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il massacro di civitella casanova

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il massacro di civitella casanova
Associazione Culturale
Parallelo Vestino
IL MASSACRO DI CIVITELLA CASANOVA
Una pagina inedita del Risorgimento abruzzese
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Ideazione, ricerche e coordinamento
Associazione Culturale
Parallelo Vestino
Patrocinio di
Amministrazione Comunale di
Civitella Casanova
Archivio di Stato di Teramo
Con il contributo di
3
Premessa
L
“
a storia è testimone dei tempi,
luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, nunzia dell'antichità”.
Ad affermarlo già nella Roma repubblicana, che di lì a poco avrebbe lasciato il
posto al principato augusteo, è stato Cicerone, protagonista indiscusso della Storia antica.
Parole che ancora oggi vibrano di quel sentimento rimasto immutato nonostante i secoli,
quell’urgenza di conoscere, svelare, testimoniare il divenire del mondo, fermando - per
quanto possibile - questo eterno processo attraverso la parola scritta. Qual è dunque il
compito di noi uomini contemporanei che di storia ne abbiamo studiata tanta sui libri di
scuola? L’unico dovere che abbiamo nei confronti della Storia è quello di continuare a
riscriverla, e provare a completare questo infinito mosaico con quei tasselli della storia
così detta minore, che forse non entreranno nei libri di scuola con buona pace degli
studenti, ma che verranno per sempre fissati e resi immortali sulla pagina, di carta o
multimediale non ha importanza, riconsegnati alla memoria di quanti vorranno scoprirli
e farli propri. E’ questo lo spirito che ci ha animato in questo viaggio attraverso la
“nostra” storia, quella che abbiamo sottratto all’oblio dei più, imbattendoci in essa quasi
per caso, come se fossimo noi i prescelti dal destino per portare a termine questa
missione. E così proprio alla vigilia della chiusura delle celebrazioni del 150° anniversario
dell’Unità D’Italia, eccoci presentare fieri la “nostra” appassionata testimonianza sul
“Massacro di Civitella”, dopo un anno di intenso lavoro di ricerca, studio,
approfondimento, supportati dalle Istituzioni e dagli addetti ai lavori come il professor
Candido Greco, prezioso ed infaticabile storico, al quale non verrà mai meno, nonostante
non eserciti più la professione, il piglio del “maestro”, quello vero, che la storia te la fa
amare, perché la storia te la racconta col cuore, scendendo dalla cattedra. Il mio sincero
“GRAZIE” va dunque a lui, a tutti i soci di Parallelo Vestino che si sono buttati con me in
questa avventura, ai rappresentanti delle istituzioni e degli enti, quali la Fondazione
PescarAbruzzo e l’Archivio di Stato di Teramo, che ci hanno sostenuto perché hanno creduto
come noi in questo progetto che finalmente ha visto la luce, una luce destinata a non
spegnersi più.
Claudia Ficcaglia
Presidente dell’Associazione Culturale
Parallelo Vestino
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Saluti
L’
identità storico - culturale di una comunità è linfa che scorre nelle vene di
chi ne è parte. È quel naturale nutrimento che consente ad ognuno di riconoscersi in
essa, di progredire, di evolversi adattandosi alle circostanze e ai tempi che mutano. Chi
amministra non può prescindere da essa per orientare la propria attività di governo,
perché solo essa fornisce quegli elementi essenziali per organizzare e vivere il presente,
per immaginare e costruire il futuro.
L’Amministrazione Comunale di Civitella Casanova ha appoggiato da subito
l’iniziativa proposta dall’Associazione Parallelo Vestino, proprio perché ne ha
riconosciuto l’importante valenza culturale e soprattutto sociale. Un progetto che vuole
fare luce su un periodo storico ancora oggi controverso e tormentato: il Risorgimento
Italiano.
Era chiaro che Civitella avesse vissuto la drammaticità di quell’epoca, numerose
sono le testimonianze storiche a riguardo, dalle “Vendite Carbonare”, che hanno
coinvolto diversi nostri concittadini, come il dottor Giacinto Felsani, promotore del
pensiero unitario a Civitella, che si narra sfilasse per le vie del paese con il tricolore,
sfidando le autorità di polizia locale, fino a giungere alle scorribande dei briganti, che nei
nostri boschi e nelle nostre montagne trovavano sicuro nascondiglio, noto alle cronache
dell’epoca lo spietato “Boia della Celiera”.
A ricordarci ancora oggi di quel controverso momento storico rimangono i nomi
di alcune zone di Civitella come “Contrada Brigantello” oppure, “Vico della Carboneria”
che secondo alcuni individua l’esatto luogo d’incontro degli iscritti alla società segreta, e
poi sicuramente Piazza Risorgimento.
