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13. Le Compagnie di Commercio - Omero
13. Le Compagnie di Commercio La compagnia commerciale ha rappresentato lo strumento organizzativo più importante della politica coloniale europea dal Cinquecento fino all’Ottocento, anche se ha vissuto il suo periodo di maggiore prosperità nel corso del Seicento. Essa rappresentava infatti la migliore forma di organizzazione per mobilitare capitali e massimizzare i profitti commerciali, riducendo allo stesso tempo al minimo gli inevitabili rischi nel commercio a lunga distanza. Si trattava di compagnie privilegiate, costituite con la diretta partecipazione o con il patrocinio delle istituzioni pubbliche. Esse operavano in genere secondo uno statuto rilasciato dagli Stati di appartenenza, che le autorizzavano ad agire in regime di monopolio, a esercitare poteri sovrani sui territori amministrati e a fondare nuove colonie. Nate inizialmente per promuovere il commercio con i Paesi asiatici (le cosiddette Indie Orientali), le compagnie estendono in seguito il campo d’azione anche agli altri continenti, divenendo potentissimi centri di potere economico, politico e militare. La loro formula consente agli Stati di mantenere un relativo controllo sui crescenti scambi internazionali e ai mercanti di condividere gli oneri finanziari e i rischi di imprese commerciali a lungo raggio. Esse rappresentano dunque un esempio della saldatura di interessi tra Stato e privati nell’età del mercantilismo, quando si pensa che la ricchezza totale mondiale sia definita ed immutabile e che l’unica possibilità di crescita della ricchezza di uno stato sia quella di sottrarla ad altri attraverso lo sviluppo del commercio e delle esportazioni. Concezione ben espressa negli scritti di Thomas Mun, uno dei più autorevoli esponenti del mercantilismo inglese: «Il mezzo ordinario per aumentare la nostra ricchezza è dato dal commercio estero [che] dovrebbe essere incoraggiato, poiché su di esso si fondano le grandi entrate del sovrano, l’onore del regno, la nobile professione del mercante, la scuola delle nostre arti, la provvista pei nostri poveri, il miglioramento delle nostre terre, la culla dei nostri marinai, i bastioni del regno, le risorse del nostro tesoro.» Compagnia olandese delle Indie Orientali La più rappresentativa è la Compagnia olandese delle Indie Orientali ( Verenigde Oosindische Compagnie, nota anche più semplicemente con la sigla VOC), promossa dal governo delle Province Unite nel 1602 mediante l’unificazione di alcune compagnie minori. Il governo concede alla compagnia non solo il monopolio dei commerci delle Province Unite nell’immensa area fra l’Africa e l’Asia,ma anche il privilegio di agirvi come una vera e propria autorità politica e militare. Si tratta di una novità significativa, perché quella che ben presto si trasforma in una società per azioni ottiene il potere di creare e amministrare insediamenti coloniali, di costituire una fora militare con cui tutelare i propri interessi, ostacolando e attaccando la concorrenza, ed infine di stringere accordi con i principi dei territori in cui si insedia. La Compagnia è dotata di un capitale ricchissimo, sottoscritto per la maggior parte dai Consigli delle principali città della Repubblica. La dotazione finanziaria, gli ampi poteri sovrani che le sono delegati, gli stretti legami tra i suoi dirigenti e le oligarchie borghesi delle Province Unite fanno della VOC uno strumento efficacissimo per la penetrazione olandese in Asia. In pochi anni essa estende le sue attività in tutto l’arcipelago malese, in Cina, in Giappone, in India e in Persia, soppiantando la presenza portoghese; riesce 1 nello stesso tempo ad estromettere gli inglesi dall’arcipelago malese e dalle isole Molucche e a fondare la prima colonia europea in Sudafrica, al Capo di Buona Speranza (1652). La VOC impone un rigido controllo sui territori soggetti: cerca di impostare la produzione in base alle esigenze dei mercati europei, attuando la specializzazione colturale (la noce moscata a Banda, i chiodi di garofano ad Amboina, il caffé e il pepe a Giava); reprime severamente il contrabbando e punisce in modo spietato le popolazioni locali che tentano di sottrarsi alle sue regole. Nella seconda metà del Seicento, all’apice del suo potere, la Compagnia conta 40 navi da guerra, 150 navi mercantili e 10.000 soldati; i profitti realizzati sono ingentissimi: tra il 1602 e il 1696 gli utili annuali distribuiti dalla VOC non sono mai inferiori al 12%, e in taluni anni superano il 60%. Grazie al sistema di compensazione degli scambi con merci, essa riesce a limitare il trasferimento all’estero dell’argento, con cui sino ad allora si pagavano le importazioni dall’Oriente; questo elemento, insieme ai cospicui conferimenti finanziari alle istituzioni pubbliche olandesi, le assicurano il