...

Lega di Alluminio 6056(2000) - Università degli Studi di Trento

by user

on
Category: Documents
41

views

Report

Comments

Transcript

Lega di Alluminio 6056(2000) - Università degli Studi di Trento
Università degli Studi di Trento
Facoltà di Ingegneria
Corso di Laurea in Ingegneria dei Materiali
Corso di
Metallurgia dei Metalli non Ferrosi
prof. D. Colombo
Caratterizzazione
di una Lega Al6056
Trattata Criogenicamente
Stefano Bonafini
Vito Cornacchia
Andrea Fabbri
Loredana Fontanari
Massimo Giovanazzi
Emanuele Magalini
Luca Pellanda
1510IM
1700IM
1737IM
1523IM
1694IM
1807IM
1780IM
Indice
•
1 Introduzione alle leghe di alluminio
- 1.1 Classificazione delle leghe commerciali di alluminio
- 1.2 Le leghe 6XXX: il sistema Alluminio-Magnesio-Silicio
- 1.2.1 Costituzione della lega, proprietá e metallurgia fisica
- 1.2.2 Microstruttura
- 1.3 Trattamenti termici e precipitation hardening
- 1.3.1 I trattamenti termici e loro nomenclatura
- 1.3.2 Precipitation hardening
- 1.3.3 Natura dei precipitati e sorgente dell’indurimento nelle leghe Al-Mg-Si
- 1.3.4 Aging artificiale
- 1.3.5 Effetti dell’invecchiamento artificiale
- 1.4 Effetti degli elementi in lega sulle proprietà
- 1.4.1 Magnesium Silicide (Siliciuro di Magnesio Mg2Si)
- 1.4.2 Silicio (Si)
- 1.5 Le leghe 6XXX commerciali
•
2 Trattamento criogenico (Cryogenic Treatment CT)
- 2.1 Tecnologia
- 2.2 Cambiamenti microstrutturali nelle leghe di alluminio
- 2.3 Obiettivi per il futuro
- 2.4 Benefici del CT
- 2.5 Usura (Wear)
- 2.6 Guadagni vita utile (Abrasive Wear resistence RW)
- 2.7 Materiali trattati
- 2.8 Esempi di utilizzo
- 2.8.1 Utensili di vario tipo
- 2.8.2 Strumenti musicali
•
3 Metodi di analisi
- 3.1 Durezza Brinell
- 3.2 Microscopia Elettronica
- 3.2.1 Introduzione
- 3.2.2 Descrizione del microscopio elettronico
- 3.2.3 Interazioni con la massa
- 3.2.4 Interazioni del campione sottile
- 3.2.5 Focalizzazione del fascio
- 3.2.6 Principio di funzionamento
- 3.2.7 TEM in cristallografia
- 3.2.8 Preparazione del provino
- 3.2.9 Assottigliamento meccanico
- 3.2.10 Assottigliamento elettrochimico
•
4 Parte sperimentale
- 4.1 Trattamento termico
- 4.2 Misurazione della durezza
- 4.3 DSC
- 4.4 Analisi microstrutturale
- 4.5 TEM
•
5 Risultati
- 5.1 Curva di durezza
- 5.2 DSC
- 5.3 TEM
- 5.4 Microstruttura
•
6 Commenti e conclusioni
•
Bibliografia
1 Introduzione alle leghe di alluminio
1.1 Classificazione delle leghe commerciali di alluminio.
Sotto la guida dell’Aluminum Association (AA) è stato adottato un sistema a quattro
cifre per la designazione delle leghe di alluminio lavorabile. La prima di queste cifre
nella designazione indica il gruppo della lega come segue:
Designazione
Principali elementi in lega
1XXX ……………………... Nessuno (a)
2XXX ……………………... Cu
3XXX ……………………... Mn
4XXX ……………………... Si
5XXX ……………………... Mg
6XXX ……………………... Mg e Si
7XXX ……………………... Zn
8XXX ……………………... Altri
9XXX ……………………... Non usati
(a) 99.00% minimo di alluminio
Nel gruppo 1xxx le ultime due cifre indicano la minima percentuale in eccesso di
alluminio oltre al 99.00%. Dal gruppo 2xxx al 8xxx le ultime due cifre non hanno un
particolare significato, eccetto identificare ulteriori differenze di lega nello stesso
gruppo. La seconda cifra nella designazione indica modificazioni di lega (“Alluminum
Standards and Data”, AA, Washington, DC, Marzo 1978 -Metric SI-).
Si possono adottare altre due basi di classificazione per le leghe commerciali: leghe non
trattabili termicamente e trattabili termicamente.
Le leghe non trattabili termicamente includono tutti i tipi di alluminio puro e quelle
leghe che sono caratterizzate da indurimento per soluzione e a fatica dopo annealing. Le
loro proprietà dipendono dagli elementi presenti in soluzione come impurità. Tali
elementi sono cromo, magnesio, ferro, manganese, silicio e zinco, in minor quantità
rame. Tali leghe sono le 1XXX, 3XXX, 4XXX e 5XXX, in alcuni casi anche le 7XXX
e le 8XXX.
Le leghe trattabili termicamente contengono uno o più elementi come rame,
magnesio,, silicio e zinco che sono molto solubili in alluminio ad alte temperature e
molto poco a temperatura ambiente. Manganese, cromo, o zirconio possono essere
aggiunti per anticipare o ritardare la ricristallizzazione. Leghe trattabili termicamente
sono generalmente trovate nelle serie 2XXX, 6XXX e 7XXX, raramente anche nelle
4XXX e nelle 5XXX.
I prodotti sono venduti in una varietà di condizioni, o tempre, che ne determinano
resistenza (strenght) e altre caratteristiche.
1.2
Le leghe 6XXX: il sistema Alluminio-Magnesio-Silicio:
1.2.1 Costituzione della lega, proprietà e metallurgia fisica
Il sistema Al-Mg-Si è la base della maggior parte delle leghe di alluminio trattabili
termicamente sia nel caso di prodotti lavorati che colati. Queste leghe combinano molte
caratteristiche favorevoli, inclusa una moderatamente alta resistenza meccanica
(strenght), una relativamente bassa sensibilità alla tempra e una buona resistenza alla
corrosione.
Il diagramma di fase di equilibrio è relativamente semplice e ben definito. Il sistema è
pseudobinario Al-Mg2Si con un rapporto Mg/Si pari a 1.73 ponderale. L’eutettico
pseudobinario orizzontale è a 595°C . La composizione del liquido eutettico è 8.15%wt
di Mg e 4.75%wt di Si, in equilibrio con una soluzione di alluminio solido contenente
1.13 wt% di magnesio e 0.67 wt% di silicio ( ca 1.85 wt% Mg2Si). Dividendo il sistema
lungo questa linea si possono considerare due semplici sistemi ternari eutettici: AlMg2Al3-Mg2Si a 450°C e Al-Si-Mg2Si a 555°C. La solubilità di Mg2Si in alluminio
solido è leggermente ridotta da un eccesso di silicio più che di magnesio. Le leghe
commerciali lavorate variano da una composizione di alluminio con circa 0.6 wt%
Mg2Si a 1.5 wt% Mg2Si con una leggera variazione dell’eccesso di silicio o magnesio.
1.2.2 Microstruttura
Le leghe 6XXX sono formulate per sfruttare la solubilità di Mg2Si e utilizzare quindi il
precipitation hardening. Se non sono presenti manganese e cromo si formano fasi con
ferro: Fe3SiAl12, Fe2Si2Al9 o una mistura delle due a seconda delle percentuali degli
elementi presenti. Manganese e cromo sono stabilizzanti (Fe,Cr,Mn)3SiAl12. In leghe
colate diluite come la 6063, trattamenti termici a temperature moderate solubilizzano
tutto il Mg2Si. Sistemi più legati come 6061 generalmente presentano un eccesso di
Mg2Si alla temperatura di solubilizzazione e, se raffreddate lentamente, precipitati nella
forma di Widmaenstatten.
Generalmente i trattamenti termici non differiscono molto nella microstruttura e si ha
bisogno di attacchi acidi particolari per distinguere le differenti precipitazioni. In alcune
leghe 6xxx si effettuano precipitazioni di invecchiamento che si collocano in una chiara
banda lungo il bordo grano che è un sito di ”libera precipitazionie”.
1.3
Trattamenti termici e Precipitation hardening
1.3.1 I trattamenti termici e loro nomenclatura
La Alluminum Association (AA) ha definito le seguenti categorie di trattamenti termici:
F : “come fabbricato”, applicata a prodotti rifiniti in condizioni non controllate
termicamente e meccanicamente.
O : ricotto, applicato a prodotti da lavorazione si può adattare a tempre con bassa
durezza, per prodotti da colata per dare stabilità dimensionale e duttilità.
