6. COLLINS, Pat, Basic Evangelisation. Guidelines for Catholics
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6. COLLINS, Pat, Basic Evangelisation. Guidelines for Catholics
6. COLLINS, Pat, Basic Evangelisation. Guidelines for Catholics. Dublin, Columba Press, 2010. 284 pp. Pat Collins è un sacerdote vincenziano che ha lavorato nell’ambito della pastorale giovanile e nella promozione del laicato; ha collaborato con molti movimenti ed ha fondato la New Springtime Community. Nella “Introduzione” spiega il senso di questo lavoro che nasce dalla consapevolezza che la maniera attuale di presentare la fede è povera e insufficiente; da qui la ricerca di nuove maniere e di nuove metodologie. Ormai sono sempre di più gli autori che puntano su una metodologia che non è fondata sulla proclamazione o sull’insegnamento, ma sulla relazione persona-persona: basta ricordare i “corsi Alpha”, le cellule di evangelizzazione di S. Eustorgio di Milano, l’evangelizzazione di strada e via dicendo. In genere questa metodologia non nega l’importanza della proclamazione del Vangelo o del suo insegnamento catechistico ma pone l’accento sulla comunicazione diretta, persona a persona; è un atteggiamento che vien fatto risalire allo stesso Cristo, agli apostoli e che trova la sua conferma nei documenti magisteriali che, spesso, riservano uno spazio alle “vie dell’evangelizzazione”. In particolare il punto di riferimento è il testo di Evangelii Nuntiandi 46 che insegna come, “accanto alla proclamazione fatta in forma generale del Vangelo, l’altra forma della sua trasmissione, da persona a persona, resta valida e importante. […] Non dovrebbe accadere che l’urgenza di annunziare la buona novella a masse di uomini facesse dimenticare questa forma di annuncio mediante la quale la coscienza personale di un uomo è raggiunta, toccata da una parola del tutto straordinaria che gli riceve da un altro”. I gruppi neocatecumenali e quelli del Rinnovamento nello Spirito si muovono essi pure, come tutta la pastorale delle comunità di base, in questa direzione. P. Collins si pone in questa linea pastorale e, nell’Introduzione, afferma chiaramente di considerare il testo come un manuale rivolto innanzitutto a coloro – laici o sacerdoti – che si dedicano all’evangelizzazione, poi a coloro che frequentano i corsi di nuova evangelizzazione ed, infine, alle stesse scuole di evangelizzazione (p. 15). In ogni caso, l’intento di questo manuale non è quello di chiarire come la nuova evangelizzazione “dovrebbe” essere condotta; intende piuttosto offrire alcune linee-guida su come “potrebbe” progredire, “how it «might» be progressed” (p. 12). Il lavoro si compone di quattro parti: il contesto della evangelizzazione (pp. 19-81), il contenuto di ogni evangelizzazione di base (pp. 83-148), i mezzi e i metodi di questa evangelizzazione di base (pp. 149-254); aggiunge poi una conclusione in cui tratta alcune questioni controverse (pp. 255279). Il tutto per un insieme di dodici capitoli ognuno dei quali è concluso dalla raccomandazione di alcune letture mirate che vengono così a sostituire l’abituale bibliografia ed a rappresentarne una intelligente sostituzione. Entrando nel merito dell’argomento e dello schema, non si può fare a meno di richiamare una questione di lessico: per quanto utilizzi i termini “evangelizzazione”, “kerygma”, “nuova evangelizzazione”, “buona notizia”, l’autore preferisce “basic evangelisation”. Ne spiega il significato a p. 11 quando scrive di mettere al centro del suo lavoro “basic or kerygmatic evangelisation, namely”, “clear and unequivocal proclamation of the person of Jesus Christ”. Siamo così tornati ad un punto ben chiaro, non debitore a ragioni sociologiche o psicologiche; non si capisce però perché questa chiarificazione sia spiegata con un rimando a Ecclesia in America 66 di Giovanni Paolo