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movie
la
strada
si
racconta
in un film di tekla taidelli
FUORIVENA
2008, Agenzia X
Copertina e progetto grafico
Antonio Boni
Illustrazioni
Antonio Boni, Valentina Morandi
Contatti
Agenzia X, via Pietro Custodi 12, 20136 Milano
tel. + fax 02/89401966
www.agenziax.it
e-mail: [email protected]
Agenzia X è distribuita da Mimesis Edizioni tramite PDE
Stampa
Bianca e Volta, Truccazzano (MI)
ISBN 978-88-95029-06-1
F
FUORIVENA
FUORIVENA
FUORIVENA
Filosofa del nuovo millennio
7
Tekla Taidelli
La vertigine artistica
15
Se si drogasse di meno...
23
Fuori di Tekla
29
Zanna, il Robert De Niro
degli eroinomani
35
Amore tossico
41
...E magari diventa un film
47
Una guerriera-fumetto
51
Rassegna stampa
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Titoli di coda
59
Franz Scarpelli
Marina Spada
Massimo Zamboni
Marco Philopat
Guido Blumir
Valia Santelli
Tullia Taidelli
FUORIVENA
Filosofa
del nuovo millennio
Tekla Taidelli
“Voglio lasciare un segno.” Da quando sono bambina questa frase
mi rimbomba dentro, mi assilla, mi s’infila nei sogni e negli incubi.
Sono un tipo irrequieto e dominante, ho sempre tentato di scalfire
il terreno che ho attraversato, la vita non la vivo, la graffio, ma
questo non mi basta. Se vivo, se passo su questo mondo, voglio
che tutti si accorgano di me, non soltanto i miei amici o la mia famiglia. Quando creperò vorrei che il macellaio, il politico, il pusher,
il mezzobusto alla tv, il terrorista esclamassero: ”Cazzo è morta Tekla!”. Sennò che senso avrebbe vivere... Non mi accontento certo
di vivacchiare... Allora veniamo al punto: come sono diventata regista. Da giovane ero punk, colorata, borchiata ribelle, guastafeste,
incosciente, molesta, alcolizzata, drogata e libera: “Dove cazzo è la
mia fetta di torta? Perché il mio piede non calza in nessuna impronta?”. Lo sono ancora, perché se sei punk nella testa, non nella
cresta, la tua anarchia la porti dentro tutta la vita anche se pur-
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8
troppo, con l’avanzare degli anni, il tuo piede lo devi pur calzare
da qualche parte, magari ti sta un po’ stretto e sono solo cazzi
tuoi, questo non è il mio caso perché finora non sono mai scesa a
compromessi, ma temo che arriverà il momento). I miei film li vivo
da dentro, mi scorrono nelle vene, voglio quindi raccontarli in prima persona e viverli da protagonista: io filmo la mia vita. È inutile
che faccia la cineasta del presente, come dico sempre: “Io sono cinofila, non cinefila!”. Amo i cani più del cinema, infatti il mio rapporto con il cinema nasce per caso. Direttamente dalla strada mi
sono trovata a fare la selezione al corso di filmmaker alla Civica
Scuola del cinema di Milano, e mi hanno pure presa. “Voglio esprimermi!” ho detto ubriaca, tutta piena di catene e orecchini.
Ma forse è meglio andare un po’ più indietro. A diciott’anni me
ne andavo da una famiglia borghese che mi stava stretta, non solo
perché mi voleva chirurgo plastico come lo erano tutti in casa, e
neanche perché da poco era morto suicida mio padre, infatti gli
orecchini e i capelli colorati li avevo già da tempo, diciamo che
quella è stata la molla. Insomma dai diciotto in poi inizia il periodo
più bello, anarchico, inenarrabile e incosciente della mia vita.
C’era il triangolo: dagli squott a Londra al carnevale alle Canarie,
di nuovo a Londra poi in Italia e ancora a Londra. Non entro nel
dettaglio di quello che si trasportava, ma si viveva alla grande, i
soldi bastavano sempre e ci si spaccava di risate. Se volevamo una
casa ce la occupavamo, a Londra se sei disoccupato ti danno pure
il sussidio. Insomma quella era la mia vita: fare un cazzo, divertirmi
e buscarmi a vida giorno per giorno. Una bella notte al compleanno del mio ragazzo a Londra, in ketamina persa, vedo un fiume e
mi tuffo... Era la Brixton Hill, una specie di superstrada a quattro
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corsie... Mi falcia uno di quegli autobus rossi a due piani ma, dato
lo stato di anestesia dovuto alla ketamina, rimbalzo come una pallina e rimango illesa, superando tutte le emorragie, interne ed
esterne, il rischio di una paresi al 90 per cento e pure l’epilessia.
Un miracolo... Mentre quella santa di mia madre mi pettinava i
lunghi capelli neri, perché per un mese sono rimasta in sedia a rotelle senza riuscire a muovere granché, le infermiere di colore venivano al mio capezzale a toccarmi come fossi miracolata. Il giorno
dell’incidente era la festa del papà, io non ci credo molto nell’aldilà ma sicuramente lui voleva dirmi: “Adesso muovi il culo e fai
qualcosa di grande!”. Appena tornata a Milano ho scelto, a caso,
il corso di filmmaker della Regione. Così inizia la mia carriera cinematografica. Sicuramente in qualche modo dovevo dare sfogo alla
mia innata voglia di esprimermi. Da qui nasce la mia idea di cinema: io filmo la vita e non c’è miglior attore che interpreti se stesso;
la vita è un grande film dell’orrore, non c’è bisogno di impegnarsi
troppo per raccontare delle storie. A me piace dar voce alla gente
che sta ai margini, così ho iniziato a fare due documentari che raccontano le mie giornate con i cosiddetti punkabbestia in kascina e
la mia esperienza con una tribe che organizzava rave party. Un
giorno morì il mio ex ragazzo... Il bollito, che aveva iniziato a farsi
quando l’avevo lasciato, fu purtroppo stroncato da un’epatite fulminante. La mia prima reazione fu quella di mollare tutto un’altra
volta, e qui devo dire che se non ci fosse stata Marina Spada a
spingermi a finire i documentari e dedicarli a lui non sarei qua. Nel
frattempo questa voglia di ricordarlo era cresciuta a tal punto che
avevo iniziato a scrivere un film partendo dalla testimonianza del
suo migliore amico, Zanna. Con lui ho passato molto tempo, più
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di un anno, per elaborare il lutto del mio ex ragazzo, per capire,
per non dimenticare. Così nasce Fuori vena, dall’incazzo, dalla
rabbia, dalla mia ignoranza, dalla voglia di raccontare tutto: nudo
e crudo. Le cose bisogna dirle come sono, la realtà è lì, perché velarla, perché patinarla? Tanto la vita non è mai a lieto fine. La libertà è un bene prezioso, non bisogna sottovalutarlo mai, ecco
perché filmo la vita. Il mio è un cinema libero.
