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LEZIONE “LA STRUTTURA DEL REATO PROF . GIUSEPPE

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LEZIONE “LA STRUTTURA DEL REATO PROF . GIUSEPPE
LEZIONE:
“LA STRUTTURA DEL REATO”
PROF. GIUSEPPE SACCONE
La struttura del reato
Indice
1 Introduzione --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3 2 L'analisi Del Reato ------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 7 3 Definizione Del Reato ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8 4 Differenze Tra Reato Ed Altri Illeciti ------------------------------------------------------------------------------------- 10 5 La Bipartizione E La Tripartizione Della Struttura Del Reato. ------------------------------------------------------ 12 6 Il Reato E L'antigiuridicità. ------------------------------------------------------------------------------------------------- 14 7 I Delitti E Le Contravvenzioni. --------------------------------------------------------------------------------------------- 15 8 L’oggetto Giuridico Del Reato. --------------------------------------------------------------------------------------------- 16 9 Il Danno Nel Reato. ----------------------------------------------------------------------------------------------------------- 19 10 Il Soggetto Attivo Del Reato ------------------------------------------------------------------------------------------------- 21 11 La Responsabilità Penale Delle Persone Giuridiche. ------------------------------------------------------------------- 24 12 Il Soggetto Passivo Del Reato ----------------------------------------------------------------------------------------------- 27 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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La struttura del reato
1 Introduzione
I contenuti del modulo “RESPONSABILITÀ PENALE” si propongono l'obiettivo di
consentire allo studente di ricostruire il “contesto normativo minimo” nel cui ambito si inserisce
l'attività svolta in materia penale dal consulente tecnico e dal perito medico-legale.
Sotto questo profilo, è di tutta evidenza la necessità di fare riferimento, sul piano
ordinamentale, a due distinte materie:
a) il diritto processuale penale
b) il diritto penale sostanziale:
Il riferimento al Diritto processuale penale è indispensabile poichè il codice di rito penale
prevede una disciplina di dettaglio che regolamenta lo svolgimento delle attività tanto di consulenza
tecnica che di perizia - di cui nel corso delle lezioni delineeremo le differenze - sia nella fase delle
indagini preliminari che in quella dibattimentale.
Il riferimento al diritto penale sostanziale, invece, è imprescindibile nell'ambito del
percorso formativo del medico-legale, poiché il contributo alla conoscenza del fatto penalmente
rilevante che il Consulente Tecnico ed il Perito forniranno alle parti (pubblico ministero e difensori)
e/o al Giudice si inserisce in quella che - con una espressione un po' colorita - potremmo definire
“missione del processo penale”: cioè la ricostruzione, dopo la sua commissione, di un fatto storico
di cui si ipotizza la rilevanza penale, commesso con coscienza e volontà di chi ne risulti autore.
In altri termini, lo Studente o il Professionista in ambito medico-sanitario che si propongano
di svolgere attività di consulenza tecnica e perizia in ambito penale, devono preventivamente
acquisire la conoscenza, per un verso, delle regole processuali che disciplinano tale attività, e,
peraltro, dei principi del diritto penale sostanziale cui il Giudice del processo farà ricorso per la
formulazione del giudizio di sussistenza del fatto penalmente rilevante e di attribuzione della
responsabilità a colui che ne sia risultato autore.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Come si è già sottolineato, le attività di consulenza tecnica e perizia in ambito medico-legale
possono aver luogo in momenti diversi del complesso iter in cui si articola il procedimento penale:
perciò si profila quantomai opportuno qualche riferimento in grado di “orientare” l'operatore..
Il codice di procedura penale vigente riserva alle attività che precedono il “processo” il
valore di indagini, utilizzabili dal pubblico ministero - e, quindi, non dal giudice - ai soli fini delle
determinazioni inerenti l'esercizio o meno dell'azione penale, dando luogo
a) all'esercizio dell'azione penale, quando la notizia di reato contenga in sé gli elementi
necessari e sufficienti per formulare un'imputazione, o
b) ad una richiesta di archiviazione se, viceversa, la notizia di reato non sia risultata, all'esito
delle indagini, confortata da elementi idonei a sostenere l'accusa.
Le indagini - e, tra esse, anche le attività di consulenza o perizia svolte dal medico-legale possono svolgere, quindi, una funzione servente rispetto al processo, nel senso che i loro esiti ne
determinano l'instaurazione, così come possono renderne superfluo l'avvio, quando risulti
l'infondatezza della notizia di reato e, quindi, l'inutilità del processo.
Nel caso in cui, attraverso le indagini, il magistrato del pubblico ministero acquisisca
conoscenze che gli consentono di esercitare l'azione penale - perché, ad esempio, emergono
elementi suscettibili di diventare mezzi di prova idonei, secondo il pubblico ministero, a dimostrare
nel processo la fondatezza dell'accusa - il materiale investigativo raccolto nella fase delle indagini
preliminari è destinato a trasformarsi in “prova” che il giudice utilizzerà per la verifica
dibattimentale circa la fondatezza o meno della contestazione elevata a carico dell'imputato.
Le indagini, quindi, rientrano nel novero delle attribuzioni istituzionali del magistrato del
pubblico ministero (salvi i casi di incidente probatorio, nei quali si procede, nella fase delle
indagini, alla vera e propria assunzione di una prova da parte del giudice per le indagini preliminari;
sul punto cfr. oltre).
I mezzi di prova, invece, presuppongono la presenza del giudice, al quale il magistrato del
pubblico ministero chiede l'instaurazione del processo onde verificare la fondatezza di quanto ha
elevato a contenuto dell'imputazione.
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Ne deriva che il procedimento per le indagini preliminari è essenzialmente la fase destinata
al compimento delle attività che il magistrato del pubblico ministero - coadiuvato dalla polizia
giudiziaria e, se del caso, dal consulente tecnico medico-legale - pone in essere, una volta pervenuta
od acquisita una notizia di reato, per verificarne la corrispondenza ad un modello legale
d'incriminazione e determinarsi sul se richiedere l'archiviazione degli atti o esercitare l'azione
penale, formulando l'imputazione.
In tale contesto, l'attività medico-legale eventualmente svolta, non ha natura probatoria
(salvi i casi di attività cosiddette “irripetibili” o “partecipate”; sulle quali cfr. oltre), sostanziandosi
nella individuazione degli elementi di accusa utili a fondare le determinazioni del magistrato del
pubblico ministero in ordine alla instaurazione o meno del “processo”.
Diversamente è a dirsi per il “processo” vero e proprio, che evoca il “giudizio” e, quindi, la
presenza del giudice, chiamato a pronunciarsi sulla rilevanza penale del fatto e sulla responsabilità
del soggetto al quale il fatto è stato imputato dal magistrato del pubblico ministero. Solo il processo
è fase deputata alla verifica della fondatezza delle ragioni d'accusa e di quelle, in concreto,
formulate dalla difesa, innanzi ad un giudice che, in posizione di assoluta terzietà, ricostruisce il
fatto sulla base della rappresentazione che di esso gli offrono l'una e l'altra parte.