Ma della vicenda, sulla quale quest’opera vuol far chiarezza, ovvero di quel
“massacro” del 1861 in cui vennero fucilati con l’accusa di brigantaggio nove cittadini
civitellesi, non rimane nessuna traccia, quasi come se fosse stata cancellata di proposito,
come se non fosse mai accaduta, un motivo in più per l’Amministrazione Comunale di
sostenere il lavoro di ricerca condotto dai laboriosi ragazzi di Parallelo Vestino che ormai
da dieci anni operano nell’ambito della valorizzazione e tutela del patrimonio storico –
culturale della nostra terra, che coadiuvati dall’esperienza dello storico Candido Greco,
hanno certamente restituito ai civitellesi e a tutto l’Abruzzo un tassello importante della
propria storia.
Alessio Granchelli
Consigliere Comunale di Civitella Casanova
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Introduzione
P
ensavo di aver concluso in Penne e in Abruzzo i miei interventi sul 150°
anniversario dell’Unità d’Italia ed invece eccomi qua a parlarne ancora una volta.
Mi sono già occupato in passato, ed in altre occasioni, di Civitella Casanova,
Celiera, il Castello di Bertona, Carpineto della Nora e di altri paesi dislocati da queste
parti come Civitaquana, Brittoli etc., non solo pubblicando varie schede, articoli e
qualche monografia, ma anche tenendovi qualche conferenza su questo o tal altro
monumento storico-artistico. Proprio a Villa Celiera recentemente individuai nella
Chiesa della Madonna della Regina Coeli il gruppo artistico in terracotta della Madonna
adorante il Bambino, opera a tutti sfuggita, Soprintendenza compresa, e da me segnalata
alle autorità competenti e a quelle comunali, consigliandone anche il restauro (per altro
già eseguito), essendo opera dello scultore Troiano De Giptiii di Castel del Monte, la cui
importanza ho più volte rimarcato nel campo della Coroplastica Abruzzese del
Cinquecento.
In un primo momento avevo rifiutato di prendere parte a questo convegno, non
permettendomi i miei impegni di recarmi negli Archivi alla ricerca delle fonti ma,
rientrando il tema nel “Risorgimento Abruzzese” ed offrendosi la dott. ssa Claudia
Ficcaglia, la responsabile della locale Associazione “Parallelo Vestino”, di fornirmi i
documenti trovati nell’Archivio di Stato di Teramo e nel Comune di Civitella e in alcuni
archivi privati, non ho potuto dire di no, anche per l’amicizia e la collaborazione alla
rivista Lacerba che da anni mi lega a lei.
Prof. Candido Greco
Storico
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Fonte: Archivio di Stato di Teramo
7
Il massacro di Civitella Casanova
A
d onor del vero le fonti raccolte si presentano dimezzate perché
sul Massacro di Civitella Casanova sentirete quasi sempre la sola campana
della Comunità e delle Autorità del Distretto e ciò perché quasi tutti i
documenti dell’Autorità Militare, responsabile del “massacro”, o non stati
rinvenuti o sono stati involati in passato.
Com’è noto le Celebrazioni del 150° Anniversario hanno sollevato
entusiasmi e risentimenti in tutta Italia, a seconda che si si ano voluti
considerare le luci o le ombre del Risorgimento Italiano. Poiché le zone
d’ombra sono state ignorate fino ad una ventina di anni fa dalla Storiografia
Ufficiale, con le suddette Celebrazioni Unitarie c’è stata la rivalsa per tale
ritardo che spesso si è spinta fino a negare i valori unitari conseguiti e perfino
l’Indipendenza.
Inutile ribadire ancora una volta i vantaggi conseguiti con l’Unità e
l’Indipendenza dallo straniero, però è stato un grosso errore degli storici
ignorare per troppo tempo le inevitabili ombre del Risorgimento. È stato
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come se ad una scultura esposta le si fosse voluto togliere le ombre per
lasciarla bruciare dalla luce.
L’episodio che è tema di questa sera appartiene alle ombre del
Risorgimento. Mettendolo in discussione, si ridimensiona nel giusto rilievo la
Storia Nostra e si scopre che il Risorgimento si meritò subito degli oppositori
che il Governo Italiano bollò come briganti, trattandoli o equiparandoli ai
malfattori.
Il brigantaggio, sviluppato soprattutto nelle zone di montagna, e quindi
anche nel nostro Abruzzo, è una piaga antichissima che trova la sua prima
radice nel delitto, per il quale il reo si sottrae alla Giustizia, dandosi alla
macchia. Non è quindi una pianta portata dal Risorgimento, anche se il
Risorgimento l’alimentò con i simpatizzanti del decaduto Governo
Borbonico, con i soldati dell’esercito borbonico licenziati in tronco e coni
soldati dell’esercito garibaldino rimandati a casa senza alcuna gratifica. Tutto
questo si ebbe dopo l’incontro di Teano.