Alla sceneggiatura ha partecipato la scena underground milanese
che, conosciute le mie intenzioni, si è fatta viva. Siccome ero punk
ho incontrato, ubriaca fradicia, Marco Philopat (punk dal settantasette, come Giovanni Rana fa i ravioli dall’ottanta), il quale mi ha
dato il primo calcio in culo: “Vai e scrivi!”. Il secondo passo è stato
il contatto con Franz Scarpelli (soprannominato da mia madre “l’inquietante lupo mannaro” per via del capello ribelle e della pronunciata sporgenza dell’occhio e del naso) che aveva appena sceneggiato il film Fame chimica. Con lui è stato amore a prima vista, per
la prima volta lui scriveva un film vero senza censure, con una regista vera, senza cliché. Per un anno abbiamo collaborato alla stesura
del testo, nonostante le mie frequenti e inquietanti deragliate. Abbiamo deciso da subito che io sarei stata la protagonista insieme a
Zanna e tutti gli attori li avremmo scelti fra i miei amici, fattoni e
non; non volevamo assolutamente attori professionisti o pseudoprofessionisti. La prima stesura di Fuori vena era di duecento scene,
peggio di Apocalypse Now! e La corazzata Potëmkin con carrozzina
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annessa... A quel punto, grazie all’entusiasmo di Marco, Marina,
Franz e Francesco Galli, allievo di Luca Bigazzi che appena letta la
sceneggiatura esclamò: “Questo sarà il mio primo film da direttore
della fotografia!”, si comincia a costituire la troupe con alcuni elementi provenienti dal set di Forza cani, un film autoprodotto con la
regia di Marina Spada che era appena terminato. Per quanto riguarda i finanziamenti mi appello alla facoltà di non rispondere. Potrei dirvi che abbiamo organizzato degli illegal strepitosi e... lasciamo stare... Il set è stato un delirio. Regista strafatta di speed per
non dormire, di oppio per dormire, ma non c’era il tempo per dormire e quindi speed e basta con annesso esaurimento nervoso ed
endovena di valium da parte di mia madre medico... Attori: fatti e
strafatti e rifatti, vai ad acquistare la dose, la dose non basta, chiudi
il protagonista e i due soci a doppia mandata in attesa di Abdul il
pusher. Collassi sul set, truccatrici che piangono e mollano il colpo,
svenimenti di fonici al ciak, deliri di onnipotenza tra ketaminoidi,
crackomani e impasticcati, tossici che escogitano travestimenti da
teatro per chiedere più volte il salario, mendicanti sloveni zoppi che
per due euro fanno le comparse, vecchi in mutande tra i campi che
per una birra venderebbero la moglie, simposi dell’assurdo tra la costumista e uno Zanna convinto di essere Giorgio Armani, polizia
che interviene e non sa chi denunciare fra spade, bottiglie rotte, cani ringhiosi, tossici intrippati con teneri bonsai, iguane non troppo
addomesticate, ognuno con la sua stronzata di hobby da esibire.
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Alla fine siamo rimasti in cinque... Dopo l’esaurimento è iniziato il
calvario del montaggio. Settanta ore di girato senza capo né coda,
senza ragione, senza senso, un casino... Chi potrà mai montare
“Kascina Vianello” rendendola un film? Manuel Donninelli: skonvoltone playboy? Ex skonvoltone con figlio a carico? Alcolista anonimo? Neurodeliri? Non importa. Ciò che più conta è che solo lui
poteva riuscire a dare un senso al caos di Fuori vena senza buttare
tutto il girato nel Naviglio. Epilogo: il cuore della regista è diviso in
due. Parte sinistra Galli, parte destra Donninelli, ognuno conosce i
suoi meriti.
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A questo punto chi poteva realizzare la campagna pubblicitaria
più folle per ben rappresentare la fattanza del progetto? Il grafico
Antonio Boni, detto anche il “Generale” dopo trent’anni di militanza tra i flippatoni del Parco Sempione, il quale dopo aver visto
il film esordì: “Ma perché vuoi fare ‘sti cazz di filtrini come Fame
chimica? Questo è un film vero! Facciamo una cartolina con lo
specchio per pippare...”. E poi manifesti siringati, cappellini e magliette griffati Fuori vena, ricercatissimi da tutti i tossici meneghini,
adesivi inneggianti a Kate Moss, Paolo Calissano e Lapo Elkann.
Per l’uscita del film subentra il capo dei fulminati: Gianfilippo Pedote. Non si direbbe mai dal capello brizzolato, dalla sciarpina di
cachemire e l’erre moscia, ma quando l’ho visto per la prima volta
ubriaco ho capito per quale motivo lottasse così accanitamente
per il mio film: un mostro inenarrabile! La selezione di Locarno
s’impietosì vedendo un vecchio alcolizzato con le mani sudate lanciare sul bancone della giuria alle 18.05 una busta un po’ unta
contenente il nostro nastro. La dead line era alle 18.10. La giuria
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di selezione a quel punto fu incuriosita da Fuori vena. Accettò l’ultima pazzia di Gianfilippo. Se lui non avesse fatto questo io sarei
uscita di scena all’istante.
Fuori vena a Locarno: 1) Madre di Tekla entusiasta che affitta villa
sul lago e si ritrova con l’ufficio di igiene alla fine della festa di presentazione del film, causa spade fiale cucchiai e cocci di vetro
sparsi per la casa. 2) Sul palco per la presentazione della prima, Tekla chiede un paio di occhiali da sole per mascherare la fattanza
del protagonista, Zanna, che preso dall’emozione li spezza in due
come un grissino. Il tossico ripreso in mondovisione con bava annessa e pupille a spillo. Infine, grazie alla Madonna, a santa fiala e
santa busta, standing ovation alla fine del film... 3) Festa trash con
Cyberone diggei e sgombero immediato all’una, orario svizzero...
Nonostante la critica impeccabile e articoli da paura, nessuno si azzarda a distribuire il film. Nelle poche sale dove viene trasmesso le
standing ovation continuano all’infinito e, grazie ancora a Gianfilippo, vince Sulmona, Bari, viene presentato all’antifestival di Venezia
ed entra nella categoria d’essai... Io sono un disastro di donna però
sono riuscita a finire un film e portarlo nelle sale. Scusate gli insulti
ma vi amo tutti e accetto le conseguenze.
Dicono che mi faccio più di prima, ma al momento ci sto dentro e
tento persino di scrivere il secondo film, ispirato, come sopra, alla
mia vita: Obrigado Brasil, la colorata novella del mio grottesco arresto in Brasile.
Alla prossima, bai bai...
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FUORIVENA
La vertigine
artistica
Franz Scarpelli
Tekla non è una persona facile, tutt’altro, ma al di là di certi
aspetti caratteriali quasi insopportabili ho trovato in lei pregi impagabili, in virtù dei quali siamo diventati grandi amici e mi sono
sforzato di lavorare con lei in situazioni faticosissime. Non riesco
mai a dirle di no e lei trova sempre la maniera di coinvolgermi, mi
fa sentire indispensabile ai progetti che anche ora sta cercando di
realizzare.
Quando collaboro con Tekla sento di trovarmi davanti a un talento
particolare, anche se spesso si alimenta di autolesionismo e drammaticità e questo rende molto difficile l’intero processo: è una testimone poetica del nostro contemporaneo, perché alla vita si
concede tutta, con il suo maledetto modo di essere. Così facendo
Tekla arriva molto vicino alla verità; parlo di verità artistica, non mi
importa la cifra realistica o la verosimiglianza rispetto al contesto.
Questo scarto è ciò che mi interessa di più nella mia ricerca, quello
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tra verità universale, verità interiore, quindi condivisibile, e capacità di rappresentare una storia in maniera lucida e pungente, spingendosi oltre quello che altri, magari più bravi a raccontare in maniera lineare e ordinata, non riescono a fare.
Tekla tocca con una sensibilità incredibile quella vertigine artistica
che provoca forti emozioni in tutti noi. Sono poche, pochissime, le
persone in grado di farlo, soprattutto nel campo della cinematografia italiana.
Io ho cominciato a scrivere molto presto, ma si trattava di sperimentazioni personali e molto intime. Provai anche con la pittura:
mio nonno era uno scultore, anche se lui si definiva un semplice
artigiano; da bambino frequentavo il suo studio e le mie prime urgenze espressive le affrontai attraverso la pittura. Subito dopo il liceo ho iniziato a scrivere collaborando con alcuni quotidiani. A
quel punto mi sono impossessato del mestiere in modo più consapevole. Ho poi lavorato in un’agenzia pubblicitaria come precario,
una costante della mia esistenza. La scrittura è diventata così l’unico sbocco per la mia volontà espressiva, soprattutto tramite la stesura di poesie, ancora a un livello un po’ rozzo.
A ventiquattro anni ho incontrato Mariangela Gualtieri, la poetessa, attrice e drammaturga della compagnia del Teatro della Valdoca: per me è stata una vera maestra, un incontro che ha cambiato
la mia vita e il mio modo di intendere la scrittura.
Mariangela mi ha reso cosciente del valore intrinseco degli autori
che già amavo senza essere in grado di capire il perché, mi viene
in mente Rimbaud, ma anche Céline, Campana, Genet, Pasolini e
Ballard; ho imparato a prendere da quelle letture ciò che poteva
servirmi per continuare un particolare percorso di studio.