In ultimo va sottolineato che, prima che si realizzino le condizioni per l'assunzione della
qualità di parte, i soggetti destinati ad assumere tale veste (nel processo) possono attivarsi per la
ricerca, individuazione ed assicurazione delle fonti di prova e degli elementi utili a sostenere
l'interesse che ciascuna farà valere innanzi al giudice del giudizio.
Ciò vale, oltre che per il magistrato del pubblico ministero, titolare del potere di
investigazione,
per la persona offesa dal reato, che può svolgere un'attività di supporto ai compiti
istituzionali del magistrato inquirente, e
per l'indagato che ha interesse a ricercare ed assicurare nella fase delle indagini preliminari
ogni elemento utile a rappresentare al giudice del processo, gli elementi di prova a discarico.
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Il diritto a svolgere indagini difensive a sostegno delle proprie tesi, riconosciuto ai soggetti
privati (al pari del diritto all'investigazione attribuito al magistrato del pubblico ministero) non
s'identifica con il diritto al contraddittorio, ma si pone in funzione strumentale rispetto ad esso.
Naturalmente, riferito ai soggetti privati, questo diritto rientra nella più ampia accezione del diritto
alla difesa, che può trovare anche forme di espressione mediante la partecipazione ad atti
d'indagine.
Poiché costituiscono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all'imputazione, alla
punibilità, alla determinazione della pena o della misura di sicurezza, oltre quelli dai quali dipende
l'applicazione di norme processuali, le parti sono autorizzate dalla legge a provare tutto ciò che
forma oggetto del giudizio, sia in via diretta, mediante richiesta al giudice di ammissione di propri
mezzi di prova, sia in via indiretta, mediante confutazione di quanto la parte dialetticamente
contrapposta, esercitando a sua volta il proprio diritto alla prova, ha chiesto al giudice di ammettere.
Risultano chiari, a questo punto, i molteplici contesti in cui può collocarsi l'attività medicolegale svolta nell'ambito del procedimento penale:
1.
indagini preliminari: quale investigativa svolta a seguito di incarico conferito dal
Magistrato del PM o dalla polizia giudiziaria; nomina del perito per l'assunzione
anticipata dei mezzi di prova (incidente probatorio, su incarico del GIP) ovvero
partecipazione alle operazioni di perizia quale consulente di parte; partecipazione ad
attività cd. “garantite”, su incarico del PM o delle parti private (accertamenti tecnici
non ripetibili); indagini difensive, svolte su incarico delle parti private (persona
offesa ed indagato);
2.
fase dibattimentale: audizione nella qualità di consulente tecnico (designato sia per
la fase dibattimentale che nella fase delle indagini preliminari), dalle parti private o
dal magistrato del pubblico ministero; nomina del perito da parte del giudice del
dibattimento; partecipazione alle operazioni di perizia quale consulente di parte.
All'approfondimento di questi aspetti, nonché di quelli inerenti i principi fondamentali del
diritto penale, saranno dedicate le lezioni successive
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2 L'analisi del reato
La cd. Teoria generale del reato rappresenta quella parte della dogmatica penale che individua ed
ordina in forma sistematica gli elementi che configurano, in via generale, la fisionomia del fatto
penalmente rilevante.
Spetta alla teoria del reato enucleare dal sistema normativo il concetto giuridico di reato,
inteso come fattispecie generale ed astratta, al fine di:
•
rendere disponibili le regole generali per l’applicazione delle norme;
•
consentire una migliore esposizione delle norme a fini didattici;
•
garantire da un punto di vista di politica criminale la certezza e l'uniformità di applicazione
del diritto 1.
Fra legge penale e reato esiste un nesso indissolubile, perchè il reato è propriamente la violazione
della legge penale o, per essere più precisi, l'infrazione di un comando o divieto posto dalla legge
medesima. In generale si definisce “reato” ogni fatto umano al quale l'ordinamento giuridico
ricongiunge come conseguenza una pena.
La definizione predetta si riferisce al reato considerato in astratto, vale a dire al reato quel ipotesi
tipica delineata dal legislatore; sotto tale aspetto, detto precettivo, il reato indubbiamente
rappresenta il fatto che la legge proibisce mediante la comminazione di una pena (criminale).
D'altra parte, il reato rappresenta anche in concreto il fatto episodico che si verifica nella vita
sociale (aspetto fenomenico).
La dottrina, a tal riguardo, ha delineato due distinte concezioni connesse alla definizione dell'illecito
penale, l'una di natura formale, tesa a sottolinea i segni esteriori che caratterizzano il reato; l'altra,
sostanziale, che ricerca i caratteri che l'azione umana dovrebbe presentare per essere incriminate.
1
FIORE, Diritto Penale, vol I, Utet, 1993
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3 Definizione del reato
a) la concezione formale del reato
Secondo la concezione formale è reato tutto ciò e solo ciò che è previsto dalla legge come
tale. Sotto un profilo astratto il reato, quale ipotesi delineata dal legislatore, rappresenta il fatto
tipico o fattispecie legale, cioè il comportamento vietato descritto dalla norma. Sotto il profilo
concreto, vale a dire come fatto storico che si verifica nella realtà sociale, il reato rappresenta il
fatto conforme alla fattispecie legale 2.
Poiché la norma penale si contraddistingue per il tipo di sanzione astrattamente comminata la pena - il reato può definirsi come «ogni fatto umano a cui la legge collega una sanzione
penale». Tale definizione è di natura formale in quanto non fa leva sulla natura dei fatti assunti ad
oggetto di disciplina, bensì sulle conseguenze giuridiche (pena) che il legislatore riconnette ai fatti
in questione. Solo l'atto illecito che è punito con la pena criminale può dirsi reato. Ne consegue che
non sono reati quegli atti illeciti cui la legge ricollega pene diverse quali sanzioni amministrative o
civili (generalmente il pagamento di una somma di danaro).
Di norma le ipotesi di reato sono previste da leggi penali (codice penale, leggi
complementari); non manca, però, la previsione di specifiche ipotesi di reato nell'ambito di leggi
che attengono alla materia civile o amministrativa. Ciò accade perché si tratta di particolari reati,
strettamente connessi al contenuto della legge che li prevede: ne sono esempi i reati in materia di
società disciplinati dal codice civile; i reati in materia di fallimento, previsti dagli artt. 216 ss. della
legge fallimentare (R.D. 267/1942 e succ. mod.); i reati in materia di imposte sui redditi e sul valore
aggiunto, previsti dal D.Lgs.2000, n. 74.
Segue: b) la concezione sostanziale del reato. - Parte della dottrina penalistica ha ritenuto non
soddisfacente la definizione formale di reato e si è così sforzata di individuare le «ragioni
sostanziali» che inducono a considerare criminoso un determinato comportamento. Così, sotto tale
profilo, si è identificato il reato in:
— ciò che turba gravemente l'ordine etico 3;
— ciò che cozza contro la moralità di un popolo in un
2
3
MANTOVANI, Diritto Penale, Cedam 1994
MAGGIORE, Diritto Penale, v. I Bologna, 1951
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determinato momento storico 4;
— ciò che mette in pericolo l'esistenza e la conservazione
della società5;
— quel comportamento umano che a giudizio del legislatore contrasta con i fini dello Stato ed esige
come sanzione una pena criminale.
