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Le soppressioni leopoldine di Compagnie religiose a Pisa e la
Le soppressioni leopoldine di Compagnie religiose a Pisa e la costruzione del cimitero suburbano.
Normative, procedure e forme di tutela
Barbara Bertelli
Nell’ambito di una progressiva definizione di quello che viene configurandosi come patrimonio artistico o
memoria storica, ossia come beni degni di essere conservati, e nell’ambito dell’insieme di motivazioni che
portano a tale conservazione, le soppressioni leopoldine di enti religiosi assumono un’importanza particolare.
Questo breve contributo affronta il tema della soppressione delle compagnie religiose avvenuta a Pisa in età
Leopoldina da un punto di vista della storia del loro patrimonio e della percezione del valore e
dell’importanza dello stesso per le compagnie e per la città. In altri termini si intende proporre un
approfondimento basato su uno studio diretto a privilegiare l’ottica della storia del patrimonio e della storia
della tutela1 e a considerare i beni soppressi anche come elementi dell’identità della più ampia comunità
cittadina e della singola comunità locale, di quartiere o di rione, e si intende indagarne i cambiamenti e le
trasformazioni, sia che essi si siano mossi nel senso di una maggior monumentalità, sia che, al contrario,
abbiano portato allo smantellamento e alla devastazione.
Dopo una disamina della legislazione ecclesiastica promulgata da Pietro Leopoldo, verrà considerato
l’impatto che i provvedimenti ebbero sul patrimonio cittadino. Relativamente alla soppressione delle
compagnie avvenuta nel 1785, la documentazione conservata presso l’Archivio di Stato di Firenze, è
decisamente molto vasta e, per quanto stia dando risultati incoraggianti sulla possibile ricostruzione del
processo di dispersione degli arredi, non sono ancora stati raccolti e studiati tutti i documenti utili alla
comprensione del quadro completo; si cercherà pertanto di delineare in questa sede una situazione
preliminare, in modo da poter poi sviluppare in altre occasioni un’analisi più approfondita.
All’argomento sono stati dedicati numerosi e attenti studi, che ne hanno esaminato gli aspetti generali
(storiografici, politici o culturali) e che, in alcuni casi, hanno approfondito specifiche situazioni2. Di
1
La ricerca che ho condotto, per la particolare natura dell’argomento, che coinvolge diverse istituzioni -i vari
uffici del governo centrale o locale, ma anche l’istituzione ecclesiastica- si è svolta presso gli Archivi di
Stato di Pisa e di Firenze e presso l’Archivio Arcivescovile di Pisa.
2
O. FANTOZZI MICALI, P. ROSSELLI, Le soppressioni dei conventi a Firenze. Riuso e trasformazioni dal
secolo XVIII in poi, Firenze, 1980; D. TOCCAFONDI, La soppressione leopoldina delle confraternite tra
riformismo ecclesiastico e politica sociale in «Archivio storico pratese», LXI, 1985, pp. 143-172; R.
LAPUCCI, Storia di alcuni dipinti estratti dalle compagnie soppresse da Pietro Leopoldo nel 1785, in
«Rivista d'arte», 4, 41, 1989, pp. 209-249; L. SEBREGONDI, Tracce per la ricostruzione del patrimonio
artistico delle confraternite fiorentine soppresse da Pietro Leopoldo, in «Rivista d'arte», 4, 43,1991, pp. 229244; A. INNOCENTI, Dispersione degli oggetti d’arte durante la soppressione Leopoldina, in «Rivista
d’arte», 44, 1992, pp. 351-385; L. SEBREGONDI, La soppressione delle confraternite fiorentine: la
dispersione di un patrimonio, le possibilità residue della sua salvaguardia, in Confraternite, chiese e
società, aspetti e problemi dell'associazionismo laicale europeo in età moderna e contemporanea (a cura di
L. Bertoldi Lenoci), Fasano, Schena, 1994, pp. 457-501; M. LAGUZZI, L’alienazione dei beni ecclesiastici in
Toscana sotto Piero Leopoldo: un sondaggio in Valdinievole, in «Archivio storico italiano», CLIII, 1995, pp.
335-367; D. BIANCHI, La soppressione leopoldina del convento San Domenico di Pistoia nelle "Ricordanze"
di Domenico Forzini O.P., in “Tra vecchio e nuovo mondo: retorica, immagini, prassi missionaria”, Pistoia,
Provincia Romana dei Frati Predicatori, 2001, pp. 425-453; C. PASQUINELLI, La soppressione dei conventi in
Toscana, in « Ricerche storiche», 37, 2007, 1, pp. 137-174.
1
recentissima pubblicazione segnaliamo i tre volumi a cura di Anna Benvenuti, Zeffiro Ciuffoletti e Gabriele
Morolli dedicati rispettivamente al censimento dei conventi soppressi, ad aspetti storiografici e alla fortuna
critica della soppressione di enti ecclesiastici in Toscana3.
A completare il quadro manca ancora uno studio incentrato sul rapporto tra il riformismo leopoldino e la
cultura religiosa popolare, come ha fatto notare Gaetano Greco4, e un’indagine sulle compagnie laicali
pisane. Rimandando ad una bibliografia specifica per le questioni ideologiche alla base delle soppressioni e
per il complesso rapporto tra l’amministrazione statale e riforma religiosa in Toscana alla fine del XVIII
secolo5, è sufficiente qui ricordare come le soppressioni di enti religiosi costituirono uno degli strumenti
principali dell’articolata politica ecclesiastica attuata da Pietro Leopoldo. Nel quadro di un’attenta pratica di
governo volta alla formazione dell’ideale illuminista di uno Stato “laico”6, il Granduca, mirando a ridurre le
ingerenze della Chiesa negli affari dello Stato e in linea con la politica di ispirazione giusnaturalista del
fratello Giuseppe II d'Austria7, procurò, nella prospettiva di una lenta estinzione, una drastica riduzione del
clero regolare -che faceva capo a Roma- in favore di quello secolare.
1. Le premesse politiche
In linea con quanto già sperimentato in precedenza circa le riforme dei sistemi giuridico, amministrativo ed
economico8, anche in campo religioso, come presupposto delle iniziative di trasformazione, vennero
promosse raccolte di dati che procurarono le informazioni necessarie all’attuazione della riforma
ecclesiastica; già nel 1767 venne effettuato un vero e proprio censimento –i cui risultati sono riassunti nelle
3
La soppressione degli enti ecclesiastici in Toscana-secoli XVII-XIX. Censimento dei conventi e dei
monasteri soppressi in età leopoldina, a cura di Anna Benvenuti, Firenze, Consiglio Regionale della
Toscana, 2008.
4
G. GRECO, La Chiesa cittadina a Pisa nella prima età lorenese, in Sovrani nel giardino d'Europa. Pisa e i
Lorena, catalogo della mostra (Pisa, Museo Nazionale di Palazzo Reale 20 settembre-14 dicembre 2008),
Ospedaletto (Pisa), Pacini, 2008, p. 101.
5
Sul riformismo ecclesiastico di Pietro Leopoldo vedi: E. PASSERIN D’ENTREVES, L’ambiente culturale
pisano nell’ultimo settecento: il trionfo e la crisi del riformismo anticuriale in alcuni carteggi di colti pisani,
in «Bollettino Storico Pisano», XXII-XXIII (1953-1954), pp. 54-121; id., La riforma “giansenista” della
Chiesa e la lotta anticuriale in Italia nella seconda metà del Settecento, in «Rivista storica italiana», LXXI,
1959, pp. 209-234; M. ROSA, Giurisdizionalismo e riforma religiosa nella Toscana leopoldina, in «Rassegna
Storica Toscana», XI, 1965, pp. 257-300; N. RODOLICO, Stato e Chiesa in Toscana durante la reggenza
lorenese: 1737-1765, Firenze, F. Le Monnier, 1972; F. SCADUTO, Stato e Chiesa sotto Leopoldo I Granduca
di Toscana (1765-1790), Firenze, Ademollo, 1885, rist. Livorno, Bastogi, 1975; G. GRECO, La parrocchia a
Pisa nell’età moderna (secoliXVII-XVIII), Pisa, Pacini Editore, 1984; C. FANTAPPIÈ, Riforme ecclesiastiche
e resistenze sociali: la sperimentazione istituzionale nella diocesi di Prato alla fine dell'antico regime,
Bologna, Il mulino, 1986; C. FANTAPPIÈ, Il monachesimo moderno tra ragion di Chiesa e ragion di Stato: il
caso toscano (XVI-XIX sec.), Firenze, L. S. Olschki, 1993.
6
Il progetto di uno stato “laico”, che si propone di conservare l’autonomia delle istituzioni dalla religione e
di garantire l’uguaglianza di tutte le religioni di fronte alla legge deriva dall’ideale illuminista di tolleranza,
sentito come metodo universale di coesistenza.
7
La politica ecclesiastica attuata nell'impero asburgico da Giuseppe II, nota col nome di Giuseppinismo, in
pochi anni istituì i fondamenti di una chiesa nazionale corrispondente ai principi illuministici. La riforma
mirò da un lato a ridurre il clero regolare e dall’altro ad attuare un rinnovamento interno della chiesa.