W : trattamento di solubilizzazione. Una tempra instabile applicabile solo a tempre che
invecchiano
naturalmente.
Questa
sigla
è
accompagnata
dal
tempo
di
invecchiamento (W ½ h).
T : trattamento termico oltre ad F o O per produrre una tempra stabile; consente un
successivo trattamento di strain ageing.
La tempra T è seguita da altre cifre. Può infatti servire un periodo di attesa a T amb
prima di effettuare il trattamento termico.
T1: raffreddato da temperature elevate di formatura e invecchiato naturalmente a
condizioni sostanzialmente stabili.
T2: raffreddato da temperature elevate di formatura, lavorato a freddo e invecchiato
naturalmente a condizioni sostanzialmente stabili.
T3: solubilizzato, lavorato a freddo e invecchiato naturalmente a condizioni
sostanzialmente stabili.
T4: solubilizzato e invecchiato naturalmente a condizioni sostanzialmente stabili.
T5: raffreddato da temperature elevate di formatura e invecchiato artificialmente.
T6: solubilizzato e invecchiato artificialmente.
T7: solubilizzato e stabilizzato.
T8: solubilizzato, lavorato a freddo e invecchiato artificialmente.
T9: solubilizzato, invecchiato artificialmente e poi lavorato a freddo.
T10: raffreddato da temperature elevate di formatura, lavorato a freddo e invecchiato
artificialmente.
Ulteriori specifiche sono date applicando altre cifre alla sigla del trattamento.
Alcune serie 6XXX raggiungono le specifiche meccaniche desiderate se il trattamento
di solubilizzazione e tempra sono eseguiti in modo tale da bloccare effettivamente i
sostituenti in soluzione.
•
L’indurimento può essere ritardato o soppresso indefinitamente abbassando la
temperatura.
•
La velocità di indurimento e seguente softening cresce al crescere della temperatura.
•
Il massimo delle proprietà meccaniche decresce a crescere della temperatura.
• A temperature sufficientemente elevate non è osservato indurimento, e la
precipitazione causa un iniziale e continuo softening.
1.3.2 Precipitation hardening
I trattamenti termici normalmente usati producono una densità molto elevata di
precipitati fini GP, che interagiscono fortemente con le dislocazioni, procurando un
aumento notevole del punto di snervamento. Un tipico trattamento termico per queste
leghe consiste in una iniziale solubilizzazione che dissolve particolari elementi legati.
Segue una tempra che serve a trattenere una quantità elevata di soluto, così da procurare
una soluzione sovrassatura: in queste condizioni si può procedere con un
invecchiamento per ottenere le proprietà desiderate.
Durante la tempra (quenching) le dislocazioni e i precipitati possono evolvere. Le
dislocazioni generalmente appaiono ad elica, in loop e aggrovigliate, come risultato
degli stress di tempra e della condensazione dell’eccesso di vacanze. La densità delle
dislocazioni dipende dalla temperatura del trattamento di solubilizzazione, dal livello
degli elementi in soluzione e da come questi fattori influenzano la concentrazione di
vacanze.
Anche la velocità di raffreddamento è importante perché determina le temperature e i
tempi durante i quali le dislocazioni sono mobili. Idealmente il massimo
dell’indurimento per invecchiamento si otterrebbe se tutti gli elementi dissolti fossero
ritenuti in soluzione. Questo può essere ottenuto con un raffreddamento molto rapido,
ma in molte situazioni industriali ciò non è possibile.
La precipitazione avviene preferibilmente sui bordi grano dove ci sono molti siti di
nucleazione eterogenea, legati alla disorientazione del bordo grano stesso. Ale
fenomeno può avvenire anche in prossimità delle dislocazioni, in particolar modo di
quelle a vite. La presenza di particelle disperse influisce sulla precipitazione nella
tempra, queste costituiscono siti di nucleazione eterogenea. Particolarmente efficaci
sono dispersioni di manganese e di cromo, mentre particelle coerenti di ZrAl3 sono siti
di nucleazione meno attivi.
1.3.3 Natura dei precipitati e sorgente dell’indurimento nelle leghe
Al-Mg-Si
Un apprezzabile indurimento si nota già dopo un lungo periodo a temperatura ambiente;
questo indurimento è causato da zone di precipitati non ben determinate nello stato di
invecchiamento naturale.
Brevi periodi di invecchiamento a temperature superiori ai 200°C producono precipitati
molto fini e dispersi, di forma allungata lungo la direzione cristallografica <001> della
matrice. Tali zone sono approssimativamente di 6nm di diametro e tra i 20nm e 100nm
di lunghezza. Altre analisi indicano che i precipitati sono inizialmente di forma sferica e
si convertono a forma di bastoncello in prossimità del massimo della curva di
indurimento per invecchiamento.
La struttura a bastoncello che si genera è una struttura cristallina ad elevato ordine di
Mg2Si. A temperature più elevate questa fase (θ’) decorre senza diffusione in Mg2Si
(θ). In entrambe le situazioni non è stata trovata corrispondenza diretta tra le proprietà
meccaniche e gli stadi di precipitazione. È stato ipotizzato che la crescita di resistenza al
moto delle dislocazioni sia accompagnata dalla presenza di queste strutture, che
crescendo aumentano l’energia richiesta per rompere i legami Mg-Si, impedendo alle
dislocazioni di passare oltre.
Particelle di silicio si sono trovate a bordo grano in fasi molto avanzate di
invecchiamento per leghe con eccesso di silicio rispetto alle proporzioni per Mg2Si.
Di norma la sequenza di precipitazione è la seguente:
soluzione solida sovrassatura → embrioni semicoerenti θ’’ nelle direzioni <001>
dell’alluminio → nuclei semicoerenti θ’ (Hex) nei piani <001> dell’alluminio → nuclei
semicoerenti θ (Fcc) nei piani <001> dell’alluminio → precipitati θ Mg2Si non coerenti.
È ipotizzabile che la fase θ’’ abbia la stessa struttura della θ’ Mg2Si, anche se si osserva
la presenza di un 20% di Al.
SS → GP (θ
θ’’) → θ’ (Mg2Si) → θ (Mg2Si)
1.3.4 Aging artificiale
Durante l’invecchiamento i precipitati aumentano e la resistenza meccanica del
materiale aumenta al crescere del numero e della dimensione dei precipitati.
Eventualmente la resistenza arriva ad un massimo, ed un successivo invecchiamento
produce coalescenza dei precipitati con conseguente diminuzione delle caratteristiche
meccaniche.
Nel caso delle leghe 6XXX un livello molto basso di precipitati produce una veloce
progressione dell’invecchiamento e nucleazione e crescita di bastoncelli di Mg2Si.
Molte leghe presentano variazioni nelle proprietà anche a temperatura ambiente dopo la
tempra. Questo fenomeno si chiama “Invecchiamento Naturale” e può iniziare subito
dopo la tempra o dopo un periodo di incubazione (uno o più giorni). Si può accelerare la
precipitazione mutando le proprietà meccaniche riscaldando queste leghe oltre la
temperatura ambiente. Questa operazione è chiamata “Invecchiamento Artificiale”. Le
leghe che presentano scarso invecchiamento naturale devono essere invecchiate
artificialmente per ottenere i migliori risultati nelle proprietà meccaniche delle quali il
materiale è capace.
In certe leghe si possono ottenere considerevoli aumenti di tenacia lavorando a freddo il
materiale subito dopo la tempra. Migliori risultati si possono ottenere con un
trattamento termico dopo la lavorazione a freddo.
1.3.5 Effetti dell’invecchiamento artificiale
L’effetto delle precipitazioni sulle proprietà meccaniche è favorevolmente accentuato se
il materiale viene ulteriormente trattato ad una temperatura tra i 95°C e 200°C. Gli
effetti non sono solo attribuibili alle diverse velocità alle quali avvengono le reazioni,
ma anche a diversi cambiamenti strutturali.
Ad esempio aumenta di più il limite di snervamento che il limite di rottura, la durezza e
la duttilità calano. Così una lega a tempra T6 è più dura, ma meno duttile di una T4.
L’overaging fa calare sia il punto di snervamento che di rottura, ma la duttilità non varia
proporzionalmente. L’overaging d’altra parte può influire positivamente su altri fattori.
In alcuni casi sono migliorate le proprietà a “corrosion stress” grazie ad una maggior
stabilità dimensionale creata appunto nell’overaging.
Le curve di indurimento(isoterme) per precipitazione da invecchiamento mostrano, per
le leghe commerciali, diversi periodi di invecchiamento per ottenere le migliori
prestazioni a seconda della temperatura, della lega e del trattamento termico.
In queste curve si nota, infatti, una iniziale perdita di resistenza legata alla parziale
ridistribuzione dei precipitati induriti precedentemente, poi un indurimento legato ad
una precipitazione successiva.
