Italia, possono trovare un humus favorevole nella critica verso una certa fredda burocrazia e tecnocrazia di Bruxelles e Francoforte? Martinelli: Sicuramente, perché obiettivamente, a volte, si ha l’impressione che le decisioni importanti per la nostra vita vengano prese da gruppi ristretti, per carità competenti, però ristretti. Sono gruppi tecnocratici o sono gli esperti di finanza, di economia monetaria, etc… o Banca centrale di Francoforte. O ancora sono le Commissioni: quella europea di Bruxelles o altro, e questo naturalmente fa pensare che i cittadini siano impotenti di fronte al potere di queste élites. Ma non ci rendiamo conto dell’importanza di queste elezioni e soprattutto quello che mi dispiace è il constatare che sono molto attivi i movimenti anti-europeisti. Al contrario partiti e movimenti europeisti sono abbastanza silenziosi. Come europeisti avremmo ottimi argomenti da contrapporre a chi cri- tica l’Europa. Sacco: Uscendo dai nostri confini, il ruolo egemone che la Germania tende ad attribuirsi non rende, di fatto, ancora più difficile la strada dell’integrazione europea? Martinelli: Non direi che la Germania tende ad attribuirsi un ruolo, questa è una conseguenza del fatto che abbiamo un’unione monetaria incompleta, in cui ci sono Paesi che hanno una produttività diversa. Quindi è necessario completare, andare avanti su questa strada affiancando all’unione monetaria l’unione bancaria, che è già in atto, e poi anche un governo dell’economia europea. Comunque ritengo che i tedeschi più avvertiti sappiano benissimo che una Germania forte nel mondo non può che esistere all’interno di un contenitore più ampio, perché la lezione della storia è molto chiara al riguardo. Sacco: Mentre in alcune zone europee la sirena del populismo (come si è detto) sta creando un clima di sfiducia, nell’Est un grande Paese, l’Ucraina, con una drammatica “rivoluzione”, bussa alla porta dell’Europa. Che lezione per gli euroscettici, non le pare? Martinelli: Sono senz’altro d’accordo. Se mettiamo a confronto non solo la qualità della vita ma anche il rispetto dei diritti umani, civili e fondamentali (tra questi in maniera prioritaria la libertà e il rispetto EURO PIÙ FORTE, EUROPA PIÙ VERA Abbandonare l’euro e tornare alla nostra vecchia lira non è la soluzione per uscire dalle persistenti difficoltà della nostra economia. Oltretutto, non sarebbe né semplice né utile. I costi economici e politici sarebbero enormi. Siamo in un’economia globalizzata e le vecchie pratiche delle svalutazioni competitive non sarebbero più consentite. Perciò, di fronte alla crisi finanziaria, si reagisce meglio con l’euro, che è una moneta forte utilizzata da oltre trecentocinquanta milioni di cittadini europei. Se il valore della moneta è lo specchio della salute dell’economia, quella europea è sicuramente un’economia solida. Ma non lo è, purtroppo, in tutto il suo territorio. L’attacco speculativo all’euro ha pesantemente colpito i Paesi più deboli del Sud-Europa, compresa l’Italia. La politica di rigore e di austerità decisa in sede europea non ha favorito la ripresa economica ed industriale e ha accentuato il malessere sociale nei Paesi in questione. Ciò ha determinato la messa in discussione della permanenza nell’euro e nella stessa Unione Europea. Sarebbe una iattura. Occorrono, invece, una maggiore solidarietà e politiche di sviluppo verso i Paesi più deboli. Comunque, la risposta vera non può che essere l’accelerazione della governance unitaria dell’economia europea. Abbinandola auspicabilmente ad una comune politica estera e di difesa in modo da poter giocare come Europa un ruolo da protagonisti nel mutato scenario mondiale. Mario Lettieri Marine Le Pen dei principi democratici), è abbastanza evidente che in questo Paese dell’Est la maggioranza degli ucraini vorrebbe avvicinarsi e anzi far parte della nostra area occidentale. E questo ci fa riflettere, perché vuol dire che, a volte, noi diamo un po’ troppo per scontato il fatto di essere stati fortunati a vivere in questa parte di Europa rispetto all’altra. Quello che sta avvenendo in Ucraina è anche un terreno di prova della politica estera europea, che purtroppo non è ancora unitaria ma dovrebbe diventarla al più presto. Sacco: Dopo il sintetico quadro delineato guardiamo al futuro. Da varie parti si sostiene che l’edificio comunitario ha bisogno di essere ammodernato (e questa è anche la sua posizione). Quali le basi del nuovo architrave? Martinelli: Più che ammodernare l’edificio europeo bisogna completarlo, ridistribuendo il potere tra Parlamento e Commissione, avere un bilancio europeo con entrate fiscali proprie che devono sostituire una parte di quelle dei singoli governi nazionali. E ancora creare un esercito unico europeo accanto ad una politica estera unica. Non bastano però solo le innovazioni istituzionali: è necessario anche sviluppare il sentimento di appartenenza all’Europa. In questo contesto, la mia proposta (la faccio da molti anni) di un breve servizio civile di ragazze e ragazzi in un Paese diverso dal loro dell’Unione, serve a sviluppare una vera identità europea. Il prossimo Parlamento dovrà discutere di una nuova Costituzione europea e proporre una modifica dei trattati (un problema complesso) per procedere sulla strada di una maggiore integrazione politica. 13 La “necessità” dell’Europa Qualche decennio fa era un mito, ora in tanti vorrebbero farne a meno; ma l’Unione tra gli stati europei resta fondamentale per varie ragioni. di Gianfranco Varvesi* Appartengo alla generazione cresciuta nel mito dell’Europa, degli ideali di pace e di prosperità che hanno unito i paesi un tempo nemici: generazione profondamente orgogliosa dei progressi compiuti dal nostro Paese. Per meglio illustrare questo sentimento basti pensare a due date simboliche. Nell’agosto del 1946 De Gasperi fu accolto alla conferenza della pace dai suoi stessi nuovi alleati con tanta freddezza da fargli esordire così: “Prendendo la parola in questo consesso mondiale, sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: e soprattutto la mia qualifica di ex nemico”; nel marzo 1957 si firmarono proprio a Roma i trattati che hanno istituito la Comunità economica europea e la Comunità europea dell’energia atomica. L’Europa era un ideale e un progetto, e al più si discuteva se optare per una federazione o una confederazione europea. Oggi invece si sentono forti polemiche antieuropee. E’ inevitabile, a questo punto, porsi la domanda su come e perché ci troviamo ad affrontare quest’ondata di euro-scetticismo, se veramente sia penalizzante continuare a restare nell’Europa unita e se non con14 venga ritornare ai nostri confini politici, economici e culturali. Per rispondere a questi quesiti esistenziali per il futuro del nostro Paese dovremmo riflettere in primo luogo sulle cause del mutato sentimento verso Bruxelles. Confidando sui forti sentimenti degli italiani in favore dell’Europa, spesso i nostri Governi hanno imputato a Bruxelles le misure impopolari da loro adottate. “Bruxelles ce lo impone” è stato lo slogan per Herman Van Rompuy Presidente del Consiglio europeo dal 2009 giustificare la necessità di rimettere in ordine i bilanci statali. Tralasciando le presentazioni politiche delle restrizioni che ci sono state imposte, occorre riconoscere che in realtà la causa di quelle misure risiedeva nella cattiva gestione dei fondi pubblici e, nel 2001, nel passaggio dalla lira all’euro. Il cambio della moneta è stato da molti sfruttato per realizzare rialzi del tutto ingiustificati dei prezzi; quello che costava mille lire, all’improvviso ci è stato venduto a un euro, cioè quasi al doppio. La crisi, che da cinque anni ha colpito l’economia mondiale, si è ripercossa sul nostro fragile sistema con particolare virulenza, mettendo in luce i “buchi di bilancio” delle nostre finanze. E’ vero d’altro canto che il rigore che abbiamo subito ci sta svenando ed esasperando. Ma, in questo caso, paragonerei l’Unione Europea a un condominio; se un condomino è moroso, non è giusto che siano gli altri a far fronte alle spese comuni. Vi può essere una certa tolleranza, ma poi lo si mette di fronte alle proprie responsabilità. E così è giunto il momento in cui ci è stato presentato il conto, pretendendo però un drastico pagamento degli arretrati. In questi ultimi anni l’onere fiscale è diventato insostenibile, migliaia d’imprese sono fallite, sono aumentati la disoccupazione e il precariato, colpendo in modo particolare i giovani e la fascia di lavoratori più anziani, ma non ancora in età pensionabile. L’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale ci hanno obbligato a intraprendere politiche di risanamento dell’economia che hanno ostacolato l’obiettivo della ripresa economica. Un paradosso che ha avuto un prezzo altissimo. Nel ricordare che le politiche fiscali sono di competenza nazionale e nel riconoscere i nostri errori, dobbiamo con altrettanta obiettività evidenziare quelli delle strutture comunitarie. Arroganza nella gestione finanziaria della crisi e nell’imporre draconiane misure, una burocrazia auto-referente, con una visione ristretta rispetto ai grandi obiettivi dell’Unione Europea. Tutto ciò sta favorendo la crescita del populismo anti europeo in Italia e in tanti altri Paesi. Le prossime elezioni per il Parlamento europeo (24 e 25 maggio) ci offrono l’occasione di far sentire la nostra voce e di pronunciarci per le future scelte da adottare. Semplificando di molto, direi che le diverse forze politiche ci offrono o di sostenere le strutture comunitarie, o di contestarle. Nell’incertezza, parte dell’elettorato tende per l’astensione. I più agguerriti critici dell’Europa sostengono che occorre recuperare l’autonomia nazionale e uscire dall’euro, la qual cosa però comporterebbe automaticamente uno stato d’insolvenza con alcune catastrofiche conseguenze. I detentori dei titoli di stato perderebbero praticamente tutto, non potendo più il Tesoro far fronte ai suoi debiti. L’inflazione ritornerebbe a due cifre, con disastrose conseguenze sui salari e sulle pensioni, mentre i tassi d’interesse bancari salirebbero alle stelle. La svalutazione della nuova moneta rispetto alle valute internazionali più solide (dollari, euro, yen giapponese e lo yuan cinese) comporterebbe un aumento del prezzo del petrolio e delle materie prime che importiamo. Chi addirittura propugna l’uscita dall’Unione Europea sottovaluta le conseguenze politiche, che si aggiungerebbero a quelle finanziarie. In Italia, alla crisi economica, con disoccupazione e precariato, si è aggiunto un profondo senso di sfiducia nella politica, dovuto all’inadeguatezza e alla disonestà di alcuni politicanti. Stiamo affrontando, insieme alla crisi economica, un vuoto di valori politici. La combinazione di questi due fenomeni è alla base della sfiducia dei cittadini europei (non solo italiani) verso le istituzioni e favorisce tendenze nazionalistiche, già bocciate dalla storia e dall’economia. All’antieuropeismo spicciolo, alimentato dal tentativo di eludere alcuni specifici problemi nazionali, occorre contrapporre la riappropriazione delle istituzioni europee attraverso un rafforzamento del Parlamento che eleggeremo a maggio. Occorre prendere coscienza che nel mondo globale i singoli Stati saranno sopraffatti, mentre è solo nell’UE che possono salvare la loro identità nazionale, culturale, sociale ed economica. Inoltre, in questo nuovo quadro geopolitico, solo l’Europa unita potrà trovare la forza per farsi rispettare, giocando ad armi pari con i grandi del pianeta. Occorre quindi passare dall’Europa burocratica-contabile a quella che permetta di essere nel 21° secolo una potenza mondiale, in grado di difendere gli interessi politici ed economici di tutti i suoi membri. Se vi è dunque un momento dell’Unione, questo è quello! * Già ambasciatore in rappresentanza dell’Italia presso l’OSCE Rete autostradale nei paesi Ue Anno 2010 (a) (km per 1.000 km2 di superficie territoriale) 25,4 14 12 70 10 60 50 8 40 6 30 20 4 Ue27 2 10 0 0 Rete a binario doppio elettrificato Rete totale Le reti di comunicazione in Europa Come comunica l’Europa? E, soprattutto, quali sono i Paesi in cui le comunicazioni sono più facilitate? Nella speciale classifica Istat che analizza la situazione delle reti autostradali europee, sul podio salgono nell’ordine Paesi Bassi, Lussemburgo e Belgio, che vantano rispettivamente 63,3, 58,8 e 57,8 chilometri di autostrade ogni 1.000 chilometri quadrati di superficie territoriale. L’Italia si colloca al decimo posto, con 22,1 chilometri di autostrade ogni 1.000 chilometri quadrati. In particolare il Belpaese, con i suoi 6.629 chilometri di autostrade, rappresenta il 9,2% della rete autostradale europea. Diversa è invece la situazione riguardante il numero di autovetture ogni 1.000 abitanti, un dato che, se da un lato è un indicatore della qualità di vita di un paese, dall’altro consente di misurare l’impatto negativo sulla congestione del sistema viario. Ebbene, il tasso di motorizzazione in Italia è secondo a livello europeo (prima c’è solo il Lussemburgo) ed è passato da circa 501 autovetture ogni 1.000 abitanti nel 1991 a circa 610/1000 nel 2011, con un incremento medio annuo pari all’1,0 per cento. Sul fronte delle reti ferroviarie, è il Lussemburgo a fare la parte del leone, con 25,4 chilometri di ferrovie ogni 100 chilometri quadrati. La medaglia d’argento va invece alla Repubblica Ceca (12,1 chilometri ogni 100 kmq), mentre il “bronzo” è del Belgio (11,7 chilometri). L’Italia, con 5,5 chilometri di rete ferroviaria per 100 chilometri quadrati di superficie territoriale, si colloca in ambito europeo in una posizione intermedia, calcolando che la media complessiva dei Paesi Ue è di 4,9 chilometri. Se tuttavia si considera lo sviluppo tecnologico della rete, la situazione relativa dell’Italia è migliore: in tal caso il Belpaese si pone in quinta posizione, preceduto da Belgio, Paesi Bassi, Germania e Polonia per chilometri di rete a binario doppio elettrificato in rapporto alla superficie. A livello marittimo, la tendenza in atto è quella di fare diventare i porti le principali interfacce delle reti di trasporto terrestri, in particolare quella ferroviaria, migliorando i collegamenti intermodali per diventare luoghi di scambio commerciale a forte potenzialità di crescita. Nel 2010, l’Italia è il quinto paese europeo per volume del traffico container via mare (8,5 milioni di Teu, mentre al primo posto c’è la Germania) e il primo per trasporto di passeggeri, con oltre 87,6 milioni di passeggeri. Non da ultimo, va considerato il traffico aereo. Il principale aeroporto dell’Unione europea, per passeggeri, è Londra Heathrow (69,4 milioni secondo l’Istat – dati 2011), mentre per le merci primeggia Francoforte (quasi 2,3 milioni di tonnellate – Istat 2011). Rapportando i passeggeri alla popolazione emergono due paesi: Cipro (8,5 passeggeri per residente) e Malta (8,4), risultati che è possibile spiegare in base all’insularità del paese (Irlanda e Regno Unito sono in terza e ottava posizione) e all’elevata vocazione turistica. L’Italia, con 1,9 passeggeri per residente, si situa al di sotto della media europea (2,3). 