8
Nel 1744 venne intrapresa un’inchiesta in vista della riforma istituzionale, nei primissimi anni di Reggenza
fu avviata quella sugli ospedali del Granducato, che fornì materiale per il rinnovamento dei sistemi di cura
attuato da Pietro Leopoldo e nel 1766 si indagò sullo stato di economia della Toscana relativamente a
agricoltura, manifatture e commercio.
2
Relazioni di Pietro Leopoldo- che fornì dati riguardanti la quantità di enti religiosi, la loro distribuzione sul
territorio, il numero di religiosi al loro interno e il loro stato economico; successivamente, nel 1775, il
Granduca ordinò un’inchiesta sulle istituzioni ecclesiastiche i cui risultati avrebbero costituito un’importante
base conoscitiva ma, sebbene portata a termine l’operazione, il materiale relativo alla diocesi di Pisa non
arrivò mai alla Segreteria del Regio Diritto9.
Secondo criteri già dichiarati nelle sue Relazioni sul governo della Toscana10 quali la scarsità di individui,
l’inutilità sociale o la condotta scandalosa, Pietro Leopoldo eliminò alcuni Ordini religiosi, impose ai
monasteri femminili la scelta tra il ritorno alla vita monastica comune -con conseguente abbandono della
comodità di celle individuali e di ogni proprietà personale- e la trasformazione del monastero in
conservatorio11, destinato all’educazione delle ragazze12; soppresse i conventi maschili e anche le compagnie
religiose, istituendo al loro posto un’unica “Compagnia di carità” per ogni cura, posta sotto il controllo del
parroco13.
La soppressione degli istituti regolari si svolse in fasi successive e non determinò situazioni traumatiche
anche perché fu coadiuvata da altri provvedimenti14. Al contrario quella delle compagnie laicali fu più rapida
e produsse maggiori effetti sul popolo; non a caso la reazione degli anni Novanta alle riforme leopoldine,
nota con il nome di “Viva Maria”, seppur legata a motivi economici e sociali, fu originata inizialmente, sotto
l’aspetto religioso, dalla volontà di ripristinare proprio le compagnie soppresse15.
2. Il ruolo delle compagnie religiose all’interno della comunità cittadina
Per molti secoli le compagnie religiose, associazioni laiche a sfondo prettamente religioso e solidaristico,
furono l’immagine dell’intera comunità cittadina, annoverando tra i loro iscritti persone di ogni strato sociale
e partecipando a tutti gli eventi che accompagnavano la vita della collettività. Eventi che, seppur marginali
rispetto ai fatti della storia, rappresentavano momenti importanti nelle vicende di una comunità. Questi
sodalizi, annessi ad una Chiesa con bolla pontificia agivano autonomamente seguendo i propri statuti, che ne
regolavano lo scopo ed i rapporti sociali interni. Disponevano, in qualche caso, di oratori propri oppure
usufruivano di altari all’interno di chiese altrui, dove un padre spirituale, cui mettevano a disposizione i loro
arredi liturgici, officiava per loro le messe. Provviste di un’amministrazione interna composta generalmente
da un priore, alcuni assistenti ed un cassiere, le compagnie (dette anche confraternite o congregazioni),
variamente composte da laici e chierici, uomini e donne, svolgevano servizi utili alla società. Si occupavano
9
Tale materiale è stato individuato negli archivi della curia vescovile e studiato da Gaetano Greco.
P. D’ASBURGO LORENA, Relazioni sul governo della Toscana, (3 voll.) a cura di A. Salvestrini, Firenze, L.
S. Olschki, vol. I (1969)- II (1970)-III (1974).
11
Notificazione del 28 marzo 1785 in ASPi, Raccolta di leggi, Leg. T 7, c. 134.
12
G. GRECO, La Chiesa cittadina a Pisa nella prima età lorenese, in Sovrani nel giardino d'Europa. Pisa e i
Lorena, catalogo della mostra (Pisa, Museo Nazionale di Palazzo Reale 20 settembre-14 dicembre 2008),
Ospedaletto (Pisa), Pacini, 2008, p. 106.
13
F. SCADUTO, Stato e Chiesa sotto Leopoldo I Granduca di Toscana (1765-1790), Firenze, 1885, p. 199.
14
Ad esempio il divieto di ammissione nei conventi toscani di frati forestieri, o il divieto di nuove vestizioni
di frati e monache.
15
Sull’argomento vedi G. TURI, Viva Maria. La reazione alle riforme leopoldine (1790-1799), Firenaze,
Olschki, 1969; M. ROSA, Giurisdizionalismo e riforma religiosa nella Toscana leopoldina, in «Rassegna
Storica Toscana», XI, 1965, p. 113.
10
3
dell’assistenza agli infermi o ai condannati a morte, dell’edificazione di ospedali per i poveri e di ricoveri per
i pellegrini. Queste attività erano finanziate con le quote dei loro membri, con offerte o lasciti di privati,
oppure ancora con il reddito dei loro beni immobili. Appositi lasciti servivano inoltre per “dotare” fanciulle
povere facilitandone il matrimonio.
3. La soppressione delle compagnie religiose
La soppressione «di tutte le Compagnie, Congregazioni, Congreghe, Centurie e Confraternità […]
compresivi anco i così detti Terzi Ordini» fu decretata con Motuproprio del 21 marzo 178516. Secondo
quanto dichiarato dal legislatore, il provvedimento si era reso necessario a causa dell’eccessivo numero dei
sodalizi e della loro inutilità, oltre al fatto che spesso si rendevano protagonisti di scandalo «per le disunioni
e le liti, […] per l’animosità, […] per la vanità»17. Riguardo a questo aspetto a Pisa le due più antiche
confraternite presenti in città, quella dello Spirito Santo e quella detta ‘la Fraternita’, per tutto il corso del
XVI e XVII secolo furono in lotta per chi dovesse avere la precedenza all’interno delle varie processioni che
si svolgevano in città durante l’anno; tanto più che né il ricorso a vie legali, né l’intervento dell’arcivescovo
servirono a dirimere questi contrasti, che talvolta sfociavano in vere e proprie risse con gravi conseguenze
sull’ordine pubblico18.
In base alle determinazioni del Motuproprio del 1785, in seguito alle soppressioni, le procedure della presa di
possesso dei beni delle compagnie soppresse vennero affidate agli amministratori dei Patrimoni Ecclesiastici
delle rispettive diocesi. I Patrimoni erano istituti appositamente creati con Motuproprio del 30 ottobre 1784,
sul modello di quello precedentemente sperimentato a Pistoia dal vescovo Scipione de’ Ricci, allo scopo di
assicurare la sussistenza dei parroci ed il mantenimento delle Chiese e dei Ministri della religione. Il
provvedimento di soppressione disponeva che tali amministratori, servendosi anche dei Cancellieri
comunitativi, procedessero alla stima dei beni mobili ed immobili19.
16
ASPi, Notificazioni, editti, bandi, regolamenti riguardanti Pisa e Firenze dal 1601 al 1818 con indice,
Leg. T 6(3), c. 52.
17
Nel 1785 vide la luce uno studio Dell’origine progresso, abusi e riforme delle confraternite laicali in cui
l’Abate Lorenzo Mehus, appoggiando il valore morale e politico del provvedimento di soppressione, dichiara
di voler mostrare quanto le confraternite siano «contrarie ai sacri canoni, lesive della giurisdizione
parrocchiale».
18
R. AMICO, Le processioni pisane di S. Giovanni e la Compagnia dello Spirito Santo, in «Bollettino Storico
Pisano», LXXI, 2002, pp. 145-146.
19
ASPi, Notificazioni, editti, bandi, regolamenti riguardanti Pisa e Firenze dal 1601 al 1818 con indice,
Leg. T 6 (3), c. 42. Relativamente ai Patrimoni ecclesiastici vedi: F. SCADUTO, Stato e Chiesa sotto Leopoldo
I Granduca di Toscana (1765-1790), Firenze, 1885, pp. 365-367; E. PASSERIN D’ENTREVES, L’istituzione
dei Patrimoni ecclesiastici e il dissidio fra il vescovo Scipione de’ Ricci ed i funzionari leopoldini (17831789), in «Rassegna storica toscana», I, 1, (1955), pp. 6-27; P. D’ASBURGO LORENA Relazioni sul governo
della Toscana, (3 voll.) a cura di A. Salvestrini, Firenze, L. S. Olschki, vol. I (1969) pp. 188-206; C.
FANTAPPIÈ, Riforme ecclesiastiche e resistenze sociali: la sperimentazione istituzionale nella diocesi di
Prato alla fine dell'antico regime, Bologna, Il Mulino, 1986; M. FUBINI LEUZZI, Guglielmo Libri
amministratore del Patrimonio ecclesiastico di Prato (1787-1788), in «Archivio storico pratese», LXII
(1986), pp. 85-165; M. LAGUZZI, Il Patrimonio ecclesiastico della diocesi di Pescia e il suo archivio, in
«Rassegna degli Archivi di Stato», XLVII (1987), pp. 291-320; Il Sinodo di Pistoia del 1786. Atti del
convegno internazionale per il secondo centenario, a cura di C. Lamioni, (Pistoia-Prato 25-27 settembre
1986), Roma, Herder, 1991; D. TOCCAFONDI, La comunicazione imperfetta. Riforma, amministrazione e
tenuta della scrittura nell'archivio del Patrimonio ecclesiastico di Firenze (1784-1788), in Istituzioni e
4
La vendita di «case, fondi e beni», chiese o oratori, poteva essere immediata oppure più meditata e
condizionata dal parere dei vescovi, qualora ritenessero di non avere la necessità di utilizzare tali spazi come
ambienti di servizio. Per quanto riguarda gli arredi sacri, invece, se ne disponeva l’inventariazione ma non la
vendita; si prevedeva invece che, di concerto con i vescovi, gli amministratori del Patrimonio Ecclesiastico
avrebbero ridistribuito tali arredi alle chiese curate più bisognose.