Segue: c) la concezione formale-sostanziale del reato. - Tutte le definizioni sostanziali del reato
appaiono in definitiva criticabili in quanto:
— i valori morali e sociali su cui esse si fondano non sono rilevanti in diritto penale;
— i fatti criminosi non presentano una caratteristica sociologica elevabile a costante 6;
— vi è comunque l'impossibilità di prescindere dal giudizio del legislatore.
Si è venuta così a delineare una diversa nozione di tipo formale-sostanziale, la quale pur non
prescindendo dal principio di legalità secondo il quale non c'è reato senza previsione di legge, tiene
conto di quei valori che nel nostro ordinamento permettono di qualificare un determinato fatto come
tale. Siffatti valori, desunti dalla Costituzione, si pongono quale criterio guida per il legislatore nella
individuazione dei fatti punibili.
La concezione formale-sostanziale del reato viene sostenuta, fra gli altri studiosi della
scienza penalistica, anche da FIANDACA-MUSCO, secondo i quali il reato va definito come «un
fatto umano che aggredisce un bene giuridico ritenuto meritevole di tutela da un legislatore che si
muove nel quadro dei valori costituzionali; sempreché la misura dell'aggressione sia tale da fare
apparire inevitabile il ricorso alla pena e le sanzioni di tipo non penale non siano sufficienti a
garantire una efficace tutela» 7.
Anche tale autori sono però consapevoli che nemmeno tale definizione serve ad «indicare
con certezza ciò che ad una valutazione sostanziale costituisce o deve costituire reato», in quanto
nessuna nozione sostanziale di reato può esimere il legislatore da responsabilità in ordine alle scelte
di politica criminale.
4
5
6
7
FERRI, Principio di diritto criminale, Torino, 1928
GRISPIGNI, Diritto Penale Italiano, I, Milano, 1947
FIANDACA-MUSCO, Corso di Diritto Penale
FIANDACA-MUSCO, Corso di Diritto Penale
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4 Differenze tra reato ed altri illeciti
a) reato e illecito civile. - La dottrina penalistica, nell'affrontare la tematica dei rapporti del reato
con altre forme di illecito giuridico ed particolare con l'illecito civile, ha cercato di individuarne la
differenza su di un piano sostanziale, all'uopo delineando alcuni criteri di distinzione che, pur
presentando aspetti di verità, evidenziano, tuttavia, insufficienze tali da determinare la fallacia di
una simile impostazione sistematica.
Il primo di tali criteri è quello per cui il reato genera turbamenti alla pubblica tranquillità,
mentre l'illecito civile cagionerebbe solo nocumenti individuali. Invero tale tesi appare criticabile in
quanto vi sono alcuni reati (cd. bagatellari) che destano minore allarme sociale rispetto ad alcuni
illeciti civili (es. fallimento, licenziamento).
Altro criterio è quello che fa leva sulla natura degli interessi protetti, per cui si è sostenuto
che l'illecito civile offende interessi patrimoniali ed il reato interessi non patrimoniali. Anche tale
impostazione è apparsa approssimativa in quanto vi è tutta una serie di norme civili che tutelano
interessi non patrimoniali (si pensi agli artt. 7-10 c.c. sul diritto al nome).
In definitiva la differenza tra le due forme d'illecito è di tipo estrinseco e formale ed è basata
sulla diversa natura della sanzione adottata in concreto dal legislatore per l'una e per l'altra: pena
criminale per il reato; sanzione civile (risarcimento del danno, risoluzione del contratto, restituzione
fallimento etc.) per il relativo illecito.
Dalla natura civile o penale dell'illecito discende l'applicazione di diverse regole e principi.
Nel campo civile infatti non vigono, come in quello penale, i principi di tassatività e di riserva di
legge, mentre sono ammesse forme di responsabilità indiretta (si pensi alla responsabilità per
rischio) e senza colpevolezza (cd. responsabilità oggettiva).
Segue: b) reato e illecito amministrativo. - Più sfumata appare invece la differenza tra illecito
penale ed illecito amministrativo, in particolare a seguito della regolamentazione del cd. illecito
depenalizzato introdotta dalla Legge 689/81, che ha esteso a tale ambito alcuni principi
fondamentali propri della materia penale (es. principio di legalità; altra rilevante opera di
depenalizzazione è stata operata dal D.Lgs. 30.12.1999 n. 507.).
Secondo l’orientamento prevalente di dottrina e giurisprudenza può affermarsi che una
differenza sostanziale tra i due tipi d'illecito non esiste, essendo rimesso alle scelte politiche del
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legislatore valutare se per un determinato fatto configurabile come illecito debba irrogarsi una
sanzione amministrativa o penale.
In definitiva la differenza tra illecito amministrativo e reato è di tipo formale ed è data:
— dalla natura delle sanzione principale prescelta dal legislatore, essendo prevista per l'illecito
amministrativo solo una sanzione amministrativa;
— dalla natura amministrativa del procedimento e dell'organo competente ad infliggere la
medesima sanzione 8.
8
FIANDACA- MUSCO, op. cit., pag. 130
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La struttura del reato
5 La bipartizione e la tripartizione della struttura
del reato.
Per una corretta individuazione ed analisi del reato occorre procedere ad uno studio dello
stesso visto nella sua unità, ossia attraverso l'individuazione e l'esame degli elementi che lo
compongono. La dottrina penalistica ha molto approfondito l'illecito penale attraverso il metodo
analitico, in base al quale la fattispecie viene scomposta nei suoi elementi costitutivi in modo da
stabilire ciò che è effettivamente vietato dalla legge e se la fattispecie concreta risulti conforme alla
fattispecie legale.
La concezione analitica del reato ha dato luogo a due teorie: la bipartita e la tripartita.
A) LA CONCEZIONE «BIPARTITA».
Secondo la teoria «bipartita» il reato si sostanzia in un fatto umano commesso con volontà
colpevole. In altre parole il reato si compone di due elementi fondamentali:
— un elemento oggettivo (fatto materiale), costituito dall'azione od omissione,
dall'evento naturalistico (quando c'è) e dal rapporto di causalità che deve intercorrere
tra condotta ed evento;
— un elemento soggettivo (colpevolezza), costituito dall'atteggiamento psicologico
richiesto dalla legge per la commissione di un dato reato (dolo, colpa,
preterintenzione) ai fini dell'imputazione soggettiva del fatto criminoso.
Secondo tale teoria l'antigiuridicità, cioè il contrasto tra la norma ed il fatto, non
costituirebbe un terzo elemento autonomo ma l'essenza, l’in sé del reato. Essa è in sostanza un
giudizio di relazione tra il fatto interamente considerato e la norma penale, o meglio un giudizio di
disvalore sociale del fatto che lo caratterizza e lo qualifica come illecito penale. In tale contesto
interpretativo la presenza di una causa di giustificazione non esclude semplicemente
l'antigiuridicità, bensì l'esistenza stessa del fatto tipico, in quanto le scriminanti vengono considerate
quali elementi negativi del fatto, cioè elementi che devono mancare perché il fatto costituisca reato.