rinnovo dello statuto ogni vent’anni. Per tutto il secolo la VOC rappresenta quindi uno dei fattori dell’egemonia della piccola Repubblica delle Province Unite sull’economia mondo capitalistica . E’ un’egemonia basata sulla centralità di Amsterdam nel sistema degli scambi internazionali. Tuttavia dalla fine del Seicento la sua potenza cominciò a scemare, sia per la concorrenza francese e inglese, sia per la cattiva amministrazione, sia per le ingenti spese militari dovute alle frequenti ribellioni indigene. Compagnia Inglese delle Indie orientali Con la seconda metà del Seicento, le Province Unite cominciano a risentire della presenza di un serio competitore economico: la Gran Bretagna. L’isola, nella seconda metà del Cinquecento e nei primi del Seicento ha conosciuto un periodo di crescita manifatturiera e commerciale, soprattutto grazie alla produzione di tessuti di lana. Nel corso del primo Seicento i pannilana inglesi di bassa qualità conquistano i mercati del Mediterraneo. Proprio al fine di condurre traffici nel Mediterraneo è nata a Londra, fin dal 1581, la Compagnia del Levante, sotto il controllo della Corona. Ad essa fa seguito, nell’anno 1600, la creazione della Compagnia inglese delle Indie orientali ( East India Company, nota con la sigla EIC) . Elisabetta I le conferisce una patente reale che le assicura per 15 anni il monopolio del commercio inglese nell'Oceano Indiano. La rilevanza dei profitti spinge il suo successore, Giacomo I Stuart, ad accordare licenze ad altre compagnie, ma nel 1609, dopo un lunga e complessa azione di lobbying, l’ East India Company riesce ad ottenere il monopolio del commercio con le Indie Orientali per un periodo indefinito e con una clausola che prevede la sua cessazione qualora i suoi affari non diano profitti per tre anni consecutivi. Trasformata in società per azioni dalla metà del Seicento, la compagnia si rafforza fino a divenire l'impresa commerciale più potente della sua epoca. La Compagnia è dotata di un ricco capitale, suddiviso tra 125 azionisti; è amministrata da un governatore e da una “Corte” di ventiquattro direttori, periodicamente nominati e responsabili davanti all'Assemblea degli azionisti. Nel 1670 il re Carlo II accorda alla Compagnia il diritto di acquisire nuovi territori dove può battere moneta, impiegare truppe armate ed esercitare la giustizia. La Compagnia diviene quindi una formidabile macchina di potere, in India dove esercita funzioni militari ed amministrative come se fosse un potere statale, ma anche in Inghilterra, tanto che il Parlamento tenta ripetutamente, ma invano di infrangerne il monopolio. Nel 1784 ad esempio il governo fa votare una nuova legge (Indian Act) al fine di separare chiaramente il governo dei territori delle Indie Orientali (che spetta alla Corona) e l'attività commerciale (che spetta alla Compagnia); ma ancora per tutto l’Ottocento il potere della East India Company continua ad estendersi sulla maggior parte dell'India, la Birmania, Singapore e Hong Kong, le Filippine 2 e Giava. Solo nel 1860 i suoi possedimenti passano sotto il controllo della Corona e nel 1874 la Compagnia viene sciolta definitivamente per decreto. Compagnia francese delle Indie Orientali La Compagnia francese delle Indie Orientali , ideata da Colbert ed istituita da Luigi XIV nel 1664, derivava dalla fusione di tre precedenti compagnie, la Compagnia della Cina del 1660, la Compagnia d'Oriente e la Compagnia del Madagascar. Lo scopo era quello di “navigare e commerciare oltre il Capo di Buona Speranza in tutte le Indie e nei mari orientali”, con un monopolio commerciale della durata di 50 anni, dando così alla Francia uno strumento che le permettesse di competere con la compagnie olandese e con quella inglese. Dal 1676 la Compagnie stabilisce la sua base a Pondichéry (porto indiano lungo la costa sud-orientale) ed estende le sue attività alla Cina e alla Persia. Nel 1719 viene fusa con la Compagnie des Indes Occidentales, che opera nelle colonie francesi in America e con altre compagnie con base in Africa, dando vita alla Compagnie des Indes. Le sue attività subiscono ben presto una forte contrazione per l’aggressiva concorrenza inglese: nel 1730 perde il commercio degli schiavi con l'Africa, nel 1731 deve interrompere i rapporti con la Louisiana (mercati del tabacco) e nel 1736 perde il controllo del commercio del caffé con le Americhe. Più volte riorganizzata, prospera in India dove tenta invano di ostacolare l’affermazione del dominio britannico. Dopo la conquista inglese di Pondichéry nel 1761, le attività della compagnia vengono sospese per decreto reale e il suo consistente patrimonio trasferito alla Corona. UNIVERSITÀ DI PISA, CORSO DI LAUREA DI SCIENZE PER LA PACE Materiali di studio per l’insegnamento di “Europa e mondo dall’età moderna all’età contemporanea” (prof. Marco Della Pina) 3