Quattro mesi più tardi, il 30 luglio del 1785, con una circolare il Granduca precisava che, «volendo
provvedere al comodo delle Parrocchie», «chiese, oratori, refettori, e stanze spettanti alle soppresse
compagnie» potessero essere consegnate gratuitamente ai parroci che ne facessero richiesta, anche in assenza
di una precisa necessità e al solo scopo di evitare che fossero vendute a persone che potessero «destinarle ad
un uso incommodo alle chiese curate» 20. Unica condizione posta era che venissero demoliti tutti gli altari
affinché non si continuasse a celebrarvi «feste, uffizi e piccole devozioni», ossia quegli ‘abusi’ e
‘superstizioni’ della religiosità popolare che il Granduca intendeva eliminare. Il medesimo giunse a vietare
l'antica pratica di coprire con tendaggi le immagini sacre che per tradizione venivano svelate al pubblico
devoto soltanto in particolari occasioni, imponendo che tali icone rimanessero sempre scoperte; un
provvedimento, questo, che colpì anche la Madonna di Sotto gli Organi, da secoli un’immagine simbolo
dell’identità cittadina21.
Questo tipo di provvedimenti (abolizione di alcune compagnie e ordini religiosi, vendita di una parte dei loro
patrimoni, limitazione o divieto per alcuni ordini di vestizione di nuovi frati o monache, imposizione di
nuove regole liturgiche come la modalità di esposizione dei beni devozionali) si configuravano anche come
un’ingerenza del potere laico nell’ambito ecclesiastico e, in alcuni casi, andavano ad urtare la sensibilità
popolare che li percepiva come uno sconfinamento nelle questioni religiose. Ma Pietro Leopoldo non si
preoccupava molto di urtare i sentimenti della cittadinanza, anche quando si trattava di monumenti
particolarmente cari alla collettività, come nel caso della chiesa di S. Vito. Nel 1783 alcuni nobili pisani,
venuti a conoscenza della volontà granducale di abbattere la chiesa, si rivolsero ai Priori della Comunità
confidando che essi, «mossi da un giusto zelo di Patriottismo», inoltrassero una supplica al Granduca
società in Toscana nell'età moderna, Atti delle giornate di studio dedicate a Giuseppe Pansini (Firenze, 4-5
dicembre 1992), Roma 1994, II, pp. 913-941; M. VERGA, Le riforme ecclesiastiche di Pietro Leopoldo, in Le
riforme di Pietro Leopoldo e la nascita della Toscana moderna, a cura di V. Baldacci, Firenze, Mandragora
Edizioni, 2000, pp. 70-84. Sulle questioni archivistiche relative al Patrimonio ecclesiastico vedi D.
TOCCAFONDI, L'Archivio delle Compagnie Religiose Soppresse: una concentrazione o una costruzione
archivistica?, in Dagli archivi all’Archivio. Appunti di storia degli archivi fiorentini, a cura di C. Vivoli,
Firenze, Edifir, 1991, pp. 107-127.
20
A.S.Pi., Comune D, 1522, Motupropri, rescritti e circolari, c. 375 r.
21
L’Icona, particolarmente venerata dalla popolazione fin dal XV secolo, quando venne utilizzata come
simbolo della riconquistata autonomia della città da Firenze (ottenuta nel 1494 grazie al re di Francia Carlo
VIII), fu in seguito oggetto di devozione e culto diventando una sorta di patrone della città, cui la
popolazione si rivolgeva in occasione di calamità naturali o belliche. Le fu dedicato il tabernacolo dell’altare
collocato a sinistra del presbiterio e dove una coltre di sette veli la manteneva nascosta allo sguardo dei
fedeli, tanto da essere chiamata anche “Madonna occulta”. Per maggiori approfondimenti vedi F. BAGGIANI,
La Madonna di sotto gli organi nella storia religiosa e civile di Pisa, Pisa, 1998 e L. CARLETTI, scheda n. 16
in Cimabue a Pisa, la pittura pisana del Duecento da Giunta a Giotto, catalogo mostra (Pisa, Museo
Nazionale di San Matteo, 25 marzo 2005-25 giugno 2005), a cura di M. Burresi, Pisa, 2005, p. 130.
5
affinché mantenesse in piedi «un sì pregevol Tempio» definito «uno dei monumenti più pregevoli della Città
nostra, non solo per la sua antichità, quanto per aver in esso operati moltissimi miracoli il nostro gran
Protettore, e concittadino S. Ranieri»22. Ebbene in questo caso il patriottismo, l’antichità del culto e la
destinazione al santo protettore sono i principi in virtù dei quali si voleva proteggere la chiesa. Essa però fu
abbattuta, per essere ricostruita pochi anni più tardi in forma ridotta: evidentemente il programma di
rettificazione del Lungarno ebbe la meglio sulle rivendicazioni dei pisani, per quanto di nobile lignaggio23.
4. Gli effetti della riforma ecclesiastica sulla città di Pisa e la costruzione del cimitero suburbano
Ma vediamo quale fu l’impatto della riforma ecclesiastica sulla città di Pisa. Come sottolineato da Gaetano
Greco24, con l’appoggio dell’arcivescovo, il Granduca, per mezzo di soppressioni ed accorpamenti,
riorganizzò l’intero assetto parrocchiale cittadino. Nell’intento di accrescere la loro dotazione economica -in
termini di beni mobili ed immobili con relative rendite- e di apparato liturgico, nell’arco di un cinquantennio
il numero delle parrocchie era stato ridotto da quarantadue a ventisette con la soppressione di quindici
chiese25. Gli ordini regolari soppressi furono otto: Barnabiti, Domenicani, Minimi, Francescani, Olivetani,
Camaldolesi, Canonici Lateranensi, nelle cui sedi vennero istituite parrocchie secolari; in S. Torpè i
Vallombrosiani presero il posto dei Minimi e i Conventuali del convento di S. Francesco vennero sostituiti
da una comunità di Agostiniani26. A proposito dei monasteri femminili sappiamo che dei sedici presenti a
Pisa nella prima metà del Settecento l’onda riformatrice leopoldina ne investì dieci, cinque dei quali (S.
Anna, S. Matteo, S. Paolo all’Orto, S. Silvestro e S. Tommaso delle convertite)27 vennero trasformati in
conservatori28; mentre S. Benedetto, S. Domenico e S. Lorenzo accettarono la vita comune e quello di S.
Teresa fu soppresso29. Per quanto riguarda le confraternite, secondo i dati che risultano dal Catalogo dei
patrimoni e luoghi pii soppressi, conservato nell’Archivio di Stato di Firenze, a Pisa ne vennero soppresse
ben ventisei.
Nell’area cittadina un caso di notevole interesse è costituito dalla soppressione, decretata nel 1782, di undici
compagnie pisane e dalla conseguente alienazione dei loro beni, al fine di raccogliere il denaro necessario
alla costruzione di un nuovo cimitero extraurbano posto lungo la via Pietrasantina.
22
A.S.Pi., Comune D, f. 226, Istanze, lettere relazioni del provveditore di strade, cc. 1018 r, v
sulla rettificazione dei lungarni e la storia urbanistica vedi almeno L. NUTI, I lungarni di Pisa, Pisa, Pacini,
1981; E. TOLAINI, Forma Pisarum. Storia urbanistica della città di Pisa, problemi e ricerche, Nistri Lischi,
1992; A. e G. MELIS, Architettura pisana. Dal Granducato lorenese all'Unità d'Italia, Pisa, ETS, 1996; E.
TOLAINI, I ponti di Pisa, Pisa, ets, 2005; E. TOLAINI, Pisa, ets, 2007.
24
G. GRECO, La Parrocchia a Pisa nell’età moderna (secoli XVII-XVIII), Pisa, Pacini, 1984.
25
Sono stati confrontati i dati relativi agli anni di attività dell’arcivescovo Guidi con quelli della fine del
governo di Pietro Leopoldo in G. GRECO, La Chiesa cittadina a Pisa nella prima età lorenese, in Sovrani nel
giardino d'Europa. Pisa e i Lorena, catalogo della mostra (Pisa, Museo Nazionale di Palazzo Reale 20
settembre-14 dicembre 2008), Ospedaletto (Pisa), Pacini, 2008, p. 105 e dello stesso autore La Parrocchia a
Pisa, p. 248.
26
G. GRECO, La Parrocchia a Pisa, p. 255.
27
Questo conservatorio non è citato nella tabella che dà lo stato dei conservatori nel 1789, in appendice (IV)
alle Relazioni sul governo della Toscana (cit.).
28
La soppressione degli enti ecclesiastici in Toscana-secoli XVII-XIX. Architettura e soppressioni lorenesi:
alcuni casi, alcune riflessioni, la fortuna critica, a cura di Gabriele Morolli, Firenze, Consiglio Regionale
della Toscana, 2008.