Alcuni storici qualificano l’opposizione armata al Neogoverno Italiano
come guerra civile (tra questi c’è Ercole Bonanni) e non vanno lontani dal
vero a giudicare dal numero dei morti che essa produsse dal 1861 al 1867, ma
è altrettanto vero che i Borbonici, finanziati scarsamente dal decaduto
Francesco II, si abbandonavano a rapine, a saccheggi di villaggi e comuni per
procurarsi il necessario per vivere e le armi, equiparandosi ai banditi e
provocando provvedimenti del Governo Italiano sempre più rigidi, violenti e
radicali nei loro confronti.
Già verso la metà del 1861, vale a dire a pochi mesi dalla conclamata
Unità d’Italia (17.III.1861) il brigantaggio costrinse il Governo a portare nel
Sud tantissimi soldati piemontesi, oltre 22.000 unità che già vi stanziavano,
fino a formare nel dicembre dello stesso anno un contingente di 50.000
uomini. Quell’anno nel solo Abruzzo furono uccisi 1184 briganti, tra questi i
nove di Civitella Casanova.
Il Vicegovernatore di Teramo il 21 luglio 1861 annunciava:
“è giunta già in questo Capoluogo una buona quantità di soldati Italiani ed io mi
coopererò perché si metta in giro una colonna mobile e così vedere una volta per sempre
cessato il brigantaggio”.
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Egli stesso definisce i perturbatori dell’ordine pubblico
“soldati sbandati, uniti a gente depravata [che] ora in un comune di questa
Provincia ed ora in un altro - vi arrecano - considerevoli danni colle loro ruberie”.
Egli chiede che la Guardia Nazionale adoperi ogni mezzo in suo potere
nel caso
“questa iniqua genìa… tentasse di penetrare nei rispettivi comuni”.
Vediamo, dunque, cosa succedeva da queste parti.
Nella notte dal 23 al 24 luglio 1861
“circa le ore tre una mano di persone sconosciuta ed armata di fucili hanno sorpreso
il Corpo di Guardia di Celiera e dopo aver preso tre fucili quivi esistenti hanno indotto il
Caporale di Guardia Saverio D’Andrea a chiamare il Capo-Sezione Scannella, sotto
pretesto che era desiderato dalla Guardia Mobile. Lo Scannella, preso dall’inganno, aprì la
porta e gente sconosciuta armata di fucili, falci, mietitori ed accette si precipitarono dentro
chiedendo armi e munizioni. Infatti si presero altri due fucili della Guardia, polvere, palle e
cartucce che essa teneva per provvigione pubblica e privata, di più rubarono del danaro, de’
panni, della carta e pochi monili d’oro… [al] Guarda-Boschi Violante… presero un fucile
ed una fiasca di polvere”.
Gli incursori, fattisi venire l’Arciprete Valentini, entrarono nella sua
casa, rovistandola da cima a fondo e portandogli via l’orologio e una vecchia
pistola a ripetizione. Poi trascinandosi dietro il Violante e lo Scannella,
raggiunsero
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“la comitiva brigantesca [che] era di circa quindici persone delle quali soltanto sei
erano armati di fucili e di questi quattro con baionette”.
I due vennero rilasciati non senza ricevere colpi col calcio del fucile.
In mattinata la banda fece altri assalti in sei masserie, prendendo in
ciascuna un fucile. Il Sindaco di Civitella che relazionò all’Intendente del
Distretto di Penne su quanto accaduto a Celiera, allora non ancora comune
autonomo, affermò che erano stati riconosciuti i briganti.
“Antonio Bottiglione, nativo di Castel del Monte che ha dimorato in Celiera per
molto tempo ed Antonio Berardi alias Scaralla di Carpineto, il quale dirigeva la comitiva.
Il resto di questa era vestita alla contadinesca e dal parlare potevano essere di Brittoli,
Corvara e Carpineto”.
In quella incursione non ci furono morti dall’uno e dall’altra parte, ma
non sempre andava così anche perché le leggi sull’ordine pubblico erano
severissime. Nessuno poteva girare armato, sarebbe stato passato per le armi
sul posto e senza alcun processo. Per questa severità il 24 agosto dello stesso
anno sul Piano di San Francesco di Penne trovarono la morte per fucilazione
e senza processo, in quanto trattati da banditi, sette pennesi ed altri due il 28
dello stesso mese.
