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Sul fenomeno del “no-reflow miocardico” nei pazienti con infarto
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Attualità
Recenti Prog Med 2011; 102: 53-57
Sul fenomeno del “no-reflow miocardico”
nei pazienti con infarto miocardico.
Attuali concetti
Maria Luisa Pontecorvo, Cristina Spaziani, Rocco Antonio Montone,
Nicola Cosentino, Silvia Minelli, Giampaolo Niccoli
Riassunto. La precoce rivascolarizzazione dell’arteria correlata all’infarto tramite angioplastica percutanea coronarica primaria rappresenta il gold standard nel trattamento
dell’infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del
tratto ST. Tuttavia, in una considerevole percentuale di pazienti (~30-40%) sottoposti ad angioplastica primaria, la riapertura dell’arteria coronarica epicardica non si traduce in
una riperfusione miocardica: un fenomeno definito come
no-reflow. Il fenomeno del no-reflow presenta una patogenesi multifattoriale che comprende l’embolizzazione distale di materiale aterotrombotico, il danno da ischemia-riperfusione e la suscettibilità individuale al danno del microcircolo. Diversi indici angiografici ed elettrocardiografici sono
utilizzati per la diagnosi. Anche una mancata risoluzione del
sopraslivellamento del tratto ST < al 50% o al 70% è considerata come un marker di no-reflow. Inoltre, il fenomeno
del no-reflow aggiunge informazioni prognostiche in pazienti affetti da infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST in quanto è associato con una ridotta
frazione di eiezione del ventricolo sinistro, un rimodellamento ventricolare avverso e un’aumentata mortalità al follow-up. La conoscenza dei molteplici meccanismi del no-reflow può suggerire modalità personalizzate di trattamento
e vari sistemi meccanici e approcci farmacologici sono stati proposti nel tentativo di prevenire e trattare il no-reflow.
Questo articolo vuole esaminare i meccanismi patogenetici del fenomeno, la corretta diagnosi e le principali opzioni
terapeutiche.
Summary. Myocardial no-reflow phenomenon:
recent knowledges.
Parole chiave. Angioplastica percutanea coronarica primaria, infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST, microcircolo coronarico, no-reflow miocardico.
Key words. Coronary microcirculation, myocardial no-reflow, primary percutaneos coronary intervention, ST-elevation myocardial infarction.
Definizione e rilevanza clinica del no-reflow
non una riperfusione miocardica: condizione conosciuta come no-reflow. In particolare, il termine noreflow viene utilizzato per descrivere un’incompleta o non uniforme riperfusione microvascolare dopo la riapertura di un’arteria occlusa2.
La prevalenza di questo fenomeno è molto variabile, potendo interessare dal 5 al 50% dei pazienti con IMA. La variabilità dipende dal contesto clinico, dal tipo di lesione e di vaso trattati e
dalla metodica utilizzata per l’analisi del fenomeno3. Soprattutto quest’ultimo parametro tende ad
essere responsabile di un’eventuale sottostima. Le
attuali tecnologie consentono, infatti, di valutare
anche gradi minori di danno del microcircolo e ridotto flusso miocardico.
L’obiettivo primario della terapia dell’infarto
miocardico acuto (IMA) è la precoce, completa e
stabile ricanalizzazione del vaso coronarico con
un’adeguata perfusione tessutale miocardica della zona infartuata. Tra le strategie riperfusive,
farmacologica o meccanica, l’angioplastica coronarica transluminale percutanea primaria
(pPTCA), con successivo impianto di stent, rappresenta il gold standard attuale della terapia dell’IMA1.
Tuttavia, in una considerevole percentuale di
pazienti, la pPTCA determina una ricanalizzazione dell’arteria coronarica epicardica occlusa, ma
Early revascularization of the infarct-related artery by primary percutaneous coronary intervention (PPCI) has become the gold standard therapy in ST-segment elevation
myocardial infarction (STEMI). However, in a number of patient undergoing PPCI, epicardial coronary artery reperfusion: does not translate into myocardial reperfusion: a phenomenon called as no-reflow. The no-reflow phenomenon
has a multifactorial pathogenesis, including: distal embolization, ischemia-reperfusion injury, and individual predisposition of coronary microcirculation to injury. Angiographic and electrocardiographic indexes may be used for
the diagnosis. Also, lack of ST-segment elevation resolution
is considered an established marker of no-reflow. Importantly, the no-reflow phenomenon provides prognostic information in STEMI patients because it is associated with
low ventricular ejection fraction, adverse left ventricular remodelling and mortality at follow-up. Various mechanical
devices and pharmacological approaches have been proposed to prevent and to treat the phenomenon: the assessment of mechanisms of no-reflow might guide the development of personalized form of treatment. This paper will
be focused on the postulated mechanisms of the phenomenon, modalities for the diagnosis, and the main treatment
options.