29
G. GRECO, La Parrocchia a Pisa, p. 231.
23
6
Questa operazione fu imposta dal Granduca, ma finanziata dalla Comunità. L’episodio, che si configura
come una sorta di prova generale per la grande ondata di soppressioni del 1785, è stato già trattato30 ma verrà
in questa sede affrontato secondo un’ottica diversa, ovvero di storia del patrimonio, per evidenziare, dove
possibile, le strategie di tutela adottate; comprendere meglio quale sia stato l’atteggiamento tenuto nei
confronti del patrimonio culturale aiuta, infatti, a far luce sul tipo di percezione del patrimonio stesso. La
documentazione utile si trova presso l’Archivio di Stato di Pisa ed è costituita dagli inventari redatti all’atto
della soppressione delle compagnie, dall’elenco delle vendite, completo di stima e prezzi di alienazione, ed
infine da delibere comunali, lettere e relazioni relative alla procedura da seguire, alla scelta del luogo e alle
modalità di costruzione del nuovo cimitero suburbano. A questi atti si aggiungono anche alcune delibere
comunali relative all’assegnazione, accordata o negata, di opere provenienti dalle compagnie soppresse ad
altri enti che ne facevano richiesta.
Sulle consuetudini funerarie si concentrò un primo intervento del Granduca. Già nel 1777, al fine di evitare i
rischi per la salute pubblica derivanti dalle inumazioni precipitose, aveva emanato una legge che specificava
quanto tempo le salme dovessero rimanere nelle stanze mortuarie prima della tumulazione. Dopo essersi
interessato ai tempi, il Granduca passò ad occuparsi dei luoghi delle sepolture. Fin dall’epoca medievale,
porticati, chiostri e interni delle chiese conventuali e parrocchiali, nonché degli oratori e delle confraternite,
venivano utilizzati come luoghi per la sepoltura dei defunti. Pietro Leopoldo, con una circolare governativa
del 1780, giudicava insalubre tale usanza, vietava la tumulazione dei cadaveri all’interno delle chiese aperte
al culto e all’interno delle città, consigliando di realizzare cimiteri a sterro fuori da esse31. Di lì a poco il
‘consiglio’ sarebbe divenuto obbligo32 e, anche a Pisa, si impose la realizzazione di un cimitero suburbano.
Unica eccezione venne concessa alle famiglie dotate di sepolture gentilizie, che potevano utilizzare quelle
eventualmente disponibili (di casate estinte) nel camposanto della piazza del Duomo33.
L’ordine Granducale di costruire un camposanto viene comunicato a Bandino Panciatichi, Commissario di
Pisa, in una lettera inviata nel settembre del 1782 dal consigliere di Stato34. A seguito di accurati esami
tecnici venne quindi individuato il luogo più adatto dove edificare il cimitero nella tenuta di Campaldo,
lungo la via Pietrasantina, una strada extraurbana all’epoca di proprietà del monastero di S. Martino e
allivellata ai fratelli Venturi.
30
Per un’indagine da un punto di vista storico vedi A. PANAJIA, Il Casino dei Nobili. Famiglie illustri,
viaggiatori, mondanità a Pisa tra Sette e Ottocento, Pisa, ETS, 1996; D. BARSANTI, Pisa in età leopoldina,
ETS, 1995, pp. 88-94; R. AMICO, Le processioni pisane di S. Giovanni e la Compagnia dello Spirito Santo,
in «Bollettino Storico Pisano», LXXI, 2002, p. 157; da un punto di vista storico artistico l’episodio è stato
recentemente affrontato da M. CATALDI, La “fatale soppressione” dei conventi, in Sovrani nel giardino
d'Europa. Pisa e i Lorena, catalogo della mostra (Pisa, Museo Nazionale di Palazzo Reale 20 settembre-14
dicembre 2008), Ospedaletto (Pisa), Pacini, 2008, pp. 261-266.
31
Circolare del 25 aprile 1780 inviata dall’Auditore fiscale ai Giusdicenti.
32
Istruzioni granducali del 19 luglio 1783.
33
A.S.Pi., Comune D, f. 996, Ordini per la costruzione di un Camposanto fuori Porta Nuova, c. 3 v. Per
quanto riguarda i presupposti storico-culturali relativi alla politica di costruzione di cimiteri in questo
periodo vedi G. TOMASI, Pisa Per salvare i viventi, le origini settecentesche del cimitero extraurbano,
Bologna, 2001.
34
A.S.Pi., Comune D, f. 996, Ordini per la costruzione di un Camposanto fuori Porta Nuova, cc. 3 r, v e 36
r, v.
7
Una volta ottenuta dal Granduca l’approvazione del progetto, la Comunità doveva affrontare la questione del
reperimento dei fondi necessari a finanziare i lavori. Per risolvere questa difficoltà, il 22 ottobre 1782, furono
quindi avanzate due proposte: procedere alla soppressione di qualche convento di religiosi «oppure ricorrere
ad una colletta sopra i monasteri o conventi più facoltosi»35. Per individuare appunto i «più facoltosi»
sarebbe stato necessario conoscerne con precisione le rendite, ma i documenti amministrativi contenenti tali
dati non erano di facile accesso per la Comunità che, a sua volta, chiedeva a Pietro Leopoldo di poterli avere
dagli uffici fiorentini. Il Granduca, che non possedeva tali dati, ricordò al magistrato che il cimitero sarebbe
stato un «benefizio pubblico», quindi sarebbe stato logico che a contribuirvi fosse chi ne avrebbe giovato. Il
Granduca non era favorevole al fatto che, per la costruzione del cimitero, la comunità ricorresse alle portate
dei luoghi pii perché «totalmente incerte»36 e aveva anche bocciato la proposta di sopprimere il collegio di S.
Frediano37, ordinando invece di prendere in considerazione i fondi delle compagnie, «che sono più inutili del
detto collegio»; si riteneva che alcune di esse, in particolare quella del Carmine, avessero fondi di una certa
consistenza38. La Comunità incaricava quindi Giulio Bernardi39 di stendere un piano preciso, la cui relazione
venne approvata il 2 dicembre 178240. Il Bernardi, in linea con la politica del Granduca, faceva notare come
Confraternite e Congregazioni, inizialmente costituite da persone devote che si impegnavano in opere di
vantaggio pubblico, fossero divenute con il tempo meno utili alla società civile e risultassero in numero
eccessivo rispetto al bisogno41. Alla nota di enti da sopprimere compilata dal Bernardi42 il Magistrato
comunitativo aggiunse il convento di S. Frediano dei Barnabiti, sottolineando il fatto che ormai non avesse
più la responsabilità delle scuole pubbliche. Anche stavolta, Pietro Leopoldo autorizzò la soppressione e la
vendita dei beni di sole undici compagnie rimandando di poco la soppressione dei Barnabiti43.
In una prima fase, di fronte al problema del reperimento di fondi, la Comunità si muoveva nell’elaborazione
di alcune ipotesi alternative - la soppressione del collegio di S. Frediano, la colletta sui vari monasteri
cittadini, la soppressione delle compagnie - che puntavano però tutte nella medesima direzione: drenare
35
A.S.Pi., Comune D, f. 168, Deliberazioni e decreti, cc. 16 v, 17 r.
A.S.Pi., Comune D, f. 996, Ordini per la costruzione di un Camposanto fuori Porta Nuova, c. 5 r.
37
A.S.Pi., Comune D, f. 996, Ordini per la costruzione di un Camposanto fuori Porta Nuova, c. 6.
38
A.S.Pi., Comune D, f. 168, Deliberazioni e decreti, cc. 27 r, v.
39
Giulio Bernardi risulta tra i componenti il collegio comunitativo il 30 giugno 1773 (D. BARSANTI, Pisa in
età leopoldina, ETS, 1995, p. 166); tra i componenti del Magistrato comunitativo nel periodo 1 settembre
1782-31 agosto 1783 (ibidem, p. 170); camerlengo della nuova comunità di Pisa dal il 1784-85 al 1786-87
(ibidem, p. 141).
40
A.S.Pi., Comune D, f. 168, Deliberazioni e decreti, cc. 30 r, v.
41
È interessante osservare che gli stessi criteri verranno dichiarati nel Motuproprio di soppressione delle
compagnie del 1785.
42
Il Bernardi proponeva il mantenimento delle compagnie di S. Orsola, S. Francesco delle Stimmate, S.
Barnaba, S. Biagio, S. Niccolao, della Fraternita, di S. Giovanni in Spazzavento, dell’Arcangelo Raffaele
(detta anche S. Martino), di S. Antonio (dipendente dalla religione di S. Stefano); Avrebbero invece potuto
sopprimersi le compagnie: Nunziata, S. Lucia dei Ricucchi, Purificazione, Crocione, S. Rocco, S. Giovanni,
S. Lorenzino in Ponte all’Ulivo, Spirito Santo, S. Gregorio, la Congregazione della Madonna del Rosario
(con sede nella chiesa di S. Caterina) e quella del Carmine (con sede nella chiesa del Carmine) - Queste due
ultime congregazioni sembravano possedere denaro contante molto utile alla costruzione del cimitero.
Lettera in A.S.Pi., Comune D, f. 996, Ordini per la costruzione di un Camposanto fuori Porta Nuova, cc. 9 r,
v, 10 r, v, 29 r.
43
A.S.Pi., Comune D, f. 996, Ordini per la costruzione di un Camposanto fuori Porta Nuova, cc. 19 r, v.
