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Michele Sabatino, L`Unione Europea e il fenomeno dell`immigrazione

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Michele Sabatino, L`Unione Europea e il fenomeno dell`immigrazione
Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna
L’Unione Europea e il fenomeno dell’immigrazione: scenario attuale e prospettive. Michele Sabatino Assistant Professor di Politica Economica nella Libera Università degli Studi “Kore” di Enna ABSTRACT La politica per l’immigrazione europea è sempre stata condizionata dai limiti e dalle vicissitudini degli Stati membri, secondo un modello di gestione “concorrente”, tra legislazione e politiche comunitarie e norme e azioni di carattere nazionale, con il risultato di essere spesso incoerente e incapace di affrontare un fenomeno che ormai assume sempre più i caratteri dell’emergenza e dell’eccezionalità, da una parte, e dell’approccio globale ai temi della sicurezza, dei diritti e della partnership con gli altri Paesi vicini, dall’altra. L’articolo intende analizzare i principali elementi della politica comunitaria in tema di immigrazione partendo da una valutazione storica delle azioni intraprese in ambito comunitario, strettamente collegate alle necessità demografiche, ai cambiamenti geo-­‐politici, ai flussi e alle caratteristiche socio-­‐economiche dei migranti. Dall’analisi storica si è proceduto, di seguito, ad una disamina del quadro normativo e legislativo nel quale si inserisce l’azione comunitaria anche alla luce delle modifiche ai Trattati comunitari e delle indicazioni emerse nei numerosi Consigli Europei degli ultimi anni. Tutto ciò al fine restituire un quadro quanto più completo possibile dello stato dell’arte della politica migratoria comunitaria e comprendere come affrontare il problema dell’immigrazione in modo adeguato rispetto ai cambiamenti in atto. Affrontare il tema dell’immigrazione, significa, infatti, confrontarsi con un fenomeno profondamente complesso, che più di ogni altro mette in relazione gli aspetti demografici, economici, sociali e culturali di una società. “Mettere in relazione” significa, appunto, rinunciare a una politica nazionale o comunitaria settoriale che confini e riduca il fenomeno a mera gestione amministrativa, ma lo collochi all’interno di una strategia di sicurezza, di diritti, di integrazione e di gestione del ruolo di attore globale dell’Unione Europea, soprattutto nei confronti dei Paesi vicini, in grado di rilanciare il progetto comunitario in un mondo globale. In questi termini si intende suggerire come una politica per l’immigrazione non debba essere solo quella di trovare soluzioni semplici o rapide ai problemi contingenti che la presenza di soggetti immigrati porta nella società di accoglienza, ma di inserire questo fenomeno strutturale e inevitabile all’interno di un processo di crescita e di sviluppo della società. In questa prospettiva la politica comunitaria per la gestione dei flussi migrazione deve legarsi alle politiche di cooperazione allo sviluppo, di sicurezza e di partnership soprattutto con i Paesi vicini. Con quest’approccio si è analizzato, infine, il fenomeno migratorio in Europa, attraverso i numerosi studi e dati disponibili, così da fornire un quadro organico e aggiornato delle politiche comunitarie suggerendo altresì nuove e ulteriori ipotesi di lavoro e di azione. www.koreuropa.eu
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Keywords Immigrazione – politiche comunitarie – cooperazione allo sviluppo – integrazione 1. Introduzione La politica comunitaria in tema di immigrazione è sempre stata condizionata dai limiti e dalle vicissitudini degli Stati membri, secondo un modello di gestione “concorrente”, tra legislazione e politiche comunitarie e norme e azioni di carattere nazionale. Il risultato è quello di avere una politica comunitaria spesso incoerente e incapace di affrontare un fenomeno che ormai assume sempre più i caratteri dell’emergenza e dell’eccezionalità, da una parte, e dell’approccio globale ai temi della sicurezza, dei diritti e della partnership con gli altri Paesi vicini, dall’altra. Il presente contributo intende analizzare i principali elementi della politica comunitaria in tema di immigrazione partendo da una valutazione storica delle azioni intraprese in ambito comunitario, strettamente collegate alle necessità demografiche, ai cambiamenti geo-­‐politici, ai flussi e alle caratteristiche socio-­‐economiche dei migranti. Dall’analisi storica si è proceduto, di seguito, a una disamina del quadro normativo e legislativo nel quale si inserisce l’azione comunitaria anche alla luce delle modifiche ai Trattati comunitari e delle indicazioni emerse nei numerosi Consigli Europei degli ultimi anni. Tutto ciò al fine restituire un quadro quanto più completo possibile dello stato dell’arte della politica migratoria comunitaria e, quindi, per provare a comprendere come affrontare il problema dell’immigrazione in modo adeguato rispetto ai cambiamenti in atto. Affrontare il tema dell’immigrazione, significa, infatti, confrontarsi con un fenomeno profondamente complesso, che più di ogni altro mette in relazione gli aspetti demografici, economici, sociali e culturali di una società. “Mettere in relazione” significa, appunto, rinunciare a una politica nazionale o comunitaria settoriale che confini e riduca il fenomeno a mera gestione www.koreuropa.eu
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amministrativa, ma lo collochi all’interno di una strategia di sicurezza, di diritti, di integrazione e di gestione del ruolo di attore globale dell’Unione Europea, soprattutto nei confronti dei Paesi vicini, in grado di rilanciare il progetto comunitario in un mondo globale. In questi termini si intende suggerire come una politica per l’immigrazione non debba essere solo quella di trovare soluzioni semplici o rapide ai problemi contingenti che la presenza di soggetti immigrati porta nella società di accoglienza, ma di inserire questo fenomeno strutturale e inevitabile all’interno di un processo di crescita e di sviluppo della società. In questa prospettiva la politica comunitaria per la gestione dei flussi migrazione deve legarsi alle politiche di cooperazione allo sviluppo, di sicurezza e di partnership soprattutto con i Paesi vicini. Con quest’approccio si è analizzato, infine, il fenomeno migratorio in Europa, attraverso i numerosi studi e dati disponibili, così da fornire un quadro organico e aggiornato delle politiche comunitarie suggerendo altresì nuove e ulteriori ipotesi di lavoro e di azione. 2. Il fenomeno migratorio in Europa Per comprendere le politiche comunitarie in materia di migrazione è necessario specificare il fenomeno migratorio in Europa ed in Italia partendo dai dati e dalle rilevazioni ufficiali. A tal proposito riporteremo i principali dati e osservazioni statistiche del IV Rapporto annuale (2014) sul tema degli immigrati del Ministero del Welfare. Il Rapporto, infatti, segnala che la popolazione straniera nell’UE, al 1° gennaio 2013, ammonta a circa 34 milioni, il 6,8% della popolazione residente, considerando anche i cittadini dell’UE che risiedono in uno Stato diverso dal proprio (ma sempre nell’ambito dell’Unione). I cittadini residenti con cittadinanza non UE sono invece 20 milioni, pari a poco più del 4% del totale (tabella 1). Il grafico di figura 1 presenta in modo sinottico l’ammontare della popolazione straniera residente e l’incidenza percentuale sul totale della popolazione residente al 1° gennaio 2013 dei primi 18 paesi per numero di stranieri. www.koreuropa.eu
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Nel 2013, la grande maggioranza di stranieri residenti (UE e non UE) si distribuisce in cinque paesi, tre con una consolidata tradizione come destinazione dei flussi migratori — Germania (7,7 milioni); Regno Unito (4,9 milioni) e Francia (4,1 milioni) — e due paesi con una storia recente di emigrazione — Spagna (5,1 milioni) e Italia (4,4 milioni). La tabella 1 fornisce una prima rappresentazione dettagliata per Stato della presenza straniera nei paesi dell’UE. I dati presentati nella tabella evidenziano la trasformazione demografica determinata dall’accresciuta presenza di cittadini stranieri nel lungo periodo, mettendo a confronto la situazione al 2000 con quella al 2013. Nella tabella 1, accanto ai valori assoluti della popolazione residente con cittadinanza del paese e di quella straniera, si riporta il tasso di crescita medio annuo composto tra il 20001 ed il 2013. Figura 1. -­‐ Popolazione straniera residente in milioni e incidenza % sulla popolazione totale nei paesi con la maggiore presenza in termini assoluti di immigrati nella UE. Valori assoluti in milioni e % sulla popolazione residente al 1° gennaio 2013 1
L’anno iniziale è stato scelto in base anche alla disponibilità dei dati per il maggior numero possibile di paesi. www.koreuropa.eu
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Fonte: elaborazione Staff SSRMdL di Italia Lavoro su dati EUROSTAT (Population) Il Rapporto rileva come in Italia la popolazione residente nazionale è stazionaria, mentre quella straniera è cresciuta a un tasso medio del 10% annuo2. Un tasso di variazione della popolazione straniera superiore al nostro nel periodo osservato si verifica soltanto in Spagna (+15%) e Irlanda (+12,3%). Piuttosto elevata anche la crescita in altri paesi mediterranei dell’area dell’Euro (Cipro, Malta e Portogallo), che avevano, come i precedenti, una tradizione recente ed anche meno recente di emigrazione. Se si escludono due Stati dell’UE già appartenenti all’URSS (Estonia e Lettonia), il Lussemburgo e Cipro, tutti di “taglia” piuttosto piccola, le percentuali di propalazione straniera (11-­‐12%) più elevate si registrano in Austria, Belgio e Irlanda, seguiti dalla Spagna (quasi l’11%), dalla Germania (9,4%), dalla Grecia (7,8% con un aumento però modesto rispetto al 2000), dal Regno Unito (7,7%) e dall’Italia (7,4%). I paesi nordici ad alto reddito (Danimarca, Svezia e Finlandia) e la Francia (6,2%) hanno percentuali più basse, così come l’Olanda (4,3%). Anche per effetto dalle sanatorie, che hanno contribuito negli anni 2000 a far crescere il numero degli stranieri “regolari” tra i residenti. L’evidenza risulta in modo particolare dall’esame dei flussi. 2
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Si osserverà in seguito, in relazione ai flussi migratori, un rallentamento di tali flussi negli anni più recenti. I dati sullo stock, oltre all’andamento del saldo migratorio, incorporano sia il dato della variazione demografica della popolazione straniera (in generale positivo), sia quello dell’acquisizione della cittadinanza del paese di insediamento da parte dei migranti, che ovviamente riduce il numero di cittadini stranieri residenti. La quota relativa dei migranti sulla popolazione residente dipende anche dal saldo naturale e da quello migratorio dei cittadini non stranieri. Tabella 1. Popolazione per cittadinanza (nazionale/straniera) e paese nell’Unione Europea. Valori assoluti in milioni al 1° gennaio, tasso % di incremento medio annuo composto e quota % sulla popolazione residente. Anni 2000 e 2013 www.koreuropa.eu