B) LA CONCEZIONE « TRIPARTITA».
Secondo la teoria tripartita il reato si compone di tre elementi e precisamente:
1)
del fatto tipico, inteso come fatto materiale e comprensivo dei soli requisiti
oggettivi (condotta, evento e causalità);
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La struttura del reato
2)
dell'antigiuridicità intesa come contrarietà del fatto materiale all'ordinamento
giuridico
indipendentemente
dall'elemento
psicologico
(antigiuridicità
obbiettiva);
3)
della colpevolezza, vale a dire della volontà riprovevole nelle forme del dolo e
della colpa.
Secondo tale teoria, quindi, se la condotta nei suoi elementi oggettivi (fatto materiale) e
soggettivi (colpevolezza) corrisponde alla fattispecie incriminatrice, non per questo potrà definirsi
anche penalmente illecita. A tal fine, infatti, occorre anche che il fatto sia antigiuridico, vale a dire
non vi sia una norma dell'intero ordinamento che imponga o autorizzi quel comportamento. Così, ad
esempio, se un uomo uccide volontariamente un altro uomo, si è di fronte ad un fatto tipico
colpevole ma non necessariamente ad un illecito in quanto tale: l'uccisione potrà essere avvenuta
per legittima difesa (l’art 52 c.p. è la norma che l'autorizza) o in seguito ad un ordine dell'autorità
(l’art. 53 è la norma che l’impone). In altre parole, secondo la concezione tripartita, l'antigiuridicità:
a) è un elemento essenziale del reato;
b) è un elemento di tipo valutativo, diversamente dal fatto tipico e dalla colpevolezza che sono
elementi di tipo descrittivo;
c) consiste nella mancanza di cause di giustificazione, ovvero di una norma di portata generale
e, in quanto tale, prevalente sulla norma incriminatrice speciale, che autorizza o impone quel
dato comportamento.
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La struttura del reato
6 Il reato e l'antigiuridicità.
Poiché il reato consiste nella violazione di un precetto dell'ordinamento giuridico-penale,
sua nota fondamentale è il contrasto, l'opposizione col diritto. Questa contraddizione viene indicata
con il termine di antigiuridicità o illiceità.
L'antigiuridicità, considerata nella sua essenza, non è altro che un giudizio su un fatto,
ovvero una valutazione che riconosce il fatto come contrario ad un precetto dell'ordinamento
giuridico. Il fatto riprovato dal diritto si qualifica “fatto illecito”.
Affinchè un fatto concreto costituisca reato, è necessario che esso corrisponda alla figura
delineata dal legislatore: occorre, in altri termini, che il soggetto abbia realizzato un'azione simile o
meglio conforme a quella contemplata nella norma incriminatrice.
La nozione della figura legale di reato incarna, appunto, quei tipi o modelli astratti delineati
nella legge che ci indicano quali fatti il legislatore ritiene meritevoli di pena e che, precisamente per
mezzo di essi, viene data pretica attuazione al principio nullum crimen sine lege. L'antigiuridicità,
come carattere essenziale, investe il reato in tutta la sua totalità, ovvero in tutti i fattori che lo
costituiscono. Anche dove la definizione del reato non contempla un particolare atteggiamento
psichico dell'agente, la considerazione dell'elemento soggettivo è sempre indispensabile, giacchè la
norma incriminatrice deve essere integrata copn le disposizioni della parte generale del codice.
Così la figura dell'omicidio volontario esige la volontà delkl'evento, la quale, richiesta per
tutti i delitti dolosi dall'art. 42, è precisata nell'articolo successivo. La circostanza che questo
requisito non figuri nella particolare norma incriminatrice non significa nulla.
Deve, dunque, concludersi che la figura legale (tipo, modello, fattispecie) del reato è
costituita non soltanto daglki elementi materiale (azione ed evento) che si trovano indicati nelle
varie norme incriminatrici, ma dal complesso degli elementi, tanto oggettivi quanto soggettivi, che
debbono concorrere per l'esistenza di un dato reato e che si desumono anche dalle disposizioni
generali del codice.
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La struttura del reato
7 I delitti e le contravvenzioni.
Nei reati si riscontrano molte diversità che rendono necessarie varie distinzioni, prima fra
tutte la summa divisio prevista dal codice che distingue i reati in delitti e contravvenzioni.
Parte della dottrina (CARRARA, BECCARIA) ha sostenuto che mentre i delitti offendono
la sicurezza del privato e della società, le contravvenzioni violano soltanto leggi destinate a
promuovere il pubblico bene. Tale criterio discretivo non è condivisibile considerato che
l'ordinamento prevede tanto delitti di matrice meramente politica, quanto contravvenzioni che
offendono la sicurezza del privato e della società.
Altri autori hanno sostenuto, invece, che i delitti offendono le condizioni primarie della vita,
mentre le contravvenzioni quelle secondarie: anche tale tesi è criticabile per la difficoltà di operare
una distinzione tra condizioni primarie e quelle secondarie.
La non decisività dei numerosi tentativi di catalogazione e distinzione tra le due categorie,
ha indotto la dottrina ad elaborare un criterio di distinzione formale avendo come riferimento il tipo
di sanzione prevista: ai sensi degli artt. 39 e 17 c.p. “le pene principali stabilite per i delitti sono
l'ergastolo, la reclusione e la multa; le pene principali stabilite per le contravvenzioni sono
l'arresto e l'ammenda”. A tale fine va, altresì, tenuto conto delle disposizioni contenute nel R.D. 28
maggio 1931, n. 60l (Disposizioni di coordinamento e transitorie per il codice penale), che fissano i
criteri applicabili alle leggi speciali vigenti al momento dell'entrata in vigore del codice penale.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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La struttura del reato
8 L’oggetto giuridico del reato.
Si è detto che la norma penale prevede e punisce quei comportamenti che appaiono contrari
alle regole del buon vivere sociale perché offendono determinati beni o interessi. Ogni norma
penale, dunque, tutela un determinato bene o interesse.
L'oggetto giuridico del reato è, appunto, il bene giuridico o l'interesse giuridico tutelato
dalla norma che prevede il reato stesso; ad esempio, la norma che punisce il reato di omicidio tutela
il bene giuridico vita, la norma che punisce il reato di furto tutela il bene giuridico patrimonio e, più
in particolare, il possesso della cosa mobile.
Nell'individuazione dell'oggetto giuridico del reato è ovviamente importante la scelta fatta
dallo stesso legislatore, scelta resa palese dalla collocazione sistematica della norma. A tal fine va
evidenziato che nel codice penale i reati sono raggruppati con riferimento alla loro oggettività
giuridica. Così ad es. il Titolo I del Libro II contiene i «delitti contro la personalità dello Stato»,
ulteriormente destinati e raggruppati, nei capi in cui il titolo è diviso, in «delitti contro la personalità
internazionale dello Stato» (capo I), «delitti contro la personalità interna dello Stato» (capo I»,
«delitti contro i diritti politici del cittadino (capo III), «delitti contro gli Stati esteri, i loro Capi e i
loro Rappresentanti» (capo IV); il Titolo 1-1 contiene i «delitti contro la Pubblica
Amministrazione», ulteriormente distinti in «delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A.» (capo I),
«delitti dei privati contro la P.A.» e così via.