II e con due citazioni di Benedetto XVI – il discorso ai vescovi tedeschi del 21 agosto 2005 in cui parla della nuova evangelizzazione come una vera evangelizzazione, ed il dialogo con i sacerdoti di alcune diocesi italiane del 24 luglio 2007 in cui parla dell’evangelizzazione come un entrare nell’intimo e nell’essenziale che regge ogni altra dimensione – e tace invece il testo di Evangelii Nuntiandi 27 che parla di Cristo come base, centro e insieme vertice dell’evangelizzazione. La prima parte – il contesto – si compone di tre capitoli che affrontano il bisogno di rinnovamento spirituale ed evangelico, il dato culturale e i modelli di evangelizzazione. Collins richiama i cinque modelli di Chiesa indicati da A. Dulles nel suo lavoro Models of the Church (1974) dove li lega all’istituzione, alla comunione mistica, al sacramento, all’annuncio della parola e al servizio al mondo anche se poi ve ne aggiunge un sesto e cioè la comunità dei discepoli; ricorda pure i sei modelli di evangelizzazione indicati da T. Byerley (2008) – testimonianza come Stefano, liturgia come i cristiani di Gerusalemme, proclamazione come per Matteo e Paolo, fraternità come nelle comunità di base, l’inculturazione alla luce del discorso dell’Areopago, la carità come nella moltiplicazione dei pani e dei pesci – e parla della importanza dello Spirito richiamata da J.C. Haughey (1976). Dovrebbe bastare ma l’autore ritiene di poter intervenire nel dibattito (pp. 68-78) per ricondurre tutta la complessa tematica a tre modelli: quello di una evangelizzazione didatticosacramentale legando così Parola e Sacramento, quello che insiste su una prospettiva kerygmaticocarismatica sviluppando così la fede in termini più esperienziali e quello socio-politico centrato sullo sviluppo. Non si vede un grande vantaggio salvo il fatto che la teologia dello “sviluppo” risale agli anni ’70 ed il modo con cui è qui presentata sembra dimenticare sia il regno sia i cammini di librazione. La seconda parte comprende tre capitoli che sviluppano la proclamazione del kerygma, il suo valore odierno e il suo valore di buona notizia per i poveri. Il kerygma qui in gioco non è tanto quello rigorosamente costruito seguendo la Bibbia, ma è piuttosto il fondamento necessario di ogni seria vita cristiana. Collins lo descrive come l’insieme di tre momenti: l’importanza dell’annuncio cristiano, ma i testi richiamati – Rm 16,25; 1Cor 1,21 – esaltano la forma dell’annuncio più che il suo oggetto; la sua decisività perché il kerygma è la sorgente e la norma di ogni fede e di ogni teologia; una reale esperienza del suo potere senza la quale la catechesi ed i sacramenti non servirebbero a nulla, “are not very effective”, come costruzioni fondate sulla sabbia (p. 95). Due problemi restano, a mio parere, aperti. Il primo riguarda l’“esperienza” di questo “potere” del kerygma: cosa significa? non vi è il rischio che prevalga l’aspetto emozionale? Il testo non risolve questo interrogativo ma parla di una crisi kerygmatica del capo, del cuore e delle mani (pp. 107109) cioè di una svolta nel modo di pensare, di amare e di agire. In altre parole, l’annuncio e l’accoglienza del kerygma devono investire l’intera persona; il modo ed il livello di coinvolgimento delle diverse parti della persona non sono però precisate. Il secondo riguarda il contenuto dell’annuncio. Se le pp. 95-99 indicano come contenuto della missione di Gesù il regno, precisano però che il regno altro non è che Dio stesso nel suo esistere, nella sua vicinanza e nel suo operare, le pp. 109-115 definiscono il contenuto del karygma in sei punti che spaziano dall’amore di Dio al fatto che tutti sono peccatori e bisognosi di salvezza, dalla certezza che Gesù ha perdonato i nostri peccati alla fede ed al pentimento con cui ci convertiamo e cambiamo vita, dal ricevere lo Spirito ed i suoi