Il 5 ottobre, sempre nel 1861, dopo questi precedenti, dunque, ci fu il
“Massacro” di Civitella Casanova. Già il 7 maggio in un conflitto a fuoco i
soldati avevano ucciso il brigante Santarelli Agostino di Marcantonio della
Celiera ed avevano arrestato nello stesso mese Giovan Antonio Granchelli fu
Camillo di Civitella in quanto disertore dell’esercito italiano. Sul paese gravava
fin dall’autunno del 1860 il sospetto di probabile connivenza coi banditi. La
copia di una lettera diretta al Parroco di Cerqueto di Fano Adriano, che nel
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1975 aveva chiesto - evidentemente al Parroco di Civitella che gli rispondeva
- notizie sui fucilati del citato “Massacro” di Civitella, riporta la testimonianza
tardiva di un contadino, che evidentemente riferiva cose sentite dire in
famiglia, secondo la quale pochi mesi prima dell’eccidio era sindaco del Paese
Silvio De Blasiis il quale si sarebbe dimesso
“non potendo più sostenere con viveri questi legnaiuoli (cioè i fucilati) sospettati di
brigantaggio e di sentimenti filoborbonici e non [volendo] collaborare con le forze dell’ordine
dell’epoca alla loro cattura per probabile connivenza”.
Il Parroco di Civitella accreditò la testimonianza col dire che nel 1975
vivevano ancora “alcuni lontani parenti degli uccisi” che confermavano la
sostanza di quanto riferito dal contadino suddetto, il quale sapeva anche del
contingente di soldati “venuto dall’Aquila, camandato da un Capitano, per
eseguire il rastrellamento e l’esecuzione”. Secondo lo storico Ercole Bonanni
già citato, conosciuto per una storia su San Gabriele dell’Addolorata e per il
suo libro del 1974, La guerra civile nell’Abruzzo teramano, 1860-1861, “i soldati di
un Distaccamento della 7ma Compagnia del 35mo fanteria, comandati dal
Luogotenente Rapetti, avevano arbitrariamente sconfinato dalla vicina
Provincia dell’Aquila in quella di Teramo e perlustravano (quasi a caso egli
lascia ad intendere) i boschi della montagna di Civitella. alla luce di quanto
riferito non si trattò di sconfinamento arbitrario, né di perlustrazione oziosa,
ma di un intervento mirato da parte del Governo che conosceva le zone
infette di brigantaggio: Calascio, Brittoli, Castel del Monte, Civitella, etc.,
come già ho riferito.
I fucilati, definiti dal Governo Italiano banditi, dovevano in verità essere
filoborbonici, come filoborbonico era quasi certamente il Sindaco di Civitella
Silvio De Blasiis che, secondo la testimonianza del Parroco sarebbe rimasto
in carica fino al dicembre 1860, quando pressato dal Governo ad arrestare i
suoi, non potendoli più proteggere ed aiutarli con i viveri, si sarebbe dimesso,
abbandonandoli al loro destino. Secondo il Bonanni era proprio lui a ricoprire
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quella carica all’epoca del massacro. Ignoro se questo sindaco fosse
imparentato o no con i De Blasiis di Città S. Angelo, Francesco e Domenico,
dipinti dai liberali unitari come timidi, opportunisti ed inaffidabili. Costui
morì a sessantuno anni il 9 marzo 1892. Secondo l’estensore dell’annuncio
funebre comparso sul Corriere Abruzzese si sarebbe distinto in vita per il suo
galantomismo che ne avrebbe fatto il protettore dei suoi operai, dei suoi
coloni, dei suoi dipendenti, nonché il padre affettuoso dei poveri. Però
stranamente questo necrologista dimenticò che era stato sindaco di Civitella
Casanova, il che induce a credere che ciò fu omesso perché avrebbe potuto
ricordare le sue responsabilità nel massacro.
Persero la vita in quel tragico evento Savini Serafino e Fiorindo, padre e
figlio; Tobia Gabriele, Falzano Donato, i fratelli Sablone Fiorindo e Raffaele;
i fratelli Colaiocco Serafino ed Emidio e Trugli Pietro, tutti qualificati
“contadini” nel Registro degli Atti di Morte del Comune di Civitella Casanova,
“morti in montagna il 5.10.1861 alle ore 16.00. nel Registro Parrocchiale dei Morti
della Chiesa Badiale di S. Maria delle Grazie (anni 1851-1861) si dice per
errore (e non per falso come vuole il Bonanni) che morirono “die quarta
octobris 1861” e che ognuno “in nemore igneario preremptus… in Agro
Sancto delatus, fuit sepultum” (ucciso nel bosco di legname… portato al
Camposanto, fu sepolto). In realtà i corpi ebbero una sepoltura provvisoria
sul posto nella località Bufara o Bufaretta, lì dove ancora si dice “Fossa dei
morti”. Trasportati nel Camposanto di Civitella nel mese di dicembre dello
stesso 1861, i loro nomi furono inseriti solo allora nel Registro Parrocchiale dei
Morti dall’Abate dell’epoca, il quale omise quello di Emidio Colaiocco per
motivi che ignoro.