Tale scelta legislativa, tuttavia, non è né vincolante né esaustiva, sia perché il bene protetto
può risultare diverso da quello indicato dal legislatore, sia perché spesso le norme penali tutelano
anche altri beni oltre quelli espressamente indicati. Si ritiene oggi in dottrina che con l'entrata in
vigore della Costituzione, l'individuazione dei beni protetti dalle norme penali vada fatta con
riferimento alla Carta Fondamentale: se è vero, infatti, che il ricorso alla pena criminale deve
costituire l'extrema ratio per il legislatore, sarà allora necessario riservare tale opzione solo ai fatti
che offendono i beni o gli interessi di maggiore rilievo sociale, che sono solo quelli dotati di diretta
rilevanza costituzionale o socialmente considerati tali.
L’oggetto giuridico del reato non va poi confuso con l’oggetto materiale dell’azione. Per
oggetto giuridico si intende un’entità concettuale, un valore alla cui tutela è indirizzata la norma;
per oggetto materiale dell’azione si intende un’entità concreta, ovvero la persona o la cosa su cui
incide materialmente la condotta tipica. Quando l'oggetto materiale dell'azione è una persona, non
sempre essa coincide con la persona offesa (titolare del bene protetto dalla norma). Ad esempio, nel
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La struttura del reato
delitto di sottrazione consensuale di minore (art. 573 c.p.), oggetto materiale dell'azione è il minore,
persone offese sono i genitori.
In relazione al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, si distinguono:
•
reati monoffensivi: per l'esistenza dei quali è necessaria e sufficiente l'offesa
di un solo bene giuridico (ad esempio, omicidio, lesioni, ingiuria,
danneggiamento);
•
reati plurioffensivi: i quali offendono necessariamente più beni giuridici (ad
esempio, la rapina che lede congiuntamente sia il patrimonio che la libertà
personale; la calunnia che offende l'interesse statale alla regolare
amministrazione della giustizia e l'interesse della persona falsamente
incolpata).
Parte della dottrina (GALLO, BRICOLA, NEPPI MODONA) ha ravvisato, nell'oggetto
giuridico del reato, un elemento costitutivo, al pari della condotta, dell'evento e del nesso di
causalità. A conferma di ciò il reato impossibile non si concreta in un tentativo inidoneo (come si
ritiene comunemente) ma in una azione che, non offendendo il bene o un interesse concreto, non è
punibile.
Questa tesi è però avversata dalla dottrina prevalente e dalla giurisprudenza, per le quali
ritenere
l'oggetto giuridico del reato (cioè l'interesse tutelato dalla norma penale) come suo
elemento costitutivo porterebbe ad individuare l'oggetto giuridico stesso sulla base di criteri extra
legali lasciando spazio a interpretazioni giurisprudenziali non compatibili con il principio di
legalità.
Secondo altra parte della dottrina, poi, dal fatto che la pena incide sulla libertà personale e
quindi, su un bene «inviolabile», deve «tendere alla rieducazione del condannato» (art. 27, comma
secondo Cost.), la previsione normativa dei reati è coperta da riserva assoluta di legge statale (art.
25, collima secondo Cost.) e la responsabilità penale è personale (art. 27, comma primo Cost.),
discende l'ulteriore considerazione che
il reato deve necessariamente consistere nell'offesa
significativa di beni costituzionalmente rilevanti .
Questa tesi, pur se criticata in dottrina, è stata fatta propria dalla Presidenza del Consiglio
dei Ministri, che in una circolare del 19 dicembre 1983 ha fissato i criteri orientativi per la scelta tra
sanzioni penali e sanzioni amministrative, stabilendo tra l'altro che «il ricorso alla sanzione penale
deve porsi come ultima ratio, quando cioè sia esaurita qualsiasi possibilità di tutela attraverso
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La struttura del reato
strumenti sanzionatori che non incidano su un bene di rango così elevato qual è la libertà
personale».
La particolare accentuazione che alcune premesse ideologiche hanno riportato all'attenzione
della dottrina i problemi relativi al bene giuridico inteso come luogo d'incontro tra politica
criminale e dogmatica penalistica.
La rilevanza dell’oggetto giuridico del reato assume rilievo ogni qual volta la figura
criminosa non sia espressamente inserita dalla legge in una particolare categoria (come avviene di
regola per i reati previsti da leggi speciali) ma è tuttavia indispensabile accertarne la natura, ai fini
dell'applicazione di una determinata disciplina (MANTOVANI). Si pensi ad esempio, alla
circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 7 (danno di particolare gravità) che, per espressa dizione
della norma, si applica ai «delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio»;
presupposto delle applicabilità è, dunque, che si accerti la natura di «delitto contro il patrimonio», e,
quindi, che si delinei l'oggetto giuridico del reato.
L'importanza del concetto di bene giuridico risulta evidente se si considera che, già nelle
disposizioni della parte generale del codice penale, si fa riferimento per più versi al bene tutelato.
Su tale concetto si incentrano i seguenti elementi:
ƒ
evento giuridico;
ƒ
soggetto passivo del reato;
ƒ
consenso dell'avente diritto;
ƒ
antigiuridicità del fatto;
ƒ
consumazione del reato.
Ad ogni buon conto, le teorie che vorrebbero reperire precisi limiti costituzionali ai beni
giuridici tutelabili con sanzioni penali muovono dalla generica esigenza della ricerca di valori che si
assumono preesistenti alla norma penale e vincolanti tanto per il legislatore quanto per l'interprete 9.
Tali teorie sono costrette a costruire una gerarchia di valori, alcuni dei quali primari per
l'importanza del bene giuridico protetto, ed altri secondari per la cui violazione, in linea di
principio, dovrebbero essere previste soltanto sanzioni civili o amministrative.
9
BETTIOL, L'odierno problema del bene giuridico, in Scritti giuridici, v. II Padova 1966, p.914.
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La struttura del reato
9 ll danno nel reato.
L'offesa all'interesse o agli interessi tutelati, inizialmente indicata nel codice Rocco con la
denominazione di danno immediato, viene ora generalmente indicata con l'espressione danno
criminale e ciò per distinguerla da quell'altra specie di danno che si dice civile o risarcibile.
Il danno penale o «criminale» consiste, dunque, nell'offesa del bene giuridico tutelato, la
quale può assumere le forme:
ƒ
di una lesione che si concreta in un nocumento effettivo del bene protetto;
ƒ
di una messa in pericolo, che si concreta in un nocumento potenziale del bene
che viene soltanto minacciato.
A seconda del tipo di offesa è quindi possibile distinguere i reati di danno, nei quali vi è
una lesione del bene giuridico che viene distrutto o diminuito, dai reati di pericolo nei quali basta
che il bene venga soltanto minacciato.