36
8
risorse dagli enti ecclesiastici. Queste proposte si ponevano in accordo con gli indirizzi più generali della
politica granducale ma, in alcuni casi, trovarono anche nello stesso Granduca freni e limiti. Dietro ordine di
Donato Sanminiatelli, Provveditore dell’Ufficio dei Fossi incaricato di attuare le disposizioni granducali,
vennero incaricati Giulio Bernardi44 e Cesare Simonelli della presa di possesso dei beni delle compagnie
soppresse.
Entro il 20 dicembre vennero redatti gli inventari degli arredi delle compagnie al fine di poter procedere alla
loro alienazione; circa le procedure di vendita, è interessante lo scambio epistolare tenutosi tra il 30 dicembre
1782 e il 10 febbraio 1783 tra il Cancelliere Giovacchini, il Provveditore dell’Ufficio dei Fossi Sanminiatelli
e l’arcivescovo45. Da questi documenti si deduce che gli arredi si trovavano ancora dentro le rispettive sedi e
che lì sarebbe avvenuta la loro vendita, preferibilmente in forma privata perché, se è vero che la vendita
pubblica avrebbe potuto far alzare i prezzi, si preferiva non urtare la sensibilità del pubblico che poteva aver
contribuito con elemosine all’acquisto dei pezzi. Si optò quindi per una vendita privata previa una giusta e
congrua stima46. Inoltre, di concerto con l’arcivescovo, si stabiliva che tutte le chiese delle compagnie
selezionate potessero essere profanate perché inutili al servizio spirituale del popolo, ad eccezione di quella
del Crocione, la cui soppressione avrebbe lasciato “prive” di certi servizi di utilità sociale le cure di S. Paolo,
S. Lorenzo, S. Cecilia e S. Zeno; perciò si chiedeva la grazia per quei confratelli. Inoltre si reputava
plausibile la permuta della «poco pulita chiesa della Fraternita» con quella dello Spirito Santo «molto bella
e decente»47, e si proponeva che la prima fosse convertita in civile abitazione: alla fine, dopo due secoli di
lotte, già ricordate in precedenza, la compagnia della Fraternita otteneva la sua vittoria entrando di diritto
nella chiesa della compagnia rivale.
5. Le procedure di inventariazione e vendita degli arredi e alcune forme di tutela
In cinque giorni, tra il 16 e il 20 dicembre 1782, il cancelliere della comunità di Pisa, Claudio Giovacchini, e
i due deputati dalla Magistratura, Giulio Bernardi e Cesare Simonelli, si recarono presso ognuna delle undici
compagnie e, alla presenza di rappresentanti del sodalizio e di due testimoni, quasi sempre Giuseppe
Fantacci e Rocco Bartolommei, procedettero all’inventariazione di tutti gli oggetti presenti nelle singole
compagnie: arredi liturgici, mobili, tessuti, quadri, libri liturgici o carte amministrative. L’operazione fu
dunque svolta rapidamente, e l’analisi degli inventari rivela che tali documenti, hanno in comune una prima
parte più burocratica e identica per ogni diverso ente, in cui si citano i provvedimenti legislativi, i testimoni,
l’oggetto della soppressione, mentre nella parte descrittiva mancano di un omogeneo criterio di
catalogazione48.
44
Il Bernardi nel 1787 succederà a Mariano Frosini nella carica di Amministratore del Patrimonio
Ecclesiastico della Diocesi di Pisa.
45
A.S.Pi., Comune D, f. 996, Ordini per la costruzione di un Camposanto fuori Porta Nuova, cc. s. n. e 40 r,
v.
46
Si analizzano qui le operazioni di alienazione di arredi sacri, si rimanda l’esame dell’incidenza avuta dalla
vendita di immobili, di cui si ha testimonianza nei documenti dell’Archivio di Stato di Pisa, ad un prossimo
studio.
47
A.S.Pi., Comune D, f. 996, Ordini per la costruzione di un Camposanto fuori Porta Nuova, cc. 40 r, v.
48
A.S.Pi., Comune D, f. 996, Ordini per la costruzione di un Camposanto fuori Porta Nuova, cc. s. n.
9
Il primo giorno la stesura inizia dai libri amministrativi della compagnia (entrata/uscita, debitori/creditori,
partiti, contratti, ecc.) e prosegue elencando argenti e reliquie per terminare con i pezzi in ottone e in legno. Il
secondo giorno la stesura segue invece un criterio topografico che, per chi debba descrivere oggetti
variamente dislocati all’interno di un ambiente, è un sistema sicuramente più veloce che non il procedere per
ordine tematico (argenti, ottoni, dipinti, parati, etc.). Solo nel caso della compagnia di S. Lorenzo in Ponte
all’Ulivo si stende una nota separata per i libri.
Nella successione con cui vengono elencati gli oggetti inventariati non si rileva mai una gerarchia economica
o cultuale e neppure nelle modalità di descrizione di tali pezzi si riscontra un criterio omogeneo49. Il fatto che
si fornisca il peso degli argenti lascia intuire che essi siano presi in considerazione non solo per il pregio
della loro lavorazione, ma anche per il valore intrinseco del materiale; mentre le attente descrizioni degli
arredi liturgici e dei parati lascia intendere che questi venissero apprezzati anche per la loro funzionalità,
ovvero per il loro impiego nello svolgimento delle funzioni.
I dipinti vengono sommariamente menzionati quanto al genere di supporto (tavola, tela, rame) ma quasi mai
quanto al soggetto della raffigurazione, ad eccezione di rari casi in cui, ad esempio, raffigurano il Santo
protettore; la particolare attenzione, che invece viene dedicata alla descrizione della cornice, suggerisce,
ancora una volta, che ad essa venisse attribuito maggior valore economico della pittura vera e propria. Tanto
per fare un esempio nell’inventario della Compagnia di S. Lucia dei Ricucchi viene descritta «Una lumiera
grande d’ottone a sedici viticci, o siano bracci con n. otto alette con aquile in cima mascherone, e
campanella in fondo appesa in mezzo alla Chiesa» e, nello stesso inventario «Sedici quadri alle parti laterali
della Chiesa di diverse grandezze rappresentanti diversi Santi, con sue cornici dorate». È evidente, visto il
diverso grado di accuratezza della descrizione, che i dipinti non hanno suscitato lo stesso interesse della
lumiera. Gli altari, pur avendo un consistente valore economico, specie se in marmo, non vengono quasi mai
descritti e neanche annotati, ma sono presenti poi nell’elenco delle vendite. L’inventario si conclude infine
con una descrizione dei «fondi stabili» dove, ad eccezione di pochi casi, viene descritta l’esatta ubicazione
della chiesa di ogni compagnia.
Contrariamente a quanto avvenne a Firenze, dove gli inventari delle compagnie soppresse furono redatti da
personale tecnico specializzato (i Professori d’Accademia), gli inventari delle compagnie pisane furono
invece opera di funzionari del Comune, abituati a relazioni tecniche di tipo diverso. Questo spiega molte
delle carenze descrittive appena osservate e le tangenze col sistema di descrizione notarile. Ma se ciò ha
significato una scarna descrizione dei dipinti, che ci consente solo raramente di avanzare ipotesi di
riconoscimento, compromettendo quindi la possibilità di individuare la loro attuale collocazione, al tempo
stesso ci fornisce una traccia della percezione popolare del patrimonio sentito tale50.
49
Ad esempio si trovano elencati candelieri di legno prima di reliquiari in argento, sicuramente più preziosi
sia da un punto di vista economico che cultuale o liturgico.
50
Penso ad esempio alla particolare attenzione dedicata alla descrizione sia dei dipinti raffiguranti i santi
protettori che dell’urna per il trasporto del corpo di S. Ranieri e, viceversa, alla scarna descrizione dedicata
agli altri dipinti o statue.
10
Oltre alla descrizione degli oggetti e alle notizie relative all’ubicazione della chiesa di ogni compagnia, gli
inventari offrono anche sporadiche informazioni sugli spostamenti di qualche arredo. Queste ultime
informazioni si desumono da alcune note che di tanto in tanto troviamo apposte sul documento e posizionate
quando direttamente all’interno del testo, quando a lato di esso. Tali note, scritte con una grafia che denota la
volontà di adattare il testo allo spazio disponibile e dunque evidentemente aggiunte in un secondo tempo,
sono probabilmente il frutto di riflessioni o informazioni apprese successivamente all’inventariazione degli
oggetti di un determinato ambiente. Esse attestano i movimenti, precedenti o programmati, rispetto alla
stesura dell’inventario, di tipologie diverse di oggetti dai quadri, ai parati, agli strumenti di uso liturgico, agli
arredi.
Negli inventari relativi alla compagnia della Madonna del Carmine, a quella dello Spirito Santo e alla
congregazione della Purificazione sono presente alcune annotazioni riguardanti reliquiari e reliquie. La
descrizione della statua-reliquiario raffigurante la Madonna col Bambino fornita nell’inventario della
compagnia della Madonna del Carmine pone l’attenzione sui preziosi materiali che la costituiscono,
descrivendoli piuttosto dettagliatamente, e precisa che alcuni elementi decorativi della statua, al momento del
sopralluogo effettuato il 16 dicembre 1782 dal cancelliere Claudio Giovacchini e dai deputati Giulio
Bernardi e Cesare Simonelli, si trovavano in restauro presso tale orefice Bonechi. La nota a margine, invece,
riguarda le reliquie contenute nel basamento della statua: queste sarebbero state lasciate in custodia ai Padri
del Carmine51.