Uccisi, duqnue, nel bosco da legname. Ma se erano contadini che ci
facevano nel bosco? Lo storico Bonanni li definisce “boscaioli”, ma è più
semplice pensare che vi fossero andati a procurarsi legna per l’inverno.
Vedremo che nei documenti saranno definiti anche “carbonai”.
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Il fatto o “massacro” fu relazionato all’Intendente di Penne dal
Capitano della Guardia Nazionale Tommaso Iandelli con rapporto datato
Castellammare 6.X.1861.
Fonte: Archivio di Stato di Teramo
Il Capitano parla di “una decina di legnaiuoli e carbonai, del cui arresto
egli era stato informato intorno alle 10 a.m. del 5 ottobre. Egli, “conoscendo
che fra gli arrestati si trovavano persone di buona condotta” (quindi non tutte
lo erano) e che per loro “si apparecchiavano misure di estrema gravità”, inviò
in tutta fretta (!?) il Guardiaboschi Dionisio Galante perché il Comandante
del Distaccamento dei soldati si accertasse della reità delle persone,
portandole in paese.
Il Guardiaboschi non fece in tempo a consegnare la missiva del
Capitano (inspiegabilmente giunse sul bosco dopo sei ore da che la notizia era
arrivata in Paese) perché i soldati erano ripartiti per Calascio. Trovò nella
“Contrada Trivella ammonticchiati nove cadaveri”. Sul conto dei fucilati il
Capitano Iandelli così si espresse: “Non c’è stato mai sospetto di brigantaggio
o d’altro cattivo affare”. Nella sua relazione riferì i fatti secondo quanto
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raccontato dai testimoni Camillo Rinaldi e Santorella Longo, presenti alla
fucilazione, e da Palmantonio Ciccarelli “ferito da una palla in una coscia”.
Essendosi udite “delle fucilate nella Contrada Bufaretta”, i disgraziati si
erano dati alla fuga, ma erano stati “circondati e presi dalla truppa”. Questa
avrebbe trovato “in quei dintorni un fucile ed una borsa con entro palle,
polvere e cartucce”. Essendo il ritrovamento un grave indizio di colpa, il
Capitano precisò:
“ignoro quest’arme e munizione a chi si appartenesse, se nella boscaglia vi fosse
nascosto qualche brigante e quali fossero le ragioni che determinassero il Luogotenente
Rapetti del 35° Reggimento Fanteria a fucilare quelle nove persone. Il certo si è che costoro
erano e furono viste armate di sole accette, sequestrate dagli stessi soldati”.
Il Capitano avvisava pure che “l’infausto avvenimento” aveva urtato lo
spirito pubblico, reputando
“innocenti quei disgraziati… ciò si sta traducendo in malumore e malcontento verso
l’attuale ordine di cose… i tristi, che non mancano mai, rinverdiscono la piaga e
commuovono lo spirito pubblico che finora è stato tutto liberale e patriottico, tanto che…
esistendo da cinque mesi un brigantaggio nelle nostre montagne, non c’è stato un solo
Civitellese che si fosse unito ai malfattori”.
Iandelli concludeva che, restando rovinate nove famiglie ed essendo
rimaste “sei vedove, fra le quali una con sette figli tutti piccini”, sarebbe stato
necessario “un sollievo caritatevole” a favore “de’ proletari che vivono sul
bosco” perché essi non salgano più alla montagna. Egli attribuì “lo spiacevole
avvenimento di ieri” al pauperismo, al quale si potrebbe ovviare con
“subitanee provvidenze, come apertura di opere pubbliche per dare pane a
tanta gente e tenerla morale col lavoro”.
Questa giustificazione dell’incidente è un’implicita ammissione di colpa.
La povertà si traduce in alcuni in ribellione contro il Governo e quindi in
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brigantaggio, qui tradotto in termini di “proletariato che sale alla montagna e
vive nel bosco”. La causa di tutto, sembra dire il Capitano, è la fame di “una
plebe senza lavoro”.
Il massacro avrebbe creato nelle Autorità Civili preoccupazione perché
da esso poteva
“partire la scintilla atta ad appiccare il fuoco ad un vasto incendio… dietro
l’universale compianto delle vittime [poteva] derivarne una recrudescenza nel brigantaggio”.