Trattamenti termici industriali delle leghe commerciali sono raccomandati sulle leghe
T6, permettendo compromessi di durezze ottimali e operazioni economiche, ad esempio
da 8 a 12h a 170°C per le 2XXX e da 6 a 10h a 175°C per le 6XXX a seconda della
forma del prodotto. Le leghe 6XXX sono sviluppate anche per ottenere un massimo di
risposta all’invecchiamento nel range di temperatura di pittura con asciugatura a caldo.
1.4
Effetti degli elementi in lega sulle proprietà
1.4.1 Magnesium Silicide (Siliciuro di Magnesio Mg 2 Si)
Le leghe a base di Al-Mg-Si possono essere divise in 3 gruppi:
•
Quelle per cui il totale tra Mg o Si non supera 1.5%. Questi sono tra loro in
proporzione o con leggero eccesso di Si. Tipicamente le 6063 usate per sezioni
estruse di uso architettonico. Sono facilmente estrudibili, subiscono una
solubilizzazione a 500°C e hanno buona sensibilità al raffreddamento, tanto che non
necessitano
di
solubilizzazione
separata,
ma
possono essere invecchiate
artificialmente raffreddandole in aria ottenendo moderata durezza, buona duttilità e
ottima resistenza a corrosione.
•
Nominalmente contengono 1,5% o più di Mg-Si e altre aggiunte (Cu 0,3%) che ne
accrescono la resistenza nel trattamento T6. Sono usati elementi come Mn,Zr,Cr per
contrllare la struttura del grano. Tipiche di questo gruppo sono la 6061, con
resistenza anche di 70MPa in più del primo gruppo. Hanno bisogno di un tempo di
solubizzazione più alto delle precedenti. Per questa ragione richiedono un
trattamento di invecchiamento separato.
•
Contiene Mg2Si che si sovrappone ai precedenti ma con un eccesso di Si
sostanziale. Un eccesso di Mg diminuisce la solubilità di Mg2Si. Un eccesso di
segregazione di Si a bordo grano provoca rottura degli stessi nella fase di
ricristallizzazione. Mn,Zr,Cr minimizzano l’effetto del Si anticipando la
ricristallizzazione durante i trattamenti termici. Comuni leghe di questo gruppo sono
le 6051,6009,6010.
1.4.2 Silicio (Si)
Dopo il ferro è l’impurità più presente nell’alluminio elettrolitico commerciale
(0,01-0,15%). Viene introdotto nelle leghe 6XXX per generare precipitati di Mg2Si.
Aggiunte di Si riducono la tendenza a rottura, aggiunte di Mg con Si rendono le leghe
Al trattabili termicamente, ma un eccesso di Mg riduce la solubilità di Mg2Si. Oltre il
12% di Si è introdotto in leghe usate come CLADDING per fogli da saldatura, leghe
contenenti il 5% di Si danno una colorazione nera e sono usate per funzioni
ornamentali.
1.5
Le leghe 6XXX commerciali
La seie 6XXX contiene aggiunte di Mg e Si, che durante il trattamento termico portano
alla formazione di precipitati Mg2Si, migliorando le caratteristiche meccaniche della
nostra struttura. I precipitati di Mg2Si possono essere presenti secondo il rapporto
nominale o ci può essere Si in eccesso.
L’eccesso di Si fornisce un apprezzabile aumento di resistenza meccanica a scapito di
un peggioramento nella resistenza a corrosione. Molte leghe di questa classe
contengono percentuali di Mn e Cr, capaci di migliorare le proprietà meccaniche e di
controllare la struttura del grano.
L’aggiunta di Cu può contribuire a migliorare la resistenza della struttura. La prima di
queste leghe venne introdotta negli Stati Uniti nel 1920 e conteneva un eccesso di Si
rispetto al normale rapporto Mg2Si.
Una modificazione, presente nella lega 6151, contiene aggiunte di Cr per controllare la
grana cristallina durante la sua produzione e per aumentarne la resistenza.
Una lega simile è la 6351 che contiene manganese al posto del cromo. Nel 1930 toccò
alla lega 6053 che conteneva il 2% di Mg2Si e 0,25% di Cr, seguita subito dopo dalla
6061 composta dal 1,5% di Mg2Si,dal 0,25% di Cu e dal 0,25 di Cr. Rapidamente
queste strutture presero il posto della vecchia lega Al-Si-Mg. La maggior resistenza
meccanica è stata raggiunta in questa classe con le leghe 6066 e 6070.
Alcune leghe della serie 6XXX vengono usate per applicazioni decorative. Basso
contenuto di impurezze, in particolare del ferro, migliorano le proprietà di brillantezza.
Altre leghe sono usate per la macinazione,la 6262 e soprattutto la 6061 con l’aggiunta
del 0,5% di Pb e Bi. Le leghe 6009 e 6010 sono state recentemente introdotte per
produrre lamiere.
La lega 6056 utilizzata in questa esperienza, prodotta dalla Pechiney-Rhénalu viene
utilizzata per profilati, cioè prodotti estrusi aventi sezione costante, di forma idonea a
soddisfare o integrare più funzioni.
Inoltre la 6056 T6 presenta le più alte caratteristiche meccaniche di tutta la serie:
Rm= 450-470MPa.
Viene usata anche come rinforzo nelle portiere delle automobili.
Composizione della lega 6056:
•
Si
0.7-1.3%
•
Mg
0.6-1.2%
•
Fe
0.50%
•
Cu
0.5-1.2%
•
Mn
0.4-1.0%
•
Cr
0.25%
•
Zn
0.1-0.7%
•
Zr + Ti
0.2% max
•
il resto Al
2 Trattamento Criogenico (Cryogenic Treatment CT)
Il trattamento criogenico costituisce un moderno processo tecnologico utilizzato per migliorare
proprietà di una vasta gamma di materiali, dai metalli ai polimeri. In ogni caso non può
considerarsi una sostituzione dei tradizionali trattamenti termici ma piuttosto un complemento, i cui
principi rimangono tuttora un mistero: non sempre fornisce i risultati aspettati, e comunque non
in modo prevedibile contrapponendosi pertanto alla scienza del trattamento termico,ben conosciuta
e compresa.
2.1 Tecnologia
CT si può descrivere in modo semplificato come portare e mantenere per un certo lasso di tempo
(tipicamente 48-60 ore) un componente a temperature prossime allo zero assoluto. E’ realizzato
prima del processo di invecchiamento, anche se la speranza è quella di portarlo a fine trattamento
termico (TT), su componente finito, onde evitare inutili spese di trasporto. Infatti CT e TT sono in
genere realizzati da industrie differenti.
Si parla di “Controlled Freeze Tempering Process” in quanto il materiale da trattare non è
esposto direttamente al liquido refrigerante, ma portato a tali temperature seguendo precisi equilibri
di temperatura in funzione del tempo, onde evitare shock termici. Tutto il processo viene controllato
via personal computer sia in fase di discesa, che di risalita verso temperatura ambiente. A tutt’oggi
il processo non controllato risulta essere sostenuto dai soli scienziati dell’ex URSS, con non chiari
risultati e capacità predittiva.
In ogni caso il processo deve considerarsi come one-time permanent treatment: cioè una volta
realizzato, i suoi effetti rimangono indelebili.
2.2
Cambiamenti microstrutturali nelle leghe di alluminio
Risulta difficoltoso trovare in letteratura esempi e studi riguardo questa tipologia di leghe.
Fino ad oggi tutti gli forzi si sono concentrati sugli acciai per utensili ed ingranaggi, in cui la vita
utile risulta essere questione di primaria importanza.
Secondo il prof. Stefano Gialanella, dell’Università di Trento, si osservano migliorie nel
comportamento ad usura ed a vita utile, questo grazie ad una fine ed omogenea precipitazione, per
cui i siti di accrescimento durante l’invecchiamento sono molteplici e ciò limita le dimensioni finali
dei precipitati.
Inoltre, a temperature così basse, la termodinamica stessa limita il numero di difetti reticolari,
imponendo pertanto una geometria migliore ed un reticolo più denso. Si ottiene così una superficie
più regolare e “densamente abitata” che garantisce una vita del pezzo più lunga.
2.3
Obiettivi per il futuro
Come già ricordato, quella del Trattamento Criogenico non è ancora una scienza; per renderla
tale, secondo il Dr. Randall Barron, uno dei maggiori e comunque pochi ricercatori mondiali in
questo campo, occorre chiarire alcuni punti:
•
spesso le precondizioni, ovvero come il materiale è stato termicamente trattato prima di
subire CT, dettano l’ammontare di migliorie che andiamo cercando. Pertanto si auspica una
fitta collaborazione tra industria e mondo accademico, affinché il costruttore possa essere
consigliato riguardo la selezione del materiale, il progetto del pezzo e il trattamento termico,
in modo da poter massimizzare i benefici del successivo trattamento criogenico.