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(*) Per la Francia il dato è relativo al 1999; per la Bulgaria, la Croazia, la Lituania ed il Lussemburgo al 2001; per la Romania al 2002 e per la Slovacchia al 2003; (**) Il totale è riferito a tutti i cittadini del paese di residenza e di tutti i cittadini stranieri residenti, UE e non UE. Fonte: elaborazione Staff SSRMdL di Italia Lavoro su dati EUROSTAT (Population) www.koreuropa.eu
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Il Rapporto annuale sull’immigrazione analizzare, ancora, il fenomeno migratorio in termini di flussi, considerando gli ingressi e le uscite nel corso di un determinato anno. Nel 2012 (ultimo anno disponibile) il flusso di migranti nell’Unione Europea ammontava a circa 3,1 milioni, di cui quasi il 41% proveniente da paesi extracomunitari, quasi il 33% da cittadini di un altro Stato della UE ed il 26% è rappresentato dal ritorno (rimpatrio) di cittadini di uno Stato della UE nel proprio paese d’origine (grafico 2). Nel biennio precedente (2010-­‐11), la situazione era piuttosto simile nelle linee generali, con però un maggior peso relativo dei flussi di cittadini Extra UE (43%) rispetto a quelli di cittadini UE (30,6%). Una quota minima, di pochi decimali di punto, è rappresentata da flussi non ripartiti per nazionalità. Nelle tabelle successive si esamina l’evoluzione temporale per i maggiori paesi UE dal punto di vista dei flussi migratori. Le serie storiche non sono complete per tutti paesi. Per quanto riguarda l’Italia, i dati EUROSTAT sono aggiornati con i più recenti dati di fonte ISTAT3. Il grafico 2 mostra la distribuzione percentuale dei flussi di ingresso, distinguendo per nazionalità dei migranti (oltre alla residuale quota di ingressi non ripartiti per nazionalità): -
Il flusso di immigrazione dei cittadini nel paese di origine (rimpatri); -
I flussi di migranti (con cittadinanza diversa da quella del paese di destinazione) provenienti da altri paesi delle UE (a 27, la precisazione è importante, viste le adesioni intervenute nel corso degli anni); -
I flussi di migranti provenienti da paesi non appartenenti all’UE. I flussi di immigrazione extracomunitaria rappresentavano nel 2012, come già osservato, poco meno del 41% del totale. Se confrontiamo la composizione con quella del biennio precedente, si osserva una certa flessione (il dato era del 43,3%). Stabile (26%) la percentuale di rientri nei paesi UE di origine, mentre la quota relativa dell’immigrazione verso altri paesi UE di cittadini comunitari è cresciuta (32,9% nel 2012 contro 30,6% nel biennio precedente). 3
ISTAT, I trasferimenti di residenza. Iscrizioni e cancellazioni all'anagrafe per trasferimento di residenza. Anni 2002 – 2012, 27 gennaio 2014 (http://demo.istat.it/altridati/trasferimenti/index.html). www.koreuropa.eu
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La tabella 2 mette a confronto, per l’anno più recente disponibile, la distribuzione dei flussi di migrazione in ingresso negli Stati dell’UE, sia in termini assoluti sia relativi (in % dei flussi di ciascun paese). Il totale è il risultato della somma dei flussi complessivi, mentre il dato relativo alla UE considera solo i flussi dall’esterno, cioè dai paesi non aderenti all’Unione. I primi 5 paesi (Germania, Regno Unito, Italia, Francia, Spagna) assommano nel 2013 oltre 2 milioni di ingressi, che corrisponde al 61% del totale dei flussi in entrata degli Stati della UE. Figura 2. UE a 27 Composizione percentuale dei flussi di immigrazione: ritorno di espatriati nel paesi di origine, altri UE, Extra UE. Anno 2012 e flussi cumulati 2010-­‐11 Fonte: elaborazioni Staff SSRMdL di Italia Lavoro su dati EUROSTAT (Population) Rispetto ai flussi in ingresso, l’Italia si colloca, con 351mila ingressi, al terzo posto dopo la Germania (592) e Regno Unito (498 mila) e prima della Francia (327 mila) e della Spagna (304 mila). Al sesto posto, abbastanza staccata, la Polonia (216mila). In relazione alla sola componente non comunitaria, l’Italia risulta al secondo posto nel 2012 (217mila) dopo il Regno Unito (260mila). In Italia risulta molto bassa la quota dei rimpatri, che è invece molto elevata nell’Est dell’Unione (Romania, Lituania, Polonia, in particolare). La quota relativa di immigrazione Extra UE in Italia (quasi il 62%) è superata solo da quella della Slovenia. Anche in Spagna, Svezia e Regno Unito la www.koreuropa.eu
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quota dell’immigrazione Extra UE supera il 50%. In Francia e Grecia la quota Extra UE resta sotto il 50%, ma è comunque nettamente superiore a quella intra-­‐UE. I flussi dalla UE (esclusi i rimpatri) sono oltre il 50% in Lussemburgo, Austria e Germania. Una netta prevalenza dei flussi interni alla UE, escludendo i rimpatri, si riscontra anche in Olanda ed Irlanda. Tabella 2 Flusso di immigrazione per paese e cittadinanza (rimpatri di cittadini espatriati, altri flussi dalla UE, flussi Extra UE). Valori assoluti e quote % nel 2012 www.koreuropa.eu
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(a) Al netto dei flussi migratori tra paesi della UE; (*) Per la Francia, il dato è relativo al 1999; per la Bulgaria, la Croazia, la Lituania e il Lussemburgo al 2001; per la Romania al 2002 e per la Slovacchia al 2003; (**) Il totale è riferito a tutti i cittadini del paese di residenza e di tutti i cittadini stranieri residenti, UE e non UE. Fonte: elaborazione Staff SSRMdL di Italia Lavoro su dati EUROSTAT (Population) Per una corretta lettura dei flussi migratori è opportuno esaminare anche i flussi di emigrazione dagli Stati della UE, che coinvolgono in modo anche cospicuo cittadini con cittadinanza diversa da quella del paese (di uscita). Gli “espatri” nella tabella sono i flussi in uscita www.koreuropa.eu
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di cittadini dal proprio paese; le altre colonne riportano l’emigrazione degli stranieri. In molti paesi (tra cui Spagna, Austria, Belgio, Germania e Regno Unito) i flussi di emigrazione sono composti in maggioranza da stranieri (UE ed Extra UE). Nel complesso, i flussi di emigrazioni nei paesi della UE sono tutt’altro che irrilevanti (447mila in Spagna, 321mila nel Regno Unito, 288mila in Francia, 240mila in Germania). In Italia, il numero risulta decisamente inferiore (106mila) e composto per quasi 2/3 da Italiani. In proporzione, la quota relativamente maggiore di emigranti con cittadinanza Extra UE si riscontra in Spagna, Repubblica Ceca e Cipro. Quella di emigranti cittadini UE (ma non del paese) in Lussemburgo, Belgio e Austria. Tabella 3. Flussi di emigrazione per paese e cittadinanza (espatriati, altri flussi in uscita di cittadini di altri Stati UE, Extra UE). Valori assoluti in migliaia e quote % nel 2012 www.koreuropa.eu
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(a) Al netto dei flussi migratori tra paesi della UE Fonte: elaborazione Staff SSRMdL di Italia Lavoro su dati EUROSTAT (Population) I grafici successivi riportano l’evoluzione temporale dei flussi migratori in entrata e in uscita. L’arco temporale di osservazione (non disponibile purtroppo per tutti i paesi) è quello 1998-­‐2012. I dati Eurostat sono stati integrati con i più recenti dati ISTAT (vedi la Nota 3). Non per tutti i paesi, le serie sono disponibili per l’intero l’intervallo temporale definito: dove è stato www.koreuropa.eu
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possibile sono stati interpolati graficamente i dati mancanti (segmenti tratteggiati delle curve). Sono riportati sinotticamente nei grafici i primi 16 paesi per numero di immigrati al 2013 (tabella 1), con l’esclusione dei paesi baltici, che hanno un livello minimo di flussi di immigrazione negli anni recenti. L’ordine dei paesi, esclusa l’Italia, è quello decrescente secondo il numero di stranieri residenti nel 2013. La modalità di presentazione aiuta a visualizzare l’esistenza di modelli migratori molto diversi all’interno dell’Unione Europea, anche limitandosi ai paesi con una presenza di cittadini stranieri di una qualche entità (in Polonia, Romania e Bulgaria la presenza di cittadini stranieri è ancora molto ridotta). I grafici di figura 3 e di figura 4 riportano i flussi in ingresso per cittadinanza, secondo la tripartizione (Rimpatri/UE/Extra UE) già illustrata, per singolo paese. www.koreuropa.eu
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Figura 3. Flussi di migranti per cittadinanza (rimpatri, Altri UE, Extra UE) nei primi 8 paesi per numero di migranti nella UE. Valori in migliaia 1998-­‐2012 (ove disponibili) www.koreuropa.eu
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Fonte: elaborazioni Staff SSRMdL di Italia Lavoro su dati EUROSTAT (Population) e ISTAT (I trasferimenti di residenza) Gli andamenti congiunturali ed anche i trend, sono piuttosto differenziati da paese a paese. La peculiarità italiana è quella di avere alcuni picchi in corrispondenza delle “finestre” di regolarizzazione e dell’adesione all’UE della Romania e della Bulgaria nel 2007. Figura 4. Flussi di migranti per cittadinanza (rimpatri, Altri UE, Extra UE) negli Stati dal 9°al 16* posto della graduatoria per numero di migranti nella UE. Valori in migliaia 1998-­‐2012 www.koreuropa.eu
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Fonte: elaborazione Staff SSRMdL di Italia Lavoro su dati EUROSTAT (Population) www.koreuropa.eu
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Poiché i dati utilizzati sono quelli che risultano sotto il profilo della residenza anagrafica, è plausibile che si sia trattato della regolarizzazione di soggetti già presenti, con ciò modificando il profilo temporale effettivo dei flussi migratori. Un altro elemento che accomuna molti paesi (ma non tutti) e che viene segnalato opportunamente dal Rapporto sull’immigrazione del Ministero del Welfare e dai numerosi dati e osservazioni demografiche è la riduzione dei flussi migratori dopo il 2007. Per l’Italia ciò si verifica nettamente per i flussi in ingresso dei cittadini della UE e solo nel 2011-­‐12 per i flussi Extra UE. Un calo generalizzato post 2007 (UE ed Extra UE) si registra in Spagna. In Irlanda la flessione è molto forte nella componente UE e nella Repubblica Ceca in quella Extra UE: in entrambi i casi si tratta, per ciascuno dei due paesi, delle componenti più dinamiche nell’immigrazione. In Germania i flussi Extra UE hanno iniziato a calare già all’inizio degli anni 2000 e quelli di cittadini della UE hanno avuto una fortissima flessione nel 2009; già dal 2010, comunque, si assiste ad una ripresa, soprattutto nella componente UE. Una situazione non dissimile si verifica anche in Austria. In altri casi (Finlandia, Lussemburgo, Svezia, Finlandia), la crisi non sembra aver avuto un impatto riconoscibile sui flussi di immigrazione. In Italia, Francia, Olanda, Svezia, Portogallo e Finlandia i flussi di emigrazione riguardano essenzialmente cittadini del paese che espatriano. In Italia, in Grecia, in Irlanda e in Portogallo vi è stato un aumento di tali flussi di emigrazione nel 2011-­‐12; in Francia il trend di tale tipo di flussi è in crescita durante l’intero intervallo, quindi non sembra un fenomeno connesso con la crisi. In Italia, Svezia e Olanda i flussi di emigrazione degli stranieri crescono negli anni più recenti, pur restando nettamente inferiori a quelli dei cittadini. In Spagna, Germania e Lussemburgo i flussi di emigrazione hanno una forte componente straniera: nel caso del Lussemburgo si tratta di un dato strutturale, in Spagna si tratta di un elemento legato alla crisi, che ha visto una notevole crescita dei flussi di emigrazione sia di cittadini UE sia non UE. In Germania, al contrario, dal 2009 i flussi in uscita di cittadini stranieri calano bruscamente. www.koreuropa.eu