Dal Governatore della Provincia di Teramo venne creata una
commissione d’inchiesta composta da lui stesso e dal Maggiore delle Regie
Truppe per l’accertamento dei fatti sul posto. I due si sarebbero recati a
Civitella non appena il Governatore avesse ottenuto dal Governo una somma
per portare “qualche soccorso alle desolate famiglie orbate dei loro capi”,
qualificasti ora “innocenti bracciali”, e per impedire che episodi simili
potessero ripetersi perché
“andrebbero lontano dal fine che il Real Governo proponensi, di ridonare cioè la pace
e la sicurezza a queste contrade”.
Di ciò fu informato a Chieti il Luogotenente Generale Cadorna che si
vide anche prevenuto dal Governatore che annunciava di aver
“già spedito ducati cinquanta per le famiglie degli uccisi ove per avventura ne fossero
meritevoli”.
Tutto questo in data 8 ottobre e prim’ancora che si accertassero i fatti!
Si ha la sensazione che con la scusa di prevenire disordini si volesse tappare la
bocca ai parenti delle vittime, sia che si volesse nascondere l’eventuale errore
delle truppe, sia che essi potessero rivelare eventuali complicità in Paese. I
ducati del governo chiaramente davano il senso di una riparazione e ciò prima
ancora dell’accertamento dell’innocenza dei fucilati! Il giorno 9 i ducati erano
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già pronti e subito furono ripartiti e distribuiti il 10 dal Forti in
rappresentanza dell’Intendente, con l’invito ai parenti delle vittime “a
rassegnarsi alla perdita sofferta, rassicurandoli che il Governo del Re non
avrebbe mancato di mandar loro la dovuta giustizia”. Ancora una volta le
Autorità militari sembrano essere sotto accusa.
I ducati vennero così ripartiti. Alla moglie del Trugli coi sette figli tutti
piccini, ducati 10,60; alle mogli di Savino Serafini e di Savino Florindo, ducati
5,00 ciascuna; alla moglie di Sablone Florindo coi due figli, ducati 5,00; alla
moglie di Sablone Raffaele con un figlio, ducati 5,00; alla moglie di Colaiocco
Serafino ducati 5,00; ai parenti del celibe Colaiocco Emiddio ducati 4,80; e
così pure ai parenti degli altri celibi Tobia Gabriele e Falzano Donato, ducati
4,80 per parte.
Fonte: Archivio di Stato di Teramo
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Prescindendo da ogni commento sull’insolito sussidio e sulla sua
ripartizione, l’operazione conclusa dal Forti per parte dell’Intendente avrebbe
avuto questo risultato, secondo le sue parole:
“il Paese rimase soddisfatto delle cure spiegate dal Governo a pro’ di quella gente
veramente povera ed infelice, per modo che la pubblica tranquillità non ne sarà
menomamente compromessa”.
La carità, dunque, era stata pelosa, avendo avuto un secondo fine che
poi si era rivelato primario: la conservazione dell’ordine in Paese!
Con la distribuzione del sussidio ci fu anche l’inchiesta del Governo
fatta dall’Intendente di Penne per conto del Governatore di Teramo, al quale
egli così relazionò:
“Posso assicurarla che tanto le Autorità, quanto i Cittadini mi hanno
concordemente ragguagliato che i suddetti nove individui erano degli onesti bracciali che
vivevano del loro mestiere di Carbonai e che il Comune di Civitella Casanova non aveva
dato alcun contingente alle masse brigantesche. Dai medesimi venni assicurato che il
distaccamento dei soldati… effettivamente s’incontrò con un piccolo numero di briganti i
quali sul far del giorno stavano appiattiti sotto una rupe esposta al sole onde asciugare le
loro mante. Uno di essi, per meglio raggiungere l’intento, si era portato presso il fuoco di
una carbonaia [c’è da chiedersi perché uno solo di essi], ed ivi aveva depositato il suo fucile e
le sue munizioni. Imbattutosi il distaccamento col suddetto gruppo di briganti, costoro si
diedero alla fuga ed inseguiti da soldati che facevano fuoco addosso si sperderono in mezzo
alle rocce ed alla boscaglia. I soldati nell’inseguire i fuggiaschi passarono sventuratamente
vicino alle carbonaie dove erano diversi lavoratori. Costoro nel veder fuggire il brigante che
ivi si era recato, vedendo i soldati che minacciosi si dirigevano alla loro volta, presi da
timore panico, si misero a fuggire [come mai non erano fuggiti al primo rumore degli spari,
a maggior ragione che avevano con loro un brigante?], diriggendosi verso il loro paese. I
soldati, credendo che si fossero quelli stessi da loro inseguiti, corsero loro addosso e, circuitili,
li arrestarono, dopo aver ucciso due di essi… Giunse dopo alcune ore l’Ufficiale
Comandante il Distaccamento… il quale dopo aver registrato i loro nomi ordinò che
venissero fucilati. Dalle informazioni assunte si rileva che i suddetti nove cadaveri furono
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trovati tutti uniti, la quale cosa esclude l’idea della resistenza e del combattimento. Essi
furono invece fucilati a bruciapelo e di fronte,… perocchè… erano tutti seduti per terra in
fila circondati dai soldati. A comprova di ciò Le accludo il verbale delle deposizioni di due
testimoni che presenziarono al fatto, e che furono risparmiati dal massacro perché non averli
trovati sopra luogo”.