L'inclusione dei reati nell'una o nell'altra categoria non sempre è agevole specie in relazione
a reati con evento non naturalistico. Di qui la tendenza della giurisprudenza a connotare come reati
di pericolo quelle fattispecie in cui oggetto dell'aggressione è un bene ideale prescindendo dal tipo
di aggressione.
Attualmente la categoria dei reati di pericolo è in continua espansione in quanto da un lato
per effetto del progresso tecnologico — e quindi con l'avvento di attività sempre più rischiose — si
impone l'emanazione di norme cautelari penalmente sanzionate; dall'altro l'assunzione di compiti di
natura solidaristica da parte dello Stato induce il legislatore ad anticipare allo stadio della messa in
pericolo, la tutela di alcuni beni particolarmente rilevanti.
Ciò detto i reati di pericolo possono distinguersi in tre categorie (MANTOVANI):
•
reati di pericolo concreto, per la sussistenza dei quali il pericolo deve
effettivamente esistere e deve essere di volta in volta accertato concretamente
dal giudice. Ne è un esempio il delitto di incendio di cosa propria (art. 423,
comma secondo, c.p.) laddove la norma prevede come elemento costitutivo il
verificarsi in concreto di un pericolo per la pubblica incolumità. Quanto al
giudizio di accertamento del pericolo, secondo la dottrina (MANTOVANI) è
di tipo prognostico (cd. giudizio ex ante) e va effettuato con riferimento al
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La struttura del reato
momento della condotta rispetto ai reati a condotta pericolosa10, ovvero al
momento tra la fine della condotta e la fine dell'evento tipico, più favorevole
alla prognosi di pericolo, se si tratta di reati di evento pericoloso11. Inoltre il
giudizio di accertamento del pericolo deve avere come base le circostanze
verosimilmente esistenti secondo la migliore scienza ed esperienza del
momento storico;
•
reati di pericolo astratto, nei quali il pericolo è implicito nella stessa
condotta, considerata per comune esperienza pericolosa, ma non è inibito
all'accusato fornire la prova contraria del suo verificarsi (es. il delitto di
incendio di cosa altrui, di cui all'art. 423, comma primo);
•
reati di pericolo presunto, nei quali il pericolo sebbene non è implicito nella
stessa condotta, in quanto al momento di essa è possibile controllare
l'esistenza o meno dell'evento lesivo, viene comunque presunto iuris et de
iure senza ammissione di prova contraria circa la sua concreta esistenza (es. i
delitti di detenzione e porto illegale di armi).
Altra dottrina (FIANDACA-MUSCO) distingue solo tra reati di pericolo concreto o
effettivo in cui il pericolo in quanto elemento costitutivo della fattispecie va accertato dal giudice
(es. strage art. 422) e reati di pericolo presunto o astratto in cui si presume che al compimento di
una determinata condotta si accompagni la messa in pericolo di un determinato bene (es. incendio
art. 423, comma 1) per cui il giudice deve accertare solo la sussistenza della condotta.
Il danno penale o criminale inteso come offesa al bene giuridico, va distinto dal danno civile
(materiale o morale), cioè dal danno risarcibile ex art. 2043 c.c. Mentre può esservi un reato senza
danno civile (può pensarsi, sotto tale profilo, al reato di associazione a delinquere di cui all'art. 416
nel quale gli associati offendono il bene giuridico tutelato dalla norma ma non recano danno
civilmente risarcibile ad alcuno), viceversa non esiste un reato senza danno penale, cioè senza
offesa al bene giuridico12.
10
Sono reati a condotta pericolosa quei reati nei quali il pericolo qualifica la condotta (es. reato di strage) o il
presupposto (es. il reato di omissione di lavori) o l'oggetto materiale di esso (es. il reato di commercio di sostanze
alimentari nocive.
11
Sono reati di evento pericoloso quei reati nei quali il pericolo costituisce l’evento stesso (art. 423: incendio) o
l’attributo di esso (art. 500: diffusione di una malattia delle piante o degli animali).
12
Sul rapporto tra danno e reato vanno menzionate tre diverse tesi: la prima secondo la quale ogni danno
eliminale è sempre risarcibile (CARNELUTTI); la seconda, a cui sopra si è fatto riferimento, secondo la quale il danno
civile concettualmente, qualitativamente quantitativamente è diverso dall'offesa penale ed è conseguenza solo eventuale
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La struttura del reato
10 Il soggetto attivo del reato
Il soggetto attivo (o autore) del reato può definirsi come colui che pone in essere un fatto
penalmente illecito (cd. fatto tipico). Soggetti attivi possono essere tutte le persone fisiche, in
quanto ogni persona umana ha la capacità penale, vale a dire l'attitudine a porre in essere
comportamenti penalmente rilevanti senza distinzione di sesso, età, o di altre condizioni soggettive.
Ne consegue che l'età, le situazioni di anormalità, fisica o psichica, e le immunità non escludono
l'illiceità penale, ma sono rilevanti solo sotto il profilo della capacità alla pena (imputabilità) o della
capacità alle misure di sicurezza (pericolosità).
Benvero, la legislazione attuale, tenendo conto delle esigenze poste in rilievo dalle moderne
correnti crijminalistiche e secondando il movimento evolutivo di questo ramo del diritto, ha
spostato l'accento dal delitto al delinquente. Ai fini di una più efficace òotta contro la criminalità
esso vuole si tenga conto non solo del reato che è stato commesso, ma anche della poersonalità del
soggetto, considerando il reo non solo come autore di un fatto dannoso o pericoloso, bensì anche e
soprattutto come possibile autore di altri fatti del genere.
Il reato viene, così, analizzato oltre che nel suo valore realistico e causale, cioè nella sua
materialità e nei suoi effetti, viene considerato nel suo valore sintomatico, come indice della
personalità del delinquente.
Ai fini teoria generale del reato preme osservare come, mentre la maggior parte degli illeciti
penali può essere commessa da qualunque uomo, ve ne sono molti che possono essere compiuti
soltanto da determinate persone.
La legge, invero, esige in certi casi per la sussistenza del reato una determinata posizione
giuridica o di fatto dell'agente. Questi reati, che giuridicamente non possono essere compiuti da
tutte le persone, sono chiamati talvolta “speciali”, ma più opportunamente vengono designati con
l'espressione “reati propri”, in contrapposizione ai “reati comuni”.13
In rapporto al soggetto attivo i reati possono distinguersi in:
1.
reati comuni, che sono quelli che possono essere compiuti da ogni persona
indipendentemente dal possesso di particolari qualifiche soggettive come ad
del reato (ANTOLISEI); la terza secondo la quale bisogna distinguere tra reati senza danno civile, reati con danno civile
immanente (distinto dall'offesa penale) e reati con danno civile consequenziale ed esteriore al fatto criminoso
(FROSALI).