•
Si deve inaugurare una stagione di approfondita ricerca scientifica, basata su risultati
replicabili: solo così si raggiunge la legittimità a cui si aspira.
2.4
Benefici del CT
1. Aumento della resistenza ad usura in gran parte dei metalli e polimeri:
•
Alta Resistenza ad Usura in utensili da taglio, stampi, trafile, cuscinetti, ecc.
•
Alta Resistenza alla Corrosione in apparecchiature per applicazioni chimiche e
alimentari.
•
Alta Resistenza all’erosione dovuta al vento, acqua e altri agenti abrasivi.
Ciò è dovuto ad una maggior area di contatto garantita da una migliore uniformità della superficie.
Visione simulata al microscopio della superficie
Questo riduce frizione, riscaldamento ed usura. Come conseguenza di una maggiore vita utile si ha
la riduzione di tutti i tempi morti dovuti alla sostituzione di utensili usurati. Inoltre, siccome
l’effetto del trattamento ha riguardato anche il bulk, non solo la superficie, gli utensili possono
essere riaffilati e mostrare ancora tutti i benefici descritti.
Minori stress residui grazie alla riduzione di vacanze e dislocazioni.
2. Resistenza a Trazione e durezza non subiscono alcun cambiamento.
3. Maggiore stabilità dimensionale.
4. Minore resistenza elettrica (circa 5-7% in gran parte delle leghe) e maggiore rapporto
segnale/rumore in alcune applicazioni elettroniche.
5. Maggiore conducibilità termica.
6. Migliore Lavorabilità su componenti di alluminio o di rame.
2.5
Usura (Wear)
L’usura, fenomeno complesso ma molto comune, è definito come perdita di materiale da una
superficie quando questa striscia, ruota o impatta su un’altra. Avviene in tutti i sistemi ed è causa di
alti costi per le industrie, costrette di volta in volta a sostituire utensili con conseguente perdita di
tempo utile.
•
Usura meccanica (Wear): implica azione meccanica, talvolta in sinergia con azione chimica.
•
Usura Adesiva (Scuffing o Galling): si generano legami tra gli atomi delle due superfici,
caricate l’una sull’altra. Quando si ha movimento relativo il materiale più debole si rompe ad
una certa distanza dalla giunzione, perdendo particelle.
•
Usura Abrasiva: si ha quando una particella dura entra in contatto con una superficie più
”soffice”, asportandone materiale durante il movimento relativo.
Se le particelle più dure non
fanno parte di una delle due superfici non si parla più di “two-body abrasion” bensì di “threebody abrasion”.
•
Fatica (Metal fatigue): la fatica ciclica genera cricche presso o sulla superficie. Il fenomeno
dipende molto dallo stress applicato e dalla rugosità della superficie.
•
Corrosione (Corrosive wear): implica attività meccanica e chimica. La presenza o la
formazione di un film di ossido altera enormemente le proprietà a usura del materiale.
Ilcedimento avviene all’interfaccia ossido-metallo.
La complessità del fenomeno usura dipende da un certo numero di fattori:
Variabili Metallurgiche:
1. Durezza
2. Tenacità
3. Microstruttura
4. Composizione chimica
Variabili di Utilizzo
1. Materiali a contatto
2. Pressione tra le parti a contatto
3. Velocità relativa tra le parti
4. Temperatura
5. Finitura superficiale
6. Ambiente
2.6
Guadagni vita utile (Abrasive Wear resistence RW)
Si riportano i risultati delle prove di usura compiute su componenti trattati criogenicamente, senza
conoscere tuttavia le metodiche seguite. Come già ricordato, la documentazione riguarda in
prevalenza gli acciai.
Da notare la differenza tra il trattamento superficiale a –79°C (shallow) e il trattamento
profondo a –190°C (deep cryo).
Esito Test (% Incremento della Resistenza ad Usura dopo CT)
Classe Acciaio
Descrizione
AISI #
% miglioramento
(-79oC)
(-190oC)
D-2
Alta % Carbonio/Cromo
316
817
A-2
Al Cromo lavorato a freddo
204
560
S-7
Al Silicio per utensili
241
503
52100
Acciaio per Cuscinetti
195
420
0-1
Temprato in Olio e incrudito
221
418
A-10
Acciaio Grafitico per utensili
230
264
M-1
Al Molibdeno SuperRapido
145
225
H-13
Al Cr/Mo colato a caldo
164
209
M-2
W/Mo SuperRapido
117
203
T-1
Al W SuperRapido
141
176
Acciaio legato
94
131
P-20
Acciaio stampato
123
130
440
Martensitico
128
121
430
Ferritico
116
119
303
Austenitico
105
110
8620
Acciaio Ni/Cr/Mo
112
104
Acciaio al Carbonio
97
98
AQS
Ghisa Grafitica
96
97
A-6
Manganese, temprato in aria, incrudito
73
97
T-2
Acciaio al W SuperRapido
72
92
CPM-10V
C1020
Fonte: Dr. R. F. Barron, Louisiana Tech University (www.onecryo.com)
Tipo di Utensile
Broccia
Broccia
Scorticatore
Per Odontoiatria
Stampo
Punta da Trapano
Elettrodo
Laminatoio
Laminatoio
Dispositivo di Taglio
Fresa
Chiavetta
Zigrinatore
Trinciatrice
Affettatrice
Punzonatore
Filettatore
Lame per Legno
Produttore
Auto Mfg.
Metal Milling Co.
Box Mfg.
Dentist
Casting Company
Aircraft Mfg
7 Studies
Aerospace Mfg
Aerospace
Major Mfg.
Turbine Mfg.
Aircraft Mfg.
Aircraft Mfg
Paper Mfg.
Plastics Mfg.
Steel Furniture
Tool Maker
Pro Woodworker
Materiale dell’utensile
Nichel
Carburi
Carburi
400 Acciaio
Leghe di Ni
M42,M7,C2
Cu
M42
C2 Carburi
Rivestito Ti/N
M2, M7
M2, M7
M7
M7
M7
D2
C2 Carburi
HSS
Guadagno
250%
300%
500%
500%
300%
300%
600% in media
450%
400%
350%
300%
250%
250%
400%
600%
1000%
600%
500%
www.cryopro.com
2.7
•
Materiali trattati
Materiali ferrosi:
1. Acciai per utensili
2. Acciai ad alto carbonio, altolegati
3. Acciai Martensitici
4. Ghisa
•
Alluminio e Magnesio
In questo ambito lo scopo primario non è tanto quello di raggiungere elevata resistenza a usura,
bensì garantire una vita a fatica maggiore e limitare gli stress residui.
•
Carburo di Tungsteno
•
Rame
Particolarmente riguardo elettrodi per saldatura.
2.8
Esempi utilizzo
2.8.1 Utensili di vario tipo
2.8.2 Strumenti Musicali
In tale ambito si cerca di eliminare le tensioni residue dovute all’assemblaggio dello strumento
stesso, composte da più parti, forzate le une nelle altre.
3 Metodi di analisi
3.1 Durezza Brinell
La prova consiste in una semplice indentazione del materiale. Si applica un carico
costante ( fra i 500 e i 3000 kgf) per il tempo necessario (da 10 a 30 secondi) a
formare l'impronta di un penetratore a sfera ( da 15 a 10 mm di diametro) generalmente
di carburo di tungsteno (Fig.1).
Forza
0
Fig.1-Schema di indentatore.
dell'impronta
1
2
3
4
5
Fig.2- Misura
Si misura poi il diametro dell'impronta in millimetri usando un microscopio (Fig.2). La
durezza si esprime con il Numero di Durezza Brinell (HB) attraverso la formula.
HB =
2P
πD ( D − D 2 − d 2 )
In cui P è il carico applicato, D il diametro della sfera del penetratore e d il diametro
dell'impronta espressi in mm.
Il durometro GNEHM 0M-150 del laboratorio di Metallurgia è dotato di tabelle con cui
si può convertire il diametro dell'indentazione direttamente in numero di Brinell.
La geometria del penetratore (nella prova Brinell il diametro della sfera) si sceglie in
base al tipo di materiale da campionare e il materiale dell'indentatore dovrà avere
durezza maggiore di quella del campione.
Per le leghe d'Alluminio si sceglie il penetratore con sfera di diametro 2,5mm che
raggiunge durezza di circa 400HB, certamente superiore della durezza della lega 6056.
Anche il carico da applicare dipende dal materiale da testare.
È preferibile ottenere un impronta fra i 2,5 e i 6,0 mm. Fuori da questi limiti la
sensibilità della prova si riduce.