Istituto di Cardiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
Pervenuto il 25 gennaio 2010.
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Recenti Progressi in Medicina, 102 (2), febbraio 2011
La figura 1 riporta una stima secondo la quale
la percentuale dei pazienti che riceve una riperfusione ottimale, escludendo i pazienti che si presentano al laboratorio di emodinamica in shock
cardiogeno, è approssimativamente del 35%.
La rilevanza clinica del no-reflow angiografico è
strettamente dipendente dal danno miocardico che
ne deriva e dall’effetto negativo che questo ha sulla prognosi a medio e lungo termine. Infatti il noreflow è un predittore di complicanze acute dell’IMA come aritmie ventricolari, versamento pericardico, tamponamento cardiaco e scompenso cardiaco precoce4. È inoltre associato ad una ridotta
funzione contrattile del ventricolo sinistro con ridotta frazione di eiezione, ad un rimodellamento
avverso del ventricolo sinistro, e quindi ad una
maggiore mortalità5.
Figura 2. Meccanismi alla base del no-reflow.
Quattro meccanismi (embolizzazione distale, insulto ischemico, danno
da riperfusione e suscettibilità individuale) sono responsabili del fenomeno del no-reflow. Il contributo relativo di questi meccanismi alla genesi del fenomeno del no-reflow varia nei diversi soggetti.
Emboli di differenti dimensioni possono originare da
trombi coronarici epicardici o da placche aterosclerotiche fissurate, in particolare durante la riapertura meccanica dell’arteria coronaria8. Oltre a provocare
un’ostruzione meccanica capillare, l’embolizzazione distale di microparticelle (15-100 micron) può causare anche una reazione infiammatoria, contribuendo alla disfunzione endoteliale e alla vasocostrizione.
Figura 1. Prevalenza del no-reflow.
Stima del numero di pazienti che hanno ottenuto un’ottimale riperfusione in base al grado di flusso TIMI, myocardial blush (MBG) e risoluzione del segmento ST (STR), su 100 pazienti senza shock cardiogeno
trattati mediante PCI primaria (PPCI).
* Stima derivata da 20 trials randomizzati che comparano PCI standard
con trombectomia o protezione distale.
** Stima derivata da analisi di laboratorio del CADILLAC (Controlled
Abiciximab and Device Investigation to Lower Late Angioplasty Complications) trial.
Meccanismi eziopatogenetici del no-reflow
Kloner et al.6 descrissero su modello canino il fenomeno del no-reflow per la prima volta nel 1974, dimostrando che esso si verificava dopo un’occlusione coronarica prolungata (90 minuti) seguita da riperfusione coronarica.
Nonostante siano trascorsi più di tre decenni, i meccanismi patogenetici del no-reflow, non sono, a tutt’oggi,
ancora completamente conosciuti; tuttavia appare chiaro come tale fenomeno presenti un’eziopatogenesi multifattoriale. In particolare, nell’uomo, la variabile combinazione di 4 componenti patogenetiche sembra svolgere un ruolo chiave nel determinare l’insorgenza del fenomeno: 1) embolizzazione distale di materiale aterotrombotico; 2) danno da ischemia; 3) danno da riperfusione; 4) suscettibilità individuale al danno del microcircolo coronarico (figura 2)7.
D’altro canto, l’ischemia prolungata determina diversi cambiamenti nelle cellule endoteliali, con rigonfiamento e protrusione intraluminale9. Tali modificazioni
morfologiche determinano a loro volta un’ulteriore riduzione del flusso miocardico regionale nell’area ischemica.
Infine, il rigonfiamento delle cellule miocardiche è associato ad edema interstiziale che potrebbe causare compressione micro-vascolare10.
Con la riapertura del vaso coronarico e la successiva riperfusione coronarica si verifica una infiltrazione
massiva della microcircolazione coronarica da parte di
neutrofili e piastrine 9-11. I neutrofili attivati sono in
grado di rilasciare radicali liberi dell’ossigeno, enzimi
proteolitici e mediatori pro-infiammatori che possono
causare direttamente danni tessutali ed endoteliali. I
neutrofili formano anche aggregati con piastrine, contribuendo all’ostruzione meccanica del flusso coronarico12,13. Infine, la vasocostrizione correlata ad un danno alle cellule endoteliali, neutrofili e piastrine contribuisce a mantenere la vasocostrizione della microcircolazione coronarica14. In ultimo, nella patogenesi del
no-reflow sembra emergere una nuova componente
rappresentata dalla suscettibilità individuale, acquisita e/o genetica, al danno del microcircolo. In particolare, il diabete e l’ipercolesterolemia sono stati associati ad una peggiore riperfusione microvascolare dopo
pPTCA15,16.