15 Costituzione e legge elettorale al cambiamento La vera riforma? Chiarire i compiti di Stato e Regioni La Sanità va resa efficiente in ogni territorio. Tasse: sapere chi le raccoglie e che uso ne fa. Presidente eletto? Il Parlamento deve avere poteri di controllo. Legge elettorale non solo per convenienza di parte. Servono partiti veri, non comitati elettorali. Gian Guido Folloni incontra Cesare Mirabelli Giurista di chiara fama universalmente apprezzato, Cesare Mirabelli è presidente emerito della Corte Costituzionale e, oggi, membro della Commissione per le Riforme Costituzionali. Lo incontriamo per riflettere sui cambiamenti – in parte già avvenuti, in parte in procinto di essere messi in atto – nell’architettura del nostro Stato. 16 Folloni: Professor Mirabelli, perché cambiare la Costituzione? Ne vale la pena? In che cosa il cambiamento può migliorare la nostra democrazia? Quali parti della Costituzione s’intendono cambiare? Mirabelli: Cambiamenti ci sono già stati nella Costituzione, come la stessa modifica del Titolo V e anche altri. Il più recente è l’articolo 81 per quel che riguarda l’aspetto finanziario. Cambiare la Costituzione? La seconda parte, quella che disegna l’artico- lazione di parlamento, governo e istituzioni può essere oggetto di una revisione. La prima davvero no. Tutto quel che riguarda i diritti fondamentali non è suscettibile di variazioni. Folloni: Il bicameralismo “perfetto” è forse il maggior imputato per la lentezza dei procedimenti legislativi. Verso quale nuovo sistema camerale orientarsi? Mirabelli: C’è un giudizio spesso negativo sul bicameralismo, ma non è sempre giusto. Talvolta la doppia lettura – Camera e Senato – ha consentito di rivedere alcuni errori commessi. Del resto altre volte, quando vi è stata necessità di una decisione molto rapida, in assai breve tempo sia Camera sia Senato si sono pronunciati. Tuttavia questo è un punto sul quale si ritiene opportuno intervenire. Molti ritengono che la crisi stia nell’aver attribuito a entrambi i rami del Parlamento la possibilità di esprimere la fiducia al Governo. Folloni: Per il Senato si parla di abolizione. In realtà si tratta di decidere sia il modo della sua composizione, sia i suoi compiti… Mirabelli: Bisogna partire dalla funzione, dai compiti. In alcuni ordinamenti, per esempio nella Repubblica federale tedesca, quello che da noi sarebbe il Senato è il luogo di rappresentanza dei Lander, che da noi sarebbero le Regioni. Perciò, se si vogliono valorizzare le autonomie, il Senato diviene il luogo di collegamento con lo Stato centrale. Folloni: L’abolizione delle Province, previste in Costituzione, è il primo atto di una riorganizzazione degli enti territoriali fissati nel Titolo V. Si parla anche di ripensare le materie di competenza nazionale e regionale, con un orientamento a riportare in sede nazionale alcune importanti funzioni. E’ così? Mirabelli: Sono due aspetti distinti. Vediamo il rapporto con le Regioni, l’unico ente al quale è attribuita, oltre che allo Stato centrale, la funzione legislativa. Qui la passata riforma del Titolo V ha dato luogo a controversie infinite e conflitti di legittimità costituzionale tra Stato e Regioni. Si tratta allora di superare il riparto di compiti oggi presente nel Titolo V e attri- buire in maniera più chiara le materie statali e quelle regionali. Spesso si tratta di decisioni di rilievo: le reti di grande comunicazione, di trasmissione di dati, di erogazione di servizi. Secondo aspetto: le Province. Anche qui la logica va capovolta. Bisogna vedere quali sono le funzioni e a quale ente possono essere attribuite. La soppressione può rischiare di trasformarsi solo in un cambio di nome: enti con denominazione diversa ma egualmente esistenti. Meno costosi? Forse. La vera riforma è quella del disegno delle funzioni e dell’attribuzione dei compiti. Folloni: Si è molto criticato il fatto che la Sanità affidata alle Regioni ha generato, nel tempo una spesa fuori controllo. Mirabelli: Qui bisogna porre attenzione a come rendere efficiente il servizio. In fondo, sulla Sanità italiana il giudizio non è negativo. La vita media nel Paese è cresciuta: è la più elevata in Europa. Anche la spesa del settore in percentuale rispetto al PIL non è superiore. Ci sono però molte differenze tra i diversi luoghi, in fatto di efficienza. Occorre un faticoso lavoro di rivisitazione e di riorganizzazione complessiva. Folloni: Gestione e spesa da una parte, raccolta delle risorse dall’altra: da qualche anno il contenzioso tra chi tassa e chi spende si è fatto duro. E’ possibile mettere ordine? E come prevedere la solidarietà e perequare le aree a diverso sviluppo? Mirabelli: Come principio occorrerebbe unificare potere della raccolta di risorse e responsabilità. Bisogna poi evitare gli appesantimenti burocratici, costosi e spesso infruttuosi. C’è l’esigenza di diminuire la pressione fiscale, ma c’è anche quella di uso efficiente delle risorse raccolte. E’ possibile mettere ordine? Sì, con una grande semplificazione. Gli adempimenti fiscali sono una miriade. Folloni: La raccolta va concentrata in un punto solo? Mirabelli: I modelli possono essere diversi. Ci sono ordinamenti a struttura fiscale semplice ma con decentramento accentuato: un’imposta sul reddito, sulle risorse (il reddito che il patrimonio procura) e sulle imprese. Oppure, si può accentuare la tassazione indiretta. In ogni caso serve coerenza di sistema: deve essere evidente chi esige le imposte e quale uso ne fa. Folloni: L’intero impianto della nostra Costituzione è a base parlamentare. Ma si parla di riformare la forma di Governo. In che senso? Mirabelli: Attenzione a non immaginare di risolvere problemi politici con disegni istituzionali. Ci sono sistemi parlamentari che funzionano perfettamente. E’ il caso della Repubblica federale tedesca: il sistema è parlamentare, però il cancellierato è forte e il gover- no è stabile. Pensiamo a sistemi semi presidenziali, come qualcuno auspica: ma anche lì, però, diversità tra maggioranza parlamentare e capo del governo creano dei problemi. In Costituzione credo che la base parlamentare possa e debba essere mantenuta. Questo non esclude un rafforzamento del governo, ad esempio attraverso la sfiducia costruttiva: il go- verno non cade se non è proposta una diversa soluzione. E attraverso un sistema elettorale che tenda ad aggregare le forze in campo e una responsabilizzazione delle forze politiche. Folloni: Ogni sistema democratico prevede meccanismi di bilanciamento del potere. In caso, contrario si scivola verso forme autoritarie. Se la forma di governo va verso il presidenzialismo, qual è il suo contrappeso? Mirabelli: Presidenzialismo significa che il Presidente è eletto direttamente ed è titolare dell’esecutivo senza aver bisogno d’investitura parlamentare. Però tutto questo potere va equilibrato da un Parlamento che controlli le risorse finanziarie, di bilancio. Folloni: E’ il caso degli USA… Mirabelli: Esattamente. Proprio lì il Presidente ha faticato non poco per introdurre la riforma sanitaria. Folloni: Ma, allora, il voto presidenziale e quello per il Parlamento devono essere separati… Mirabelli: Sì. Non può immaginarsi un sistema in cui l’esecutivo ha il dominio del Parlamento. Folloni: Dopo i decenni a sistema proporzionale, continuano le modifiche della legge elettorale. L’impressione è che i cambiamenti siano effimeri, fatti più per un interesse contingente che per dare un nuovo e duraturo strumento che garantisca la sovranità ai cittadini. Mirabelli: La legge elettorale dovrebbe essere di sistema, non di convenienza. Spesso l’ottica delle forze politiche che contribuiscono alla modifica è piuttosto di convenienza. Ma i risultati sono spesso diversi da quelli prefigurati. Il bipolarismo immaginato si è tradotto in almeno tre grandi raggruppamenti. Attenzione anche alle aggregazioni forzose. Possono essere elemento di comportamenti opportunistici: si fa l’unione per lucrare il premio di maggioranza, salvo dividersi dopo il voto. Non ci sono scorciatoie tecniche. Solo i processi politici danno sostanza alle cose. E i partiti devono riprendere la funzione di collegamento tra società e istituzioni: non più partiti ideologici, ma nemmeno partiti come mero comitato elettorale. 17 Da padre a figlio Il caso “Personal Factory”, azienda fondata dopo oltre 25 anni di esperienza nelle miscele in polvere 18 Nel sistema imprenditoriale italiano il 90% delle imprese è a conduzione familiare, il 43% degli imprenditori ha un’età superiore ai 60 anni e ogni anno sono oltre 60 mila gli imprenditori coinvolti nel passaggio generazionale. Meno di un terzo delle imprese familiari sopravvive al ricambio generazionale e meno di un quinto riesce a superare la seconda generazione. Invece, ecco una storia fatta di “vecchia esperienza” e “nuova tecnologia”. Parliamo di Personal Factory di Francesco Tassone, 33 anni, e di suo fratello Luigi, appena 27. Cosa hanno inventato di così straordinario? La fabbrica tascabile. Un nuovo modo di fare edilizia più pulito, digitale, intelligente. Quali sono i loro prodotti? Malte, le polveri che usiamo per fare intonaci, rivestimenti e quant’ altro. Nel 2006 Francesco, laureatosi in ingegneria, osserva le peripezie del padre nella fabbrichetta di prodotti per l’edilizia che aveva aperto nel 1982. I prodotti che l’azienda familiare produceva erano “estremi” perché specialistici in lavori tecnicamente al limite dell’impossibile. Il padre inventore, quotidianamente lottava con le difficoltà logistiche per il trasporto delle malte. “A Simbario – spiega Francesco - le strade sono poche e brutte, mio padre perdeva tempo e denaro per gli spostamenti. Allora mi sono detto: perché non abolire del tutto la logistica e permettere a chi lavora nel settore edile di prodursi la malta da sé?”. L’intuizione di Francesco Tassone, nel 2006, è tutta qui. Decide di costruire il primo prototipo della sua fabbrica tascabile e la chiama Origami, “perché come da un foglio puoi inventare mille figure, così da una piccola macchina puoi farti centinaia di prodotti diversi”. Un robot muratore. E qui inizia l’ avventura. Ma dopo non poche difficoltà economiche e finanziarie (partecipa ad una competizione europea per Start up), da allora per Personal Factory sono stati solo successi e riconoscimenti. Dall’Expo di Shanghai 2010 fino all’aumento di capitale chiuso con il coinvolgimento anche del gruppo Intesa San Paolo, con questa operazione i fratelli Tassone rilevano la fabbrica del papà (“era diventato il nostro primo concorrente, è stato giusto così”). Hanno realizzato in Calabria una meravigliosa sede. In una terra devastata dal cemento abusivo, hanno fatto un edificio meraviglioso, tra gli alberi, con un sofisticato impianto che unisce geotermia, pannelli solari e altre soluzioni tecnologiche che fanno sì che la sede abbia un esubero di energia prodotta di 14 mila kilowattora/anno. Francesco, fin da quando aveva 13 anni, ha sempre lavorato in azienda durante i periodi estivi. Ha fatto l’operaio e il grafico, oltre che occuparsi delle fatture e dell’amministrazione. Ha sempre pensato che il suo futuro professionale fosse nell’azienda creata da suo padre. I suoi studi sono stati rivolti proprio al raggiungimento di una meta, in cui l’unica certezza era data dall’esperienza molto solida e dagli oltre 25 anni di lavoro del padre. E’ stato semplice gestire il passaggio generazionale, anche se è meglio parlare, in questo caso, di integrazione tra il lavoro del genitore e la rivoluzione non solo tecnologica portata dai figli. Il saper fare di un 68enne ha ancora un senso in una realtà fatta di tecnologia web e di sistemi cloud computering? Giuseppe, il padre, segue regolarmente le attività di Personal Factory. “Non potrebbe essere diversamente - afferma Francesco - il digital divide esiste, c’è ed è enorme, ma la nostra impresa è essenzialmente manifatturiera ed il peso e il valore del saper fare manuale è molto forte. Nessun computer potrà spiegare come applicare uno stucco alla veneziana!” Quando le aziende manifatturiere chiudono è difficile che riaprano. La conseguenza più tragica è che si perde un piccolo e prezioso know how. Questo è un patrimonio che non si può più ricostruire, è un sapere non formalizzato che non si potrà trovare in nessuna pubblicazione o programma elettronico. Conoscenza, esperienza e passione; è questa la base di partenza? “Siamo una start up – conclude Francesco - con 30 anni di esperienza tecnica” Francesco e Luigi hanno avuto la capacità, l’attenzione e la dedizione nel proseguire e valorizzare il lavoro del padre, subentrando alla guida operativa e strategica dell’impresa e garantendone il successo e la continuità. Elettra 19 Anteas, il grande volontariato dal “cuore” Cisl “Il dono di cui oggi c’è maggiore bisogno, è quello della presenza, che pone l’individuo a servizio dell’altro”. Don Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose (BI) La sua giovane età (18 anni non ancora compiuti) non deve ingannare: è una delle più grandi associazioni di volontariato d’Italia ed è presente con proprie sezioni in tutte le province della Penisola. Le attività delle quali si occupa coprono i settori più diversi e i suoi numeri sono quasi da capogiro, a signi- 20 ficare l’impegno quotidiano delle migliaia di persone (13.500 volontari e 72.000 soci, per l’esattezza) che fanno parte dei suoi iscritti: 580 mila ore di volontariato per attività ricreative e culturali, 100 mila ore di trasporto sociale, 100 mila ore di ambulatorio sociale per anziani, infermi, indigenti, bambini, ragazzi e disabili, 58 mila ore di attività intergenerazionali, 332 mila ore di ascolto e sostegno a malati e anziani, 537 mila ore di guardiania e vigilanza, 60 mila ore di formazione. Naturalmente, si tratta di Anteas (www.anteasnazionale.it), Associazione Nazionale Tutte le Età Attive per la Solidarietà, una realtà fondata nel 1996 proprio grazie alla Fnp-Cisl e oggi guidata dal presidente Arnaldo Chianese, già attivo all’interno della Cisl con importanti incarichi e già segretario nazionale organizzativo della Fnp-Cisl. “Come Anteas – precisa Chianese – noi non intendiamo sostituirci alle istituzioni, ma essere sussidiari ad esse. Contestualmente, riscopriamo e facciamo riscoprire il ruolo della gratuità, del dono, essendo una grande realtà del volontariato. Del resto, la situazione che stiamo vivendo è sotto gli occhi di tutti: è di triste attualità la povertà in cui versano oltre 8 milioni di persone, di cui 3 milioni in condizioni di povertà assoluta. E’ di attualità un forte ridimensionamento del welfare. E’ di attualità il disagio. Non può quindi che non essere di attualità e preso nella massima considerazione il volontariato nel “sistema Paese”. Possiamo affermare che il volontariato è una delle espressioni propulsive della società italiana, è ampiamente riconosciuto quale promotore di società civile e fattore di crescita della coesione sociale. Sta dando risposte concrete ad una società che cambia. E lo sta dando in tutti i settori con atti gratuiti. Secondo dati Istat, che si riferiscono ad uno studio che lo stesso Istituto ha svolto nel 2012 (con riferimento al 2011), il numero totale dei volontari in Italia risulta essere di 4.758.622 unità e registra una crescita del 43,5% in dieci anni. Il lavoro volontario rappresenta peraltro la quota principale (83,3%) delle