Gli accorgimenti per una buona prova sono:
- Spessore del provino, deve essere maggiore della profondità dell'indentazione per non
provocare rigonfiamenti o segni sulla superficie opposta a quella testata. La profondità
dell'impronta si può stimare con la formula:
Depth(mm) =
P
πD × ( HB)
P= carico applicato
D= diametro sfera
HB= stima della
durezza
- Superficie, deve essere piana e la prova deve essere ortogonale alla superficie. Inoltre
è preferibile che la superficie sia pulita e lucidata per ottenere un'impronta chiara e ben
definita.
-Indentazione. Non si deve indentare vicino agli angoli o ai bordi del campione,
l'impronta può risultare non simmetrica o esageratamente grande o distorta e la prova
può perdere di significato. Inoltre una prova non deve essere fatta troppo vicino
all'impronta di una prova precedente. La distanza minima richiesta è generalmente di 3
diametri di impronta fra i centri di due indentazioni adiacenti.
Per i materiali non ferrosi , in genere, si usano penetratori a basso carico (500 kgf). Per
la lega Al 6056 è stato usato un carico applicato di 32,5 kg.
I provini sono sezioni di un tubo , il penetratore può provocare uno schiacciamento
della sezione, ma si riesce ad evitare l'eventuale ovalizzazione se durante la prova si usa
un cilindretto resistente di diametro inferiore messo nel provino, la prova è
sufficientemente attendibile.
Cilindretto resistente
Sezione di tubo
Fig.4 - Accorgimento per campioni cavi.
Fig.5. Durometro GNEHM OM-150 del laboratorio di Metallurgia.
3.2 Microscopia Elettronica
3.2.1 Introduzione
Per lo studio dei precipitati di piccole dimensioni e per l’analisi delle dislocazioni, i
microscopi ottici risultano spesso insufficienti e quindi si utilizza la microscopia
elettronica in trasmissione (TEM) ed a scansione (SEM). Le immagini TEM vengono
realizzate utilizzando come fonte di “illuminazione” degli elettroni invece della luce
visibile che utilizziamo negli strumenti ottici. Gli elettroni, infatti, hanno la possibilità
di viaggiare a lunghezze d’onda inferiori a quelle tipiche della luce visibile e, grazie a
questa proprietà, permettono una risoluzione (definita come la distanza minima tra due
particolari di un’immagine che possono essere distintamente osservati) molto piccola
poiché quest’ultima dipende dalla lunghezza d’onda (λ) della radiazione utilizzata.
Ovviamente, per questi microscopi, si devono utilizzare lenti elettromagnetiche invece
delle classiche lenti in vetro. Gli elettroni sono l’onda elettromagnetica che utilizzo.
Queste onde, conformemente alla legge di De Broglie, hanno una λ che è proporzionale
all’inverso della velocità a cui viaggiano; quest’ultima, per gli elettroni emessi da un
catodo (electron gun) è direttamente relazionata al potenziale (tensione di accelerazione)
applicato dall’anodo al raggio di elettroni. Più alta sarà l’energia di accelerazione
applicata, più velocemente viaggeranno gli elettroni e più piccola sarà la lunghezza
d’onda.
La Microscopia elettronica in trasmissione (TEM) Permette di ottenere, da un campione
sufficientemente sottile (< 0,1µm), immagini ad alta risoluzione (10Å) prodotte da
elettroni ad alta energia (100KeV) proiettati su uno schermo fluorescente oppure su una
pellicola fotografica.
3.2.2 Descrizione del microscopio elettronico
Nel microscopio elettronico a trasmissione viene
sfruttato uno schema simile a quello del microscopio
ottico, nel senso che il fascio irraggiante arriva,
attraversa il campione e proietta oltre l’immagine
come in figura.
Un TEM permette ingrandimenti, variabili in continuo, da 90 a 800.000 volte con un
potere risolutivo fino a 10Å.
Nel Microscopio elettronico gli elettroni vengono accelerati e quindi focalizzati tramite
lenti elettromagnetiche costituite da solenoidi o da schermi elettrostatici forati. La
tensione di accelerazione è tipicamente di 60 – 100KeV. La fonte di illuminazione
(sorgente degli elettroni) è un filamento di esaboruro di lantanio (LaB6) ad alta
temperatura.
L’emissione, la messa a fuoco, l’attraversamento
del campione e la produzione di un’immagine
avvengono in una struttura a colonna tale da
permettere la creazione al suo interno di vuoto. Il
processo deve avvenire in vuoto per evitare che
gli elettroni “sbattano” conto le particelle dell’aria
invece che contro il campione.
L’apparecchio che genera ed accelera il fascio è
detto cannone elettronico (electron gun) ed è
descritto in figura.
Questo strumento ha due grossi vantaggi: permette di ottenere una luce monocromatica
(cioè con una unica λ) ed un fascio perfettamente parallelo all’asse di osservazione.
Quando un elettrone raggiunge un campione solido ha varie possibilità:
− passaggio indisturbato (unscattered electrons)
− backscattering
− scattering elastico
− scattering anelastico con perdita di una parte dell’energia
− produzione di elettroni secondari o di Auger
− assorbimento dell’elettrone da parte del campione con possibilità di
luminescenza e riscaldamento dello stesso.
Gli elettroni che oltrepassano il campione (trasmitted electrons) hanno tre diverse
modalità di uscita (unscattered, elastically scattered, inelastically scattered) che
permettono la ricostruzione della struttura del materiale. E’ inoltre possibile, in base alle
energie degli elettroni secondari e di Auger e grazie al tipo di luminescenza, ottenere
un’analisi chimica dell’intorno del punto focalizzato.
3.2.3 Interazioni con la massa
Elettroni backscatterati: causati da un elettrone incidente che collide con un atomo del
campione.
La produzione di elettroni backscatterati varia direttamente con il numero
atomico della specie chimica del campione.
Elettroni secondari: causati dalla trasmissione di parte dell’energia di un elettrone del
fascio ad un elettrone appartenente ad un atomo del campione. Quest’ultimo
elettrone può quindi aver raggiunto un livello di energia tale da poter fuoriuscire
dal campione. Gli elettroni secondari generalmente hanno energie molto piccole
dell’ordine di 5eV e permettono una ricostruzione topografica della parte più
superficiale del pezzo.
Elettroni Auger: conseguenza dell’emissione di un elettrone secondario che può a sua
volta eccitare un elettrone più esterno che quindi potrà venir emesso. Gli
elettroni Auger, che provengono dagli strati appena sotto la superficie,
possiedono una energia relativamente bassa ma caratteristica per ogni elemento
chimico.
Raggi X: causati dalla perdita di energia di un elettrone del fascio che va ad occupare
una posizione lasciata libera da un elettrone emesso. Anche i raggi X forniscono
informazioni per la composizione chimica, ma, in questo caso, ho informazioni
riguardo ad una porzione di spazio più ampia (1-2µm)
3.2.4 Interazioni del campione sottile
Elettroni diffusi (unscattered electrons): Sono gli elettroni che attraversano indenni il
campione. La loro quantità è inversamente proporzionale allo spessore del
campione.
Elettroni diffusi elasticamente: sono gli elettroni che deviano il loro percorso senza
perdere energia. Questi elettroni ci forniscono informazioni sull’orientamento
dei piani atomici in base alla legge di Bragg.
Elettroni diffusi anelasticamente: sono gli elettroni che attraversano il campione
cedendogli parte della loro energia. La perdita di energia è caratteristica degli
elementi presenti e ci dà informazioni sulla composizione locale e sul reticolo.
3.2.5 Focalizzazione del fascio
La focalizzazione avviene tramite una serie, in generale 6-8 elementi, di avvolgimenti
elettromagnetici (lenti) disposti simmetricamente rispetto al fascio. Essi hanno il
compito di deviare verso l’asse del fascio gli elettroni che si allontanano da esso.
In genere si hanno tre tipi di lenti:
− lenti a condensazione per l’illuminazione del campione,
− obiettivo per la focalizzazione del fascio sul provino,
− lenti di proiezione per generare un’immagine sullo schermi di analisi.
Il fascio viene fatto collimare sul campione, lo attraversa e viene focalizzato su uno
schermo fluorescente dando luogo ad un’immagine fortemente ingrandita. Il fatto che il
campione debba essere attraversato dal fascio implica che deve essere trasparente ad
esso, da qui la necessità di campioni estremamente sottili.
3.2.6 Principio di funzionamento
La formazione dell’immagine dipenderà dalla diffrazione degli elettroni data la loro
doppia natura di onda-particella. La lunghezza d’onda λ è legata all’energia della
radiazione (E), e quindi al potenziale acceleratore (V), dalla relazione di De Broglie :
λ= h
2mE
dove h è la costante di Plank ed m la massa della particella.
Sappiamo poi, dalla legge di Bragg, che:
λ = 2d sen ϕ
con d distanza interplanare e φ angolo di incidenza del fascio. Misurando φ e
conoscendo V posso ricostruire la struttura del campione.