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Da allora nella scrittura, e in qualsiasi altra dimensione espressiva,
mi interessa la capacità che hanno alcuni autori, i più grandi, di
approssimarsi a un vero che ovviamente non è una cifra rispetto
alla realtà fenomenologica o rispetto alla spiritualità, che io non
sento e non riconosco in termini religiosi: è un vero di condivisione, di commozione, come dicevano i latini, il che non significa lacrime ma, etimologicamente, “muovere con”.
Rimbaud diceva che il poeta è colui che ti porta alla vertigine dello
sbando, ti accompagna alla soglia di un baratro di fronte al quale
ti si mozza il respiro. Ecco, questa verità mi ha sempre acceso e
scaldato l’animo. Per intravederla è necessario guardare in faccia
questo baratro, conoscerlo, studiarlo, entrare in sintonia con la
paura di caderci dentro.
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Paul Celan scriveva che il poema è in solitario cammino, un cammino verso un altro, cioè da chi si esprime a chi lo recepisce, ma
soprattutto è inerente a se stesso.
Un discorso analogo vale anche nel campo della recitazione, dove
si parla di “verità emotiva”, cioè quella verità che, a prescindere
dalle spiegazioni razionali, è condivisibile da due persone e si
esprime solamente se l’autore si mette veramente in gioco, se pesca davvero da una sua memoria biologica, o biografica, chiamala
come vuoi. Gli autori che amo, e che ho imparato ad amare ancora di più dopo l’incontro con Mariangela, sono stati in grado di arrivare a quel punto e lo hanno fatto perlopiù attraverso la loro
esperienza diretta. Chi con problemi esistenziali profondi, chi per-
seguitato per questioni politiche, chi con la sessualità, chi con l’etica e chi con la dipendenza dalle droghe.
Anch’io sono stato tossicofilo per molto tempo, ho avuto una dipendenza alcolica abbastanza pesante, dalla quale per fortuna sono uscito. In questo mi sono sentito molto vicino al tipo di immaginario che Tekla esprimeva, anche dai primi incontri.
Le droghe per me sono state importantissime, anche perché vengo
da una famiglia cattolica e in parte conservatrice: per me sono state una sorta di palestra di libertà e trasgressione. Nella misura in cui
hanno una funzione attiva nella percezione psichica, le droghe
aprono a modalità espressive che non sono per niente scontate.
Consentono strumentalmente di avvicinarsi a quel baratro di cui
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parlavo prima. Il discorso però è “peloso”: avendo fatto un percorso di uscita da un meccanismo di dipendenze, mi sono reso conto
che lo strumento delle droghe, pur se utilissimo, può essere anche
molto limitante. Faccio un esempio letterario, Hemingway: quando
ha travalicato nel consumo di alcol, andando oltre a un certo limite, che è solo suo e di nessun altro, ha smesso di essere uno scrittore interessante. Viceversa ci sono personaggi per i quali quella
pratica era o è assolutamente necessaria: Fassbinder, Schifano e
Manzoni, Piero Ciampi, Amy Whinehouse, Tekla...
Ho iniziato a scrivere sceneggiature all’inizio degli anni novanta,
con Fame chimica nella versione del corto e poi per il lungometraggio, un progetto collettivo con i due registi Paolo Vari e Anto-
nio Bocola, e poi con tutti gli altri che si sono aggiunti. Nel frattempo ho realizzato soggetti e sceneggiature per altre fiction, documentari, brevi e molto altro, ricercando sempre tali condizioni.
Quando tramite la scuola del cinema mi hanno presentato Tekla,
lei mi ha messo in mano un soggetto di circa tre pagine, molto
asciutto... Una cosa minimale, che però io ho avvertito subito come vero, nel senso che dicevo prima, e quindi lo sentivo affine alla
ricerca sulla quale ero e sono impegnato tuttora. Questa inerenza
a se stessa, questo mettersi in gioco di Tekla, mascherando la
drammaticità dei fatti con inserti fantasiosi e immaginifici, sono
state le principali ragioni che mi hanno convinto a impegnarmi nel
progetto di Fuori vena. La pratica di scrittura con lei si è inerpicata
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in una serie di litigi ed è diventata presto un terreno di scambio
anche conflittuale ma sempre molto stimolante per entrambi. Non
avevamo le stesse idee su molte cose, per esempio sulle dipendenze, però il tutto si è risolto perché in qualche misura siamo stati
onesti e attenti l’uno all’altro. Eravamo concordi sul provare a lavorare e a ritrarre, con tutta l’ironia e con tutte le iperboli del caso,
con estrema attenzione al contesto che andavamo a raccontare,
immergendoci quasi totalmente in quella realtà. Ecco spiegato il
motivo per cui abbiamo deciso di lavorare con i tossici veri e comunque con attori non professionisti, personaggi costruiti su persone che esistevano davvero. Una precisa scelta stilistica: essere rispettosi e fedeli al contesto narrato, non tanto per ripercorrere gli
schemi del neorealismo quanto per incamerare ciò che ci serviva.
In una frase celeberrima, Cesare Zavattini sosteneva che gli sceneggiatori dovrebbero andare a lavorare in tram, in altre parole
esercitare una preziosa pratica di osservazione e ascolto, una tensione che io e Tekla sentiamo e siamo forse riusciti a esprimere.
Non ci siamo messi a inseguire il linguaggio dei tossici come in
una mimesi, ma abbiamo voluto ritrarre quelle situazioni intorno
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all’eroina o alla cocaina partendo dai dettagli e su quelli abbiamo
lavorato a lungo. Le dinamiche della piazza sono diventate essenziali: lo smercio, il consumo, le strampalate teorie, i sogni e gli incubi dei tossici... Il dettaglio è universale, chi riesce a rendere con
precisione un insieme di dettagli riesce a trasferire emozioni che
sono comprensibili anche a chi non è e non è mai stato un tossico.
Su argomenti così spinosi è rarissimo ottenere questa semplicità in
termini di scrittura, di realizzazione cinematografica e di processo
espressivo e artistico in generale. Secondo me Fuori vena è un ottimo film proprio per questa ragione.
FUORIVENA
Se si drogasse di meno...
Marina Spada
Insegno alla scuola civica del cinema di Milano dal 15 novembre
1993. Vi chiederete perché sono così precisa. Innanzitutto era il
giorno del mio trentaseiesimo compleanno, poi ricordo che all’uscita, mentre stavo attraversando la strada, arrivò un’auto dei
carabinieri a tutta velocità senza sirena e con i fanali spenti. Non
so come, riuscii a dare un colpo di reni all’indietro per evitare l’investimento... Mi venne un colpo e per quasi una settimana ho
raggiunto la scuola trascinandomi... Alle volte mi viene da pensare
a una specie di forza del male che mi si stava abbattendo addosso
per recidere sul nascere la mia voglia di insegnare. Schivata la
morte, capii che in quella scuola il mio percorso era ormai tutto in
discesa.
Nella mia prima classe c’erano sette ragazze e un ragazzo; essendo una scuola pubblica che non costava molto (ancora oggi è così,
pur tra mille difficoltà) era frequentata soprattutto da giovani di
estrazione proletaria, gente assai motivata che voleva imparare
FUORIVENA
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davvero un mestiere. Come oggi, insegnavo produzione, cioè:
tempi, modi e danari. Era un corso serale che durava tre anni e
quindi avevo tutto il tempo necessario per seguire i miei studenti e
stabilire una relazione. Gli studenti avevano tra i diciannove e i
ventisette anni e fra loro svettava una tipa vestita da cubista.
Quando le chiesi perché si presentava da noi, disse con onestà disarmante che era venuta per imparare un lavoro e guadagnarsi da
vivere. Pensai: questa non ha velleità per la testa, non ha messaggi
da mandare, vuole solo imparare un mestiere... Perfetto! La presi
al volo. Da allora gli studenti che vogliono iscriversi sono aumentati, a ogni inizio d’anno devo tenere colloqui con decine e decine di
ragazze e ragazzi che vogliono iscriversi e per forza qualcuno viene scartato. In quei giorni divento intrattabile, perché devo decidere il destino degli altri e non è una bella posizione... Il cinema
crea tante aspettative e qualcuno si presenta al colloquio con la
convinzione di varcare la soglia che lo porterà dritto dritto all’Oscar o all’“Isola dei famosi”... Bisogna diventare psicologi dell’istantaneo e molte volte si rischia di sbagliare. Ma il lavoro sporco
qualcuno lo deve pur fare...