risorse umane nel campo del no-profit. Se traduciamo l’impegno di questi volontari, che sono il 7% della popolazione, in un valore economico, arriviamo a 8 miliardi di euro. A questi risultati vanno aggiunte tre brevi sottolineature: la prima, che queste attività abbracciano molti settori del no-profit; la seconda, che queste attività sono svolte anche da un buon numero di giovani, alcuni dei quali operano in modo saltuario, ma molti altri svolgono attività di volontariato in modo continuativo; per ultimo, vogliamo ricordare che il risultato del sondaggio dell’Eurispes attraverso il “rapporto Italia 2013” registra che l’80% degli intervistati riconoscono nel volontariato e nelle forze dell’ordine punti certi di riferimento, perché danno sicurezza, aiuto e solidarietà nei momenti difficili”. Tuttavia, secondo lo stesso presidente Chianese, per permettere al volontariato di continuare a lavorare anche in futuro con efficacia, occorrono alcune importanti azioni. “Oggi – spiega Chianese – non è più possibile essere delle isole di gratuità e fare volontariato nel tempo libero. Per questo sono necessarie apposite strutture. Sono poi cambiate le risposte al disagio, ma il volontariato non deve supplire allo Stato, bensì fare azione sussidiaria rispetto alle istituzioni. Per fare ciò, occorre uno sforzo culturale, che permetta agli adulti di fare avvicinare ai valori del volontariato i più giovani. In altri termini, occorre un patto intergenerazionale tra giovani e anziani, che intersechi i due mondi. Devono essere recuperati, in sostanza, i valori della Costituzione, e deve essere attribuito il giusto equilibrio a una società dalle molte disuguaglianze”. Ultimo ma non per importanza, Chianese chiede anche che sia rilanciato il welfare dei diritti, passando anche attraverso una revisione della fiscalità vigente. “A un Governo che sembra non essere troppo attento alle esigenze del volontariato – dichiara Chianese – occorre chiedere che il 5 per mille vada stabilizzato con una legge definitiva, perché con le risorse della comunità si possono dare risposte concrete” Arnaldo Chianese 21 Rapporto Bankitalia, la ricchezza è sempre più concentrata Intanto, oggi come non mai i pensionati sono chiamati a sostenere figli e nipoti Anche in Italia, come nel resto del mondo, la ricchezza è sempre più concentrata nelle mani di poche. Ad affermarlo è “L’indagine sui bilanci delle famiglie italiane nel 2012” della Banca d’Italia, che rileva come nelle mani del 10% delle famiglie più ricche risieda il 46,6% della ricchezza netta familiare totale (nel 2010 era al 45,7%). Secondo il rapporto di Bankitalia, la metà delle famiglie vive con meno di 2.000 euro al mese, solo la metà ha un reddito annuo superiore ai 24.590 euro annui, mentre un 20% conta su un reddito addirittura inferiore ai 14.457 euro. Il 10% delle famiglie a più alto reddito, invece, percepisce più di 55.211 euro. Il risultato è che la povertà quasi totale (ovvero le famiglie di due persone che vivono sotto la soglia di 7.678 euro annui, o 15.300 euro annui per i nuclei di 3 persone) è salita di due punti percentuale tra il 2010 e il 2012, ovvero dal 14 al 16%. In tale contesto, non certo roseo e confortante, a “salvarsi” sono per così dire i pensionati. Recita infatti il rapporto: “Nel 2012 il reddito familiare annuo, al netto delle imposte sul reddito e dei contributi sociali, è stato in media pari a 30.338 euro, circa 2.500 euro al mese. Il reddito familiare è più elevato della media per le famiglie con capofamiglia laureato, lavoratore indipendente o dirigente, di età compresa 22 tra i 45 e i 64 anni, e inferiore per le famiglie residenti al Sud e Isole e per quelle con capofamiglia nato all’estero”. Tra il 1991 e il 2012, secondo il rapporto, “i pensionati hanno migliorato significativamente la loro posizione relativa, passando dal 95% al 114% della media generale. Anche la posizione relativa dei lavoratori indipendenti ha avuto un miglioramento nel periodo, nonostante la flessione nell’ultimo biennio; la posizione dei lavoratori dipendenti è invece complessivamente peggiorata”. In ogni caso, rimane anche vero che un pensionato su due è spesso obbligato a posticipare i pagamenti, e allo stesso tempo è costretto a mantenere figli che sono stati espulsi dal mercato del lavoro e i nipoti che non riescono ancora ad entrarci. Del resto, le situazioni peggiori si registrano infatti tra i giovani: negli ultimi 20 anni il reddito equivalente è calato del 15% nella fascia 19 - 35 anni e di circa il 12% in quella 35 44. Ed è tra le famiglie sotto i 34 anni che nel 2012 si registra la diminuzione più marcata di ricchezza netta familiare. Resta contenuta la diffusione dell’indebitamento, legato per lo più a mutui per l’acquisto o la ristrutturazione della casa: risulta al 26,1%, in calo rispetto al 27,7% del 2010, con un ammontare medio del debito di poco superiore ai 51mila euro. Cresce invece la vulnerabilità finanziaria, che nel 2012 riguardava il 2,6% delle famiglie (+0,4% rispetto alla rilevazione precedente), ovvero circa il 13,2% dei nuclei indebitati (+3,1%). Tuttavia, anche l’ex ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, si è sempre mostrato ottimista. All’indomani dell’uscita dei dati diffusi da Bankitalia ha infatti commentato: “L’uscita dalla crisi vuol dire che c’è ripresa dell’attività economica e che si esce dalla recessione; non si può negare che l’economia si è stabilizzata nel terzo trimestre 2013, ha cominciato a crescere nel quarto trimestre e crescerà anche nel 2014”. I mutui calano ancora Continua anche il trend negativo dei mutui, che sono in calo del 20% con punte del 30% tra i giovani. Ovvero, le banche prestano molto meno denaro rispetto al passato perché ravvisano rischi troppo elevati per il rientro della liquidità. Secondo quanto riferisce il Sole 24Ore, “in quattro anni, dal 2008 al 2011, il numero di mutui concessi dalle banche per l’acquisto di abitazioni è diminuito di oltre il 20% rispetto al quadriennio 2004-2007. Il fenomeno ha interessato soprattutto i mutuatari più giovani e gli extracomunitari, mentre non ha toccato chi ha redditi elevati.... Secondo uno studio della Cgia, inoltre, gli istituti bancari italiani hanno ridotto i prestiti a famiglie e imprese di 9,2 miliardi ma è boom per l’acquisto di titoli di Stato: +92,89 miliardi...Dal 2008 al 2011 il numero dei nuovi mutui concessi si è ridotto mediamente del 9,1% ogni anno, a fronte di un aumento medio dell’8,5% nei tre anni precedenti. La riduzione, prosegue lo studio, è stata particolarmente accentuata per le famiglie più giovani e quelle originarie di Paesi non appartenenti all’Unione Europea, che avrebbero quindi risentito maggiormente sia della fase negativa del ciclo economico, caratterizzata dall’aumento del tasso di disoccupazione e dal calo sostenuto dei redditi delle famiglie, sia delle politiche di affidamento più selettive da parte degli intermediari”. Differenti in tutto, Letta e Renzi (i due protagonisti della fase politica arrivata al cambio di passo dopo una agitata direzione del PD) si somigliano (loro malgrado) quando sono stati e sono chiamati a dare l’unica risposta che conta. “Avete tutti i miliardi che servono per rimettere in moto il sistema produttivo”, dicono sindacati e imprese. Nonostante ogni buona volontà tutti sanno che i miliardi necessari non ci sono. E Berlusconi sospira, perché l’onere della risposta negativa, stavolta, non tocca a lui. Dunque, il nuovo governo che ci aspetta (nel momento in cui scriviamo il cambio di inquilino a Palazzo Chigi è avviato ma non è ancora concluso nei suoi approdi), il 2014 sarà l’anno in cui, sul tema più importante, quello del lavoro, ci si dovrà limitare ad iniziative che, per quanto significative, potranno creare qualche sussulto o poco più. Sostanzialmente, ci si muoverà lungo quattro linee d’azione. La “Garanzia giovani”. Grazie agli 1,5 miliardi in due anni concessi dall’Europa (cui si aggiungono, dove ci sono, risorse regionali), l’Italia ha la possibilità di sperimentare una misura ambiziosa: offrire un simil-impiego ad un giovane entro 4 mesi dal diploma o dalla laurea (stage, tirocinio, corso di formazione…). In più, con questi soldi, si potrà provare a rimettere in sesto la malandata rete dei Centri per l’impiego. Il piano è già attivo, ed entro qualche mese dovremmo vedere i primi risultati. Il cuneo fiscale. La legge di stabilità ha dato meno di quanto ci si attendeva, ma ha lasciato una speranza: un Fondo che sarà implementato di volta in volta con le risorse della spending review non utilizzate per tamponare il debito e con il gettito dei soldi che rientrano dall’estero su base volontaria. Una volta rassicurata Bruxelles sul deficit, inoltre, anche alcune tranche di privatizzazioni e il gettito dell’operazione Bankitalia potrebbero entrare nella partita. L’obiettivo, stavolta, è un’azione sull’Irap. Jobs act. Più volte illustrato da Matteo Renzi per sommi capi, già in diverse occasioni è stato rinviato il suo varo nella direzione Pd. Una parte del provvedimento riguarda la semplificazione delle norme e Ecco l’agenda per l’Italia Jobs act per facilitare il lavoro, politiche per i giovani, cuneo fiscale, infrastrutture e flessibilità. di Marco Iasevoli della burocrazia. Un’altra parte la sperimentazione del contratto d’inserimento (a tempo indeterminato ma con tutele escluse nei primi anni) e di un sussidio universale di sostegno alla disoccupazione. Un’altra parte ancora, forse la più difficile da realizzare, propone piani differenziati (e investimenti mirati) per quei 6-7 settori chiave del made in Italy. Infrastrutture e “flessibilità Ue”. L’Italia anche per il 2014 dovrebbe beneficiare di un margine di flessibilità sul deficit. Se, ad esempio, si attesterà sul 2,6%, avrà uno 0,3 da spendere come “premio”. L’opportunità, nel 2013, è stata colta per restituire alle imprese parte dei debiti accumulati dalle pubbliche amministrazioni committenti. Nell’anno in corso si dovrebbero sbloccare alcuni cantieri cofinanziati da Bruxelles e Roma, con ovvio indotto occupazionale. Il ministero del Lavoro è da mesi in “lotta” con Bruxelles perché tra le misure da finanziare con il “premio europeo” ci siano anche quelle legate allo stimolo dell’occupazione (decontribuzione e simili…). Attendersi altro, allo stato, è più un gesto di fiducia che di realismo. Dalla riprogrammazione dei fondi europei non utilizzati stanno venendo fuori somme interessanti per ricerca e innovazione. Tuttavia, i segnali di ripresa non sono accompagnati dall’elemento più importante, un ritorno significativo di investimenti sul sistema-Italia. Investimenti che purtroppo attendono il varo di riforme significative su pubblica amministrazione e giustizia civile (chissà perché delle raccomandazione Ue viene presa sempre la parte peggiore, e mai quella migliore). 23 Lo Stato “retroattivo” Esigenze di cassa e diritti acquisiti di Gianfranco Garancini La non retroattività delle leggi è un principio generalissimo dell’ordinamento giuridico: non solo per le leggi, ma anche – e soprattutto – per gli atti amministrativi, tanto che generalmente si dice che l’ammissibilità di atti amministrativi retroattivi è generalmente esclusa, in giurisprudenza e in dottrina, nel rispetto dei principi di legalità e certezza dei rapporti giuridici. Sono le stesse norme premesse al Codice civile (che, familiarmente, chiamiamo “preleggi”) a ricordarci, all’art. 11, che “la legge non dispone che per l’avvenire; essa non ha effetto retroattivo”. Tanto più, allora, non possono avere effetto retroattivo gli atti amministrativi, che alla legge sono soggetti. Anzi: il divieto di retroattività della legge – che comporta che la legge nuova non può essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti prima ed ancora in vita – viene considerato una caratteristica fondamentale della nostra civiltà giuridica, espressione dell’esigenza di garantire la certezza dei rapporti, e altresì espressione del principio di legalità. Si vieta, cioè, di incidere unilateralmente sulle situazioni soggettive, sui diritti e sugli interessi legittimi, quando siano sorti prima della nuova legge. Tuttavia – come accade spesso nel diritto – i principi generali o generalissimi trovano poi un temperamento, un restringimento nelle applicazioni pratiche: è così che sia la dottrina sia la giurisprudenza hanno elaborato un’interpretazione del di- 24 vieto di retroattività della legge secondo la quale esso, pur costituendo un valore fondamentale di civiltà giuridica, non riceve nell’ordinamento una tutela assoluta: il legislatore, secondo tale orientamento, può emanare disposizioni retroattive, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti “motivi imperativi di interesse generale” (così scrive, per es., la Corte Costituzionale nella sentenza n. 264 del 2012 che richiama non solo altre sentenze della stessa Corte, ma anche la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo). Eppure, come abbiamo visto, soprattutto per l’attività amministrativa dello Stato e della pubblica amministrazione, il tempo delle leggi e il tempo degli atti amministrativi deve essere un tempo certo, perché il tempo – come dicono i giuristi – è un “bene della vita” e con esso non si può giocare. E’ soltanto in forza di una espressa previsione normativa, oppure di un bilanciamento degli interessi in gioco che veda prevalere interessi generali su interessi particolari, che si può pensare di fare ritornare indietro nel tempo gli effetti di un certo atto giuridico. Insomma, per dirla con le parole del Consiglio di Stato, “il legislatore ordinario ben può emanare norme retroattive, purché adeguatamente giustificate sul piano della ragionevolezza (cioè del rispetto del principio di uguaglianza) e non in con- trasto con singoli valori ed interessi costituzionali protetti, così da non incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, non potendosi escludere norme retroattive anche quando incidenti su diritti di natura economica”. Qui si apre tutto il campo del bilanciamento fra i diversi diritti a protezione costituzionale: penso soltanto, per fare un esempio, al diritto alla pensione, tutelato dall’art. 38, secondo comma, della Costituzione, che afferma che i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati con mezzi adeguati alle loro esigenze di vita anche in caso di vecchiaia. E’ un tipico caso di diritto costituzionalmente protetto che, se limitato retroattivamente con una norma nuova, ben può reagire in un necessario bilanciamento degli interessi. Ma allora il discorso si sposta. Se una delle motivazioni generali (e pesanti) per cui il legislatore può derogare al generale divieto di retroattività delle leggi riguarda solo il caso in cui prevalgano (o si pensa che prevalgano) valori e interessi generali, cioè “più generali” rispetto ai diritti dei singoli, il discorso si sposta, infatti, alla domanda su quale sia quell’“interesse generale” che riesca a far prevalere determinati obiettivi sugli interessi e sui diritti delle persone singole (che, non lo dimentichiamo, sono comunque le chiavi di volta della nostra architettura costituzionale). Questo però (come si dice) è un discorso “politico”. Ma si illudono e, anzi, sbagliano profondamente tutti quelli che pensano che il discorso giuridico non sia un discorso politico. Lo “Stato retroattivo” – cioè lo Stato che per riuscire a tener dietro agli obiettivi politici, di politica economica generale, o per riuscire ad “obbedire” ai diktat delle banche e delle istituzioni internazionali, o “alle minacce” delle agenzie internazionali di valutazione, passa il suo tempo a cercar soldi, e a pensare da chi li possa spremere – va sempre a interpellare, pur- troppo, le fasce più deboli della popolazione, quelli che non possono rifiutarsi, quelli che hanno poca (o comunque inferiore rispetto ad altri) “forza contrattuale”. Succede così che, non di rado, per “far cassa” si ricorra anche a prefigurare interventi retroattivi sui diritti e sugli interessi di questa o quell’altra categoria. Come per i pensionati. Il divieto di retroattività delle leggi allora diventa uno strumento importantissimo e vivo: nel senso che occorre sempre più individuare quale sia il vero “bene della vita” da difendere, perché è già di per sé difeso e tutelato dallo scudo costituzionale, come (o di più) è difeso e tutelato, per esempio, lo sviluppo economico del Paese, o il rispetto delle regole di appartenenza alle istituzioni internazionali o sopranazionali. In questo caso è la stessa interpretazione della dottrina e della giurisprudenza che insegna che occorre operare un sano, rigoroso, rispettoso bilanciamento dei diritti e degli interessi in campo. E il diritto dei lavoratori a vedersi assicurati adeguati mezzi per le loro esigenze di vita non è certo un diritto che possa così facilmente recedere rispetto ad altri “interessi generali”, fino al punto da lasciarsi incidere o addirittura limitare da norme o provvedimenti che intervengano anche sul passato. 