Fonte: Archivio di Stato di Teramo
Il rapporto è una mezza ammissione di colpevolezza dei fucilati. I
banditi c’erano davvero e sarebbero stati poco distanti dalla carbonaia;
incredibilmente solo uno di essi, dopo aver tutti passato una notte
all’addiaccio, sente il bisogno di asciugarsi al fuoco! I soldati s’imbattono in
loro, sparano loro addosso e quelli fuggono, ma non i carbonai con il loro
ospite pericoloso che fanno altrettanto solo quando banditi e soldati
giungono alla loro carbonaia e lì i soldati fanno l’errore di scambiarli. Tutto
sembra inverosimile!
Le giustificazioni addotte dalle autorità civili che apertamente parlano di
errore di scambio e la intempestiva distribuzione riparatrice dei ducati da
parte del Governo preoccupò il Generale Cadorna che il 12 ottobre telegrafò
al Generale Comandante la Brigata Modena perché agli organi competenti
civili venisse raccomandato di
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“non percepire i giudizi che fa d’uopo di molto accorgimento, mentre con ogni studio
deve cercarsi di mantenere l’accordo del Potere Militare col Civile”.
Non mi sono stati dati documenti per conoscere in modo
particolareggiato la versione dei soldati sui fatti. Forse non sono stati trovati o
non esistono più. Ma ne ho uno che è datato 12 ottobre 1861. Proviene da
Chieti ed è indirizzato al Generale Longoni di Teramo. Ha la forma di un
telegramma:
“Commissione d’inchiesta d’Aquila, composta Colonnello 35.mo, Uffiziali
Carabinieri, Delegato P. Sicurezza, recatasi Civitella Casanova, riconobbe falso rapporto
Iandelli. Tutti briganti, parte armati di fucili, parte a piè. Due erano servitori Sindaco.
Buon’effetto popolazione… Governatore”.
Il telegramma è una bomba. Il brigantaggio a Civitella era fin dentro il
Comune o la casa del Sindaco! Forse non era stato nominato il nuovo sindaco
e ci si riferiva al dimissionario Silvio De Blasiis. Ercole Bonanni dice che
all’epoca del massacro il sindaco era proprio il De Blasiis perché “diede
l’incarico al servente comunale Luigi Di Blasio di seppellire i boscaioli sul
posto”.
Chiunque fosse sindaco all’epoca, da queste poche informazioni di
parte militare, per altro inequivocaboli, si recitò in Paese una lugubre farsa,
sfruttando il tema della povertà delle nostre popolazioni. Inoltre la terribile
punizione aveva avuto buon effetto sulla popolazione, si fa per dire, perché
non era stata controproducente, come s’era voluto prospettare!
Ho avuto anche le deposizioni dei due testimoni presenti all’eccidio. Le
loro versioni dei fatti, rilasciate a Penne in data 10 ottobre, hanno delle
divergenze non lievi dal Rapporto Iandelli e da quello governativo
dell’Intendente di Teramo.
I due testimoni non accennano minimamente alla presenza di banditi.
Secondo Camillo Rinaldi, l’incontro con i soldati sarebbe avvenuto intorno
alle 15.00 (non quindi in mattinata, prima delle ore 10.00). I nove paesani si
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sarebbero dati alla fuga al primo colpo di fucile e la fucilazione sarebbe
avvenuta tre ore dopo (intorno alle ore 18.00). Le vittime ricevettero anche
colpi di grazia. Trovatosi al centro della sparatoria, egli non fuggì, ma si
sarebbe gettato a terra per non essere colpito. Non era carbonaio, e avrebbe
inteso dai soldati che l’avrebbero risparmiato perché non era sporco di
carbone. La Longo, l’atra testimone, si sarebbe salvata perché aveva detto ai
soldati che era ben conosciuta dal Capitano Iandelli della Guardia Nazionale.