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I grafici di figura 5 e 6 riportano i flussi in uscita per cittadinanza, secondo la tripartizione (Espatri/UE/Extra UE), per singolo paese. Figura 5. Flussi di emigranti per cittadinanza (espatri, Altri UE, Extra UE) nei primi 8 paesi per numero di migranti nella UE. Valori in migliaia 1998-­‐2012 (ove disponibili) www.koreuropa.eu
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Fonte: elaborazioni Staff SSRMdL di Italia Lavoro su dati EUROSTAT (Population) www.koreuropa.eu
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Figura 6. Flussi di emigranti per cittadinanza (espatri, Altri UE, Extra UE in altri Stati tra i primi 18 per numero di migranti nella UE. Valori in migliaia 1998-­‐2012 (ove disponibili) www.koreuropa.eu
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I grafici di figura 7 e 8 riportano per ciascun paese il flusso complessivo di migranti, quello di emigranti ed il risultante saldo migratorio. Si tratta ovviamente delle sommatorie delle grandezze declinate nei grafici precedenti per nazionalità. Figura 7. Flussi di migranti, emigranti e saldo migratorio netto nei primi 8 paesi per numero di migranti nella UE. Valori in migliaia 1998-­‐2012 (ove disponibili) www.koreuropa.eu
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Fonte: EUROSTAT (Population) e ISTAT (I trasferimenti di residenza) Figura 8. Flussi di migranti, emigranti e saldo migratorio netto negli Stati in altri Stati tra i primi 18 per numero di migranti nella UE. Valori in migliaia 1998-­‐2012 (ove disponibili) www.koreuropa.eu
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Fonte: elaborazioni Staff SSRMdL di Italia Lavoro su dati EUROSTAT (Population) www.koreuropa.eu
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Tuttavia, il confronto dei flussi di emigrazione e immigrazione complessivi e dei saldi migratori (migranti -­‐ emigranti), fornisce ulteriori utili spunti per l’analisi, ed in alcuni casi le serie storiche disponibili non declinate per nazionalità sono più lunghe di quelle che invece presentano tale dettaglio. Un elemento rilevante che si segnala è quello del rapporto tra le quantità di migranti ed emigranti. L’Italia, la Finlandia e la Svezia si caratterizzano per una notevole distanza tra le due grandezze, più vicine in altri casi (Germania, Francia, Danimarca). In Spagna, Irlanda, Portogallo, Repubblica Ceca e Grecia la crisi ha condotto a saldi migratori negativi. In altri casi (Francia, Olanda) il saldo resta positivo, ma la riduzione è comunque consistente. Nel Regno Unito con la crisi si riducono sia migranti che emigranti, e il valore del saldo, positivo, non si modifica dunque di molto. Una situazione simile si verifica anche per il Belgio. In Germania e Austria vi è una ripresa dei flussi di immigrazione negli anni più recenti, mentre quelli di emigrazione restano ai minimi. 3. Caratteristiche del fenomeno migratorio in Italia Nei più recenti dati pubblicati dall’ISTAT4, la popolazione straniera residente in Italia al 31 dicembre 2013 assomma a 4,92 milioni di persone, pari all’8,1% della popolazione residente. L’aumento rispetto alla cifra riportata in seguito per l’inizio dello stesso anno (4,4 milioni) non è dovuta a imponenti flussi migratori avvenuti nel corso del 2013: infatti, “il movimento migratorio con l’estero ha fatto registrare, nel 2013, un saldo positivo pari a circa 182mila unità, in diminuzione rispetto agli anni precedenti. Aumenta l’emigrazione italiana, diminuisce l’immigrazione straniera” (Istat 2014). Il saldo migratorio della popolazione straniera risulta pari nel 2013 a 235,4mila unità e quello per i cittadini italiani è negativo (espatri superiori ai rimpatri) per otre 53mila unità. Nell’aumento che si registra pesa molto il dato amministrativo della 4
ISTAT, Bilancio demografico nazionale. Anno 2013, giugno 2014. www.koreuropa.eu
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revisione delle anagrafi operata dai comuni, revisione che ha portato a 370mila stranieri e 697mila italiani in più. Come si può vedere dal grafico di figura 9, la presenza di stranieri tra i residenti in Italia fa segnare alla fine del 2013 un aumento di 3,6 milioni rispetto agli inizi degli anni 2000, anche per effetto della menzionata revisione demografica. La popolazione di cittadinanza italiana è rimasta invece stazionaria fino al 2011, ed ha conosciuto, escludendo l’effetto della revisione anagrafica, un declino nel 2012-­‐13, anche per effetto di un saldo migratorio (rimpatri-­‐espatri) negativo per i cittadini italiani. L’incidenza percentuale della popolazione straniera su quella totale in costante crescita nell’intervallo di osservazione: nel 2001 era al 2,3%, al 1° gennaio 2013 arriva al 7,4% e, con la revisione anagrafica, si attesta alla fine di tale anno sull’8,1%. La crescita dello stock di migranti è stata particolarmente sostenuta nel 2003 e 2004 (il valore riportato nel grafico è relativo al 1 gennaio di ciascun anno, e quindi la crescita si è verificata nell’anno precedente) e, di nuovo, nel 2007-­‐2008. Figura 9. Popolazione residente in Italia distinta per cittadinanza tra italiani e stranieri. Valori in migliaia 2001-­‐2013 (per il 2001, dati di Censimento al 21 ottobre; al primo gennaio per gli altri anni) www.koreuropa.eu
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(*) Dati al 21 ottobre; si tratta quindi di un periodo molto vicino al dato 2002 (1° gennaio). Fonte: elaborazioni Staff SSRMdL di Italia Lavoro su dati ISTAT (Popolazione residente comunale; Rilevazione della popolazione residente comunale straniera; Censimento della popolazione 2011; Bilancio demografico nazionale) Nel 2013, che è per gran parte delle informazioni statistiche il più recente anno di riferimento disponibile, come si può notare nel grafico di figura 10, la popolazione residente di cittadinanza italiana nell’intervallo di età 0-­‐14 anni risulta essere pari al 13,6% del totale dei cittadini italiani residenti (come nell’anno precedente) mentre quella anziana (65 anni e +) è al 22,6% (contro il 22,2% dell’anno precedente). La popolazione tra i tra i 15 ed i 34 anni è al 20,5% (contro il 20,9% del 2012) e quella tra i 35 ed i 64 anni al 43,3% (come nel 2012). Nettamente diversa appare la composizione della popolazione straniera che, sempre nel 2013, fa registrare una composizione demografica con il 19,5% rappresentato da minori fino a 14 anni (contro il 19,2% del 2012), il 34,8% (contro il 35,5% dell’anno precedente) da giovani tra i 15 ed i 34 anni, il 43,1% (contro il 42,6% nel 2012) dalla popolazione tra i 35 ed i 64 anni e solo il 2,7% (contro il 2,8% del 2012) da individui con un’età dai 65 anni in su. Ne segue che la tendenza www.koreuropa.eu
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all’invecchiamento della popolazione italiana è stata frenata proprio dalla crescita rilevante dalla componente immigrata, mediamente molto più giovane di quella italiana. Considerando la composizione per fasce di età, nel 2013 il numero di individui tra i 35 ed i 64 anni di nazionalità italiana (quasi 24 milioni) è decisamente superiore alla componente italiana (22,6 milioni5) della popolazione al Censimento del 2011, e leggermente superiore anche alla popolazione complessiva (23,1 milioni), inclusi i cittadini stranieri. È nella fascia di età precedente che si evidenzia la questione demografica nazionale, con 11,3 milioni di cittadini italiani residenti nel 2013 nella fascia di età 15-­‐34 contro 14,6 milioni nel 2001 (vedi la Nota), con una perdita di circa 3,3 milioni di unità. Figura 10. Struttura della popolazione per età e cittadinanza (valori percentuali). Anni 2012 e 2013 L’accresciuta presenza straniera nella fascia di età 15-­‐34, pari a poco meno di un milione di unità, non è peraltro in grado di compensare il calo nelle fasce giovanili dei residenti di nazionalità italiana. Invece, nella fascia 35-­‐64 l’apporto aggiuntivo di cittadini stranieri è di quasi 1,4 milioni di unità, che si somma all’incremento, di poco inferiore, dei cittadini italiani. Nell’insieme, rispetto al 2001, la popolazione nella fascia di età 35-­‐64 cresce di oltre 2,7 milioni di unità. Nelle fasce di età attive, o almeno potenzialmente attive, dal punto di vista del mercato del lavoro si è quindi 5
Applicando alla popolazione del 21 ottobre 2001 il rapporto cittadini italiani/popolazione complessiva della ricostruzione intercensuaria della popolazione 2002-­‐2011. www.koreuropa.eu
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verificata una traslazione verso l’alto, a vantaggio degli over 34 e a svantaggio degli under 35. Il saldo complessivo è quindi positivo per 450mila unità. A questo valore va aggiunta una quota degli oltre 1 milione di residenti che si aggiungono agli archivi anagrafici per effetto delle rettifiche realizzate nel corso del 2013 (che correggono disallineamenti pregressi). Ipotizzando che questa quota aggiuntiva si distribuisca per età come la popolazione al 1 gennaio 2013, si aggiungono alla popolazione in età da lavoro circa 690 persone (per il 40% circa stranieri). Senza la crescita del numero dei cittadini stranieri, la popolazione in età da lavoro residente in Italia sarebbe stata nel 2013 di 1,5 milioni inferiore a quella rilevata dal Censimento del 2011. I flussi migratori in entrata ed in uscita ed il saldo migratorio su base annua sono riportati per gli anni dal 1995 al 2013 nel grafico di figura 11. Il saldo migratorio con l’estero nel 2013 (282mila unità) è il valore più basso dal 2007. Oltre al calo complessivo dei flussi di immigrazione, si registra anche un aumento del numero di emigranti, anche se le grandezze sono di un altro ordine rispetto ai flussi in ingresso, che nel 2013 (126mila) è il valore più elevato nell’intervallo di osservazione. Figura 11. Migranti, emigranti e saldo migratorio (dai trasferimenti di residenza da e per l’estero). Valori annui in migliaia 1995-­‐2013 www.koreuropa.eu
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Fonte: elaborazioni Staff SSRMdL di Italia Lavoro su dati Istat (I trasferimenti di residenza e Bilancio demografico nazionale). Il grafico di figura 12 riporta i saldi migratori per cittadinanza (italiana/altre UE/Extra UE), dal 1995 al 2012. Il saldo migratorio con l’estero dei cittadini italiani è prevalentemente negativo e nel 2012 è pari a quasi a -­‐39mila unità. Per i cittadini Extra UE valori del saldo pari o superiori alle 250mila unità si registrano nel 2003-­‐2004 e nel 2008-­‐2010. Il picco delle serie storiche per i comunitari si registra nel 2007 (anno di entrata della Romania nella UE) con oltre 300mila ingressi netti. Figura 12. Saldi migratori per cittadinanza. Valori annui in migliaia 1995-­‐2012 Fonte: elaborazioni Staff SSRMdL di Italia Lavoro su dati ISTAT (I trasferimenti di residenza) Passando all’esame a livello regionale (tabella 4), Lazio e la Lombardia presentano i flussi più consistenti di stranieri (Iscrizioni) in entrata: nel 2012, rispettivamente, 50mila e 65mila. Le altre regioni con i maggiori flussi sono: il Veneto; l’Emilia Romagna; il Piemonte; la Toscana. Nel www.koreuropa.eu