25 26 27 Qual è il rapporto tra Grande Distribuzione e popolazione anziana? In altri termini, cosa fanno le grandi catene per venire incontro alle esigenze della popolazione anziana? “Contromano” ha interpellato alcuni esponenti della Grande Distribuzione e ha curiosato tra le iniziative in atto per la terza età. Supermercati, all’estero più attenzione per gli anziani 28 Claudio Gamberini, responsabile nazionale di Conad per l’ortofrutta, spiega: “Viviamo in un periodo in cui gli anziani, spesso, non fanno soltanto la spesa per loro stessi, ma danno una mano anche figli e nipoti, data la difficile congiuntura economica. Basti soltanto pensare che abbiamo rilevato come molte persone anziane, negli ultimi tempi, abbiano acquistato diversi pannolini per bambini. Cerchiamo quindi di fidelizzare quest’ampia fascia di consumatori, anche attraverso le nostre carte fedeltà”. Nadia Caraffi di Coop Centrale Adriatica ha aggiunto: “Ci sono diverse categorie alle quali Coop Centrale Adriatica presta attenzione. Gli anziani sono senz’altro una componente rilevante e, inoltre, va tenuto conto che Coop ha al suo attivo diverse iniziative proprio per la tutela delle categorie più deboli, compresi gli anziani”. Del resto, non è un segreto che molte, per non dire tutte le catene della Grande Distribuzione, stiano pensando a servizi ad hoc per gli anziani. “Nel 2050 – rileva un servizio di Mark Up, vero e pro- prio osservatorio sul marketing e il dettaglio - ci saranno nel mondo più di due miliardi di persone sopra i 65 anni. In Italia, già oggi, sono 11.273.000 gli over 65 e, anche se molti sono ancora in forma, c’è da mettere in conto che prima o poi avranno bisogno di una mano....Nel 2004 il gruppo tedesco Edeka, che gestisce la catena di supermarket Adeg in Austria, ha aperto a Salisburgo il primo grande magazzino pensato per chi ha più di 50 anni. Si chiama Adeg Aktiv Markt 50+ e, per semplificare la spesa, è stato dotato di un allestimento particolare. Ci sono grandi cartelli che segnalano i prodotti, i percorsi tra gli scaffali sono più spaziosi, l’illuminazione è più intensa, il pavimento è realizzato con materiali antiscivolo e la disposizione dei prodotti è studiata per renderli più accessibili. Ci sono le panchine per chi ha bisogno di una sosta e i commessi hanno tutti più di 50 anni. Il gruppo Edeka è stato tra i primi a investire in punti di vendita progettati per consumatori senior, e altri hanno iniziato a muoversi nella stessa direzione. Ad agosto del 2008 Tesco ha inviato un gruppo di over 65 a visitare il supermercato Kaiser a Berlino, uno dei primi realizzati in Germania sul modello dell’austriaco Adeg e che in tre anni ha aumentato le vendite del 25%. La loro “visita esplorativa” è stata determinante per dare il via libera alla costruzione di uno store di 18.000 metri quadri a Nel complesso, tuttavia, gli attuali punti di vendita italiani della grande distribuzione non contemplano ancora soluzioni progettuali efficaci che favoriscano l’attività di spesa dei consumatori anziani. Tra i vari fattori che andrebbero considerati vi è tra l’altro l’accessibilità dei prodotti, che andrebbe senz’altro rivalutata per essere più adeguata alla popolazione anziana. Gli anziani italiani sono i meno “spreconi” Newcastle, accanto all’Institute for Ageing and Health. Il punto di vendita ha porte scorrevoli automatiche, musica classica diffusa, carrelli più leggeri, voci elettroniche per peso e prezzo dei prodotti alle bilance, tasti per la richiesta di assistenza al personale e anche una stanza relax. L’assortimento è stato studiato ad hoc, anche grazie ai dati che Tesco ha raccolto negli anni con le fidelity card, dati che hanno guidato la progettazione del nuovo format”. Il tema delle fidelity card è stato replicato con successo anche in Italia, tanto che catene come Carrefour e Auchan hanno lanciato nei mesi scorsi vere e proprie card specifiche per gli anziani, con l’intento di applicare sconti appositi per gli “over 65”. Durante la recente Giornata Nazionale contro gli sprechi alimentari, Panasonic, in collaborazione con ICM, ha condotto una ricerca sulle abitudini alimentari degli italiani, prendendo in considerazione un campione di 5000 persone in 5 Paesi Europei (Italia, Francia, Inghilterra, Spagna e Germania). Dai dati raccolti è emerso che gli italiani si distinguono per parsimonia. Ben il 42% della popolazione non butta via cibo, riconoscendo alla propria spesa il valore dovuto. Le donne italiane sono le più frugali rispetto a quelle degli altri quattro Paesi interpellati. Il 44% non spreca nulla, rispetto al 39% degli uomini. Gli anziani italiani sono i più attenti e non sprecano mai cibo fresco. In generale, però, sebbene il 94% degli europei acquisti alimenti freschi ogni settimana, il 58% ammette di gettare quasi tutto. 29 Giuseppina Arista da dieci anni direttrice del Coro di S. Maria in Trastevere “Oggi con il canto posso lenire il dolore” Nel 1965 vince il concorso verdiano. Poi la vita nei teatri più famosi. Oggi con la musica raccoglie fondi per la ricerca contro la distrofia muscolare Duchenne – Becker, una rara malattia che colpisce i bambini. 30 Vitalità. È questa la prima cosa che colpisce di Giuseppina Arista, mezzo soprano contralto, una vita passata nel coro di Santa Cecilia ed oggi direttrice del coro di Santa Maria in Trastevere nonché attivista della Duchenne Parent Project onlus. Una vitalità contagiosa e divertente che a settantuno anni le fa dire con simpatia e al contempo sdegno: “Ma che pensione! Oggi ho più da fare di quando lavoravo”. E non si ha difficoltà a crederlo. Mi accoglie a casa sua, il tè e i biscotti già preparati e la nipotina di tre anni e mezzo che dorme nella stanza accanto. Mentre iniziamo a parlare, mi mostra alcune foto narranti la sua lunga e soddisfacente carriera di cantante lirica che l’ha portata ad esibirsi in Italia e all’estero. Figlia d’arte, nel 1965 a soli 23 anni vince il “Concorso per voci verdiane di Busseto e di Parma” e da lì inizia a lavorare nei più prestigiosi teatri italiani: il San Carlo di Napoli, La Scala di Milano, il Carlo Felice di Genova, il Massimo di Palermo, il Comunale di Firenze ed il Teatro dell’Opera di Roma. Una carriera artistica portata avanti, contemporaneamente, sia da solista sia da cantante del Coro di Santa Cecilia (opportunità offerta a pochi artisti), al fianco di grandi maestri quali Giuseppe Sinopoli, Vladimir Spivakov, Leonard Bernstein, Riccardo Muti, Nor- bert Balatsch, Yuri Temerkanov. Diversi i generi affrontati nel corso della sua lunga carriera che spaziano dalla musica sinfonica ed ecclesiastica all’opera, quest’ultima scelta progressivamente di meno nel corso degli anni per motivi di tempo. “Con due bambini a casa, era complicato assentarsi per periodi troppo lunghi legati alle prove e alla tournée”, mi spiega. Una vita intera circondata dalla musica che da passione è diventata prima professione e adesso anche impegno sociale. Terminato il lavoro al Santa Cecilia (di pensione proprio non vuol sentir parlare!), infatti, la Arista ha iniziato a dirigere il Coro di Santa Maria in Trastevere, nato come coro di voci femminili circa una decina di anni fa e che oggi vede la partecipazione costante di non meno di quindici persone, non solo donne. Un’esperienza interessante all’interno dello storico rione romano che ha ancora oggi caratteri popolari e di mescolanza tra persone di provenienze diverse, ma accomunate dalla passione per il canto e la musica. Un microcosmo composto da italiani ed immigrati, donne e uomini che nel concreto sperimentano il percorso dell’integrazione mediante quello straordinario strumento comunicativo che è la musica che non conosce confini, lingue o alfabeti. Un’esperienza che quest’anno dovrebbe condurre anche all’allestimento di uno spettacolo teatrale - musicale presso il carcere di Regina Coeli. Ma è forse l’attività portata avanti per l’organizzazione internazionale Parent Project quella a darle le maggiori soddisfazioni. In Italia l’associazione ha forma di onlus e si occupa di dare sostegno ai genitori di bambini affetti dalla sindrome di Duchenne e Becker, informando e raccogliendo fondi per la ricerca scientifica su questa rara malattia. Questa forma di distrofia muscolare, infatti, colpisce 1 su 3.500 maschi nati vivi e si stima che in Italia ci siano 5.000 persone affette, “anche se non esistono dati ufficiali in quanto mancano ancora un protocollo, centri di riferimento, diagnosi e cura e un database dedicato”. Tra le numerose attività promosse ci sono anche iniziative di raccolta fondi tra le quali diversi spettacoli teatrali in giro per l’Italia. A Roma, il più importante è forse il Concerto di Natale, un evento musicale promosso in collaborazione con gli Ufficiali Giudiziari della Corte d’Appello di Roma ed ospitato presso il Teatro Palladium nel mese di dicembre. La Arista, assieme agli altri volontari, si occupa della realizzazione del musical, forte della sua pluridecennale esperienza nel settore. Un impegno che nel 2013 le è valso anche il “Premio Claudio Bimbo” indetto dall’omonimo fondo esistente all’interno dell’Associazione Parent Project con “la finalità di contribuire fattivamente alle attività di ricerca”. Un riconoscimento importante non solo per la tematica affrontata e l’attività premiata, ma anche per il simbolo più ampio che esso rappresenta: la possibilità concreta di incidere in modo positivo nella vita della propria collettività. Nell’alveo della società civile, infatti, sono presenti innumerevoli opportunità di attivismo, declinato in vari modi e con tonalità diverse. La possibilità, quindi, di prendere tra le mani quello straordinario bagaglio di esperienze, di vita, di composite professionalità e metterlo al servizio della comunità è un gesto non solo praticabile ma anche auspicabile, soprattutto in un paese come l’Italia caratterizzato da percentuali sempre più elevate di anziani. E allora il Coro di Santa Maria in Trastevere, con il suo microcosmo di composita integrazione, la raccolta fondi per la ricerca contro la distrofia muscolare, attività ricreative condotte in luoghi di sofferenza come le carceri e ancora l’insegnamento, il rapporto con il prossimo, sono esempi di una generazione che, lungi dall’aver concluso il proprio cammino nella società e nella collettività, rivendica a diritto ed a gran voce il proprio ruolo attivo e benefico. Un ruolo ancora più significativo se collegato alle nuove generazioni, siano esse bambini o giovani adulti, e che sfocia naturalmente nell’insegnamento inteso come trasmissione di saperi. Una staffetta generazionale che arricchisce la società rendendola al contempo più coesa al proprio interno perché più incline a comprendere problematiche di fasce sociali differenti, anche solo per l’età anagrafica. Dinamismo, entusiasmo e voglia di non fermarsi sono gli ingredienti che permettono a persone come Arista di continuare a lavorare nella società, di realizzarsi pienamente mettendo a disposizione della collettività la propria professionalità proveniente dagli anni di carriera, qualunque essa sia. E allora ha proprio ragione lei: di pensione meglio non parlare affatto! 31 Papa Francesco un anno dopo Le parole e la testimonianza Misericordia, missione, uscire. Da “odore delle pecore” a “balconear”: il gergo e i gesti sorprendenti che rimettono in moto la Chiesa. I poveri e i nonni sempre presenti. Tra i suoi strali la “dittatura del denaro” e la “teologia del tè”. di Aldo Maria Valli 32 Nell’insegnamento di Papa Francesco c’è una parola che svetta su tutte: misericordia. Il pontefice arrivato dall’altre parte del mondo ne ha fatto una stella polare. Al primo posto c’è l’annuncio della speranza cristiana, che ha un nome preciso, Gesù di Nazareth, e si concretizza nell’abbraccio di un Padre buono, sempre pronto ad accogliere e a perdonare. Tutti siamo peccatori. Tutti, proprio per questo, abbiamo bisogno di essere perdonati, e il Padre è sempre il primo a perdonare. Ecco perché Francesco non addita tanto il peccatore quanto il corrotto, cioè colui che, non avendo l’umiltà di riconoscersi peccatore, persevera nell’errore senza nemmeno sentire il bisogno di ricorrere al Padre. Questa Chiesa misericordiosa, oltre a essere una Chiesa «povera e per i poveri», è necessariamente una Chiesa missionaria. Francesco lo dice chiaramente, soprattutto nella Evangelii gaudium: occorre “una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno”, e una riforma delle strutture ecclesiali perché “diventino tutte più mis- sionarie”. Ecco così, accanto a misericordia e a missione, una terza parola centrale, anzi un verbo: uscire. Le chiese abbiano ovunque “le porte aperte” perché tutti coloro che sono in ricerca non incontrino “la freddezza di una porta chiusa”. Nemmeno le porte dei sacramenti si dovrebbero mai chiudere. L’eucaristia stessa “non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”. Il che determina “anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia”. Molto meglio una Chiesa ferita e sporca, uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa prigioniera di se stessa. Francesco lo chiede a ogni credente, a partire dai pastori, che non devono accontentarsi di “pettinare” la pecorella che sta nell’ovile, ma hanno il dovere di mettersi alla ricerca delle novantanove che oggi stanno fuori e non sentono più il richiamo del Padre. Papa Bergoglio si mette in gioco in prima persona. Pensa, infatti, anche a “una conversione del papato” perché sia “più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione”. Tutti i consacrati devono portare addosso l’“odore delle pecore”, e questa Chiesa missionaria è vista da Francesco come un ospedale da campo dopo una battaglia, dove i medici non sono chiamati a occuparsi di questioni di poco conto, come il colesterolo un po’ alto, ma di ferite gravi e mortali, da curare proprio con la medicina della misericordia. Nella Evangelii gaudium Francesco entra anche nei dettagli, come quando chiede che le omelie non siano noiose e segnate da una visione negativa del mondo, ma comunichino la gioia del Vangelo e la bellezza del messaggio di salvezza. È la “rivoluzione della tenerezza”. Che non va presa per buonismo o sentimentalismo. È adesione al Vangelo, è fedeltà all’esempio di Gesù. Quando si rivolge ai giovani, Papa Francesco chiede loro di andare controcorrente e di non stare al balcone. Usa, in proposito, una parola del dialetto di Buenos Aires: balconear. È l’atteggiamento di chi osserva con distacco, senza coinvolgersi, per paura o pigrizia. No, il cristiano non stia mai al balcone, ma scenda in campo, per dare testimonianza e combattere le tante ingiustizie che ancora segnano il nostro mondo. Un giovane che non si impegna e che se ne sta in disparte, un giovane triste e rassegnato, “io lo mando dallo psichiatra”. Ha detto proprio così Francesco! A proposito di ingiustizie, il Papa non ha remore quando denuncia la dittatura del dio denaro, al quale tutto si sottomette, a partire dalla dignità umana. È questa dittatura a stravolgere le regole, a causare l’uso strumentale della persona. Tornando alla vita della Chiesa, il Papa non nasconde il dissenso verso quanti “si sentono superiori agli altri” perché “irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato” e “invece di evangelizzare classificano gli altri”. Netto è il giudizio verso i sepolcri imbiancati e quei cristiani “troppo tranquilli che parlano di cose teologiche mentre prendono il tè”. Idem per quanto riguarda tutti quelli che hanno una “cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo” nei bisogni della gente. “Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali!”