Tramite un opportuno sistema di lenti è possibile, dopo che il fascio ha attraversato il
provino, ricostruire un’immagine grazie agli elettroni trasmessi e diffratti che
contribuiscono con un diverso contrasto. Qualunque cosa crei delle alterazioni negli
angoli del reticolo (dislocazioni, vacanze, precipitati, inclusioni, seconde fasi,…) altera
la diffrazione caratteristica del materiale e quindi contribuisce a formare fenomeni di
contrasto che permettono di “vedere” la ragione dell’anomalia.
L’immagine si può visualizzare in due modi utilizzando un diaframma per far passare
solo gli elettroni diffratti (campo chiaro) o trasmessi (campo scuro)
3.2.7 TEM in cristallografia
Utilizzando angoli di diffrazione tali che il fascio incidente risulti parallelo ad un asse
caratteristico della cella atomica del campione, è possibile risalire alla struttura
cristallografica del provino. Infatti si possono misurare le distanze interplanari e gli
angoli tra i vari piani.
3.2.8 Preparazione del provino
Il provino deve risultare trasparente ad un fascio di elettroni e quindi dovrà essere il più
sottile possibile. Lo spessore ottimale risulta essere di 50-100µm.
L’assottigliamento si suddivide in una prima fase meccanica ed in una seconda fase
elettrochimica che porterà alla formazione di un foro. Si ottiene così una cavità a tronco
di cono che risulta essere la zona osservabile.
3.2.9 Assottigliamento Meccanico
Si procede ad un taglio del provino per ottenere un foglio dello spessore di 1 mm e di
area 10x10mm2 che ci permetterà di ottenere più campioni per il TEM.
Incollando poi il foglio ad un supporto in vetro e misurandone lo spessore, è possibile
procedere all’assottigliamento meccanico tramite lappatrice. Ripetendo la procedura per
entrambi i lati del foglio si arriva ad uno spessore di 50-100µm ed ad una lucidatura a
specchio.
Tramite un punzone si ricavano, dal foglio, dei dischetti di diametro 3mm.
3.2.10 Assottigliamento elettrochimico
Uno dei dischetti ottenuti tramite punzonatura si inserisce su un supporto connesso ad
un circuito elettrico ed immerso in una soluzione elettrolitica. Due getti azionati da una
pompa permettono alla soluzione corrosiva di arrivare proprio sul centro del provino
unendo all’azione di corrosione chimica una componente meccanica. Un sensore ottico
avvisa con un segnale acustico quando si è generato il foro e si è raggiunta la situazione
ottimale.
4 Parte sperimentale
4.1 Trattamento termico
I campioni su cui si effettueranno le analisi sono ricavati da un tubo di lega di
alluminio 6056, utilizzata per applicazioni strutturali.
La lega ha subito trattamento termico T6, cioè solubilizzazione a 550°C per 30 minuti,
tempra in acqua ed invecchiamento a 175°C per 8 ore.
Si è quindi proceduto ad una nuova solubilizzazione per annullare i precedenti
trattamenti.
Dopo aver fatto raffreddare a temperatura ambiente, il pezzo viene trattato
criogenicamente: immerso in azoto liquido ad una temperatura di 77K per 60 ore, in
un apposito contenitore, provvedendo regolarmente a rabboccare il liquido evaporato.
Il trattamento criogenico ha lo scopo di portare la lega ad una condizione di soluzione
solida sovrassatura, il reticolo cristallino subisce una notevole contrazione a causa
della bassa temperatura. L’abito cristallino principale, costituito da atomi di alluminio,
viene “strizzato” e gli atomi di soluto si trovano nella condizione di poter generare
numerosi e ben dispersi siti di nucleazione, che porteranno ad una precipitazione molto
efficace.
Ci viene così fornito il pezzo dal quale, tagliando con una mola a disco, vengono
ricavati 10 campioni che hanno le seguenti dimensioni:
•
spessore……....2mm
•
altezza media...35mm
•
diametro……...32mm
Questi vengono contrassegnati incidendo un numero sulla superficie esterna.
Si introducono i provini in forno: il processo di invecchiamento artificiale ha lo scopo
di favorire le condizioni per la formazione dei precipitati, che conferiscono migliori
proprietà meccaniche alla lega.
Si parte con una temperatura iniziale di 160°C; questo valore subirà delle variazioni nel
corso dell’esperienza: il forno utilizzato è piccolo e viene più volte aperto per estrarre i
campioni, con conseguente rapida fluttuazione della temperatura.
4.2 Misurazione della durezza
A turno viene estratto un campione dal forno, raffreddato con un getto d’acqua per
bloccare l’evoluzione della microstruttura e ne viene misurata la durezza Brinell.
Il carico impostato è di 31,25 kg e il penetratore ha un diametro di 2,5 mm; per ogni
misura vengono praticati 3 fori, che vengono misurati e da cui si ricava il valore di
durezza: la media dei 3 è il dato che viene assegnato al campione in esame.
I 3 fori devono distare almeno 3 diametri l’uno dall’altro, inoltre si evita di compiere
tale operazione vicino ai bordi, il carico deve essere applicato ortogonalmente alla
superficie. I campioni hanno uno spessore sufficiente per resistere alla pressione del
penetratore senza deformare: in caso contrario si dovrebbe provvedere ad inserire un
corpo esterno nel tubo che ne eviti lo schiacciamento, fornendo una misura di durezza
falsata.
Uno strato ossidato in superficie non permette una chiara misurazione dell’impronta del
penetratore; si provvede così, prima di indentare, a lucidare la zona interessata con un
panno abrasivo.
L’osservazione viene effettuata con l’ausilio di un microscopio ottico a illuminazione
frontale, il diametro viene misurato sullo schermo che interfaccia il microscopio con un
righello; la misurazione è stata poi rapportata al numero di ingrandimenti del
microscopio stesso. Nel corso dell’esperienza si sono operate misure di durezza anche
con il macchinario apposito, che permette in un’unica operazione l’indentazione e la
misura dell’impronta: i risultati ottenuti con le due tecniche non si discostano.
Le prime misure di durezza vengono effettuate ogni 20 minuti, per avere più punti
possibili all’inizio della curva di durezza che si vuole costruire.
Il provino IIC subisce invecchiamento per 40 minuti, ne viene misurata la durezza e
poi viene sigillato in un sacchetto di plastica e conservato in freezer, in modo da
bloccarne la microstruttura per le successive analisi ( DSC, TEM, Micrografia Ottica).
Si è già detto che la temperatura del forno subisce delle variazioni: dopo 370 minuti è di
185°C.
I campioni vengono mantenuti in forno per circa 6 giorni, operando varie misure di
durezza con la metodica descritta.
Si considerano gli ultimi valori di durezza ottenuti, questi sono ancora troppo elevati per
la lega in esame, che ormai dovrebbe essere in overaging (coalescenza dei precipitati).
Si decide di continuare con la permanenza in forno, alle medesime condizioni, fino a
trovare valori di durezza inferiori ai 100 HB.
Dopo che i campioni sono rimasti a temperatura ambiente per circa una settimana,
vengono rimessi in forno per ulteriore invecchiamento a 180°C per 4 giorni.
Viene eseguita un’altra serie di misure di durezza, ma i valori trovati ancora non
soddisfano le aspettative.
Quindi si continua con il trattamento termico a 160°C per altri 6 giorni, per abbattere la
durezza. Finalmente, dopo questo periodo, i dati risultano soddisfacenti.
In prima analisi la causa di questo comportamento anomalo, la difficoltà nell’abbattere
la durezza e nel raggiungere la condizione di overaging, viene attribuita al trattamento
criogenico, senza però comprendere i meccanismi.
Nel trattamento dei dati, i problemi incontrati e la disomogeneità di alcune misure,
porteranno a scartare alcuni provini e a considerare, per alcuni punti, la media delle
durezze sui provini considerati.
4.3 DSC
Mentre si effettuano le prove di durezza vengono anche condotte delle analisi DSC
(Differential Scanning Calorimetry). Il campione viene portato fino ad una
temperatura di 500°C e si registra il flusso di calore: si riescono così ad individuare
trasformazioni esotermiche quali la formazione e l’accrescimento dei precipitati.
La prova viene condotta su un campione di lega 6056 che non ha subito trattamento
criogenico: si evidenzia un picco a 274°C, che testimonia residue trasformazioni,
verosimilmente di coalescenza dei precipitati.
Una seconda prova si effettua sul campione che ha subito 40 minuti di invecchiamento
(contrassegnato con IIC): questo manifesta un picco a 234°C, la microstruttura sta
evolvendo, probabilmente si manifesta il passaggio da GP2 a precipitati coerenti ed
incoerenti.
Le temperature sono diverse da quelle che si usano nell’invecchiamento artificiale, in
quanto le condizioni della DSC sono diverse: riscaldamento a 20°C/min invece che
condizioni isoterme.