Per quanto riguarda invece i tre reliquiari con reliquie appartenenti alla compagnia dello Spirito Santo, le
note aggiunte a lato dell’inventario rivelano che due di essi sarebbero stati destinati alla chiesa, mentre il
terzo, in argento, contenente la reliquia della Santissima Spina, sarebbe stato consegnato alla compagnia
della Fraternita52.
Un’annotazione presente sull’inventario della compagnia del Crocione fa luce sulla sorte riservata ad un
reliquiario in argento contenente l’ampolla di sangue scaturita da un’immagine di Cristo. Tale reliquiario era
venerato dalla suddetta compagnia del Crocione e, secondo il Sainati,53 proveniva da uno degli altari di S.
Pietro in Vincoli demolito nel 1588. L’appunto rivela che, in seguito ad un accordo stretto tra il cancelliere
51
Il reliquiario è descritto al n. 28 dell’inventario: «Una statuina rappresentante la Madonna del Carmine
con corona in capo con Gesù bambino in braccio anch’esso con corona in capo con due angiolini uno per
parte con candelierino in mano per ciascheduno, suo piedistallo con Reliquie dentro il tutto d’argento sodo di
peso tt.re dico libbre diciannove e mezzo circa con perle scaramazze, e gioiello d’oro con smalto, entrovi un
crocefisso, e con abitino in foglia d’argento, un vezzo di perle scaramazze che un filo minute e n.o sei perle
grosse che pendono den.ri 14 e più due boccioli d’argento per dd.i candelierini che fù detto essere app.o il
Bonechi orefice a risarcirsi». Una frase aggiunta a lato dell’inventario afferma « le reliquie furono lasciate ai
PP. del Carmine» (A.S.Pi., Comune D, f. 996, c.s.n.).
52
I tre reliquiari, le cui descrizioni sono affiancate da annotazioni, corrispondono ai numeri 51 «Due
reliquiari a urna scorniciati e dorati entrovi diverse reliquie - rilasciati alla Chiesa» e 54 dell’inventario «Un
reliquiario d’argento entrovi la Reliquia della Santiss.a Spina - alla Fraternita» (A.S.Pi., Comune D, f. 996,
c.s.n.).
53
G. SAINATI, Diario sacro pisano, Siena, S. Bernardino, 1886, pp. 196-197.
11
comunitativo (autore dell’inventario) e l’arcivescovo, il reliquiario venne posto in deposito presso le
monache di S. Silvestro54.
Un’altra annotazione di un certo interesse riguarda il reliquario in argento con reliquia del velo della
Santissima Vergine, appartenente alla congregazione della Purificazione. Il reliquiario in questione
risulterebbe trovarsi -insieme ad un ostensorio- in deposito presso tale signor Landucci il quale, identificato
come creditore di trecentoventidue lire, rivendicherebbe sopra tali oggetti un’ipoteca55.
Le note appena descritte forniscono informazioni utili alla comprensione delle modalità di tutela che furono
applicate nei confronti dei reliquiari e delle reliquie contenute al loro interno, in una situazione tanto delicata,
come questa di un pubblico incanto. Nel primo caso analizzato, relativo alla compagnia della Madonna del
Carmine, la nota riguardava esclusivamente le reliquie, riferendo che esse vennero affidate ai padri del
Carmine. Ma se da un lato tale nota rivela un atto volto a proteggere le reliquie, dall’altro spinge ad
interrogarsi su quale fu il destino del reliquiario che le conteneva, di cui sappiamo soltanto che vennero
restaurate alcune parti. Al contrario, nei due casi relativi alla compagnia dello Spirito Santo e a quella del
Crocione, le note chiariscono quale sia stata la sorte decisa per i reliquiari: essi non sarebbero stati venduti,
come il resto degli oggetti, ma assegnati ad altre istituzioni religiose. In altre parole le note sembrano voler
dare una garanzia che per i reliquiari descritti, si sia provveduto alla preservazione dalla dispersione.
In controtendenza rispetto alle precedenti, l’annotazione relativa al reliquiario con reliquia del velo della
Santissima Vergine lascia intuire che, in virtù del valore economico intrinseco, gli oggetti in argento –e non
facevano eccezione i reliquiari- potevano tranquillamente essere ipotecati per ricavarne denaro. Va da sé che
tale pratica poneva il bene ipotecato al rischio evidente, nel caso di inadempienza del pagamento, di vendita
forzata. In altri termini la particolare attenzione dedicata alle reliquie avrebbe, in molti casi, determinato la
conservazione anche dei loro contenitori. Per quanto riguarda i reliquiari si osserva inoltre che, in aggiunta a
quelli già menzionati perché oggetto di annotazioni particolari, negli inventari se ne computano altri sei, che
però non compaiono poi nel registro delle vendite: questo fatto lascia supporre che essi siano stati venduti o
consegnati ad una qualche chiesa o privato cittadino precedentemente alla vendita generale.
Altre annotazioni registrano il trasferimento in sedi diverse di differenti tipologie di oggetti d’uso liturgico.
Ad esempio, nell’inventario della Compagnia della Madonna del Rosario si specifica che il trono che serviva
per trasportare in processione la Madonna ed altri piccoli oggetti (braccioli in ottone e carteglorie) vennero
54
Il reliquiario è descritto al n. 27 dell’inventario: «Un reliquiario d’argento alto due terzi di braccio, entrovi
la reliquia consistente in un’ampolla di sangue escito da un immagine di Gesù crocefisso cosi venerata in d.a
chiesa come fù detto. Si nota che la sudd.a reliquia con il d.o reliquiario esiste in deposito presso le RR. MM.
di S. Silvestro cosi concordato da me inf.tto canc.re con l’Ill.mo e Rdmo Monsig.re Arcivescovo di Pisa»
(A.S.Pi., Comune D, f. 996, c.s.n.).
55
La descrizione corrisponde al n. 7 dell’inventario: «Un Ostensorio d’argento, e un reliquiario d’argento
colla Reliquia del velo della SS.a Vergine esistenti presso d.o Sig.re Landucci e lasciati al med.o in deposito
e si nota che sopra dd.e argenterie d.o Sig.re Landucci vi ha l’ippoteca come disse per la somme di lire
trecentoventidue come dai conti di cui va creditore» (A.S.Pi., Comune D, f. 996, c.s.n.).
12
lasciati in uso alla chiesa56 mentre, in rispetto delle volontà espresse dal donatore, sei grandi candelieri
d’argento furono lasciati in deposito al Priore del convento di S. Francesco57.
L’inventario della compagnia dello Spirito Santo fornisce informazioni relative ad un importante arredo: un
«cassone d’albero entrovi la cassa moderna con Cristalli veneziani per servizio di S. Ranieri con cornici, e
sfogliami dorati a oro buono», ossia l’urna che la Compagnia aveva fatto eseguire per trasportare il Corpo di
S. Ranieri durante le processioni58; stando alle note a margine del documento l’urna, insieme a seggi, banchi,
inginocchiatoi e candelieri, venne assegnata alla compagnia della Fraternita, che aveva ottenuto anche la
chiesa in permuta. Considerata la rivalità esistente tra le due compagnie, accennata in precedenza, proprio in
merito alla partecipazione alle processioni e considerata l’importanza di ricevere il privilegio di trasportare il
corpo del patrono cittadino, l’urna doveva senza dubbio essere un pezzo di grande valore; grazie alle
annotazioni abbiamo quindi la conferma che, alla soppressione della compagnia dello Spirito Santo, il
privilegio del trasporto del santo passò alla compagnia della Fraternita.
Infine l’inventario della compagnia del Crocione rivela, senza spiegarne però il motivo, che il giorno
precedente al sopralluogo effettuato dai funzionari (20 dicembre 1782), due dei sedici quadri appartenenti
alla compagnia, e precisamente i due che stavano ai lati dell’altar maggiore, vennero trasportati in casa del
reverendo Boscaini curato di S. Marco in Calcesana; lo stesso giorno, proprio nella chiesa di S. Marco,
giunse anche una croce grande da penitenza, proveniente anch’essa dalla compagnia del Crocione59.
Se nella maggior parte dei casi sopra esaminati gli oggetti d’uso liturgico sembrano essere passati alla nuova
sede quasi per “eredità naturale”, quello della teca per il trasporto del corpo di S. Ranieri, come già
accennato, sembra essere un caso diverso, che potrebbe essere letto come un’estrema volontà di salvare dalla
dispersione un oggetto particolarmente caro ai fedeli. E ancora diverso risulta il trasferimento delle opere
dalla compagnia del Crocione nella chiesa di S. Marco in Calcesana e nell’abitazione del parroco,
trasferimento di cui si ignorano le motivazioni: in questo caso infatti se a giustificazione dell’episodio si
56
Non è specificato, ma dovrebbe trattarsi della chiesa di S. Caterina, in cui aveva sede la compagnia.