Nel corso degli anni sono passati tutti i generi di giovani dalle periferie di Milano, la filiera dei pugliesi, quella dei veneti, dei siciliani e
da qualche anno anche molti albanesi, iraniani, marocchini e brasiliani. La nostra scuola rappresenta una grande occasione per i giovani anche perché abbiamo tanti corsi: produzione, regia, montaggio, fotografia, animazione e sceneggiatura, e in più facciamo formazione sia cinematografica che televisiva. Un giorno del 1999,
fra i tanti studenti, è arrivata Tekla, che poi ha parcheggiato nella
nostra scuola per quattro anni... Figlia punk strafika di straricchi, la
FUORIVENA
prima volta che l’avevo vista era accovacciata e avevo notato solo il
suo culo, un gran bel culo praticamente scoperto con le due chiappe divise dal filo interdentale del perizoma nero e un grande tatuaggio. Frequentava dapprima il corso serale di Filmmaker dove
aveva realizzato un lavoro molto originale sugli animali. Il secondo
anno s’era iscritta a regia ma l’anno dopo, in cui avrebbe dovuto
frequentare ancora lo stesso corso, si era deciso, considerata la sua
folle volatilità, di passarla al corso di produzione per farle mettere i
piedi per terra: avrebbe dovuto imparare a organizzare il lavoro,
come far lavorare gli altri e come utilizzare al meglio il denaro e il
tempo. Non era certo una secchiona, si presentava in classe una
volta su sei... In Fuori vena c’è una scena in cui urlo come una bestia contro di lei e i suoi mitici ritardi, ed è un numero che si è ripetuto nella realtà un mucchio di volte. Eppure non riuscivo mai a incazzarmi veramente con lei... Avevo capito fin da subito che aveva
talento ma che era anche totalmente priva di una qualsiasi forma
di autodisciplina. “Il talento senza disciplina equivale al nulla” le
dicevo ogni giorno... Tekla è una persona dalla grande fantasia,
molto spiritosa, ironica, scrive dei bellissimi dialoghi in slang metropolitano pieno di sentimento e di vita che scorre. Però ha una smania pazzesca di riconoscimento, di rispetto, anche di amore, e nel
suo film tutto ciò si vede eccome... Alla fine del secondo anno ha
avuto l’occasione di fare per Filmmaker il suo primo corto, Sbokki
di vita, che poi non era affatto un corto ma un lunghissimo documentario visionario sui suoi amici punk traveller e raver... Fu seguita da due docenti della scuola, Tonino Curagi e Anna Gorio, che
riuscirono, non so come, a insegnarle i primi passi da regista. L’anno dopo, ormai il terzo anche se il corso era già finito, s’era pre-
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FUORIVENA
sentata i primi giorni dicendo che era morto il suo ex fidanzato.
Voleva mollare tutto, scuola compresa... Le avevo consigliato di
non fare una cazzata del genere, anche perché mi sembravano
due questioni di ordine diverso, la scuola e la morte dell’ex fidanzato, e quindi le ho detto: “Il modo giusto per affrontare un dolore così grande è quello di fare un film proprio su questa lacerazione”. Così, per elaborare il lutto, era partita al volo nella scrittura di
un film sulla sua storia tragica. Si fece aiutare da Franz Scarpelli (fu
spedita da lui, da un volontario, un santo laico che sa come manovrare il vaso ming), lo sceneggiatore di Fame chimica, con cui andò
immediatamente molto d’accordo. Mentre scriveva il film e rompeva le palle a tutti per cercare consigli utili per la sceneggiatura, io
avevo avuto alcuni problemi nel rinnovo del contratto da docente
ed ero rimasta a casa qualche giorno per protesta; accorgendosi
della mia assenza Tekla, senza pensarci troppo, aveva chiamato
qualche amico, radunato una mandria di cani e occupato la presidenza in mia solidarietà. Fantastico... Tanto per farvi capire chi è
Tekla!
Credo che il suo pregio sia stato quello di riuscire a far lavorare come attori i suoi giovani amici tossici, o meglio politossici. Tekla sa
essere molto generosa e riesce a risvegliare l’interesse delle persone, quindi è riuscita a far sì che la troupe di Fuori vena fosse molto
motivata, nonostante i problemi legati al consumo di tutta quella
droga. Molti di coloro che avevano ruoli nella produzione o in altri
FUORIVENA
settori non ce la facevano e disertavano, ma lei era capace di trovare in poche ore un sostituto altrettanto volenteroso per rimpiazzare le perdite che via via il set subiva... Una volta finite le riprese,
nella fase di montaggio è iniziata una vera crisi. Aveva centinaia e
centinaia di ore di girato caotico e dargli forma non era facile. Lì è
stata caparbia davvero e alla fine ha trovato e stressato per un anno intero la persona giusta, Manuel Donninelli, l’unico in grado di
arrivare ai livelli di sconvoltura necessari a dare un senso a tutto
quel materiale. Così è uscito Fuori vena, un film ben fatto sulle
nuove droghe del 2000, ironico e drammatico nello stesso tempo
e soprattutto vero. Solo Tekla avrebbe potuto farlo così reale, semplicemente per il fatto che lei con quell’ambiente aveva una rela-
zione molto forte e radicata. Durante gli anni di scuola ebbi l’occasione di comprendere le caratteristiche del suo talento, come e
dove viveva, com’era la sua famiglia, chi erano i suoi amici, i primi
lavori che aveva realizzato, il dramma di suo padre; l’incidente che
aveva avuto a Londra mi ricordava quello che rischiai io il primo
giorno da insegnante, iniziai così a credere in Tekla e capii in fretta
la sua genialità e il suo spessore che mi ricordava quello di Nan
Goldin, la grandissima fotografa americana che documentando la
sua vita ha realizzato una testimonianza che è anche un’opera artistica straordinaria. Per tutto questo io vorrei che Tekla andasse
avanti. Se si drogasse di meno e andasse in analisi sarebbe sicuramente capace di fare un film ancora più bello.
FUORIVENA
Fuori di Tekla
Massimo Zamboni
Stazione di Bologna
“Ciao Zio Max u finalmente ti conosco eh! minch è il tuo che suona o! devi dirmi tutto eh? no ma era il mio forse che se non ti
quadra dillo tra un po’ vado in brasile eh dillo pure due palle sti
treni sii spietato lì ci divertiamo veh allora cosa dici secondo me io
sto bene io sto male è giusta però dì tu azzzz mi’ cosa suona quel
coglione così ci sono io non so come stare sì ah è forte urla è oh
ma c’hai dei consigli da dirmi cosa guarda quello o! cosa guardi?
non vado bene? è quasi finito”
Rompiti le palle rasati i capelli riempiti di borchie CREPA
Telefono di casa
“Oi zio sì sono io io chi io la Tekla la regista o ci siamo senti un po’
la tekla eh? hai capito chi eh max teklamina chiocciola ecc e punto it ti ho chiamato però mi’ devo già andare ti chiamo eh ci”
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Rasati le palle riempiti i capelli rompiti le borchie CREPA CREPA
Telefono portatile
“Subito era Sbocchi di Vita con le cappa cioè si deve dire sbokki,
sbocchi eh? però poi l’ho chiamato Fuorivena, staccato eh, Fuori
vena, ti piace di più no dillo pure vai tranq se ti piaceva di più però
ho deciso comunque in brasile ci pensiamo adesso stacco forte oh
nonstudiononlavorononlaguardolativu vai zio quell’altro là si è bevuto il cervello eh?”
Riempiti le palle rompiti i capelli rasati le borchie CREPA CREPA
CREPAAAAAAA
FUORIVENA
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Raccomandata con ricevuta di ritorno
Bologna 4/09/03 - Gentile Massimo Zamboni, Le invio come richiesto da G.C., tramite il mio produttore A.M., la cassetta vhs del
mio documentario: SBOKKI DI VITA, dove ho utilizzato le musiche:
IO STO BENE dei CCCP - E TI VENGO A CERCARE dei CSI per avere la sua approvazione. Grazie e buona visione.