doni al all’ingresso nella comunità cristiana così da esserne membri. Come si vede, il kerygma è qui una teologia latamente storico-salvifica che, presentata come kerygma, assume un tono di certezza che, in sé e per sé, non le competerebbe: va solo annunciata e non discussa. La terza parte si compone di cinque capitoli che prima si concentrano sull’evangelizzazione di una parrocchia e di una diocesi e poi ne precisano le modalità: l’evangelizzazione senza parole e quella verbale, i corsi di evangelizzazione kerygmatica e alcuni punti chiave di questo cammino. Si tratta di una parte eminentemente pratica, di carattere informativo e organizzativo. In un quadro di pastorale ispirato alla comunione, Collins insiste sulla preghiera e, al seguito di Pro 29,18 sul valore delle visioni profetiche come ambito ispiratore di pastorale. Entrando nel merito chiede che le parrocchie o le diocesi organizzino un Comitato per l’evangelizzazione che si incarichi di dar vita ad un Comitato di accoglienza per chi vuole intraprendere questa esperienza, di organizzare la missione con colloqui e corsi di evangelizzazione supportandoli con la preghiera e creando una spiritualità missionaria. L’autore suggerisce l’utilità di preparare un questionario attraverso il quale condurre un’inchiesta sui temi dell’evangelizzazione e sulle sue modalità e di considerare una eventuale visita casa per casa. Distinguendo poi tra una modalità non-verbale ed una verbale attribuisce alla prima la testimonianza e la comunione, temi che inevitabilmente portano a discutere il livello della testimonianza di vita cristiana delle comunità ed a ripensare il rapporto tra evangelizzazione ed ecumenismo; quanto alla evangelizzazione verbale insiste sulla liturgia, la catechesi, la capacità di narrare, raccontare la fede inserendola in storie di vita, ma chiede di riconoscere comunque il primato dell’annuncio. Un’altra forma di evangelizzazione verbale, su cui l’autore si sofferma, è l’incontro diretto tra persone; al riguardo offre un elenco di atteggiamenti da curare che vanno dall’ascoltare con quell’atteggiamento contemplativo ed empatico che rivela una vera attenzione alla persona, al discernere in quale modo la persona sperimenta il suo bisogno di Dio, dall’affermare il desiderio trascendentale della persona al condividere in modo spontaneo e appropriato le proprie relazioni emotive di fronte all’annuncio (pp. 208-209). Non mancano nemmeno (pp. 209-215) riflessioni su come si possano condurre questi momenti seguendo un percorso preciso che analizza quanto è avvenuto prima dell’incontro con la fede, il risveglio della fede e la testimonianza del cambiamento di vita intervenuto in seguito. Il capitolo decimo di questa terza parte offre poi un’esposizione di questi gruppi di evangelizzazione: è un elenco che spazia dal cammino di Iniziazione cristiana degli adulti (1972) ai seminari di vita nello Spirito (The Life in the Spirit Seminars: Team Manual; Charismatic Renewal Services, Notre Dame 1973), dai Corsi Alfa (The Alpha Course Manual, Alpha International, London 2005) ai Cursillos de Cristiandad (E. Bonnín y F. Forteza, Manifiesto. Los Cursillos de Cristiandad realidad aun no realizada, Fundaciόn Eduardo Bonnín Aguilό, Palma de Mallorca 2005; F. Forteza Pujol, Historia y Memoria de Cursillos, Fundaciόn Eduardo Bonnín Aguilό, Palma de Mallorca 1992). A queste quattro importanti forme occorre aggiungere sia i Café (Catholic Faith Exploration; notizie in www.faithcafe.org), un insieme di video che affrontano le tematiche della fede e della testimonianza e che possono essere usati tanto da singoli quanto da gruppi e comunità, sia i Philip Retreats, cioè degli incontri spirituali che sono così chiamati perché fondati sul testo di At 8,26-32. Attraverso incontri settimanali e mensili, momenti di preghiera, catechesi e liturgie