Si nota comunque che i picchi non sono molto evidenti: questo fa pensare che la
trasformazione interessi ben poco materiale e non abbia grande peso.
4.4 Analisi microstrutturale
Al fine di analizzare la microstruttura della lega si effettuano delle sezioni dei
campioni ritenuti più rappresentativi, inglobando tali porzioni con una apposita resina
termoindurente. La macchina pressa la polvere e la riscalda per il tempo necessario ad
ottenere un cilindro, di dimensioni paragonabili a quelle dei campioni da cui derivano,
che serve da supporto. Su una faccia di questo cilindro si presentano la sezione
longitudinale e la sezione cilindrica dei campioni.
Vengono scelti il provino che presenta la maggior durezza, quello che ha subito solo 40
minuti di invecchiamento e un campione ricavato dalla lega 6056 tal quale
(commerciale).
Per essere osservati al microscopio ottico i provini devono essere:
•
perfettamente piani per poter mettere a fuoco nel migliore dei modi
durante l’osservazione;
•
lucidati a specchio per poter individuare tutte le caratteristiche
microstrutturali (dimensioni e morfologia dei precipitati, bordi del
grano, ecc.).
A tale scopo vengono lavorati con una macchina lappatrice: sul disco vengono
posizionate delle carte abrasive a base di SiC (carburo di silicio). Per qualificarne la
grana vengono identificate con dei numeri. Si utilizzano le carte contrassegnate dalle
sigle 400, 800, 1200 e 4000 (dalla più grossolana alla più fine). Tutte queste richiedono
un continuo getto d’acqua per lubrificare, evitare il surriscaldamento e facilitare il
deflusso del materiale asportato.
Si deve fare attenzione a non insistere troppo con le carte dalla grana più abrasiva: le
successive non sarebbero in grado di recuperare un difetto generato dalla grana grezza.
Per rifinire e portare la superficie a specchio si usano panni con grana da 6µ
µm e da 1µ
µm
sinergicamente ad una sospensione di silice cristallina, che funge anche da lubrificante.
La lega 6056, come l’alluminio in genere, si dimostra difficilmente lucidabile.
Infatti, dopo la serie di trattamenti elencati, i provini si presentano non ancora
perfettamente a specchio e con delle evidenti graffiature. Questa condizione
pregiudicherebbe l’osservazione al microscopio, ancor più dopo l’attacco acido.
Infatti, per permettere di individuare chiaramente i grani, il provino metallografico
viene trattato con una apposita soluzione acida. Questa svolge la sua azione corrosiva
con maggior efficacia sui difetti, quindi i bordi del grano, ma anche precipitati e graffi.
Si decide così di operare una ulteriore lavorazione con un panno molto fine da 0,04µ
µm
(sempre con sospensione di SiO2 cristallina), insistendo sui pezzi per cercare di ottenere
il miglior risultato possibile.
I provini vengono lavati a fondo per eliminare i residui asportati e le particelle di SiO2,
immergendoli in un becker contenente un’emulsione di acqua e sapone ed esposti a
ultrasuoni. Successivamente al microscopio si sono osservati precipitati spezzati,
probabilmente a causa della approfondita lappatura e degli ultrasuoni stessi.
Si sono inoltre incontrati problemi in fase di asciugatura: l’acqua rimane intrappolata
nelle fessure tra la resina e il pezzo inglobato, i flussi di aria compressa richiamano
continuamente liquido e l’osservazione è resa difficoltosa.
Si passa all’osservazione con il microscopio ottico, si riconoscono i precipitati di
Mg2Si, con gli opportuni ingrandimenti vengono scattate delle fotografie delle varie
sezioni, cercando di documentare le zone più interessanti e prive di difetti.
Viene poi preparata la soluzione per l’attacco acido (etching) come segue:
•
95ml di H2O
•
2,5ml di HNO3
•
1,5ml di HCl
•
1ml di HF
La soluzione e i provini vengono conservati in freezer: mantenendo bassa la temperatura
si può controllare la cinetica dell’attacco. Infatti così facendo si va ad agire solo sui
bordi grano; a temperatura ambiente la soluzione acida attacca i precipitati (perché la
cinetica è troppo rapida), così non si possono apprezzare i grani.
Anche in questa situazione vengono documentate le zone di maggior interesse dei 3
provini, lungo le sezioni longitudinale e circolare.
4.5 TEM
Le osservazioni tramite TEM possono essere compiute se il provino è trasparente agli
elettroni. Il materiale deve essere assottigliato meccanicamente fino ad uno spessore di
circa 100µm. Si procede poi ad un ulteriore trattamento elettrochimico per forare il
campione. La zona osservata al TEM sarà quella in prossimità di tale foro, dove lo
spessore è abbastanza ridotto da consentire la trasmissione degli elettroni incidenti.
Si taglia una sezione del campione di circa 10mm di lato, questa viene incollata con una
resina termoindurente su un supporto di vetro. Il provino viene lavorato con carte
abrasive da 800, 1200 e 4000 con getto d’acqua per raffreddare e lubrificare.
Di seguito si passa al panno da 1µm fino ad ottenere una superficie a specchio. La stessa
lavorazione viene eseguita sull’altra faccia, arrivando allo spessore prestabilito.
Con un punzone si ricavano dei dischetti del diametro di 3mm .
Si passa all’assottigliamento elettrochimico, la tecnica è detta “jet-electropolishing”.
Il dischetto viene fissato al portacampioni ed immerso in una soluzione elettrolitica,
che costituisce l’attacco chimico, composta da acido perclorico HClO4 (10%) e 2butossietanolo.
Il portacampioni è connesso ad un generatore di corrente continua, il campione è portato
ad un potenziale positivo. Si impostano 30V di tensione , raggiungendo al massimo
correnti di 5mA.
Due getti di soluzione acida corrosiva spruzzano sul campione, la pompa che li alimenta
lavora quasi al massimo, perché la soluzione è piuttosto densa, a causa della
temperatura che è di –5°C.
Quando si origina il foro passante, un sensore ottico dà il segnale.
L’attacco elettrochimico è durato 12 minuti, la durata dipende dallo spessore del
campione e dalla temperatura della soluzione di attacco.
Si rimuove il portacampioni e si lava subito con alcol etilico per eliminare tracce di
soluzione corrosiva o prodotti che renderebbero difficoltosa la successiva osservazione.
Il dischetto forato viene estratto, lavato ancora con etanolo, asciugato con carta
assorbente e conservato in essiccatore fino all’analisi al TEM.
Bisogna accertarsi che la superficie, al momento dell’osservazione, non abbia subito
ossidazione.
L’analisi con il TEM (Microscopio Elettronico a Trasmissione) viene condotta dal
Dott.Gialanella, che provvede a farci notare le zone più significative del campione.
Si ricavano delle immagini in negativo della microstruttura, da cui si possono trarre
preziose informazioni.
5 Risultati
5.1 Curva di durezza
Nella tabella seguente si riporta l’andamento della durezza Brinell HB di tutti i
campioni in funzione del tempo di permanenza in forno.
Provino tempo (min.)
IC
20
IC
300
IC
1410
IC
2820
IC
8000
IC
13760
IC
22400
IIC
40
IIIC
60
IIIC
340
IIIC
1470
IIIC
2835
IIIC
3080
IIIC
8000
IIIC
13760
IIIC
22400
IVC
80
IVC
350
IVC
1530
IVC
2940
IVC
8000
IVC
13760
IVC
22400
VC
100
VC
370
VC
1550
VC
2960
VC
8000
VC
13760
VC
22400
VIC
120
VIC
385
VIC
1590
VIC
3060
VIC
7380
VIC
13760
VIC
22400
HB
101
143
133
124
121
113
109
115
122
138
125
118
120
117
105
77
133
130
123
116
96
99
96
132
121
122
112
113
105
102
120
109
102
100
94
96
87
Provino tempo (min.)
VIIC
140
VIIC
1250
VIIC
1605
VIIC
3070
VIIC
7350
VIIC
13760
VIIC
22400
VIIIC
160
VIIIC
1255
VIIIC
1800
VIIIC
3135
VIIIC
8000
VIIIC
13760
VIIIC
22400
IXC
195
IXC
1340
IXC
1825
IXC
3185
IXC
8000
IXC
13760
IXC
22400
XC
210
XC
1350
XC
1820
XC
3210
XC
8000
XC
13760
XC
22400
HB
117
123
113
107
98
109
87
137
133
123
119
113
117
109
130
134
120
113
113
105
96
127
124
123
115
121
99
96
Il grafico seguente evidenzia l’andamento anomalo dei provini VIC, VIIC e VIIIC,
rispetto agli altri.
Ci si aspetta di vedere un aumento della durezza nella prima parte del trattamento,
grazie alla comparsa dei precipitati. Proseguendo si ha coalescenza e quindi un
decremento delle caratteristiche meccaniche della lega, fin sotto i 100HB.