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2012, un anno con flussi a livelli relativamente bassi, tali regioni hanno avuto ingressi tra le 25mila e le 30mila unità. Le regioni citate hanno rappresentato quasi il 69% degli ingressi complessivi di cittadini stranieri dall’estero, percentuale simile a quelle che si sono registrate dal 2007. In precedenza, la quota dalle maggiori regioni era ancora più elevata (70-­‐75%). Le regioni meridionali con la maggiore capacità attrattiva in termini assoluti sono la Campania e la Sicilia, che dal 2007 rappresentano insieme tra le 32 e le 40mila Iscrizioni di cittadini stranieri. Tabella 4. Cittadini stranieri iscritti dall'estero nelle regioni e province autonome. Valori annui in migliaia 2002-­‐2012 Fonte: elaborazioni Staff SSRMdL di Italia Lavoro su dati ISTAT (I trasferimenti di residenza) www.koreuropa.eu
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32 Le differenze tra le varie regioni sono tuttavia marcate nel rapporto tra cittadini stranieri iscritti e popolazione residente media (l’indicatore è espresso per mille): prendendo a riferimento l’ultimo anno disponibile (2012) se da un lato il Lazio guida la graduatoria con saldo migratorio con l’estero (Iscrizioni-­‐Cancellazioni) pari a 8,9 per mille residenti, seguito dall’Emilia Romagna e Toscana (7 per mille), dall’altro troviamo in coda la Sardegna con un rapporto pari al 2,7 per mille, di poco preceduta da Puglia (2,6 per mille) e Molise (2,9 per mille). Inoltre, in Emilia Romagna il massimo è stato toccato nel 2008 (12,4) e nell’Umbria si è arrivati a 14 per mille abitanti nel 2007. Valori pari superiori al 10‰ si registrano nel 2007-­‐08 nel Lazio, nelle Marche, nel Veneto, in Alto Adige e nel Trentino. Solo in Emilia Romagna valori superiori al 10 per mille si registrano anche nel 2009-­‐2010. In Lombardia e Umbria (11,2‰), Marche e Veneto si erano registrati i valori più elevati nella precedente fase di flussi di immigrazione, cioè nel 2003-­‐2004. Tabella 5. Cittadini stranieri iscritti dall'estero per 1.000 residenti nelle regioni e province autonome. Valori annui 2002-­‐2012 www.koreuropa.eu
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Fonte: elaborazioni Staff SSRMdL di Italia Lavoro su dati ISTAT (I trasferimenti di residenza) Nel complesso, il saldo migratorio complessivo con l’estero è positivo per tutte le regioni italiane. L’ultimo valore negativo (inclusa l’emigrazione di cittadini italiani) si registra nel 2001 in Calabria. Tuttavia, negli anni più recenti, i saldi si sono fortemente ridotti in tutte le regioni, tornando quasi sui livelli dei primissimi anni 2000. Le differenze tra le varie regioni sono tuttavia marcate: prendendo a riferimento l’ultimo anno disponibile (in questo caso il 2013), se da un lato il Lazio guida la graduatoria con saldo migratorio con l’estero (Iscrizioni-­‐Cancellazioni) pari a 4,9 per mille residenti, seguito dalla Toscana (4,3 per mille) e da Emilia-­‐Romagna e Lombardia (4,1 per mille), all’altro estremo della graduatoria troviamo la Sardegna con un saldo netto di appena l’1,1 per mille, di poco preceduta dalla Puglia (1,4 per mille) e dal Molise (1,5 per mille). www.koreuropa.eu
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Si tratta comunque dei livelli minimi nell’arco temporale di osservazione: in Emilia Romagna il massimo è stato toccato nel 2008 (11,8) e nell’Umbria si è arrivati a 13,6 per mille abitanti nel 2007. Valori simili si registrano nel 2007-­‐08 nel Lazio, nelle Marche e nel Veneto. I differenziali interregionali, erano peraltro molto più accentuati nella fase espansiva dei flussi migratori, rispetto a quanto si verifica negli anni più recenti, caratterizzati dalla riduzione dei flussi di immigrazione regolari. Tabella 6. Saldo migratorio da e per l’estero (Iscrizioni-­‐Cancellazioni) per 1000 residenti nelle regioni e province autonome. Valori annui 2002-­‐2013 Fonte: elaborazioni Staff SSRMdL di Italia Lavoro su dati ISTAT (I trasferimenti di residenza e Bilancio demografico nazionale) www.koreuropa.eu
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I maggiori addensamenti della popolazione straniera si registrano a fine 2013, abbastanza ovviamente, nelle grandi aree metropolitane del Centro-­‐Nord (Roma, Milano e Torino). Si delineano nel Nord e nella parte settentrionale del Centro-­‐Italia tre blocchi: uno comprendente province della Lombardia e del Veneto; un secondo tra Emilia e Toscana che si estende fino a Genova; un terzo nell’Ovest del Piemonte. Di rilievo anche le presenze straniere a Perugia e a Napoli. La concentrazione della popolazione straniera è maggiore di quella che si registra per la popolazione complessiva: le prime 20 province per numero di stranieri rappresentano il 56,7% del numero complessivo di stranieri residenti in Italia, mentre le prime 20 province per numero di residenti (le due liste hanno ovviamente molti elementi in comune, ma non coincidono) rappresentano il 48% del totale della popolazione residente. Dal punto di vista dell’incidenza sulla popolazione, si delinea di nuovo un’area contigua che comprende province lombarde, venete, emiliano -­‐ romagnole e toscane, fino ad arrivare all’Umbria. Figura 13. Numero di stranieri per provincia al 1° gennaio 2013 Figura 14. Stranieri per 100 residenti per provincia al 1° gennaio 2013 www.koreuropa.eu
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Fonte: elaborazioni Staff SSRMdL di Italia Lavoro su dati ISTAT (Bilancio demografico nazionale) Una forte presenza in termini relativi si registra anche a Roma, a cavallo tra Veneto e Friuli e ad Asti. Intorno alle aree a maggior intensità vi sono gran parte delle altre province del Centro-­‐
Nord, che presentano un’intensità medio-­‐alta e media. Viceversa, le aree di minor presenza relatività degli immigrati (non oltre il 3%) si collocano in Sardegna (esclusa Olbia-­‐Tempio), in Sicilia escluse le zone con i maggiori centri urbani ed in un’area che comprende il Centro ed il Sud della Puglia, l’Est della Campania e Potenza. Vediamo ora di esaminare nel dettaglio le nazionalità (aree e singoli paesi) dei cittadini stranieri residenti in Italia. Il quadro per le aree è presentato nel grafico di figura 15 relativamente al 2013. Le cittadinanze europee rappresentano oltre la metà dello stock di immigrati; la quota della UE è del 29,2% e quella dei paesi europei Extra UE è al 22,5%. Figura 15 Distribuzione dei cittadini stranieri residenti in Italia per area geografica al 1° gennaio 2013 Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna
Fonte: elaborazioni Staff SSRMdL di Italia Lavoro su dati EUROSTAT (Population) Fuori dall’area europea, l’Africa Settentrionale rappresenta il 14,2% dei cittadini stranieri, seguita dall’Asia Centro-­‐meridionale, comprendente il sub-­‐continente indiano, con l’8,9%, dall’America Latina (7,6%), dall’Africa Sub-­‐Sahariana (7,2%), dall’Asia Orientale, comprendente la Cina; (5,1%) e dal Sud-­‐Est Asiatico, comprendente le Filippine (3,4%). Le altre aree hanno un peso residuale. È da notare che l’Africa Sub-­‐Sahariana rappresenta una quota piuttosto consistente della presenza straniera in Italia pur in mancanza di un paese leader (il Senegal è al 16°, Ghana è al 21° posto e la Nigeria al 19° della graduatoria delle nazionalità presenti nel 2013: tabella 7), come invece è il caso della UE (Romania), dell’Europa non UE (Albania), dell’Africa settentrionale (Marocco), dell’Asia Orientale (Cina), del Sud-­‐Est Asiatico (Filippine), e dell’Asia Centro-­‐
meridionale (India). Nell’America Latina i paesi più rappresentati sono Perù (al 9° posto) ed Ecuador (al 14° posto). www.koreuropa.eu
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Tabella 7. Numero di residenti, % sul totale di cittadini stranieri e % di donne per cittadinanza per le prime 25 nazionalità al 2013 e al 2001 Fonte: elaborazioni Staff SSRMdL di Italia Lavoro su dati EUROSTAT (Population) e ISTAT (Censimento della popolazione 2001) www.koreuropa.eu
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Nella graduatoria delle prime 25 nazionalità (che rappresentano oltre l’85% degli stranieri residenti) troviamo solo due paesi, Germania e Francia, della vecchia Unione a 15, e per giunta, rispettivamente, al 24° e 25° posto della graduatoria. Si tratta peraltro di una posizione decisamente ridimensionata rispetto al 2001, quando la Germania si trovava all’8° posto della graduatoria e la Francia all’11°. Ciò è avvenuto non tanto in ragione del calo, di poche migliaia di unità, dei livelli assoluti, quanto dello sviluppo considerevole di alcune comunità già presenti in modo consistente nel nostro territorio (Romeni, Albanesi, Marocchini e Cinesi), dall’ingresso in forze di “nuove” comunità (Moldavi, Ecuadoregni, Ucraini, Bulgari). La quota relativa di presenza femminile varia in modo consistente da paese: tra i paesi più rappresentati si va da quasi 80% (Ucraina) a meno del 40% (India). La popolazione femminile è prevalente nei paesi latinoamericani e nella maggioranza dei paesi europei (con l’esclusione dell’Albania). In definitiva il fenomeno migratorio in Europa e in Italia si è evoluto nel tempo sia in termini di flussi migratori che di paesi di provenienza assumendo i caratteri della rilevanza, sia sul piano dell’integrazione culturale e quindi della capacità delle società locali di assorbire e governare l’impatto dei nuovi arrivi, sia sul piano economico e sociale in considerazione dell’invecchiamento della popolazione, della sostenibilità del sistema previdenziale, della segmentazione del mercato del lavoro, del supporto alle economie dei territori. A questo proposito vediamo di comprendere come le disposizioni legislative e normative nonché le politiche comunitarie si sono evolute nel corso del tempo per rispondere a queste nuove sfide di governance. 4. L’evoluzione delle disposizioni normative comunitaria in materia di immigrazione Per svolgere un’analisi sulle politiche in ambito comunitario sul tema dell’immigrazione, occorre partire da alcune valutazioni sul piano storico, strettamente collegate a necessità demografiche, cambiamenti delle origini geografiche dei flussi e delle caratteristiche www.koreuropa.eu