Cordiali saluti, Tekla Taidelli.
Adesso sì che mi preoccupo davvero. Oh Tekla!
Mica starai male, eh?
FUORIVENA
Zanna, il Robert De Niro
degli eroinomani
Marco Philopat
Se provate a digitare la parola “drugs” su YouTube vi appariranno
circa 60.000 video; ho passato un paio d’ore guardandomene un
po’ e non ho trovato niente di interessante. Il primo della lunga lista, con più di otto milioni di visualizzazioni, riporta gli esperimenti
su alcuni ragni a cui vengono somministrate diverse sostanze stupefacenti di cui si registrano gli effetti: si tratta di un vecchio documentario realizzato negli anni sessanta. Il secondo è un videoclip live dei Talking Heads del 1980 in cui eseguono il loro brano intitolato Drugs, il terzo, Drugs Make You Ugly, è invece il capostipite di
molti altri video che criminalizzano in maniera talvolta imbarazzante chi usa additivi illegali. Riponevo le mie speranze nei video realizzati dai consumatori stessi – quando si vuole parlare di un argomento così scivoloso è necessario essere degli esperti in materia –
ma purtroppo i rari tentativi che ho trovato sono realizzati da chi
non ha molta dimestichezza con gli audiovisivi e quindi sono pro-
FUORIVENA
duzioni generalmente noiose e a volte quasi patetiche. Se da quello che offre YouTube si passa ad analizzare rapidamente il rapporto
tra droga e lungometraggi nell’ambito cinematografico ufficiale, la
questione non cambia affatto. A mio parere i buoni film sulle droghe sono non più di una decina. Christiane F., Drugstore Cowboy,
Trainspotting e Paura e delirio a Las Vegas sono i più noti, tra l’altro tutti tratti da romanzi già ben riusciti. In Italia l’unico film decente è indubbiamente Amore tossico di Claudio Caligari, che ne è
anche sceneggiatore insieme a Guido Blumir. Uscito nel 1983, utilizza un linguaggio neorealista e il cast è composto da attori non
professionisti, la maggior parte dei quali veri tossicodipendenti. In
venticinque anni, nonostante il tema delle droghe sia rimasto sem-
pre di grande attualità, nessuno è riuscito più a rappresentarlo degnamente. Questa voragine è stata finalmente superata. Il film di
Tekla ha molte affinità con Amore tossico: i non-attori più veri della realtà raccontata, l’autonomia produttiva e lo sguardo interno
sono caratteristiche di entrambi, ma Fuori vena è anche un lavoro
pensato e realizzato con un linguaggio assolutamente originale,
che riesce a competere con le migliori ricerche nel campo della comunicazione contemporanea. Fuori vena è senz’altro un lavoro importante, sia dal punto di vista cinematografico – è capace di commuovere, di far riflettere e divertire – sia dal punto di vista storico,
in quanto documento generazionale, artistico e underground. Una
straordinaria panoramica sulla vita dei giovani consumatori metro-
FUORIVENA
politani del nuovo millennio, raccontata con taglio ironico e allucinato. Fuori vena è un lungometraggio che entra di prepotenza sul
palcoscenico internazionale.
I titoli di testa scorrono sulle immagini del Virus, nella prima scena
una Tekla bambina si avvicina incuriosita ai virusiani e sua madre la
redarguisce: “Non ti avvicinare, che sono dei drogati!”. Si tratta di
un omaggio all’immaginario di riferimento, Tekla infatti prende
più di uno spunto dalla poetica punk: l’autolesionismo, la disperazione e la disillusione ma anche il carattere spregiudicato, anti
ideologico e il selvaggio desiderio di ribellione. La droga è intesa
come un mezzo per liberarsi dalla gabbia del conformismo, per
avere più grinta possibile, per dare una spinta in più alla propria
creatività e infine per non mollare. Per non lasciarsi andare all’unica frontiera che Tekla decide di non superare. Al di là di quella linea c’è solo Zanna, il vero protagonista del film, il “fuori vena”
sbagliato che fa dell’eroina la sua unica ragione di vita. Zanna, il
Robert De Niro degli eroinomani, è il personaggio ideale per farci
capire le motivazioni più profonde che spingono un tossico ad
amare l’eroina già dal nome, come lo stesso Zanna ci dice durante
la prima passeggiata e subito dopo la colazione iniettata: “Eroina... Che cazzo di nome!”. Il primo uomo “regolare” che incontra
per strada vorrebbe massacrarlo di botte, e in sogno lo scaraventa
per terra, lo riempie di calci per poi ritornare alla cruda realtà e al-
FUORIVENA
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la solita grattatina alla palla destra: “Fatto, fatto come un culo anche oggi... Mi sento tutto unz tunz tututunz tunz...”. Il rapporto
d’amore tra Tekla e Zanna si sviluppa in episodi drammatici ed esilaranti, con annessi gli archetipi dell’ambiente tossico. Barabba, il
veterano che può spararsi in vena di tutto senza mai collassare, il
gatto e la volpe tentatori, i miraggi di una nuova vita, le surreali
passioni del junkie, come quella dello stesso Zanna, flippato per i
bonsai. Dall’altra parte i traveller e i punk con i loro ritmi stralunati, le fabbriche abbandonate, i megacamion, i branchi di cani, i
furti di alcol e benzina. Fuori vena è una fotografia con l’autoscatto delle diverse forme di dipendenza dalle droghe, ci mostra il disorientamento dei giovani, il loro onnivorismo politossico, e sottolinea come le sostanze siano ormai penetrate in ogni strato della
nostra società. Memorabile la scena in un prato ai margini della
città in cui una fila di scoppiati, belli e brutti, ricchi e poveri sono
costretti a stare allineati e subirsi piccole frustate dal magrebino
amico del pusher. Sclack! Sul punkabbestia. Sclack! Sull’uomo
pettinato in giacca e cravatta. Sclack! Sulla ragazzina sfatta.
Sclack! Sulla fotomodella in tacchi a spillo. Eppure, in questo contesto caotico, la storia tra Tekla e Zanna ci appassiona, e prima di
noi spettatori appassiona loro stessi, che per qualche tempo credono davvero che l’amore possa salvarli.
Tuttavia ciò che più colpisce di questo lavoro è il linguaggio visionario, che utilizza rapidi collage simili a videoclip musicali. Il geniale e
frenetico montaggio di Manuel Donninelli è il collante di una miscela pronta a esplodere sullo schermo. I profili psicologici dei due
protagonisti sono descritti con l’utilizzo di brevi flashback: la madre
FUORIVENA
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superprolet di lui, la falsità della famiglia borghese di lei, la prima
pera, la tinta viola ai capelli per shockare il padre. I dialoghi sembrano naturali e invece sono frutto di un lungo studio, grazie allo
sceneggiatore Franz Scarpelli. Gli inserti come spot pubblicitari su
come cucinare il crack, la colonna sonora appositamente composta
e in parte realizzata con brani cult dell’underground musicale; l’uso
della macchina da presa agile e spregiudicato, i costumi iperrealisti
o surreali che utilizzano icone pop, come le maschere in lattice dei
Simpson, e infine gli attori, talmente fulminati da non accorgersi
nemmeno della telecamera. Sono questi gli elementi principali con
cui la regista e i suoi amici “senza pelle” ci raccontano il loro mondo in Fuori vena. “Un mondo crudo, elementare, inesorabile, forse
disperato ma più vitale e autentico di tanta insopportabile e paludata società civile”, ci dice Tekla stessa.
FUORIVENA
Amore tossico
Guido Blumir
La sceneggiatura di Amore tossico iniziò con una serie di incontri
tra le borgate romane per raccogliere testimonianze utili per la
scrittura di una sceneggiatura. Inoltre, come in Fuori vena, in quell’occasione tra i veri tossici si trovarono anche gli attori non professionisti. I due film sono entrambi ritratti lucidi e senza veli di
una realtà che di solito viene rappresentata in maniera superficiale
e criminalizzante ma, a parte il tema, l’intento e la scelta degli attori, questi due lungometraggi sono pressoché imparagonabili, a
partire dal contesto storico rappresentato. Amore tossico è un film
triste con un taglio quasi documentaristico, mentre Fuori vena assomiglia più a Trainspotting, una vera trama raccontata con toni
drammatici ma anche con una certa ironia.