150
140
IC
130
IIC
IIIC
HB
120
IVC
VC
110
VIC
VIIC
100
VIIIC
IXC
90
XC
80
70
-1000
4000
9000
14000
19000
24000
tempo (min.)
Per ottenere un andamento in linea con i risultati che ci si aspetta, si decide di non
considerare i provini con comportamento anomalo già menzionati. Inoltre, dei dati di
durezza rilevati dopo 8000, 13760 e 22400 minuti di trattamento, viene considerato il
valore medio dei 6 campioni rimasti.
HB
101
115
122
133
132
130
127
143
138
130
121
134
124
121
114
113
104
96
Curva di Durezza
150
140
130
HB
tempo (min.)
20
40
60
80
100
195
210
300
340
350
370
1340
1350
1599
3030
8000
13760
22400
120
110
100
90
80
1
10
100
1000
10000
100000
log tempo (min.)
L’asse delle ascisse è logaritmico per apprezzare meglio l’andamento.
Si nota l’aumento di durezza, grazie al formarsi dei cluster di soluto prima, che poi
generano i precipitati di Mg2Si, i quali conferiscono la durezza massima.
Proseguendo con la permanenza a temperature elevate i precipitati subiscono
coalescenza e si deprime l’effetto positivo sulle caratteristiche meccaniche della lega.
Per completezza, al fine di operare dei confronti, si è misurata anche la durezza della
lega 6056 commerciale che ha subito trattamento termico T6.
6056 T6 146 HB
Il valore è molto elevato, più alto del massimo della curva di durezza.
Questo significa che il trattamento criogenico ha addirittura peggiorato le caratteristiche
della lega. E’ un risultato del tutto inaspettato, che va in netto contrasto con lo scopo
dell’esperienza. Si cercherà di indagare le cause esaminando la microstruttura.
5.2 DSC
Si riportano i grafici ottenuti dall’analisi DSC
Sulla sinistra il grafico completo della 6056 T6 commerciale, si nota la spalla a circa
270°C che testimonia residue trasformazioni, poco energetiche.
Sulla destra il particolare con il picco a 274°C messo in evidenza.
Qui sotto la prova DSC del campione IIC, trattato criogenicamente ed invecchiato 40
minuti. La spalla a 234°C significa che a quella temperatura si hanno delle
trasformazioni esotermiche: nel caso specifico la formazione dei precipitati.
5.3 TEM
TEM 1 22000 ingrandimenti: veduta generale del
campione.
Si notano precipitati piuttosto grossi ed evidenti e
dislocazioni introdotte probabilmente in fase di
lappatura e/o assottigliamento. Nel rettangolo si
evidenzia la presenza delle dislocazioni. In alto a
destra si vede un bordo di grano.
TEM 2 22000 ingrandimenti: veduta generale con
particolare di un bordo grano. Il bordograno appare
pulito e senza fenomeni di precipitazione e mostra
deformazioni in prossimità di grossi precipitati, come
evidenziato in figura. Si suppone che in fase di
crescita il bordograno sia stato bloccato proprio dalla
presenza di questi precipitati.
TEM 3/4 100000 ingrandimenti: veduta di precipitati con dislocazioni lungo la
direzione cristallografica [001] per verificare la presenza di zone GP. I precipitati sono
piuttosto grossi. Nelle immagini è stata evidenzia la coalescenza tra diverse particelle.
Questo fa pensare a precipitati primari (già presenti nel materiale) non del tutto
solubilizzati e che durante l’invecchiamento hanno continuato la crescita. Non si notano
comunque zone GP.
5.4 Microstruttura
Micrografie provino 0, 6056T6 commerciale.
Foto 1 100X: si appezza la buona
dispersione
dei
precipitati.
Viene
evidenziato un precipitato rotto dalla
lappatura
e
dal
trattamento
con
ultrasuoni (comportamento insolito).
Questo
testimonia
la
difficoltà
dell’operazione di lucidatura.
Foto 2 500X sezione circolare: una
frattura provocata dalla lappatura mette
in evidenza i grani, la cui dimensione
media è di circa 100µm.
Foto 3 100X sezione longitudinale:
Ha subito 60 secondi di attacco acido.
Si notano i grani allungati dalla
lavorazione meccanica di estrusione. I
precipitati “risalgono” in superficie per
effetto dell’attacco acido, sono più
evidenti.
Foto 4 500X sezione longitudinale:
con un ingrandimento maggiore si
evidenziano i grani ed i precipitati.
Micrografie provino IIC, 6056 solubilizzato, trattato criogenicamente ed invecchiato
40 minuti a 180°C.
Foto 5 500X sezione longitudinale:
ecco come si presenta un provino non
ben lucidato. I precipitati più grossi
vengono rotti e si vede una specie di
“coda”(particolari cerchiati in rosso).
Si formano inoltre delle cavità causate
dall’asportazione di precipitati durante
la lappatura (particolari cerchiati in
blu).
Foto 6 1000X sezione circolare: dopo
40 secondi di attacco acido. Si vede
una fine dispersione di precipitati e
alcuni molto più grossi. Quest’ultimi
sono forse precipitati primari che
danno luogo a coalescenza.
Foto 7 100X sezione circolare: dopo
40 secondi di attacco acido. Vediamo
grani e precipitati.
Micrografie provino IC, che ha raggiunto il massimo valore di durezza.
Foto
8
500X
sezione
circolare:
precipitati, di cui alcuni spezzati. La
freccia
evidenzia
la
direzione
di
laminazione lungo la quale si allineano
i precipitati.
Foto 9 100X sezione longitudinale:
dopo 40 secondi di attacco acido. Si
vedono grani di dimensioni maggiori
rispetto al provino tal quale. Si notano
inoltre grossi precipitati.
6 Commenti e conclusioni
L’operazione fondamentale dell’esperienza è stata la costruzione della curva di
durezza. Si sono incontrate notevoli difficoltà nel far collimare i dati: alcuni provini
presentavano durezze molto elevate anche dopo una lunga permanenza in forno; altri
hanno invece avuto andamento più regolare.
Per costruire la curva si sono dovuti scartare alcuni dati.
Le successive analisi sono state effettuate anche per capire questo comportamento
anomalo. La DSC fornisce un picco molto piccolo; la trasformazione a cui si riferisce ,
che sia il passaggio da GP2 a precipitati incoerenti o la coalescenza, interessa una
piccola quantità di materia.
Le micrografie e soprattutto le immagini al TEM mostrano dei precipitati molto grossi,
sicuramente primari, cioè precedenti al trattamento criogenico.
Già dopo 40minuti di invecchiamento artificiale (il provino IIC) si ha coalescenza dei
precipitati (che hanno notevoli dimensioni).
Si può notare, sia dalle micrografie che dal TEM, un fitto reticolo di precipitazione,
generatosi grazie all’azione del trattamento criogenico.
Questo però non ha abbastanza peso per far aumentare i valori di durezza, in quanto i
grossi precipitati primari deprimono le caratteristiche meccaniche, portando via
materiale che potrebbe essere ben disperso e lavorare in maniera efficiente.
Si è quindi giunti alla conclusione che i provini di partenza non hanno subito totale
solubilizzazione. Il trattamento criogenico ha avuto un effetto relativo.
La successiva permanenza in forno ha, da un lato generato una fine precipitazione, ma
dall’altro all’accrescimento e coalescenza dei precipitati primari.
Si sono così ottenuti dei valori di durezza addirittura inferiori a quelli della lega 6056
T6 commerciale dalla quale si è partiti.
E’ probabile che il trattamento criogenico possa avere degli effetti positivi sulla
microstruttura e quindi sulle caratteristiche meccaniche. Questo si apprezza
qualitativamente dalle osservazioni effettuate.
Il materiale che subisce tale trattamento deve però avere subìto totale solubilizzazione
dei precipitati, in modo che tali effetti si ripercuotano in maniera tangibile sulle
proprietà meccaniche della lega.
Bibliografia
•
Aluminium: Properties and Physical Metallurgy di John E. Hatch – American Society for
Metals – Metals Park, Ohio – 1984
•
Semilavorati in Alluminio - pubblicazione della Pechiney-Rhénalu – Parigi – 1997
•
Raccolta di informazioni tramite internet
•
ASM Handbook® Volume 3-Alloy Phase Diagrams ASM International 1992
•
Metal Handbook Ninth Edition Volume 2: Properties and selection: non ferrous alloys and
pure metals ASM internetional
•
Metal Handbook Ninth Edition Volume 8: Mechanical testing ASM internetional
•
Studio della microstruttura e del comportamento a fatica di giunti saldati in lega di alluminio
Tesi di laurea in Ingegneria dei Materiali di G. C. Pomarolli, relatori Bestini, Gialanella
Fly UP