La comprensione dei meccanismi cellulari e molecolari responsabili dell’insorgenza del fenomeno del no-reflow miocardico risulta fondamentale in quanto consentirà l’uso di appropriate strategie per prevenire o trattare ognuna di queste componenti, nel tentativo di ridurre la prevalenza del no-reflow.
M.L. Pontecorvo et al.: Sul fenomeno del “no-reflow miocardico” nei pazienti con infarto miocardico. Attuali concetti
Classificazione del no-reflow
Galiuto et al.17 attraverso la metodica dell’ecocontrastografia hanno recentemente dimostrato
che il no-reflow, osservato 24 h dopo una pPTCA,
migliorava spontaneamente con il tempo in circa il
50% dei pazienti. Il fenomeno del no-reflow miocardico può essere, infatti, classificato in sostenuto o reversibile. Il primo può essere considerato come il risultato di cambiamenti anatomici irreversibili del microcircolo coronarico; il secondo, invece,
può essere considerato come il risultato di cambiamenti funzionali, e quindi reversibili, del microcircolo. Interessante è sottolineare come i pazienti
con no-reflow sostenuto subiscano un rimodellamento ventricolare sfavorevole, mentre i pazienti
con no-reflow reversibile tendano a conservare
inalterati nel tempo i volumi ventricolari . L’evidenza che il no-reflow può essere spontaneamente
reversibile apre uno scenario nuovo nello studio
della patogenesi del fenomeno, con importanti implicazioni terapeutiche.
Diagnosi
Il no-reflow può essere valutato durante pPTCA
con indici angiografici ed elettrocardiografici. In
particolare, l’analisi del Thrombolysis In Myocardial Infarction (TIMI) flow e del Myocardial Blush
Grade (MBG), e la misurazione della risoluzione
del tratto ST (STR) dopo pPTCA risultano essere
parametri facilmente utilizzabili nella valutazione. Inoltre, il fenomeno può essere quantificato con
tecniche di imaging non invasive come l’ecocontrastografia e la risonanza magnetica con contrasto7.
Nello specifico, il no-reflow può essere dimostrato inizialmente dall’analisi dei gradi di flusso
TIMI18 utilizzati per valutare la qualità del flusso
coronarico e la riuscita della riperfusione. Un flusso TIMI da 0 a 2, osservato dal 5% al 10% dei pazienti, è associato a no-reflow. Quest’ultimo però
può verificarsi in una percentuale variabile di pazienti con apparente efficace riapertura del vaso
epicardico (TIMI 3). Quindi la sensibilità del flusso TIMI nella valutazione del no-reflow è piuttosto
bassa. Durante la pPTCA, il no-reflow può essere
valutato efficacemente dalla stima del MBG che
descrive il Blush o l’intensità della radiopacità del
tessuto miocardico (ottenuta con una iniezione del
contrasto nelle coronarie epicardiche) e la rapidità
con cui questa impregnazione diminuisce. Il MBG
utilizza una scala da 0 a 3: i valori più elevati indicano una migliore perfusione. Un MBG da 0 a 1,
suggestivo del no-reflow, è osservato in un’ alta
percentuale di pazienti: circa il 50% con flusso TIMI 319. Considerando entrambi gli indici, il no-reflow angiografico può essere definito come un flusso TIMI <3 o un flusso TIMI 3 con MBG 0-1.
Un altro metodo utilizzato è la misurazione della risoluzione del tratto ST 1h dopo PCI. La mancata risoluzione del tratto ST di almeno il 50 o il
70% è considerato come marcatore di no-reflow,
perché il suo valore predittivo è stato dimostrato
nell’era della riperfusione farmacologica ed è stato
riconfermato nell’era della riperfusione meccanica20. Circa 1/3 dei pazienti con flusso TIMI di grado 3 e MBG 2 o 3 non presenta la risoluzione del
tratto ST21.
Infine, le tecniche di imaging non invasive come l’ecocontrastografia e la risonanza magnetica
forniscono una diretta valutazione della perfusione miocardica e consentono di quantificare
l’estensione dell’area di no-reflow. Però, queste
metodiche non sono disponibili in tutti gli ospedali e quindi sono più difficilmente attuabili, rispetto ai precedenti indici angiografici ed elettrocardiografici.