. Le comunità ecclesiali si guardino da invidie e gelosie. Soprattutto mettano al bando le “chiacchiere”, che fanno tanto male e possono arrivare a uccidere l’altro. “Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti?”. La Chiesa sia consapevole della fede profonda espressa dal popolo e non sottovaluti l’azione del demonio. Le Scritture, in proposito, vanno prese sul serio. Non dimentichiamo che “la presenza del demonio è nella prima pagina della Bibbia e la Bibbia finisce anche con la presenza del demonio, con la vittoria di Dio sul demonio”. Misericordia, missione, uscire, tenerezza. Ecco l’alfabeto di Francesco. Ma, prima di chiudere, ricordando l’affetto di Bergoglio per la nonna Rosa, una citazione è d’obbligo. È per la parola “nonni”. Durante una messa del mattino a Santa Marta il Papa ha detto: “Noi viviamo in un tempo nel quale gli anziani non contano. È brutto dirlo, ma si scartano, perché danno fastidio”. Invece “gli anziani sono quelli che ci portano la storia, che ci portano la dottrina, che ci portano la fede e ce la danno in eredità. Sono quelli che, come il buon vino invecchiato, hanno questa forza dentro per darci un’eredità nobile”. Molti si chiedono quale sia il segreto di Francesco e della simpatia che suscita in tanti. Le parole da lui pronunciate sono importanti, ma ancora di più lo sono i gesti. La sua sollecitudine verso i piccoli e i sofferenti, la disponibilità all’ascolto, la semplicità unita all’umiltà: ecco ciò che conquista. Significativo il messaggio rivolto ai giovani dell’Umbria, durante la visita ad Assisi: “Sapete che cosa ha detto Francesco una volta ai suoi fratelli? Predicate sempre il Vangelo, e se fosse necessario anche con le parole! Ma, come? Si può predicare il Vangelo senza le parole? Sì! Con la testimonianza! Prima la testimonianza, dopo le parole!”. eventi più significati nel 1° anno del pontificato La sua prima apparizione, alla loggia delle benedizioni della basilica vaticana, il 13 marzo 2013 L’incontro con i giornalisti nell’aula Paolo VI in Vaticano, 16 marzo 2013 L’abbraccio con Benedetto XVI a Castel Gandolfo, 23 marzo 2013 La veglia di Pentecoste in piazza San Pietro con i movimenti, le nuove comunità, le associazioni e le aggregazioni laicali, 18 maggio 2013 La visita a Lampedusa, 8 luglio 2013 La Gmg di Rio de Janeiro, 22 – 29 luglio 2013 La veglia di preghiera per la pace in piazza San Pietro, 7 settembre 2013 La visita a Cagliari, il 22 settembre 2013 La visita ad Assisi, il 4 ottobre 2013 La “pubblicità” alla Misericordina, Angelus del 17 novembre 2013 33 I 60 anni di mamma RAI di Stefano Della Casa Il primo cinescopio della Rai Era il 3 gennaio del 1954 quando l’allora Radio Audizioni Italiane S.p.A. inaugurava le trasmissioni del canale televisivo nazionale. Nasceva così la prima televisione in Italia. Da sinistra: Raffaele Pisu, Sandra Mondaini e Corrado Mantoni 34 Di strada, in sessant’anni, la RAI ne ha fatta parecchia, accompagnando, contribuendo e raccontando la storia dell’Italia politica, culturale e sportiva. Più di mezzo secolo scandito da ricordi indelebili formati da volti, programmi televisivi, eventi che hanno accompagnato la vita di tutti gli italiani, ad esclusione delle fasce di età più giovani che, a differenza nostra, sono cresciute con l’avvento delle tv private e a pagamento, e pensano che la televisione abbia sempre offerto mille canali e 24 ore di trasmissione al giorno 365 giorni l’anno, beata gioventù. Ma nell’Italia post-bellica, che usciva distrutta dalla II guerra mondiale e che si affacciava all’era indu- Fabio Fazio e Luciana Litizzetto al festival di Sanremo 2013 striale, l’avvento della televisione ha veramente cambiato la percezione delle cose, contribuendo a quel progresso, se di progresso vogliamo parlare, che ha traghettato la nostra nazione fino al ventunesimo secolo. La RAI ha scritto pagine importanti della nostra storia; non dimenticheremo mai gli assembramenti davanti ai cinema, nei bar o nelle case dei pochi che potevano permettersi un televisore. Allora si radunavano tutte le famiglie del condominio quando, il giovedì sera, veniva trasmesso il primo quiz televisivo, “Lascia o raddoppia”, condotto da uno dei volti più noti ed amati della televisione italiana, Mike Bongiorno. Poi si può citare la trasmissione “Non è mai troppo tardi”, dove il maestro Alberto Manzi insegnava a classi di adulti analfabeti (il livello di analfabetismo nell’Italia del dopoguerra era altissimo) a Mike Bongiorno a “Lascia o raddoppia?” leggere e scrivere. E il 20 luglio 1969? Indimenticabile quando il popolare cronista Tito Stagno commentò lo sbarco sulla luna in una diretta notturna che tenne incollati al televisore milioni di italiani. Ecco poi la Domenica Sportiva, la trasmissione che ogni domenica ci accompagna fin dalla nascita della RAI. Si potrebbe continuare per pagine intere, con personaggi e programmi, storie e aneddoti, momenti luminosi e bui. Ma nella storia dell’Italia degli ultimi 30 anni, fatta di scandali, corruzione e rabbia popolare, la Radiotelevisione Italiana ha perso molte delle qualità che l’hanno resa così importante, per ridursi ad essere considerata ormai un carrozzone mangiasoldi, utilizzata principalmente per scopi politici e portatrice della tassa “più odiata dagli italiani”: il canone RAI. Le cause che ne hanno decretato un declino lento ma continuo possono essere attribuite a vari fattori, Alberto Manzi a “Non è mai troppo tardi” primo fra tutti quello di una scelta della classe dirigente più per meriti “politici” che professionali, con la conseguenza di nomine pilotate, inopportune e poco capaci nella gestione manageriale, con una conseguente, continua perdita economica a fronte di un abbassamento della qualità dei programmi, contrapposta all’epoca d’oro delle televisioni private. Anche la presentazione dei format televisivi ha subito una riduzione qualitativa, così appuntamenti storici come il Festival di Sanremo o Miss Italia, peraltro già esclusa dalla programmazione, risultano oggi essere vetusti, per non dire anacronistici e troppo costosi. Anche lo sport, che era prerogativa della RAI fino ai primi Anni Novanta, oggi è quasi monopolizzato dalle tv private e a pagamento. Si salva solo il calcio italiano, mentre quello europeo è, per chi non possiede un decoder Sky o Mediaset Premium, un lontano ricordo. Ultimi tasselli, l’informazione e la cultura. Il TG1 che ha visto calare il proprio share fino ad essere tallonato e, varie volte, sorpassato dal TG5. Gli appuntamenti culturali si sono ridotti sistematicamente. Quale potrà essere il futuro della RAI? Se la classe dirigente saprà anteporre la qualità del servizio alle schermaglie politiche che ne hanno caratterizzato l’operato degli ultimi anni, la tv di Stato potrà mantenere una posizione di primo piano, senza rischiare di disperdere quel patrimonio professionale ed artistico dato dalle persone di ieri e di oggi che vi hanno lavorato con passione e competenza. Un augurio che accomuna tutta l’Italia. Il giornalista Tito Stagno durante la cronaca del primo allunaggio 35 Federal Reserve: la crisi dei cent’anni di Paolo Raimondi Alla vigilia del passato Natale, la Federal Reserve ha compiuto cento anni! Ha “navigato” attraverso due guerre mondiali e nella Grande Depressione del ’29, arrivando però al suo centenario in condizioni difficili e con una profonda crisi di identità. Janet Yellen Thomas Woodrow Wilson La sede della Federal Reserve a Washington 36 Per la prima volta nella storia ha completamente stravolto la sua missione: da controllore dell’inflazione e attore nella politica contro la disoccupazione, è diventata la fucina di liquidità illimitata con un bilancio distorto fuori misura, pari a circa un quarto del Pil americano. Tale propensione era stata iniziata negli Anni Novanta dal governatore Alan Greenspan e proseguita nel 2006 da Ben Bernanke, che divenne subito famoso come “elicottero Ben” per il suo programma di “buttare dollari dall’elicottero” se fosse stato necessario per sostenere artificialmente la finanza e l’economia degli Stati Uniti. Prima del 2007 La Fed non solo ha ignorato tutte le avvisaglie del crollo finanziario incombente ma, Ben Bernanke quel che è più grave, ha assecondato i comportamenti più speculativi e rischiosi della grande finanza. Poi ha salvato dal fallimento molte banche cosiddette “too big to fail”, lasciando di fatto che continuassero ad operare come prima. Da settembre 2012 essa ha iniziato la politica del “quantitative easing” (QE), cioè di immissione di nuova liquidità pari a 85 miliardi di dollari ogni mese. In questo modo si sta drogando l’economia americana prospettando una tanto rosea quanto irreale fine della crisi economica e bancaria. Anche la Banca del Giappone e la Bank of England stanno percorrendo la stessa strada della “politica monetaria accomodante”. Forse per dimostrare che la Fed tiene in mano ancora il timone della finanza, Bernanke, prima di passare la mano al suo successore, la signora Janet Yellen, ha annunciato che, a partire da gennaio 2014, la banca centrale diminuirà il QE mensile di 10 miliardi: acquisterà 35 miliardi di dollari di bond del Tesoro invece di 40 e 40 miliardi di titoli derivati speculativi asset backed security invece dei soliti 45. Bernanke ha voluto anche assicurare le banche che il tasso di interesse zero rimarrà almeno fino al 2015 se non fino al 2016 e che la Fed continuerà a comprare titoli in quantità rilevanti. Ha garantito in particolare che nel suo bilancio saranno mantenute le centinaia di miliardi di dollari di titoli tossici già acquistati e quelli che saranno comprati in futuro. Di questo passo il bilancio della Fed a fine 2014 sarà di circa 5.000 miliardi di dollari con un rapporto leva di 100 a 1 rispetto al suo capitale di base. Molti cominciano a temere che la Fed stia diventando sempre più una “bad bank”. Ma la vera sfida per la Fed è di carattere geoeconomico e geopolitico. Vuole continuare a mantenere il dollaro come valuta centrale delle riserve monetarie mondiali o intende trasformare la moneta americana in qualcosa che si può stampare come e quanto si vuole, col metodo che gli americani chiamano “fiat money”? Una cosa è certa: le due politiche non si possono mantenere insieme e a lungo. Anche se il dollaro è protetto dalla forza politica, più che economica, del governo di Washington, la sua credibilità e di conseguenza il suo valore intrinseco vanno via via scemando in rapporto inverso alla sua crescente quantità in circolazione. Prima o poi si arriverà ad una situazione di rottura. Già vi sono segnali in Cina. Nonostante Pechino sembri limitarsi a mere dichiarazioni di fastidio per le politiche della Fed, i pagamenti in yuan per le sue importazioni sono già il doppio di quelle regolate in euro. In un anno l’intero commercio cinese con il resto del mondo fatto in yuan è passato dal 12 al 20%. A breve l’Arabia Saudita, il Qatar, il Kuwait e il Bahrein creeranno una moneta comune, anche se per il momento rimarrà ancorata al dollaro. Anche un certo numero di Paesi africani sembrano vogliano fare lo stesso. Possono ritenersi iniziative marginali sulla scacchiera del sistema monetario internazionale, ma sono chiari segnali di insofferenza verso un dollaro di cui non si conosce più il vero valore. Sono mosse che potrebbero andare verso un sistema alternativo, verso un nuovo paniere di monete. 37 Non passa giorno che i mass media non ci bersaglino con rapporti sull’andamento del cosiddetto spread. Oggi è tornato sotto i 200 punti e i responsabili del nostro bilancio pubblico si sentono più tranquilli. Quando aveva superato i 500 punti si parlava di catastrofe e di rischio fallimento. 