Le opere sono descritte ai numeri 6 «Sei candelieri grandi d’argento lasciati per elemosina alla SS.a
Vergine del Rosario dal Sig.re Matteo Bossi di Pisa per contratto rogato da S. Lorenzo Zucchetti li 23 marzo
1656 con patto che non siano prestati a veruno, e contrafacendo ricadino alla Chiesa di S. Francesco de
minori osservanti di Pisa all’altare della SS.a Concezione. Li sudd.i sei candelieri da dd.i SS.ri Deputati
furono lasciati in deposito in mano e app.o il R.do Pr.e Priore di d.o Convento» e 7 « Il trono grande che
serve a portare a processione la Madonna tutto dorato a oro buono con tendine di seta di mantino con trina
d’oro - lasciato alla chiesa per servizio delle funzioni alla Madonna» dell’inventario (A.S.Pi., Comune D, f.
996, c.s.n.).
58
Nel 1729 la Compagnia dello Spirito Santo fece eseguire a sue spese un’urna, disegnata da Giuseppe
Melani, per il trasporto del corpo del Santo. Vedi R. AMICO, Le processioni pisane di S. Giovanni e la
Compagnia dello Spirito Santo, in «Bollettino Storico Pisano», LXXI, 2002, p. 149, n. 36. La descrizione si
trova al n. 45 dell’inventario della compagnia dello Spirito Santo (A.S.Pi., Comune D, f. 996, c.s.n.).
59
Le opere sono descritte ai numeri 3 «Due quadri simili ai sudd.i che esistevano attaccati alle pareti della
Chiesa uno dalla parte destra, e l’altro dalla sinistra di d.o Altar maggiore che fù detto essere stati levati dal
d.o luogo il giorno precedente e portati in casa del m.lto R.do Sig.re Boscaini curato di S. Marco in
Calcesana» e 4 «Una croce grande da penitenza che stava in Sagrestia fatta di nuovo come fù detto
d’elemosine dei fr.lli di d.a Compagnia, che fù detto essere stata levata dal suo luogo la sera avanti al sud.o
g.no e trasportata alla chiesa di S. Marco in Calcesana» dell’inventario (A.S.Pi., Comune D, f. 996, c.s.n.).
57
13
accettano ragioni di culto, non si spiega però il motivo per il quale vennero trasferiti soltanto i dipinti laterali
dell’altare maggiore, lasciando al mercato il dipinto centrale, che era anche generalmente il più venerato.
Curiosa la vicenda dei dodici candelieri in ottone che nell’inventario della compagnia di S. Lorenzo in Ponte
all’Ulivo vengono segnalati come ‘impegnati’ al Monte Pio annotandone i numeri di polizza; due lettere del
febbraio 1783 chiariscono la circostanza: Rosa Carlini chiede la restituzione di alcuni argenti da lei donati
alla compagnia di S. Lorenzo impegnandosi ad esporli «in ogni giovedì dell'anno», ma le viene risposto che,
al momento della presa di possesso della compagnia, gli argenti in questione erano stati impegnati dai
confratelli al Monte Pio, precisando che comunque non se può richiedere la restituzione in quanto la
soppressione non rientra nelle condizioni contemplate dal patto stipulato al momento della donazione60.
Confrontando questo episodio con quello del reliquiario ipotecato e concesso in custodia al Landucci, se ne
deduce che, a prescindere del valore economico o cultuale degli oggetti, si ha un assoluto rispettato della
legge e del diritto di proprietà privata.
Nel complesso di documenti analizzati, particolarmente interessante è risultato il registro delle vendite61. Il
documento, recentemente esaminato anche da Maria Cataldi62, si rivela un’importante fonte di dati che,
opportunamente messi a confronto con dati di origine diversa, aiuta a comprendere meglio la vicenda della
dispersione degli arredi.
Redatto ad opera di Bonaventura Bracci e Francesco Acconci, stimatori nominati da Giulio Bernardi e
Cesare Simonelli, il registro, a differenza degli inventari, è organizzato per categorie: inizia con la «stima
delle argenterie» e prosegue, con un secondo elenco -in cui la numerazione degli oggetti riparte dal numero
uno- denominato «suppellettili, arredi, biancherie, ottoni e altro»; per ogni oggetto elencato fornisce una
breve descrizione, la stima, l’acquirente e il prezzo d’acquisto. Tra le pagine del registro una carta sciolta
presenta l’elenco dei legnami delle quattro compagnie di S. Lucia, S. Lorenzino, SS.ma Annunziata e S.
Giovanni Evangelista, acquistate in blocco dal legnaiolo Giuseppe Jaccheri63.
L’analisi di questo documento pone questioni diverse: si può ragionare sulle coincidenze o meno tra la stima
degli oggetti e gli effettivi prezzi di vendita identificando in questo modo le tipologie di arredo più ambite e
quelle meno richieste, oppure si può riflettere sull’identità degli acquirenti formulando ipotesi in merito alle
loro motivazioni. Ma tra le possibili problematiche che il documento suggerisce, la sorte riservata agli altari
richiama l’attenzione, se messa in relazione a ciò che sarebbe successo di lì a poco. Come già ricordato in
precedenza, solo tre anni più tardi, durante la generale soppressione delle compagnie, gli altari saranno
oggetto di un provvedimento specifico: il loro destino sarà precisamente definito in una circolare della
Segreteria del Regio Diritto del 30 luglio 1785 con cui si stabilisce che le fabbriche delle compagnie
60
A.S.Pi., Comune D, f. 238, Lettere dei Superiori di Firenze, dei Magistrati e Soprassindaci, cc. s. n.
A.S.Pi., Comune D, f. 996, cc. s. n.
62
M. CATALDI, La “fatale” soppressione dei conventi, in Sovrani nel giardino d'Europa. Pisa e i Lorena,
catalogo della mostra (Pisa, Museo Nazionale di Palazzo Reale 20 settembre-14 dicembre 2008), Ospedaletto
(Pisa), Pacini, 2008, pp. 261-266 (in particolare p. 263).
63
Dall’elenco degli acquirenti non si ricava molto, a parte osservare che quel Michele Acconci che insieme
alla contessa del Testa si aggiudica la maggior parte degli argenti porta lo stesso cognome di uno degli
stimatori, e che l’argentiere Bonechi acquista forse uno dei pezzi più antichi, un calice d'argento, con gambo
di rame dorato e smaltato con figure antiche, patena di rame dorato e sua custodia.
61
14
soppresse saranno consegnate ai parroci che ne abbiano fatto richiesta, a patto che vengano demoliti gli altari
esistenti «perché non servano di pretesto per continovar feste, uffizi e piccole devozioni»64. Gli altari delle
numerose compagnie soppresse nel 1785 saranno dunque demoliti e presumibilmente posti in vendita ma, tra
i documenti d’archivio fino ad ora esaminati relativi sia al 178565 che al 1782, i riferimenti all’alienazione di
tali arredi sono piuttosto rari. Scarseggiano i dati sia riguardo alla loro valutazione, sia riguardo al loro
destino; ma la presenza nello stesso manufatto del valore sia liturgico sia economico rende ancor più
interessante il tentativo di ricostruirne la storia66.
Ecco che la presenza di altari nell’elenco degli arredi venduti del 1782 assume una certa rilevanza. Inoltre,
dal confronto del registro di vendita con alcuni documenti conservati nel fondo del Comune dell’Archivio di
Stato di Pisa si ricava un quadro più ampio della vicenda. Il registro della vendita del 1782 annota (al n. 345)
l’acquisto effettuato da parte di Carlo Panichi, che già si era aggiudicato la fabbrica della soppressa
compagnia di S. Lucia dei Ricucchi67, di tutti gli altari esistenti nelle chiese di S. Lucia e della SS.ma
Annunziata68. Inoltre l’edificio della soppressa chiesa della SS.ma Annunziata, gestita dalla Comunità di
Pisa, venne preso in affitto nell’agosto del 1783 da Alessandro Boccacci Baldini al quale, circa un anno più
tardi, venne intimato il pagamento di un’annualità di canone da lui non versata alla Comunità di Pisa. In un
primo documento datato 31 gennaio 1785, a difesa del Boccacci Baldini, si faceva osservare che egli non
aveva potuto servirsi della stanza perché «questa è stata sempre occupata e ripiena dagli altari disfatti da
detta Comunità, e che si dicono di attenenza della medesima»69; il Boccacci Baldini torna poi a difendersi in
merito alla stessa questione nel 1787, dichiarando di non aver potuto utilizzare il fondo fino al novembre del
1785 quando, di sua iniziativa e a sue spese, fece togliere dalla chiesa i due altari, acquistati da Carlo Panichi
e da lui lasciati in quel luogo, facendoli porre addirittura sulla pubblica via70.
Per prima cosa sarebbe importante definire che cosa si intende nel documento quando si parla di «attenenza
della medesima»; non è chiaro se ‘medesima’ si riferisca alla Comunità oppure alla SS.ma Annunziata: nel
primo caso significherebbe che tutti gli altari demoliti dalla Comunità si trovavano all’interno della SS.ma
Annunziata (che verrebbe ad assumere una funzione di deposito), nel secondo caso risulterebbero in chiesa
solo gli altari acquistati dal Panichi. Questa seconda ipotesi sembrerebbe l’interpretazione più coerente
poiché il Boccacci Baldini sostiene di aver tolto dalla chiesa solo gli altari acquistati dal Panichi, ma questo
atto non avrebbe senso se all’interno dell’edificio fossero rimasti altri altari. La questione si complica se
consideriamo inoltre che il Boccacci Baldini dice di aver trasportato in strada i ‘due’ altari del Panichi,
64
A.S.Pi., Comune D, f. 1522, c. 375 r.
Risultano appena sei casi di vendita di altari.