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socioeconomiche dei migranti. Secondo questo schema logico, è possibile suddividere in tre grandi periodi le migrazioni in Europa nell’ultimo secolo e delle relative risposte politiche e legislative. Il primo periodo riguarda il periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale. Al termine del secondo conflitto mondiale l’immigrazione era intesa come un’opportunità di rilancio demografico, necessaria per la ricostruzione e per la crescita dopo le devastazioni della guerra. Questo periodo fu altresì caratterizzato dalle numerose migrazioni dalle ex-­‐colonie e da quelli devastati dalle sanguinose guerre d’indipendenza come Uganda, Tanzania e Kenya, ma anche dall’India e dal Pakistan. Le ondate migratorie, pertanto, sfuggivano dal controllo delle autorità politiche ed erano affrontate attraverso politiche del tipo laissez-­‐faire. L’intervento politico e legislativo era minimo se non inesistente. Il secondo periodo si sviluppa con l’inizio degli anni ‘70, ovvero quando la crisi economica e sociale ha evidenziato l’impossibilità di far fronte a ondate migratorie su larga scala senza controllo e prive di una politica di governance. Le migrazioni avvenute nella fase precedente subirono un brusco arresto anche a causa delle consistenti implicazioni sociali causate dagli shock petroliferi, le ristrutturazioni aziendali, i processi di innovazione e trasformazione produttiva e industriale nonché gli altissimi livelli di disoccupazione. Si sperimentarono misure volte al contenimento del fenomeno migratorio. La recessione economica conseguente alla crisi petrolifera produsse, infatti, una forte contrazione della domanda di manodopera determinando l’adozione di misure restrittive, soprattutto da parte dei Paesi dell’Europa centro-­‐settentrionale. L’emigrazione si spostò verso i Paesi dell’Europa meridionale quali appunto Italia, Spagna e Grecia, dove si diressero flussi provenienti soprattutto da Nord Africa e Mediterraneo Orientale. Il terzo periodo si avvia a ridosso degli anni ‘90 fino ai giorni nostri con l’accentuarsi costante dei fenomeni e delle criticità. A partire dagli anni ’90, in un mondo privo di blocchi contrapposti (Est-­‐Ovest) l’evoluzione del fenomeno migratorio si è caratterizzato da eventi epocali come la caduta del muro di Berlino, la Guerra del Golfo, le instabilità politico-­‐sociali del Medio Oriente, la crisi dei Balcani, l’11 Settembre, le guerre in Afghanistan e in Iraq ed infine la cosiddetta www.koreuropa.eu
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“Primavera Araba”. Trasformazioni di carattere economico, politico e culturale che si sono indicate e riassunte nel termine “globalizzazione”, estendendo il concetto di migrazione a livello mondiale. Tutto questo ha reso evidente a tutti gli Stati europei, nell’ambito del processo di integrazione comunitaria, la necessità di affrontare tale tema non più in modo isolato ed autonomo ma attraverso nuove formule di cooperazione, collaborazione, integrazione. Nell’ambito dell’impianto originario del Trattato di Roma, la Comunità Economica Europea, infatti, non aveva una competenza formale in materia di politiche di immigrazione. Tutto ciò che potesse riguardare ingresso, stabilimento e lavoro dei cittadini extracomunitari, rimaneva competenza esclusiva degli Stati membri. In questo contesto, la situazione giuridica e i relativi diritti degli immigrati variavano in modo anche rilevante da Paese a Paese. L’assenza di qualsiasi competenza in materia da parte delle istituzioni comunitarie risiede innanzitutto nella finalità essenzialmente economica che caratterizzava il progetto di integrazione europea con l’obiettivo primario di realizzazione del mercato unico. Non si avvertiva quindi la necessità di attribuire competenze comunitarie comuni in materia, anche perché la manodopera straniera presente nella Comunità proveniva in prevalenza dagli Stati membri. La politica dell’immigrazione rientrava, infatti, tipicamente all’interno di una sfera di azione rispetto alla quale gli Stati rivendicavano, sulla base del diritto internazionale, potestà esclusiva di intervento politico e normativo. Nel corso degli anni ‘90 si è assistito ad un lento e graduale trasferimento della tematica migratoria all’interno dell’agenda comunitaria. L’Unione Europea e i suoi Stati membri hanno preso atto del fatto che una materia come quella migratoria non poteva continuare ad essere gestita in modo indipendente dai singoli Stati, ma andava affrontata in maniera innovativa, coordinata e sinergica proprio in ragione degli evidenti limiti dell’approccio individuale o al più tardi intergovernativo. Il metodo “comunitario” è apparso, quindi, più idoneo per affrontare un tema tanto globale quanto legato a una serie di dinamiche prettamente nazionali di carattere economico, sociale e culturale. www.koreuropa.eu
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Nella Conferenza Intergovernativa (CIG) che ha preceduto il Trattato di Maastricht, il governo tedesco e, in un secondo momento, il governo italiano e belga proposero una completa “comunitarizzazione” della materia migratoria. Ma il “no” del governo britannico condusse ancora una volta ad affrontare la politica migratoria esclusivamente a carattere intergovernativo. Tuttavia con la prima grande riforma dei Trattati comunitari, la materia dell’immigrazione entrò a far parte del contesto comunitario. Con l’adozione del Trattato sull’Unione europea firmato a Maastricht nel 1992 si realizzava, infatti, un importante cambiamento. Il Trattato attribuisce una competenza in tema di immigrazione mediante il Titolo VI (artt. K.1 – K.9 TUE), riguardante la “Cooperazione nei settori della Giustizia e degli Affari Interni”, noto anche come “terzo pilastro” o “pilastro GAI”. Il “terzo pilastro” era dedicato, nell’ambito degli obiettivi dell’Unione, alla realizzazione della libera circolazione delle persone. Tale obiettivo doveva essere perseguito attraverso la cooperazione tra gli Stati membri nei settori definiti come “questioni di interesse comune” elencati nell’articolo K.1 TUE. In tal modo, materie quali l’ingresso dei cittadini di Paesi terzi, i controlli alle frontiere esterne, la politica dei flussi e il trattamento giuridico degli extracomunitari, entravano nel sistema comunitario come temi nei quali gli Stati membri avevano un obbligo di cooperazione. Il Trattato di Maastricht mantiene ferma la dimensione intergovernativa della collaborazione tra gli Stati membri in tali materie, ma nello stesso tempo la colloca dentro la nuova architettura istituzionale dell’Unione Europea, nella linea del progressivo superamento dei caratteri più marcatamente internazionalistici fino al momento posseduti. Questo nuovo rapporto tra cooperazione in materia di giustizia e affari interni tra Stati e politiche comunitarie, legittimato dalla necessità di strutturare e coordinare meglio le precedenti concertazioni tra gli Stati membri della Comunità in tali settori così, si decise di inserirlo nel Trattato di Maastricht e quindi nel quadro istituzionale dell’Unione. Con il Trattato di Amsterdam del 1997, entrato in vigore nel 1999, la politica migratoria compie un passo decisivo verso la comunitarizzazione, diventando oggetto di competenza concorrente tra Unione Europea e Stati membri. I temi immigrazione e asilo confluiscono dal terzo www.koreuropa.eu
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pilastro di Maastricht al primo, sancendo la fine della sgradevole associazione della politica migratoria con le disposizioni del terzo pilastro riguardanti il contrasto alla criminalità. Fu superata la cooperazione intergovernativa del precedente Trattato anche se i limiti imposti dal principio di sussidiarietà (art. 5 TCE) e dell’art. 636 limitarono de facto il processo di comunitarizzazione della materia. Occorre inoltre aggiungere che per la completa realizzazione di tale processo fu disposto un periodo transitorio di cinque anni, dal 1999 al 2004, in cui per le approvazioni delle delibere era necessaria l’unanimità del Consiglio europeo. Inoltre, ad Amsterdam fu introdotto un meccanismo che rese possibile il processo di comunitarizzazione di alcune materie come ad esempio quelle del Titolo IV, oggetto della nostra analisi (Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone). Infatti, grazie alla cooperazione rafforzata, una maggioranza di Stati poteva aumentare il livello di integrazione e non essere bloccata da un gruppo di Stati che su alcune tematiche, come quella in questione, voleva mantenere un approccio nazionale. Questa flessibilità ha portato all’introduzione di meccanismi di opting-­‐out (vie d’uscita) rispetto ad alcune parti del Trattato, che se da un lato aumentavano il processo di comunitarizzazione, dall’altra hanno aperto la strada ad un’Europa a due velocità. Tra le importanti novità del Trattato di Amsterdam occorre comprendere anche l’integrazione degli Accordi di Schengen nel contesto comunitario, mediante un Protocollo allegato, ponendo fine così alla contraddizione degli Accordi che ponevano un obiettivo comunitario, quello della libera circolazione delle persone, al di fuori dei Trattati comunitari. Tra il 2000 e il 2001 le iniziative della Commissione hanno riguardato i ricongiungimenti familiari, l’accoglimento dei rifugiati, l’attuazione del principio di parità di trattamento e lo status dello straniero residente. A cavallo tra il 2001 e il 2002 le proposte che giungevano dalla Commissione e dai governi erano sempre più legate ad aspetti giuridico -­‐ penali dell’immigrazione irregolare mettendo in secondo piano l’effettiva fruizione dei diritti umani da parte dei migranti 6
L’articolo 63 stabilisce che le misure riguardanti l’immigrazione “non ostano a che uno Stato membro mantenga o introduca, nei settori in questione, disposizioni nazionali compatibili con il presente trattato e con gli accordi internazionali”. www.koreuropa.eu
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irregolari. Andarono in questa direzione la Comunicazione del Piano d’azione su una politica comune sull’immigrazione illegale (COM 2001-­‐ 672) e la Comunicazione su una politica comune di rimpatrio dei residenti illegali (COM 2002-­‐564). Il vertice di Siviglia del 2002, sull’onda emotiva dei fatti dell’11 settembre, non fece altro che dare priorità al contrasto all’immigrazione irregolare anche attraverso un piano per la gestione e il controllo delle frontiere esterne7 . Flussi di immigrazione clandestina Fonte: Liberation Il primo gennaio 2003 è entrato in vigore il Trattato di Nizza. Le modifiche emendate dal Trattato di Nizza sul Titolo IV TCE riguardano per lo più la materia dell’asilo politico. All’art. 67, unico articolo del Titolo IV TCE modificato, è stato aggiunto il paragrafo 5 con il quale si prevede l’applicazione della procedura di codecisione ad una serie di materie riguardanti l’asilo e la 7
Si veda: Capo III “Asilo e Immigrazione” delle Conclusioni della Presidenza sul Vertice di Siviglia del 21 e 22 Giugno 2002 www.koreuropa.eu