38 Il significato dello spread di Paolo Raimondi Il termine spread sta a significare il differenziale, cioè la forbice di differenza tra il rendimento (il tasso di interesse) del Btp (Buono del Tesoro Poliennale) a 10 anni e del suo omologo tedesco, il Bund. Dopo il 2008, il tasso di interesse pagato per un’obbligazione sul debito pubblico della Germania è diventato il punto di riferimento con cui paragonare i tassi dei titoli di altri Paesi europei. Essendo l’economia tedesca la più stabile, di conseguenza lo spread indica il sovrapprezzo che altri pagano per il loro “rischio Paese”. Nel calcolo dello spread bisogna in ogni caso tenere presente che il tasso di interesse del Bund è sceso dal 4,2% del giugno 2008 all’attuale 1,8%. Se il bond decennale italiano paga un rendimento del 4% e quello tedesco del 2%, lo spread è pari a 200 punti base. In altre parole, 100 punti base equivalgono all’1% del tasso di interesse. Ma cosa vuol dire in concreto? Oggi il debito pubblico italiano è di oltre 2.100 miliardi di euro (circa 35.000 euro pro capite), pari al 133% del Pil. Di questo ammontare, circa 1.800 miliardi sono titoli di Stato, cioè obbligazioni. La loro composizione varia sia nelle forme (Bot, Btp, Cct, con piccole differenti caratteristiche di emissione e di uso), sia nella durata (di breve periodo, per esempio tre mesi, e di medio/lungo periodo, fino a 10 anni e oltre). A fine 2013 la vita media di tutti i titoli di Stato era di 6,43 anni. Sui suddetti titoli di debito pubblico, di cui il 44% è collocato all’estero, lo Stato italiano paga da sempre un prezzo elevatissimo sotto forma di interessi passivi: 78 miliardi nel 2011, 89 nel 2012, 95 nel 2013. I 100 miliardi di euro in interessi passivi si toccheranno nel 2015, se non prima. All’asta pubblica del 13 gennaio 2014 i Btp decennali sono stati comprati al tasso di interesse del 3,90%. Lo stesso giorno il Bund tedesco valeva 1,82%. Lo spread quel giorno era di 208 punti. Lo spread, dunque, non è un valore statico ma dinamico. Esso cambia di minuto in minuto a seconda delle variazioni di prezzo che i due titoli di riferimento hanno nel corso della seduta di Borsa. Nel 2007, prima della crisi finanziaria globale, era di 24 punti. In altri termini, i tassi di interesse per i titoli di Stato italiani e tedeschi erano pressoché uguali. Allora i titoli italiani costavano meno di quelli inglesi e di quelli americani. Dopo la crisi del 2008 molto è cambiato. In primo luogo la speculazione nei confronti dell’euro e del debito pubblico europeo è esplosa. Nel contesto della grave mancanza di unità d’azione da parte dell’Ue, i Paesi, come l’Italia, con un debito pubblico più alto, con una debolezza economico-industriale maggiore e con minore stabilità e credibilità politica hanno dovuto pagare alti tassi di interesse per collocare nuovo debito pubblico e rifinanziare quello in scadenza. Ciò veniva appunto evidenziato dalla crescita dello spread. In Italia lo spread era di 160 punti nel 2010, per salire, a cominciare dal luglio 2011, fino ai 552 punti (per qualche ora fino a 574) del 9 novembre 2011. Il tasso di interesse passivo Il ministro Grilli alla presentazione del Btp Italia era del 7,24%. Il governo tecnico di Mario Monti venne chiamato a fronteggiare l’emergenza e a riconquistare una certa credibilità politica internazionale. Il vero cambiamento avvenne quando il governatore della Bce, Mario Draghi, tagliò le unghie agli speculatori annunciando che la Banca Centrale Europea era pronta a comprare tutti i titoli di Stato necessari a garantire una stabilità finanziaria dell’Europa. Di conseguenza il 23 aprile 2013 lo spread scese a 268 punti. Il tasso di interesse passivo sui titoli a 10 anni si stabilizzò intorno al 3,94%. Per calcolare approssimativamente l’effetto dell’andamento dello spread, ipotizziamo di avere un debito pubblico di 2.000 miliardi di euro da finanziare in titoli di Stato con scadenza decennale e che il cambiamento del tasso di interesse ab- bia effetto sull’intero montante (nella realtà non è così in quanto i titoli hanno differente durata e differenti scadenze. Ma nel caso Italia non ci si discosta molto dal vero). Un aumento di 100 punti dello spread equivale ad un 1% in più del tasso di interesse e, di conseguenza, a 2 miliardi di euro in più da pagare all’anno. 550 punti equivalgono ad una maggiorazione annua di 11 miliardi di interessi passivi. Oggi, con 200 punti di spread e un tasso passivo del 4,00% circa pagheremmo 80 miliardi di euro in interessi all’anno, cioè 40 miliardi in più se i 2.000 miliardi di titoli fossero in Bund tedeschi. Tale enorme sperequazione, a confronto per esempio con le spese di bilancio della Germania, penalizza l’economia e la società italiana in forme inaccettabili. Si rischia anche di perdere il contatto con la più veloce locomotiva tedesca. Ecco perché, per abbassare il tasso debito pubblico/Pil, occorre sostenere soprattutto la crescita del denominatore della frazione con investimenti nelle infrastrutture, nelle tecnologie, nella modernizzazione e nel sociale. Abbattendo nel contempo certe spese inutili e non produttive che vanno ad aumentare il numeratore, cioè il debito pubblico. Una simulazione sullo spread Simulazione che considera lo spread valido tutto l’anno e applicabile sull’intero debito pubblico senza alcuna distinzione di durata, scadenza, tipo, etc. Lo spread indica i miliardi da aggiungere se tutto il debito pubblico italiano avesse un tasso di interesse passivo come i Bund tedeschi. 2007 Pil: 1535 miliardi Debito pubblico: 1600 miliardi Spread: 24 punti Interessi dovuti allo spread: 3,84 miliardi di euro 2010 Pil: 1552 miliardi Debito pubblico: 1815 miliardi Spread: 160 punti Interessi dovuti allo spread: 29 miliardi 2011 Pil: 1589 miliardi Debito pubblico: 1907 miliardi Spread: 500 punti Interessi dovuti allo spread: 95,3 miliardi 2012 Pil: 1567 miliardi Debito pubblico: 1990 miliardi Spread: 250 punti Interessi dovuti allo spread: 49,7 miliardi Pil Debito pubblico Spread Interessi dovuti allo spread 2013 Pil: 1570 miliardi Debito pubblico: 2100 miliardi Spread: 200 punti Interessi dovuti allo spread: 42 miliardi 39 CHISSÀ CHE QUESTE PAROLE (più un rimpianto che un racconto dal vero) NON SIANO DA MEDITARE di Giorgio Torelli 40 Ogni giorno di cronache sovrapposte e inclementi, mi pongo questa domanda e la replico: che cosa mai di misterioso, d’indicibile e di non facilmente catalogabile starà succedendo agl’Italiani per aver perduto - lo vediamo tutti i giorni - e per aver soprattutto dissipata, svilita, dispersa, talora neanche relegata in un angolo della memoria quella spinta vigorosa e salutare che li distinse (che ci distinse) quand’eravamo espropriati d’ogni alzata d’ingegno da cinque eterni anni di guerra? Fu allora che (1945 e seguenti) gl’Italiani superstiti, ergendosi come un fiore ardente sulle macerie, sulle pene trascorse, sulle sofferenze e le angosce, sugli ancora prolungati sospiri per la tragica traversata degli anni di privazioni, di paure, di crocifissioni pubbliche e private, di spari, di lacerazioni del vivere, di speranze squarciate, di bombe, di sangue, di affetti perduti, di umiliazioni e fame di tutto, di pane, di giustizia, di concordia, fu allora - riprendo - che gl’Italiani vollero, fortissimamente vollero, dar fuoco alla miccia della riscossa. Che cosa dunque ci è accaduto - ripropongo - per non essere più quelli assolutamente memorabili dei mesi e degli anni di ricostruzione a furor di formiche d’ogni struttura morale, civile, pubblica e privata? Io non so comprendere con certezza perché un languore generale abbia potuto stemperare la grinta che storicamente ci distinse e ci segnalò al mondo quando questo nostro popolo affranto prendesse a cimentarsi di getto lungo le asperità del tornar vivi, dei propositi concitati, addirittura con la cupidigia morale di rifarsi: vita, sostanze, case, lavoro, sortendo insieme dagli stracci e dall’umi- liazione dei tetti devastati, mentre tantissimi cuori erano ancora prigionieri nel reticolo spinato delle attese, delle ansie per chi tardava a tornare da una prigionia, da un calvario con o senza le stellette, dalla somma di giorni rovinosi e magari dal buio assoluto di qualche brutale chissaddove. So molte cose perché c’ero. E avevo diciassette anni, quando le jeep americane entrarono d’impeto nella mia piccola città di pianura. E i crucchi tentavano, con ogni tremebonda sortita, di guadare in armi il fluire ostile del Po per ridirigersi verso la Germania in tocchi. Tutto era ancora sparatoria, morti ammazzati, feriti sbrindellati, razzie, vendette, sangue fresco e bordate virulente dell’ultimo peggio. Ma - al contempo - prendeva forma e slancio l’ideale risorgimento dei più, il respiro lungo e liberato, l’ansia di fare, di ripristinarsi, di mutar volto e destino, cominciando a reinventare tutto. Ecco la frase giusta: reinventare tutto. Pareva, nel frenetico e intenso ansimare dei giorni e dei mesi, che una folgore buona ci avesse rianimato. Ciascuno, come ape operosa, come fabbro armonioso, come costruttore di pace, sagomava a suo modo uno spicchio di futuro, rinnovando in se stesso le forze e l’immaginazione per mutar sorte e assumere un ruolo nella spinta ormai generale verso quel meglio di cui principiare le fondamenta. Ripercorro con commossa memoria quell’Aprile 1945 e via di seguito, stagione dopo stagione. Ogni e diverso scantinato di città e di paese diventava un piccolo opificio per produrre, escogitare, rimettersi in gioco, rendersi partecipi attivi nel mosaico dell’inventiva, prima in germoglio, poi in boccio e, in fine, in esaltante fioritura. E ricordo come ciascuno, non solo nella segreta fucina del cuore, accelerasse i tempi del fare e far bene, del progettare e mandare a segno perché quell’Italia delle brutture, degli stupri manu militari e dell’antologia degli orrori perpetrati, richiamasse ogni forza, ogni rovello di riscatto per drizzarsi in piedi senza vacillare né mai perdersi d’animo. E così tornando invitta per virtù di lavoro e delle menti che lo suscitavano, di braccia mai stanche e di audacie nello spericolarsi - senza tema - sulle strade nuove e nuovissime della creatività industriale, artigiana e contadina. Ditelo voi, se lo sapete: perché, oggi, non siamo più parenti intimi di quegl’impeti civili? Perché balbettiamo sul da farsi, senza che un qualche ardore (un fuoco al culo, direbbero dalle mie parti) ci rianimi giorno e notte? Dal fiammeggiare di quei miei diciassette anni (sempre 1945 e via vivendo), guardavo gl’Italiani a me circostanti, convocati da loro stessi all’edificazione del domani, ciascuno protagonista del suo proprio cogitare e dell’impegnarsi nella nuova reputazione senza più requie, tutti (fatemelo dire) tarantolati dalla voglia di avvalorarsi. Non soltanto per se stessi, ma per un nuovo, ben più alto e spontaneo intendimento della parola patria, del nome Italia e dell’essere i nuovi Italiani, redivivi e perciò insonni nella tornitura delle idee, nuove e vincenti. Dilagava l’ambizione di manifestarsi attori nelle avventure produttive, dentro un’Italia ancora tumefatta e tuttavia interprete di vigorosa identità dopo essersi sfigurata sotto tutti i talloni: gli stivali del regi- me, gli stivalazzi uncinati degl’invasori con l’elmo d’acciaio, gli anfibi dei liberatori e tanti, ma tanti cingoli di Panzer coi cannoni bislunghi. Avevamo dovuto imparare - da soli - a respirare profondamente con forze che non sospettavamo più di possedere e che, invece, sarebbero rifiorite. Io vivevo in una piccola strada di una piccola città emiliana. E, nel disegnarsi del 1946, vedevo mio padre, artigiano odontotecnico, offrire tutti i suoi risparmi, firmando anche le inevitabili cambiali, a un mio cugino. Era un giovane, reduce da otto anni di vita militare, anche come autiere di camion d’esplosivi e rifornimenti nell’avanti e indietro di avanzate e ritirate lungo la mitragliatissima via Balbia, l’asse portante delle battaglie in Africa Settentrionale fino a El Alamein e poi indietro. Quel mio tosto cugino - stavo dicendo -, esperto di motori com’era di fatto, osò aprire un negozio di ricambi per auto, maturando la sicura intuizione che le macchine sarebbero diventate bene comune e circolante su autostrade tutte ancora da sognare. Lo si poteva definire spiantato e reduce dalle umiliazioni delle stellette (una volta, vedendolo nella calura di Libia a torso nudo, braghe alla coscia, bustina grigioverde in bilico nel dar di manovella a un Lancia 3 RO impaniato nella sabbia, un azzimato colonnello gridò ai suoi ufficiali in sahariana: “E chi è quell’animale?”). Proprio lui, il mio cugino e amico divenne ricco, agiato, energico possidente di case e beni, non avendo sbagliato mira e perseguendo da par suo lo sviluppo delle automobili e dei relativi ricambi. Era l’ultimo figlio di una guardia comunale ciclista, avendo fatto - addio alla scuola - il ragazzo di bottega dentro un magazzino di carburatori e balestre. E, adesso, il suo aver saputo emergere dal quasi niente coinvolgeva decine di collaboratori, aiutanti, commessi e operai di restauro delle utilitarie che nel lievitare degli anni Cinquanta gl’Italiani andavano prima vagheggiando e poi possedendo a ruote multiple. Mio padre era stato rimborsato e tenuto nella massima considerazione: aveva creduto in un giovane intraprendente e partecipato, con lui, alla spinta corale dei nuovi giorni. E ancora, citando a caso: un nostro vicino faceva il ferroviere, proprio quello che vidima il biglietto sui vagoni. Basta coi treni, s’era prescritto, perché un’idea lo assillava e doveva assolutamente perseguirla: mettere in linea degli aggiornatissimi camion-.frigoriferi per trasportare derrate lungo la Penisola. Ma come? Con quali soldi? Con quale grinta duratura? Con quale fede inattaccabile dalle tarme? Trovò tutto quel che poteva servirgli. S’indebitò. Non conobbe più sosta né riposo. E divenne - lo garantisco - il più avanzato trasportatore del ramo, fino a lanciare un’ammirabile flotta di autocarri del gelo, con il suo nome di ferroviere scritto in maiuscole blu. Quanti esempi di coraggio civile potrei aggiungere. Ma è qui che chiudo il mio dire perché chi mi legge metta in campo - se vorrà - le sue considerazioni. Incombe il tempo di fare e rifare il punto-nave sui perché di noi stessi, così come siamo e ci vediamo a occhio nudo. Voglio dire noi stessi, quelli di adesso, sotto l’inconcludersi di cieli dalle grigie inclemenze. 41 ASCOLTARE IL CUORE di Alberto Costantini Il nostro cuore ci invia spesso i suoi messaggi e noi ci abituiamo a riconoscerli, a giudicarli, e quindi a conviverci: può trattarsi di una semplice palpitazione, in seguito ad una emozione o ad uno sforzo fisico, o magari in seguito ad una cena un po’ abbondante che ci ritarda il sonno. 