66
Spesso sono realizzati in legno intagliato e dorato, marmo o altre pietre.
67
ASPi, Comune D, 168, cc. 23-25.
68
Da quanto risulta dagli inventari, nella chiesa della Santissima Annunziata erano presenti tre altari, mentre
non sappiamo quanti fossero quelli nella chiesa di S. Lucia, in cui si può solo presumere che fossero più di
uno, avendo solo l’indicazione dell’altar maggiore (che non sarebbe definito in questo modo se fosse
l’unico).
69
ASPi, Comune D, 230, cc. 75 r, v e 136 r, v.
70
ASPi, Comune D, 231, cc. 412 r-414 v; nel documento si specifica che uno dei due altari era in marmo.
65
15
mentre dal registro di vendite risulta che quest’ultimo acquistò ‘tutti’ gli altari delle due chiese, che
dovevano essere almeno quattro.
In conclusione non c’è chiarezza sulla quantità e proprietà degli altari immagazzinati in quegli anni nella
chiesa della SS.ma Annunziata, ma forse è possibile trarre qualche indicazione sul tipo di apprezzamento di
cui essi godevano. Il fatto che il Baldini, esasperato dalla situazione, non esiti a porre gli altari in mezzo alla
strada, sembra un segno evidente di una considerazione degli altari esclusivamente materiale e non legata al
culto; d’altro canto il Panichi, dopo averli acquistati, sembra aver lasciato gli altari inutilizzati per oltre due
anni, un comportamento sicuramente antieconomico per chi li avesse comprati al fine di riciclarli o di
rivenderli; dai documenti sembra però che egli abbia utilizzato in qualche modo almeno altri due altari in
quanto acquistati e, differentemente dagli altri, non presenti nell’edificio affittato dal Boccacci Baldini.
Risulta quindi problematico trarre conclusioni certe a proposito della sorte toccata agli altari: non sappiamo
se furono riutilizzati con la loro funzione specifica o se furono smontati e poi riciclati per farne camini o altri
arredi domestici. Ciò che invece sembra emergere è il tipo di apprezzamento attribuito a questo genere di
arredo, prettamente dipendente dal valore economico del materiale costitutivo, e che probabilmente non
teneva conto del valore liturgico e cultuale. In altri termini, almeno in questi casi, sembra che gli altari, non
rientrando tra i beni da proteggere per essere trasmessi alle generazioni future, non abbiano rivestito un
valore identitario per la comunità.
Tra gli ultimi oggetti annotati sul registro delle vendite troviamo i dipinti. Sebbene sul documento sia assente
l’indicazione della provenienza degli oggetti, proprio i dipinti, nonostante l’esigua descrizione, potrebbero
essere, tra gli altri manufatti, i più facilmente riconoscibili. Ragionando in termini di provenienze e
destinazioni delle opere si può mirare a ricomporre un percorso di spostamenti che, nella migliore delle
ipotesi, possa giungere fino ad oggi. Riuscire a fornire dati relativi allo spostamento da una sede all’altra di
un’opera è un risultato importante perché, oltre ad aggiungere un tassello alla sua storia conservativa, può
essere utile ai fini della comprensione di quale potesse essere la percezione del patrimonio culturale ed
artistico nell’epoca dell’episodio indagato. A questo scopo sono due i punti di vista che si possono
considerare: da una parte, come abbiamo detto, le provenienze e le destinazioni, deducibili da inventari e dai
documenti che riportano i nomi di acquirenti; dall’altra le stime e i prezzi di vendita degli oggetti, utili a
comprendere un valore che non è solo economico, ma anche legato ai fattori religioso, estetico o
identitario71. Inoltre quando si riesca a determinare la provenienza di dipinti di cui si conosce una
collocazione successiva o addirittura quella attuale, si renderà possibile la ricostruzione di nuclei di opere
presenti nei diversi luoghi in diverse epoche aprendo nuove piste di indagine.
Operando un’accurata selezione sugli oggetti descritti negli inventari delle compagnie soppresse nel 1782, si
ricava un elenco di dipinti da confrontare con quelli presenti sul registro delle vendite. Dal punto di vista
numerico si contano ottantadue dipinti inventariati, settantaquattro venduti e sei ancora in deposito: ciò
71
Quest’ultimo elemento trova particolare spazio nel campo della religiosità popolare: i quadri degli altari
maggiori delle compagnie religiose raffiguravano quasi sempre il santo protettore che la comunità venerava e
grazie al quale si identificava come gruppo.
16
significa che furono praticamente tutti quanti venduti72. Il confronto tra i dati degli inventari e quelli
provenienti dal registro delle vendite non è servito solo ad ottenere informazioni generiche circa la quantità o
il genere di opere vendute, ma ha permesso in alcuni casi di ottenere il quadro completo delle informazioni
relative ad esse. Dopo un attento lavoro di raffronto delle fonti si è potuta stabilire solo una minima
corrispondenza di dati, che ha permesso di gettare luce sulle vicende di alcuni dipinti -tutti provenienti da tre
diverse compagnie- di cui sono noti gli acquirenti o le destinazioni.
Due le opere provenienti dalla compagnia di S. Giovanni Evangelista: il Ritratto del Cardinal Lante, venduto
per £ 14 a Rocco Bartolommei73, e il S. Girolamo venduto per £ 6 a tale Padre Calani. Il S. Gregorio Papa
stimato £ 36 e venduto a £ 14 al Samminiatelli proveniva invece dalla compagnia di S. Gregorio74. Infine tre
dipinti provenivano dalla Compagnia della SS. Annunziata: Il transito della SS.ma Vergine, stimato £ 6, che
rimase invenduto, una SS. ma Annunziata, stimata £ 42, che fu venduta per £ 40 a Padre Giuseppe di S.
Teresa e una Madonna con 12 apostoli, opera di Ventura Salimbeni75. Quest’ultima, stimata £ 180, poi
ridotta a £ 100, fu consegnata all’Operaio di S. Francesco, Francesco Ruschi, poiché il 5 novembre 1783 ne
aveva fatto richiesta ai Priori di Pisa per poterla porre nella chiesa di S. Francesco, sull’altare della famiglia
Lante, dove ancora oggi si trova76. E ancora dalla compagnia di S. Giovanni Evangelista proveniva
l’immagine di Gesù morto che il 15 marzo 1783 venne assegnato dai Priori di Pisa77 alla chiesa di S. Paolo
all’Orto, dietro richiesta delle monache di quella chiesa e dei fratelli Montelatici78.
Questi sono solo pochissimi casi, ma permettono comunque di formulare due riflessioni: a parte il caso del S.
Gregorio Papa, pagato molto meno del valore stimato, gli altri dipinti risultano venduti al prezzo di stima o
di poco inferiore, segno evidente che non ci fu battaglia tra gli acquirenti per cercare di aggiudicarsi i
manufatti e che quindi già il prezzo di vendita veniva considerato accessibile; inoltre gli acquirenti risultano
uomini di chiesa o appartenenti a famiglie nobili che probabilmente hanno acquistato le opere per porle in
altre chiese o su altari di patronato. Se ne deduce, in ogni caso, la volontà di conservare i manufatti
evidentemente considerati, oltre che come oggetto di culto, anche nella loro qualità di traccia del passato e
del loro potere aggregante per la comunità.
Pur nella difficoltà di ricostruire le coordinate percettive di un’epoca tanto vicina, la ricostruzione storica
della soppressione di compagnie per la costruzione di un cimitero offre l’opportunità di indagare la storia
72
Questa è una differenza sostanziale rispetto a quanto avvenne durante le soppressioni attuate solo tre anni
più tardi, quando fu appositamente creato un istituto che si occupasse della ridistribuzione degli arredi, il
Patrimonio Ecclesiastico; d’altra parte lo scopo di questa prima fase di soppressioni, era il reperimento di
fondi.
73
Il Bartolommei risulta essere deputato per gli affari riguardanti la sanità (D. BARSANTI, Pisa in età
leopoldina, ETS, 1995, p. 81)
74
Alcuni dei componenti della famiglia Samminiatelli, una delle più antiche della nobiltà pisana, ricoprirono
alte cariche pubbliche (alcuni divennero priori e uno fu nominato provveditore dei Fossi).
75
F. PALIAGA, S. RENZONI, Chiese di Pisa, Pisa ETS, 2005, p. 51.
76
ASPi, Comune D, 168, c. 110 r.
77
ASPi, Comune D, 168, c. 52 r.
78
Non sono riuscita a trovare informazioni in merito all’eventuale grado di parentela tra i fratelli Montelatici
qui citati e il canonico lateranense Ubaldo Montelatici, fondatore nel 1753 della fiorentina Accademia dei
Georgofili.
17
della dispersione del patrimonio e della sua ricomposizione in nuclei diversi79. Le testimonianze
documentarie aiutano a comprendere meglio i motivi delle scelte operate in taluni casi e insieme a ciò che
oggi concretamente resta del patrimonio si può tentare di ricostruire la volontà che animò la comunità civile
a conservare alcuni monumenti del passato, deposito significativo ed evocativo di cultura e tradizione;
monumenti che ebbero il merito di ricondurre nella comunità civile le radici del suo esistere culturale.
79
Un esempio significativo è testimoniato dal passaggio di beni -reliquiari, seggi, banchi, inginocchiatoi e
addirittura l’edificio stesso della chiesa- tra la compagnia di S. Spirito e quella della Fraternita.
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