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protezione temporanea; procedura da applicare dopo che il Consiglio abbia prima adottato una normativa comunitaria al riguardo che definisca le norme comuni e i principi essenziali. Con riferimento all’immigrazione è significativa la Dichiarazione relativa all'articolo 67 del Trattato di Nizza allegata al Trattato che istituisce la Comunità europea. In essa gli Stati membri hanno espresso il loro accordo affinché il Consiglio, nella decisione che dovrà adottare all’unanimità ai sensi dell'articolo 67, par. 2, decida che in alcuni settori (immigrazione e soggiorno irregolare, compreso il rimpatrio, libertà di circolazione degli stranieri nella Comunità per un periodo inferiore a tre mesi) a partire dal primo maggio 2004 si applichi la procedura di codecisione regolata dall’art. 251 TCE. Sempre nella Dichiarazione si prevede che il Consiglio si adoperi “per rendere la procedura di cui all'articolo 251 applicabile, dal 1° maggio 2004 o al più presto dopo tale data, agli altri settori previsti dal titolo IV o ad alcuni di essi”8. Su questo punto bisogna richiamare la Decisione del Consiglio 2004/927 che assoggetta taluni settori contemplati dal Titolo IV alla procedura di codecisione. Con la Decisione dal primo gennaio 2005 la procedura di codecisione dell’art. 251 TCE si applica per l’adozione di misure volte a garantire che non vi siano più controlli sulle persone all’atto di attraversamento delle frontiere interne (art. 62 TCE, punto 1), alle misure relative alle procedure da seguire per i controlli alle frontiere esterne (art. 62 TCE, punto 2 lettera a)), alle misure che stabiliscono a quali condizioni i cittadini dei Paesi terzi possono spostarsi all'interno del territorio degli Stati membri per un periodo non superiore a tre mesi (art. 62 TCE, punto 3), alle misure per la promozione di un equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono i rifugiati e gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi (art. 63 TCE, punto 2 lettera b)), nonché agli atti in materia di immigrazione e soggiorno irregolari, compreso il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare (art. 63 TCE, punto 3 lettera b)). Inoltre, come previsto dalle modifiche del Trattato di Nizza, con l’adozione della Direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della 8
Trattato di Nizza che modifica il trattato sull'Unione Europea, i trattati che istituiscono le Comunità Europee e alcuni atti connessi, firmato dagli Stati dell’Unione Europea il 26 febbraio 2001, in GUCE C 80 del 10 marzo 2001; v. inoltre le versioni consolidate del TCE e del TUE, in GUCE C 325 del 24 dicembre 2002. www.koreuropa.eu
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revoca dello status di rifugiato, si è conclusa la prima fase della politica europea di asilo. Può quindi considerarsi soddisfatta la condizione prevista dall’art. 67 TCE par.2. Tutte le normative in materia di asilo possono ora essere adottate in base alla procedura di codecisione e con deliberazione del Consiglio a maggioranza qualificata analogamente a quanto previsto dalla Decisione 2004/927/CE. La procedura consultiva con delibera all’unanimità resta invece, per le norme in materia di immigrazione economica che non sono stare ancora approvate dalle istituzioni europee. Direttamente connessa al Trattato, pur essendo un allegato a carattere non vincolante, è la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Proclamata a Nizza il 7 Dicembre 2000 da Parlamento europeo, Consiglio e Commissione, contiene alcune disposizioni che si applicano anche nei confronti degli stranieri9. In virtù dello spirito della Carta di Nizza, la Direttiva 109 del 2003 ha disposto il diritto al riconoscimento dello status di residente di lungo periodo allo straniero che abbia soggiornato regolarmente in qualunque Stato membro e quindi le limitazioni alle ipotesi di allontanamento, la parificazione ai cittadini comunitari riguardo l’accesso ad alcuni servizi, il diritto di circolare e di soggiornare in un altro Stato membro per un periodo superiore a tre mesi. Nel 2005 la Commissione Europea ha elaborato il “Libro verde sull’approccio dell’Unione europea alla gestione della migrazione economica” ovvero uno strumento volto ad avviare un dibattito approfondito, con la partecipazione delle istituzioni dell’UE, degli Stati membri e della società civile, sulle novità da introdurre a livello comunitario in materia di ammissione dei migranti per motivi economici e sul valore aggiunto dell’adozione di questa disciplina comune. 9
Ad esempio le norme che contemplano il diritto alla vita (art.2), all’integrità fisica e psichica (art.3), alla libertà e sicurezza (art.6), al rispetto della vita privata e familiare (art.7), all’istruzione (art.14), alla prevenzione sanitaria (art.35), ad un ricorso giurisdizionale effettivo ed imparziale (art.47) e il divieto della schiavitù e del lavoro forzato, della tortura o dei trattamenti inumani e degradanti (art.4), il diritto alla parità di trattamento dei lavoratori stranieri con quelli comunitari (art.15), divieto di espulsione verso uno Stato in cui c’è il rischio di essere sottoposto a pena di morte o a trattamenti inumani o degradanti (art. 19). www.koreuropa.eu
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Seguendo l'esempio della strategia per la dimensione esterna, che mira a dotare l'Unione e i suoi Stati membri di un piano d'azione di lungo periodo, nel 2008 il Consiglio europeo adottava il Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo (patto europeo)10. Accordo intergovernativo non vincolante, voluto e disegnato dalla Presidenza francese, il patto europeo si proponeva di costituire la base per lo sviluppo di una politica comune sull'immigrazione e l'asilo, che tenga conto degli interessi di tutti i soggetti coinvolti dal fenomeno migratorio (UE, Stati membri, Paesi terzi e migranti). Quanto meno nelle intenzioni, il patto sosteneva, dunque, l'idea che il pieno soddisfacimento degli interessi di tutti i soggetti coinvolti nel fenomeno migratorio (Unione, Paesi terzi e migranti) passasse necessariamente attraverso l'integrazione bidirezionale tra migrazione e sviluppo. Se la politica di cooperazione allo sviluppo può essere usata per alleviare la pressione migratoria verso il territorio dell'UE e quindi, in ultima analisi, a beneficio dell'Unione e dei suoi Stati membri (logica della prevenzione), d'altro canto, la politica d'immigrazione legale può essere impiegata sia per favorire lo sviluppo economico dei Paesi terzi che per attenuare le carenze di manodopera dell'Unione e quindi, in sostanza, a beneficio dei migranti che si vedono così garantita la libertà di entrare e uscire dal territorio dell'UE (logica del “triple wins” o cosviluppo). In questa logica, il fenomeno migratorio non è più percepito come un problema dell'UE da risolvere, ma come un'opportunità per tutti da sfruttare, disciplinando con attenzione aspetti come le rimesse degli immigrati, il ruolo delle diaspore e la migrazione circolare e utilizzando tutti gli strumenti a disposizione, cooperazione operativa inclusa. Non a caso, infatti, il patto proponeva il rafforzamento delle prerogative dell'agenzia Frontex, che (come vedremo) verrà finalizzato qualche anno più tardi. Massima attenzione agli interessi del migrante/richiedente asilo e alla dimensione operativa viene accordata anche nella sezione che il patto europeo dedica alla politica 10
Il testo del patto è stato presentato dal Ministro francese per l'immigrazione, M. Brice Hortefeux, durante il Consiglio GAI di Canne del 7-­‐8 luglio 2008, ed è stato adottato dal Consiglio europeo nell'ottobre del medesimo anno. Cfr. Consiglio dell’Unione europea, Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, 24 settembre 2008, doc. n. 13440/08, ASIM 72 e conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo, Bruxelles, 15 e 16 ottobre 2008, doc. n. 14368/08, CONCL 4 www.koreuropa.eu
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dell'asilo (“costruire un'Europa per l'asilo”). Facendo proprio il concetto di solidarietà esterna, enucleato nel piano strategico sull'asilo del 2008, da un lato, il patto europeo riconosceva che il richiedente asilo potesse ottenere protezione sia nelle regioni di origine (programmi di protezione regionali) che, all'occorrenza, sul territorio dell'Unione (programma di re-­‐insediamento) e dall'altro lato, proponeva l'istituzione di un'agenzia nuova, l'Ufficio europeo per il sostegno dell'asilo (UESA), con il compito di agevolare le operazioni di re-­‐insediamento nel territorio dell'UE di persone poste sotto la protezione dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR). A ben guardare, il patto europeo non aggiungeva nulla di nuovo rispetto alla strategia per la dimensione esterna del 2005, ma ad esso va riconosciuto l'indubbio merito di aver saputo raccogliere la maggior parte degli insegnamenti del passato, per imprimere un nuovo impulso politico allo sviluppo armonioso ed efficace della dimensione esterna della politica migratoria dell'UE. Al di là delle proposte e delle azioni presentate l’Unione Europea fu, tuttavia, ancora una volta, costretta a ridimensionare le ambizioni iniziali. Del resto, così come in passato, lo sviluppo della dimensione esterna della politica migratoria dell'UE ha dovuto fare i conti con limitazioni interne/istituzionali e con condizionamenti esterni. L’impasse istituzionale e politica cui è andata incontro l’Unione Europea, dopo la mancata approvazione e ratifica della Costituzione Europea per opera dei referendum negativi in Francia e in Olanda, viene superata nel 2009 dalla firma e approvazione del Trattato di Lisbona, con il quale, oltre a confermare l’impegno dell’Europa verso una comune politica migratoria, ha reso vincolante la Carta dei diritti fondamentali attraverso lo strumento del rinvio recettizio contenuto nell’art. 6 par.1 del Trattato sull’Unione Europea. Nella sostanza il Trattato di Lisbona non ha cambiato le impostazioni strutturali stabilite nei trattati precedenti e ha mantenuto inalterata la prerogativa statale nella gestione dei flussi d’ingresso ma ha reso sempre più cogenti gli obblighi di ciascun Stato membro di conformazione alle regole stabilite in sede UE. Così, con il Trattato di Lisbona, si è stabilito che quel bilanciamento tra le ragioni di ordine pubblico e quelle umanitarie che prima www.koreuropa.eu
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veniva effettuato, in via prioritaria, dai diversi legislatori nazionali venga effettuato in ambito comunitario. Ciò in quanto, per effetto del Trattato e del coevo Programma di Stoccolma11, le politiche in materia di protezione delle frontiere, di gestione delle migrazioni (regolari e irregolari) e di asilo sono state configurate come politiche “comuni” dell’UE, che, come tali, sono, fra l’altro, definite, di regola a maggioranza qualificata degli Stati UE e in co-­‐decisione con il Parlamento europeo. Meritano di essere citate, inoltre, la Direttiva 2004/114/CE del Consiglio del 2004 relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di Paesi terzi per motivi di studio, la Direttiva 2004/81/CE del 2004 riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un’azione di favoreggiamento dell’immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti, la Direttiva 2005/71/CE per l’ammissione di cittadini di Paesi terzi a fini di ricerca scientifica, la Direttiva 2008/115/CE relativa al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi irregolarmente soggiornanti. Infine, particolarmente importante e significativa è stata l’emanazione della Direttiva 52/CE [4] del 2009 in cui Consiglio e Parlamento europeo hanno introdotto norme relative a sanzioni e provvedimenti nei confronti dei datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. L’Unione Europea, tuttavia, nel suo complesso ha privilegiato, nel dare attuazione alle proprie normative comuni, l’aspetto securitario rispetto a quello della tutela dei diritti fondamentali degli stranieri, potenziamento alcuni strumenti operativi. Ciò è avvenuto con l’istituzione di: 1) EURODAC (per il confronto delle impronte digitali); 2) FRONTEX (Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea) recentemente potenziata; 3) il c.d. Codice Frontiere Schengen; 4) i sistemi IT (Information Tecnology) su larga scala, nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, di supporto e in aggiunta ad EURODAC (SIS, oggi SIS II, VIS) con la relativa Agenzia europea per la gestione operativa dei IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. 11