Nel nostro film avevamo tempi stretti per esigenze di produzione,
mentre Fuori vena, essendo autoprodotto, si è potuto realizzare
con la dovuta calma. Ma quello che li differenzia sono soprattutto
le epoche che raccontano, davvero molto lontane una dall’altra.
FUORIVENA
42
Nel nuovo millennio le probabilità di morire per overdose e simili
sono molto più rare. Quello che è cambiato da allora è che sono
state fornite a tutti gli ospedali italiani, anche ai più piccoli, le medicine che salvano dall’overdose, per esempio il famoso Narcan.
Per anni hanno girato lungo le strade delle grandi città camper
con medici e infermieri sempre pronti a somministrare il Narcan a
chi rischiava di collassare. Nei primi anni ottanta la violenza sociale
contro i tossici era più pesante, era mille volte più difficile trovare
persino le dosi di metadone, c’erano pochi Sert, un vero disastro.
Nei vent’anni successivi si è costruito un sistema che conta quasi
seimila operatori nei diversi Sert e ci sono centinaia di altre realtà
simili. Amore tossico fu preparato e girato nel 1982, ora se vai
nelle borgate dove allestimmo i nostri set trovi vetrine, soldi, macchine, ricchezza ovunque; è tutto diverso: allora la gente era nella
merda, nel penultimo girone dell’inferno, adesso quel sottoproletariato ha fatto i soldi, magari proprio con il mercato dello spaccio
o con quello paracriminale, gli scenari narrati nel nostro film non
esistono più. Fuori vena racconta tutt’altra storia, le periferie sono
più lontane, situate nell’hinterland e forse ancora più disperate, le
droghe sono ormai molteplici, non ci sono solo l’eroina e la cocaina, e infine i soggetti, come si vede molto bene in alcune scene,
provengono da ogni classe sociale. Gli attori di strada ci narrano
questa storia interpretandola come nessun altro avrebbe saputo
fare. È un film riuscito, che ci coinvolge anche nelle sue situazioni
più estreme, che mette in scena la forza, l’energia e la dirompente
vitalità degli inferi metropolitani. Zanna, il protagonista, è esemplare nella sua veridicità; la scena in cui Barabba porta la busta
sulla banchina è magistrale, vera e viva: l’attesa, lo sgamo e tutto
FUORIVENA
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il resto. Fuori vena è anche un’opera di denuncia e di controinformazione sulle droghe della modernità, scritto, girato e montato
con uno stile da strada, uno stile particolare che finora non era
riuscito quasi a nessuno, almeno in Italia.
Nel nostro paese in questi ultimi anni si è tornati indietro, è infatti
in vigore una legge che ha ricriminalizzato le droghe e la situazione è, di nuovo, drammatica. Fuori vena s’inserisce nella battaglia
di civiltà in cui da anni sono impegnato; parlo di una battaglia di
civiltà perché si tratta di riconoscere che le persone non possono
essere sottoposte a nessun tipo di sanzione penale e civile per il
solo fatto che fumano, bevono o usano determinate sostanze. Come la mettiamo con certi paesi mediorientali che proibiscono di
bere alcol? L’alcolismo è uno dei grandi problemi sociali ma viene
ignorato dai partiti, considerato un problema marginale o stru-
FUORIVENA
mentalizzato per la propaganda elettorale. C’è un atteggiamento
razzista su questi temi, decisamente incivile, o, quando va bene,
un approccio pietistico. Questa nuova ondata di criminalizzazione
ha già prodotto numerose tragedie. Alberto Mercuriali, un ragazzo di Castrocaro nel luglio del 2007 è stato arrestato per uno spinello e il giorno dopo è stato dipinto dai giornali come un grosso
spacciatore; la vergogna lo ha spinto al suicidio... Si sono suicidati
in circostanze simili anche Giuseppe Ales, 23 anni, di Pantelleria,
Cristian Brazzo, 21 anni, della provincia di Padova, Bruno Bardazzi, un giovane operaio di Prato, Marco Pettinato di Torino... E la lista potrebbe continuare.
La morte di questi ragazzi è un segnale, come loro molti altri fini-
scono nei guai ogni anno, magari per una sola canna o una piantina di canapa coltivata sul balcone si beccano una denuncia, una
condanna, il ritiro della patente... È una cosa drammatica, un’ingiustizia insensata.
FUORIVENA
FUORIVENA
...E magari
diventa un film
Valia Santelli
Fuori vena per me inizia con l’arrivo a Roma di Francesco Galli e
una ragazza con una delle voci più belle e catastrofiche che abbia
mai sentito e con un ippopotamo viola di peluche in mano, un regalo per mio figlio. Ecco Tekla. Andiamo a cena con un amico produttore, dalla borsa di Tekla escono una sceneggiatura e un po’ di
dvd, i suoi lavori precedenti. Cerchi di fuoco, ravers, camion in
viaggio... Nei lavori di Tekla avevo colto uno sguardo personale e
pensavo che questo avrebbe dato verità alla sceneggiatura del
film, che, ricordo, mi era parsa un po’ retorica in certi dialoghi tra
lei e Zanna. Francesco è una spugna, domanda, cerca di capire
quale sia la strada, come si fa a mettere in piedi quel film, Tekla la
sento come sempre pronta a scappare. A fine serata in me, ma
credo in tutti, resta un sottile senso di disillusione.
Tekla questo film doveva farlo, questa era la sensazione rimasta
nell’aria dopo il suo passaggio; ne ero convinta ma non sapevo
FUORIVENA
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davvero come aiutarla. Forse non lo sapeva nessuno neanche il
primo giorno di riprese, e questa è una delle ragioni che rende
Fuori vena un film necessario: l’averlo voluto contro ogni realistica
previsione, contro ogni logica produttiva.
Fuori vena deve tanto all’energia di molte persone, persone determinate o inconsapevoli, persone generose che hanno riversato nel
film la loro umanità, la loro esistenza. E deve anche tanto a tecnici
e professionisti che hanno dato al film la loro competenza, la loro
capacità di sperimentare il linguaggio cinematografico. L’incontro
di queste forze rende sicuramente Fuori vena un’opera collettiva,
nonostante trasudi Tekla da ogni fotogramma.
Il fatto che Tekla sia immersa corpo, anima, neuroni e fluidi vari
nel film, nella storia e nell’esperienza di vita di Fuori vena, fa sì
che, parlando di questo film, non ci si possa permettere di usare
espressioni preconfezionate, del tipo: “uno sguardo su un mondo”, “l’analisi di una realtà”, “un documento straordinario”.
Fuori vena partecipa alla vita e in questo senso è un’opera vitale,
malgrado il quotidiano morire che racconta. Fuori vena partecipa
alla vita e della vita ha l’andamento: entra ed esce liberamente dal
ricordo, dal sogno, dall’immaginazione, dalla fattanza, seguendo
appunto il ritmo delle giornate scandite da flussi di coscienza e da
ondate di rota, da umori e da alcol.
Intuendo bene e sfruttando fino in fondo una delle più grandi potenzialità del linguaggio cinematografico, Tekla scardina la logica
consequenzialità degli eventi e accumula liberamente stralci di vita,
solo per tenerla lì, per non farla scappare via, come racconta lei
stessa a Zanna in un dialogo del film: “...e magari diventa un film”.
Un film Fuori vena lo è diventato davvero, un film che con natura-
FUORIVENA
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lezza, senza compiacimento si diverte a usare il linguaggio cinematografico più classico, dalla comica al montaggio alternato e allo spleet-screen, lo schermo diviso in due, e con la stessa naturalezza ci racconta un po’ di vita che, una volta fermata, fissata sulla
pellicola dalla cinepresa, diventa l’unica arma possibile per proteggersi dalla vita stessa.