42 Ma a volte può trattarsi di un disturbo ben più importante. Sappiamo infatti che le malattie cardiovascolari sono ancora al primo posto come causa di mortalità. Chi ha, tra i suoi familiari, persone con diabete, ipertensione, obesità, malattie coronariche quali angina pectoris, infarto, etc., deve prestare molta attenzione ai segnali che gli potrebbero giungere dal suo cuore. Il cuore svolge, in modo silenzioso e discreto, un immenso lavoro: si contrae ben centomila volte al giorno, pompa ben cinque litri di sangue al minuto durante il riposo, e addirittura può arrivare a venti litri ed oltre durante lo sforzo. Il disturbo cardiaco più frequente, con l’avanzare dell’età, è la fibrillazione atriale, che si associa spesso ad ipertensione arteriosa, ed è un’aritmia con battiti molto frequenti ed irregolari. Compare improvvisamente, sia a riposo sia in movimento, e può avere una durata anche breve, che a volte non si fa in tempo a documentare subito; allora si ricorre all’Holter, piccolo apparecchio a batteria, il quale registra continuamente, per ventiquattro – quarantotto ore, i battiti cardiaci, e dà una diagnosi sicura. Accertata la diagnosi, si prescrive la terapia. Una prima terapia, però, non sempre può dare i risultati sperati e allora viene in nostro aiuto un altro piccolo apparecchio: un computer palmare, che sia appoggia sul torace, registra la regolarità o meno dei battiti, e la invia, per via telematica, ad un centro cardiologico collegato; da questo centro, in tempo reale, l’assistito riceve eventuali nuove istruzioni o eventuali nuove indicazioni terapeutiche. Ancora, dal nostro cuore può arrivarci un altro messaggio importante, che spesso, inizialmente, non sappiamo valutare: è un breve sbandamento-vertigine che si presenta improvvisamente, sia a riposo sia in movimento, che tende a ripetersi sempre con maggior frequenza ed intensità, fino a costringerci ad appoggiarci per non cadere, spesso accompagnato da sudorazione fredda. Questo disturbo è causato da un improvviso ed importante rallentamento del battito cardiaco, rallentamento dovuto ad un blocco dello stimolo nervoso che impedisce al cuore di contrarsi e quindi di portare il sangue al cervello. In genere la diagnosi si presenta abbastanza facile ed il disturbo si “guarisce” applicando un pace-maker. I pace-maker sono apparecchi dotati di particolari sensori, che entrano immediatamente in funzione quando avvertono che il cuore tende a fermarsi; poi, automaticamente, si spengono appena “sentono” che il cuore ha ripreso a battere per proprio conto; vengono posizionati sotto cute, per via transvenosa, con dei sottili fili che si appoggiano dentro al cuore; sono in grado di correggere sia la tachicardia sia la bradicardia; funzionano con una batteria, facilmente sostituibile, che dura molti anni. Recentemente si stanno diffondendo modelli anche senza fili (riservati però a pazienti selezionati) così piccoli che si possono addirittura appoggiare dentro il cuore. Il segnale cardiaco più diffuso è senz’altro il dolore al torace, i cui sintomi, non sempre facilmente interpretabili, ci fanno venire tanti dubbi: è un dolore del torace o un dolore delle coronarie? Di questo ne parleremo nel prossimo numero. La frutta secca? Fa tanto bene al cuore Ci sono alimenti che per molto tempo hanno subito ingiuste e troppo affrettate condanne. In questa categoria rientra senz’altro la frutta secca, ovvero noci, nocciole, pistacchi, etc., che negli ultimi tempi è stata completamente rivalutata da scienziati e nutrizionisti. Diversi studi condotti ultimamente sulla frutta in guscio hanno infatti dimostrato che essa può apportare sostanziali benefici nella prevenzione delle malattie cardiovascolari e del diabete. Naturalmente, anche in questo caso vale la vecchia regola: la frutta secca fa bene, ma come in tutte le cose non bisogna esagerare. Ebbene, il quantitativo ideale è stato da più esperti individuato in 20 – 30 grammi al giorno. Noci, mandorle, nocciole e affini avrebbero queste proprietà benefiche perché contengono un elevato contenuto di grassi insaturi, che si metabolizzano molto velocemente e apportano numerosi benefici all’organismo. Inoltre, questi alimenti sono ricchi di proteine, fibre, vitamine, acidi grassi essenziali omega 3. Tra i più recenti studi a riguardo, si possono citare quello condotto dalla Loma Linda University in California e pubblicato sulla rivista scientifica Plos One e quello pubblicato sul New England Journal of Medicine, secondo il quale inserire nella nostra dieta giornaliera una moderata quantità di frutta secca allunga la vita, riducendo mediamente del 20% il rischio di morte per qualunque causa. 43 Anti-Aging, tutti i segreti per invecchiare in salute “Non est vivere, sed valere vita est” “La vita non è vivere, ma vivere in buona salute” Marziale 44 Se da un lato è vero che non esiste la fonte dell’eterna giovinezza, dall’altro è altrettanto vero che la medicina negli ultimi tempi ha compiuto passi da gigante, arrivando ad introdurre il concetto di “Anti Aging”, ovvero “Anti Invecchiamento”. Fondamentali, in questo senso, sono stati peraltro i viaggi spaziali. Gli studiosi hanno infatti notato che l’invecchiamento dell’uomo nello spazio è molto più accelerato rispetto a quello che un or- ganismo subisce sulla Terra. Ciò avviene perché senza la gravità che stimoli muscoli ed ossa, senza aria fresca che aiuti la detossificazione, senza luce solare che generi vitamina D, senza equilibrio vita privata-lavoro che contenga lo stress, senza cibo fresco che nutra adeguatamente l’organismo e senza atmosfera che protegga da radiazioni e stress ossidativo, il corpo umano accelera notevolmente il proprio invecchiamento. In altri termini un astronauta, durante una missione di 6 mesi, perde la stessa quantità di osso che si perde a terra nei 10 anni che intercorrono tra i 50 e 60 anni di età. Grazie alle numerose ricerche condotte dagli scienziati per cercare di limitare tale fenomeno, è stato quindi possibile arrivare a sviluppare protocolli di intervento molto specifici, applicabili naturalmente anche sul pianeta Terra, con risultati molto incoraggianti e, soprattutto, evidenti. Si è così costituita anche l’Accademia Italiana di Medicina Anti Aging, che mira a posticipare e a rallentare il naturale processo di invecchiamento dell’organismo, prevenendo inoltre l’insorgenza delle patologie che più comunemente lo caratterizzano. Una delle maggiori esponenti di questa disciplina è la Dr.ssa Monalisa Ferrari, che riceve presso il Poliambulatorio Agresti di Bologna ([email protected]). “Per comprendere la filosofia dell’Anti Aging – spiega la Dr.ssa Ferrari – possiamo partire da una considerazione di base: invecchiare bene è meglio che vivere a lungo. In altri termini, sappiamo tutti che, specialmente in Occidente, l’età media della vita si è notevolmente alzata. Tuttavia, spesso ciò non corrisponde a una buona qualità di vita, nel senso che per qualche anno in più, spesso sono necessari numerosi interventi e tanti farmaci. E’ un buon vivere questo? Penso di no. In tale contesto si colloca allora l’Anti Aging, una disciplina medica che mira a controllare lo stress, a combattere i radicali liberi, a mantenere efficienti il cervello e le difese immunitarie, a controllare il peso, a preservare l’elasticità della pelle, a rinvigorire la libido, a rigenerare le cellule. Il tutto, attaccando l’invecchiamento delle cellule a livello molecola- La dottoressa Monalisa Ferrari durante una visita re. Del resto – prosegue la Dr.ssa Ferrari – sono molteplici i fattori che influenzano il processo di invecchiamento e delle patologie ad esso correlate, come le malattie cardiovascolari, il cancro, il diabete, l’artrosi, l’osteoporosi, l’obesità e il morbo di Alzheimer. Molto spesso, su queste patologie intervengono fattori genetici, sociali, culturali, ambientali, dipendenti dallo stile di vita. L’Anti Aging va ad intervenire proprio su questi fattori, posticipando il processo di invecchiamento e prevenendo quindi l’insorgenza delle patologie che lo caratterizzano. Dobbiamo del resto liberarci dal concetto che l’invecchiamento sia un processo irreversibile, uguale per tutti e da accettare passivamente. Non a caso, l’esperienza personale di tutti noi ci mette in contatto pressoché quotidianamente con individui che sembrano di alcuni anni più giovani o più vecchi rispetto a quanto possa indicare l’età anagrafica. Ebbene, recentemente la scienza ha dimostrato quello che l’esperienza e la tradizione ci avevano fatto intuire: l’età anagrafica ha solo un valore burocratico, mentre l’età più veritiera è rappresentata dall’età biologica. Quest’ultima, è la conseguenza di come invecchiano primariamente i tre sistemi cardine del nostro organismo: il sistema nervoso, il sistema endocrino e quello immunitario, che sono intimamente correlati tra loro. Si può insomma fare molto per invecchiare bene, cominciando già dai 40 anni a seguire corretti stili di vita, in merito all’alimentazione e agli abusi in genere. Di supporto all’Anti Aging sono peraltro alcune discipline orientali, che molto meglio dello stile di vita occidentale rispondono a quell’esigenza di equilibrio che richiede il nostro organismo. Va inoltre precisato – prosegue la Dr.ssa Ferrari – che l’Anti Aging non è contrario agli interventi di chirurgia estetica, quando essi siano necessari, ma chiaramente anche in tal caso si pone contro agli abusi che se ne possono fare”. Dunque, l’Anti Aging può davvero essere il segreto per un elisir di lunga vita? Anche in questo caso la Dr.ssa Ferrari è molto chiara: “Non parliamo – dice – di elisir di lunga vita. Lasciamo queste considerazioni ai film di fantascienza. Tuttavia, attraverso l’Anti Aging abbiamo la certezza che possiamo contrastare e rallentare i processi d’invecchiamento fisici e mentali. Prevediamo che entro il 2030 l’età media delle donne supererà i 90 anni e quella degli uomini gli 80, senza accanimenti terapeutici o abuso di farmaci”. Gustav Klimt: “Le tre età della donna” 45 Bracciale e cellulare ti monitorano tutto il giorno Arriva il trainer elettronico Cuore, polmoni, temperatura del corpo e sonno sempre sotto controllo. I dati archiviati sul telefono possono essere inviati al medico. di Pier Domenico Garrone 46 2001: in Italia tutto nasce con la prima rete di telefonia mobile che consente di effettuare videochiamate e inviare immagini, integrando la telefonia classica assicurata dal vecchio doppino di rame, il quale, con il fax prima e internet poi, sembrava dominare la comunicazioni tra le persone, le persone e le macchine, le macchine fra loro. Dall’UMTS, questo l’acronimo che sta per Universal Mobile Telecommunications System, meglio noto come 3G, così come appare sui nostri cellulari, nasce la ricerca di applicazioni utili, facilmente consumabili, economiche. Dopo 13 anni, oltre 900.000 applicazioni sull’Apple Store dimostrano l’esistenza di un mercato esigente, universalmente integrato, che trova soddisfazione in un’applicazione, capace di sostituirsi all’andare in edicola, andare al cinema, andare in farmacia, andare in banca e soprattutto andare a controllare la salute. Un telefono cellulare e un tablet, oggi sono in grado di registrare la nostra vita biologica e trasformarla in dati elaborati per produrre anamnesi a distanza, analisi, suggerire comportamenti di vita sociale, dare alert psicofisici, integrare diete, misurare la qualità di vita. Gli sviluppatori hanno “congiunto” tecnologia, conoscenza medica ed esperienza, generando software che alloggiati in braccialetti, occhiali, anelli o sotto ai piedi, distinguono e qualificano movimenti, misurano la capacità respiratoria, registrano i dati del cuore e dell’ossigenazione del sangue, la temperatura corporea, la durata e la qualità del nostro sonno, la qualità e la capacità cerebrale. Questi e altri dati diventano una facile banca dati in grado di ordinare e tenere sotto controllo la nostra vita sociale, consigliando il minimo sindacale necessario per dormire, la durata e il ritmo delle passeggiate, le calorie da smaltire, la ginnastica oculare. L’enorme vantaggio è che questa diagnostica, di fatto, viene prodotta senza invadere la nostra vita normale, anzi assecondandola. Tutto viene sincronizzato e archiviato automaticamente sul telefono o sul tablet e può essere inviato per e-mail o consultato in remoto. Oggi, il meno esperto di internet e di telefoni cellulari o computer può accedere a questi servizi che sono intuitivi e sofisticati solo nei risultati. Molti di questi servizi sono peraltro gratuiti, come ad esempio l’applicazione per registrare il battito cardiaco, misurato attraverso l’obiettivo fotografico del cellulare o del tablet. Mentre l’Italia precipitava agli ultimi posti del mondo civilizzato per la banda larga, è cresciuta la cultura digitale degli italiani e anche le nuove professioni sanitarie ne hanno avuto un grosso vantaggio. Ad esempio, la chirurgia “social” vede il chirurgo operare ed in contemporanea essere connesso con suoi colleghi di altri continenti in grado di suggerire durante l’intervento o di acquisire esperienza. Le “anamnesi / indagini collettive” sinora fatte con quesiti, oggi si realizzano proprio con questi prodotti tecnologici associati ad applicazioni specializzate, con un abbattimento dei costi per le indagini del 60 - 80%. Il popolo italiano, inventore primario di tecnologie, è in Europa tra i primi consumatori di informazione, soprattutto al di fuori dei palinsesti televisivi, radiofonici o della carta stampata, con un +6% rispetto alla media europea. La fascia di età compresa tra gli 11 e i 74 anni è connessa per oltre il 70%! Un ponte generazionale in crescita esponenziale che significa ancoraggio e trasferimento della cultura e dell’esperienza, ma soprattutto partecipazione crescente delle fasce della terza e quarta età . 8 italiani su 10 verificano le informazioni sanitarie su internet, che diventa il canale domestico più interessante per la nuova educazione sanitaria, proprio perché porta alla diretta e personalizzata partecipazione. La partecipazione permessa dalla comunicazione digitale accresce la web reputation della sanità e la sicurezza di trovare la risposta migliore universalmente testata, esportabile, tracciata e condivisibile. Ago, filo, stoffe. Il ricamo, un’arte da riscoprire di Umberto Folena Schiena dritta, gambe unite, testa china. Il ricamo si svolgeva nel silenzio totale. Era questione di tecnica. Ma innanzitutto di pazienza: prima di puntare l’ago bisognava contare più volte. Era la ricamatrice ad adattarsi al disegno, quasi a voler ricordare che sarebbe stato così anche nella vita. Poi la costanza: quante volte la mano si muoveva sul telaio prima che il disegno prendesse forma. E ancora, l’umiltà: poteva accadere, e accadeva, che il lavoro di qualche ora si dovesse disfare, riprendendo dal punto in cui la ricamatrice si era distratta. L’ago passava veloce sotto la stoffa, senza che la mano lo seguisse. Doveva restare sempre ben visibile e con la punta rivolta verso la ricamatrice, mai verso le altre compagne di lavoro. Il ricamo. E l’eterno, in fondo vano dibattito se si tratti di artigianato o arte, come se il confine fosse netto, e non sfumatissimo e indecifrabile. Un’arte diciamolo antica come il mondo. Si ricamava già nell’antico Egitto e nei secoli successivi, anche se la deperibilità delle stoffe non ci ha lasciato nulla da toccare e studiare. In Italia pare che il ricamo sia arrivato con i saraceni… Sarà vero? In effetti, la prima scuola è segnalata a Palermo attorno all’anno Mille. Ma dal XII secolo l’arte esplode in tutta Europa, varca fiumi e montagne. I nobili adornano i loro abiti di pizzi e merletti sicuramente dal XIV secolo. Un documento descrive minuziosamente i dettagli degli abiti degli invitati allo sfarzoso matrimonio tra Giustina Borromeo e il Marchese Stanga, in Toscana, il 21 marzo 1493. La scuola più famosa era quella delle monache delle Murate in via Ghibellina, a Firenze. Nel Sette e Ottocento il ricamo diventa un obbligo per le fanciulle. Alcune ne fanno un mestiere. Le fanciulle povere devono saper usare ago e filo perché, in un’economia di sussistenza, nulla si butta ma tutto si rattoppa. Le fanciulle d’alto rango possono dedicarsi al ricamo come passatempo raffinato. Si insegna ricamo dalle monache e negli orfanotrofi, l’”educazione don- 47 nesca” mette al centro ago, filo e stoffe. E poi… E poi l’arte sembra perdersi, sulla soglia del XXI secolo. Signore cinquantenni, alla scomparsa della cara mamma, sospirano: perché non ho imparato da lei a ricamare? A venti, trent’anni il ricamo sembra forse un orpello legato a un passato fatto di sottomissione: una donna ha ben altro da fare. Più avanti, invece, ti accorgi che ha un profondo valore culturale. E così si recupera, chiedendo consiglio a chi ancora ricorda il punto erba e il punto croce, il punto antico o toscano e il mezzo punto, il punto reale o punto piatto e il punto Assisi, e il raffinatissimo filet… «I punti sono praticamente infiniti» spiega Marinella Spolverato, anni 70, voce esile e calma, una voce che ricama. Marinella vive a Montebelluna, in provincia di Treviso, e insegna ricamo all’Università del tempo libero di Cornuda. Una