Consiglio europeo di Bruxelles, 10-­‐11 dicembre 2009, conclusioni della Presidenza, doc. n. EUCO 6/09 – Il Programma di Stoccolma -­‐ Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini, GU C 115, del 4.5.2010, pp. 1-­‐
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Apparato che ha comportato una analoga evoluzione anche nelle normative e nelle prassi dei singoli Stati UE. Aree di intervento dell’Agenzia europea per la gestione delle frontiere, FRONTEX Fonte: Commissione europea La “Primavera Araba” del 2011 e gli sviluppi successivi in termini di conflitti interni e di deterioramento del quadro geopolitico del Medio Oriente hanno drammaticamente riportato all’interno delle Istituzioni europee il tema dell’immigrazione costringendo tutti i vari attori istituzionali a ripensare la politica comune in tema di immigrazione e di asilo politico. La necessità di aprire una nuova fase di politiche migratorie comunitarie non è stata solamente dettata da freddi rilievi statistici del fenomeno migratorio nel vecchio continente ma da nuove dinamiche economiche, sociali e politiche che riguardano non solo i Paesi geograficamente più vicini www.koreuropa.eu
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all’Europa. Dagli ultimi interventi della Commissione e degli Stati membri più colpiti dai fenomeni migratori emerge proprio il tentativo di riportare il tema dell’immigrazione su un piano che non sia solamente quello della sicurezza, ma anche e soprattutto sul piano dei diritti umani, dell’integrazione, della gestione dei flussi regolari, di una nuova politica di vicinato che miri a promuovere lo sviluppo economico dei Paesi in questione. Strettamente legata a quanto accaduto in Nord-­‐Africa nei primi mesi del 2011 è stata la Comunicazione della Commissione europea del marzo 2011 dal titolo: “Un partenariato per la democrazia e la prosperità condivisa con il mediterraneo meridionale”. Con tale documento l’Europa rivendica un ruolo da protagonista nell’azione di sostegno a tutti i Paesi che manifestano il loro impegno per la democrazia, i diritti umani, la giustizia sociale, il buon governo e lo Stato di diritto. La Comunicazione della Commissione oltre a ribadire la necessità di instaurare una nuova partnership di vicinato intende sviluppare una concezione più moderna di integrazione. Secondo quanto ribadito dalla Commissione, appare assolutamente fondamentale eliminare le barriere che ostacolano l’accesso dei migranti all’occupazione, anche in ragione del fatto che l’Europa si troverà ad avere una forza lavoro nettamente inferiore a quella attuale (circa 50 milioni di lavoratori europei in meno entro il 2060). Altro aspetto necessario ai fini di una maggiore integrazione sarebbe quello riuscire a fornire ai migranti gli stessi diritti degli Europei. Infatti, il mancato riconoscimento dell’istruzione e delle esperienze maturate al di fuori dell’Europa, oltre ad essere fattori discriminatori, espongono i migranti al rischio di disoccupazione, sottoccupazione e sfruttamento. Il 18 novembre 2011 la Commissione europea ha pubblicato una Comunicazione sul nuovo Approccio Globale in materia di Migrazione e Mobilità (GAMM) aggiornando di fatto il documento precedente del 2005. Bruxelles oltre a ribadire gli strumenti giuridici e operativi sui tre pilastri base (migrazione regolare, migrazione irregolare, migrazione e sviluppo) ne aggiunge un altro: la protezione internazionale e la dimensione esterna della politica europea in materia di asilo. www.koreuropa.eu
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All’interno di quest’ultimo pilastro, i nuovi Programmi di Protezione Regionale (PPR)12 rappresentano lo strumento principale per rafforzare i sistemi di asilo delle regioni e dei Paesi partner. Il 19 giugno 2012 la Commissione europea, inoltre, attraverso la comunicazione della “Strategia per l’eradicazione della tratta degli esseri umani” ha posto delle linee guida per contrastare le moderne forme di schiavitù che coinvolgono sempre più i migranti del vecchio continente. La legislazione dell’Unione Europea ha più volte affrontato la questione della tratta degli esseri umani nelle sue numerose specificità, ad esempio in relazione allo sfruttamento sessuale dei minori e alle sanzioni nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Si tratta di un tema che è oggetto di molteplici azioni a carattere nazionale, interregionale e di accordi bilaterali di Paesi membri con alcuni Paesi terzi. Per questo motivo, la Commissione con tale strategia ha inteso offrire un quadro coerente dove ricondurre le iniziative esistenti e programmate e soprattutto fornire da supporto alla direttiva 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime. Da questi esempi appare evidente come le priorità dell’Unione Europea riguardo ai migranti abbiano registrato un sostanziale cambiamento degli orientamenti rispetto ai programmi e alle azioni della stessa UE fino ai primi anni del nuovo millennio. Ma nonostante questi sforzi, gli strumenti normativi, i limiti delle normative in tema di migranti e di asilo, il deficit democratico all’interno delle Istituzioni europee, in un contesto politico e culturale difficile in cui prevalgono tendenze xenofobe e razziste o comunque tentativi di ri-­‐nazionalizzazione delle politiche comunitarie, rendono le azioni dell’Unione Europea piuttosto lente, complesse, farraginose e quindi in ritardo con la necessità di decisioni rapide che il mondo d’oggi richiede. Tali criticità e contraddizioni, infatti, sono risultate evidenti nel corso degli ultimi mesi di fronte al fenomeno degli sbarchi di clandestini provenienti dal sud del Mediterraneo. Solo a seguito della drammaticità 12
COM(2005) 388 Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo relativa ai Programmi di Protezione Regionale www.koreuropa.eu
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della situazione e delle numerose sollecitazioni l’Unione Europea e gli Stati membri stanno discutendo una nuova modalità di gestire le politiche migratorie. Recentemente la Commissione europea ha presentato un'Agenda europea in materia di migrazione che delinea le misure immediate che saranno adottate per rispondere alla situazione di crisi nel Mediterraneo, nonché le misure da adottare nei prossimi anni per gestire meglio la migrazione in tutti i suoi aspetti. La difficile situazione di migliaia di migranti mettendo la loro vita in pericolo di attraversare il Mediterraneo ha sconvolto l’opinione pubblica europea ed è diventato chiaro che nessuno Stato membro può o dovrebbe essere lasciato solo ad affrontare enormi pressioni migratorie. Questa agenda delinea una risposta europea, che unisce le politiche interne ed esterne, utilizzando al meglio le agenzie e gli strumenti comunitari, con il coinvolgimento di tutti gli attori: gli Stati membri, istituzioni dell'UE, Organizzazioni internazionali, della società civile, delle autorità locali e di paesi terzi. Tuttavia le qui brevi considerazioni sulla normativa e sulle politiche comunitarie in materia di asilo e di immigrazione, con particolare riferimento alle ultime vicende delle migrazioni via mare provenienti dal Mediterraneo, non ci lasciano soddisfatti sia sul piano del rispetto dei diritti dei migranti e di quanti richiedono una protezione internazionale sia in termini di una vera politica europea in tema di immigrazione che rimane sempre abbozzata e mai concretamente realizzata anche rispetto alle recenti novità adottate dalla Commissione europea. Evidentemente il processo è ancora lungo da venire nonostante i tempi dei fenomeni migratori e dei cambiamenti geopolitici non ci lasciano possibilità di rinvii, tentennamenti e soluzioni parziali e inefficaci. 5. Le risposte politiche alla gestione dei flussi migratori A fronte della sfida dei flussi migratori in arrivo, i valori e gli obiettivi che sorreggono il processo di unificazione europea e sovrintendono alla gestione interna dello spazio di sicurezza, www.koreuropa.eu
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libertà e giustizia (Titolo V del Trattato sul funzionamento dell’UE-­‐TFUE, ad esclusione del Capo 2 Frontiere esterne, accoglienza e asilo) hanno richiesto e richiedono ancora di più un cambio di passo da parte dell’UE. Il vero problema in Europa rispetto al fenomeno delle migrazioni è, infatti, la mancanza di un’efficace e comune politica europea dell’immigrazione, non condizionata da vincoli nazionali. Nessun paese può illudersi di fare fronte da solo alla sfida delle migrazioni dall’Africa e dall’Asia. Eppure, i singoli Stati sono spesso riluttanti a riconoscere che nel contesto della globalizzazione le frontiere nazionali rappresentano una sopravvivenza controproducente del passato. I flussi migratori sono inarrestabili. L’Unione Europea dovrebbe farsi parte attiva anche nella promozione di organismi e azioni internazionali dedicate al governo sovranazionale dei processi economici e sociali. Dovrebbe, allo stesso tempo, ridefinire il proprio modello di sviluppo, in termini di sostenibilità ambientale e sociale, e dotarsi di risorse finanziarie e di istituzioni di governo dell’Unione pienamente democratiche. La dimensione politica, economica e sociale della sfida del fenomeno migratorio in Europa è ormai evidente ed ha assunto una rilevante accelerazione negli ultimi decenni. Attualmente il fenomeno dell’immigrazione nell’UE in provenienza dai Paesi terzi ha una sua prima articolazione in (a) flussi di persone in entrata verso i paesi dell’UE e (b) popolazione dei paesi terzi residente nei territori dei paesi UE. I flussi migratori, soprattutto quelli successivi al 2000, non costituiscono un fenomeno omogeneo, gestibile con modalità univoche. Le persone e i gruppi che li animano dimostrano, infatti, di muoversi per cause e bisogni spesso molto differenti, che condizionano in maniera spesso diversa il loro cammino d’inserimento nella società ospitante (accoglienza/integrazione). In termini generali questi flussi possono essere articolati in “migrazioni forzate”, ossia, le migrazioni di profughi che scappano da condizioni di guerre e carestie, cui siamo tenuti a dare adeguata protezione (diritto d’asilo) mediante il riconoscimento dello status di “rifugiato politico”, e “migrazioni economiche” ossia le migrazioni di chi si sposta alla ricerca di un miglioramento economico o per altre legittime motivazioni (studio, cure mediche, www.koreuropa.eu