13
V. Allegra, Norme penali speciali e reati speciali, in annali 1939;
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La struttura del reato
esempio la norma di cui all'art. 575 sull'omicidio la quale recita: «Chiunque
cagiona la morte di un uomo ...»,
2.
reati propri che sono quelli che possono essere commessi solo da soggetti
che rivestono particolari qualifiche meramente naturalistiche (es. l'essere
madre nel delitto di cui all' art. 578 sull' infanticidio in condizione di
abbandono morale e materiale) o giuridiche (es. la qualifica di pubblico
ufficiale in certi delitti contro la pubblica amministrazione). Non sempre al
fine di accertare se il reato sia comune o proprio è determinante l'espressione
«chiunque» utilizzata dalla norma incriminatrice: es. l'art. 355 usa tale
espressione ma in realtà il soggetto attivo può essere solo chi ha assunto
obblighi contrattuali.
I reati propri a loro volta si distinguono in:
— reati propri esclusivi, in cui il fatto se commesso da persona che nonrivesta la
particolare qualifica soggettiva è penalmente irrilevante;
— reati propri non esclusivi, in cui il fatto se commesso da chi non riveste la particolare
qualifica soggettiva costituisce altro reato (es. appropriazione indebita anziché peculato)
ovvero illecito extra-penale (es. il fatto di bancarotta se commesso da chi non è
imprenditore costituisce comunque fatto pregiudizievole ai creditori e quindi illecito
sotto il profilo civilistico).
Tale distinzione ha notevole importanza, come meglio si vedrà, in materia di concorso di
persone.
In relazione al fatto che il reato può avere più soggetti attivi è possibile operare una
distinzione in:
¾
reati monosoggettivi, che, cioè, secondo la norma incriminatrice possono
essere compiuti anche da una sola persona (es. rapina, art. 628). Non è
escluso che in concreto tale tipo di reato venga commesso da più persone, nel
qual caso si applicheranno le norme di cui agli artt. 110 e ss. sul concorso
eventuale di persone nel reato;
¾
reati plurisoggettivi (o impropriamente detti reati a concorso necessario),
che cioè, secondo la norma incriminatrice possono essere compiuti solo da
più di una persona (es. associazione per delinquere, art. 416). Va precisato
che l'ipotesi di concorso eventuale può verificarsi anche nei reati
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La struttura del reato
plurisoggettivi, se vi partecipano altri soggetti oltre a quelli necessari previsti
dalla legge per commettere il reato.
A loro volta i reati plurisoggettivi possono distinguersi in:
a) reati plurisoggettivi propri, nei quali tutti i coagenti sono assoggettati a pena in quanto
l'obbligo giuridico, la cui violazione integra il reato, incombe su ciascuno di essi.
Ne sono esempi la rissa (art. 588) e l'associazione per delinquere, (art. 416), nei quali i
soggetti sono tenuti all'osservanza del dovere imposto dalla norma penale;
b) reati plurisoggettivi impropri, in cui uno o taluni soltanto dei coagenti sono punibili, in
quanto solo su di essi incombe l'obbligo giuridico di non tenere il comportamento vietato. Ne sono
esempi i reati di corruzione impropria susseguente (artt. 318, comma secondo e 321) e di millantato
credito (art. 346) in cui sono punibili rispettivamente solo il corrotto ed il millantatore.
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La struttura del reato
11 La responsabilità penale delle persone
giuridiche.
Come detto, soggetto attivo del reato può essere solo una persona fisica. Infatti nel nostro
ordinamento, a differenza di quello di altri paesi14, vige il principio societas delinquere non potest,
per cui non è ammessa la responsabilità penale di enti, siano o meno dotati di personalità giuridica.
Tale principio secondo la dottrina si deduce sia dall'art. 27 della nostra Costituzione, che prevede il
carattere personale della responsabilità penale, sia dall'art. 197 del codice penale, che, per i reati
commessi dagli organi della persona giuridica nell'esercizio delle loro funzioni, pone solo
un'obbligazione civile di garanzia a carico dell'ente, in tal modo escludendo che quest'ultimo possa
considerarsi soggetto attivo del reato.
Escluso che la persona giuridica possa essere soggetto attivo, di conseguenza, si pone il
problema dell'individuazione dei soggetti penalmente responsabili nell' ambito dell'organizzazione
dell'ente. Problema che in realtà si profila non solo per le persone giuridiche ma anche per le
imprese di vaste dimensioni in cui compiti e poteri sono divisi tra più soggetti.
A tal fine la giurisprudenza in passato ha elaborato alcuni criteri alla luce dei quali ha
ritenuto penalmente responsabili:
—talora il soggetto che ha la rappresentanza dell'ente;
—talaltra il soggetto che esercita le funzioni che normalmente ineriscono alla qualità
d'imprenditore (amministratore).
Con riguardo alla efficacia liberatoria della delega per l'imprenditore o l'amministratore,
parte della dottrina ritiene che esso liberi da responsabilità il delegante, in quanto trasferisce al
delegato non solo le funzioni inerenti alla qualifica personale, ma anche la titolarità di essa, onde
soggetto del reato è soltanto il delegato.
Altra parte della dottrina sostiene invece che il delegante in virtù di un atto di autonomia
privata (delega) non può spogliarsi dei doveri sanciti dalla legge penale, conservando le funzioni
inerenti alla qualifica o quanto meno l'obbligo di controllo sull'adempimento degli obblighi da parte
del delegato. Di conseguenza il delegante sarà responsabile ex art. 40, comma secondo per concorso
doloso (se a conoscenza della violazione) o colposo od anche per concorso di condotte colpose (se il
14
Nei paesi anglosassoni è presente già da tempo la figura del corporate crime che prevede una responsabilità
penale per il reato commesso da una società (corporation)
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La struttura del reato
reato è punibile a titolo colposo) nel caso in cui sia esigibile l'adempimento di tale obbligo di
controllo 15.
La giurisprudenza dopo vari orientamenti oscillanti è oggi abbastanza concorde nel ritenere
che la delega (per i limiti della delega di funzioni dì prevenzione infortuni sul lavoro, vedi art. 1,
comma 4-ter, D.Lgs. 19/9/1994, n. 626), può avere efficacia liberatoria per l'imprenditore o
amministratore a condizione che:
a) l'impresa sia di notevoli dimensioni, tali cioè da non consentire un controllo diretto
sull'osservanza delle nonne da parte del solo titolare;
b) i compiti delegati non gravino esclusivamente e specificamente sul titolare o
amministratore;
c) la persona delegata sia tecnicamente e professionalmente capace di assolvere il compito
che le è stato delegato;
d) il delegato goda di effettiva autonomia gestionale senza interferenze da parte del
delegante;
e) il delegante abbia compiuto tutto ciò che la legge poneva a suo carico; o 1'attribuzione dei
poteri-doveri derivanti dalla delega sia debitamente pubblicizzata nell'impresa, onde
garantire l'integrale conoscibilità interna del conferimento di poteri in capo al delegato;
g) l'esistenza della delega esclusiva e l'idoneità del delegato ad esercitare le attività delegate
siano specificamente provate dal delegante16.