Quando le strade si dividono, quando devi camminare sulle tue
gambe, quando le ferite bruciano arriva il momento di montare la
pizza sul proiettore e lasciar scorrere il film.
FUORIVENA
Una guerriera-fumetto
Tullia Taidelli
Nel film di mia sorella Tekla è importante il primo attore come l’ultima comparsa, ogni particolare fa la forma.
Lo sguardo alla vita è così quotidiano e la ricerca dei particolari così fine da sembrare nati spontaneamente da un osservatore esterno, dalla curiosità per l’attimo colto nell’istante in cui nasce.
I suoi film sono tutto quello che la circonda, compreso l’impercettibile sguardo, il battito di ciglia, l’esplosione di rabbia sincera, gioia, lacrima, il lattaio di fronte a casa, la ragazza guerriera-fumetto,
le sue pulsioni recondite descritte in uno zoom e in una voce fuori
campo, che scappa nel girato e lì doveva fatalmente essere: la sua
vita sono le sue idee, le sue idee i suoi film, il suo film la sua vita.
FUORIVENA
Rassegna stampa
Tekla Taidelli aveva fatto irruzione al festival di Locarno con Fuori vena, film indipendente che ora, dopo essere stato sottoposto alle abituali strettoie distributive, finalmente approda sugli schermi italiani.
Come suggerisce il titolo, siamo in ambiente tossico, ambiente già
ampiamente rappresentato al cinema. E l’inizio del film sembrerebbe ricalcare il tradizionale vaffanculismo nei confronti dei pettinati
che vanno al lavoro. Poi Tekla comincia a spiazzare, fa scandire il
tempo da lancette-siringhe, mostra un astuccio che somiglia a quello che usano i bimbi a scuola, contenente invece l’attrezzatura per il
buco; fin qui siamo ancora in linea con la tradizione maledetta della
rappresentazione della deriva, poi però comincia a insinuare altro e
si entra nell’inedito. Per esempio che il buco sia come un lavoro,
perché implica sbattimento. Poi opera con ironia sui cartelli del comune che dicono “Milano fa bene” e riprende l’enorme ago che
campeggia in piazza Cadorna – per magnificare la moda, ma pur
sempre di ago si tratta –, fa parodia delle ricette tv e lascia lievitare
una sensibilissima storia d’amore punk-tossica. Dove l’affetto si manifesta anche dicendo “testolina di cazzo”, perché quel che conta
FUORIVENA
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non sono le parole ma i sentimenti. E allora per chiarezza ecco che
le chiacchiere coi genitori, telefoniche, sono rese in split screen,
quasi ci fossero mondi distinti che comunque non riescono a comunicare (succede anche ai due innamorati in lite). Eroina? Eroi di chi?
Quello è un incubo sempre più ossessivo, che fa ritornare le lancette
della vita sempre da capo, quando non la tronca perché si schiatta
per overdose. Un’appassionante love story che iscrive Tekla tra i registi che possiedono un istinto visionario di notevole spessore. Perché poi di questo si tratta, catturare lo spettatore, prenderlo per la
pancia, coinvolgerlo in una storia pulsante e viva, attraverso un cinema che ha tanti maestri come riferimento ma nessun modello da
imitare. Al punto da essere assolutamente originale nella sua capacità di commuovere senza pietismo e di porre più interrogativi inquietanti che risposte acquiescenti. Si esce dal film felicemente spiazzati,
con la certezza che i pregiudizi morali sono stati fatti a pezzi. Non è
poco per una love story che si dipana tra analisi mediche e chimica.
“il manifesto”, 2 giugno 2006
Che forza questa Tekla Taidelli classe 1977, punk e libera come il
vento, che scrive, musica, dirige e interpreta un film che ha il ritmo di chi non s’accontenta mai, l’urgenza del gridare al mondo
quanto sia immondo, la voglia d’amare, sempre e nonostante tutto. Fuori vena è un inno alla resistenza nei confronti dell’omologazione, un trip frenetico nell’universo del “buco”, del rifiuto attraverso la ribellione in una “Milano da bere” che finge di star bene.
Fuori vena non a caso, perché le emozioni, se possibile, per sentirle dentro bisogna spararle verso l’altro e verso gli altri. “Eroina:
che nome! Sembra fatto apposta per farti venir voglia!” sottolinea
FUORIVENA
con feroce ironia Zanna, tossico quasi perduto, che lotta non solo
e non tanto contro quella polverina micidiale, ma s’affanna con se
stesso e con quei pochi sintonizzati sulle sue lunghezze d’onda a
ricercare un senso, un posto dove andare e dove stare senza farsi
schiacciare dai soliti sistemi. L’orgoglio di una diversità che non è
mai programmatica consente a Tekla di cadenzare le sue giornate
(e il suo film) con i battiti e le movenze dell’aria che incontra, con
gli sguardi che attaccano e con le “piste” che si srotolano, quasi
scontrandosi con la droga che uccide. Tekla rivendica, giustamente, il diritto di scegliere come vivere. Tenendosi ben lontana dalla
morte con una vitalità che contagia. Caroselli di sbronze, rave party illegali, Ceres come se piovessero, cascine okkupate, creatività
masticata insieme all’ossigeno che respira questo schizzo rielaborato per immagini nuove, zeppo di battute fulminanti, di reietti, di
“perdigiorno”, di giovani disperati e di disperanti speranze perché
ogni cosa possa cambiare, rivedere la luce, rialzarsi dal torpore di
una mediocrità del vivere che ti fa perdere la testa e affogare dentro gli errori ma anche avvolgere da un abbraccio, tanti abbracci,
senza lacrime, con spudorata tenerezza.
“Film Tv”, n. 48, 29 novembre 2005
Tekla Taidelli, 27 anni, milanese, una vita spericolata nonostante
l’origine borghese, incollata agli alti e bassi disperati della droga.
La storia sua e degli amici rivive in questo sincero e furibondo film,
girato in digitale con pochi soldi e molta voglia di dire tutto e subito. Un dramma alle spalle – la morte per eroina del fidanzato, la
scomparsa del padre –, la giovane prova con il cinema, filma le
emozioni, dà una chiave narrativa autobiografica ma non solo alla
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FUORIVENA
confusione che ha dentro: prova insomma a parlare a nome di
una generazione e di una sconfitta. Non privo di momenti irritanti
e di scorciatoie a proprio uso e consumo, il film mostra però una
grinta vera e una capacità di solidificare in immagini la tragedia
della dipendenza con tutta la finta libertà della vita on the road,
raccontando l’amore tra una punk e un tossico con momenti romantici di tenerezza e compassione. VOTO: 6,5
“Il Corriere della Sera”, 18 novembre 2005
Tekla e i suoi amici sono techno punk (i più li liquiderebbero come
punkabbestia): tatuaggi, piercing, dreadlock dove un tempo c’erano le creste, no future forse ma molta invenzione (traumatica) di
presente, una rete virtuale e reale di camion, musica, rave, stessa
potenza dei “workers” di Tresca (che per i più erano solo vagabondi). Allora sarebbero stati lì, oggi squattano cascine nelle periferie delle metropoli (?) italiane come Milano. Tekla, che si fa di
tutto ma non vuole massacrarsi il cervello, odia l’eroina. E si innamora di Zanna, tossico perso, incubo della mamma che lo chiama
da un indefinito sud coi bigodini in testa dicendogli che non lo
manterrà più, che deve andare al colloquio di lavoro ecc ecc.
Il mondo di Zanna sono Sert, altri tossici, “sòle” da tirare agli amici per farsi, lunghe attese dello spacciatore, in fondo pure quello è
un lavoro. Il mondo di Tekla sono la scuola di cinema, la sua macchina da presa, i concerti, incazzature casseurs a vetrina intatta, si
FUORIVENA
rubano liquori, si usano le auto lucide per tirare su una riga, e ci si
caca anche sopra se c’è troppa mannite. Fuori vena (anteprima
italiana) è (ma non solo) puro Pazienza, lui sarebbe stato felice di
questo Zanna 2005 che inveisce (a rota) contro impiegati e cravatte blu. O di seguire Tekla in bici (la patente ritirata per alcol e tutto
il resto positivo) che arriva tardi alla lezione con prof democratica
(Marina Spada) più simpatica della sua odiosissima che boccia
“Apocalipse nau... musica dei Doors...”.