La Longo quel giorno era al bosco con Donato Falzano, il cugino
Pasquale Longo ed era “a guardia di una carboniera”. Intese i colpi di fucile e
vide fuggire vari legnaiuoli, ai quali si unì il Falzano, mentre il cugino si
nascose in una siepe. I soldati ne ammazzarono due ed arrestarono altri sette,
che con lei furono otto. La teste non dice a che ora avvenne ciò, ma precisa
che circa tre ore dopo ci fu la fucilazione.
C’è un particolare che coinvolge un altro paesano Carmine Antonio
Ciciarelli. La teste prima di salire in montagna l’aveva visto tornare da questa
al Paese, zoppicando, essendo stato ferito ad una coscia da una palla. Prima
del gruppo dei nove i soldati, dunque, avevano intercettato costui e gli
avevano sparato, essendosi dato alla fuga. Perché si tacque sul conto di costui
che si era salvato? Vi sono elementi nelle due deposizioni che, contrastando
con le relazioni ufficiali, fanno supporre lo zampino della politica!
I briganti di Civitella erano filoborbonici, se non proprio borbonici
camuffati da liberali. Erano anche banditi, cioè malfattori, nel senso che
s’erano macchiati di qualche delitto? Non so e non credo. Non ne ho le
prove.
Sotto il profilo governativo è gravissima la copertura della Autorità
Civili, resasi evidente nel corso di tutta la vicenda, il che è alla fine la riprova
di quanto i liberali di provenienza repubblicana avevano denunziato in
Abruzzo all’epoca in cui Vittorio Emanuele II era entrato nell’ex regno
borbonico. Erano stati premiati personaggi poco poco affidabili, che erano
stati messi o lasciati in posti di governo, personaggi che nulla avevano avuto a
che fare con la liberazione del Sud, i quali erano causa di tutti i focolai di
ribellione che si verificarono nel Sud dell’Italia.
Era stata compromessa la figura del Sindaco che era in carica ed era
presumibilmente il De Blasiis? Neanche per sogno! Il 13 novembre 1861, vale
a dire a poco più di un mese dagli eventi narrati, il Forti che aveva sempre
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parlato per conto della Intendenza di Penne, ora per conto dello stesso
ufficio trasformato in Sottoprefettura scrisse al Sindaco di Civitella, credo il
De Blasiis, a riguardo del brigantaggio provinciale: “Molti comuni di questo
Circondario [cioè Penne] ànno dato il loro contingente alle masse
brigantesche le quali hanno devoluto [!] la nostra Provincia [Pennese]!” Nel
manifestare la volontà ferma di disperdere “perfino l’ultime tracce” loro, lo
invitò a prendere nota delle persone sospette che con l’avvicinarsi della rigida
stagione invernale probabilmente sarebbero tornate alla spicciolata nel paese,
lasciando provvisoriamente i monti ed i boschi divenuti inospitali perché
coperti da abbondanti nevi. Poi aggiunse:
“La sua probità, il suo specchiato zelo e patriottismo che le hanno meritato la
fiducia del Governo e dei suoi concittadini mi fanno sicuro di vedermi secondato in questo
importantissimo oggetto, perlocchè Ella ne avvantaggerà di considerazione e verso il
Governo e verso la patria comune”.
Da come ne parlava il Forti s’intuisce che il sindaco era il De Blasiis.
Inoltre il Forti sapeva che i militari avevano scoperto che due banditi erano
stati al suo servizio! Per tutti aveva forse pagato amministrativamente Penne!
Il “Massacro di Civitella” fu certamente una pagina brutta del
Risorgimento Italiano, non solo per la morte dei nove civitellesi, ma perché
rivela chiaramente l’ipocrisia dei rapporti tra il potere militare ed il potere
politico-civile che sembra propendere per la vecchia classe dirigente
borbonica. Dopo l’errore commesso da Cavour che neutralizzò tutti gli
Unionisti, compreso Garibaldi, cioè coloro che avevano liberato il Sud
portando all’Unità del Paese, nel Meridione si credette che si potesse tornare
indietro. Civitella del Tronto fu riempita di Borboni dai liberali cosiddetti
moderati in attesa della maturazione degli eventi. La sua caduta a marzo 1861
non dissuase i filoborbonici che continuarono a sperare alimentando il
brigantaggio e determinando l’inasprimento delle leggi del neonato Governo
Italiano per il ristabilimento dell’ordine pubblico.
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In foto un momento del Convegno
“IL MASSACRO DI CIVITELLA CASANOVA”
organizzato dall’Associazione Culturale Parallelo Vestino,
svoltosi a Civitella Casanova il 4 novembre 2011,
nel 150° dell’unificazione nazionale.
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Fonti:
Archivio di Stato di Teramo
Archivio Storico del Comune di Civitella Casanova
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Realizzazione grafica a cura di
Davide Di Giovanni
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