Prevenzione e trattamento
del fenomeno del no-reflow
Varie strategie terapeutiche sono state proposte per la prevenzione e il trattamento del no-reflow con inconsistenti risultati, probabilmente perché applicate indiscriminatamente a tutti i pazienti. È infatti possibile che in ogni paziente prevalga una specifica componente patogenetica che
condiziona la risposta al trattamento. Quindi la conoscenza dei meccanismi del no-reflow potrebbe
guidare lo sviluppo di forme personalizzate di terapia (tabella 1 alla pagina seguente).
Tecniche che hanno il potenziale di ridurre
l’incidenza dell’embolizzazione distale e del noreflow durante PCI per IMA includono la trombo-aspirazione e i dispositivi di protezione embolica. I dispositivi di aspirazione possono recuperare grandi detriti di placca e materiale trombotico e prevenire così l’embolizzazione del microcircolo, e vengono quindi utilizzati per il trattamento di lesioni particolarmente trombotiche o
ad elevato contenuto di placca22 . Nella prevenzione dell’embolizzazione distale sono state attuate anche terapie farmacologiche: ad esempio,
gli inibitori della GP IIb-IIIa. Questi riducono le
complicanze ischemiche post-procedurali nei pazienti che si sottopongono alla PCI, in quanto inibiscono la via finale comune nel pathway di attivazione piastrinica. I maggiori benefici di tale terapia sono stati osservati in caso di trattamento
di lesioni marcatamente trombotiche23. Le recenti linee-guida ESC hanno dato la classe di raccomandazione I A a tromboaspirazione e inibitori
della GP IIb-IIIa. Altri agenti antipiastrinici oggi disponibili, come l’aspirina e il clopidogrel, agiscono su alcuni, ma non su tutti, i pathway di attivazione piastrinica.
Altri farmaci utilizzati per ridurre il no-reflow
sono vasodilatatori come l’adenosina, il verapamil,
il nitroprussiato, infusi direttamente nell’albero coronarico o, come nel caso del nicorandil, per via endovenosa24. La loro specifica azione sul tono vasale consente di risolvere la vasocostrizione che può
accompagnare e mantenere un’inadeguata perfusione tessutale.
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Recenti Progressi in Medicina, 102 (2), febbraio 2011
Tabella 1. Predittori delle componenti patogenetiche del no-reflow ed implicazioni terapeutiche.
Meccanismi patogenetici del no-reflow
Predittore
Implicazioni terapeutiche
Embolizzazione distale
Burden trombotico
Tromboaspirazione
Ischemia
Durata dell’ischemia
Riduzione del tempo coronarico
Estensione dell’ischemia
Riduzione del consumo di ossigeno
Conta neutrofila
Farmaci anti-neutrofili specifici
Livelli di ET-1
Antagonisti ET-1r
Livelli di TXA2
Antagonisti TXA2r
Volume o reattività piastrinica media
Farmaci antipiastrinici
Diabete
Correzione dell’iperglicemia
Iperglicemia acuta
Correzione dell’iperglicemia
Ipercolesterolemia
Statine
Mancanza di precondizionamento
Nicorandil
Riperfusione
Suscettibilità individuale
ET-1 = endotelina –1, TXA2 = trombossano –A2
Sebbene possano transitoriamente migliorare la
perfusione miocardica, verapamil, nitroprussiato e
nicorandil non hanno fornito prove consistenti di
migliorare l’esito clinico. L’adenosina, oltre ad essere un vasodilatatore, agisce contro le piastrine ed
i neutrofili ed ha un effetto cardioprotettivo. Il suo
utilizzo per via endovenosa ad alte dosi o per via intracoronarica si è dimostrato efficace nel prevenire
il fenomeno del no-reflow e nel migliorare l’infarct
size25. Le recenti linee-guida ESC hanno dato livello di raccomandazione II B per l’adenosina.
Conclusioni
Nonostante che i beneficî clinici di una precoce
rivascolarizzazione epicardica nei pazienti con IMA
siano indiscussi, in una percentuale variabile di
soggetti persiste una ipoperfusione miocardica a
causa del fenomeno del no-reflow. Tale fenomeno si
caratterizza per un’eziopatogenesi multifattoriale,
comprendendo l’embolizzazione distale di materiale aterotrombotico, il danno da ischemia-riperfusione e la suscettibilità individuale al danno del microcircolo. La comprensione dei meccanismi patogenetici prevalenti nei singoli pazienti è fondamentale per la scelta dell’approccio terapeutico più
appropriato, che al momento si basa, secondo le
raccomandazioni delle linee guida, su un combinato costituito dall’aspirazione manuale del trombo e
dall’utilizzo di potenti inibitori piastrinici.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Giampaolo Niccoli
Università Cattolica del Sacro Cuore
Istituto di Cardiologia
Largo Agostino Gemelli, 8
00168 Roma
e-mail:[email protected]
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