sacramentali, organizzati dalle Comunità Koinonia Giovanni Battista (www.koinoniagb.org), fondate nel 1979 a Camparmò (VI) dal sacerdote argentino Ricardo Argañaraz. La quarta e ultima parte prende le mosse da Evangelii Nuntiandi 63 dove Paolo VI ricorda che “l’evangelizzazione perde di forza e di efficacia se non tiene conto del popolo concreto a cui si rivolge, dei suoi segni e dei suoi simboli e se non risponde ai problemi che esso pone, in una parola se son si interessa della sua vita reale”. Su questa base l’autore pone quattro questioni: l’influenza culturale della postmodernità e del relativismo, le vie di Dio a confronto con le vie del mondo, la perdita del senso del peccato e una serie d’interrogativi sulla salvezza che spaziano dalla possibilità della salvezza dei non-cristiani a quali cristiani saranno salvati, dalla contemporanea concezione dei salvezza alle domande sull’inferno. Come si vede il testo è ricco di dati, di notizie e di suggerimenti, ma soprattutto, pretende di svolgere una presentazione complessivamente organica ed, in una certa misura, esaustiva di una questione tutto sommato nuova come la nuova evangelizzazione od evangelizzazione di base o rievangelizzazione. Tutto questo lavoro, che il testo inquadra e sostiene, non cancella il ruolo delle comunità cristiane, ma lasciando loro l’incarico di continuare l’impegno pastorale, si assume il compito missionario del primo passo, del risveglio e della rinascita di un cammino assopito o perso. Un quadro complessivo della multiforme realtà apostolica di questi ultimi decenni non può che essere salutato con favore, ma non si può fare a meno di fare una serie di rilievi. Tre almeno. Il primo riguarda il fatto che il contesto culturale presentato nella prima parte (pp. 44-54) analizza alcuni dati culturali, ma non tocca le profonde trasformazioni della vita religiosa, ed in particolare la sua individuazione soggettiva e la sua ricerca di sicurezza; questo lo porta ad enfatizzare ogni partecipazione emozionale senza interrogarsi a fondo sulla qualità e sulla realisticità di questa conclamata rinascita della fede. Questo è per me un vero limite. Un secondo aspetto è il silenzio sui grandi movimenti internazionali che, negli ultimi decenni, hanno offerto un sostegno al cammino delle Chiese; l’unico che compare sullo sfondo di queste analisi è il movimento carismatico con cui queste analisi e i suoi suggerimenti hanno più di una affinità. Certo il materiale sarebbe diventato così ampio da richiedere un’enciclopedia più che un libro; resta però l’impressione che la mancanza di un’indagine sul passaggio dai grandi movimenti organizzati e centralizzati a forme più fluide e meno controllabili lasci aperti più di un interrogativo a cui non si è voluto o saputo rispondere. In fine un’ultima questione è il rapporto di questo testo con la teologia; apparentemente continuo, questa rapporto è in realtà relativo sia nel linguaggio che nel metodo e nel contenuto. Nel linguaggio perché il lavoro procede per elencazioni e racconti di fatti ed episodi più che secondo uno schema ragionato; ne viene una metodologia che si serve di affermazioni più che di valutazioni e verifiche organiche; lo stesso contenuto poi, a cominciare dalla nozione di kerygma, risulta teologicamente debole in più di un punto. Queste osservazioni andavano fatte. Tuttavia mi sia lecito chiudere questa recensione con un apprezzamento per il coraggio nell’arrischiare una sintesi di una esperienza tanto fluida quanto questa. La sua lettura, che l’autore (p. 15) riservava alle guide o ai partecipanti ai corsi di evangelizzazione, può tranquillamente essere ampliata; sarà utile per i pastori e provocatoria per i teologi e, soprattutto, obbligherà tutti a riflettere e ad interrogarsi sul proprio cammino. Il che non sarà affatto un male. - Gianni Colzani.