delle tante, sconosciute ma preziose ricamatrici che, lontano dai riflettori, affida e tramanda l’arte. «I corsi durano tre mesi per due ore alla settimana spiega i gruppi sono di venti persone al massimo, e a Cornuda siamo in due insegnanti. Vengono signore, di media, tra i 65 e i 75 anni. Alcune vogliono imparare meglio, altre sono già abili ma amano ricamare in compagnia». Un tempo le donne si trovavano in cortile, mettevano le seggiole in cerchio e cominciavano. Oggi, anche se nessuno se ne accorge, scelgono i salotti di casa. «E pensare sorride Marinella che per mia 48 madre non ero portata… Mi insegnava a ricamare la nonna, che abitava in campagna e andavo a trovare da Treviso. Amo soprattutto le sfilature, i punti a giorno, il punto a pittura». Ma perché? Perché le signore, tutte in pensione, non lanciano una “sfida” alle nuove generazioni? Perché non si offrono per tramandare la loro arte? Forse le stesse sedi della Cisl potrebbero ospitare gruppi di ricamatrici. Gli oratori. O chi ha un salotto accogliente… Passaparola, volantini, internet… No, l’arte del ricamo è troppo preziosa per andare perduta. E il suo valore culturale ed educativo è perfettamente adeguato ai tempi. Pazienza, costanza e umiltà. In un tempo di impazienza, di tutto-e-subito; di incostante frenesia; di arrogante presunzione. Il ricamo è un ottimo antidoto a tanti difetti dei nostri tempi. È attività anti-consumistica per eccellenza, perché dura e non ha praticamente valore; chi ricama è un produttore, non un consumatore; chi ricama crea, non distrugge. E non è solo per le donne… «Mi ricordo bene quel ragazzino racconta Marinella avrà avuto al massimo 14 anni. Voleva imparare a tutti i costi. Ricamò un ornitorinco!». Non solo pulcini e paperelle, dunque. Sul bavaglino di un maschietto può ben starci un tosto ornitorinco. A punto pittura, naturalmente. Le scuole di ricamo in Italia Sul territorio nazionale sono presenti diverse scuole di ricamo. A titolo di esempio, di seguito se ne citano tre. A Gemona del Friuli, in provincia di Udine, si trova il “Laboratorio Scuola A Jour Maria Pia Gaiart” (www.scuolaricamogaiart.it). Questa struttura è sede di corsi con frequenza settimanale ed è anche il punto di riferimento per poter visionare i campionari di opere realizzate su misura (tendaggi, tovagliati, complementi d’arredo e capi di abbigliamento, etc.). L’associazione bolognese “La Prilletta”, senza fini di lucro, è nata per riscoprire e far conoscere il ricamo classico eseguito a telaio. Periodicamente, questa associazione organizza proprio nella città felsinea dei corsi di ricamo a telaio, una tecnica che tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, in pieno periodo Liberty, conobbe proprio nel capoluogo emiliano uno dei centri di massimo splendore. A Roma, in viale Battista Bardanzellu 77, si trova la scuola di arti manuali “Lace Project” (www.laceproject.it), la prima scuola a Roma dove viene insegnata l’autentica arte merlettaia di Cantù. Nella stessa sede sono svolti, oltre al tradizionale corso di Tombolo di Cantù, anche corsi di ricamo, filet a modano, corsi a tema e/o scambi culturali con altre scuole d’Italia. Come di consueto, prosegue la rubrica dedicata alle novità editoriali disponibili in libreria e ai nuovi siti internet che sono stati aperti sul web. Andrea Camilleri “La creatura del desiderio” 2013, Skira editore. Nel 1912, un anno dopo la morte di Mahler, la sua giovane vedova, considerata la più bella ragazza di Vienna e allora poco più che trentenne, incontra il pittore Oskar Kokoschka. Inizia una storia d’amore fatta di eros e sensualità, che sfocerà ben presto in una passione tanto sfrenata quanto tumultuosa. Viaggi, fughe, lettere, gelosie e possessività scandiscono i successivi due anni, durante i quali l’artista crea alcune fra le sue opere più importanti, su tutte “La sposa del vento”. Ma la giovane donna è irrequieta e interrompe brutalmente la relazione. Kokoschka parte per la guerra con la morte nel cuore. Al suo rientro in patria, traumatizzato dal conflitto e ancora ossessionato dall’amore perduto, decide di farsi confezionare una bambola al naturale con le fattezze dell’amata. Questa è la sua storia. Vittorino Andreoli “L’educazione (im)possibile. Orientarsi in una società senza padri” 2014, Rizzoli editore. Maleducati. Trasgressivi. Immaturi. Le ricette salva figli sono ormai diventate argomento quotidiano di discussione. C’è chi grida alla sconfitta dell’antiautoritarismo. Chi invoca un ritorno alla disciplina tra le mura domestiche. Chi accusa la scuola di aver abbandonato il suo ruolo pedagogico. Per Vittorino Andreoli, da sempre attento osservatore del disagio psicologico degli adolescenti e dei loro compagni più adulti, il fallimento educativo è invece un malessere profondo che riguarda tutti, genitori e no, e che può essere risolto solo con uno sforzo comune. Il primo sintomo va ricercato senz’altro nella morte della famiglia tradizionale. I bambini avrebbero bisogno di un’unica figura che si occupi di loro: la madre. L’aumento delle figure di riferimento (necessario, per molte ragioni, nella nostra società) crea un disaccordo educativo, ed è la vera causa della loro inquietudine e disobbedienza. Cosa dovrebbero fare, allora, i genitori per far crescere meglio i loro figli? Dovrebbero ritrovare un punto d’unione con tutte le figure che li affiancano: i nonni, le babysitter, le insegnanti dei nidi e delle scuole per l’infanzia... Patrick Fogli “Dovrei essere fumo” 2014, Piemme Editore. Alberto ha cambiato vita. Il suo passato nei servizi segreti è ormai alle spalle, per quanto possa esserlo un’esistenza di quel tipo. Perché lui è il migliore, e qualcuno se n’è accorto, tanto da offrirgli un incarico inatteso: la sorveglianza notturna, in una clinica, di un uomo molto anziano e molto ricco. La sua vita è in pericolo, e non solo per il cancro che lo sta consumando. Inverno 1939. Emile, nato a Parigi nel 1921, ebreo da chissà quante generazioni. Non ricorda il giorno in cui ha iniziato ad avere paura, ma sa che da quel giorno non ha più smesso. A unire le due vicende, un quaderno azzurro cui è affidata una verità che non tutti hanno il coraggio di guardare in faccia. La storia di un’ossessione. Un romanzo sulla vendetta e sul perdono. Che non sempre sono agli estremi opposti della bilancia. Antonio Golini e Alessandro Rosina “Il secolo degli anziani. Come cambierà l’Italia” 2011, Il Mulino editore (coll. Prismi). L’invecchiamento della popolazione trasformerà la società in cui viviamo: un cambiamento più profondo di quanto siamo portati a credere, probabilmente più rapido della nostra capacità di metabolizzarlo e adattarci ad esso. E’ un processo che può essere sintetizzato con tre “i”: inedito, incisivo, irreversibile. Inedito, perché nuovo nella storia dell’umanità: tra gli abitanti del pianeta gli ultrasessantenni non sono mai stati più di uno su venti, entro il 2050 saranno uno su cinque. Incisivo, perché destinato ad agire marcatamente in tutti i paesi del mondo, in tutte le classi sociali, in tutte le dimensioni della vita umana. Irreversibile, perché conseguenza del fatto che si vive progressivamente più a lungo e si fanno meno figli rispetto al passato. L’Italia è uno dei paesi precursori di questo processo, per cui da noi le sue conseguenze saranno più precoci e accentuate. Che cosa dobbiamo attenderci? Ce lo dicono in questo illuminante volume demografi, sociologi, economisti. 49 Ozpetek Ferzan “Rosso Istanbul” 2013, Mondadori. Tutto comincia una sera, quando un regista turco che vive a Roma decide di prendere un aereo per Istanbul, dov’è nato e cresciuto. L’improvviso ritorno a casa accende a uno a uno i ricordi: della madre, donna bellissima e malinconica; del padre, misteriosamente scomparso e altrettanto misteriosamente ricomparso dieci anni dopo; della nonna, raffinata “principessa ottomana”; delle “zie”, amiche della madre, assetate di vita e di passioni; della fedele domestica Diamante. Del primo aquilone, del primo film, dei primi baci rubati. E, ovviamente, del primo amore, proibito, struggente e perduto. Ma Istanbul sa cogliere ancora una volta il protagonista di sorpresa e, proprio qui, accadrà qualcosa che cambierà per sempre la sua vita. Tra caffé e hamam, amori irrisolti e tradimenti svelati, nostalgia e voluttà, i destini del regista e di una donna inesorabilmente si sfiorano e, alla fine, convergono. Dicker Joël “La verità sul caso Harry Quebert” 2013, Bompiani editore. Nell’estate del 1975 scompare misteriosamente una ragazzina di 15 anni, Nola Kellergan, in una cittadina del New Hampshire. Nessuno ne sa più nulla. La scena di colpo passa a New York, 2008. Un giovane scrittore di successo, Marcus Goldman, non ri- 50 esce più ad avere idee per nuovi romanzi. In piena crisi, e pressato dall’editore che esige il manoscritto in tempi brevi, si rifugia a casa del suo professore e amico Harry Quebert, scrittore a sua volta. Ma ecco l’imprevisto: nel giardino della villa dello scrittore, a Goose Cove, viene rinvenuto il cadavere della ragazzina scomparsa più di trent’anni prima. E con il ritrovamento arriva anche l’accusa di omicidio per il professore Harry Quebert. Convinto della sua innocenza, Marcus Goldman abbandonerà tutto per indagare sulla verità: dopo trent’anni dovrà arrivare a scoprire chi davvero uccise Nola Kellergan. E dovrà anche riuscire a scrivere un altro romanzo di successo, pena il fallimento totale. INI-PEC è l’Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata istituito dal Ministero dello Sviluppo Economico. Il sito raccoglie tutti gli indirizzi di PEC (posta elettronica certificata) delle imprese e dei professionisti presenti sul territorio italiano ed è pensato per chiunque abbia la necessità di ottenere l’indirizzo di PEC di un professionista o di un’impresa che desidera contattare. Senza bisogno di autenticazione o di programmi aggiuntivi, chiunque può accedere alla sezione di ricerca del portale e cercare l’indirizzo di posta elettronica certificata di proprio interesse. Se l’azienda o il professionista cercato è presente nell’indice, INI-PEC fornisce all’utente l’indirizzo richiesto, semplificando la vita di tutti. L’indice viene puntualmente aggiornato con i dati provenienti dal Registro Imprese e dagli Ordini e dai Collegi di appartenenza, nelle modalità stabilite dalla legge. www.greenstart.it Green Start è una testata indipendente specializzata nel mondo dell’automotive, in particolare nelle propulsioni alternative come veicoli elettrici e ibridi e relative tecnologie. Particolare spazio è riservato ai temi della mobilità sostenibile: potenzialità, stato dell’arte, progetti e investimenti in corso, programmi e progetti di produttori e istituzioni. Concepito per offrire a tutti una lettura piacevole e un’efficace organizzazione dei contenuti, propone quotidianamente notizie, presentazioni di nuovi prodotti, approfondimenti, consigli, oltre a un listino auto costantemente aggiornato con i modelli in commercio in Italia. www.inipec.gov.it www.preventivofacile.it Il nuovo sito www.preventivofacile.it permette di ricevere e confrontare fino a 5 preventivi gratuiti. Il progetto si rivolge a tutti i privati che sono alla ricerca di un preventivo per una ristrutturazione, un ampliamento o piccoli lavori edili. Questo servizio offre un nuovo modo di risparmiare tempo e denaro attraverso la possibilità di visionare, comodamente da casa propria, fino a 5 preventivi provenienti da aziende leader del settore. Gli utenti hanno inoltre la possibilità, per una maggiore trasparenza, di visionare la scheda aziendale con relativa descrizione e immagine, prima di scaricare il preventivo. contropelo alle parole di “moda” di Dino Basili a settine per un l’irritazio traggono lle che pro bensì que ’atmosfera nervose, galato all re alè , re to p . in a u em man un q minuscole ” os: “S es Bernan o sente che prochlorococcus, c rg re ti n p eo n co a r G i e tl e d n st e io “A eno. T ioni di ano in o il risch itano. Insi il ig ir rn er s p m io s s m g e i O i re i S n e n g i. vigli Amic rrendo o da milio ltre mera a Adelphi. uzione, co mondiale uesta e a Q od . senza interr erderli”. it c lu s b u ia appen di p sciacalli. ghe verd r, li g te a s e re a vanità. h c sa traddirli e on Win asta pen cchia dell B . ra im o S a d i in ro d g b u ro, uno è la c cio un on tutto fa spocchia do il futu a doin commer n a ra a Brodo. N L b . co b n la o . a li n è te a s lto, gallin Paren ppo non agie verb ente riso oggi o la ra. Purtro re le emorr ra finalm i: “Meglio l’uovo b o, anzi an Chiacchie tico capace di ferma m e im S s , is a i. h m h it c c s s m e ti e a so n fr u st a o in e Q o iù tro, cotone em ogativi p ia biologic lpato: den degl’interr vo oggi, purché s venga spo e ch a it p o a C ’u riamoci Dossier. mani?”. L di dito, figu to “ossi”. n a n a li u lt g o si so . n tr o o n co ie id re rimango cora cald asconders parlamenta ate, ossibile n Il galateo difiche mir p o . m im to e n è ll e e a S m untare parola si Emenda Regole. addosso. P o alzato. stretta, la i ri in rs o it è a d d ri n en to u ora nano tre non em dietro dei collab cisive. , ne risuo -giudiia il in h te m n e, rc si a h e d c ic in n st o si la er bb reali ando cile imbatt fosse. ando è a Staff. Qu discorsi è fa suna parte”. Magari “effe”; qu ei a N n . u e n tt o fa c o consiste Frasi legge a da nes B”. Spess buto… sì non si v o o n “C ia . : o “p ro ip l tt T e zi. qua te d ra. ontrib è lativamen lema, dibbattito, c …Alla malo re eralissimo i en g rs a el id d Si va, si va bb . F ato ndazzi attuale Tattiche io delle labiali: pro oli, gli a ppello grid clama più v e (a ro ic p !” d ri Il is p se d p i. te ti Garibald nel raddo taliani, sia portamen questo: “I Certi com ). 5 i. 7 m 18 senz’altro el tu d s o o nte o azzo. nile, Usi & c rno roman bigua. Nie to il riand ille Campa m a ra ch o A to nel soggio rp d n a o a c u o a n nte q hanno in omandaro ?”. Rispost le freque Una sera d he cos’è l’umorismo la lessica u rm o Humor. F “C . ticare i in carica, Va da sé sé”. n lo so”. on dimen o n “N ri campione : a o ta s d la a lu gi il nno e sconso quasi “v i messag coprirli va . scintillante didati a ri king. Tra e lame di coltello n in ca th ei d ll tà i. m fu li g o a g ”. Tolti i h c u ra q is o a n p e W L m nde folla… plendo s ra e g rs a Incarichi. uratamente. Senza co o n F u i. rappata sorris acc angono? bito assie cnica per st comparate XY si è su uante persone rim lta abilità te e forti sconti a o o m a rn ri to sa alla sola, tori, q XY. “In w. E’ neces ersari. Cioè ottener a clausola ineopera ll c e i n Know-ho , e v o v fi a e n ra li e al fotog rre” ag attenzion pare una “e re aspri scontri. iriuneo fare d c l a e ia a g N si g a e t. g v r icono com so. Ser senza in Yogu o al pop. on si add ano. è doppio u n n m o ” s ta st li ia et e u h tr p ch a cc o p a ti p ella nel ntan a sua b alvatori d hettare i ca Leader. L tentici “s gnia , sia a bacc a u a p a tr m li es g co h A rc . in o pre Zelig gere l’ rsa e arriva sem eriorità. zato da sca sà perché ssi di sup iz is le er h p C tt . ra o ca n Mugug mentre è uto”. vo “sordo”, dell’aggetti cità. Praticamente “m tantino a u q olitiche un confusa lo p i n o zi a no le re e. Non so Nervosett 51