Sarà che Tekla Taidelli, autrice di soggetto insieme a Giampaolo
Muciaccia (Zanna) e sceneggiatura (con Francesco Scarpelli) e protagonista, è nata nel ’77, forse è questione di dna metabolizzato,
e però nel suo film scorrono anche Brus, i Mutoid, l’arte estrema,
la memoria punk milanese anni ottanta (Philopat) più personalità
contemporanea nel miscelare immaginario (rivisitazioni tv comprese) e vita. Lei lo racconta col corpo punk (poi mica a caso è figlia
di chirurgo plastico, almeno nel film). Ogni centimetro di pelle,
piercing, corse, sensualità, riso, lacrime, muscoli. Il mondo di Tekla
non lo avevamo mai visto al cinema con umorismo, senza folklore
né compiacimento, in un film che è anche dichiarazione produttiva dove si continua l’esperienza indipendente (linguaggio prima
che soldi) di Forza cani (Marina Spada) e Fame chimica (Scarpelli).
Il resto è dolore, vitalità, dolcezza. Cioè cinema.
“il manifesto”, 11 novembre 2005
FUORIVENA
Titoli di coda
Con: Tekla Taidelli & Giampaolo Terzo Muciaccia
Soggetto: Tekla Taidelli & Giampaolo Terzo Muciaccia
Sceneggiatura: Tekla Taidelli & Francesco Scarpelli
Fotografia: Francesco Galli
Supervisione artistica, post-produzione ed effetti speciali:
Manuel Donninelli
General chaos manager: David Sdrubolini
Consulenza musicale e sound design: Jano Maio
Aiuti regia: Alberto Caffarelli & Francesco Galli
CAST
Il gatto: Stefano Fornataro
La volpe: Alessandro Beltramini
Barabba: Marco Brambati
Simonetta: Felicetta Schena
Sdrubo: David Sdrubolini
FUORIVENA
Ricie: Maurizio Berardinelli
Ale: Alessio Barbagini
Frunk: Francesco Calbi
Piece: Pietro Dell’Aquila
Skeletro: Marco Farneti
L’esercito del Sert: Daniele Criscione, Chiara Alice Lorenzini, Giona Vinti, Gianluca Zito, Jason Strinser, Michele Giambersio, Patrizio Rossi, Roberta Negri, Carlotta Nebuloni, Benjamin Della Volta,
Stephane Veecher, Alessandro Galeandro, Philippe Guarnieri, Marco Bertocci, Alessandro La Villa, Sonia Garrapa, Vito Valletta, Rino
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Baroncelli, Davide Preti, Marta Santoro, Quorthon Angaroni, Giovanni Palazzo, Moreno Viganò, Matteo Maraone, Manila Zanatta,
Marta Altamura, Filippo Anniballi, Sonia Garrapa, Giuseppe Turrisi,
Emanuele Villa, Giovanni Ragonese
I marocchini: Mohamed Amri, Nabil Amal, Sidi Mohamed Taimouri
I punx: Cristina Montanaro, Lara Fava, Matteo Matteotti, Andrea
Filloro, Miro Bressan, Ale Di Bergamo, Abd
I traveller: Alessandro Sponziello, Michele Manca, Marco Luongo, Luigi Benedetti, Francesca Berto, Micaela Castro
I giocolieri di fuoco: Eli, Vivi, Kry, Lara, Frunk Firecore Performances
FUORIVENA
Rave party management: Tms & Altered Beats
Il gelataio: Maurizio Marchini
Il padre di Zanna: Fabrizio Caffarelli
La madre di Zanna: Donatella Mangino
Il fratello di Zanna: Davide Muciaccia
Il maestro di Zanna: Luchino
L’amico di Zanna in metrò: Roberto Natale
L’uomo della rissa: Fabrizio Longo
Il vecchio profeta: Alfio
Il tossico “pettinato”: Achille Saletti
La tossica “snob”: Manuela Marquez
Il “pettinato” con valigetta: Nicola Frisia
Zanna bambino: Juri Spinnato
“Betty 23” (Elisabetta Altomare) e i bambini della scuola elementare: Liliana Ferri Cinieri, Flavia Raimondo, Carla Morena
Commisso, Giovanna Buraggi, Barbara De Pasqual, Paola Borghetti
Insegnante di Tekla: Marina Spada
Madre di Tekla: Maria Laura Ferrario
Sorella di Tekla: Tullia Taidelli
Padre di Tekla: Giovanni Eslebano
Nonno di Tekla: Luigi Ferrario
Compagna di scuola di Tekla: Arianna Palleschi
Vicina di Tekla: Alessia Bonavoglia
Tekla’s Nanny: Maria Loprete
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FUORIVENA
Il Mago G: Walter D’Amore
I “pippatori” della festa: Francesco Ramaccioni, Carlo Dicuzzo,
Ettore Visconti
Quelli della festa: Giovanna Gagnatelli, Patrizia & Peppo Galetti,
Stefania & Ornella De Blasio, Cosetta Margaria & Fabio Magrini,
Gualtiero Beretta & Clara Marioni, Federica Montorsi & Roberto
Cazzaniga, Cristiano Trombi & Caterina Falcida
Produttore esecutivo: Marina Spada
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2°Aiuti regia: Alessandro Stellari, Daria D’Antona, Stefano A.
Giulidori
Acting coach: Cristina Proserpio
Segretaria d’edizione: Mara Duchetti
Direttori di produzione: Nicola Bernasconi, Jacopo Mauri
Ispettore di produzione: Sara Bettucchi
Assistenti di produzione: Anna Pia Chico, Sidi Mohamed Taimouri
Stagisti: Riccardo Migliore, Ivano Calandrina, Gabriele Mirandoli,
Michele Delfine, Luca Tossani
Operatori: Matteo Bologna, Francesco Galli
Assistenti operatori: Laura Giacomelli, Alberto Caffarelli, Giovanni Vella, Luca Fuscaldi, Daria D’Antona
Assistenti per la fotografia: Matteo Bologna, Alberto Caffarelli,
Giovanni Vella, Daria D’Antona, Roberto Natale
FUORIVENA
Backstage: Luca Fuscaldi
Fonici: Marjo Ferwerda, Emanuele Chiappa, Massimiliano Marcon, Paolo Benvenuti
Microfonisti: Chiara Bersani, Luca Discenza
Capo elettricista: Alessandro Saulini
Elettricista: Roberto Natale
Macchinista: Francesco Apuzzo
Scenografo & attrezzista: Massimo Ticchiati
Assistente scenografo & attrezzista: Cristina Piccinelli
Costumista: Valentina Poggi
Assistente costumista: Cristina Piccinelli
Trucco e capelli: Assunta Ranieri, Serena Gioia
Post-production manager: Michail Mauracher, Karl Weinert
Assistenti al montaggio: Alessandra Argenti, Lara Felici, Claudia
Proietti, Karl Weinert, Mariangela Romanò, Sabina Foti
Animazione 2D: Valentina Morandi
Animazione 3D: Roberta Longo
Illustrazioni: Antonio Boni “Il Generale”
Sottotitoli in inglese: Filippo Anniballi
Sottotitoli in spagnolo: Phillip Weiss
Musiche: Cccp, Casino Royale, Inoki, Lou-Chano Tms, Leg-No
Tms, Wretched
Colonna sonora originale “Fuorivena”: “INTENZIVEN” registrata e mixata al Massive Art, via Villoresi 24, Milano
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FUORIVENA
Composta da: Tekla Taidelli & Vesuvius (Federico Valsecchi)
Voce: Vesuvius (Federico Valsecchi) & Tekla Taidelli
Chitarra: Vesuvius (Federico Valsecchi)
Basso: Rama (Francesco Ramaccioni)
Batteria: Macina (Ruggero Murray)
Web design di www.fuorivena.it: Michail Mauracher & Emanuele CC
Info & Stampa: [email protected]
tel. +39 338 6182078 / +39 02 20402142
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© 2004 TRANKY FILM – www.fuorivena.it
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