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ricongiungimenti, ecc…). Per quanto attiene alla presenza migrante già residente nei territori europei, si pone innanzitutto il bisogno di garantire a essa pari accesso ai servizi fondamentali evitando qualsiasi discriminazione (art. 21 della Carta di Nizza) e realizzando forme di integrazione conformi alle indicazioni europee che facilitino percorsi di acquisizione della “cittadinanza”. Accanto a quest’aspetto, va considerato sempre di più l’accrescersi di migranti che, a causa della crisi economica e di norme nazionali particolarmente restrittive, perdono la possibilità di rinnovare il “soggiorno”. Spesso le persone coinvolte si ritrovano prive della possibilità materiale di rientro in patria e finiscono col cadere nell’irregolarità. Emerge così un aspetto perverso delle politiche securitarie che diventano, di fatto, generatrici di condizioni d’illegalità (clandestinità). A fronte di questa situazione l’Unione Europea aveva cominciato a elaborare un piano per politiche condivise in materia di immigrazione con il Consiglio europeo di Tampere del 1999, nel quale fu posto fortemente l’accento sul contrasto ai flussi irregolari di migranti e sull’esigenza di controlli delle frontiere dei paesi dell’Area Schengen. Successivamente, con il Programma de L’Aia del 2004, fu delineata una impostazione equilibrata per la gestione dei flussi migratori per il periodo 2004-­‐2009. Se per un verso fu organizzata una gestione integrata delle frontiere esterne dei Paesi dell’Unione mediante la creazione e il rafforzamento dell’Agenzia di controllo Frontex, per altro verso furono messe in rilievo l’esigenza di una politica d’asilo comune e la massimizzazione delle ricadute positive dell’immigrazione sui contesti sociali ed economici europei. Nel dicembre 2005, il Consiglio europeo13 indicò poi nel Global Approach uno strumento fondamentale per la gestione dei flussi migratori e dei rientri volontari degli stranieri nei paesi terzi. Tale approccio fu ribadito dal Consiglio con maggior forza nel Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo del settembre 2008. L’ultima fase del fenomeno migratorio (2010-­‐2014) è stata regolata dal Programma di Stoccolma, approvato dal Consiglio europeo per delineare le priorità dell’UE al fine di creare uno 13
http://ec.europa.eu/development/icenter/repository/COMM_PDF_COM_2006_0735_F_EN_ACTE.pdf www.koreuropa.eu
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spazio di libertà, sicurezza e giustizia per il periodo 2010-­‐2014. Il Programma di Stoccolma rivestiva particolare importanza in quanto costituiva il primo documento ufficiale europeo in materia di migrazioni, successivo all’adozione del Trattato di Lisbona del 2009 che rendeva vincolante, per tutti gli Stati dell’Unione, la Carta di Nizza. Rispetto ai documenti precedenti, vi era una più marcata sottolineatura degli aspetti inerenti ai diritti delle persone e ai meccanismi di solidarietà nelle politiche migratorie. In particolare, si legge nel testo: “Sulla base del patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, l'Unione europea deve sviluppare una politica di migrazione globale e flessibile. Tale politica dovrebbe essere incentrata sulla solidarietà e la responsabilità, e affrontare sia le necessità degli Stati membri che dei migranti.[…]. Una politica di integrazione più incisiva dovrebbe mirare a garantire i diritti dei migranti. Inoltre, una politica comune in materia di migrazione dovrebbe prevedere una politica di rimpatrio efficace e sostenibile14. In materia di asilo, il Programma ribadiva l’ineludibilità di un programma comune ed efficace tra gli Stati membri nell’applicazione delle Direttive. Il tema dell’asilo, poi, ha trovato recente espressione nella Terza relazione annuale sull’immigrazione e l’asilo (COM (2012) 250) del 30.05.2012, nella cui parte conclusiva si sottolineano le necessità di incentivare il ruolo operativo delle agenzie UE Frontex, Europol e UESA, mobilitare risorse economiche adeguate per la realizzazione di azioni di prevenzione e accoglienza, mediante l’istituzione del Fondo Asilo e Migrazione, favorire lo strumento dei Rimpatri Volontari Assistiti e altresì dare concreta realizzazione a un sistema europeo comune di asilo che garantisca eguali modalità di protezione ai profughi in tutti gli Stati e politiche comuni di accoglienza. Il tema dell’integrazione dei migranti, per parte sua, ha trovato espressione nell’Agenda europea per l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi15 in cui si poneva l’accento sull’urgenza di una maggiore partecipazione attiva dei migranti residenti ai diversi aspetti della vita sociale (lavoro, istruzione, associazionismo), mediante la promozione di più azioni a 14
Cfr.: Programma di Stoccolma -­‐ Un'Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini (2010/C 115/01), p. 5 (http://eur-­‐lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2010:115:0001:0038:it:PDF) 15
Cfr.: COM (2011) 455 def., Bruxelles, 20.07.2011 www.koreuropa.eu
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livello locale attraverso una migliore gestione di finanziamenti europei16. Inoltre, il programma di Stoccolma ribadiva l’esigenza di superare qualsiasi disparità di trattamento sulla base della nazionalità e di dare corso a sempre maggiori azioni di coinvolgimento dei paesi di origine. Quest’ultimo aspetto riveste particolare importanza in quanto, esplicitamente, sono auspicati coinvolgimenti attivi delle diaspore con i paesi d’origine in progetti di cooperazione che tengano conto del carattere circolare dei flussi migratori. Le difficoltà che incontrano, tuttavia, la Commissione e il Parlamento europeo nel varare Direttive e programmi di indirizzo, coerenti al Programma di Stoccolma, risentono dei differenti approcci nazionali condizionati dalla difforme esposizione ai flussi di arrivo e dai vincoli politico-­‐
sociali locali. Le recenti vicende sulla nuova Agenda europea in materia di migrazione mostrano le oggettive difficoltà di trovare una strategia e una politica comune all’altezza delle sfide attuali. Negli ultimi venti anni i flussi in arrivo hanno interessato in particolare i paesi euro-­‐mediterranei (Grecia, Malta, Italia e Spagna) nel momento stesso in cui si esaurivano i loro flussi migratori verso l’Europa del Nord. Gli stessi paesi euro-­‐mediterranei sono, in parte, divenuti terreno di transito dei flussi migratori dai paesi terzi verso i paesi nord-­‐europei. Il difficile controllo delle frontiere comuni esterne, l’abolizione dei controlli alle frontiere interne (area Schengen), la mancanza di omogeneità nelle politiche di accoglienza, il sopravvenire della crisi economica e della crescente difficoltà di gestire le politiche di accoglienza a livello locale, hanno generato reazioni da parte delle popolazioni autoctone, la diffusione quasi ovunque di movimenti politici populistici e xenofobi e, allo stesso tempo, frizioni tra governi degli Stati membri. Emergono, oggi, i limiti dei Trattati UE che ancorano l’approccio immigrazione, accoglienza e asilo al controllo delle frontiere esterne, non prospettano l’intervento comunitario nei confronti delle situazioni di crisi nelle aree esterne che sono all’origine dei movimenti migratori, né impegnano i singoli Stati membri all’armonizzazione delle rispettive disposizioni legislative e regolamentari per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti. 16
Vedi art. 79.4 del Trattato sul funzionamento dell’UE. www.koreuropa.eu
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6. Considerazioni conclusive Dall’analisi del processo storico di costruzione di una politica europea in tema di immigrazione e di asilo alla naturale evidenza della sua debolezza, frammentarietà e inefficacia, anche a seguito dell’accelerazione del fenomeno, l’insieme delle aree di intervento per affrontare tale situazione sollecitano la rivendicazione di un assetto autenticamente federale dell’Unione Europea. In termini generali, la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, fondato sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà, nonché sui principi di democrazia e dello Stato di diritto costituisce l’opzione politica fondamentale dell’Unione Europea, espressa nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Tale opzione deve consolidarsi come fondamento legislativo a tutti i livelli (europeo, nazionale e locale) per l’elaborazione di normative e per le prassi di applicazione in tutti gli ambiti concernenti asilo, migrazioni e cooperazione. In particolare, la costruzione di un’Europa inclusiva e non refrattaria verso le popolazioni migranti dovrebbe operare un superamento dell’orientamento securitario che, a partire dal Consiglio di Tampere (1999), è andato affermandosi nelle politiche interne dell’Unione al fine di tutelare le frontiere degli Stati. Tale orientamento, finalizzato esclusivamente ad arginare i flussi migratori, ha finito per rafforzato prassi di controllo sulla popolazione migrante residente nei Paesi, accrescendo il ruolo degli organi di controllo e rendendo difficili diversamente i processi di integrazione. Al tempo stesso, non appare possibile affrontare gli aspetti problematici connessi alle migrazioni senza una politica estera comune, in grado di considerare il fenomeno in un quadro di rapporti tra UE e Paesi terzi, sostenuta da reali ed efficaci politiche di cooperazione. A questo proposito le aree specifiche di intervento per una possibile politica europea in tema di migrazione, asilo e cooperazione dovrebbero essere, a mio giudizio, essenzialmente due, così come la recente proposta della Commissione sembrerebbe orientarsi. www.koreuropa.eu
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Sul fronte delle politiche di immigrazione, asilo e accoglienza bisognerebbe recuperare il concetto di “sicurezza” quale è espresso dalla Carta di Nizza, funzionale alla persona senza alcun tipo di discriminazione ridefinendo il senso delle azioni operative (vedi Frontex) in termini di contrasto efficace alle reali minacce esterne espresse dalla criminalità internazionale (movimenti terroristici, dai traffici illeciti di armi, stupefacenti, di organi ed esseri umani) e chiaramente mettendo a disposizioni maggiori risorse finanziarie di cui una parte di queste verso programmi di accoglienza e integrazione sociale. Rimane indispensabile, inoltre, determinare criteri comuni di accesso all’asilo e standard di accoglienza condivisi da tutti gli Stati membri e, infine, ampliare l’attribuzione della cittadinanza nazionale ed europea ai cittadini dei paesi terzi stabilmente residenti in uno Stato membro. Sul fronte della politica estera, della cooperazione internazionale e della sicurezza esterna bisognerebbe rimodulare il ruolo della cooperazione con i Paesi di provenienza e transito dei migranti (tra questi, anche i profughi) in rapporto alle condizioni (economiche, civili, democratiche) delle diverse nazioni rafforzando le linee di cooperazione dell’UE con i “paesi fragili” secondo una prospettiva che abbandoni il carattere “emergenziale” a favore di una strategia di sviluppo fondata sulla sostenibilità nel lungo periodo. Infine intervenire nelle aree sensibili del Medio Oriente e dell’Africa, per la realizzazione di interventi di stabilizzazione rivolti a favorirne l’emancipazione politica democratica, lo sviluppo economico, l’evoluzione sociale e civile, la pace nel quadro di una reale cooperazione allo sviluppo. Si tratta, in definitiva, di proposte e interventi per conseguire quegli obiettivi e quelle legittime aspirazioni dei cittadini e dell’Europa nel suo insieme. Un percorso accidentato che presuppone, inevitabilmente, un rafforzamento federale dell’assetto istituzionale dell’Unione Europea e l’assolvimento di un ruolo globale sullo scenario internazionale. Nota Bibliografica www.koreuropa.eu
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Conclusioni della Presidenza sul Vertice di Siviglia del 21 e 22 Giugno 2002 -­‐ Capo III “Asilo e Immigrazione”. -
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