Con il D.Lgs. 8-6-2001, n. 231, attuativo della delega sancita dall'art. 11 della L. 29-9-2000,
n. 300, sono state introdotte, per la prima volta nel nostro ordinamento, situazioni di responsabilità
diretta, a carattere sanzionatorio, delle persone giuridiche.
Ripercorrendo per grandi linee la nuova normativa, si precisa che il decreto disciplina la
responsabilità degli enti (per tali intendendosi enti forniti di personalità giuridica e le società e
associazioni anche prive di personalità giuridica, mentre restano esclusi lo Stato, gli enti pubblici
territoriali, gli altri enti pubblici non economici nonché gli enti che svolgono funzioni di rilievo
costituzionale) per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato. Nonostante la norma faccia
riferimento alla responsabilità amministrativa, nei primi commenti alla riforma (PALIERO), come
15
Sulla possibilità di configurare una responsabilità per il delegante a art. 40 comma secondo per reato omissivo
improprio, si veda anche quanto si dirà più avanti sui limiti di ammissibilità del concorso mediante omissione.
16
Da ultimo la cassazione ha fatto il punto fissando le regole che consentono di ravvisare il passaggio delle
responsabilità dell’organo delegante al delegato (Cass. Pen. sent. n. 422 del 17.01.2000)
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La struttura del reato
anche nella Relazione governativa al decreto, si precisa che trattasi di un tertium genus finalizzato a
contemperare le linee essenziali del sistema penale (da cui coniuga la necessaria connessione a fatti
di reato e le garanzie del processo penale) e di quello amministrativo, allo scopo di conciliare le
ragioni dell'efficacia preventiva con quelle della massima garanzia.
Dopo aver fissato taluni principi generali (peraltro mutuati dal sistema penale) quali quello
di legalità, ex art. 2 (l'ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la
sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono
espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto) e della
successione di leggi nel tempo, ex art. 3 (l'ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto che
secondo una legge posteriore non costituisce più reato o in relazione al quale non è più prevista la
responsabilità amministrativa dell'ente, e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti
giuridici. Se la legge del tempo in cui è stato commesso l'illecito e le successive sono diverse, si
applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli, salvo che sia intervenuta pronuncia
irrevocabile.
Quanto alle sanzioni interdittive, si applicano in relazione ai reati per i quali sono
espressamente previste, quando l'ente ha tratto un profitto di rilevante entità e il reato è stato
commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all'altrui direzione quando,
in questo caso, la commissione dell'illecito penale è stata determinata o agevolata da gravi carenze
organizzative, ovvero in caso di reiterazione degli illeciti. Le sanzioni interdittive hanno una durata
non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni.
Secondo la Relazione governativa al decreto, la disciplina delle sanzioni interdittive,
muovendo dalla consapevolezza delle gravi conseguenze per la «vita» e l'attività dell'ente che si
connettono alla loro applicazione, disegna un sistema che le collega a presupposti applicativi
particolarmente rigorosi, e che ne evita l'applicazione in presenza di specifiche condotte riparatorie.
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La struttura del reato
12 Il soggetto passivo del reato
Il soggetto passivo del reato è il titolare del bene giuridico protetto dalla singola fattispecie
incriminatrice. Soggetto passivo può essere non solo una persona fisica ma anche lo Stato (artt. 241
e ss.) ovvero una persona giuridica (es. reati societari previsti dagli artt. 2621 e ss. c.c.). Inoltre vi
sono reati anche con pluralità di soggetti passivi come il reato di sottrazione di cosa comune.
Concettualmente il soggetto passivo va distinto dall'oggetto materiale del reato che allude
invece alla persona o alla cosa sulla quale ricade l'attività delittuosa. In alcuni casi i due concetti
coincidono. Ad esempio nell'omicidio il soggetto passivo è l'uomo che è anche l'oggetto materiale
della condotta. In altri casi l'oggetto materiale coincide con il soggetto attivo: ad esempio nel reato
di automutilazione fraudolenta per sottrarsi al servizio militare, chi compie l'azione è soggetto attivo
del reato ma è anche oggetto materiale del reato, mentre il soggetto passivo è lo Stato. Il soggetto
passivo va altresì distinto dal danneggiato, cioè da colui che dal reato ha subito un danno civilmente
risarcibile, anche senza essere titolare del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice.
La qualità del soggetto passivo può assumere rilevanza sotto vari profili. Infatti può essere
determinante per la configurazione del fatto tipico: ad esempio nel delitto di sottrazione di
minorenne (art. 573) la qualità di soggetto minore è essenziale per la configurazione del delitto
stesso.
Le caratteristiche del soggetto passivo possono avere ancora rilevanza, in virtù delle
relazioni che lo legano al soggetto attivo del reato, sotto il profilo:
•
di dare rilevanza al fatto; così ad esempio la qualità di figlio nel soggetto passivo è elemento
costitutivo del reato nel delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570);
ƒ
di determinare all'opposto la non punibilità; così ad esempio la qualità di figlio nel soggetto
passivo esclude in base all'art. 649 la punibilità del furto eventualmente commesso ai suoi
danni dal padre;
13
di rendere applicabile una circostanza aggravante; così se l'omicidio viene commesso ad
esempio nei confronti del figlio si applica la circostanza aggravante di cui all'art. 576 n. 2.
Oltre che per le sue caratteristiche il soggetto passivo può assumere rilevanza anche per la
condotta tenuta anteriormente, contemporaneamente o successivamente al reato. Si pensi
rispettivamente all'attenuante della provocazione ex art. 62 n. 2, all'attenuante del concorso del fatto
doloso della persona offesa ex art. 62 n. 5, ovvero all'iniziativa del soggetto passivo necessaria per
consentire all'offensore la prova della verità dell'addebito nei delitti contro l'onore ex art. 596, n. 3.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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La struttura del reato
Sotto un profilo pratico l'individuazione del soggetto passivo è rilevante, in quanto a lui
spetta il diritto di querela e la prestazione, nei casi in cui è ammissibile, del consenso scriminante.
Sotto tale profilo è utile mettere in luce che, in caso di pluralità di soggetti passivi, è sufficiente la
presentazione della querela anche da parte di uno solo di essi (cd. principio d'indivisibilità), mentre
per la prestazione del consenso scriminante è necessaria la volontà di tutti i titolari dell'interesse
protetto.
In base al soggetto passivo, e tenuto conto del rapporto intercorrente tra questi e l'oggetto giuridico,
i reati si possono distinguere in:
a) reati a soggetto passivo determinato, in cui l'interesse offeso appartiene a soggetti ben
individuabili (es. omicidio, furto);
b) reati a soggetto passivo indeterminato, «vaghi» o « vaganti», in cui l'interesse offeso appartiene
genericamente ad una collettività indeterminata e che pertanto offendono un numero indeterminato
di individui (es. strage, naufragio);
c) reati senza vittima o senza soggetto passivo, in cui non è facile individuare un bene giuridico
specifico protetto dalla norma. Ne sono un esempio i reati contro la moralità pubblica nonché i reati
cd. ostativi che incriminano atti che rappresentano solo il presupposto di una concreta aggressione.
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